Anno XXXVIII N. 6 Dicembre 2017 Euro...

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Periodico di ricerche e di temi turistici, culturali, politici e sportivi Dir. responsabile Raffaele Castagna Anno XXXVIII N. 6 Dicembre 2017 Euro 2,00 Ex libris Dell'antiche colonie venute in Napoli e i primi si furono i Fenici Rassegna Libri Napoli / Mostra L'Esercito di Terracotta della Cina Una nuova opera di A. Di Spigna la "Santa Barbara" (Napoli) Il Castello Aragonese nei secoli della decadenza Lacco Ameno Fonti Archivistiche Insulana o Isclana Ecclesia Dopo i restauri riaperta al culto la Basilica di Santa Restituta

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Periodico di ricerche e di temi turistici, culturali, politici e sportiviDir. responsabile Raffaele Castagna

Anno XXXVIIIN. 6

Dicembre 2017

Euro 2,00

Ex libris Dell'antiche colonie venute in Napoli

e i primi si furono i Fenici

Rassegna Libri

Napoli / MostraL'Esercito di Terracotta della Cina

Una nuova opera di A. Di Spignala "Santa Barbara" (Napoli)

Il Castello Aragonese

nei secoli della

decadenza

Lacco Ameno

Fonti ArchivisticheInsulana o Isclana Ecclesia

Dopo i restauri riaperta al culto

la Basilica di Santa Restituta

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Testimonianze dei lavori effettuati nella Basilica di S. Restituta di Lacco Ameno

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La Rassegna d’Ischia n. 6/2017 3

La Rassegna d’IschiaIn questo numero

2 Testimonianze dei lavori alla Basilica di Lacco

4 Dopo i restauri, riaperta al culto la Basilica di S. Restituta a Lacco Ameno

7 Il Natale e i grandi autori della letteratura

11 Il Castello Aragonese nei secoli della decadenza

19 Racconto Sul pontile di Lacco Ameno...

25 Scoperta una nuova opera di A. Di Spigna La "Santa Barbara" (Napoli)

29 Napoli: Chiesa dello Spirito Santo L'Esercito di Terracotta della Cina 32 Rassegna Libri - Raccolta di cronache varie appartenenti alla storia dell'isola d'Ischia - Sisma nell'isola d'Ischia tutta la verità - Il restauro della Basilica di S. Restituta a Lacco Ameno - Ischia occulta

34 Don Pasquale Polito

35 Archivio Diocesano d'Ischia Dal diario del Can. Aniello Sassone

36 La Cattedrale

38 Fonti Archivistiche Insulana an Isclana Ecclesia?

43 Ex libris - Casamicciola, le acque minerali... - Memorie per servire alla storia... - Versione letterale dell'Iliade... - Dell'antiche colonie venute in Napoli...

51 Motivi

52 Capodrise (Caserta) / Mostra In cerca del padre

Periodico bimestrale di ricerche e di temi turistici, culturali, politici e sportivi

Anno XXXVIII- n. 6Dicembre 2017

Euro 2,00

Editore e Direttore responsabile Raffaele Castagna

La Rassegna d’IschiaVia IV novembre 19

80076 Lacco Ameno (NA)Registrazione Tribunale di Napoli

n. 2907 del 16.02.1980Registro degli Operatori

di Comunicazione n. 8661

Stampa : Press Up - Roma

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80076 Lacco Ameno (NA)www.ischialarassegna.comwww.larassegnadischia.it

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Chiuso in redazione il 7 dicembre 2017

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4 La Rassegna d’Ischia n. 6/2017

Dopo i restauri riaperta al culto la Basilica di Santa Restituta

in Lacco Ameno di Ernesta Mazzella

Venerdì 24 novembre 2017 è stata ria-perta al culto dopo accurati restauri la Basilica di Santa Restituta. Vero scrigno d’arte, storia, devozione e cultura. Fulcro e centro di irradiazione del cristianesimo isclano.

L’«insula» di Santa Restituta in Lacco Ameno co-stituisce l’area sacra più venerabile ed antica dell’i-sola d’Ischia da oltre due millenni. Le testimonian-ze archeologiche venute alla luce nel corso degli ultimi cinquant’anni, grazie all’opera del canonico Don Pietro Monti, nell’area dove sorge la basilica di S. Restituta hanno attestato che comunità cristiane esistevano già nel II e III secolo, per il ritrovamento di frammenti di ceramiche pagane e cristiane, non-ché tracce di banchetto funebre all’aperto. Il mate-riale d’importazione ritrovato dimostra come l’iso-la fosse uno degli approdi privilegiati lungo le vie commerciali marittime del Mediterraneo e, quindi, aperta all’ingresso del cristianesimo. Gli Scavi di S. Restituta hanno messo in luce un tempio di età re-pubblicana ed una palestra recintata da parapetti in opus reticulatum, segni dell’esistenza di un villag-gio romano in funzione sin dal I secolo a. C. Il com-plesso, detto Eraclius, costituiva il centro di vita del villaggio romano. Sovrapposta al tempio e ad una parte della palestra, una piccola basilica paleocri-stiana, attribuibile al IV secolo, con un pavimento in lastroni di terracotta molto grezzi, corrisponden-ti a quelli del battistero per immersione. I muri late-rali, in opus lateritium, risultano adattati su quelli del tempio pagano in opus reticulatum. Gli scavi hanno rivelato anche un insieme di tombe, due cu-nicoli catacombali e tombe ad arcosolio nonché una lucerna fittile con incise le figure di due personaggi che reggono sulle spalle una sbarra da cui pende un grappolo d’uva, simbolo cristiano molto antico. La lucerna è attribuibile alla prima metà del V secolo. Altre lucerne, inoltre, con il monogramma della croce, sono databili tra il IV e il VI secolo. L’impian-to sacro fa pensare alla presenza di una comunità cristiana, pronta ad accogliere le reliquie di Santa Restituta, la martire cartaginese che secondo il rac-conto anonimo della Passio, scritto nel secolo XI, custodito presso la Biblioteca Nazionale di Napoli con il codice VIII B 8, fu sepolta in loco qui dicitur

Eraclius. Restituta subì il martirio nel 304 e le sue reliquie furono portate in Campania dagli esuli afri-cani guidati dal vescovo di Cartagine Quodvultdeus e quello di Abitine Gaudioso, per sfuggire all’inva-sione ed alla persecuzione dei Vandali di Genserico. Le reliquie della Santa furono venerate in quell’an-tica basilica fino all’inizio del secolo IX, quando fu-rono traslate a Napoli nell’antica cattedrale, dove ancora oggi si conservano. Tale traslazione si rese necessaria per i continui attacchi dei Mori. Infatti una squadriglia di ben quaranta navi di Mori dal 18 al 21 agosto 812 misero a ferro e a fuoco l’intera Isola, portando via parecchi prigionieri e lasciando dietro di sé desolazione e morte. Lo stesso papa Le-one III, con una lettera a Carlo Magno informava l’imperatore di questo grave episodio, invitandolo ad intervenire. L’antica basilica andò in rovina e il tempo ne cancellò anche le tracce. Proprio in questo periodo il nome della martire Restituta fu inserito nel calendario marmoreo della chiesa di Napoli.

Nel 1036 il conte Marino e Teodora sua moglie dedicarono alla Santa un oratorio, assegnandogli diversi beni e ordinando a Pietro, abate del mona-stero di Santa Maria in Cementara, località nell’at-tuale Comune di Lacco Ameno, di tenere sempre accese le lampade dinanzi all’immagine della Santa. Presto, però, esso fu nuovamente abbandonato fino al 1374, quando il vescovo d’Ischia Bartolomeo Bus-solaro, originario di Pavia, fece costruire accanto alla chiesa dei locali come abitazione per gli addetti al culto della stessa e fece recintare con un muro di protezione i suoi possedimenti. Ma, nonostante lo zelo del vescovo e le sue misure precauzionali nel difendere la chiesa ed i beni di Santa Restituta, per cause che noi non conosciamo, il luogo di culto vie-ne abbandonato nuovamente.

Solo verso il 1470-71 il francescano P. Pacifico da Sorrento restaura la chiesa ed i locali annessi e grazie ad una bolla di Papa Sisto IV del 25 febbraio 1483, anche in riconoscenza della sua opera restau-ratrice, gli venne concessa la rettoria della stessa chiesa.

Il 22 aprile 1589, il vescovo d’Ischia Fabio Pol-verino (1565-1590) concesse la chiesa di Santa Restituta con i luoghi ad essa annessi, mediante atto del notaio Alfonso de Rosa, ai Carmelitani di Napoli, che nel corso dei secoli diedero nuovo vi-gore al culto verso la Santa e nuovo splendore al

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La Rassegna d’Ischia n. 6/2017 5

luogo sacro a Lei dedicato. Nella seconda metà del secolo XVIII costruirono una nuova grande chie-sa grazie anche all’opera di P. Andrea Buonocore. All’inizio del secolo seguente fu restaurato ed ab-bellito il vecchio oratorio.

La permanenza dei Carmelitani a Santa Restitu-ta si protrasse fino al 1809 quando il convento fu soppresso e la chiesa affidata al clero diocesano. Nel 1822 il convento e la chiesa furono affidati ai frati Agostiniani che si distinsero particolarmente nell’incremento del culto verso la Santa. Le leggi eversive del 1866 cacciarono da Santa Restituta an-che gli Agostiniani. Tra il 1870 ed il 1875 la chiesa e l’ex convento furono concessi, su richiesta del sin-daco di Lacco Ameno, ai Padri Servi di Maria i qua-li si impegnarono particolarmente nell’istruzione pubblica, ma anch’essi presto dovettero lasciare la chiesa ed il convento. La prima fu affidata al vesco-vo ed al clero diocesano, il secondo divenne sede del Municipio di Lacco Ameno, situazione che perdura ancora oggi. Il terremoto del 28 luglio 1883 causò gravissimi danni alla chiesa ed in particolare alla volta e fu necessario abbatterla del tutto. La solida-rietà universale e la devozione del popolo cristiano provvidero subito a rimettere in sesto la chiesa. L’arcivescovo di Napoli Guglielmo Sanfelice (1878-1884), poi cardinale dal 1884, affidò all’ingegnere Filippo Botta l’incarico di preparare il progetto. Al termine dei lavori fu solennemente consacrata il 2 luglio del 1886 dal vescovo Gennaro Portanova (1885-1888), come attesta la lapide all’ingresso del-la chiesa. Mancava solo la facciata che sarà realizza-ta nei primi anni del secolo XX.

La facciata della chiesa è essenziale nelle linee, scandita da quattro paraste che sorreggono un tim-pano, è caratterizzata da stucchi decorativi ed un portale in pietra con la dedica alla Santa:

DIVAE RESTITUTAE V. ET M. PATRONAE TOTIUS INSULAE

AENARIAE SACRUM

sovrastato da un medaglione in cui è raffigurata Santa Restituta. L’interno della chiesa è costituito da unica navata le cui pareti sono scandite da cop-pie di colonne addossate alle pareti che sorreggono il maestoso soffitto cassettonato. Tutta la costruzio-ne conserva l’aspetto che ha assunto in seguito ai la-vori di ristrutturazione effettuati dopo il terremoto del 1883.

L’altare maggiore, in marmo policromo ed intar-si ,presenta una pregevole porticina in argento che rappresenta la Cena di Emmaus. L’altare “coram populo” è realizzato in bronzo, opera di fine secolo XX, benedetto il 17 maggio 1984 dal vescovo Anto-nio Pagano, raffigura la barca con Santa Restituta sospinta dagli Angeli. Domina l’altare una tela del

secolo XX che rappresenta l’arrivo ad Ischia del corpo di Santa Restituta, copia di una tela del G. Simonelli, basato su di un bozzetto di Luca Giorda-no, per il soffitto della basilica napoletana di Santa Restituta annessa al Duomo. Ai lati, due piccole tele di Filippo Balbi (Napoli 1861 – Alatri 1890) raffi-guranti S. Tommaso da Villanova e S. Nicola da Tolentino, i due Santi più importanti dell’ordine agostiniano. Infatti, come i Carmelitani diffusero il culto della Madonna del Carmine, di cui presso l’al-tare vi è una tavola attribuita dall’Alparone al pit-tore manierista Decio Tramontano (seconda metà del XVI secolo), gli Agostiniani portarono in questa chiesa e diffusero ulteriormente nell’isola d’Ischia il culto del loro fondatore S. Agostino. Abbastanza diffuso era quello di S. Nicola da Tolentino venerato già alla fine del secolo XIV per la presenza ad Ischia fin dal secolo XIII degli Agostiniani e di alcuni con-venti da essi fondati, tra cui quello di Santa Maria della Scala, la cui chiesa è l’attuale cattedrale della Diocesi di Ischia. A sinistra entrando in chiesa si trova una tela del pittore Filippo Balbi, raffigurante S. Agostino che abbatte l’eresia. Di fronte abbiamo un dipinto con la Crocifissione ed un bassorilievo in bronzo che rappresenta la Dormitio Beatae Mariae Virginis.

Sul primo altare di destra si venera una bella ed antica statua lignea di S. Giuseppe, attribuita alla bottega dello scultore Pietro Patalano, nato a Lac-co Ameno nel 1664. Sul secondo altare, invece, è collocata una tela raffigurante la Presentazione di Gesù al tempio opera del XIX secolo.

Sul primo altare di sinistra si venera una statua dell’Immacolata, opera di bottega napoletana del XVIII secolo, mentre sul terzo altare una tela della Santissima Trinità, attribuita dalla Persico Rolando al pittore lacchese Alfonso Di Spigna, entrambe le opere provengono dalla distrutta chiesa del Rosa-rio.

Lungo le pareti in alto trovano posto dieci tele raffiguranti vari episodi del martirio della Santa, secondo la versione della Passio, queste furono re-alizzate dal pittore Ferdinando Mastroianni tra il 1885 e 1889.

Papi e imperatori, come Carlo V ad esempio, si sono interessati, nel corso degli oltre 1500 anni di storia, della Chiesa di S. Restituta, tra questi ricor-diamo i papi S. Silvestro I († 335), S. Gregorio Ma-gno (598-606), Leone III (795-816), S. Celestino V (1294), Sisto IV (1471-1484), Sisto V (1585-1590), S. Giovanni Paolo II rappresentati tutti negli arazzi che decorano le colonne lungo la navata, commis-sionati dal compianto rettore Don Pietro Monti e realizzati dall’artista Luigi Scapini.

Il 15 marzo 2001 la chiesa è stata elevata a Basi-lica con Bolla di Papa Giovanni Paolo II, la perga-

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6 La Rassegna d’Ischia n. 6/2017

mena si conserva nell’Archivio Storico Diocesano di Ischia. L’antica sacrestia oggi costituisce quasi una cappella con la nicchia moderna adorna di preziosi marmi che custodisce il venerato busto di Santa Re-stituta, del secolo XVIII attribuito allo scultore Ni-cola Fumo (Saragnano 1647 – Napoli 1725). Alle pa-reti della Cappella vi sono diversi ex voto d’argento.

L’oratorio presenta anch’esso un’unica navata con in fondo la statua di Santa Restituta in legno dorato, del secolo XVI-XVII. Il paliotto di marmo dell’altare è opera dello scultore Amedeo Garufi raf-figurante la traslazione delle reliquie della Santa. Sotto quest’altare sono custodite alcune reliquie in-signi della stessa Santa. La balaustra di marmo, che chiude il piccolo presbiterio, fu realizzata nel 1707 con le offerte dei devoti di Napoli.

Nei locali annessi al Santuario, nella sacrestia e nel grande salone sono esposti diverse suppellettili liturgiche di grande rilevanza storico-artistica non-ché parecchi ex voto, nelle forme più svariate, of-ferti alla Santa. I locali sottostanti ospitano gli scavi archeologici, iniziati alla fine degli anni cinquanta ed ancora oggi sono in corso. Vi si possono ammi-rare reperti di grande importanza storico-artistica compresi tra il periodo greco e quello medioevale, ed in modo particolare del periodo paleocristiano e cristiano. Tutto questo ricco patrimonio di suppel-lettili sacre e di testimonianze archeologiche costi-tuiscono un vero e proprio tesoro.

Ernesta MazzellaFacciata della Basilica di S. Restituta

Veduta di antica Piazza S. Restituta

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Il Natale e i grandi autori della letteraturaBambino Gesù, asciuga ogni lacrima di S. Giovanni Paolo II

Asciuga, Bambino Gesù, le lacrime dei fanciulli!Accarezza il malato e l’anziano!Spingi gli uominia deporre le armie a stringersi in un universale abbraccio di pace!Invita i popoli,misericordioso Gesù,ad abbattere i muricreati dalla miseriae dalla disoccupazione,dall’ignoranzae dall’indifferenza,dalla discriminazione e dall’intolleranza.Sei tu,Divino Bambino di Betlemme,che ci salvi,liberandoci dal peccato.Sei tu il vero e unico Salvatore,che l’umanità spesso cerca a tentoni.Dio della pace,dono di paceper l’intera umanità, vieni a viverenel cuore di ogni uomo e di ogni famiglia.Sii tu la nostra pacee la nostra gioia!

Il pastoredi Piero Bargellini Che freddo quella notte! Le stelle bucavano il cie-lo come punte di diamante. Il gelo induriva la terra. Sulla collina di Betlem tutte le luci erano spente, ma nella vallata ardevano, rossi, i nostri fuochi. Le pe-core, ammassate dentro gli stazzi, si addossavano le une sulle altre, col muso nascosto nei velli. Noi di guardia invidiavamo le bestie che potevano difen-dersi così bene dal freddo. Si stava attorno ai fuochi che ci cocevano da una parte, mentre dall’altra si ge-lava. Sulla mezzanotte il fuoco cominciò a crepitare come se qualcuno vi avesse gettato un fascio di pruni secchi. Nello stazzo, le pecore si misero a tramenare. Alzavano i musi in aria, e belavano. - Sentono il lupo, - pensai. Cercai a tasto il bastone e mi alzai. I cani gi-ravano su se stessi e uggiolavano. - Hanno paura an-che loro, - pensai. Intanto anche i compagni si erano levati da terra. Facemmo gruppo scrutando la cam-pagna. Non era più freddo. Il cuore, invece di battere per la paura, sussultava quasi di gioia. Era d’inverno, e ci sentivamo allegri come se fosse stata primavera. Era di notte, e si vedeva luce come di giorno. Sembra-va che l’aria fosse diventata polvere luminosa. E in quella polvere, a un tratto, prese figura una creatura

così bella che ne provammo sgomento. - Non teme-te, - disse l’apparizione. - Io vi annunzio una gran-de gioia destinata a tutto il popolo. Oggi vi è nato un Salvatore, nella città di David. E questo sia per voi il segnale: troverete un bambino avvolto in fasce e co-ricato in una mangiatoia. Non aveva finito di parlare, che da ogni parte del cielo apparvero Angeli luminosi, e cantavano: - Gloria a Dio nel più alto dei cieli, e pace in terra agli uomini di buona volontà. Poi tornò la notte, e noi restammo come ciechi nella valle piena di oscurità. I fuochi si erano spenti. Le pecore taceva-no. I cani s’erano acciambellati per terra. - Abbiamo sognato! - pensammo. Ma eravamo in troppi a fare lo stesso sogno. Lì vicino, sulla costa della collina, erano scavate alcune grotte, che servivano da stalla. Aveva-no la mangiatoia formata di terra dura. Se il Salvato-re si trovava in una mangiatoia, voleva dire che era nato in una di quelle povere grotte. Infatti trovammo, come ci aveva detto l’Angelo, un Bambino fasciato, in mezzo a due animali, un bove e un asino. L’asino vi era giunto coi genitori del Bambino. Sul basto sede-va il padre, pensieroso. Presso la mangiatoia, si tro-vava inginocchiata la madre, in adorazione del suo nato. Guardai quel Bambino e il mio cuore s’intenerì. Sono un povero pastore, ma ogni volta che vedo un agnellino mi commuovo. E quel Bambino mi parve il più tenero, il più innocente degli agnelli. Non so dire altro. Posso solo aggiungere che non ho più provato in vita mia una dolcezza simile a quella provata dinanzi a quel Bambino. Anche ora che ci ripenso, mi torna la tenerezza per quell’Agnello innocente e gentile. Sono un povero pastore. Perdonatemi se lo chiamo così. È per me il nome più dolce e più caro.

Il pellerossa nel presepedi Gianni Rodari

Il pellerossa con le piume in testae con l’ascia di guerra in pugno stretta,come è finito tra le statuinedel presepe, pastori e pecorine,e l’asinello, e i Magi sul cammello,e le stelle ben disposte,e la vecchina delle caldarroste?Non è il tuo posto, via, Toro Seduto:torna presto da dove sei venuto.Ma l’indiano non sente.O fa l’indiano.Ce lo lasciamo, dite, fa lo stesso?O darà noia agli angeli di gesso?Forse è venuto fin quaha fatto tanto viaggio,perché ha sentito il messaggio:pace agli uomini di buona volontà

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8 La Rassegna d’Ischia n. 6/2017

I Tre Santi Magi di Heinrich Heine

I tre santi Re Magi dall’Orientechiedono in ogni piccola città:«Cari ragazzi e giovinette,dite, la strada per Betlemme è per di qua?»

Né i giovani né i vecchi non lo sannoe i tre Re Magi sempre avanti vanno;ma una cometa d’oro li conduceche lassù chiara e amabile riluce.

La stella sulla casa di Giuseppe ecco s’arresta: là devono entrare.Il bovetto muggisce, il bimbo strilla,e i tre Re Magi prendono a cantare.

Alla vigilia di Natale di Bertolt Brecht

Oggi siamo seduti, alla vigilia di Natale,noi, gente misera,in una gelida stanzetta,il vento corre fuori, il vento entra.Vieni, buon Signore Gesù, da noi,volgi lo sguardo:perché tu ci sei davvero necessario.

Dov’e’ la pace? di Gandhi

Quando sento cantare:“Gloria a Dio e Pace sulla terra”mi domando dove oggisia resa gloria a Dioe dove sia pace sulla terra.Finché la pacesarà una fame insaziatae finché non avremo sradicatodalla nostra civiltà la violenza,il Cristo non sarà nato.

La notte santa di Guido Gozzano

- Consolati, Maria, del tuo pellegrinare!Siam giunti. Ecco Betlemme ornata di trofei.Presso quell’osteria potremo riposareChé troppo stanco sono e troppo stanca sei.

Il campanile scoccaLentamente le sei.

- Avete un po’ di posto, o voi del Caval Grigio?Un po’ di posto per me e per Giuseppe?- Signori, ce ne duole: è notte di prodigio;Son troppi i forestieri; le stanze ho piene zeppe

Il campanile scoccaLentamente le sette.

- Oste del Moro, avete un rifugio per noi?Mia moglie più non regge ed io son così rotto!- Tutto l’albergo ho pieno, soppalchi e ballatoi:Tentate al Cervo Bianco, quell’osteria più sotto.

Il campanile scoccaLentamente le otto.

- O voi del Cervo Bianco, un sottoscala almenoAvete per dormire? Non ci mandate altrove!- S’attende la cometa. Tutto l’albergo ho pienoD’astronomi e di dotti, qui giunti d’ogni dove.

Il campanile scoccaLentamente le nove.

- Ostessa dei Tre Merli, pietà d’una sorella!Pensate in quale stato e quanta strada feci!- Ma fin sui tetti ho gente: attendono la stella.Son negromanti, magi persiani, egizi, greci...

Il campanile scoccaLentamente le dieci.

- Oste di Cesarea... - Un vecchio falegname?Albergarlo? Sua moglie? Albergarli per niente?L’albergo è tutto pieno di cavalieri e dameNon amo la miscela dell’alta e bassa gente.

Il campanile scoccaLe undici lentamente.

La neve! - ecco una stalla! - Avrà posto per due?- Che freddo! - Siamo a sosta - Ma quanta neve, [quanta!Un po’ ci scalderanno quell’asino e quel bue...Maria già trascolora, divinamente affranta...

Il campanile scoccaLa Mezzanotte Santa.

È nato!Alleluja! Alleluja!

L’agrifogliodi Gina Marzetti Noventa

Il pastorello si sveglia all’improvviso. In cielo v’è una luce nuova: una luce mai vista a quell’ora. Il giovane pastore si spaventa, lascia l’ovile, attraversa il bosco: è nel campo aperto, sotto una bellissima volta celeste. Dall’alto giunge il canto soave degli Angeli. - Tanta pace non può venire che di lassù - pensa il pastorello, e sorride tranquillizzato. Le pecorine, a sua insaputa, l’hanno seguito e lo guardano stu-pite. Ecco sopraggiungere molta gente e tutti, a passi affret-tati, si dirigono verso una grotta. - Dove andate? - chiede il pastorello. - Non lo sai? - risponde, per tutti, una giovane donna. - È nato il figlio di Dio: è sceso quaggiù per aprirci le porte del Paradiso. Il pastorello si unisce alla comitiva: anch’egli vuole vedere il Figlio di Dio. A un tratto, si sente turbato: tutti recano un dono, soltanto lui non ha nulla da portare a Gesù. Triste e sconvolto, ritorna alle sue pecore. Non ha nulla; nemmeno un fiore; che cosa si può donare

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La Rassegna d’Ischia n. 6/2017 9

quando si è così poveri? Il ragazzo non sa che il dono più gradito a Gesù è il suo piccolo cuore buono. Ahi! Tanti spi-ni gli pungono i piedi nudi. Allora il pastorello si ferma, guarda in terra ed esclama meravigliato: - Oh, un arbusto ancor verde! È una pianta di agrifoglio, dalle foglie luci-de e spinose. Il coro di Angeli sembra avvicinarsi alla terra; c’è tanta festa attorno. Come si può resistere al desiderio di correre dal Santo Bambino anche se non si ha nulla da offrire? Ebbene, il pastorello andrà alla divina capanna; un ramo d’agrifoglio sarà il suo omaggio. Eccolo alla grotta. Si avvicina felice e confuso al bambino sorridente che sembra aspettarlo. Ma che cosa avviene? Le gocce di sangue delle sue mani, ferite dalle spine, si trasformano in rosse palline, che si posano sui verdi rami dell’arbusto che egli ha colto per Gesù. Al ritorno, un’altra sorpresa attende il pastorel-lo: nel bosco, tra le lucenti foglie dell’agrifoglio, è tutto un rosseggiare di bacche vermiglie. Da quella notte di mistero, l’agrifoglio viene offerto, in segno di augurio, alle persone care.

Il dono di Nataledi Grazia Deledda

I cinque fratelli Lobina, tutti pastori, tornavano dai loro ovili, per passare la notte di Natale in famiglia.

Era una festa eccezionale, per loro, quell'anno, perché si fidanzava la loro unica sorella, con un giovane molto ricco.

Come si usa dunque in Sardegna, il fidanzato doveva man-dare un regalo alla sua promessa sposa, e poi andare anche lui a passare la festa con la famiglia di lei.

E i cinque fratelli volevano far corona alla sorella, anche per dimostrare al futuro cognato che se non erano ricchi come lui, in cambio erano forti, sani, uniti fra di loro come un grup-po di guerrieri.

Avevano mandato avanti il fratello più piccolo, Felle, un bel ragazzo di undici anni, dai grandi occhi dolci, vestito di pelli lanose come un piccolo San Giovanni Battista; portava sulle spalle una bisaccia, e dentro la bisaccia un maialetto appena ucciso che doveva servire per la cena.

Il piccolo paese era coperto di neve; le casette nere, addos-sate al monte, parevano disegnate su di un cartone bianco, e la chiesa appariva come uno di quegli edifizi fantastici che disegnano le nuvole.

Tutto era silenzio: gli abitanti sembravano sepolti sotto la neve.

Nella strada che conduceva a casa sua, Felle trovò solo, sulla neve, le impronte di un piede di donna, e si divertì a camminarci sopra. Le impronte cessavano appunto davanti al rozzo cancello di legno del cortile che la sua famiglia pos-sedeva in comune con un'altra famiglia pure di pastori anco-ra più poveri di loro. Dai comignoli delle casupole usciva il fumo, dalle porticine trasparivano fili di luce.

Felle fischiò, per annunziare il suo arrivo: e subito, alla por-ta del vicino si affacciò una ragazzina col viso rosso dal fred-do e gli occhi scintillanti di gioia.

- Ben tornato, Felle.- Oh, Lia! - egli gridò per ricambiarle il saluto, e si avvicinò

alla porticina dalla quale, adesso, con la luce usciva anche il fumo di un grande fuoco acceso nel focolare in mezzo alla cucina.

Intorno al focolare stavano sedute le sorelline di Lia, per tenerle buone la maggiore di esse distribuiva loro qualche chicco di uva passa e cantava una canzoncina d'occasione, cioè una ninnananna per Gesù Bambino.

- Che ci hai, qui? - domandò Lia, toccando la bisaccia di

Felle. - Ah, il porchetto. Anche la serva del fidanzato di tua sorella ha già portato il regalo. Farete grande festa voi, - ag-giunse con una certa invidia; ma poi si riprese e annunziò con gioia maliziosa: - e anche noi!

Invano Felle le domandò che festa era: Lia gli chiuse la por-ta in faccia, ed egli attraversò il cortile per entrare in casa sua.

In casa sua si sentiva davvero odore di festa: odore di torta di miele cotta al forno, e di dolci confezionati con buccie di arance e mandorle tostate.

La sorella, alta e sottile, era già vestita a festa; col corsetto di broccato verde e la gonna nera e rossa: intorno al viso pallido aveva un fazzoletto di seta a fiori; ed anche le sue scarpet-te erano ricamate e col fiocco: pareva insomma una giovane fata, mentre la mamma, tutta vestita di nero per la sua recen-te vedovanza avrebbe potuto ricordare la figura di una strega, senza la grande dolcezza degli occhi che rassomigliavano a quelli di Felle.

Egli intanto traeva dalla bisaccia il porchetto, tutto rosso perché gli avevano tinto la cotenna col suo stesso sangue: e dopo averlo consegnato alla madre volle vedere quello man-dato in dono dal fidanzato. Sì, era più grosso quello del fidan-zato: quasi un maiale; ma questo portato da lui, più tenero e senza grasso, doveva essere più saporito.

- Ma che festa possono fare i nostri vicini, se essi non han-no che un po' di uva passa, mentre noi abbiamo questi due animaloni in casa? E la torta, e i dolci? - pensò Felle con di-sprezzo, ancora indispettito perché Lia, dopo averlo quasi chiamato, gli aveva chiuso la porta in faccia.

