Anno 11, numero 10 (112) - Ottobre 2014 Curia e pastorale ... · Ottobre 3 2014 S e si dovessero...

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Registrazione al Tribunale di Velletri n. 9/2004 del 23.04.2004 - Redazione: C.so della Repubblica 343 - 00049 VELLETRI RM - 06.9630051 - fax 0696100596 - [email protected] Mensile a carattere divulgativo e ufficiale per gli atti della Curia e pastorale per la vita della Diocesi di Velletri -Segni Anno 11, numero 10 (112) - Ottobre 2014

Transcript of Anno 11, numero 10 (112) - Ottobre 2014 Curia e pastorale ... · Ottobre 3 2014 S e si dovessero...

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22 OttobreOttobre20142014

Il contenuto di articoli, servizi foto e loghi nonché quello voluto da chi vi compare rispecchia esclusivamente il pensiero degliartefici e non vincola mai in nessun modo Ecclesìa in Cammino, la direzione e la redazione.Queste, insieme alla proprietà, si riservano inoltre il pieno ed esclusivo diritto di pubblicazione, modifica e stampa a propriainsindacabile discrezione senza alcun preavviso o autorizzazioni. Articoli, fotografie ed altro materiale, anche se non pubbli-cati, non si restituiscono. E’ vietata ogni tipo di riproduzione di testi, fotografie, disegni, marchi, ecc. senza esplicita autorizza-zione del direttore.

Ecclesia in camminoBollettino Ufficiale per gli atti di Curia

Mensile a carattere divulgativo e ufficiale per gli attidella Curia e pastorale per la vita della

Diocesi di Velletri-Segni

Direttore ResponsabileMons. Angelo Mancini

CollaboratoriStanislao FioramontiTonino Parmeggiani

Mihaela Lupu

ProprietàDiocesi di Velletri-Segni

Registrazione del Tribunale di Velletri n. 9/2004 del 23.04.2004

Stampa: Tipolitografia Graphicplate Sr.l.

RedazioneCorso della Repubblica 34300049 VELLETRI RM06.9630051 fax 96100596 [email protected]

A questo numero hanno collaborato inoltre: S.E. mons. Vincenzo Apicella, mons. Franco Risi, mons.Cesare Chialastri, mons. Franco Fagiolo, don Dario Vitali,don Antonio Galati, don Andrea Pacchiarotti, p. VincenzoMolinaro, don Gaetano Zaralli, don Alessandro Tordeschi,don Corrado Fanfoni, Giovanna Abbate, Marta Pietroni,Paola Cascioli, Gabriella Fioramonti, Claudio Capretti, AntonioVenditti, Sara Gilotta, Edoardo Baietti, Paola Lenci, UfficioCatechistico diocesano, Sara Calì, Mara Della Vecchia,Giovanni Zicarelli.

Consultabile online in formato pdf sul sito:www.diocesi.velletri-segni.it

DISTRIBUZIONE GRATUITA

In copertina:

Legenda di San Francesco: Francesco caccia i demoni da Arezzo

Giotto, 1297-99, Assisi Basilica Superiore.

- Dal Convegno: favorire una vera e profonda

conversione pastorale, personale e comunitaria,

+ Vincenzo Apicella p. 3

- Viaggio apostolico di Papa Francesco

nella Repubblica di Corea (...)

14 agosto: Seoul, incontro con le

Autorità nella “Blue House”,

Stanislao Fioramonti p. 4

- La conoscenza del patrimonio naturale peruna sua corretta gestione e salvaguardia,

Giovanna Abbate p. 7- Pensare la morte, pensare la sofferenza,

Marta Pietroni p. 8- “Una docile fibra dell’Universo”,

Sara Gilotta p. 9

- L’eunuco e la Misericordia,Claudio Capretti p. 10

- Convocati per ascoltare la Sua parola,don Alessandro Tordeschi p. 11

- Scambio della pace: mutano le regole, ma resta la sobrietà e il valore profondo delmomento, don Andrea Pacchiarotti p. 13

- Viaggio ad Ayacucho: il volontariato internazionale, Gabriella Fioramonti p. 14