Poi arrivarono gli altri fratelli, portando nella cucina le im-pronte dei loro scarponi pieni di neve, e il loro odore di selva-tico. Erano tutti forti, belli, con gli occhi neri e la barba nera.

Quando entrò il fidanzato si alzarono tutti in piedi, accanto alla sorella, come per far davvero una specie di corpo di guar-dia intorno all'esile e delicata figura di lei; e non tanto per riguardo al giovine, che era quasi ancora un ragazzo, buono e timido, quanto per l'uomo che lo accompagnava. Quest'uo-mo era il nonno del fidanzato. Vecchio di oltre ottanta anni, ma ancora dritto e robusto, vestito di panno e di velluto come un gentiluomo medioevale; questo nonno, che in gioventù aveva combattuto per l'indipendenza d'Italia, fece ai cinque fratelli il saluto militare e parve poi passarli in rivista.

E rimasero tutti scambievolmente contenti.Al vecchio fu assegnato il posto migliore, accanto al fuoco; e

allora sul suo petto, fra i bottoni scintillanti del suo giubbone, si vide anche risplendere come un piccolo astro la sua antica medaglia al valore militare. La fidanzata gli versò da bere, poi versò da bere al fidanzato e questi, nel prendere il bicchiere, le mise in mano, di nascosto, una moneta d'oro.

Ella lo ringraziò con gli occhi, poi, di nascosto pure lei, andò a far vedere la moneta alla madre ed a tutti i fratelli, in ordine di età, mentre portava loro il bicchiere colmo.

L'ultimo fu Felle: e Felle tentò di prenderle la moneta, per scherzo e curiosità, s'intende: ma ella chiuse il pugno minac-ciosa: avrebbe meglio ceduto un occhio.

Il vecchio sollevò il bicchiere, augurando salute e gioia a tutti; e tutti risposero in coro.

Poi si misero a discutere in un modo originale: vale a dire cantando. Il vecchio era un bravo poeta estemporaneo, im-provvisava cioè canzoni; ed anche il fratello maggiore della fidanzata sapeva fare altrettanto.

Fra loro due quindi intonarono una gara di ottave, su allegri argomenti d'occasione; e gli altri ascoltavano, facevano coro e applaudivano.

Fuori le campane suonarono, annunziando la messa.

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10 La Rassegna d’Ischia n. 6/2017

Era tempo di cominciare a preparare la cena. La madre, aiutata da Felle, staccò le cosce ai due porchetti e le infilò in tre lunghi spiedi dei quali teneva il manico fermo a terra.

- La quarta la porterai in regalo ai nostri vicini - disse a Fel-le: - anch'essi hanno diritto di godersi la festa.

Tutto contento, Felle prese per la zampa la coscia bella e grassa e uscì nel cortile.

La notte era gelida ma calma, e d'un tratto pareva che il paese tutto si fosse destato, in quel chiarore fantastico di neve, perché, oltre al suono delle campane, si sentivano canti e grida.

Nella casetta del vicino, invece, adesso, tutti tacevano: an-che le bambine ancora accovacciate intorno al focolare pa-reva si fossero addormentate aspettando però ancora, in so-gno, un dono meraviglioso.

All'entrata di Felle si scossero, guardarono la coscia del porchetto che egli scuoteva di qua e di là come un incensiere, ma non parlarono: no, non era quello il regalo che aspetta-vano. Intanto Lia era scesa di corsa dalla cameretta di sopra: prese senza fare complimenti il dono, e alle domande di Felle rispose con impazienza:

- La mamma si sente male: ed il babbo è andato a comprare una bella cosa. Vattene.

Egli rientrò pensieroso a casa sua. Là non c'erano misteri né dolori: tutto era vita, movimento e gioia. Mai un Natale era stato così bello, neppure quando viveva ancora il padre: Felle però si sentiva in fondo un po' triste, pensando alla festa stra-na della casa dei vicini.

Al terzo tocco della messa, il nonno del fidanzato batté il suo bastone sulla pietra del focolare.

- Oh, ragazzi, su, in fila.E tutti si alzarono per andare alla messa. In casa rimase

solo la madre, per badare agli spiedi che girava lentamente accanto al fuoco per far bene arrostire la carne del porchetto.

I figli, dunque, i fidanzati e il nonno, che pareva guidasse la compagnia, andavano in chiesa. La neve attutiva i loro passi: figure imbacuccate sbucavano da tutte le parti, con lanter-ne in mano, destando intorno ombre e chiarori fantastici. Si scambiavano saluti, si batteva alle porte chiuse, per chiamare tutti alla messa.

Felle camminava come in sogno; e non aveva freddo; anzi gli alberi bianchi, intorno alla chiesa, gli sembravano man-dorli fioriti. Si sentiva insomma, sotto le sue vesti lanose, cal-do e felice come un agnellino al sole di maggio: i suoi capel-li, freschi di quell'aria di neve, gli sembravano fatti di erba. Pensava alle cose buone che avrebbe mangiato al ritorno dalla messa, nella sua casa riscaldata, e ricordando che Gesù invece doveva nascere in una fredda stalla, nudo e digiuno, gli veniva voglia di piangere, di coprirlo con le sue vesti, di portarselo a casa sua.

Dentro la chiesa continuava l'illusione della primavera: l'al-tare era tutto adorno di rami di corbezzolo coi frutti rossi, di mirto e di alloro: i ceri brillavano tra le fronde e l'ombra di queste si disegnavano sulle pareti come sui muri di un giar-dino.

In una cappella sorgeva il presepio, con una montagna fatta di sughero e rivestita di musco: i Re Magi scendevano cauti da un sentiero erto, e una cometa d'oro illuminava loro la via.

Tutto era bello, tutto era luce e gioia. I Re potenti scende-vano dai loro troni per portare in dono il loro amore e le loro ricchezze al figlio dei poveri, a Gesù nato in una stalla; gli astri li guidavano; il sangue di Cristo, morto poi per la felicità degli uomini, pioveva sui cespugli e faceva sbocciare le rose; pioveva sugli alberi per far maturare i frutti.

Così la madre aveva insegnato a Felle e così era.

- Gloria, gloria - cantavano i preti sull'altare: e il popolo ri-spondeva:

- Gloria a Dio nel più alto dei cieli.E pace in terra agli uomini di buona volontà.Felle cantava anche lui, e sentiva che questa gioia che gli

riempiva il cuore era il più bel dono che Gesù gli mandava.

All'uscita di chiesa sentì un po' freddo, perché era stato sempre inginocchiato sul pavimento nudo: ma la sua gioia non diminuiva; anzi aumentava. Nel sentire l'odore d'arrosto che usciva dalle case, apriva le narici come un cagnolino affa-mato; e si mise a correre per arrivare in tempo per aiutare la mamma ad apparecchiare per la cena. Ma già tutto era pron-to. La madre aveva steso una tovaglia di lino, per terra, su una stuoia di giunco, e altre stuoie attorno. E, secondo l'uso antico, aveva messo fuori, sotto la tettoia del cortile, un piat-to di carne e un vaso di vino cotto dove galleggiavano fette di buccia d'arancio, perché l'anima del marito, se mai tornava in questo mondo, avesse da sfamarsi.

Felle andò a vedere: collocò il piatto ed il vaso più in alto, sopra un'asse della tettoia, perché i cani randagi non li toc-cassero; poi guardò ancora verso la casa dei vicini. Si vedeva sempre luce alla finestra, ma tutto era silenzio; il padre non doveva essere ancora tornato col suo regalo misterioso.

Felle rientrò in casa, e prese parte attiva alla cena.In mezzo alla mensa sorgeva una piccola torre di focacce

tonde e lucide che parevano d'avorio: ciascuno dei commen-sali ogni tanto si sporgeva in avanti e ne tirava una a sé: anche l'arrosto, tagliato a grosse fette, stava in certi larghi vassoi di legno e di creta: e ognuno si serviva da sé, a sua volontà.

Felle, seduto accanto alla madre, aveva tirato davanti a sé tutto un vassoio per conto suo, e mangiava senza badare più a nulla: attraverso lo scricchiolìo della cotenna abbrustolita del porchetto, i discorsi dei grandi gli parevano lontani, e non lo interessavano più.

Quando poi venne in tavola la torta gialla e calda come il sole, e intorno apparvero i dolci in forma di cuori, di uccelli, di frutta e di fiori, egli si sentì svenire: chiuse gli occhi e si pie-gò sulla spalla della madre. Ella credette che egli piangesse: invece rideva per il piacere.

Ma quando fu sazio e sentì bisogno di muoversi, ripensò ai suoi vicini di casa: che mai accadeva da loro? E il padre era tornato col dono?

Una curiosità invincibile lo spinse ad uscire ancora nel cortile, ad avvicinarsi e spiare. Del resto la porticina era soc-chiusa: dentro la cucina le bambine stavano ancora intorno al focolare ed il padre, arrivato tardi ma sempre in tempo, arrostiva allo spiedo la coscia del porchetto donato dai vicini di casa.

Ma il regalo comprato da lui, dal padre, dov'era?- Vieni avanti, e va su a vedere - gli disse l'uomo, indovinan-

do il pensiero di lui.Felle entrò, salì la scaletta di legno, e nella cameretta su,

vide la madre di Lia assopita nel letto di legno, e Lia inginoc-chiata davanti ad un canestro.

E dentro il canestro, fra pannolini caldi, stava un bambi-no appena nato, un bel bambino rosso, con due riccioli sulle tempie e gli occhi già aperti.

- È il nostro primo fratellino - mormorò Lia. - Mio padre l'ha comprato a mezzanotte precisa, mentre le campane suonavano il "Gloria". Le sue ossa, quindi, non si disgiunge-ranno mai, ed egli le ritroverà intatte, il giorno del Giudizio Universale. Ecco il dono che Gesù ci ha fatto questa notte.

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La Rassegna d’Ischia n. 6/2017 11

Premessa Prende il nome di «Castello d’Ischia» l’intero iso-lotto, di origine trachitica, con il suo Maschio, con le opere di fortificazione che lo recingono, con le nume-rose chiese e conventi e tutti gli altri edifici e terreni in esso esistenti. Da alcuni secoli il Castello è unito all’Isola d’Ischia a mezzo del Ponte Aragonese, costruito da Alfonso d’A-ragona nel 1438. Nei primi anni del quattordicesimo secolo si rifugia-rono nell’isolotto gli abitanti della cittadina d’Ischia, distrutta dalla colata della lava dell’Arso a seguito delle eruzioni del vulcano Epomeo. Da quell’epoca il Castello, col suo borgo fortificato, costituì la Capitale storica dell’Isola d’Ischia.

Il Castello Aragonese di Ischianei secoli della decadenza *

di Raffaele Castagna

* Fonte principale : Il Castello d’Ischia – Un monumento da salvare di Pietro Serra, Quaderno n. 2 edito dall’Accademia Isclano-Prochytense di Cultura e Turismo nell’ottobre 1967.

Numerose sono le pubblicazioni le quali ricordano le origini del Castello d’Ischia e riportano le vicende del suo glorioso passato, che si identifica con la storia dell’Isola. Degna di particolare rilievo è, tra le altre, la monogra-fia di Stanislao Erasmo Mari0tti, pubblicata nel 1915 e commissionata dal Municipio d’Ischia con delibera di giunta del dì 8 giugno 1913 (sindaco Alfonso Perrazzo) con la quale “si conferiva incarico al prof. Stanislao Erasmo Mariotti, Regio Ispettore dei Monumenti, già noto per il suo valore nel campo della Storia e delle Lettere, perché studiasse e riferisse sulla importanza storica del Castello d’Ischia e sulla necessità e possibi-lità di farlo dichiarare Monumento Nazionale”.

L’opera ebbe una seconda edizione nel 1969, nella collana “I quaderni dell’isola Verde” a cura dell’EVI; nuove edizioni si sono avute nei tempi moderni, di cui una a cura de La Rassegna d’Ischia (2000) e corredata anche da altri scritti concernenti il maniero. Cronistoria della decadenza La decadenza del Castello Aragonese di Ischia ebbe inizio con il bombardamento da parte della flotta in-glese nel 1809. Abbandonato dopo la fine della dominazione fran-cese, andò sempre più cadendo in rovina. In buona parte crollati per vetustà e per scosse sismiche i solidi baluardi aragonesi, gli edifici pubblici e privati, le chie-se ed i conventi, vi rimaneva in discrete condizioni di stabilità e di abitabilità la parte più alta, il Maschio, che venne adibito nel 1817 a quartiere dei «veterani». Già nel 1799 bagno penale, nel 1823, dopo l’espro-priazione dei terreni, divenne ergastolo e nel 1851 carcere politico. Fu poi abbandonato nel 1861, dopo la liberazione dei prigionieri di Gaeta, ai pochi abitanti rimasti sull’isolotto. Venne infine, nel 1874, ceduto dal Demanio alla Direzione delle Carceri che ne fece sede della colonia dei coatti ivi confinati per delitti comuni. Ma un voto dei Municipii dell’Isola indusse nel 1890 il Governo ad abolire la colonia e a restituire al Demanio il Castello con tutti i fabbricati ed i terreni, coltivati a vigneto ed a frutteto1.

1 Dal 1823 il Maschio diventa ufficialmente ergastolo e spo-gliato di ogni ricordo dell’antica grandezza, ridotte le sue stanze a tristi e tetri cameroni e riaperti e riattati gli antichi ed orridi sotterranei a prigioni prive di aria e di luce, fu nel febbraio del 1851 prescelto come luogo di pena per alcuni dei più notevoli condannati politici, fra cui, Carlo Poerio, Niccola Nisco, Michele Pironti, Silvio Spaventa e altri, rei di amare intensamente la patria e di volerla libera dalla tirannide bor-

La rocca fulgente (la fulgens arx di De Quintiis), il Castello era frequentato nel '500 da artisti e lette-rati, galanti cavalieri, poeti, eruditi, e pensatori; da donne, tutte principesse, regine o donne di coman-do e di peso politico. Ischia diventa una corte spiri-tuale "fatta di relazioni, di dedica di lavori poetici, di alcune frequenti presenze e di visite, tanto più vero-simili se si evidenziano la facilità con cui ci si sposta-va allora e lo spirito migratore delle genti di lettere e d'armi; e una corte reale, formatasi dietro la spinta di circostanze esteriori avverse (S. Théreaulta).

Nelle sale del Castello, dimora prediletta della no-bile Casa d'Avalos, tenevano corti magnifiche Inigo, Ferrante ed Alfonso d'Avalos, Costanza d'Avalos, Maria d'Aragona e Vittoria Colonna, che qui il 27 dicembre 1509 andò sposa con Francesco Ferran-te d'Avalos, qui si trovava più tardi ad assistere ai trionfi che si tributavano al suo caro, qui trascorse molta parte della sua vita dopo la morte del marito.

a) S. Théreault, Un Cénacle humaniste de la Renaissan-ce autour de Vittoria Colonna châtelaine d'Ischia, Ediz. Sansoni Antiquariato e Librairie M. Didier, Paris 1968)

Alla metà del diciottesimo secolo dimoravano nel Castello ben tremila famiglie, con la guarnigione, il Ve-scovo, il Capitolo e tutto il Clero addetto alle sue dieci Chiese. Nel secolo successivo il Castello d’Ischia decadde in uno stato di completo abbandono.

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12 La Rassegna d’Ischia n. 6/2017

bonica. Nel 1861 furono internati nel Castello i prigionieri di Gaeta e, quando questi furono liberati, il Castello fu del tutto abbandonato alla custodia dei pochi abitanti ivi rimasti. Nel 1874 il Demanio cedette il Castello alla Direzione Generale delle Carceri, che lo adibì a sede della colonia dei coatti ivi relegati per delitti comuni; ma, poiché questa mala genia non mancò, con l’andar del tempo, di suscitare nei pacifici abi-tanti di Ischia e degli altri paesi dell’isola preoccupazioni e sospetti non del tutto ingiustificati, il Ministero degli Interni abolì, nel 1890, la colonia dei coatti, restituendo al Demanio il Castello con tutti i fabbricati e all’Orfanatrofio Militare tut-

Veduta dello scoglio del Castello da Ischia Ponte (Foto di Bruno Stefani)

Il bagno penale di IschiaNiccola Nisco - Storia del Reame di Napoli dal 1824 al 1860, 1908

Eravamo da una settimana a Nisida fra condannati per delitti comuni ed una miriade d’insetti giganti nella loro specie, allor-ché l’illustre statista, sir W. Gladstone, che oggidì governa la Gran Bretagna, fattosi compagno di una giovinetta napoletana, plebea di nascita e nobilissima di animo e di costumi, Pasqualina Proto, la quale aveva a Nisida un fratello pure condannato per politica, entrava inosservato nel bagno. Ivi, senza alcun sospetto della polizia e dei guardiani, avemmo col Gladstone man mano schietto colloquio. Quello che più lo colpì fu la nostra calma : uniformemente gli fu data da noi preghiera di non occuparsi delle nostre povere persone, ma della libertà del paese. Da questa generosa visita, da noi non attesa, ne riportammo gravissima pena. Saputasi dal re, per informazioni della polizia di palazzo, il Fortunato ed il Peccheneda furono subitamente chiamati a Caserta. Questi, per calmare i regii sdegni, consigliarono di metterci fuori ogni comunicazione col mondo, e fra gente che avrebbe fatto di noi la giustizia che la corte non aveva saputo fare. Il re, cotale consiglio accettando, ordi¬nava di mandarci nel bagno d’Ischia, stabilito nelle sepolture e nei sotterranei di una distrutta cattedrale, che stava a pié del castello, edificato al tempo della guerra dei Baroni, a cavaliere di una gran massa di trachite adiacente alla città, da cui l’isola prende il nome. Questo bagno era detto di gastigo; che v’erano rinchiusi i più famosi camorristi di tutte le galere ed i galeotti più lordi di nefandi vizii.Fu questo il luogo da re Ferdinando prescelto a nostra dimora. Non le carceri, le condanne, i ferri chiodati sulle nostre persone ci offesero: eravamo stati vinti, avvegnaché battaglieri di santa causa, né attendevamo generosità e giustizia da colui che ma-nometteva ogni legge; ma il cacciarci fra tanta corrotta gente fu l’oltraggio che ogni uomo onesto di qualsiasi partito non può non valutare. All’alba adunque del 1° Marzo 1851 Poerio, Pironti, Braico, Dono, Errichiello ed io fummo dal bagno di Nisida trasportati in quello d’Ischia. All’entrare nell’orrida ed oscura caverna, sormontata da una scolta munita di bombe a mano, per lanciarle fra i condannati in caso di tumulto, il comandante, certo Del Giudice, ci disse: «Da qui escono due o tre morti alla settimana, guardatevi le pance dalle coltellate». Le previsioni di Ferdinando II, dei suoi ministri e del comandante del bagno non si verificarono. In tutto quell’anno, che noi sei vi restammo, dormendo su giacigli distesi sul nudo basalto a lato di ladri, assassini, incendiarii, non vi fu una rissa, non un disordine. Quegli sciagurati sentivano per noi, più che rispetto, venerazione. Quanti eran costoro, rappresentanti dell’ultima degradazione dell’umanità, migliori di quelli che si arrogavano il diritto di governare!

«Fra le antiche e poche carte che si conservano nell’archivio municipale di Ischia — scrive nella sua monografia, ormai rara, Stanislao Erasmo Mariotti2 — abbiamo potuto leggerne alcune che attestano lo stato deplorevole di cui già fin d’allora si trovavano gli edifici tutti (del Castello)». Il Sottointendente del Distretto

to il territorio coltivato, principalmente, a frutta ed a vigneto (Mariotti, il Castello d’Ischia).2 Mariotti, Stanislao Erasmo: «Il Castello d’Ischia», Portici, Stab. Tip. Ernesto Della Torre, 1915, pp. 47, in 16°.

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La Rassegna d’Ischia n. 6/2017 13

di Pozzuoli, duca di Cutrofiano, scriveva, difatti, il 23 maggio 1818 al Sindaco di Ischia che «essendo le case e i giardini attaccati alla strada nel Castello d’Ischia, e giusta quella, che porta sopra il Maschio, pericolanti, bisogna far ordine ai proprietari di procedere, entro l’improrogabile termine di ventiquattr’ore, alla demo-lizione delle case cadenti. Ove non ubbidiscano, allora vi conferirete sulla faccia del luogo coll’architetto Don Benedetto Iovine ed eseguirete le demolizioni». L’ar-chitetto Iovine, in una sua nota al Sindaco aggiungeva: «Si devono demolire tutte quelle fabbriche cadenti, che non si conoscono li padroni e che vi sono alcune porzioni all’impiedi e che sono di gran pericolo e sono tutte quelle, che sono da sotto al cortile del Vescovato fino alla sarracina». Anche i terreni che circondano il Castello dovevano essere fin d’allora in istato di abbandono se nel 1826 tale Ciro Milano offriva, per il loro affitto, «li primi anni tre: ducati trenta l’anno,... essendo ridotti detti giardini — come si legge nel documento qui appres-so integralmente trascritto — tutti in pessimo stato, e tutti devastati, cui vi occorre molta spesa...»:

A S.E.a

Il Sig.re D. Fran.co M.a IanchiCav.re Colonello del Genio, e Comand.te

dell’ Isola d’Ischia

Ciro Milano del Commune d’Ischia, avendo preinteso che si affittano tutti li giardini esistentino in questo R. Castello; e volendoci applicare, così offre li primi anni tre ducati trenta l’anno, e li secondi anni sei ducati cinquanta annui, essendo ridotti detti giardini tutti in pessimo stato, e tutti devastati, cui vi occorre molta spesa, rimettendosi a tutti li patti, e condizioni, che verranno stabiliti dall’Orfanotrofio Militare di Napo-li, riserbandosi però le modifiche che forse vi potran-no essere. E ricorrenze, ed a condizione, che se mai passasse tutto il mese di Febbraio, e detto affitto non si effettuasse, in tal caso la presente offerta s’intende non fatta, che passa il tempo di potervi più coltivare, e così offre, e non altrimenti. - Ischia trenta Gennaio 1826.

Né molto di più potette ottenere la «Giunta Generale de’ Contratti Militari» che aggiudicò provvisoriamente i terreni a tale Rosario Vallinoto «per l’annuo estaglio offerto di ducati cinquantacinque».

Nell’avviso d’asta del 6 maggio 1826, qui riprodotto (pagina 14), è indicata l’estensione in «passi quadri» e le specie di coltura dei terreni

*** L’eccessivo frazionamento dei terreni, dovuto oltre che alla caratteristica natura dell’impervio isolotto, al numero degli antichi proprietari, deve essere stata una delle principali cause del loro progressivo decadimen-to. Sarà interessante notare, però, che nonostante tale decadimento, nel 1862, «nove pezzi di terreno dipen-denti dal Forte d’Ischia» comprendevano, tra l’altro, come risulta dal seguente processo verbale «indicante la consegna e possesso preso da Antuono Agnese», ben 1972 viti, 318 fichi, 142 alberi di «granate», 137 alberi di «pèrsiche»:

Comando militare dell’isola d’IschiaProcesso verbale indicante la consegna e possesso

preso da Antuono Agnese di nove pezzi di terreno siti nel Forte d’Ischia.

L’anno Milleottocentosessantadue, il giorno primo del mese di Novembre. Io Capitano Sig.r Pasquale Wenzel Comandante Militare della Piazza ed Isola suddetta, e Reggente la Commissaria di Guerra - Vi-sto l’autorevole Ufficio del Sig.r Direttore dell’Orfano-trofio Militare del 7. Novembre scorso, Ia Sezione, n. 3481, col quale prescrive di doversi mettere in posses-so il nominato Antuono Agnese di tutti i pezzi di terre-no dipendenti dal Forte d’Ischia, pertinenti all’Ammi-nistrazione dell’Orfanotrofio Militare; mi sono recato nel Forte anzidetto, ove ho trovato il detto Agnese, nonché il di lui consocio ed obbligato solidale Sig.r Pietro Migliaccio, ed un perito di agricoltura, ed es-sendosi numerate tutte le piante ne’ precitati pezzi di terreno, si sono rinvenuti come qui appresso vengono rispettivamente indicate, facendone la consegna ai suindicati Antuono Agnese, e Sig.r Pietro Migliaccio.

Descrizione Perita

Indicazione del pezzo di terreno Dettaglio delle piante Numero delle piante

Viti duecentottantatre 283 Fichi diciotto 18 Giardino del fu De Gennaro Granate dieci 10 Grandinetti Persiche trenta 30 Sorbe tre 3 Limoni due 2

Viti ottantaquattro 84 Giardino dei signori D'Oro Fichi novantasette 97 Granate quarantuno 41 Olive otto 8

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14 La Rassegna d’Ischia n. 6/2017

Giunta generale de’ contratti militariAffiso al pubblico

Lo affitto per sei anni de’ seguenti terreni dell’antica Città d’Ischia, attribuiti al Ramo di Guerra, ed a pro-fitto dell’Amministrazione dell’Orfanotrofio Militare essendo rimast’aggiudicata alla Candela provvisoria al Signor Rosario Vallinoto per l’annuo estaglio offerto di ducati cinquanantacinque, cioè : Terreno pendioso per uso di pascolo di passi quadri n. 70Vigneto di passi quadri » 412Idem idem idem » 198Terreno seminatorio idem » 34Vigneto di passi quadri » 410Idem idem idem » 751Oliveto idem idem » 160Vigneto idem idem » 115Idem idem idem » 108Idem idem idem » 178Vigneto ricavato da una diruta casa che fa parte del Vigneto di Camilla Farese di canne quadrate n. 38Idem idem idem » 48Terra seminatoria di passi quadri » 116Oliveto di passi quadri » 52Vigneto di passi idem » 108Idem idem idem » 396Idem. idem idem » 1117Giardino idem idem » 124Vigneto di due pezzi che fanno passi quadrati » 572Giardino incolto di passi quadrati » 43 Degli antichi possessori eredi Aprea

Idem Calosirti.Idem.D. Scipione d’Oro.Idem D. Gaetano di Vico.Idem idem.

Idem D. Pasquale, e D. Vincenzo Mela.IdemIdemD. Gertrude Scotti

Camilla Farese, alias Zerolella.D. Vincenzo Scotti. Marchese Lanfresehi. Eddomadarj. della Cattedrale d’Ischia.

Idem D. Gaetano de Vico D. Scipione ci’ Oro,

Idem.Idem.

D. Chiara de Laurentis. Maria Rosa Scotti,

Il Pubblico è prevenuto che la candela definitiva avrà luogo il giorno 20 dell’andante, alle ore 11 antimeridiane. Chiunque vorrà concorrere a tale licitazione potrà presentarsi nel giorno suddetto nella Sala delle sedute or-dinarie di detta Giunta Generale, sita nel soppresso Convento di S. Maria degli Angioli a Pizzofalcone, ove potrà prendersi conoscenza delle condizioni del contratto; nell’intelligenza che i licitatori dovranno essere provveduti di una cauzione equivalente ad un’annata dell’estaglio de’ cennati fondi, senza di che non saranno ammessi alla Sub-Asta, e che il Contratto non sarà valido senza la Ministeriale approvazione. - Napoli lì 6. Maggio 1826

Il Segretario interino della Giunta Il Presidente della GiuntaVINCENZO ALVINO Maresciallo di Campo

De’ Medici.

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La Rassegna d’Ischia n. 6/2017 15

Persiche diciannive 19 Celsi uno 1 Limone tre 3 Giardino dei Signori D'Oro Prugne quattro 4 Aranci amari uno 1 Cotogne due 2 Nocelle uno 1 Viti venti 20 Fichi tre 3 Granate due 2 Giardino dei Signori Vico Persiche quattro 4 Limone tre 3 Prugne otto 8 Portogalli nove 9 Idem amari tre 3 Pera uno 1 Viti quattrocentonovantotto 498 Fichi ottantadue 82 Granate sette 7 Olive undici 11 Giardino dei Signori Mele Persiche quaranta 40 Celsi due 2 Carrubbe uno 1 Prugne sette 7 Portogalli amari uno 1

Viti quattordici 14 Fichi ventisette 27 Granati venti 20 Persiche undici 11 Giardino di Camilla Farese Celsi due 2 Carrubbe una 1 Prugne uno 1

Viti centottantaquattro 184 Fichi quarantadue 42 Granati sessanta 60 Olive sette 7 Persiche tredici 13 Carrubbe tre 3 Giardino dei signori Calosirti Sorbe una 1 Limone tre 3 Prugne otto 8 Portogalli tre 3 Pera uno 1 Cotogne uno 1 Mortella uno 1 Crisomola uno 1

Viti trentasei 36 Fichi quatro 4 Olive uno 1

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16 La Rassegna d’Ischia n. 6/2017

Fatto e chiuso il presente verbale oggi giorno, mese, ed anno come sopra.

L’Affittatore che à ricevuto la consegna ANTUONO AGNESE

Il Consocio ed obbligato solidale PIETRO MIGLIACCIO Il Comandante Militare

Reggente la Commissaria di Guerra P. WENZEL

*** Nel 1911 una buona parte dei terreni produttivi che circondavano il Castello, secondo la descrizione risul-tante da certificato dell’Ufficio delle Imposte di Ischia in data 14 giugno 1911, a firma del Ragioniere Capo Buttari, era ormai incolta (superficie calcolata in are):

con primo decimo all’aggiudicazione. L’atto di aggiu-dicazione, recante il n. 1748 di repertorio, fu succes-sivamente approvato con D.M. 27-6-1912, n. 62865, registrato all’Ufficio Atti Pubblici di Napoli il 2-12-1912 al n. 3795, trascritto nella Conservatoria dei Registri Immobiliari di Napoli, Rep. 221/39, sotto il titolo 4058 del 3-8-1917. La descrizione degli immobili e le condizioni speciali dettate «in riguardo all’antichità dei fabbricati ed ai ricordi storici che vi sono annessi» risultano dal testo del capitolato che si trascrive integralmente :

Amministrazione del Demanio pubblico e patrimoniale

Vendita dei beni immobili patrimoniali dello Stato

Processo verbale d’incanto a schede segrete Comune di Ischia Lotto unico n. 181

Anno 1912 - 8/6

Parte I

I fabbricati costituenti il lotto sono situati sullo sco-glio che dal Castello che ad esso sovrasta prende il nome di Castello d’Ischia. Detti fabbricati sono collegati da una ripida mulat-tiera, che, partendo dal ponte in muratura che unisce lo scoglio al resto dell’Isola, arriva svolgendosi tortuo-samente alla sommità dove sorge il fabbricato più im-portante e cioè il Castello. Essi coprono la superficie complessiva di are 118,96 e sono individuati nel nuovo catasto coi n.ri 2, 11, 13, 14, 15, 17, 18, 19, 21, 27, foglio XII e nel vigente catasto urbano al n. 640 come segue :

L’8 giugno 1912 l’Amministrazione del Demanio met-teva all’asta, a trattativa privata, tutti i fabbricati co-stituenti il lotto unico n. 181, «situati sullo scoglio che dal Castello che ad esso sovrasta prende il nome di Castello d’Ischia». L’unica offerta, per la somma di lire 25.000, che era il prezzo-base d’asta, risultò al secondo incanto quella dell’Avv. Nicola Ernesto Mattera, il qua-le si obbligava a versare l’importo in 10 rate annuali,

Persiche due 2 Limone sette 7 Giardino di Gertrude Scoti Portogalli uno 1 idem amari due 2

Viti quattrocentocinqunatatre 453 Fichi dieci 10 Sopra al Bagno Granata due 2 Persiche sette 7 Celsi due 2 Fichi d'India due 2

Viti quattrocento 400 Fichi trenta due 32 Olive uno 1 Sotto al Bagno Persiche undici 11 Celsi nove 9 Fichi d'India ventotto 28

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La Rassegna d’Ischia n. 6/2017 17

Corpo di guardia terr. 2 Rendita imponibile L. 19,50Cucina 5 ” ” 79,50 ” 17 » » --Magazzini 3 ” » 39,75Infermeria 3 » 3

Terranei 16 » » 399,75 1a 9 2a 6Bagno t. 6 » 1° 2Castello t. 7 » ammezzati 26 » » 849,75 » 1° p. 19 » 2° p. 12Corpo di guardia t. 3 » » 30,00 » ammezzati 3Totale vani 136 Rendita imponibile L. 1.437,75

L’asta sarà aperta al prezzo di L. 25.000,

Parte IICondizioni generali

Oltre alle varie condizioni generali e speciali conte-nute nel presente capitolato, la vendita sarà pure re-golata da tutte le altre norme e condizioni, e produrrà tutti gli effetti, risultanti dalla Legge 24-12-1908, n. 783 e dal Regolamento approvato con R. D. 17-6-1909, n. 454, come se l’una e l’altro facessero integralmente parte del presente capitolato.

Parte IIICondizioni speciali

I fabbricati costituenti il presente lotto sono tutti quelli esistenti sullo scoglio del Castello d’Ischia colle-gati dalla rapida mulattiera che lo attraversa e che qui sommariamente si descrivono: II fabbricato principale è il così detto Maschio al mappale 2 fol. XII del nuovo catasto costituito da pia-no terreno, primo, secondo e terzo piano, con rispet-tivamente 9, 26, 19, 21 vani. E’ da notarsi però che gli ambienti del pianterreno sono da ridursi ad 8 in segui-to all’impianto del nuovo faro. Il fabbricato col mappale n. 11 fol. XII composto di 6 locali al pianterreno e 2 al primo piano è quello dell’an-tico bagno. Il fabbricato n. 14 fol. XII costituito in parte dalle rovine di una antica Chiesa ed in parte da casa colo-nica di tre piani con 8 vani ciascuno abitati da coloni dell’Orfanotrofio Militare. Il fabbricato n. 15 fol. XII è l’antica batteria del molo con 5 locali al pianterreno. Il fabbricato n. 13 fol. XII è il vecchio bastione nel quale si trovano tre vani piccoli con poca luce. I numeri mappali 19 e 27 fol. XII sono due chiese, di

cui quella n. 19 è completamente diruta, e quella n. 27 è invece discretamente conservata. I numeri 17, 18, 21 fol. XII non sono ormai che rovine di vecchi fabbricati rurali. I prescritti fabbricati nel vigente catasto urbano sono inscritti col n. 640 e con altri cespiti di reddito senza numero con l’imponibile complessivo di L. 1.437,75. In riguardo all’antichità dei fabbricati in parola ed ai ricordi storici che vi sono annessi l’acquirente dovrà sottostare ai seguenti obblighi: 1) Rispettare le opere di fortificazioni del Castello che lo cingono. 2) Restaurare e ridurre ad abitazioni solamente i fab-bricati superstiti, rispettando per essi l’attuale altezza. 3) Astenersi da qualsiasi decorazione nelle parti este-riori di tutti i fabbricati. 4) Rispettare le tre chiese nello stato in cui rinven-gonsi. Per la strada mulattiera che dà accesso al Castello dovrà essere lasciato libero il transito ai funzionari del Genio Civile e del Ministero della Marina per il servizio del faro che dovrà essere installato sulla terrazza stessa a nord-est del Castello. Detta terrazza, con un piccolo ambiente ed altro maggiore da ricavarsi dall’androne d’accesso del Ca-stello, non forma, quindi, parte del presente lotto, ma resta di proprietà del Demanio dello Stato. Qualora all’atto della stipulazione del contratto di compravendita, il suddetto faro e le opere accessorie non fossero ancora costruite, dovrà l’acquirente per-mettere la costruzione delle stesse, l’apertura di un vano di porta nel muro Sud-ovest per rendere l’ingres-so del Castello del tutto disimpegnato e distinto da quello dei locali per servizio del faro, i quali restano dal Castello in parola, separati dalla corte interna, l’aper-tura di due vani di finestra per dar luce agli ambienti stessi; la costruzione di uno stanzino da cesso nella

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18 La Rassegna d’Ischia n. 6/2017

zona adiacente allo stesso muro, nonché quelle minori opere accessorie al buon funzionamento del faro. L’acquirente dovrà versare l’intero prezzo d’acquisto o le rate del prezzo direttamente alla Sezione della Re-gia Tesoreria di Napoli. Potrà interessare qualche ricercatore di notizie curio-se il fatto che, nel descrivere i beni oggetto della com-pravendita, il perito faceva notare i vantaggi che gli af-fittuari dei terreni ricavavano « sia per la coltivazione sui ruderi dei vecchi fabbricati dei chiàpperi, sia per il commercio dei conigli che allevavano abbondante-mente nelle vecchie fabbriche del Castello (!)». Il 20 ottobre 1913, con istrumento per il Notaro Pao-lo Martone, trascritto nella Conservatoria dei Registri immobiliari di Napoli al n. 15239, Vol. Gen. 302, del 22-10-1913, l’Amministrazione dell’Orfanotrofio Mili-tare di Napoli vendeva, per la somma di lire 18.000, prezzo-base d’asta, allo stesso acquirente del Castello, Avv. Nicola Ernesto Mattera, i «terreni tutti circostan-ti il Castello d’Ischia ed altri racchiusi dalle fabbriche ed infine altri circostanti le fabbriche medesime in modo da formare un insieme unico», per complessivi mq. 42.795.Nell’istrumento di compravendita i terreni sono così descritti:

«Il primo appezzamento riportato al n. di mappa 3 per una superficie di metri quadrati 1454 è di forma trapezoidale e confina da oriente col Castello o Ma-schio, a nord con la roccia che scende a picco sul mare e nei restanti lati con gli altri terreni a dirsi riportati ai n. di mappa 20, 25. Il secondo appezzamento, indicato al n. di mappa 5 per una estensione di metri quadrati 846 è circondato dalle antiche fabbriche della batteria del Molo, del pa-diglione di S. Francesco e della Chiesa e si stende verso ovest sino al muraglione di cinta dello Scoglio. Tale ap-pezzamento è quasi per la totalità incolto. Il terzo appezzamento, riportato in catasto al n. di mappa 10 per una estensione di metri quadrati 769, di natura vigneto frutteto, confina ad ovest con i ru-deri di un convento e negli altri lati con i terreni di-stinti coi n. di mappa 16, 33, 24. Detto appezzamento per la sua speciale ubicazione, di forma quasi quadra-ta, doveva costituire l’antico giardino di un chiostro. Il quarto appezzamento, coltivato a vigneto, riporta-to in catasto per una superficie di metri quadrati 3304 al n. di mappa 16, confina a sud con la strada di accesso al Castello e negli altri lati col suindicato terzo appezza-mento e con quello a dirsi in seguito. Il quinto appezzamento, che è quello di maggiore estensione, trovasi iscritto in catasto col n. di mappa 20 per una superficie di metri quadrati 33.105, di na-tura vigneto, frutteto, ortitizio, e confina ad oriente, ad occidente ed a mezzogiorno col muraglione di cinta ed a settentrione con la strada di accesso al Castello. Il sesto appezzamento, riportato al n. di mappa 24, di superficie metri quadrati 2.045, in massima parte incolto, confina a sud ed a ovest con le fabbriche del

Castello ed a nord con la roccia quasi a picco sul mare e finalmente nel lato est con i terreni già descritti. Il settimo ed ottavo appezzamento sono costituiti da piccole zone di terreno incolto, e limitati ad est dal su-indicato sesto appezzamento. Sono riportati in catasto ai numeri di mappa 23, 25 per una superficie il 7° di metri quadrati 440 e l’8° di metri quadrati 468. Il nono appezzamento è riportato nel catasto al n. di mappa 26, di natura incolto e di superficie metri qua-drati 364, confina ad est ed a sud con la strada di acces-so e ad ovest col mare. Sono annessi ai menzionati terreni un ampio cellaio con chiusura in legno nel vano d’ingresso, una piccola vasca o cisterna di fronte al cellaio ed un ampio pal-mento in mediocre stato per gli usi rurali. Tutti i terreni summenzionati con gli annessi comodi rurali sono tenuti in fitto dai Sig.ri Luca e Giovan Giu-seppe Iacono fu Pietro di Barano d’Ischia giusto con-tratto di locazione del 22 giugno 1904 per la durata di anni nove fino all’ottobre 1913. Detti terreni sono riportati nel catasto terreni del Comune d’Ischia in testa all’Orfanotrofio Militare di Napoli per godimento perpetuo3 ed al Demanio dello Stato alla partita n. 1096.

Il destino del Castello era stato profetizzato dallo storico isolano Giuseppe d’Ascia che nella sua opera (1868) così concludeva circa il monumento- «...Delle sue chiese, antico episcopio e cattedrale, altra rovi-nò, altra lesionò, altra rimase all’impiedi per ricettar pipistrelli e lucertole… Oggi non rappresenta questo Castello più nulla. E’ uno scoglio abbandonato, in po-tere del regio demanio che un giorno o l’altro l’espor-rà in vendita. Così han fine le illustri opere sia per arte che per avvenimenti, o adeguate al suolo per vetustà e per rabbia di conquistatori, o per flagelli fisici, ovvero distratte, abbandonate, o tramutate per ignavia, inte-resse, o inutilità acquisita». Circa le varie destinazioni che si sarebbero volute dare al Castello sarà interessante per il curioso appren-dere che il d’Ascia proponeva di farne «un quartiere di abitazione dei poveri» e che tale Eloisa Nacciarone, con domanda del 4 giugno 1899, offriva al Demanio la somma di L. 8.000 per acquistarlo e destinarlo a «casa di salute per tubercolotici» (!).

L’azione per la salvaguardia Oggi l’antico forte aragonese, meta frequentatissima di turisti e di studiosi, va in rovina. E’ solo in minima parte abitato e vi «si fittano camere mobiliate a L. 600 al giorno» (!) come è scritto in un prospetto — «da re-stituire dopo la visita» — che viene fornito unitamente al biglietto d’ingresso. Se la questione, però, della sua salvaguardia è tutto-ra insoluta, non si può sostenere che ciò sia dovuto a

3 Per effetto del Regio Decreto 1° gennaio 1819 e del relati-vo Regolamento 22 maggio 1820.

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La Rassegna d’Ischia n. 6/2017 19

disinteresse delle Autorità dell’Isola. Dalla documen-tazione da noi raccolta risulta, difatti, che, all’epoca della vendita, il Sindaco Marco Mazzella indirizzò al Soprintendente dell’Orfanotrofio Militare la seguente lettera, recante la data del 26-11-1915 ed il numero di protocollo 3563 del Municipio di Ischia: «A quest’Amministrazione è giunta notizia che i giardini adiacenti allo storico Castello di que-sta Città siano stati venduti all’Avv. Sig. Ernesto Mattera, il quale ieri tentava di suicidarsi4. Poi-ché la notizia di detta vendita ha destato un senso di profondo stupore, nulla essendo venuto a cognizio-ne (sic!) di chicchesìa, e importando a quest’Ammi-nistrazione la conservazione del patrimonio storico del Comune che non ne avrebbe mai permesso la tra-slazione ad altri, prego la bontà della S. V. Ill.ma di significarmi quanto ci sia di vero in tutto ciò e a che punto stiano le cose, per norma». In quella circostanza, la stessa Amministrazione pa-trocinò la stampa, nel 1915, del saggio storico di Stani-slao Erasmo Mariotti: «Il Castello d’Ischia5». L’opera del Mariotti contribuì a far sottoporre il Castello al vin-colo della Legge 20-6-1909, n. 364. L’enorme importanza della valorizzazione dei castelli storici cominciò, però, a palesarsi solo con il verificarsi di quel grande fenomeno politico che è il turismo. Nel-la seduta del 30 dicembre 1955, difatti, il Consiglio Co-munale di Ischia, approvava all’unanimità la proposta del Sindaco Vincenzo Telese, pioniere dello sviluppo turistico-economico dell’Isola, di «invocare l’interven-to del Ministero della Pubblica Istruzione, della So-vrintendenza ai Monumenti della Campania e della Cassa per il Mezzogiorno, affinché i resti del Castello vengano restaurati onde evitare il crollo totale», non-ché di «intervenire presso l’attuale proprietario Avv. Mattera, affinché acceda alla vendita in favore di pro-babili acquirenti i quali fossero disposti a far sorgere sul più insigne monumento storico Isolano un centro turistico di fama mondiale e ciò per la posizione ve-ramente impareggiabile e per i gloriosi ricordi di sto-ria, d’arte e d’amore che i secoli hanno tramandato ai tempi nostri e che è doveroso conservare degnamente

4 Il quotidiano «Roma», pubblicato a Napoli il 26 novem-bre 1915, nel dare notizia del tentato suicidio mediante un colpo di rivoltella alla tempia, ne indicava le probabili cause: «Il Mattera era un innamorato appassionatissimo del suo dominio, che comprendeva fra antichità, alcune delle quali monumenti nazionali, le prigioni in cui stettero Poerio e e tanti altri martiri della tirannide borbonica. Per lunghi mesi dell’anno vi si relegava addirittura, contentandosi di abitare una vecchia e cadente casa a mezza costa dell’isolotto. Per tradurre in realtà il suo progetto egli aveva in questi quattro anni speso moltissimo. Ma erano stati lavori tutt’altro che di abbellimento, perché, specie gli edifizi dipendenti dal Castel-lo, quali chiese, conventi ed altri fabbricati, per il lungo ab-bandono cadevano in rovina.Ora, in quest’ultimo periodo, numerosi obblighi erano venuti a scadere. Ad alcuni aveva potuto far fronte subito. Per altri, si crede, non aveva il danaro occorrente».5 Vedi nota n. 1.

in questa era di rinascita Isolana6». Il Consiglio Co-munale affidava, quindi, al Sindaco Telese il mandato di svolgere l’azione necessaria.

Solo il 14 gennaio 1960, con alcune interrogazioni parlamentari, si iniziò la procedura di esproprio dopo l’approvazione del progetto esecutivo dei lavori neces-sari e la dichiarazione di pubblica utilità dell’opera ed il parere favorevole della Commissione Provinciale per la tutela delle bellezze naturali e panoramiche. Il Ministero della Pubblica Istruzione, con succes-sivo provvedimento del 24 febbraio 1960, dichiarava la urgenza e la indifferibilità dei lavori. Con decreto prefettizio in data 26-3-1960, veniva pertanto accolta la domanda della Soprintendenza ai Monumenti in-tesa ad ottenere il provvedimento di occupazione di urgenza delle aree occorrenti per la restaurazione del monumentale complesso, soggetto alla Legge 1° giu-gno 1939, n. 1089, «stante l’opportunità di assicurare allo Stato il Castello, con annessi terreni, monumenti e resti delle civiltà antiche». In data 5 aprile 1960 veniva reso noto, secondo le prescritte modalità, l’effettuato deposito nel Comune di Ischia del piano particolareggiato di esecuzione dei lavori e dell’elenco delle indennità espropriative offer-te dallo Stato. Con ricorso, però, al Consiglio di Stato, notificato al Sindaco Telese in data 29-4-1960, il proprietario, rap-presentato e difeso dall’Avv. Ugo Ardizzone di Roma, richiedeva l’annullamento, previa sospensione, del D.M. 24-2-1960, concernente la dichiarazione di ur-genza ed indifferibilità dei lavori, per i seguenti motivi: «Inesistenza dei presupposti della indifferibilità ed urgenza. Mancata dimostrazione di essi. Contraddi-zione tra il comportamento dimostrato con la vendita del bene ed il disinteresse per esso durante mezzo se-colo circa e la dichiarazione di urgenza ed indifferi-bilità. Violazione e falsa applicazione dell’art. 39 del R.D. 8-2-1923, n. 422. Incompetenza. Eccesso di pote-re, Sviamento». Con altro ricorso in pari data, il proprietario richie-deva poi l’annullamento del D.M. 14-1-1960, concer-nente la dichiarazione di pubblica utilità, per: «Inesi-stenza dei presupposti richiesti dall’art. 54 della Leg-ge 1-6-1939, n. 1089. Estensione della dichiarazione di pubblica utilità a terreni che non sono immobili di valore storico o artistico. Inesistenza della necessità della espropriazione. Contraddittorietà tra il com-portamento dell’Amministrazione manifestato con la vendita dell’immobile e la mancata notificazione del vincolo e la dichiarazione di pubblica utilità. Violazio-ne e falsa applicazione dell’art. 13 della Legge 23-6-1865, n. 2359 e inapplicabilità dell’articolo predetto al caso di specie. Inesistenza di obbligo di manutenzio-ne, ricostruzione e restauro, avendo lo Stato venduto rovine con l’obbligo di non toccarle dallo stato in cui erano. Incoerenza e irrazionalità, avendo il ricorren-

6 N. 45 del Registro delle Deliberazioni.

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Le rovine dell'antica roccaforte viste dall'alto; in secondo piano il Maschio (Foto Laboratorio Accademia Aeronautica)

te adempiuto a tutti gli obblighi impostigli. Mancata osservanza degli artt. 4 e 5 della Legge 23-6-1865, n. 2359. Violazione e falsa applicazione dell’art. 67 del R.D. 30-1-1913, n. 563. Eccesso di potere. Sviamento di potere». La vertenza instauratasi a seguito di tali ricorsi in-terruppe l’azione intrapresa dal Comune. A distanza di un anno il Consiglio di Stato non si era pronunciato sul merito. Una raccolta di firme promossa dal pitto-re ischitano Federico De Angelis e le ripetute interro-gazioni al Ministro della Pubblica Istruzione di alcuni parlamentari, tra cui l’On.le Avv. Stefano Riccio, non valsero a che il supremo consesso della giustizia ammi-nistrativa si pronunciasse. Accogliendo il voto dell’Accademia Isclano-Pro-chytense, l’On.le Stefano Riccio riproponeva, in data 21 maggio 1964, la interrogazione al Ministro per co-noscere «quali provvedimenti intenda adottare per il Castello Aragonese d’Ischia, anche indipendentemen-te dalla procedura di esproprio iniziata con il decre-to di dichiarazione di pubblica utilità del 14 gennaio 1960, per assicurare quei lavori urgenti di conserva-zione e di restauro che la necessità impone ad evitare la distruzione dell’ingente patrimonio storico; e se, comunque, intenda insistere nella espropriazione, re-clamata dall’interesse pubblico storico-artistico» (n.

6421 - Resoconto della Camera dei Deputati). Il Ministro Gui così rispondeva alla interrogazione: «Il Ministero ha ben presente il problema concernen-te la sistemazione del Castello d’Ischia e, per trovare una concreta soluzione definitiva, che solo si potreb-be conseguire con l’acquisizione allo Stato dell’intero complesso, ha, come è noto all’On.le Interrogante, iniziato la procedura di esproprio, sulla quale si è, però, instaurata una situazione contenziosa tuttora in corso di espletamento. Peraltro, pur confidando in una sollecita e favorevole definizione della vertenza, il Ministero non ha mancato di considerare le condi-zioni di conservazione del complesso immobiliare. Per studiare i possibili concreti provvedimenti di tutela, ai sensi e per gli effetti della Legge 1-6-1939, n. 1089, è stato, infatti, interessato il Soprintendente ai Monu-menti di Napoli, affinché predisponga un preventivo di massima dei lavori di carattere conservativo ne-cessari all’immobile, che consenta all’Amministrazio-ne di conoscere l’importo della spesa del restauro e di studiare i provvedimenti più opportuni per fronteg-giare, sia pure gradualmente, le più urgenti esigenze del monumento». Interpretando i sentimenti di numerosi cittadini, di artisti e di studiosi, e confortata dall’appoggio del Gr. Uff. Vincenzo Telese, all’epoca Sindaco di Ischia, l’Ac-

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La Rassegna d’Ischia n. 6/2017 21

cademia Isclano-Prochytense, in data 6 giugno 1964, indirizzava una petizione al Ministro affinché, «av-valendosi dei disposti di cui alla provvidenziale Leg-ge 1-6-1939, n. 1089, salvi quello che ancora vi è da salvare e ponga, con un felice e opportuno restauro, la premessa indispensabile ad una maggiore valoriz-zazione non solo dei valori culturali e spirituali, ma anche di quelli turistici cui l’Isola d’Ischia deve, e sem-pre di più dovrà, per naturale destino, non solo il suo benessere ma la stessa vita».

Per la petizione venne effettuata una raccolta di firme in occasione di una conferenza, tenuta, al Circolo della Stampa di Napoli ed al Circolo del Forestiero di Ischia, dal V. Provveditore agli Studi di Napoli B.ne Luigi Athos Sottile d’Alfano sul tema: «Gloriosa storia ed attuale decadenza del Castello Aragonese d’Ischia». Tra i firmatari della petizione figuravano : Gr. Uff. Vin-cenzo Telese, Prof. Ernesto Pontieri, B.ne Francesco

Acton, Gr. Uff. Marino Turchi, Prof. Vincenzo Dattilo, Federico de Angelis, S. Ecc. Prospero De Marco, Dr. Franz Amalfitano, Prof. Raffaele Sena, Ferdinando Ca-striota Scanderbeg, Provveditore agli Studi Dr. Luigi Sacca, Avv. Gustavo Pansini, Prof. Luigi Polito, Prof. Pietro De Angelis. Con decisione n. 941 dell’1 dicembre 1964, la VI Se-zione del Consiglio di Stato, dopo circa cinque anni, ac-cogliendo il ricorso del proprietario, dichiarava nulla per vizio di procedura la notifica del vincolo di inte-resse artistico e storico, posto nel 1915 ai sensi della Legge 20-6-1909, n. 364. Veniva conseguentemente dichiarata invalida la procedura di espropriazione del Castello che il vincolo presupponeva. Con decreto del Ministero della Pubblica Istruzione del 2-7-1966, veniva nuovamente posto il vincolo di-retto di interesse artistico e storico su tutto il comples-so monumentale. Avverso tale decreto gli attuali proprietari Antonio, Gabriele, Nicola, Rosario, Giovan Giuseppe Mattera ed il loro genitore Nicola Ernesto Mattera usufruttuario, hanno proposto ricorso al Consiglio di Stato in sede giurisdizionale. Il ricorso è tuttora pendente.

***

Giova ricordare che il problema della rivita-lizzazione degli antichi castelli e delle dimore storiche in generale è stato recentemente af-frontato dall’Unione Italiana delle Camere di Commercio da parte della propria Commissio-ne Intercamerale per il Turismo. La Commis-sione, che ha preliminarmente «riconosciuta l’opportunità di ritornare sull’argomento sot-tolineandone l’importanza ai fini di una po-litica promozionale delle attività turistiche», ha, agli stessi fini, deciso di «intervenire in fa-vore dell’utilizzazione turistica dell’inestimabi-le patrimonio storico e artistico costituito dai numerosi castelli e antiche dimore disseminati in tutta Italia, pur nell’assoluta e totale salva-guardia delle caratteristiche architettoniche e artistiche degli edifici».

E’ ora, quindi, che gli organi dello Stato, dopo l’auspicabile favorevole decisione del Consiglio di Stato, si assumano la tutela del Castello d’I-schia e, avvalendosi di quegli strumenti che provvidamente la nostra legislazione offre, as-sicurino finalmente la conservazione del Mo-numento, restituendo all’Isola d’Ischia e all’in-tera Nazione un patrimonio di incommensura-bile valore storico e artistico. Per quanto riguarda, poi, la sua destinazio-ne, è certamente auspicabile che venga scel-ta quella che ne assicuri una vita autonoma

G. G. Cervera e Mario Buono così salutarono il declino del Castello

G. G. Cervera1 - «Col tempo e l'abbandono tutto è andato in rovina e voi, passando, senti-te solo il silente fluire dei secoli; l'eco delle ge-sta muore e il canto di cento battaglie di popoli in lotta tende a diventare, col progredire delle genti, il campo del benessere e della comodi-tà. Dall'alto del suo Maschio e dai due terrazzi della prigione e del convento voi contempla-te le infinite bellezze della natura, l'opera del manovale e dell'artista che su questo palmo di terra spiegarono la loro maestria rendendolo bello, armonico, altero».

Mario Buono2 - «.... Ed ora agonizzi. Ma, nella notte stellata, mentre il flutto si frange ai tuoi piedi e nel vento àlita il sospiro delle anti-che favole e il ricordo delle tue glorie, l'anima mia che plora percepisce dai ruderi un aneli-to di resurrezione e un ammonimento che si solleva come uno stendardo sui bastioni, sulle torri, sulle cupole e si spande intorno, come un comando sull'isola verde.«Figli immemori e ingrati, che mercanteggia-te le gloriose mie pietre, pentitevi, ricordatevi finalmente di me, proteggetemi com'io prote-sisi i vostri padri, amatemi ancora e per sem-pre; restituitemi alla vita».

1 Cervera G. G. - Guida d'Ischia, Edizioni Di Meglio, Ischia 1959, pag. 123.2 Ischia Oggi, rassegna turistica illustrata. luglio 1966: articolo: Un saluto al Castello d'Ischia.

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e decorosa, una destinazione, quindi, tale da garantirne una degna valorizzazione. Allogan-dovi, ad esempio, un museo storico, artistico, folkloristico, un museo della marineria mer-cantile, una degna biblioteca pubblica, una sala per convegni e concerti, un centro di studi, il Castello potrà costituire un nuovo elemento

di attrazione per studiosi e turisti. Solo così il nostro secolo potrà riscattarsi delle sue colpe di incuria e di sordità artisti-ca e, realizzando opera meritoria, consegnerà all’avvenire dell’Isola una preziosa gemma.

Per molto tempo si è discusso a Ischia di esproprio o meno del Castello Aragonese, per restituire al pa-trimonio comune un bene che già era stato la storia di questo territorio, di cui aveva rappresentato la vita della popolazione isolana; un Castello che fu la Città e un baluardo di tutto il regno napoletano. Qui ave-vano dimorato re e regine, artisti, poeti e letterati, i quali facevano circolo con Costanza d’Avalos e Vitto-ria Colonna, la poetessa italiana, qui tenevano corti Inigo, Ferrante ed Alfonso d’Avalos.

Il Comune d’Ischia con la delibera consiliare n. 580 del 24 marzo 19821 approvava un piano per destina-zione ad uso pubblico del Castello (esproprio totale o parziale), “inserendo – come si legge in delibera - la sua rivalutazione in un vasto piano di recupero che mira a portare Ischia Ponte ad un livello di sviluppo pari a quello raggiunto dalla zona territoriale distin-ta, generalmente (accentuando un certo frazionismo isolano), con la denominazione “Ischia Porto”.

In altre epoche ha fatto spicco l’indifferenza degli amministratori verso la salvaguardia di un patrimo-nio di indiscusso valore, soprattutto storico: situa-zione deplorata e deplorevole, la cui gravità è stata notata troppo tardi. Il mutamento di rotta non ha trovato (inspiegabilmente) tutti uniti attorno al nuo-vo corso e non sono mancate posizioni tendenti a privilegiare lo stato dei fatti.

Di certo il problema non può dirsi e considerarsi superato dal provvedimento assunto dall’Ammini-strazione comunale di Ischia, poiché la vera e so-stanziale attività operativa sarà il fattore determi-nante e qualificante della volontà di rinnovamento. E questo ultimo aspetto, anche in rapporto ai tempi (certamente lunghi) di attuazione, apporta qualche preoccupazione: l’impegno non sarà limitato all’Am-ministrazione che oggi gestisce la cosa pubblica e ci si chiede se avrà continuità e valore l’atteggiamento del momento, nel caso di mutamenti (uomini e par-titi politici) al vertice amministrativo.

Al di là di considerazioni che possono essere en-tusiastiche o fredde con piena giustificazione, resta comunque positivo l’atto deliberativo che è testimo-nianza di un interesse nuovo, già palesatosi con il recupero delle pinete e della Torre di Michelangelo. Per il futuro occorre anche dare spazio alla fiducia e al senso di responsabilità!”

1 Il testo integrale della delibera con tutti gli interventi si può leggere in La Rassegna d’Ischia n. 2/3 del 1982.

…Poi tutto è sfumato, non sappiamo se per mancan-

za di una decisa volontà amministrativa oppure per una più valida continua opposizione, per cui il silen-zio è caduto sulla vicenda con buona pace dei con-tendenti. Fatto sta che oggi il Castello è comunque tornato ai fasti della sua magnificenza, grazie alle manifestazioni che vi si svolgono, alle cure e atten-zioni che esso ottiene continuamente, ai progetti che esterna una vita nuova; si spera che di anno in anno continui il suo progresso come attrattore turistico di grande efficacia e come vanto dell’isola tutta, dopo i secoli della sua decadenza.