- Centro diocesano di formazione permanente, Scuola di formazione teologica: programma anno pastorale 2014 - 2015,

don Dario Vitali p. 16

- Immigrazione in Italia tra crisi e diritti umani,Paola Cascioli p. 17

- La sposa più bella. La Chiesa e il suo mistero,

don Dario Vitali p. 18

- Il matrimonio del Signore con la sua Sposa

“Adorna per lo sposo”: una eco dal convegno,

Edoardo Baietti p. 21

- Sintesi dei lavori di gruppo,

Edoardo Baietti p. 22

- Gruppo di lavoro Vita affettiva e famiglia,

p. Vincenzo Molinaro p. 23

- Gruppo di lavoro Fragilità,

don Cesare Chialastri p. 24

- Le risultanti del gruppo di studio sulla

Trasmissione della fede,

don C. Fanfoni e don A. Galati p. 25

- Gruppo di lavoro il Lavoro e la festa,

mons. Franco Fagiolo p. 26

- Riscoprire la narrazione, a cura dell’Ufficio Catechistico diocesano p. 27

- Aspetto la resurrezione dei morti e la vita

del mondo che verrà,

don Dario Vitali p. 28

- Il Rosario: la sintesi di tutto il Vangelo,

mons. Franco Risi p. 29- Ero appena una sedicenne...,

don Gaetano Zaralli p. 31

- Velletri: la festa della Madonna della Salute, Tonino Parmeggiani p. 32

- Artena, Piano della Civita (...),Sara Calì p. 33

- Musicisti europei nel medioevo, Mara Della Vecchia p. 34

- Sincerità, rispetto e visibilità, Antonio Venditti p. 35

- Il Sacro intorno a noi / 6, S. Fioramonti p. 36- Il francescanesimo delle origini nella diocesi di Velletri-Segni / 2. Velletri,

Stanislao Fioramonti p. 38- La Famiglia Francescana a Velletri,

Tonino Parmeggiani p. 39

- Decreti Vescovili e Nomine p. 40

33OttobreOttobre20142014

SSe si dovessero raccontare, a caldo, le impressioni ricevute dalConvegno diocesano appena concluso, non potrebbero esse-re che largamente positive. Il clima di famiglia, l’attenzione e

l’impegno nella partecipazione, l’ambiente accogliente dell’Acero han-no contribuito a rendere questo ormai tradizionale appuntamento eccle-siale un buon punto di partenza dell’anno pastorale.In questo numero si è chiesto di dar conto della sintesi del lavoro deigruppi di studio, suddivisi nei cinque ambiti del questionario per la Visitapastorale, mentre la relazione di apertura sarà materia della prossi-ma Lettera alla diocesi.Iniziamo, dunque, con fiducia il nostro cammino comune, che preve-de, già da subito, impegni importanti e decisivi, di cui il primo e quel-lo che ci riguarda più direttamente è l’ingresso dei nuovi parroci nel-le rispettive comunità, come si può comprendere dal nutrito numerodi decreti pubblicati nelle ultime pagine.Le novità riguardano soprattutto Velletri, ma anche Artena e sono ilfrutto di una riflessione, iniziata oltre dieci anni fa, sulle mutate esi-genze pastorali e sulle necessarie risposte, che esse attendono. Nonsono, quindi, improvvisazioni, ma sono state a lungo maturate insie-me, anche se la loro riuscita positiva dipende sempre, in larga parte,da come esse saranno accolte e vissute. Nel Convegno si è detto chia-ramente che non tutto sta andando per il verso giusto e bisogna pren-dere atto che permangono sofferenze, resistenze e incomprensioni,che fanno capire quanto sia difficile procedere nel cammino della inte-grazione e della collaborazione.D’altra parte, solo ora si impone decisamente anche per noi l’esigenzadi costituire quelle Unità pastorali, che in altre diocesi sono già da lun-go tempo operanti, dopo una altrettanto lunga fase di preparazione esperimentazione. Non si tratta solo di procedere semplicemente a spo-stamenti di presbiteri, a revisioni di confini o unificazione di parroc-chie, quanto piuttosto di favorire una vera e profonda conversione pasto-rale, personale e comunitaria, in cui tutta la Chiesa locale prenda coscien-za di essere chiamata a farsi carico in solidum e solidariamente di tut-to il complesso mondo in cui il Signore ci chiama a vivere ed opera-

re per l’annuncio dell’Evangelo.Questo obiettivo va perseguito a cominciare dalle zone omogenee,come le diverse parrocchie di uno stesso centro cittadino o di territo-ri limitrofi, dove occorre agire in modo coordinato e congiunto. Essoconsiste proprio nel passare da una pastorale preoccupata solo di “que-sta” parrocchia, della “mia” parrocchia a una visione più ampia, chetenga conto della mobilità delle persone, della loro appartenenza adun’unica realtà cittadina, dell’esigenza di proporre cammini comuni,in cui, comunque, nulla vada perduto di quanto fin qui si è realizza-to. La scarsità del clero, il segno lasciato dal passare degli anni, i cam-biamenti nella distribuzione della popolazione sono fattori di cui tenerconto prima di giungere a situazioni difficilmente gestibili, ma questocomporta, a maggior ragione, che non si preveda di mettere alcuno“a riposo” o “in pensione”, ma che si valorizzino i talenti di tutti nellamaniera attualmente più efficace.La sfida sarà quella di animare tutte le strutture esistenti, assicuran-do la presenza di presbiteri, che non dovranno però farsi carico di orga-nizzare in ognuna tutta la pastorale parrocchiale, ma saranno chia-mati ad operare insieme su un progetto comune, in cui potranno divi-dersi i compiti, promuovendo, nello stesso tempo, la corresponsabi-lità dei laici.Lo sforzo richiesto sarà maggiore, proprio perché minore è il nume-ro dei preti, mentre le strutture rimangono invariate o sono perfino desti-nate ad aumentare, ma sarà tanto più affrontabile quanto più si impa-rerà a lavorare insieme e si riusciranno a suscitare nuove forme dicollaborazione. Non si ignora che il momento è delicato e si sta ini-ziando ad attraversare un “guado”, che dovrà portare la diocesi ad assu-