E in tal senso, considerando il poco interes-se che in genere si rivolge sull’isola a simili espressioni culturali, bisogna convenire, al-meno attualmente, che il mancato esproprio del Castello è stato sicuramente un elemento positivo per tutta l’isola. Viceversa è proba-bile che ne sarebbe proseguita la decadenza. Ed infatti che fine ha fatto la Colombaia a Forio, nonostante quel che è costata? Quale considerazione riveste a Lacco Ameno il Mu-seo Archeologico con tutti gli spazi di Villa Arbusto? Quanta importanza si attribuisce al Museo e Scavi di Santa Restituta sempre a Lacco Ameno, opera appassionata e continua di Don Pietro Monti (ma qui da alcuni anni tutto è chiuso), opera che gli studiosi ritengo-no di grande pregio? E che dire della Torre di Guevara o di Michelangelo, della Biblioteca Antoniana, delle Biblioteche create anni fa, a Lacco Ameno e a Forio, e poi cancellate sen-za alcun rimpianto; che dire della famosa Bi-blioteca Mennella di Casamicciola, che a suo tempo il Comune non volle acquisire al patri-monio pubblico e di cui oggi non si conosce il destino)? Si potrebbe dire ancora tanto sul concetto di cultura nell’isola, che è conside-rata soltanto pe qualificare, impropriamen-te, certe manifestazioni che servono a dare apparenza a coloro che la citano impropria-mente in ogni circostanza.

E ben si parli ad ogni evenienza delle fortune, pre-senti e future, del Castello Aragonese!

Raffaele Castagna

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Racconto

Sul pontile di Lacco Ameno…. Luglio 2017 particolarmente caldo ed un lun-

go periodo di alta pressione. Cielo su Ischia sem-pre sgombro di nubi, anche al mattino presto: Spesso mi svegliavo prima delle cinque e partivo puntando su un paesaggio diverso intorno all’iso-la, per rivederlo e scoprire sempre qualche nuovo particolare.

La mattina del 16, la mia Vespa PX 125 fece i ca-pricci e, nonostante gli opportuni ed esperti ten-tativi, non partì.

Alfine rinunciai e decisi di recarmi sul pontile di Lacco Ameno per un po’ di movimento ma an-che per godere della fresca brezza del mattino e di un immediato rapporto con il mare. Procedevo a passo svelto, quando, giunto presso l’aiuola al centro della piazzetta, sentii una voce:

- ”Amico, posso chiamarti amico?” Non avevo mai dimenticato chi si rivolgeva così

verso di me fino a cinque, sei anni addietro. E lo vidi avanzare in mia direzione, appoggiandosi al bastone. Sono stupito, ma risposi come allora:

- ”È un grande onore per me. La vostra amici-zia è stata un evento bello della mia vita. Da voi ho appreso tanto, in particolare sulla pesca: un contributo notevole per la realizzazione di un mio libro”.

La sua risposta è stata sempre per me un motivo di orgoglio:

- ”Anche tu mi hai detto cose interessanti, sia sulla pesca e sia in particolare sulla Tonnara del 1700 e 1800 che non sapevo. Dico anche che hai ascoltato sempre con attenzione le mie poesie e le mie storie e con me hai parlato addirittura di este-tica e di arte, e mi hai rivelato storie e personaggi dell’isola d’Ischia e di Lacco in particolare”.

Bene, dissi. - “È straordinario e bello incontrarci e mi chie-

do come sia possibile. E vorrei approfittarne per conoscere qualcosa di eccezionale”.

Mi dice il mio amico pescatore e poeta:- “Vedi, noi viviamo in una condizione che non

ha confronto con la vita terrena. Il nostro tempo ed il nostro spazio sono diversi, è impossibile spie-gare e non potresti capire. Il sentiero della luce e dell’amore. Però ti dico che, come dono particola-

re, quando entriamo, come d’incanto scopriamo di conoscere tutto quanto di bello ha realizzato l’uomo nella sua storia. Pensa, io adesso, tra l’al-tro, conosco Aristotele, Platone, Cicerone, Lucre-zio, Dante e la Divina Commedia, Shakespeare e Quasimodo etc… Ho riletto anche i tuoi libri, le poesie su Lacco e su Ischia di Giovanni Casta-gna, le liriche ‘Ischia’ e ‘Addio al Mezzogiorno’ di Auden: e spesso leggiamo anche la Rassegna. La cultura, quella vera, ha una funzione purifica-trice e contribuisce alla nostra gioia. Adesso so anche che sulla terra si trova uno spicchio di Pa-radiso, ma la maggior parte degli uomini non se ne accorgono, oppressi dall’odio, dai rancori, da insoddisfazione, da interessi personali e da cupi-digia. Io e qualche nostro amico l’abbiamo vissuto sulla terra quel nostro piccolo paradiso, perciò lo conserviamo e quando vogliamo possiamo ripe-terlo. Si tratta comunque di pochi attimi, come di un lungo flash. Per questo ti incontro e possiamo parlare”.

- Era il nostro Lacco di tanti anni fa, come lo de-scrive Antonino Baldassarre De Siano:

Na vranc e casarell spase o sole,na chiesa, n’orologio e doie campaneProceta e Torre Gaveta luntane.- Era come l’ha descritto Giovanni Castagna nel-

le sue liriche: Case come ricordi, vicoli come vento,alberi sempre verdi, viti della filosseravela nel maestrale, torpore di scirocco,tramontana gelida, reti sempre rotte:paese sul mare, paese mio.Ti sorveglia uno scoglio, ti sorveglia una torre,ti protegge una Santao almeno lo credi sull’onda in tempestao quando nel sole, distratto di azzurro,dimentichipur quella preghiera che trovasti nel pianto.

- Era il paese del Pisciariello e della Croce, del-lo Scoglio del Faro, della Tonnara e del Fungo. Allora il mare, le scogliere erano nostre, apparte-nevano ai pescatori, alla popolazione. Le spiagge erano il meraviglioso parco giochi dei ragazzi.

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- Ancora è stato bello per me trascorrere, quan-do ero in pensione, ogni giorno alcune ore sulla panchina vicino al mio mare e conversare con gli amici o con i turisti e declamare le mie poesie. Quante volte anche con te!. Vedere le mie figlie che a turno passavano a distanza per accertarsi che stavo bene.

- È vero – rispondo - anche se il paese non po-teva rimanere tale né doveva; certamente il pro-gresso degli anni cinquanta e sessanta ha segnato una svolta positiva.

- Lacco si portò all’avanguardia addirittura nell’ambito del turismo internazionale. Spiace però che negli ultimi anni ha smarrito la sua iden-tità, soffocata nella ossessiva ricerca di uno svi-luppo segnato da tanti aspetti anche negativi che

In alto - Lacco Ameno, si vede lungo il Corso la edicola con la croce, distrutta da una tempesta di mare e non più rinnovata. Da notare sullo sfondo la collina di Monte Vico, libera da costru-zioni, zona archeologica (antica Pithekoussai).In basso - Pontile d'imbarco e il Fungo.

hanno distrutto testimonianze storiche importan-ti del nostro passato, hanno minato, tra l’altro, la buona vivibilità tra le persone e le famiglie. Si ha la certezza purtroppo che sono saltate le regole. E non c’è impegno perché siano osservate. Mi guar-da il mio amico pescatore e mi dice:

- Mi dispiace! Io adesso come allora salutando-ti vado verso la testata del Pontile, passerò vicino al Fungo, sperando di vedere quel Delfino di cui parlammo tanto. Amico, posso chiamarti amico?

- Sarà per me sempre un motivo di grande orgo-glio e di onore.

Così gli risposi e rimasi fermo a guardarlo finché scomparve.

Giuseppe Silvestri

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Scoperta una “nuova” opera di A. Di Spigna

la Santa Barbara, nella Cappella Maggiore del Seminario Arcivescovile di Napoli

di Ernesta Mazzella

fine XVIII secolo. Le sue opere si ammirano nel-le tante chiese sparse nei diversi comuni isolani, le più numerose si trovano a Forio, dove ha la-sciato anche le poche opere firmate5. L’Onorato lo definisce “celebre pittore” e con perizia docu-menta le sue varie opere, fornisce la preziosa no-tizia “nato e morto nel comune del Lacco”6.

Nel 1968 l’Alparone dedica all’artista la prima monografia7. Il De Dominici lo ricorda tra i “buo-ni scolari” di Francesco Solimena8, non fornisce date o indicazioni più precise, documenta un soggiorno dell’artista a Genova durato ben sette anni, scrive: “Alfonso Spinga è uno de’ discepoli che si sono affaticati nella scuola di sì gran ma-estro, e col mezzo delle sue fatiche ha acquistato pratica nel colorire e, quel che più importa, di componere istorie copiose di propria invenzio-ne, avendo pronta l’idea nel partorire e nell’ese-guire ragionevolmente le sue pitture, laonde si è fatto anch’egli annoverare fra i buoni scolari del Solimena, e molte opere ha dipinto per varie parti del regno. Desideroso poi di vedere alcu-na parte della nostra Italia, ebbe l’invito d’un cavalier genovese, che era venuto a Napoli a prendere i bagni d’Ischia, e con esso per mare andò a Genova, ove dimorò sette anni, sempre operando con suo utile e lode, ma dell’opere colà dipinte noi non abbiamo contezza alcuna. Tornato poi alla patria con maggior pratica di pennello, ha dipinto tutti i quadri che si veggo-no nella chiesa dell’Ascensione de’ monaci cele-stini, dietro la riviera di Chiaja, a riserva però di quell’opere che vi sono di Luca Giordano, cioè del quadro dell’altar maggiore del san Michele

5 G. Alparone, Alfonso di Spigna appunti storico-artistici, 6 Ragguaglio istorico topografico della Isola d’Ischia, ms. 439, Fondo S. Martino, Biblioteca Nazionale di Napoli “Vit-torio Emanuele III” trascritto e pubblicato a cura di E. Maz-zella, “L’Anonimo” Vincenzo Onorato e il Ragguaglio dell’i-sola di Ischia, Edizioni Gutenberg, Fisciano 2014, p. 246.7 G. Alparone, Alfonso di Spigna appunti storico-artistici, op. cit.8 B. De Dominici, Vite de’ Pittori, Scultori ed Architetti Na-poletani, I-II, Napoli 1742, ed. a cura di F. Sricchia Santoro e Zezza, Paparo Editore, Napoli 2003, vol. II, p. 1366..

Sono inconfondibili le sue opere, in modo par-ticolare le Madonne, dal dolce volto arrotondato, dall’espressione tenera e lievemente malinconi-ca, tanto da conquistarsi l’appellativo di "pittore della malinconia” come è stato definito dal De Dominici prima e poi dall’Alparone1. Inconfon-dibili sono gli ampi e ariosi panneggi, il cromati-smo, la luminosità delle sue opere.

Alfonso Di Spigna (Lacco Ameno 1697 – 1785)2 lo si può definire il protagonista incontrastato della pittura isclana del Settecento, è certamente una figura per molti aspetti inaspettata nel pano-rama artistico locale: colto, attivo, molto ricer-cato e ben pagato sull’isola, dove opera a partire dagli anni Quaranta del Settecento fino ad età molto avanzata; superati i settant’anni, egli di-pinge nel 1768 la Pentecoste per la chiesa dello Spirito Santo in Ischia3, per poi giungere negli anni ’70-75 quando realizza gli ovali di Visitapo-veri tra i quali l’Annunciazione che senza dubbio possiamo considerare la più alta espressione ar-tistica del di Spigna4. Ma non può passare sotto silenzio il San Giuseppe da Copertino, realiz-zato alla fine della sua esistenza, la quale opera apre un nuovo orizzonte nel campo del colore e documenta nei ritratti femminili la moda delle acconciature e degli abiti delle donne isclane di

1 G. Alparone, Alfonso Di Spigna pittore della malinco-nia, in AA.VV. Artisti dell’isola d’Ischia, a cura di M. Ielasi, S.E.N. Napoli 1982, pp. 42-53.2 Su Alfonso di Spigna si possono vedere i vari contributi: G. Alparone, Alfonso di Spigna appunti storico-artistici, Napoli 1968; Ibidem, Ricerche su Alfonso di Spigna, in “Ri-cerche Contributi e Memorie”, Vol. II, Tipografia Cortese, Napoli 1984; Persico Rolando E., Dipinti dal XVI al XVIII secolo nelle chiese di Ischia, Edizioni Graphitronic, Napoli 1991; A. Di Lustro, L’Arciconfraternita Santa Maria Visi-tapoveri a Forio quattro secoli di storia, Seconda Edizione, Artigrafiche, Forio 2014; Un documento inedito sul S. Giu-seppe di Alfonso Di Spigna, in “La Rassegna d’Ischia”, anno XXIII, n° 2, marzo 2002, pp. 49-50. La Rassegna d'Ischia n. 7/1985 (G. Alparone, Il pittore Alfonso Di Spigna; Giovan-ni Castagna, I Di Spigna nel Casale di Lacco).3 E. Persico Rolando, Dipinti dal XVI al XVIII secolo nelle chiese di Ischia, op. cit., p. 113.4 A. Di Lustro, L’Arciconfraternita Santa Maria Visitapo-veri a Forio quattro secoli di storia, Seconda Edizione, op. cit.

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arcangelo, della sant’Anna nella cappella del-la croce, e quattro teste di santi dell’ordine in quattro ovali, con quella di san Benedetto. Ol-tre de’ quadri e gli altri santi dipinti per accom-pagnare le teste mentovate del Giordano, vi ha dipinto eziandio il soprapporta, ov’è espresso il miracolo delli sacri paramenti per dir la mes-sa, portati dall’angelo, e la sua cappa posata sul raggio di luce, nel mentre che stava presente l’incredulo papa, ed il concistoro de’ cardinali; delle quali opere ne fu lodato e ben premiato da quelli monaci. A parere degli intendenti è la più lodata la macchia (bozzetto) che si conser-va nella sagrestia della medesima chiesa che l’opera del soprapporta, tutto che ragionevole, ma nella detta macchia è un’unione più bella di colore ben compartito, che fa migliore l’accor-do. Attende lo Spinga a soddisfare alle richieste fatteli da varii particolari, e per lo pubblico sta in tratto di avere a dipingere una chiesa aba-diale poco lungi dalle porte della nostra città, la quale si spera che sarà degna di lode. Egli però è quasi oppresso da umori malanconici, che per lo più lo rendono ritirato e solitario, laonde es-sendo a ciò portato e dal male, e dal genio, egli se ne sta segregato dalle genti ad operare le sue pitture”9.

Della presenza e permanenza a Genova resta unica testimonianza la citazione di una perduta Annunciazione nella chiesa di Santa Marta, rife-rita dal Ratti10. Per la città di Napoli sono note le opere custodite nella Chiesa dell’Ascensione a Chiaia11 e Il miracolo delle stimmate di San Francesco nel Convento dei Frati Francescani Osservanti, annesso alla chiesa di San Francesco al Vomero12.

Attualmente nella chiesa dell’Ascensione in Napoli si conservano i dipinti del Di Spigna raf-figuranti il San Pietro Celestino che rinuncia al papato, l’Abramo e gli angeli, Agar nel deser-to; e gli affreschi sui pilastri che rappresentano i pontefici: Gregorio I, Bonifacio IV, Leone III ed

9 B. De Dominici, Vite de’ Pittori, Scultori ed Architetti Na-poletani, I-II, op. cit., Vol. II, pp. 1366-1367. 10 C. G. Ratti, Istruzione di quanto vedesi di più bello in Genova, 1780, p. 299. 11 B. De Dominici, Vite de’ Pittori, Scultori ed Architetti Napoletani, I-II, op. cit., vol. II, p. 1367; G. Alparone, Al-fonso di Spigna appunti storico-artistici, op. cit., pp. 22-23.12 G. Barbieri, Alfonso di Spigna pittore inesauribile che continua a stupire. Una grande pala d’altare racconta ma-gistralmente il miracolo delle stimmate di San Francesco, in “La Rassegna d’Ischia”, n° 5-6, 2003, pp. 1-2.

Agatone13, successivamente queste opere furono assegnate al De Mura, per evidenti affinità con lo stile di quest’ultimo. Inoltre al di Spigna ven-gono attribuiti probabilmente gli Evangelisti nei pennacchi14.

Interessante leggere nel testo del De Dominici curato dalla Santoro e dal Zezza che “Una Santa Barbara dello Spigna si trova in deposito al Se-minario arcivescovile proveniente dall’Abbazia di Santa Maria a Cappella Vecchia, presso la porta di Chiaia”15. Spinosa, inoltre, scrive “Per Napoli sono note solo le opere per l’Ascensione a Chiaia (tele ed affreschi) e per Santa Maria a Cappella Vecchia16 (una Santa Barbara ora in deposito al Seminario Arcivescovile)”17, ripren-dendo quanto già affermato da Pagano18 .

Il dipinto della Santa Barbara attualmente è custodito nella Cappella Maggiore del Seminario Arcivescovile di Napoli, e non più nel deposito

13 B. De Dominici, Vite de’ Pittori, Scultori ed Architetti Napoletani, I-II, op. cit., Vol. II, pp. 1366-1367; G. Alparo-ne, Alfonso di Spigna appunti storico-artistici, op. cit., pp. 22-23; M. A. Pavone, Pittori napoletani del primo Sette-cento, Liguori Editore, Napoli 1997, p. 201.14 N. Spinosa, Pittura napoletana del Settecento. Dal Ba-rocco al Rococò, Napoli 1986, p. 125.15 B. De Dominici, Vite de’ Pittori, Scultori ed Architetti Napoletani, I-II, op. cit., Vol. II, nota n° 529, p. 1367. 16 La chiesa di Santa Maria a Cappella Vecchia era così denominata dopo la costruzione di una chiesa nuova, poi demolita per aprire la vicina Piazza dei Martiri. L’abbazia, fondata sul luogo di un romitorio, fu ampliata nel secolo XI e divenne monastero di Basiliani prima, 1334, e di Bene-dettini successivamente. La chiesa è scomparsa; all’interno dell’antica struttura religiosa, in seguito alle trasformazioni dell’edificio sacro in una modernissima palestra, sono stati rimossi gli altari laterali e l’altare maggiore ed infine tutto il pavimento maiolicato, anche se trasformato in complesso di anonime abitazioni civili, tutt’ora offre riferimenti tipici dell’architettura badiale cassinese, iniziando dal bel sagrato a cui si accede dal portale marmoreo del 1506. Parte del complesso, soppresso nel 1788 il monastero, venne tra-sformato in Palazzo Sessa, che fu residenza cittadina di sir William Hamilton, ambasciatore inglese, collezionista d’antichità, personalità di grande rilevanza nella vita cultu-rale napoletana del’ 700. L’antica chiesa è stata descritta in diverse guide della città di Napoli, dal D’Engenio, da Cela-no al Galante: per citarne alcuni, Sigismondo, Descrizione della città di Napoli e suoi borghi, 3 voll., p. 132. Napo-li 1788-1789, ed. digitale a cura di Maria Pia Lauro (tomo III), www.memofonte.it (Sezione: Guide di Napoli), aprile 2011-febbraio 2012; padre F. Strazzullo ha dedicato un in-teressante libro dal titolo L’Antica Badia di Santa Maria a Cappella Vecchia, Arte Tipografica, Napoli 1986. 17 N. Spinosa, Pittura napoletana del Settecento. Dal Barocco al Rococò, Napoli 1986, pp. 92-93; N. Spino-sa, Pittura napoletana del Settecento. Dal Rococò al Classicismo,Napoli 1987, p. 88. 18 G. A Galante, Guida sacra della città di Napoli, Napoli 1872, ed a cura di N. Spinosa, Napoli 1985, nota 85, p. 285.

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del Seminario Arcivescovile. La Santa è ritratta in un’elegante posa, l’espressione e la delicatezza dell’ovale del viso sembrano alquanto indicati-vi dei ben noti moduli dispignani. Ella è in gi-è in gi-in gi-nocchio sulle nubi, con il capo chinato verso il Cristo che le porge la corona, anche nella posa si manifesta la consueta bellezza dei personaggi dispignani, disposta in una posizione leggermente inclinata che sottolinea l’elegante andamento si-nuoso del mantello e delle braccia, nella mano sinistra ella stringe la palma. Gli Angeli fanno da cornice all’intera scena, uno di essi regge il giglio bianco, un altro sostiene una pesante e grande torre, classici attributi iconografici della Santa19.

19 S. Barbara è originaria della Turchia, dove nacque nel 273 d.C. nell’attuale İzmit, a quei tempi Nicomedia, entrò in contrasto con il padre Dioscoro, pagano, a causa della con-versione al cristianesimo. Tra il 286-287 Barbara si trasferì presso la villa rustica di Scandriglia, oggi in provincia di Ri-eti, al seguito del padre, collaboratore dell’imperatore Mas-

La firma dell’artista non è presente, ma un ele-mento fondamentale e determinante, che lega l’opera al di Spigna è proprio l’immagine della Torre, la quale è dipinta sul modello del Torrio-è dipinta sul modello del Torrio-dipinta sul modello del Torrio-ne di Forio20. Questo dipinto, dunque, mostra chiaramente la sua paternità, in quanto, oltre ai classici caratteri fisionomici ben noti e alla ri-corrente disposizione degli angeli, ritroviamo la predilezione per quella pittura trasparente in cui predominano i toni chiari, dell’oro, dell’azzurro, del verde e del giallino.

È un’opera interessante, che risale probabil-’opera interessante, che risale probabil-mente agli anni quaranta del Settecento, stando a quanto affermato dal De Dominici “Attende lo Spinga a soddisfare alle richieste fatteli da varii particolari, e per lo pubblico sta in tratto di avere a dipingere una chiesa abadiale poco lungi dalle porte della nostra città la quale si spera che sarà degna di lode” la committenza da parte di una abbazia induce a pensare proprio alla chiesa di Santa Maria a Cappella Vecchia, un tempo abbazia, quindi al dipinto con la San-ta Barbara. Il De Dominici pubblica nel 1742, e quel “si spera che sarà degna di lode” fa ipotiz-zare che l’opera non è stata ancora ultimata dal di Spigna prima del 1742. La Santa Barbara inol-tre presenta stringenti analogie con la Santa Ca-terina d’Alessandria dipinta nella tela La Gloria della Vergine con S. Vito e S. Caterina d’Ales-

simiano Erculeo. La conversione alla fede cristiana di Bar-bara provocò l’ira di Dioscoro. La ragazza fu così costretta a rifugiarsi in un bosco dopo aver distrutto gli dei nella villa del padre. Rinchiusa in una torre, riuscì a fuggire. Trovata, fu consegnata al prefetto Marciano. Durante il processo che iniziò il 2 dicembre 290 Barbara difese il proprio credo ed esortò Dioscoro, il prefetto ed i presenti a ripudiare la re-ligione pagana per abbracciare la fede cristiana. Questo le costò dolorose torture. Il 4 dicembre, infine, fu decapitata con la spada dallo stesso padre Dioscoro, che fu colpito però da un fulmine. Attributo iconografico principale è una torre con tre finestre. Cfr. F. Lanzi – G. Lanzi, Come riconoscere i Santi e i patroni nell’arte e nelle immagini popolari, Jaca Book, Milano 2007, pp. 95-96.20 “La più rinomata delle Torri di Forio è di forma circo-lare. Di dimensioni maestose, alta tanto da dominare tutto l’abitato, profonda sino al livello del mare, aveva quattro cannoni. Con tutto il complesso sistema delle torri costruite in vari periodi storici, essa aveva lo scopo di accogliere la popolazione quando si verificavano gli assalti pirateschi e quindi svolgeva funzione di avvistamento e di difesa. Dopo un periodo di abbandono, essa ebbe nuova vita nel 1863: vita di arte e di poesia. Lo scultore e poeta Giovanni Maltese ebbe infatti in enfiteusi perpetua dal Comune il monumen-to e lo trasformò in suo studio; oggi esso è sede del Museo civico e di manifestazioni artistiche”. Cfr. La Rassegna di Ischia, Paesaggi e immagini di un’isola nel mar Tirreno, http://www.larassegnadischia.it/zoom/popup/10torrione.htm

Alfonso Di Spigna - Santa Barbara(Cappella Maggiore del Seminario arcivescovile di Napoli)

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sandria posta sull’altare maggiore nella Basilica di San Vito in Forio, questo dipinto è uno dei pochi ad essere datati, 1745, e firmati dal pittore lacchese. La datazione della pala agli anni Quaranta del Set-tecento consente di collocarla tra le prime opere del pittore realizzate dopo il ritorno dal soggior-no nella città di Genova. Nell’opera non mancano chiare reminiscenze solimenesche e al suo disce-polo Francesco De Mura. Questi era amico e co-etaneo del Di Spigna ed ha influito notevolmente sul suo stile. Tanto da trarre in inganno qualche studioso che in passato ha attribuito il dipinto del-la Santa Barbara al De Mura.

Il Di Spigna dunque risulta ancora “infaticabi-le e prolifico, oltreché rarissimo esempio di arte pittorica riuscita ad evadere dagli angusti con-fini isolani”21. Nonostante lo scorrere del tempo il di Spigna continua ad affascinare e a donare meravigliose sorprese, anche dopo trecentoventi (1697-2017) anni dalla sua nascita.

Si ringrazia Mons. Eduardo Parlato, Diretto-re dell'Ufficio Beni Culturali dell’Arcidiocesi di Napoli.

Ernesta Mazzella

21 G. Barbieri, Alfonso di Spigna pittore inesauribile che continua a stupire, op. cit.

Alfonso Di Spigna - La gloria della Vergine con S. Vito e S. Caterina d'Alessandria (Forio, Basilica di San Vito)

Alfonso Di Spigna

A sinistra - Chiesa dell'Ascensione a Chiaia : 1) Abra-mo davanti agli Angeli; 2) Agar soccorsa dall'Angelo.A destra . La Pentecoste nella Chiesa dello Spirito San-to a Ischia.

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In mostra a Napoli nella Chiesa dello Spirito Santo

L’Esercito di Terracotta della Cina

di Carmine Negro

A Napoli nella Chiesa dello Spirito San-to è allestita la mostra “L’Esercito di Ter-racotta e il Primo Imperatore della Cina“, un sorprendente viaggio nell’antica Cina di 2.200 anni fa. In esposizione più di 300 manufatti: riproduzioni di oggetti scoperti nella Necropoli e appartenuti al primo imperatore Qin Shi Huang (260 a.C. – 210 a.C.). I pezzi in mostra sono stati riprodotti con particolare attenzione ai dettagli al fine di mantenere bellezza e originalità. Statue, armi, armature, carri da guerra, vasellame e utensili, che richiamano alla vita quotidiana dell’antica Cina, sono stati realizzati diret-tamente dagli originali grazie a calchi e rifi-niti secondo il metodo antico, da artigiani cinesi della regione di Xi’An. I guerrieri, uno diverso dall’altro, furono ritrovati vicino alla tomba dell’imperatore, probabilmente per difenderlo anche nell’aldilà. Una sorta di re-altà aumentata di 2200 anni fa, intesa come arricchimento della percezione sensoriale per l’aumento dell’altezza delle statue, alte da 1,75 a 1,95 metri, troppo per raffigurare personag-

gi cinesi, per il loro enorme numero, per la di-slocazione sul territorio. Una mostra, in gene-re, consente un contatto con l’opera originale, segna una sorta di legame tra il passato e il presente. In questo caso, grazie alla spettaco-larità di queste riproduzioni e al realismo dei magnifici decori, rafforzata da affascinanti suggestioni luminose e audiovisive, può solo consentire una riflessione su una delle più grandi civiltà del passato.

La scoperta

L’inverno del 1974 era stato particolarmente sec-co: una grande siccità aveva colpito la provincia dello Shanxii e tutto il nord della Cina. Nel mese di marzo i contadini dei villaggi intorno al Monte Li, poco lontano dalla città di Xi’an, si misero a cercare acqua scavando pozzi nella campagna. La zona era molto vicina ad un sito archeologico: il mausoleo del primo imperatore cinese Qin Shi Huang. In un primo momento i contadini trovarono cocci di terracotta che raccoglievano e riutilizzavano. Continuando gli scavi si accorse-ro che i cocci che venivano alla luce erano molto diversi da quelli che erano soliti trovare: avevano delle sembianze quasi umane. Gli anziani, che

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erano molto superstiziosi, pensarono che l’aver portato via quei cocci dal terreno potesse in qual-che modo fare infuriare gli spiriti: per giorni gli abitanti del villaggio ritornarono sul luogo del ri-trovamento a pregare e ad accendere incensi per placare l’ira degli dei. Uno di loro, Yang Zhifa, la pensava diversamente; dopo aver notato che il ri-trovamento era diverso dal solito, che in mezzo ai rottami aveva visto oggetti di metallo luccicante che sembravano spade o coltelli, il 29 marzo av-vertì le autorità cinesi, che inviarono sul posto un gruppo di ricercatori. Fu sufficiente allargare un poco lo scavo perché i ricercatori si accorges-sero di essere davanti ad un ritrovamento stori-co. Dopo più di 2000 anni l’esercito di terracotta rivedeva finalmente la luce. Da allora gli scavi pro-seguirono con molta prudenza; ad oggi sono state riportate alla luce circa 6000 statue che sono di-ventate velocemente la seconda più famosa attra-zione del Regno di Mezzo dopo la Grande Mu-raglia Cinese. I contadini non ricevettero mai un compenso per la scoperta tranne Yang Zhifa che ottenne un premio equivalente al suo stipen-dio di un anno e per il resto della vita si mantenne firmando autografi.

Il Mistero del Mausoleo di Qin Shi Huangdi

Qin Shi Huang, un leggendario e controverso sovrano, durante il 3° secolo a. C, seppe unificare sotto il suo regno un immenso territorio creando

di fatto la Cina, era ossessionato dall’idea dell’immortalità. Il suo mausoleo e l’esercito che lo proteggeva si trovano a circa 35 km a Est di Xi’an in una località chiamata Litong. La sua sepoltura rimane tutt’oggi sotto un tumulo di ter-

Napoli - Chiesa dello Spirito Santo

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ra alto 50 metri e il contenuto del suo mausoleo resta ancora un mistero.

Lo storico Sima Qian (145 a.C. circa – 86 a.C. circa) narra che la costruzione dell’immenso palazzo e dell’esercito che lo difende furono realizzati con il lavoro coatto di più di 700.000 uomini e la realizzazione richiese più di 40 anni. Secondo antiche scritture e leggende il soffitto del Mausoleo sarebbe stato costruito in rame con perle a raffigurare il cielo notturno e le stelle. Il pavimento invece raffigurerebbe l’impero e per ricreare il fiume Giallo e il fiume Azzurro che scorrono verso il mare sarebbero stati utilizzati dei geniali macchinari in grado di far scorrere mercurio al posto dell’acqua. Nell’antichità vi era la credenza che il mercurio portasse all’immortalità. La leggenda racconta che lo stesso imperatore morì proprio a causa di un avvelenamento da mercurio che ingeriva in grandi quantità per sfuggire alla morte. L’alto tasso di inquinamento da mercurio nel terreno intorno al mausoleo è secondo quello che dicono le autorità cinesi uno dei motivi per cui il mausoleo non è ancora stato portato alla luce. Gli archeologi invece sostengono che al momento non si possiedono le tecnologie giuste per scavare senza fare danni, ma di anno in anno le tecnologie migliorano per cui non è detto che proseguiran-proseguiran-no in futuro. Difatti quando i primi guerrieri di terracotta furono portati alla luce, pochi minuti di esposizione all’aria e al sole fecero completamen-te sparire i pigmenti con cui erano stati colorati.

Nel 1987 il mausoleo dell’imperatore Qin Shi Huang, di cui l’esercito di terracotta fa parte, è stato dichiarato Patrimonio dell’umanità dall’U-NESCO

La ChiesaUbicata in uno spiazzo di via Toledo, una volta

chiamato Largo dello Spirito Santo e oggi piazza Sette Settembre, di fronte a palazzo Doria d’An-gri, la chiesa dello Spirito Santo è una basilica con una storia antica.

Nel 1562 la Confraternita degli Illuminati dallo spirito Santo eresse a proprie spese, presso il pa-lazzo del duca di Monteleone, una piccola chiesa annessa a due conservatori musicali collocati ai lati della stessa. Il primo nato dalle congreghe dei Bianchi (Real Compagnia ed Arciconfraternita dei Bianchi dello Spirito Santo), l’altro da quello

dei Verdi; le confraternite erano così chiamate così chiamate per via degli abiti indossati dalle alunne ospitate, dove in un complesso erano le povere della città e nell’altro le figlie delle prosti-tute. Per consentire l’ampliamento della Strada di Monteoliveto, il viceré fece demolire la chiesetta dei confratelli e, con il danaro ricevuto, compra-rono il suolo attualmente occupato dal tempio. Tra il 1572 e il 1576 secondo alcune fonti e dopo il 1580 secondo altre, furono eseguiti lavori di am-pliamento a tutto il complesso sotto la direzione di Pignaloso Cafaro e Giovanni Vincenzo Della Monica. In quest’occasione il plesso conventuale che ospitava la congrega dei Bianchi, del quale ri-mane superstite solo l’oratorio omonimo, venne inglobato nel corpo di fabbrica della chiesa, che intanto aumentò drasticamente le sue dimensio-ni.

Nel 1748 Nicola Tagliacozzi Canale disegnò la sacrestia e nel 1754 Luigi Vanvitelli scelse per i rifacimenti della chiesa, fra quattro progetti, quello di Mario Gioffredo che venne però iniziato solo nel 1758. Il progetto del Gioffredo mirava alla conservazione dei portali seicenteschi del conven-to e della basilica e delle sue cappelle laterali, ri-salenti al Cinquecento, mentre rinnovava l’invaso centrale, con la costruzione di una cupola più alta in grado di illuminare la navata. I lavori vennero ultimati nel 1775.

Nel 1929 furono condotti i restauri riguardanti la chiesa. Nel dopoguerra il convento fu demolito parzialmente e rifatto da Marcello Canino alte-rando il rapporto tra preesistenze e nuove edifica-zioni. Nel 1990 furono condotti ulteriori restauri sia nella chiesa che nei locali annessi a seguito del terremoto dell’Irpinia del 1980.

L’esterno della chiesa si caratterizza per una fac-ciata barocca sobria e imponente, dal cui corpo di fabbrica si eleva una delle più grandi ed eleganti cupole della città. A sinistra della facciata è il pa-lazzo del Conservatorio dello Spirito Santo, dove permangono come elementi originali dell’archi-tettura il monumentale portale barocco, il cortile interno e l’oratorio della Confraternita dei Verdi sulla destra.

Ricostruito nel 1960 da Marcello Canino attual-mente ospita una sezione distaccata della Facoltà di architettura dell’Ateneo Federico II.

Carmine Negro

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Rassegna Libri Raccolta di cronache varie apparte-nenti alla storia dell’isola d’Ischiadi Raffaele CastagnaEditore Youcanprint Self Publishing, Roma, ottobre 2027. In copertina Alle falde del monte Epomeo, Ercole Gigante (Napoli 1815-1860), pagine 236. Formato cartaceo ed ebook.

Dell’isola d’Ischia e per l’isola d’Ischia, questa terra che si col-lega ai miti classici e alla prima colonizzazione greca, sempre si è scritto, dall’in terno e dall’ester-no, sia per narrare le impressio-ni, i sentimenti, le visioni che si presentavano agli occhi dei visi-tatori in ogni istante delle loro escursioni e passeggiate, sia per rievocare (inopportuna mente a volte) momenti importanti del-la storia di un’isola che ha le sue origini nei tempi dei miti, degli dei, delle leggende. Se ne ha oc-casione di leggere in proposito in queste cronache qui presentate, scelte fra tante, che forse, consi-derate nel loro contesto gene rale, sono anche ripetitive e monoto-ne, ma non bisogna trascurare i periodi in cui sono state scritte e proposte.

Ai lettori attenti non sfuggirà neppure la circostanza che oggi Ischia è diversa (logicamente) rispetto a varie epoche passate: po sitivamente o negativamente ci si chiede però spesso e la ri-sposta non è mai scontata e tutta protesa per un miglioramento. Manca a volte anche un legame tra passato e presente, come si evince per esempio dalla scarsa attenzione rivolta nei tempi at-tuali ai reper ti archeologici, che danno rinomanza all’isola, e agli uomini che hanno lavorato per portarli alla luce con i loro studi e le loro ri cerche. Non c’è vero interesse per la cultura né amore per la memoria e per quanto rap-

presenta l’isola d’Ischia in questo settore; spesso non si conoscono o si confondono, ad ogni livello istruttivo e isti tuzionale, i nomi degli studiosi specifici, sia quelli locali, sia quelli qui approdati e qui fermatisi appassionatame-ne. Si preferisce ri volgere ad altri settori e ad altri personaggi ri-conoscimenti e testi monianze di stima. Si dovrebbe dare il dovuto peso alla conoscenza delle vicen-de storiche dell’isola e al ricor-do degli uomini che più l’hanno rappresentata; una terra «così carica di storia e di fascino, da amare, studiare, custodire di-fendere", come scrisse don Pie-tro Monti, in una sua opera.

Il presente libro può essere considerato come una continua-zione di “Inarime, antologie di testi storici, poetici, letterari, mitici, termali”, pubblicato nel 2015, con una prima raccolta di scritti e citazioni di autori, a par-tire da classici greci e latini.

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Sisma nell’isola d’Ischia, tutta la veritàdi Gino BarbieriEdizione Associazione Culturale C. Mennella; presentazione di Giu-

seppe Mazzella, pagine 256, in copertina: Il Casale del Maio nel 1875, dipinto di Attilio Simonet-ti, ottobre 2017.

La pubblicazione nasce in seguito all’evolversi dell’intera problematica legata al dopo terremoto del 21 ago-sto 2017: fatti di cronaca, analisi del-la ricostruzione, proposte di fattibi-lità urbanistica, prospettive econo-mico-sociali, indagini sulla gestione dell’emergenza, opinioni sull’intera materia politica e amministrativa che presiede alla complessa opera di normalizzazione della quotidianità delle gente colpita dal sisma, oltre alla testimonianza spicciola sui nu-merosi episodi che hanno caratte-

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rizzato il tragico avvenimento del 21 agosto 2017.

Nel terremoto del 1883, pa-recchi furono gli autori che vol-lero “fissare” per sempre sul-la carta stampata le immagini spaventose di quell’evento calamito-so. Ernesto Dantone, Andrea Giuo-chi, Eugenio Fazio, Carlo Del Balzo, Luigi De Paolis, Piero Rezzadore, ecc. lasciarono ai posteri, alla gente comune, ma anche agli studiosi, agli storici e ai ricercatori testimonian-ze preziose sugli avvenimenti, non mancando di riportare dati scien-tifici e considerazioni di “costume” che ancora oggi rendono bene l’idea del riproporsi costante della vicenda umana, nei diversi aspetti sociologi-ci e politici. In questa pubblicazione, dal taglio giornalistico, rifuggendo

da inutili erudizioni ma, indugian-do con una prosa essenziale e a vol-te cruda sulla sostanza delle cose, l'autore ha voluto porre l’accento su di un dato certo: le popolazioni dell’isola d’Ischia dovranno impa-rare a convivere con le forze spesso maligne della natura, ma dovranno anche imparare a difendersi, per quello che è possibile, sia attraver-so impianti urbanistici adeguati al “rischio sismico”, sia tenendo sotto costante controllo la tettonica locale attraverso reti sismiche e Osserva-torio Geofisico locale, sia “osservan-do” alcuni segni premonitori, come ad esempio una maggiore attività fumarolica e un abbassamento im-provviso del livello delle sorgive ter-mominerali.

Il libro registra gli avvenimenti,

Il restauro della Basilica di Santa Restituta, Lacco Ameno 2016-2017

Opuscolo pubblicato dalla Diocesi d’Ischia in occasione della fine delle lavorazioni di consolidamento e di restauro effettuate alla Basilica di Santa Restituta di Lacco Ameno, a cura di Ernesta Mazzella.

La pubblicazione contiene: comu-nicazione del Vescovo Pietro Lagne-se, messaggio del parroco di Lacco Ameno Don Goacchino Castaldi, relazione di Ernesta Mazzella e varie relazioni sintetiche degli ingegneri e architetti dei lavori.

In particolare si legge: «Il progetto di restauro, realizza-

to per la Basilica di Santa Restituta, ha mirato alla sistemazione funzio-nale degli ambienti della sacrestia, alla realizzazione di una piccola sala polifunzionale, al recupero dell’ambiente del cisternone; inoltre è stato restaurato tutto l’apparato decorativo che adorna il prospetto principale e l’interno della chiesa. Il prospetto principale presenta ampie superfici decorate; quelli la-

notizie buone e cattive, gli interven-ti, le visite effettuate nelle zone del terremoto, poi chiamate “rosse”, i momenti immediati del sisma con i turisti che cercavano di lasciare su-bito l’isola, gli alberghi chiusi e la ri-cerca di alloggi per coloro che hanno avuto la casa distrutta o pericolante. Un libro insomma che sarà, come le citate storie del passato, a ricordo e testimonianza di un evento che ci si augurava non dovesse più accade-re sull’isola d’Ischia e soprattutto su Casamicciola e Lacco Ameno già martoriate nel 1883, di cui ancora oggi restano espressioni nelle barac-che e nelle denominazioni stradali con cui gli antichi vollero tramanda-re quei personaggi che tanto si ado-perarono per le popolazioni isolane.

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vrapposto; al centro delle quattro lesene, in alto, il finestrone quadra-to risulta incorniciato da paraste, sotto, il portale in pietra e stucco. Alla sommità, un pannello maioli-cato che raffigura Santa Restituta vergine e martire è circondato da un festone anch’esso in stucco.

Da una analisi a vista, il degrado dell’apparato decorativo non sem-brava rilevante, ma a ponteggio allestito ci si è resi conto della reale gravità riguardante la condizione degli stucchi.

La fascia basamentale in piperno è stata interessata da un intervento di pulizia con microsabbiatura e da integrazioni materiche. Per quanto riguarda l’interno della sala litur-gica, l’apparato decorativo ligneo ( cassettonato, colonne binate, pul-pito, balaustra) , è stato interessato da un consistente intervento anti-parassitario effettuato con la tec-nica della termo induzione a cura della ditta CIART specializzata in questo tipo d’interventi.

Diversamente le suppelletti-li come quadri, statue, candelieri sono stati oggetto di trattamento in anossia, ovvero con sottrazione di ossigeno» (Arch. Antonio Nar-delli).

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terali, più semplici, sono stati tutti comunque interessati da interventi di risanamento degli intonaci am-malorati. La copertura della chiesa è stata oggetto di interventi di re-gimentazione delle acque pluviali al fine di evitare il ristagno sugli intonaci e sulle superfici decorate. La facciata principale presenta un registro decorativo composto da doppie lesene per lato poggianti su una fascia basamentale in pietra e forniti di capitelli in stucco agget-tante con trabeazione e timpano so-

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Ischia occultadi Salvatore Marino Iacono e Daniela D’Amato

Editore Youcanprint, pagine 274, 2017.

A distanza di anni dall'uscita di “Epomeo, figlio di Agarthi” vede finalmente la luce il suo seguito: Ischia occulta. In questo lavoro, gli autori, rendono pubbliche le loro ricerche, frutto del loro ini-ziale lavoro la cui prima edizio-ne vide la luce nel lontano 2012. Vengono affrontati tutti i misteri legati all'isola d'Ischia, conosciuti e non, grazie a dialoghi intercor-si tra gli autori e le proprie guide Spirituali. Un libro esoterico che può, all'occorrenza, essere letto

da tutti come un libro di racconti fantastici dove realtà e fantasia divengono una soa cosa.

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chia le sue caratteristiche casette multicolori; mentre i casolari de La Martofa, di Ruffano, de La Madonnella - i quali sembrano essere rimasti indietro in questa fuga improvvisa verso il mare - s’indugiano un po’ storditi fra tanto sole, fra tanta pace, fra tanta verde so-litudine, incerti se sostare, se continuare nel-la discesa, o ritornare. Anche per chi viene dal mare e guarda Ischia dal settentrione, è sempre l’Epomeo che domina dall’alto. Ma qui i paesi si profilano, per lo più, lungo il vasto e sinuoso litorale. Solo Campagnano ha preferito arrampicarsi sull’alto della sua collina per affacciarsi - assolato e solitario - al balcone d’oriente. Forse per far dispetto a Forio che, altera e disdegnosa per le sue tor-ri saracene, aveva voluto tutto per sé il gran balcone fiorito di occidente?

Specchiantesi nel mare azzurro e profon-do, vedi Ischia col suo bruno, antico, turrito Castello e, lungo la costiera del settentrio-ne, Porto d’Ischia, immensa coppa di opale, coronata di pini, di aranci, di viti, di case; la collinetta di S. Alessandro reclina verso il mare sottostante, che mormora ancora qual-che verso del Lamartine; e il Castiglione, che s’è arrestato a mezzo cammino, incerto se restare con Casamicciola o avviarsi verso Porto d’Ischia.

Casamicciola ha tutto l’aspetto di un pic-colo grande presepe. Sembra far tutt’uno con Lacco, l’ameno paesino di poche, piccole, basse casette, baciate dal sole. Il più impor-tante e il più abitato, non l’unico.

Anche su la spiaggia dei Maronti, così ricca di sole, di fumarole, di stufe, di fonti termali, sorgevano assai modeste costruzioni romane, o resti di non cospicue costruzioni romane: forse qualche piccola villa, forse delle minuscole terme, andate poi distrut-te per le frequenti commozioni telluriche. Certo, a quell’epoca, Testaccio con le sue rinomate stufe, e Barano e Buonopane, con le famose sorgenti di Nitroli, detenevano quella rinomanza e quel primato che, molto più tardi, ha avuto e conserva Casamicciola e, dopo l’avvento del Cav. Angelo Rizzoli, anche Lacco Ameno. Un altro centro poteva essere il Castello, e certamente lo erano le collinette di S. Alessandro e del Castiglione; ma erano dei centri minori, e soprattutto ru-rali, in confronto di Lacco che, per estensio-ne e abitanti, era il maggiore.

In Lacco, Monte di Vico - che era stato per secoli la città vera e propria, l’acropoli come allora si diceva, e in gran parte custodiva integri, terme, delubri, ninfari, villette, co-lombarie - si poteva chiamare, ancora, in un certo senso, città viva, non perché ospitasse i cittadini, che invece si erano trasferiti dalla prima metà del I secolo a. C. su le colline di fronte, più remote dal mare e meno in vista, ma solo in confronto di S. Montano, che era stata sempre la necropoli, la città morta.

(p. p.)*

Ischia - Casamicciola - Forio Lacco Ameno - Testaccio.....

di Pasquale Polito

Pubblichiamo questo scritto di Pasquale Polito, per ricordarlo nel centodecimo anno della sua nascita (Serrara 28 gennaio 1907 - 1994): la sua fu una vita dedicata, oltre che al sacerdozio, alla cultura: scrisse la prima biografia del parroco Giusep-pe Morgera, studiò le figure di viaggiatori illustri che soggior-narono a Casamicciola (Lamar-tine, Ibsen, Renan), pubblicò una monografia di Lacco Ame-no, fu tra i fondatori del Ceen-tro di studi su l'isola d'Ischia. Si cimentò con successo anche nel campo poetico e narrativo.

Quest’ Isola, dalla superficie di 46 chilometri quadrati e dalla popolazione di 37.000 abitanti, ha la figura di una piramide tronca. Da qualunque dei quattro angoli dell’orizzonte la si guar-di, è sempre il Monte Epomeo, con il caratteristico eremo scavato nella roccia, che biàncica e domina dall’alto. A guardarla dal mare, che si allarga davanti alla costiera del mezzogiorno, all’altezza della Torre di Sant’Angelo, sfugge all’occhio il più alpestre dei paesi: Fontana, che s’avvalla tra le pendici dell’Epomeo e Serrara.

Serrara, invece, si fa avanti burbera e accigliata con l’aria delusa e stanca di un castello me-dievale. Pare che voglia dominare ancora su Barano e Testaccio ad oriente, su Ciglio e Panza ad occidente, e non si avvede che anche il minuscolo paese di Sant’Angelo le ha voltato le spalle per fuggirsene verso l’azzurro mare infinito, che gli si apre dinanzi e nel quale rispec-

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Archivio Diocesano di IschiaCronache religiose dell’episcopato di Felice Romano

Dal diario del cerimoniere vescovile di Ischia Canco Aniello Sassone

A cura di Agostino Di Lustro ed Ernesta Mazzella

Cronaca del 10 marzo 1859: bene-dizione della campana della Cat-tedrale

[p. 47] Oggi che sono il giorno 10 Marzo 1859 il Nostro Ill.mō [Illustrissimo], e R. mō [Reveren-dissimo] Monsignor Vescovo D. Felice Romano, verso le ore quattro pomeridiane calò nella sua Chiesa Cattedrale, in cui trovò una Campana in mezzo della Chiesa preparata per consacrarla, ivi si rattrovarono de’ Canonici ed Eddomadari, e così verso la indicata ora ebbe cominciamento alla Sacra cerimonia, che fu eseguita con tutte quelle rubriche, che prescrive il Pontificale Ro-mano all’uopo: la detta Campana, è la terza, che esiste nel Campanile della chiesa Cattedrale fatto per munificenza del Nostro Sovrano Ferdinando Secondo, che Iddio sempre feliciti; essa è del peso di un cantajo, e rotole 16, il Batacchio è di rotolo quattro, che le fu dato il nome di S. Restituta Ver-gine e Martire, principale Padrona di tutta l’isola, come benanche sta scritto nel … della medesima coll’immagine della Stessa Santa: nel mentre che si eseguiva la Sacra Cerimonia intervenne molto popolo, tanto che il prelato Monsignor Vescovo, terminata che fu la Sacra funzione fece un sermo-ne al popolo adattato alla circostanza, spiegando l’origine, e ‘l fine perché la Chiesa ha usato, e sta usando i Sacri bronzi e tante altre erudizioni indi diede la sua Pastoral Benedizione al Popolo, e così terminò la Sacra funzione.

Aniello Can.co Sassone Canc.re V. (Vescovile)

Cronaca dell’8 luglio 1860: dedi-cazione della Cattedrale

[p.58] Oggi li 8 Luglio 1860La Regia Chiesa Cattedrale d’Ischia ha avuto

la sua esistenza sul Forte d’Ischia sin dal decimo primo Secolo, ed a causa della Spedizione Anglo-Sicula, mirando a riconquistar Napoli, che appro-dò in quest’isola nel 1809, e per la qual causa la Chiesa Cattedrale fu devastata in parte dalla guer-

ra, che poi i Canonici d’allora furono costretti a supplicare il Re, e così ebbero la presente Chie-sa, che pria apparteneva agli Agostiniani, la quale nell’anno 1810 fu accomodata a modo di Chiesa Cattedrale, e principiato ad ufficiare da quest’epo-ca in poi. Ora l’attuale Vescovo Monsignor D. Fe-lice Romano zelantissimo dell’onor di Dio, e della Casa del Signore, il qual fin da principio che pose il piè in questa sua Diocesi manifestò il desiderio di consegnarla, ed infatti essendosi occupato a far fare le cose necessarie all’uopo, cioè le Croci di marmo, e Cornocopii di ferro fuso con mistura indorata posti ai pilastri maggiori della Chiesa in n° di 12, giusta il Pontificale Romano, ed un ac-comodo generale alla medesima. Oggi, che sono l’otto del mese di Luglio del volgente anno 1860 il prelodato Monsignor Vescovo è calato dal Suo Vescovil Palazzo con Rocchetto, e Mantelletta con tutto il Seminario, e si è portato nella Arciconfra-ternita di S. Maria di Costantinopoli di [p.59] que-sta Città in dove il giorno avanti furono riposte le Reliquie de’ Santi Martiri: Saturnino, Aurelio e Deodata, ed intonata l’Antifona De Remiscemini dalli Canonici, ed Eddomadarii alternativamente si sono recitati i Sette Salmi Penitenziari, in que-sto frattempo il Vescovo si è vestito de’ paramenti Pontificali, terminati i quali si è portato con tut-to il Capitolo, e Seminario avanti la Porta grande della Chiesa Cattedrale, ed ha dato principio alla Sacra commovente funzione della Consegrazione della Chiesa Cattedrale in dove ci era in piazza un numeroso popolo, che religiosamente assisteva alla grande funzione.

La Sacra funzione ebbe cominciamento in đ [detto] giorno di sopra verso le ore 10 d’Italia, ed il suo termine fu verso le ore 14 ed un quarto; fu-rono cantate tutte le Antifone, e Salmi, che sono nel Pontificale Romano per una tale funzione; ma prima che doveva entrare la Processione colle Re-liquie de’ Santi Martiri, il prelodato Vescovo, fuori la Porta Maggiore della Cattedrale assiso sul Fal-distrono fece un commovente Sermone al popolo, che era radunato in piazza adattato alla circostan-

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za. Una tale Solennissima funzione della Congre-gazione della Chiesa Cattedrale riuscì commoven-te assai per tutti, perché non mai veduto in questa Città, quindi si è formato il testimoniale, che qui si alliga firmato dal prelodato Vescovo e da me Sot-toscritto Cancelliere Aniello Canonico Cancelliere

Felix Romano Sacrae Theologie doctorDei et Apostolicae Sedis Gratia Episcopus Isclanus

Universis et Singulis, ad quod pertinet, notum facimus, ac testamur, quod Nos hodie Octava mensis Iulii Anni Millesimi Octingentesimi Sexa-gesimi (1860) de mane hora autem decima italica accessimus in Nostram Ecclesiam Cathedralem

Isclanam, et Secundum, et Coeremonias in Ponti-ficali Romano praescriptas Consecravimus Eam, et Altare Maius, in honorem SS.mae Beatae Ma-riae Virginis in Coelum Assumptae, et S.a Resti-tutae V. M. Patronae totius Diocesis, et S. Ioannis Iosephi de Cruce, Patroni huius Civitatis Ischiae; Et in medio Altaris possuimus Reliquias Sancto-rum Martyrum, Saturnini, Aurelii, et Deodatae; Singulis Christi Fidelibus hodie unum annum, et in die Anniversario Consecrationis huiusmodi, ipsam Ecclesiam Visitantibus quadraginta dies de vera Indulgentia, in forma Ecclesia consueta, concessimus.

Nos insuper considerantes plura Decreta S. R. C. ac Dedicatione Ecclesiae, volumus et declaramus, ut in ordinario huius Dioecesis in quolibet anno in hac dicta die fiat Uffitium Dedicationis Nostrae Ecclesiae Cathedralis Isclanae cum Ritu duplici Prima Classis, incipiendo a primis Vesperis, pro tota Dioecesis Pro Nostra Ecclesia Cathedrali tantum cum Octava celebretur, idest a Canonicis Heddomadariis, et Presbiteris in dicta Cathedrali. Pro hac Civitate, et tota Dioecesi celebretur sine Octava. Et ita volumus, et decloravimus in perpe-tuum.

Datum Ischiae ex Episcopali Palatio, die mense, et anno, ut supra.

Felix Episcopus Isclanus Agnellus Can.us Sassone Canll.us Ep.us

La CattedraleLa chiesa di Ischia o «Insulana», nel corso della sua

storia quasi millenaria, ha avuto, forse, addirittura quattro cattedrali. La prima, sicuramente, era ubicata nel villaggio medioevale che si estendeva su parte dell’area oggi chiamata «Arso» e fu distrutta dalla colata lavica della eruzione di Fiaiano nel 1301 o 1302; la seconda, forse, per un certo periodo, fu costituita dall’attuale cripta della cattedrale del Castello sulla quale nel corso del secolo XIV fu costruita la terza cat-tedrale dedicata all’Assunta; la quarta è quella attuale.

Nel corso dello scontro tra le armate francesi e anglo-borboniche avvenuto nel canale di Ischia nel giugno 1809, tentativo di riconquista del regno di Napoli ten-tato da Ferdinando IV di Borbone, la cattedrale del Ca-stello fu colpita da alcune bombe che ne provocarono lo sconquasso e la successiva profanazione del luogo sacro nonché la devastazione da parte dei ladri e dei soldati. Il Capitolo, subito dopo questo disastro, chiese ospi-talità agli Agostiniani per poter celebrare nella loro chiesa di Santa Maria della Scala l’ufficiatura corale.

La convivenza però durò solo qualche mese a causa della soppressione delle Corporazioni Religiose so-pravvenuta nell’agosto 1809 con il successivo allonta-namento degli Agostiniani e l’incameramento di tutti i loro beni da parte dello stato. Così venne a crearsi una situazione nuova. I Canonici e il Vicario Capito-lare Giosuè Mazzella, che reggeva la diocesi, la quale era priva del vescovo fin dal dicembre 1799 e lo resterà fino al 1818, avendo constatato amaramente che non era più possibile rimettere in sesto la cattedrale sul Castello, avanzarono supplica al Re perché concedes-se loro l’ex chiesa degli Agostiniani per trasformarla in nuova cattedrale. Essi sottolinearono che la diocesi d’Ischia era di regio patronato e quindi era dovere del Re provvedere sia la diocesi che il Capitolo di una cat-tedrale adeguata alle esigenze delle celebrazioni corali nonché vescovili. Così Gioacchino Napoleone, re del-le Due Sicilie, con decreto datato da Parigi 17 genna-io 1810, concedeva al Capitolo d’Ischia la chiesa di S. Maria della Scala «con tutti gli arredi sacri, utensili, e suppellettili, che nella chiesa medesima vi sono per stabilirci la chiesa cattedrale». I Canonici, quindi, da ospiti della chiesa di S. Maria della Scala si trovarono ad essere i proprietari della chiesa e subito intraprese-

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ro, sebbene tra gravi difficoltà economiche, l’indispen-sabile adattamento della struttura alla nuova funzione che doveva svolgere. L’opera di abbellimento, restauro e adattamento della chiesa alla nuova funzione che il capitolo dovette subito intraprendere, fu continuata ad opera dei vescovi, a partire da Giuseppe d’Amante (1818-43) che, dopo quasi diciannove anni di vacanza della diocesi, venne a riannodare i fili della successione dei vescovi «Insulani», e poi di tutti gli altri che si sono succeduti fino ad oggi.

La monumentale chiesa che noi oggi vediamo, è la terza che gli Agostiniani di S. Maria della Scala hanno realizzato nel corso della lunga storia del loro conven-to, fondato nella seconda metà del secolo XIII. Molti furono i loro benefattori per cui il convento venne a trovarsi beneficiario di un vastissimo patrimonio im-mobiliare che procurava una grandissima rendita an-nuale. La chiesa medioevale fu ricostruita nel primo decennio del secolo XVII ma, per motivi vari, soprat-tutto a causa della vicinanza con il mare e il fenome-no del bradisismo qui molto accentuato, fu necessario ricostruirla ancora una volta nel quarto decennio del secolo XVIII. Il progetto e la direzione dei lavori venne affidata ad Antonio Martinetti, o Massinetti. L’opera era ormai completa l’11 luglio 1752 quando l’ingegne-re firmò la perizia finale tecnica e finanziaria dei lavori effettuati. La decorazione a stucco fu realizzata negli stessi anni da Cesare Starace che, da solo o con il fra-tello Francesco, ha creato altri capolavori di decora-zione in parecchie chiese dell’isola d’Ischia. Le grandi pale del transetto e dell’abside, insieme con altre tele sistemate nelle cappelle laterali, sono opere di Giacinto Diano realizzate negli anni 1759 e 1760, mentre il S.

Giuseppe sul secondo altare della navata di sinistra è opera del pittore Alfonso di Spigna (Lacco 1697-1785). Delle poche cose salvate dall’antica cattedrale o da altre chiese del Castello e qui conservate, bisogna ricordare il Crocifisso ligneo della seconda metà del XIII secolo, restaurato di recente, proveniente dalla cappella del SS.mo Sacramento dell’antica cattedrale, di patronato della città d’Ischia, nella quale vi era anche una con-fraternita dallo stesso titolo. La venerata icona della Madonna della Libera, dipinta su tavola e portata qui dall’omonima chiesa del Castello è stata solennemente incoronata dal vescovo Ernesto de Laurentiis (1929-1956) il 7 settembre 1930. I marmi che costituiscono il battistero, nel quale è stato battezzato il 15 agosto 1654 Carlo Gaetano Calosirto, futuro San Giovan Giuseppe della Croce, provengono in parte dal grandioso e sceno-grafico mausoleo di Giovanni Cossa, che si trovava sul-la porta d’ingresso dell’antica cattedrale, smembrato già nel corso del secolo XVIII per far posto all’organo. Nel corso delle razzie effettuate nel 1809 dopo il bom-bardamento della cattedrale, ci fu una ulteriore disper-sione dei marmi di questo e di altri monumenti medio-evali che in essa si trovavano. I pochi marmi superstiti sono conservati oggi nel Museo Diocesano ubicato nel Palazzo del Seminario. Il coro ligneo dei canonici fu re-alizzato subito dopo la concessione da parte del re della chiesa per far fronte alle esigenze della liturgia cora-le. L’altare maggiore e la balaustra sono opera di un ignoto artista napoletano, commissionati dal vescovo Felice Amato nel 1757, mentre quelli delle navate late-rali furono realizzati dal vescovo Giuseppe D’Amante (1818-1843). L’altare ligneo (coram populo) voluto dal vescovo Dino Tomassini (1962-1970) dopo la riforma liturgica del Concilio Vaticano II. Su questo altare ha celebrato San Giovanni Paolo II, il 5 maggio 2002 in occasione della visita pastorale alla Chiesa di Ischia. La cappella del SS.mo Sacramento con il trono per la venerata icona della Madonna della Libera, che è stata portata qui dalla sua chiesa esistente sul Castello dopo la profanazione avvenuta nel 1809 insieme con il pavi-mento marmoreo e la zoccolatura di tutta la chiesa, è stata realizzata durante l’episcopato di Mario Palladi-no (1901-1913). La chiesa fu solennemente dedicata l’8 luglio 1860 dal vescovo Felice Romano che, oltre al ti-tolo dell’Assunta alla quale era dedicata anche l’antica cattedrale, aggiunse quello dei santi patroni Restituta d’Africa e Giovan Giuseppe della Croce, francescano alcantarino, nato a Ischia, nel borgo di Celsa, a pochi passi dall’odierna cattedrale.