mere un volto nuovo ed uno stile diver-so di presenza e proposta pastorale,ma si può contare sulla generosità del-le persone e sul sostegno della Grazia,che il Signore non farà mancare aglioperai della sua Vigna.

� Vincenzo Apicella, vescovo

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sintesi a cura di Stanislao Fioramonti

14 agosto: Seoul, incontro con le Autorità nella “Blue House”

Cari amici,è una grande gioia per me venire in Corea, la

“terra del calmo mattino”, e fare esperienza nonsolamente della bellezza naturale del Paese, masoprattutto della bellezza della sua gente e del-la sua ricchezza storica e culturale. Questa ere-dità nazionale è stata messa alla prova nel cor-so degli anni dalla violenza, dalla persecuzio-ne e dalla guerra. Ma nonostante queste pro-ve, il calore del giorno e l’oscurità della nottehanno sempre dato luogo alla calma del mat-tino, cioè ad un’immutata speranza di giustizia,pace e unità. (…) La mia visita in Corea avvie-ne in occasione della VI Giornata Asiatica del-

la Gioventù, che raduna giovani cattolici da tut-to questo vasto continente per una gioiosa cele-brazione della fede comune. Nel corso della miavisita inoltre proclamerò beati alcuni coreani chemorirono martiri per la fede cristiana: Paul YunJi-chung e i suoi 123 compagni. Ritengo sia par-ticolarmente importante per noi riflettere sullanecessità di trasmettere ai nostri giovani il donodella pace. (…) Questo appello ha un significatodel tutto speciale qui in Corea, una terra che hasofferto lungamente a causa della mancanza dipace. La pace non è semplicemente assenzadi guerra, ma opera della giustizia (cfr Is 32,17). E la giustizia, come virtù, fa appello alla tena-cia della pazienza; essa non ci chiede di dimen-

ticare le ingiustizie del passato, ma di superar-le attraverso il perdono, la tolleranza e la coope-razione. (…) Come la maggior parte delle nazio-ni sviluppate, la Corea si confronta con rilevantiproblematiche sociali, divisioni politiche, diseguaglianzeeconomiche e preoccupazioni in ordine alla gestio-ne responsabile dell’ambiente. E’ importante chesia data speciale attenzione ai poveri, a coloroche sono vulnerabili e a quelli che non hannovoce, non soltanto venendo incontro alle loro imme-diate necessità, ma pure per promuoverli nel-la loro crescita umana e spirituale.

14 agosto, Seoul, Incontro con i Vescovi della Corea

Vorrei riflettere con voi come fratello nell’episcopatosu due aspetti centrali della custodia del popo-lo di Dio in questo Paese: essere custodi del-la memoria e essere custodi della speranza. Essere

custodi della memoria. La beatificazione di PaulYun Ji-chung e dei suoi compagni è un’occa-sione per ringraziare il Signore che, dai semi spar-si dai martiri, ha fatto scaturire un abbondanteraccolto di grazia in questa terra. Voi siete i discen-denti dei martiri, eredi della loro eroica testimonianzadi fede in Cristo. Siete inoltre eredi di una straor-dinaria tradizione che iniziò e crebbe largamentegrazie alla fedeltà, alla perseveranza e al lavo-ro di generazioni di laici. Questi non avevano la tentazione del clericali-smo: erano laici, andavano avanti da soli! È signi-ficativo che la storia della Chiesa in Corea abbiaavuto inizio da un incontro diretto con la Paroladi Dio. È stata la bellezza intrinseca e l’integri-