A. Di Lustro – E. Mazzellain

http://www.museodiocesanoischia.it/la-cattedrale

Per approfondire si consiglia A. Di Lustro, Ecclesia major insulana la cattedrale d’Ischia dalle origini ai nostri giorni, Forio Puntostampa 2010.

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Ischia - Facciata della Cattedrale

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I

Ischia entra nella storia del Medioevo quando le sue coste assistono al « transit ratis miracu-lo / nulla duce vel gubernaculo»1, di una piccola barca con le reliquie di una giovanissima martire africana: Restituta. L’omerica Inarime, o Pithe-cussai per i Greci, certamente non «a simiarum multitudine, ut aliqui extimative, sed a figlinis doliorum»2 diventa «Aenaria3» nel periodo ro-mano per l’industria dei metalli che divenne l’at-tività primaria appunto in questo periodo, ma anche – secondo qualche studioso - per «parti-colari configurazioni geografiche venutesi im-provvisamente a prodursi in seguito ad assesta-menti vulcano-tettonici4». Questi porteranno a una lenta trasformazione dovuta, forse, anche al fatto che già dai tempi di Augusto l’Isola era sta-ta ceduta dall’imperatore ai napoletani in cambio di Capri. Ischia, quindi, rimase sotto il dominio di Napoli fino all’arrivo dei Normanni e ne seguì sempre le vicende.

Qui entrò il sistema napoletano dei «conti» e fu amministrata appunto da conti. Viene anche a crearsi una nuova toponomastica per cui le isole del golfo partenopeo (Ischia, Procida e il castello d’Ischia) vennero a costituire e ad essere indica-te con un nome piuttosto comune: «Insulae». A tutela dei diritti che «seniores et cives » di Napoli godevano su questi territori «de Insulis», inter-viene nel 598 papa Gregorio Magno con lettera al «defensor» della Sicilia romana perché Leonzio, ex console, si adoperi a salvaguardarle. Egli stes-so, quand’era apocrisario a Costantinopoli, aveva ottenuto dagli imperatori questi diritti5. Ma «la milizia napoletana, non sempre, fu efficace nella

1 G. A. Galante, Il LXXIX dell’era cristiana anno mortale di S. Aspreno primo vescovo di Napoli, in La Scienza e la fede IV, vol. XIII, fascicolo 671, anno 1879.2 Plinio, Naturalis Historia, III, 6, 82.3 Plutarco, Vita di Mario, 32, 40.4 P. Monti, Ischia archeologia e storia, Napoli 1980, p. 339.5 Gregorii Primi Registrum Epistolarum, 1, IX, p. 46 in M.G.H., Epistolae ed. Ewald e Hartman, I, Berlino 1957, 73

difesa dei suoi comitati agli assalti degli islami-ci: Ischia, Cuma, Miseno, come pure l’isola di Ro-vigliano e di Capri e, in prossimità della città, il “Castrum Lucullianum“, furono assalite ripetu-tamente; e poiché i Saraceni, fra l’altro, profana-vano le chiese e disperdevano le reliquie, “nam altaria Domini suffuderunt et reliquias sanctas disperserunt”6, si impose alla chiesa napoletana il compito di recuperare le reliquie dei Santi delle chiese locali»7. Tra l’intervento di papa Gregorio I e la nascita nel 763 del ducato napoletano, Ischia si comporta come Napoli nei confronti dell’impe-ro, conservando le varie forme di ossequio «an-corchè perlomeno da un lato puramente esterio-re, dimostrasse sempre verso la lontana Bisanzio profonda deferenza8». «Ma la milizia napoleta-na che pure fu efficiente nel salvaguardare la sede del Ducato dagli attacchi secolari dei Lon-gobardi, non sempre fu altrettanto efficace nella difesa dei suoi comitati dagli assalti islamici» per cui subirono spesso l’assalto dei saraceni9.

Per questo nel secolo IX in Campania si impose tutta una serie di traslazione di reliquie di santi tra le quali dobbiamo annoverare anche quelle di Santa Restituta che sarebbero state traslate nella nuova cattedrale di Napoli proprio in questo pe-riodo secondo il Monti10, ma che, a giudizio di D. Ambrasi, sarebbero giunte a Napoli già alla fine del V secolo insieme con quelle di altri santi afri-cani portate in Italia, e a Napoli in particolare, dai cristiani africani che emigrarono in Italia al se-guito del vescovo Quodvutdeus, in seguito eletto vescovo di Napoli. Certo è che mancano notizie

6 Sermo de virtute Sancti Constantii , ed. A. Hofmeister, in Munchener Museum fur Philologie des Mittelalteis der Renaissanse, 4 (1924) p. 251.7 N. Cilento, I rapporti fra Ischia e il ducato di Napoli nel medioevo, in "La tradizione storica e archeologica in età tardo-antica e medioevale; i materiali e l’ambiente", Primo colloquio di studi per il 17° centenario di S. Restituta, Napoli 1989, p. 99.8 G. Liccardo, Vita quotidiana a Napoli e il ducato di Na-poli nel Medioevo, Tempo Lungo Edizioni 1999, p. 8.9 N. Cilento, op. cit., p. 99.10 P. Monti, op. cit. p. 311.

Fonti archivistiche per la storia dell’isola d’IschiaA cura di Agostino Di Lustro

Colligite fragmenta, ne pereant

Insulana an Isclana Ecclesia?

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dirette sulla presenza di Santa Restituta sulla no-stra Isola anteriormente ai secoli X-XI, cioè ante-riormente alla compilazione della «Passio» che, secondo le ipotesi più accreditate, dovrebbe risa-lire al secolo XI. Alla stessa data bisogna riferire il codice che l’ha tramandata, cioè il codice segnato VIII –B-8 della Biblioteca Nazionale di Napoli11. Secondo A. S. Mazzocchi l’origine della vicenda narrata dalla «Passio» di Santa Restituta risali-rebbe al secolo VII, ricostruita su un testo più an-tico12. Potrebbe non essere un caso che le fonti più antiche parlino di Ischia e attestino la presenza tra noi delle reliquie della Santa già allora.

Parlando dei secoli dell’Alto Medioevo, possia-mo dire che Ischia comincia a essere stabilmente presente nella vicenda della storia nelle testimo-nianze documentarie a partire dal secolo IX. Seb-bene abbia subito certamente assalti e incursioni da parte di Longobardi, Mauri e altri, nei secoli del consolidamento del ducato di Napoli, e sebbe-ne le fonti documentarie tacciano su questo argo-mento, forse possiamo solo dire che la dizione di S. Gregorio Magno per indicare le isole del golfo partenopeo con il toponimo «de Insulis», si tra-sformi a poco a poco in «Insulanus» o «Insula-na» e in «Isclana», o in un una voce simile, fino a diventare «Isla - Iscla» . L’anno in cui la nostra «Insula» irrompe con forza nella storia d’Italia e dà l’avvio ad Ischia moderna, è l’anno 812, quan-do papa Leone III manda a Carlo Magno la se-guente lettera:

Domino piissimo et serenissimo victori ac trionphatori filio amatori Dei ac Domini nostri Iesu Christi Karolo Augusto, Leo episcopus Ser-vus servorum Dei

Scimus igitur vestram a Deo protectam im-perialem potestatem semper de integritate et exaltatione atque custodie matris suae sanctae Romanae Ecclesiae eiusque finibus sollertissi-mam habere sollicitudinem et ideo notum faci-mus serenitati vestrae ea quae nuper audivimus et ex parte certi sumus. Vestrae siquidem a Deo datae sapientiae incognitum non est quo illa nefandissima Agarenorum gens partibus Sici-liae anno praesenti venire consiliaverat. Nunc autem, sicut audivimus, in quibusdam Graeco-rum insulis coniunxerunt. Pro quibus vero misit

11 D. Mallardo, Le antiche memorie cristiane d’Ischia nella luce dei ritrovamenti paleocristiani in Lacco Ameno, in Ri-cerche contributi e memorie, atti del Centro di Studi su l’Iso-la d’Ischia, vol. I, Napoli 1971, p. 334.12 A.S. Mazzocchi, In Vetus Marmoreum Sanctae Neapoli-tanae Ecclesiae Kalendarium… commentarius, Napoli 1744, pol. II, p. 335

Michael imperator patricium et spadarios eum stolo ut contra eos Christo adiuvante dimicare debuissent. Cumque ipse patricius in Siciliam coniunxisset direxit missos suos per Beneventum ad Anthimum Neapolitanum ducem ut cum toto ipso Neapolitano ducatu qui illi obedire voluis-sent navale auxilium ire contempsit.

Kajetani tamen et Amalphitani aliquanta con-gregantes navigia in auxilio illius abierunt. Po-stomodum vere ut audivimus, ingressi sunti ipsi nefandissimi Mauri tredecim scilicet navigia, in insulam quae dicitur Lampadusa partibus Si-ciliae constituta et praedaveree eam. Cumque de praedicto Graecorum stolo septem navigia itidem explorando perrexissent ut se veritatem cognoscere potuissent comprehedentes eos Deos odibiles Mauri occiderunt illos et dum expectas-sent eos Graeci qui miserunt illos ad exploran-dum et minime essent reversi abierunt gene-raliter super eo et Christo miseranti totos illos iniquos Mauros occiderunt, ita ut nec unum ex iis vivum reliquerint. Porro et hoc relatum est nobis. Quadraginta naves de ipsis Mauris ve-nerunt in Insulam quae Pontias vocitatur ubi monachi residebant et praedaverunt eam. Post-modum vero egredientes de ea ingressi sunt in insula quandam quae dicitur Iscla maiore, non longe a Neapolitana urbe milliaria XXX, in qua familia et peculia Neapolitanorum non parva invenerunt: et fuerunt inibi a XV usque ad XII Kalendas Septembris et nunquam ibi Neapolita-ni super eos exierunt.Cumque totam ipsam in-sulam depraedassent, implentes navigia sua de hominibus et eius necessariis reversi sunt post se. Kajetani autem qui post desolationem iam dictae insulae ibidem fuerunt diserunt quod invenis-sent homines occisos iacere et granum et scirpha quae ipsi Mauri portare secum non potuerunt sed et caballos Mauriscos quos in suis ducebant navigiis occisos ibidem dimiserunt.

Ecce quaecumque audire potuimus de Grae-corum partibus, Serenitati Vestrae intimare cu-ravimus.

De nostris autem terminis insinuamus vestrae Tranquillissimae imperiali potentiae quia per intercessionem Sanctae Dei genitricis semper-que Virginis Mariae dominae nostrae et beato-rum Apostolorum Petri et Pauli et per Vestram prudentissimam ordinationem omnia salva et il-lesa existunt. A quo enim de illorum adventu ve-stra nos exhortavit serenitas , semper postera et litoraria nostra ordinata habuimus et habemus custodias; nosque cum nostris sacerdotibus in ecclesia fautoris vestri beati Petri apostoli om-

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nipotentis exoravimus clementiam ut suam san-ctam ecclesiam ab insidiis inimicorum custodire et defendere dignetur vosque ad exaltationem et defensionem eius per longa annorum curricula conservare et protegere iubeat atque ad gaudia aeterna per multa temporum spatia cum sanctis perducat omnibus.

Piissimum domini imperium gratia superna custodiat eique omnium gentium colla subster-nat. Absoluta VII Id.. Septembris .

Il papa invita l’imperatore Carlo Magno a farsi carico della sorte dei cristiani dell’isola d’Ischia perché i Mauri nei giorni dal 18 al 21 agosto «to-tam insulam depredaverunt»13. Benchè «familia et peculia Neapolitanorum non parva invene-runt», tuttavia i Napoletani non intervennero in sua difesa. Le navi di Gaeta vennero in aiuto dell’Isola, ma arrivarono quando la desolazione dell’Isola era già avvenuta, e trovarono uomini uccisi, grano e vettovaglie disperse e anche i «ca-ballos mauriscos» uccisi; gli assalitori li avevano lasciati lì perché le loro navi erano già cariche di preda. Il duca di Napoli Antimo, forse, non era potuto, o voluto, intervenire perché impegnato a far fronte agli assalti dei Longobardi guidati da Grimoaldo II14.

Quale aiuto abbia potuto costituire l’arrivo del-le navi di Gaeta per la popolazione dell’isola d’I-schia dopo il saccheggio e la strage di uomini e animali, non riusciamo a capirlo, anche perché le incursioni saracene contro l’isola d’Ischia, si ripe-terono, benché le testimonianze siano disconti-nue, sopratutto dopo la conquista mussulmana della Sicilia. Particolarmente crudele fu quando nell’anno 845 «multorum naves Saracenorum latrocinari per Italiam capientium Pontias deve-nerunt». Dinanzi alla reazione di Sergio, duca di Napoli, degli Amalfitani, dei Sorrentini e di Gaeta i Saraceni si asserragliarono a Punta Licosa e nel castello di Miano e di là avanzarono fino a Roma dove saccheggiarono le basiliche di S. Pietro e di S. Paolo15. Nella invasione di Ischia, i Saraceni questa volta misero in atto il loro consolidato me-todo di assalto alle terre che volevano devastare. Tale metodo, sotto molti aspetti, veramente cru-dele, ci viene descritto dalla «Vita Sancti Antoni-ni abbatis Surrentini16».

13 Leonis III Papae, Epistolae, X, 6 in M.G.H. Ep. Karol, III ed. Dumurler, 1899, pp. 96-9714 N. Cilento, op. cit. 10115 Cfr. Giovanni Diacono, Gesta Episcoporum Neapolita-norum, in M.G.H., SS. Rerum Lat. et Ital., I iv, p. 237 e ss16 Vita Sancti Antonini. cit. n. 20 in B. Capasso, Monumen-ta ad Neapolitarum ducatum pertinentia, I.

Questa volta vennero in aiuto degli abitanti dell’isola d’Ischia sia i napoletani che gli abitanti di altre città costiere della Campania.

Da questo anno, e per lo spazio di un secolo e mezzo, di Ischia non abbiamo più notizie e nep-pure di sue invasioni da parte araba, né le fonti documentarie si interessano in qualche modo di Ischia. Bisogna attendere l’anno 991 perché si torni a parlare di essa in due discorsi «de vita» e «de transitu Sancti Constantii». Le incursioni di questi anni sono opera di un capo arabo chia-mato «Boalino», traslitterato da A. Hofmeister in Aba Boalim, anche se il nome non si rinviene in Michele Amari17. Il suo primo obiettivo fu costi-tuito dalla Costiera Amalfitana dove occupò Ma-iori e Minori e dove distrusse «cunctas ecclesias atque altaria». Il duca di Amalfi tentò di fermarlo con dei tributi, ma essi «venerunt Pausitano. Sed ascendentes ex adverso Lauritani homines et vo-ciferantes et adversus eos desuper lapides mit-tentes, tremebundi discesserunt. Deinde vene-runt Tribus Serenis et contaminaverunt eamdem ecclesiam. In insula vero, que Gallus dicitur, qui-dam monachus erat Arsenius nomine et tres alii monachi et unus laicus. Cum voluissent ibidem conscendere, propter eos non potuerunt. Deinde venerunt Neapolim, sed minime potuerunt ibi descendere. Tunc furibundi pervenerunt in insu-la, quae Maior appellatur, et pugnaverunt for-titer contra ipsum Gironem et, cum non preva-lerent expugnare eum, confusi persequi cessave-runt. Sed multi sunt ex eis a lapidibus vulnerati. Tunc navicula Neapolitanorum, quae a Sardinia veniebant, comprehenderunt eam. Deinde cepe-runt furibundi per noctem transfretare in Capri-tanam insulam. Sed cum esset magna celi sere-nitas, subito facta est perturbatio magna et pro-cella maxime, et venerunt pluviae velut lapides. Exiit ventus vehemens, et perterriti sunt Agareni et nequaquam potuerunt Caprim adtingere, sed eiecti sunt in partes Lucaniae. Pensate – com-menta l’Autore – fratres Karissimi, quanta est virtus beatissimi Constantii»18. Di questo episo-dio parla anche l’autore del discorso «de transito Sancti Constantii» che, a sua volta, afferma tra l’altro: «Tunc iniiquus et perfidus Boalim arces-sitis monachis cepit dilegenter de Caprea in-sula explorare sed tunc dissimulavit se velle illuc pergere, quatenus securas eiusdem loci incolas faceret, ut subito super eas postmodum irrueret.

17 Cfr. M.G.H., Scriptorum tomi XXXI partis II, Fasciculus II, Lipsiae Impensis Karoli III. Hiersemann MDCCCCXXII, p. 1018.18 Ibidem, p. 1021-1022

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La Rassegna d’Ischia n. 6/2017 41

Dehinc peragrans in stabi descendere cupit, sed non ausus est propter magistrum militum, qui ibi cum suo latitabat exercitu. At retorquens omnia-que conquassus deinde Neapolim venit, sed cum descendere illuc non valere, in insulam devertit Maiorem ibique recessit. Inter hec die absceden-te et nocte adveniente cepit transfretare contra Capream insulam19». L’autore di questo «sermo» riferisce anche di un intervento miracoloso di San Costanzo nei riguardi di una devota «inco-la insulae Maioris». Infatti egli racconta: «Igitur dum incolae insulae Maioris, que marinis undi-que eque ut Capreae circumvolvitur fluctibus, Sanctissimi Constantii in sollepnitate ad eius tumbam more solito recurrerent, quidam ardore succensus femineo procuravit quandam suadere puellam, ut in nefario opere suum ei assensum tribueret…. Sed prephata puella non immemor almi presulis beneficiorum, funditus a suo corpo-re coniugium pellens, adhesit extunc perpetuae castimoniae Christumque sibi sponsum adop-tans confessori sancto templum in Maiore insula cum parentibus suis construxit: Donaque pluri-ma optulit et illic usque ad finem vitae suae feli-citer serviendo permansit»20.

Finora abbiamo potuto vedere più da vicino le fonti altomedioevali che si riferiscono all’isola d’I-schia indicandone i nomi, a volte leggermente di-versi, con i quali veniva indicata. Siamo partiti da Gregorio Magno che, quando parla «de Insulis», certamente vuole riferirsi almeno ad alcune isole partenopee, se non addirittura a quella di Ischia solamente e al «castello». Questo toponimo se si riferisce proprio all’isola d’Ischia, scompare con lo stesso pontefice, mentre per circa un secolo e mezzo le fonti documentarie e bibliografiche non ricordano per niente l’isola d’Ischia. Per questo non abbiamo alcuna possibilità di conoscere con quale nome venisse indicata. Certamente la voce «Aenaria» non scompare del tutto, anzi continua a essere usata ancora per alcuni secoli. Inoltre, anche se non attestato da documenti, tra il VI e il IX secolo dobbiamo supporre che, nonostan-te non esistano fonti documentarie, il toponimo generico «Insula», che viene usato per indicare la nostra Isola, subisca una lenta, ma continua, trasformazione fino a diventare «Iscla» con ag-giunta di «Majore» come notiamo nella lettera di papa Leone III. Fatto singolare però è che que-sto toponimo, almeno per qualche secolo, rimane

19 Ibidem, p. 1020.20 Leonis III Papae Epistolae, cit.

inutilizzato perché non lo troviamo usato in alcun documento o fonte letteraria; anzi in riferimento ai fatti dell’anno 845 la «Vita Sancti Constantii Abbatis», accanto all’antico nome «Aenaria», forse anche per meglio indicare la località, usa l’espressione «Insula Maior21». Altro aspetto da sottolineare è che questo documento e altri pro-vengono da un ambiente laico per cui non ancora intravediamo una qualche differenza tra la dizio-ne laica e quella religiosa nel nome di Ischia che, invece, subirà presto una notevole distinzione.

In questo periodo nei rapporti tra Ischia e Na-poli, dalla quale dipende, vi fu una linea di con-nessione «che si spezza solo quando i Longobar-di dell’interno minacciano direttamente il duca-to: i Napoletani non intervengono nell’812 per la guerra longobardica contro Antimo, ma inter-vengono nell’845 e nel 991 a difesa dell’Isola; c’è poi un periodo della vita del ducato, sotto Sergio II e il duca vescovo Attanasio, in cui i Napoletani stringono alleanza con l’impero mussulmano…. In quella occasione non è improbabile che Ischia e il “Castrum ad Mare“ (Castellammare) diven-tassero base d’appoggio per le navi arabe»22. Certamente nell’alto medioevo l’isola d’Ischia «è abbandonata nella miseria, oppressa dai “cives“ napoletani, terra di continui sbarchi saraceni»23.

Con l’inizio del nuovo millennio Ischia comin-cia a uscire lentamente dal buio che ha caratteriz-zato i secoli del precedente e diviene sempre più protagonista della storia che si svolge intorno al ducato napoletano. Sempre più si sente parlare di essa, almeno attraverso la testimonianza docu-mentaria. Prima testimonianza in tal senso è il fa-moso rogito del conte Marino Mellusi e di «The-odora regalissima comitissa iugalis»24. Questo è il primo documento che ci permette di conoscere Ischia un po’ più da vicino, la sua toponomasti-ca, i suoi monasteri, le strade che si intrecciano sul suo territorio. Il documento è redatto sotto il dominio di «Michaele magno imperatore hanno secundo. Die duodecima mensis magii indictio-ne quarte insule maioris». L’imperatore Michele che qui viene ricordato, è quello di Costantino-poli, Michele IV Paflagone (1034-1041), ed è il 12 maggio 1036, anno secondo del suo impero e quarta indizione. Questo richiamo all’imperato-re di Costantinopoli costituisce l’ultimo legame

21 Vita S. Antonini abbatis Surrentini... cit. p. 584.22 N. Cilento, op. cit. p. 104-10523 P. Monti, Ischia altomedioevale, ricerche storico-archeologiche, Ischia 1991 p. 4124 Regii Neapolitani Harchivi Monumenta, Napoli MCCCXLIX, voll. 2-3 doc. n. 367, pp. 269-73

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del ducato di Napoli con l’impero d’Oriente, non tanto per un significato politico, ma più che altro quasi affettivo, perché ormai non ha più alcun va-lore politico, dal momento che Napoli è un ducato del tutto indipendente.

Tralasciando il contenuto specifico del docu-mento, ai fini della nostra ricerca, dobbiamo sot-tolineare che «Insula Maior» è ancora il nome ufficiale dell’Isola. Questo aspetto viene sottoli-neato particolarmente dal documento perché più avanti, descrivendo le varie donazioni che ven-gono effettuate a vari monasteri, tra l’altro scrive che «a presenti die promptissima voluntate fir-mamus et tradidimus vobis domino petro ve-nerabili abati ipsius nostri monasterii et per te in eodem ymaginem: que statuimus in eodem ymaginem in eodem nostro monasterio. Idest integrum casalem nostrum qui nominatur at bi-cum, in qua nos indignis horatorium statuimus ha nobo fundamine had onore ipsius Christi virginis et martire restitute: situm vero in me-morata insula nostra que enaria vocitatur qui et insula maior dicitur».

Questo documento, inoltre, presenta altri due elementi che ci potrebbero portare a delle con-clusioni sulle quali non ancora è stata fatta, forse, piena luce ed è forse difficile darne una spiegazio-ne accettabile. Il testo continua a citare i confi-ni delle terre oggetto delle sue donazioni e così si esprime: «et ab alia parte quod est ab oriente terra petri ruxi et terra episcopatui nostri san-cte sedis ipsius nostre insule25». Quale significato dare a questa espressione non sono in grado di stabilirlo. N. Cilento ci vede l’esistenza, già all’ini-zio del secolo XI, di una sede vescovile ischitana26.

Continuando a esaminare la nostra fonte, ci im-battiamo , dopo circa cinquant’anni dal rogito del conte Marino Mellusi, in un altro documento che ci permette di capire con quale nome sia indicata la chiesa della nostra Isola fin dal suo nascere. Il 1° aprile 1083 il principe Giordano I con atto redatto da Capua, «subscripsimus manu nostra propria et nostri sigilli impressione iussimus sigillari27»

dispone che vengano confermati a Urso, abate del monastero «Domini Salvatoris in insula Ma-

25 Parte del teto del documento del 1036 è riportato anche in B.Capasso, op.cit. II, 458 pp. 282-284. Il testo è anche riportato in La Rassegna d'Ischia n. 2/2005 a cura di Gio-vanni Castagna.26 N. Cilento, op. cit. p. 106; A Di Lustro, Antiquiores In-sulani Episcopi, in La Rassegna d’Ischia, anno XXVII n. 4 agosto-settembre 2006 p. 3.27 I. Mazzoleni, Le pergamene di Capua, Napoli 1960, vol. II, parte seconda, pp. 1022 e sgg.

ris28 pertinentiis Neapolis», il possesso non solo dei beni che già possiede, ma anche altri soprat-tutto «confirmamus omnes quidquid vos pos-sidetis in Insula Iscle Maioris29». A noi qui non interessa tanto individuare l’entità e l’ubicazione di questi beni esistenti sull’isola d’Ischia nei qua-li si nasconde certamente anche l’indicazione di qualche villaggio in seguito sepolto dall’eruzione di Fiaiano del 1302, bensì il fatto che qui ricom-pare il toponimo «Iscla» , anche se accompagnato dal comparativo «Maioris» che verrà usato più volte in diversi documenti per indicare la nostra Isola.

Inoltre nell’aprile 1129, nell’imminenza dello scontro tra Ruggero il Normanno, che occupava saldamente Salerno, con Sergio VII «magister militum» e ultimo duca di Napoli, quest’ultimo volle stipulare con i Gaetani un contratto di tre-gua decennale garantendo la sicurezza di naviga-zione e di commercio all’intero popolo di Gaeta. L’atto venne sottoscritto con giuramento a nome anche delle popolazioni delle città vicine che fa-cevano parte del ducato. Tra queste troviamo an-che «scilicet hominibus in insula majore et gero-ne30». Qui ci imbattiamo ancora nella dizione di «Insula Major» a cui si aggiunge «Gerone» rife-rimento chiarissimo al «castello», come già nel rogito del conte Marino Mellusi del 1036, indice che esso assume sempre più importanza accanto all’«Insula Major».

Agostino Di Lustro

(I- continua)

28 Si tratta dello scoglio presso il lido di Napoli ai piedi del Chiatamone, oggi detto « Castel dell’Ovo » , legato a una leg-genda virgiliana. Nel Medioevo è stato sede di alcuni mona-steri, dei quali esistono ancora alcune celle dei monaci.29 I. Mazzoleni, op. cit., p. 1022.30 Tabularium Cassinense : Codex diplomaticus Cajetanus, Monte Cassino 1891, vol. II, p. 242 docc. CCCXVIII; Degli antichi duchi e consoli e ipati della città di Gaeta, P. D. Gio-vanni Battista Federici, in Napoli MDCCXCI, p. 493; G. d'A-scia, Storia dell'isola d'Ischia, Napoli 1867, p. 493.

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La Rassegna d’Ischia n. 6/2017 43

Ex Libris

Casamicciola, le acque minerali d’Ischiadel Cav. Giacomo De ConcinaVenezia, 1832

Cortese lettore

Lontano dal calcar l’orme rispettabili di quelli che analizzarono le acque termali e minerali dell’Agro Ischiano, e che pensarono poi d’illustrarle con iscritti ed osservazioni pregevolissime, sarà mio scopo prin-cipale di darvi una idea generale dell’Isola d’Ischia, di parlarvi de’ suoi abitatori, di mostrarvi i siti più conve-nienti per prendere i bagni minerali, le acque per bi-bite, le stufe, e finalmente di darvi ragguaglio de’ suoi prodotti, indicandoveli partitamente, col farvi cono-scere i mezzi di trasporto che nell’Isola sono comuni.

Mi persuado che queste brevi nozioni, scritte con semplicità e dettate da spirito di filantropia, verranno accolte con indulgenza da chi negli ozii di questo ri-dente soggiorno vorrà dedicarsi alla conoscenza degli oggetti che lo circondano, augurandogli io salute e pro-sperità.

Idea generale del suolo ischiano

L’Isola d’Ischia ha una circonferenza di dieciotto mi-glia, e riconosce i suoi principii dal fuoco; ed infatti le materie vulcaniche, di cui è composta, ne fanno am-pia fede. Non parlerò intorno all’epoche dell’eruzioni vulcaniche, lasciando da parte le favolose e chimeriche congetture; e però dal Castello d’Ischia cominciando le mie osservazioni, dirò, che fu edificato su d’uno sco-glio, ch’è circondato dal mare, e che ha di circuito poco più di un quarto di miglio. È un composto di lava e di tufo; diversifica in più luoghi apparentemente la pri-ma; ma la sua base è una rocca cornea; il suo aspetto esterno è terroso e nero; l’interno è bigio.

Il piano dell’Isola, benché non si presenti più che sotto l’aspetto il più commovente della miseria uma-na, non avendovi gli estinti vulcani lasciato che lave ammonticchiate l’une sopra le altre, è un suolo arido ed incapace di vegetazione; pure nel volger de’ secoli il tempo con la sua forza distruggendo tutto, e tutto rin-novando, offre oggidì, tutta l’Isola, un assai seducente quadro della natura la più ridente, considerato ne’ di-versi punti pittoreschi della medesima. È vero ch’essa non è che un prodotto di eruttazioni vulcaniche, ma è altresì vero che lo scompaginamento del suo terreno ha prodotto varie elevazioni, le quali oggi ridotte in col-linette che separate l’una dall’altra con magica e biz-zarra distribuzione, e rivestite coll’andar degli anni di vigneti e di arbusti, offrono all’osservatore uno spetta-colo singolare dell’industre e prodigiosa natura.

Una sola apertura vulcanica v’è rimasta, e questa serve nelle parti le più aride dell’Isola all’attivo ed ac-corto speculatore per trarne profitto, col porre a lucro quelle sue terre argillose che servono a formar vasi di creta, i quali si fabbricano a profusione nella spiaggia del mare, e nel circondario di Casamicciola, ch’è con-tornata di fabbriche a tal uopo erette. Si presenta come un anfiteatro, a chi viene dal mare, ed offre un aspetto ben interessante dell’industria del Paese.

Le acque sorgenti minerali dell’Agro Ischiano sono molte, ma queste s’incontrano dalla parte di Oriente, incominciando dalla città, da cui prende nome l’Isola, fino all’estrema punta del Laco1, e particolarmente poi nel territorio di Casamicciola. Nel rimanente dell’Iso-la si scarseggia d’acqua; e quale sia poi la ragione che nel solo tenimento di Casamicciola si trovino in copia acque dolci e minerali facile n’è, a mio credere, la di-mostrazione.

Casamicciola trovasi alle falde del Monte Epopeo, volgarmente chiamato San Nicola, e la composizione del suo terreno è particolarmente di lave irregolarmen-te sovrapposte le une alle altre. Stanno in queste delle fenditure per cui il suo terreno è pieno di cunicoli in-terni da’ quali hanno libero cammino le acque minerali fino al punto di Giorgitello presso il monte cosi detto della Misericordia, in cui poi riunite formano un per-petuo fiume2.

È una vera supposizione quella di trovarsi qui il zolfo, l’ammoniaco, e qualche altro effimero prodotto degli antichi incendi! di facile soluzione o dissipamento: le sole sostanze saline fisse vi reggono ancora, e special-mente l'alcali minerale che in certi determinati luoghi fiorisce copiosamente. L’Isola, generalmente parlan-do, può dividersi, rispetto al masso di cui è composta, in tre differenti categorie. La lava, o tutto ciò che può considerarsi sotto questa denominazione, è la prima ; e

1 Laco è un villaggio popoloso sulla riva del mare, che avrà circa 800 abitanti di popolazione. Passata la piazza, ossia in mezzo alla borgata, v’e il Bagno, così detto, di S. Restituta, proficuo a varii malori. L’aere di questa borgata è sanissimo, la sua posizione è a mezzogiorno e levante. È difeso dai venti di tramontana per essere alle falde del Monte Epopeo, detto di S. Nicola.2 Casamicciola era un villaggio sufficientemente bello, ed aveva comode abitazioni. Il terremuoto, flagello devastatore, l’ha colpito nell’anno 1828, ed ha fatto guasti innumerevo-li, per cui questa località fu quasi del tutto abbandonata da quelli ch’erano necessitati d’andarvi a prendere i bagni mi-nerali che si trovano sparsi nell’Isola.

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tale è infatti tutto l’Epopeo, ossia il monte di S. Nicola, ed ogni sua dipendenza; il Capo, cosi detto, dell’Impe-ratore. Il Pedale, e qualche altra parte della costa di Mezzogiorno e d’Oriente, sono formati di questo mate-riale. Le ceneri vulcaniche friabilissime, che si conver-tono con l’andar degli anni in tufo, e quindi in pietra, è la seconda: in fatti di tali, elementi è composta una gran parte interna dell’Isola dalla parte di Mezzogior-no. Il monte Testaccio, e quelli pure su cui poggiano i villaggi di Serano e Fontana, sono di egual tempera, e conseguentemente uniformi alla pietra napoletana. Le pomici finalmente, le pietre arse, ed i massi isolati, che talvolta vanno screpolando nelle loro basi, formano la terza classe delle tre proposte categorie. Di essi è for-mato il Monte Rottaro, e particolarmente quelle col-line che sono prossime alla sponda meridionale dell’ Isola.

Delle abitazioni

Testaccio altre volte era il centro dei forestieri, atte-se le acque minerali vicine, la salubrità della sua posi-zione, e le numerose abitazioni, che vi erano comode e bene ammobigliate. Ora tutto è sovvertito e cangiato. Le acque minerali non hanno più la loro originaria at-tività in quel luogo, ed i locali dei Bagni d’Ischia sono affatto negletti. Tra le abitazioni de’ particolari sono poche quelle che atte si trovino a ricevere con qualche proprietà gli stranieri. Dopo qualche lasso di tempo passarono tutti quelli che abbisognavano delle acque minerali di quest’Isola, al villaggio cosiddetto Laco: in fatti la posizione piana di questo villagio sarebbe la più adattata se meno ruvidezza e più ospitalità si trovasse negli abitatori; ma un soverchio spirito di speculazio-ne, che torna a danno dei forestieri, ha fatto si che que-sti abbandonando que’ pochi vantaggi che potevano ritrarre dalla posizione locale del Laco, si trasferirono ad abitare il piccolo villaggio di Casamicciola, in cui, per altro, pare a me, che si sieno ingannati, nella lusin-ghiera speranza di trovare più cortesia ed ospitalità : si eccettuino ì culti abitatori del villaggio stesso, a’ quali non mancano forme più civili di quelle che si ritrovano nel villaggio del Laco.

Casamicciola è il centro in vero dire dei Bagni e delle acque per bibite, e la sua posizione naturale essendo in monte, è salutare ed amena ; se non che una situa-zione alpina riesce alquanto incomoda e noiosa. Molti seguaci di Esculapio residenti in Napoli sono gli arbi-tri ed i direttori delle abitazioni di Casamicciola, forse senz’essere giammai stati sulla faccia del luogo, e senza conoscere i locali e le inclinazioni de’ proprietarii delle medesime; motivo per cui i seguaci d’Ippocrate met-tono spesse volte a un contatto spiacevole i clienti, e li espongono a ricevere trattamenti non proprii di un popolo incivilito.

Varie sono le abitazioni proprie e comode di Casa-micciola; ma è d’uopo che quelli i quali vogliono ap-profittarne si diano la pena di portarsi sulla faccia del luogo, di esaminarle personalmente, e di convenire in

prevenzione del prezzo delle medesime; e per fare ciò comodamente è opportuno prender un quartiere per due giorni all’albergo così detto della Sentinella3.

In questa posizione si possono prendere a discreto prezzo i bagni di S. Restituta, di Gurgitello, e dell’Oc-chio: li primi si pagano grana tre al barile, quelli di Gurgitello grana due, e lo stesso quelli dell’Occhio.

Le acque di Castiglione si pagano grana quattro per giara, avvertendo però che convien avere molta precau-zione per non esser ingannati da quelli che le vanno a prendere; poiché potrebbe accadere che invece dell’ac-qua di Castiglione si bevesse l’acqua del Cappone.

Rispetto agli oggetti di prima necessità, di cui si abbi-sogna per la giornaliera sussistenza, questi sono spesso cattivi, e di prezzo alterati sensibilmente dal loro va-lore ordinario. La negligenza dell’amministrazione ne sarà forse la cagione principale, e però sarebbe a desi-derarsi che si promovessero migliori discipline a con-forto degli abitanti, e di quelli che per oggetti di salute e di diporto vengono a soggiornare in questo villaggio.

Le Stufe di S. Lorenzo si hanno pure a discreto prez-zo, pagando per ogni stufa grana cinque, prendendone molte; e grana dieci prendendone una o due.

Degli abitanti

Gli abitanti dell’ Isola d’Ischia si dividono in Monta-ni, Medii e Littorali.

I Montani si riducono a piccol numero, e questi sono quei pastori, o custodi di mandre, che nelle stagioni di primavera e di autunno hanno cura particolare de’ be-stiami alle loro vigili sopravveglianze affidati. Costoro nell’inverno dedicano tutta la vigoria delle loro forze nell’alimentare i circoscritti terreni ed i vigneti, e in conservare que’ scarsi prodotti che raccolgono nella stagione estiva, e che formano la base del loro princi-pale sostentamento. Nell’autunno si dedicano al taglio dei boschi, e ad altri lavori che sono proprii della loro condizione.

I Medii, ed i Littorali sono gli abitanti della città d’Ischia, e dei villaggi tutti che sono nell’Isola. Era in questi ne’ passati tempi molta industria commerciale, e quantunque sia ora una stagnazione generale di af-fari, pure vi sono alcuni fra questi abitanti che sanno cogliere le circostanze del momento, ed approfittarne con sommo loro vantaggio. Quello ch’è dispiacente in questa popolazione si è, che non sa trarre partito dalle sue risorse, né conosce il modo urbano d’ accarezzare il forestiere, e di metterlo al coperto dalle vessazioni degl’insaziabili speculatori degli oggetti di prima ne-cessità.

3 La Sentinella è un fabbricato di privata proprietà, e, per quanto vien detto, appartiene al Console di Danimarca. Li forestieri di distinzione prendono alloggio in questo luogo, che viene giornalmente provveduto di tutto l’occorrente da Napoli. La decenza de’ locali gareggia con la proprietà del mobiliare; ma il prezzo delle stanze e dei cibi è alquanto ec-cessivo. Molti Inglesi si portano da Napoli a questo punto deliziosissimo per ivi passare l’estiva stagione.

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Non si ha gran cura di sopravvegliare nell’Isola agli oggetti annonarii, ma è presumibile che non sia per protrarsi più a lungo una trascuranza che alimenta il vizio, ed allontana il forestiere dal venir a passare la stagione de’ bagni minerali in una contrada sì piacevo-le e sì ridente.

Il Clero, generalmente parlando, ed in particolare i Parrochi, sono esemplari, e le pratiche religiose che sono in attività in tutt’i siti popolati tornano in loro elo-gio ed onore. Infatti il Vescovo, alla dottrina più sana riunisce tutte quelle belle qualità morali che sono pro-prie del suo carattere episcopale: moderato nelle sue idee, perché nato nella vicina Isola di Procida, è carita-tevole, e si presta con l’opera e col consiglio a, pro de’ suoi Diocesani, considerandoli indistintamente come suoi figli Dei prodotti

Il vino è il prodotto principale dell’Isola, dopo il qua-le vengono le frutta e pochi legumi. Il primo di que-sti prodotti, se con più industria fosse manipolato, e secondo i recenti metodi di fermentazione, potrebbe gareggiare con quelli di Francia e di Spagna, poiché le uve hanno molte parti zuccarine, e sono di squisito sa-pore; in fatti generandosi le viti su di un suolo sulfureo, i vini devono pure essere generosi, e di natura elastica e sulfurea.

I fichi sono pure di eccellente qualità, ma la inerzia degli abitanti non sa trarne quel profitto che si potreb-be ricavare dalla loro fermentazione; estraendone il liquore col passarli alla distillazione.

I pomi di terra allignano con successo, ma la loro coltivazione è ancora novizia.

Si prendono alle sponde dell’Isola molti pesci di ogni qualità e grandezza, ma i migliori vengono venduti in Napoli, e rare vòlte si possono acquistare.

De’ mezzi di trasporto

Volendo costeggiare l’Isola conviene servirsi del-le barche cosi dette Lance, o Feluche, ma per averle a buon prezzo conviene ricorrere nella vicina isola di Procida, poiché quelle di Casamicciola, e del Laco sono possedute da marinari assai avidi.

Nell’interno dell’Isola convien adattarsi alla cavalca-tura degli asini, essendo questo l’unico mezzo di tra-sporto reperibile in essa, ed è d’uopo servirsi di quelli di Foria, perché più snelli e vegeti, e meno affaticati degli altri.

Osservazioni e conclusione

Da questo breve Prospetto dell’Isola d’Ischia ognuno potrà facilmente formarsi un’idea, se non completa, al-meno generica della medesima. Mi è spiacente di fare qui per ultimo di pubblico diritto una cosa, che certa-mente non può fare elogio a chi ha seguito fin qui la Scuola Salernitana, e molto meno a chi è l’albo della medicina, e della chirurgia in questa più bella parte

delle italiane contrade. Si è sempre trascurato di fare il Giornale Medico delle guarigioni che hanno operato le acque minerali dell’Agro Ischiano, corredato di osser-vazioni istruttive intorno alla maniera con cui si sono operati que’ tanti prodigii, che resero quelle acque sì celebri nelle parti le più lontane dell’Europa; ché in vero vi si arrecarono espressamente dalle parti più re-mote del Nord soggetti di distinzione, e teste coronate, onde ripetere da queste acque la loro guarigione. Non è da passarsi sotto silenzio neppure la fantasia di un se-guace d’Ippocrate, il quale, non so per quale capriccio, o considerazione, si rendette sollecito di trarre in Foria tutti quelli che a lui ricorrevano, asserendo che ivi con più comodo e a minor prezzo si possono prendere tutt’ i bagni del suolo Ischiano, e far uso delle acque di bibi-te che in esso si trovano.

Ed ecco tessuto il quadro che io mi sono proposto nella prima pagina di questo libretto. Uno scrittore più felice di me potrà meglio soddisfare scrivendo intorno all’origine ed all’istoria delle acque minerali d’Ischia, occupandosi, mediante il soggiorno nell’Isola, della co-noscenza degli oggetti che lo circondano. A me basta l'aver posto il Lettore in avvertenza su ciò che conviene fare per ripararsi dagli errori o dalle insidie di qualche speculatore.

Memorie per servire alla storia letteraria e civile, volume ottavo, Venezia 1794

L’isola d’Ischia occupa il quinto capitolo. Noi, secondo l’instituto che ci siam prefissi nel nostro Giornale, ci contenteremo di dare un trasunto di alcune delle cose più osservabili. È indubitato che questa Isola riconosce la sua origine e i suoi progressi dal fuoco, non potendosi dare un passo in essa che non s’incontrino tufi vulcanici, vetri, smalti, pomici e lave. La più recente fra tutte l’i-gnee eruzioni si è quella dell’Arso, che sbucò di sotterra e corse al mare nel 1.302. Non ha sensi-bil cratere, ma il sito donde scaturì è un’angusta squarciatura alle radici del monte Tripeta. Mal-grado l’essere quasi cinque secoli che questa lava fluì, pure su di essa non nasce ancora un filo d’er-ba, e qua e là soltanto è coperta d’aridi ed inutili licheni. Nota l’Autore qui essere accaduto un fe-nomeno radissimo ad intervenire in altre erutta-ziomi.

I feldspati sono quel genere di pietre, di che sogliono abbondare le lave. Ma laddove la dose di queste va soggetta a liquefazione, i rinchiusi feldspati rimangono intatti. Non così è accaduto a molti di quelli della lava dell’Arso. Se adunque

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questa lava prendasi nel centro della corrente a qualche profondità, l’avvenuta liquefazione nei feldspati è manifestissima. Quelli poi che non hanno patito fusione, portano manifesti segnali d’una forte calcinazione, essendo grandemente friabili, e perduto avendo quel lustro cangiante, che caratterizza tal pietra. Per questa calcinazione i cristalli feldspatosi bene spesso più non conser-vano la loro interezza ma nell’interno della lava veggonsi riadatti a minuzzoli. Dalla calcinazione seguita nei feldspati, e molto più dalla loro fusio-ne, l’Autore a giusta ragione inferisce, che il fuoco produttore della eruttazione dell’Arso esser dove-va fortissimo.

Quantunque quest’isola in più luoghi contenga delle pomici, non evvi però angolo che più ne ri-bocchi quanto il Rotaro. Si è questo un monte co-nico, la maggior parte composto di tufo, di pomi-ci, di smalti. Si vede questa essere stata una erut-tazione fangosa, divisa in più strati, conoscibili singolarmente nella via del Rotaro. Di mezzo a questi strati giace adunque un prodigioso nume-ro di pomici varianti nella mole, ne’ colori, nella densità, ma non discordanti nell’esser tutte d’in-dole fibrosa. La loro estensione, presa in dirittura della via del Rotaro, oltrepassa il miglio, e i luoghi più elevati per ogni parte ne abbondano. Quindi sarebbe agevolissimo il farne raccolte tali, onde in Italia fornire agli usi, a cui destinata viene cotesta produzione del fuoco.

Il monte di S. Nicola, ne’ tempi andati chiamato Epopeo, è il centrale dell’isola, ed il più alto di tut-ti; quindi secondo l’Autore è più che verisimile che sia stato il primo ad uscire dal mare, potendosi, siccome egli osserva, statuir quasi come canone, che fra i monti di varia elevatezza formanti le iso-le vulcaniche, quello che gli altri soperchia, e che d’ordinario si solleva nel mezzo, sia stato il primo a prodursi dal fuoco, e che gli altri circostanti e più bassi si sieno generati in seguito per erutta-zioni consecutive, fuori cacciate o dal cratere del monte primitivo, o da crateri laterali e più bassi. Una volta in Ischia si cavava abbondantemente l’allume, e secondo il ch. sig. Andria, professore in Napoli, i materiali per l’estrazione di questo sale si prendevano in Catrico, situato nelle mag-giori eminenze dell’Epopeo. Egli avvisa però nel suo libro dell’Acque Termali, che a dì nostri più non ritrovasi vestigio di tale prodotto. Ito l’Autore sul luogo, e presi di quei materiali (che sono lave compatte e bianchissime, più, o meno decompo-ste dai vapori solforosi) confessa che non gli fece-ro allora sentire al gusto il sapore dell’allume, ma che recati avendoli seco a Pavia, e lasciati per più

mesi all’aria libera, trovò che quelli che dai nomi-nati vapori erano stati più alterati, manifestavano la presenza di questo sale, giacché la lingua sen-tiva il sapore sdolcinato e astringente, e l’occhio vedeva il velo bianco e sottilissimo del medesimo, che per ogni dove copriva coteste lave. Con le chi-miche prove si accertò sempre più della verace natura alluminosa. Per questi suoi esami dimo-stra egli adunque esistere oggigiorno in Ischia questo sale sì interessante. Che se andando sul sito, né all’occhio né al gusto non si palesa, non è punto a stupire, giacché le rugiade, l’umido della notte, e più assai le piogge lo sciolgono, e seco via lo portano a mano a mano che fiorisce. E siccome le lave generatrici di esso abbondantissime sono su l’Epopeo, non può cader dubbio che questo ramo di commercio, per sì lungo tempo in Ischia interrotto, non potesse all’età nostra vantaggiosa-mente repristinarsi.

Ma il N. A. non fu pago di esaminare l’interiore dell’Isola. Quando divisò di espiare Ischia e cia-scuna dell’isole Eolie, stabilì d’indagarle, anche per attorno alle falde, arrestandosi a que’ luoghi ch’esser fruttuosi potevano per le filosofiche sue ricerche. Così gli è riuscito di scoprire diverse vul-caniche produzioni, che indarno cercato avrebbe nell’interno dell’Isole. Girando adunque il litora-le d’Ischia, fa distinta menzione dei diversi cor-pi vulcanizzati ne’ quali si è abbattuto, quindi gli cade il destro di far parole delle varie correnti di lave che dall’alto dell’isola sono una volta precipi-tate nel mare.

In queste sue escursioni poté fare una rilevante osservazione intorno all’arena ferrea disseminata in più angoli d’Ischia e copiosissima alle sponde del mare.

Cotesta arena, in Napoli è conosciutissima, ma ignoravasi una sua qualità discoperta dal N. A. Egli da prima, credeva, con la comune dei natu-ralisti, che fossero minutissime molecole di ferro affatto informi. Tali si offrono all’occhio nudo, ma se vestito venga, di buona lente, con gioconda sor-presa si scorge che ogni granellino è un frammen-to d’un cristalletto di ferro specolare, o un cristal-lino compiuto egli stesso.

Termina queste sue osservazioni con una im-portante considerazione sopra i materiali vulca-nici d’Ischia.. Questi diversificano dal rimanente degli altri Campi Flegrei. A riserva del Vesuvio, l’estesa pianura su cui riposa Napoli e i colli che lo attorniano, i crateri del lago d’Agnano. e d’A-verno, assai tratti della Solfatara, Monte Nuovo, il Promontorio di Miseno, Procida, ec. cono il risul-tato di sostanze tufacee, laddove la più parte de’

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La Rassegna d’Ischia n. 6/2017 47

materiali d’Ischia sono composti di diverse rocce, e sopra tutto di quelle di corno. Le materie adun-que che hanno fornito l’alimento ai diversi incen-di di quest’isola, avevano il loro centro in quelle

rocce argillose, le quali, trovandosi pure nell’eru-zione del 1302, danno a vedere di non essere an-cora esauste.

Versione letterale dell'I-liade - Opere dell'abate Melchior CesarotiTomo II, volume XI, Firenze 1804

.......e, sotto, la terra gemea come sotto Zeus folgoratoreirato, quando intorno a Tifeo flagellava la terranegli Arimi, dove dicono che sia il letto di Tifeo;così sotto ai loro piedi la terra gemeva cupamentre avanzavano; ché molto in fretta passavano [per la pianura.

Costoro s’incamminavano come se un foco di-vorasse tutta la terra. Il suolo di sotto rimbomba-va, come allorché sdegnato Giove godi-folgore fla-gella la terra intorno a Tifeo, colà negli Arimi (a), ove dicesi esser il letto di Tifeo; così sotto i loro piedi allor che marciavano gemea profondamente il terreno, e ben tosto ebbero varcato il campo.

(a ) Tifeo era un gigantaccio smisurato della razza dei Titani detto anche Tifone, benché altri il facciano diverso. Eschilo nel Prometeo ne fa una pittura alta-mente maestosa, e terribile.

Della terra il figliuol, della speloncaCilicia abitator, mostro di guerra,Il cento-teste soggiogato a forza Furioso Tifon, che contro i numi Stette sol tutti, dall’orrende bocche Morte sbuffando, e gli ardenti occhi un lume Spaventoso a veder folgoreggiavano, Quasi per disertar di Giove il regno.Ma sull’audace il costui vigil telo Il fulmine piombò fiamme spirante, Che lo scosse dai vanti alti orgogliosi,Poiché percosso addentro infino al core Tutto in faville lo converse e in fiamme, E il rimbombante fracasso del tuono, L’intronò, lo spossò, lo sconquassò.

Ove poi accadesse questa gran scena gli antichi non sono interamente d’accordo. Lo stesso Eschilo, non men, e Pindaro dicono, che Tifeo fu sepolto sotto l’Et-na, ed a costui attribuiscono l’eruttazioni infocate di quel monte vulcanico. Nel che parmi che siano cen-surati a torto da Strabone, e dal Casaubono, come se confondessero la Sicilia colla Cilicia; poiché essi non

dicono se non che questo mostro fu allevato negli antri delia Cilicia, il che non fa che il teatro della sua guer-ra con Giove, e del suo supplicio, non potesse esser il monte Etna. Omero dice espressamente che ciò ac-cadde negli Arimi, in Arimis, ma il punto sta a sapersi ove siano cotesti Arimi. Altri vogliono essi, e Tifone in Cilicia, ove accordano che fu allevato nell’antro Cili-cio, al che fa varie felicissime allusioni Temistio nella sua orazione all’imperator Valente intorno la ribellion di Procopio, nativo anch’egli di Cilicia (V. Corso Rag. T. 2.). Altri li pongono nella Misia, detta abbruciata, che portava tutti i vestigj d’un paese incendiato, il che secondo Strabone quegli abitanti ripetevano da una tempesta di fulmini, o da una pioggia di fuoco acca-duta al tempo di Tifeo. Altri con più d’apparenza sup-pongono che gli Arimi non siano altrove che in Siria. Di fatto non solo i Settanta, e Gioseffo, ma Strabone, Bocharte, e tutti ì critici sacri convengono che la Siria era detta Aram, e i Siri Aramei, Arimei , o Arimi. Il col-to Omerico viaggiatore Wood pensa perciò che questa favola debba riferirsi alla storia della Pentapoli nella Palestina, incendiata dal cielo per le sue nefandità. Un verso d’Omero che, secondo Strabone stesso, trovavasi immediatamente annesso a quello degli Arimi, aiutato da un po’ di correzione, metterebbe fuor di dubbio la cosa. “Choro eni dryoenti, Ides en pioni demo”: cioè in un luogo selvoso nel grasso paese d’Ida. Non tro-vandosi negli altri paesi notizia di quest’Ida, il Taylor crede doversi leggere Judes, e allora il tutto è chiarissi-mo, non potendosi, dice il Wood, vedere il mar morto, e le pianure di Sodoma, e di Gomorra senza che il verso d’Omero ci si presenti allo spirito.

Ma che faremo del passo di Virgilio che mette Tifeo sotto l’isola d’Ischia, dandole il nome d’Inarime, e mo-strando con ciò d’aver confuso le due voci Omeriche in Arimis in una? Inarime Jovis imperiis imposta Typhoeo. Di ciò fu egli pedantescamente ripreso da varj gramatici, al che allude facetamente il nostro Ber-ni con quei versi.

Non con spesso quando l’anche ha rotte Dà le volte Tifeo l’audace ed empio, Scotendo d’Ischia le valli, e le grotte. Notate ben ch’io porto questo esempio Levato dall’Eneida di peso, E non vorrei però parere un scempio. Che mi fu detto che Virgilio ha preso Un granciporro in quel verso d’Omero, Il qual non ha, con riverenza, inteso. E certo è cosa strana, s’egli è vero, Che di due dizioni una facesse...

La cosa è tanto strana che non è a verun patto credi-

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48 La Rassegna d’Ischia n. 6/2017

bile: benché lo stesso Wood si mostri disposto a crederlo. Parmi che siavi una spiegazione naturalissima, atta a giustificar Virgilio da un errore cosi grossolano. Premetto che l’isola d’Ischia, una delle Pitecuse vicino a Cuma nel regno di Napoli, soggetta a vulcani, e tremuoti, come sappiamo da Strabone, fu anch’essa dai popo-lani creduta il letto di Tifeo, né Vir-gilio trasportò la storia, ma la trovò bello e formata innanzi di lui. Posto ciò, se Inarime era presso i Latini il nome di quest’isola, è più che verisi-mile che Virgilio, il quale è ben natu-rale che ignorasse il nome originale dei Siri, credesse che Omero avesse realmente parlato d’Ischia, ma che il testo fosse scorretto, e in luogo d’in

Arimis dovesse leggersi Inarimen, il che fa una costruzione esattissi-ma, variante ben più discreta, e na-turale di molte altre spacciate come certissime dagli eruditi. Certo è che Plinio afferma positivamente aver Omero scritto Inarime, e lo stesso, per attestato della Cerda, asserisce Massimo uomo greco, e studiosissi-mo d’ Omero. Del resto il Sig. Var-gas Maciucca, tuttoché creda aver errato Virgilio nel far una voce sola delle due Omeriche, è però convinto che egli intendesse perfettamente il vero senso d’Omero nella voce Ari-mi, che questo erudito deduce dal vocabolo fenicio hariim (ardores), e vuol che sia il nome greco-fenicio dell’isola d’Ischia, così chiamata

assai propriamente da’ suoi antichi vulcani, e giustamente creduta il letto del fulminato gigante. I filosofi senza imbarazzarsi molto di queste discussioni erudite, osserveranno meco più volentieri, che dato il me-desimo stato di spirito, e i medesi-mi fenomeni della natura, debbono risultarne appresso tutti i popoli le medesime spiegazioni, e i medesimi vaneggiamenti. In ogni paese sog-getto ad eruzioni vulcaniche dovea trovarsi un Tifeo; ma questo non era quello dei Greci, ma il Tifeo della na-tura formato nelle teste degli uomini spaventati, curiosi, e ignoranti. Chi cerca altra erigine a questa specie di favole, favoleggia egli stesso con più gravità che buon senso.

Dell’antiche colonie venute in Napoli ed i primi si furono i FeniciOpera del duca Michele Vargas MacciuccaIn Napoli, volume I, 1764

71 Sarà a senno di ognuno, che mi arresti alquan-to nell’isola di gran nome Inarime, vicinissima a Cuma, ove e questa, ed il monte Epomeus, anti-co volcano, son nomi pretti Fenici; e savissimi uomini si sono studiati ad investigargli. Non si sa per quale tristo talento Virgilio le due voci ἐν Ἀρίμοις d’Omero ne formò una Inarime: quindi di leggieri si ha che Ἄριμοι viene da parola feni-cia che significa ardor. Non solo Strabone descri-ve nativamente gl’incendi accaduti in quest’isola, ma anche a dì nostri se ne veggono aperti i segni, oltre i caldissimi bagni, e le cocenti arene, e sa-lutari. Non darò noia, se oso contendere coll’im-mortal Bochart, ed il gran Mazzocchi, che sono iti per altro sentiero in rinvenir l’origine di Ἄριμοι. Il primo nel Phaleg lib. I c. 33 il trae a stento da termine siro, che dice dinotar simus, ed indi i Gre-ci interpretando tal voce formarono Pithecusae, da πίθηκος, simia, e per ultimo i Latini Enaria o Aenaria a simiis, quae simae sunt, come se non avessero nares. Il Mazzocchi in quest’etimologia dona ragione al Bochart nel Calend. pag. 334: Id autem nomen Syriace, ut ostendit Bochartus, simiam significat: ma chieggo mercé ad uom sì dotto: non dice Bochart che la parola siria significhi simia, ma simus, e tale animale in Ebreo parlare truovo dir-si nip e chi mai può pensare che in Ischia vi sien potuto essere scimie, che sempre taluna è venuta a

1 Inarime, isola; Epomeus, monte; Typhaeus, gigante, nomi Fenici.

noi da lontanissimi luoghi? Tanto più che i scritto-ri derivarono Πιθηκῡσαι (Pithecusai) da πίθος ed ἔχειν, perché in essa isola lavoravasi molto va-sellame di creta, come si fa anche oggidì, si vegga Plin. Lib. 4 c. 5.

8 - Volontierissimo condono a Plinio quelle leg-giadre origini, perché gli era sconosciuto l’orien-tal linguaggio; e rinvengo che Pithecusae viene da doppia voce che significa expandens ignem, né si ponga in forse tale etimologia, quando tutti i nomi de’ monti di quest’isola han sortito il nome dal fuoco: così il suo famoso monte Epomeus, che gittò gran fiamme, si disse da voce de’ Fenici = carbo: e Typhaeus gigante, il quale si giace sotto Ischia, ed ha testimoni Omero, Iliade II v. 783 e Virgilio, Eneide 9 v. 716. Inarime Jovis imperio im-posta Typhaeo vien ad uopo da voce con signifi-cato decoctus ab igne. Se si desiderino più cose di Tifeo e di sua etimologia Fenicia, che sieno più scelte, si vegga il gran Bochart nel Phaleg pag. 527, comeché l’origine di tal nome è diversa da quella che io qui ho apposta. Non mi si vieti che ritorni alla voce simus di Bochart. Cotal vocabolo soltanto nel cap. 21.18 del Levitico si ravvisa, ed è sì tenebroso, e di nozion sì varia, che gli inter-preti secondo la loro strana voglia l’han tradotto, sino a darci κολοβάχειρ ec. ed i soli Talmudisti e gli Ebrei della stagione barbarica e gli Arabi, i quali sappiamo che si sono per lo più avvaluti de’

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La Rassegna d’Ischia n. 6/2017 49

Rabbini, usarono la voce = simus: niuno dunque rimarrà sospeso a credere che Ἄριμοι ha per ori-gine più propria la voce=ardores che quella, di cui ci è ignoto ciò che significa: né si speri che qual-che Ebreo maestro il dica: ed ammirerò sempre che il nostro Mazzocchi, il quale ha dati grandi saggi in oriental dottrina, giurò presso all’opinion del Bochart: e s’avanza il mio stupore in leggendo che questi chiama il monte Epomeo Epopum, pre-stando fede a Plinio, e non a Strabone, che scrisse Ἑπομέα, il quale in geografica facoltà si sa, quan-to vada innanzi; e fa uscire questo nome da un poco alieno vocabolo = assatio, exustio: e sarà più accettevole la voce, onde io il dedussi, non dipar-tendomi dall’ortografia di Strabone, e serbando tutti gli elementi. Se dunque senza stento trovia-mo tre nomi dal fuoco, del quale è piena, avvisa-tamente dati a quest’isola, e tutti e tre Fenici, non si porrà tra due, che questa nazione vi avesse fatto soggiorno.

9 – Piace visitare la vicina isoletta amena e dovi-ziosa, che gli antichi o finsero, o stimarono, che i tremuoti la divisero da Ischia, e perciò si disse Prochyta, e così vuole Plinio, quia profusa ab Aenaria erat, e ciò significa προχύναι, ed i Fenici anche a tale, o storia o favola, prestarono fede e la dissero da voce che significa exscindere, e da questo ver-bo si ha in latino frango con aggiungervi la n, che al passato fregi si omette, perché non gli è propria. Se però taluno avesse vaghezza di prendere sua origine da voce=durities, io non gli sarei molesto, perché sembra che da tal fonte la trasse il nostro Stazio nelle Selv. 2. 2. V v. 76: Haec videt Inarimen, illi Aspera Prochyta paret.

24 – Non mi si vieti che di nuovo mi porti ad Era-cleon e fermi vieppiù che abbia tal nome dalle fiamme; ritrovo che tal voce si è data, ove vi sono stati fuochi sotterranei, quindi in Ischia si legge un altro Heraclium, siccome me ne rende savio il gran Mazzocchi, comeché egli pensi altrimenti nel Caalend. pag. 334 n. 100. Non Heraclius … sed potius Heraclium neutro genere is locus, opinor, dice-batur: nam Ἡράκλειον (Heraclium) Herculis tem-plum significat : ergo ea insulae (Inarimes) regio, ubi S. Restitutae corpus sepultum fuit… olim vocabatur Heraclium ob eam causam, quod in ea regione aliquod Herculis templum fuerit; ma forse più si confà l’o-rigine degli incendi accaduti in tal isola, de’ quali da per tutto in essa se n’ammirano i gran segni. Ma la sorte ben felice mi ha renduto pago di que-sto mio pensamento, perché Enrico Stefano cita Athaeneus lib. II nel quale questo dipnosofista de-

finisce che chiamavansi Ἡράκλεια l’acque cor-renti, le quali sortivano dalla terra. Dunque vie-ne a buon segno stabilito che così Ercolano, come l’Eraclio d’Ischia dal fuoco e dal calore trassero il nome, e non da Ercole, come sinora si è creduto, e se ne sono ripieni i volumi: ed in avvenire sarà certa sua origine da voce Fenicia che significa ar-dens igne. E perché eziandio presso il lago Lucrino vi sono acque caldissime, e minerali, si dice che vi fu Ercole e là fece anche la via Herculea. S’aggiun-ga che tra l’isole Volcanie ve n’ha una detta Her-culis insula, come m’avvisa il Cluverio nella Sicil. antic. pag. 415, onde poco o nulla si può dubitare che la somiglianza della voce fenicia, che dinota ardens igne ha prodotto da’ nomi de’ luoghi, i qua-li avean fuochi o acque cocenti, gli Ercoli.

3012 – Non fallo, se mi stimo in obbligo d’usar qualche brieve cura intorno al nome Νύμψιος, che la prima volta a me, e forse a tutti, si fa noto; il che pruova bene, che l’iscrizione è de’ vecchi tempi, perché se si fosse a dì nostri finta, non si potea pensare ad una parola antica, che non ve n’ha vestigio, ed i falsardi astuti invocano, per aver fede, ciò che altre volte si truova. Anzi piace riflettere che Νύμψιος sia un dialetto de’ Greci nostri maggiori, uscendo tal nome da Νύμφη, ed in Napoli si dicea Νύμψη, il che ora l’apprendia-mo: l’altre nazioni sì Greche, come Latine da que-sta voce toglievano Νύμφιος, e Nymphius, e tali nomi propri son comuni nelle serie che se n’han-no; or certamente se l’iscrizione apposta al nostro piccolo Ebone fosse di nostra stagione, vi legge-ressimo Νύμφιος. È troppo conto, e certo, che la f si mutava in psios, basta ravvisare gli scrittori che ci hanno trattati di tali mutazioni, e vi si troverrà fra gli altri esempi ψυλλίον invece di φυλλίον, herba, ma non v’ha νύμψη per νύμφη , che non sapeasi, essendo ora uscito in luce. Che solo i no-stri Greci i Ninfii gli dicessero Nimpsii e le Ninfie, Nimpsie, oltre quello Terzio possessore dell’Ebo-ne, il quale così chiamavasi, io lessi in una delle pareti di quei belli, e gran sepolcrt rinvenuti di corto iscavando i Padri della Missione, per fare edifici, ove erano scritti o in nero, o in rosso as-saissimi nomi Greci, fra gli altri quello d’una don-na Νυμψία in elementi ben grandi, e colla solita formola χαῑρε. Ho eziandio altro pregevolissimo monumento, benché sia nell’isola d’Ischia, ove si legge anche in Greco parlare Νυμψίος ma pia-ce prima dirne, come ne fui fatto confapevole: e

2 Si fa particolar dialetto de'Napoletani il dire Νύμψιος e non Νύμφιος.

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50 La Rassegna d’Ischia n. 6/2017

perché il racconto dovrebbe esser lungo, io il farò corto. Portaronsi in quell’isola savi Inglesi, e veg-gendo in un gran macigno presso il luogo , ove si dice il Lacco, Greci caratteri, ne raccolsero quei, a’ quali o il tempo, o gli uomini più presto non avevano ancora recata ingiuria: e gli portarono in Roma, ma non avendo potuto supplire quei, che mancavano, rimisero in Napoli quella sforma-tissima copia, per averne l’interpretazione, ed il risarcimento: so, che qui altri o non curanti cose sì pregiate, altri, perché fu loro malagevole darne il sentimento, la tennero per vile, ed a disdegno. Non tardò, che giungesse anche in mia notizia l’i-scrizione mal concia, ed ardito subito mi studiai supplirla, e ne raccolsi esser della classe dell’ope-re pubbliche: e perché v’è chiaramente Νυμψίος non è importuno, che qui ho riportato il marmo, come si trascrisse, ed insieme il supplimento, con brevissima spiegazione, lasciando ad altri il lun-go comento, di cui è degno.

no l’architetti dell’edificio, ove dovea soggiornar Trajano colà portatosi, e per la salubrità de’ ba-gni, o dell’aria, e per godere un poco di tranquillo di pace, toltosi da’ tumultuosi affari dell’imperio: né fa dubitare, che vi si debba leggere Trajano, in vedendo la grandezza de’ caratteri, che sono poco meno d’un mezzo nostral palmo, essendo ben noto, che l’iscrizioni imperiali scolpivansi con magnificenza. Se il marmo è in linguaggio Greco, in tal guisa era mestieri farsi giusta la storia ; per-ché più d’un secolo prima ad Augusto venne ta-lento di dare a’ Napolitani quest’isola, e prendersi per sé Capri; onde i nostri maggiori, i quali eran pretti Greci Attici, dovettero in Ischia rimettere ed il loro natio idioma e governo. Né osta che, esen-do quest’isola di nostra repubblica, vi si portasse il gran Trajano e v’ergesse edifici, perché l’esem-pio è pronto, avendo fatta la stessa cosa Augusto, e Tiberio in Capri, che allora si era del nostro co-mune, e l’adornarono di grandissimi monumenti della loro magnificenza, che ancora s’ammira in quei pochi ruinosi avanzi. E forse Dione scrisse questa venuta di Trajano in Ischia, e Sifilino, che a senno suo ristrinse la storia di lui, sembrandogli un fatto, che non rilevava, il tacque. Ed il rintrac-ciarvi τῇ ἐπιτάξει son quasi sicuro del Τραϊανῡ. perché è comune ne’ marmi il dirsi imperio, ovve-ro jussu Caesaris. Ho scorsa con prestissima fuga l’iscrizione, perché non è l’argomento del mio dire, ma lo farà in favellando dell’Attica colonia; giovandomi ora, che in essa vi si truova il nome Νύμψιος giusta il Greco parlare de’ nostri cittadi-ni antichi, e de’ luoghi di lor dominio; il che pruo-va quasi ad evidenza, che le parole nella piccola base dell’Ebone, ove anche v’ha Νύμψιος sono de’ vecchi secoli, ed a’ dì nostri si sarebbe scritt da’ falsarj Νύμφιος, e tale simulacretto sarà raro monumento, e quanto qual sia altra pur pregevol cosa sì per la figura, come per l’iscrizione.

L'iscrizione di Monte Vico, fin dalla metà del 1600, data della sua scoperta, interessò molti eruditi che si affrettarono a vedere in quelle lettere illeggibii "carat-teri frigi" e a supporre che si riferissero all'approdo delle navi di Enea a Lacco.«Il primo a copiare l'iscrizine fu il parroco di Lacco, Paolo (alcuni dicono Antonio) Monti, che fece due viaggi a Roma, nel 1650 e nel 1653, per sottomette-re al giudizio dei compotenti quella iscrizione con la quale credeva provare lo sbarco della flotta di Enea sulla spiaggia del Lacco, donde il nome di Aenaria, secondo l'etimologia di Plinio (a statione navium Ae-neae) e di Festo (Aenariam appellavere locum ubi Ae-neas classem appuliti).L'iscrizione, riconosciuta in carattere greci da viag-

giatori inglesi, fu poi, dalla seconda metà del '700, oggetto di studio da parte di specialisti, come Michele Vargas Macciucca, Nicola Ignara, Raoul Rochette, Momsen, lo storico lacchese Francesco De Siano» (Giovanni Castagna, La Parrocchia della SS. Annunziata alla Fundera di Lacco Ameno, La Rassegna d'Ischia, 2007).Se ne possono leggere commenti nelle opere:

Francesco De Siano, Brevi e succinte notizie di sto-ria naturale e civile dell'isola d'Ischia con l'aggiunta di due brevi Annotazioni su due antiche iscrizioni la-pidarie trovate in terra di Lacco (testi latini e italiani)Amedeo Maiuri, L'iscrizione greca di Lacco, in Ri-cerche, Contributi e Memorie, atti del Centro di studi Isola d'Ischia, a cura dell'EVI, 1971 pp. 103-122.

302. Colui, il quale anche mezzanamente è avezzo ad osservare sassi letterati o infranti, o rosi, non s’opporrà, che quelle parole da me rifatte doveva-no essere scolpite nel macigno, perché le vestigie de’ tratti rimasi sembrano, che non altro potean darci, ed ora ognun vede, che in Romano dicono: Pacius Nympsius, & Majur Pacillus liberti excita-runt hoc propugnaculum Caesaris Trajani imperio. Questi due liberti ci lascian credere, che si furo-

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La Rassegna d’Ischia n. 6/2017 51

Motivi Raffaele Castagna Venerdì 24 novembre 2017 è

stata riaperta al culto, dopo i lavo-ri effettuati per il restauro, la Ba-silica di Santa Restituta con una solenne celebrazione presieduta dal Vescovo Pietro Lagnese e con la partecipazione del Parroco Don Gioacchino Castaldi e la presenza delle autorità civili, rappresentate dal sindaco Giacomo Pascale. La Basilica e tutto il relativo com-plesso, definito da Ernesta Maz-zella nel suo articolo per La Ras-segna d’Ischia, “Vero scrigno di arte, storia, devozione e cultura; fulcro e centro di irradiazione del Cristianesimo isclano”; curando un opuscolo per l’occasione, la stesa autrice parla degli scavi e di tutta l’opera di don Pietro Monti, per metterne in evidenza l’impor-tanza della sua realizzazione e di ciò che rappresenta questo bene del Comune di Lacco Ameno, in-sieme con il vicino Museo Arche-ologico in Villa Arbusto.

Vien però da chiedersi in una occasione del genere: “Non ci si vergogna anche che sotto i pa-vimenti della chiesa dovrebbero essere attivi e funzionanti quei lo-cali che racchiudono secoli di sto-ria, e soprattutto le testimonian-ze dell’ingresso del Cristianesimo in questa terra?”

Gli scavi sono chiusi da alcuni anni, anche se certe guide e infor-mazioni li dicono aperti al pub-blico, e indicano pure le ore delle visite; ma in effetti nessuno parla di una possibile presta riapertu-ra, al fine di rendere omaggio allo stesso Don Pietro Monti, che ne è stato l’artefice principale, colui cioè che, con la sua “volontà rea-lizzatrice, non priva di ardimen-to, di giovane sacerdote, ruppe ogni indugio e intraprese i lavo-ri, picconando personalmente, coadiuvato da due fidi, improv-visati sterratori” (Pasquale Poli-to), oltre che confortato sempre

da Giorgio Buchner lo scoprito-re di Pithecusa (e tale evenienza forse sarebbe la più opportuna a qualificare Ischia come l’isola di Buchner).

Dire che si fa cultura sull’isola dovrebbe significare soprattutto valorizzazione delle specifiche ri-sorse di cui Ischia dispone piutto-sto che lasciarle nell’oblio e, forse, cercare di disfarsene in un modo o nell’altro, dopo che in taluni casi determinate strutture son costate, a vari livelli, fior di milioni. Ab-biamo qui invece una cultura dei momenti, vista soltanto come oc-casione ed espressione di perso-nale evidenziazione in una politi-ca che, poco o nulla, si concretizza per il cosiddetto, e spesso usato impropriamente, “bene del pae-se”. È questa una qualifica che si tende a dare a interventi che tutto hanno fuorché un vero impegno per la collettività da parte dei vari amministratori. E quale interesse mostrano costoro per la cultura se non qualificare con l’appellativo “culturale” ogni manifestazione di cui sono parte responsabile? Ap-parire vale più che essere o fare cose che diano valore ai veri vei-coli della cultura.

Gli eventi post terremoto del 21 agosto 2017 e alcune vicissitudini scolastiche per l’uso delle relative strutture, essendo alcuni plessi ancora fuori uso a causa del ter-remoto, dimostrano chiaramente che non c’è affatto una interpre-tazione unica del territorio; per-sistono sempre atteggiamenti e misure la cui visione è chiara-mente di contrapposizione tra l’uno e l’altro centro che contrad-distingue l’isola d’Ischia con i sei Comuni, e non si vede come tale realtà possa essere modificata da una possibile istituzione di un Co-mune unico, voluta e fortemente

ricercata a livello politico (non si sa per quale finalità), senza con-siderare le vere esigenze delle po-polazioni interessate; una aspira-zione cui si tende con ogni mezzo e con forza che forse ha un unico scopo, come quello di aumentare il proprio valore politico; vero è che un comune unico si vuole e, se questo non dovesse essere possi-bile, almeno si propone la fusione dei tre Comuni costieri (Ischia, Lacco, Casamicciola). E ci si chie-de come stranamente la Città me-tropolitana di Napoli possa espri-mere facilmente il proprio parere favorevole ed esprimersi secondo il parere di una sua componente politica. Stupisce che ci si lasci convincere per il fine unitario, fa-cendo perno su una possibile di-minuzione di sprechi delle risorse economiche; finalità che dovreb-bero essere comunque raggiunte dalle varie Amministrazioni, e che è sempre dubbio che si possano raggiungere eliminando le Ammi-nistrazioni. Molte zone rischiano poi di essere declassate come peri-feria del centro principale che at-tualmente è Ischia, senza nessun vantaggio per il futuro. Occorre prima formare gli isolani e poi l’i-sola e non viceversa, programma di ogni comportamento politico e di ogni espressione politica; non si capisce come, non avendo fatto nulla per l’isola, si possa punta-re al Comune unico quale punto significativo della propria attivi-tà. Volete che, se si dovesse rag-giungere detta fusione, il nuovo Comune metta al suo immediato attivo la rinascita di Casamiccio-la, la valorizzazione dei Musei di Lacco Ameno, la funzionalità del-la Colombaia, l’incremento delle strutture che sono sul territorio? Ritornerebbe piuttosto la divisio-ne di un Nord e di un Sud dell’iso-la d’Ischia.

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52 La Rassegna d’Ischia n. 6/2017

Dopo i “Percorsi di Bellezza” e la mostra “Il silenzio di Ofelia” il Comune di Capo-drise (Caserta) propone al Palazzo delle Arti una stimolante e articolata rassegna

“In cerca del padre”di Carmine Negro

Il periodo autunnale, con il cielo che vira veloce-mente tra varie tonalità di grigi e i tramonti che rapi-scono con pennellate di fiammanti rossi intervallati da gialli intensi, ha il sapore della mestizia e dell’at-tesa. Il calendario segna sabato 18 novembre 2017. Al Palazzo delle Arti di Capodrise, luogo diventato in poco tempo un forte attrattore culturale in una provincia diventata incorporea e abulica, il profes-sore Giorgio Agnisola presenta il volume “Itinerari dell’Anima” nell’ambito della rassegna “In cerca del padre”.

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Il programma della rassegna, che si sviluppa attra-verso trenta appuntamenti (fino al 12 luglio 2018) dedicati alle arti visive, alla letteratura, al teatro, alla musica, ai dibattiti, alle visite guidate e a laboratori formativi, riservati agli studenti degli istituti che ade-riscono e condividono la manifestazione, intende in-terrogarsi sul senso dei legami. E lo fa in modo colto ricorrendo ai miti di Edipo e Telemaco.

Edipo1, eroe dal destino inesorabile e simbolico,

1 Eroe greco del ciclo tebano. Nominato già in Omero, è protagonista del poema ciclico perduto Edipodia; ma la sua

è l’emblema dell’uomo che lotta invano contro un destino tragico e ineluttabile. Abbandonato, dopo la nascita, alle bestie della foresta, per sfuggire ad un destino crudele, Edipo, che in greco vuol dire “piede gonfio”, per le caviglie forate, viene salvato da un pa-store. Ignaro della sua vera identità, uccide il padre e sposa la madre. Quando scopre la verità, si acceca e si allontana. Nella teoria psicoanalitica di Sigmud Freud2, la situazione psicologica centrale del bambi-no sino a una certa età nutre sentimenti di amore per il genitore del sesso opposto e sentimenti di rivalità per quello del suo stesso sesso. Quando non si supera quel momento evolutivo, denominato complesso di Edipo, che organizza la vita psichica dell’individuo e sancisce la differenza tra i sessi e tra le generazioni, si verifica l’insorgenza di situazioni nevrotiche nell’età adulta.

Il mito di Edipo consente molti spunti di riflessio-ne: in primo luogo, la fragilità dell’esperienza umana. Edipo, amato dal suo popolo, è un re ca-rismatico; gli è stato offerto il trono di Tebe perché, rispondendo correttamente all’enigma posto dal-la Sfinge, ha liberato la città da un terribile mostro.

leggenda è nota soprattutto dall'Edipo re e dall'Edipo a Colo-no di Sofocle e dalle Fenicie di Euripide.2 Fu Carl Gustav Jung a descrivere il concetto e a coniare il termine “complesso”.

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In breve tempo passa dal massimo dello splendore alla più abissale delle degradazioni.

Un secondo punto di riflessione è dato dal destino, nel caso spe-cifico rappresentato dalla profezia, e della responsabilità indivi-duale. Il conflitto tra predestina-zione e libertà, tra volontà divina e responsabilità individuale, prove-nienti da un contrasto tra cultura magico-primitiva e cultura razio-nalistica sembrano superate nella società contemporanea. In realtà spesso riemergono proiettando quel pensiero e le persone che lo adoperano in un lontano passato, primitivo e inquietante.

C’è infine la tragicità del co-noscere con Edipo che appare fer-mamente determinato a conoscere la propria identità e che non retro-cede nemmeno di fronte all’even-tualità che la scoperta delle proprie origini possa apparire come qual-cosa di terribile. Intende esplorare gli aspetti più pericolosi della pro-pria natura senza titubanze e senza coprire gli angoscianti sospetti sot-to un velo di timoroso silenzio; una intelligenza tutta umana che sce-glie la verità in contrasto con tabù ancestrali che vorrebbero fermarla.

Per Meg Harris Williams3 “Da un lato Edipo è alla ricerca dei “fatti” che riguardano la sua na-scita, nel senso puramente razio-nale e investigativo, ma, dall’altro,

3 Meg Harris Williams, Personality development in classic literature (Lo sviluppo della personalità nella letteratura classica), Seminario di ag-giornamento Sala convegni Seminario Vescovile, Savona 9 e 10 marzo 2013.

la ricerca del suo daimon interiore o anima, riguarda il mistero del-la sua crescita e della sua identi-tà, qualcosa che non può essere compreso senza re-impegnarsi con il bambino appassionato che era stato una volta. Sofocle spes-so gioca con un’altra parola per la conoscenza, eidos, che attraverso il suo suono riecheggia il nome di Edipo, che è così dotato sia di piedi gonfi sia di piedi sapienti - uno che persegue dolorosamente un per-corso verso la conoscenza. Ci sono giochi di parole ovunque sui “pie-di”, come camminare verso una verità, e come essere crudelmente perseguitato da una verità”.

L’altra figura su cui si basa la ri-flessione sui legami prende in con-siderazione la storia di Telemaco, l’adolescente alla ricerca di suo padre.

L’Odissea è un poema-sogno. In un racconto di avventure, l’impro-babile eccita il brivido dell’azione; in un poema-sogno, l’improbabile è una metafora per una qualche veri-tà emotiva più profonda. La storia raccontata dall’Odissea riguarda lo sviluppo della personalità dell’adolescente e dell’adole-scente-dentro-l’uomo adulto. A Telemaco manca il padre: quello eroico delle sue fantasie infantili, quello fiero e valoroso dell’Iliade. Telemaco vive un pianeta turba-to dalle due figure genitoriali; un mondo rappresentato dalle pere-grinazioni di Ulisse per tutto l’O-ceano e dagli intrecci di Penelope, un perenne tessere e disfare una tela, quasi a sottolineare dubbiosi sentimenti nei confronti di Ulis-se stesso. Questi intrecci e vaga-bondaggi, questa mancanza di comunicazione tra i genitori, incidono sulla capacità di Te-lemaco di svilupparsi nei suoi anni dell’adolescenza. Così alle soglie della virilità è curioso di sa-pere che tipo di modello di vita suo padre potesse fornire. Nella narrazione dell’Odissea c’è spesso una sorta di identificazione tra Ulisse e il figlio Telemaco, il più vecchio e più giovane degli eroi in

evoluzione. Le loro storie spesso si richiamano l’una con l’altra quasi a rappresentare la stessa persona nelle diverse fasi della vita, come se alla persona fosse data una seconda possibilità di rivivere quella crucia-le fase adolescenziale, sulla soglia di diventare un uomo4. Come Ulis-se cerca di fuggire dalla grotta in cui Calipso lo tiene prigioniero da sette anni, così Telemaco cerca una via d’uscita dal claustrum5 com-posta da quella banda adolescente di pretendenti che stanno dissipan-do parassitariamente la ricchezza di suo padre, demolendo la casa di famiglia, con il pretesto di chiedere la regina come sposa. Per farlo ha bisogno di trovare suo padre - il suo vero padre, o un modello di padre. In casa di Eumeo, il por-caro che ha ospitato Ulisse appena arrivato sull’isola, padre e figlio sono per la prima volta messi fac-cia a faccia. È un momento difficile, non un semplice ricongiungimento ma una situazione emotivamente critica, se si tiene conto del senso di colpa di Ulisse e della paura e della rabbia del figlio. Telemaco resiste al riconoscimento fino a quando Ulisse riconosce i suoi fallimen-ti come padre, dicendo che non è un dio, ma che è tornato a casa e, bene o male, egli è il solo Ulisse che Telemaco potrà mai conoscere: `Io sono il padre che è mancato alla fanciullezza / E di cui hai sofferto la mancanza. Sono io. ‘(XVI.76-7). Le figure di Edipo e Telemaco sono allo stesso tempo antiche e moderne. Sanno raccontare l’universalità dei sentimenti e cogliere i bisogni umani. San-no rendere immortali le loro storie grazie alla possibilità di sempre nuove interpretazioni della versione tradizionale. Ci suggeriscono di indagare e analizzare i luoghi e i tempi dove l’individuo incontra le

4 Meg Harris Williams, opera citata5 Secondo gli studi di Donald Meltzer riportati nel testo Claustrum. Uno studio dei fenomeni claustrofobi-ci, Raffaello Cortina Editore 1993.

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altre persone, di meditare sui cambiamenti che attraversa la società contemporanea, di riflettere sulla trama di rela-zioni che lega sogni e tormenti degli uomini.

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Con un intervento pacato e se-ducente, che parte dal contesto territoriale e aiuta ad esplorare rapporti e relazioni degli uomini e tra gli uomini, il professore Giorgio Agnisola è il protagonista di uno degli appuntamenti letterari della rassegna. Nel palazzo che ospita la manifestazione, che conosce mol-to bene, egli avverte che spira un vento nuovo, un innovativo sogno abitato dalla speranza. In un ter-ritorio pieno di contraddizioni con tante risorse che non vengono as-solutamente valorizzate, in una ter-ra che sembra aver perso l’anima, in cui tutto cambia dalla sera alla mattina: negozi, strade, contesti, a conservare la memoria sono resta-te le piccole realtà locali, le picco-le comunità raccolte nei paesi. Per Agnisola il vero problema è que-sto: conservare la memoria. Una memoria che rappresenta non solo il vissuto, il passato, l’arte ma soprattutto la ricerca di senso. Una memoria che passa attraverso l’esistenza di tutti coloro che han-no costruito i beni e in particolare i beni culturali. La ricerca di senso permette di indagare sull’esperien-za dei temi fondanti della vita: il tema della nascita, della morte, della vita, dell’amore. In fondo tut-to ciò che registra l’arte. Coltivare la memoria consente di riappropriar-si del senso del tempo e dell’arte, di ritrovare la nostra identità. La rassegna “In cerca del padre” sem-bra rispondere proprio a questa indagine sull’identità. La lettura di alcuni brani del volume “Itinerari dell’anima”6, un percorso alla ri-cerca delle radici culturali attraver-so la storia, l’arte, la letteratura, la

6 Giorgio Agnisola Itinerari dell’ani-ma Campania e dintorni Editore Guida 2016

filosofia, la spiritualità, consentono all’autore di soffermarsi su altri due temi intimamente connessi e interdipendenti: l’arte e il viag-gio. Per lo scrittore e critico d’arte non è possibile separare i retaggi più squisitamente culturali come possono essere i libri, le scritture, il linguaggio parlato da quello che più connota l’uomo: la terra che abita. Tutto rientra nella conoscen-za. Se si volesse dare un’immagine al viaggio si dovrebbe stare in silen-zio e lasciarsi colmare da tutto ciò che accade intorno. Spesso quando si guarda un quadro la prima do-manda che ci si pone è: cosa signi-fica? L’esatto contrario di quello che bisogna dire a se stessi. L’arte parla: c’è chi pensa di interroga-re le opere, in realtà sono le opere ad interrogare. L’arte è un corpo vivo, racconta dell’artista le proprie sensazioni, le proprie emozioni: qualcosa che supera lo spazio e il tempo. Di fronte ad un’opera d’arte bisogna restare in silenzio, osservare, lasciare che parli. Allo stesso modo viaggiare vuol dire, osservare, sentire, mettersi di fron-te ad una realtà multi-sensoriale e lasciare che tutto quello che è in-torno ci invada. Uno scrittore avel-linese Franco Arminio nel volume “Terracarne”7 spiega che per cono-

7 Franco Arminio, Terracarne - Viaggio nei paesi invisibili e nei paesi giganti del Sud Italia, Editore Mondadori 2011.

scere la propria terra bisogna viverla nella carne e che non c’è confine tra le persone e le cose inanimate. Per conosce-re ciò che è intorno e che si vuole comprendere in un viaggio bisogna fare in modo che le cose, le perso-ne, il paesaggio, l’ambiente parlino e la prima condizione che il viag-giatore deve rispettare è l’ascol-to; un ascolto anche melanconico espresso nello sguardo che sappia cogliere e accogliere.

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Quante domande e quante rifles-sioni nascono fra le pareti di questo palazzo diventato luogo di con-fronto sugli interrogativi che attraversano la vita dell’uo-mo! Uno spazio di silenzio dove primeggia la ricchezza e la po-tenza del segno. Questa rasse-gna, fortemente voluta dal sindaco Angelo Crescente e curata dal di-rettore artistico Michelangelo Gio-vinale è in realtà un’attività co-rale dove pittori, scultori, attori, scrittori, registi, musicisti, giorna-listi, intellettuali, donne e uomi-ni condividono un percorso e generosamente offrono un proprio contributo. Sono i pro-tagonisti di una rinascita, attori ed autori di un processo che, per ritor-nare al tema, ritengono indispen-sabile per l’individuo e per tutta la società occidentale recuperare il

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valore simbolico ed educativo del-la figura paterna, per ritrovare la propria identità e la capacità di progettare il futuro.

Il buio della sera ha spento i tur-binii del tramonto autunnale e con essi i disordini, le agitazioni, le con-fusioni e i tumulti di un’attesa nevrotica e senza respiro di un quotidiano asfittico e sen-za senso. Dentro il palazzo non ci sono risposte ma quesiti, conside-razioni, meditazioni, ragionamen-ti, un modo di riappropriarsi della propria vita attraverso la ricerca. Per strada una vecchia edicola ed uno sguardo inquieto ci interroga-no e ricordano che “una vita sen-za ricerca non vale la pena di essere vissuta”8.

Carmine Negro

8 Platone, Apologia di Socrate, 37/38 c

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