tà del messaggio cristiano ad impressionare YiByeok e i nobili anziani della prima generazio-ne; ed è a quel messaggio, alla sua purezza,che la Chiesa in Corea guarda come in uno spec-chio, per scoprire autenticamente sé stessa. (…)Oltre ad essere custodi della memoria, voi sie-te anche chiamati ad essere custodi della spe-ranza: quella speranza offerta dal Vangelo del-la grazia e della misericordia di Dio in Gesù Cristo,quella speranza che ha ispirato i martiri. È questa speranza che siamo invitati a procla-mare ad un mondo che, malgrado la sua pro-sperità materiale, cerca qualcosa di più, qual-cosa di più grande, qualcosa di autentico e chedà pienezza. (…) Vicini ai vostri sacerdoti, miraccomando, vicinanza, vicinanza ai sacerdo-ti. Che loro possano incontrare il vescovo. Vicinanzafraterna del vescovo, e anche paterna: ne han-no bisogno in tanti momenti della loro vita pasto-rale. Non vescovi lontani o, peggio, che si allon-

tanano dai loro preti. Con dolore lo dico. Per favore, non allontanatevi dai vostri sacer-doti. (…)Vorrei chiedervi di prendervi cura in modospeciale dell’educazione dei giovani, sostenendonella loro indispensabile missione non solo leuniversità, che sono importanti, ma anche le scuo-le cattoliche di ogni grado, a partire da quelleelementari, dove le giovani menti e i cuori ven-gono formati all’amore di Dio e della sua Chiesa,al bene, al vero e al bello, ad essere buoni cri-stiani e onesti cittadini. Essere custodi di spe-ranza implica anche garantire che la testimo-nianza profetica della Chiesa in Corea continuiad esprimersi nella sua sollecitudine per i pove-ri e nei suoi programmi di solidarietà, soprattutto

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per i rifugiati e i migranti e per coloro che vivo-no ai margini della società. (…) La solidarietà con i poveri è al centro del Vangelo;va considerata come un elemento essenzialedella vita cristiana. (…)C ’è un pericolo che viene nei momenti di pro-sperità: è il pericolo che la comunità cristianasi “socializzi”, cioè che perda quella dimensio-ne mistica, che perda la capacità di celebrareil Mistero e si trasformi in una organizzazionespirituale, cristiana ma senza lievito profetico.Lì si è persa la funzione che hanno i poveri nel-la Chiesa. Questa è una tentazione della quale le Chieseparticolari, le comunità cristiane hanno soffer-to tanto, nella storia. E questo fino al punto ditrasformarsi in una comunità di classe media,nella quale i poveri arrivano a provare anche ver-gogna: hanno vergogna di entrare. E’ la tenta-zione del benessere spirituale, del benesserepastorale. Non è una Chiesa povera per i pove-ri, ma una Chiesa ricca per i ricchi, o una Chiesadi classe media per i benestanti.

15 agosto, Daejeon, S. Messa nella solennità dell’Assunzione nel World Cup Stadium

Possano i cristiani di questa nazione essere unaforza generosa di rinnovamento spirituale in ogniambito della società. Combattano il fascino diun materialismo che soffoca gli autentici valorispirituali e culturali e lo spirito di sfrenata com-petizione che genera egoismo e conflitti.Respingano inoltre modelli economici disuma-ni che creano nuove forme di povertà ed emar-ginano i lavoratori, e la cultura della morte chesvaluta l’immagine di Dio, il Dio della vita, e vio-la la dignità di ogni uomo, donna e bambino.La speranza offerta dal Vangelo, è l’antidoto con-tro lo spirito di disperazione che sembra crescerecome un cancro in mezzo alla società che è este-riormente ricca, ma tuttavia spesso sperimen-ta interiore amarezza e vuoto. A quanti nostri giovani tale disperazione ha fat-to pagare il suo tributo! Possano i giovani chesono attorno a noi in questi giorni con la lorogioia e la loro fiducia, non essere mai deruba-ti della loro speranza!

15 agosto, Daejeon,Preghiera dell’Angelus Domini

Alla Madonna, Regina del Cielo, offriamo le nostregioie, i nostri dolori e le nostre speranze. Affidiamoa Lei in modo particolare tutti coloro che han-no perso la vita nell’affondamento del traghet-to “Se Wol”, come anche quanti tuttora soffro-no le conseguenze di questo grande disastronazionale. Il Signore accolga i defunti nella suapace, consoli coloro che piangono, e continuia sostenere quanti così generosamente sonovenuti in aiuto dei loro fratelli e sorelle. Questo tragico evento, che ha unito tutti i Coreaninel dolore, confermi il loro impegno a collabo-rare insieme, solidali, per il bene comune. Chiediamo altresì alla Vergine Maria di posare

il suo sguardo misericordioso su quanti tra noisi trovano nella sofferenza, particolarmente suimalati, sui poveri e su chi è privo di un lavorodignitoso. Infine, nel giorno in cui la Corea cele-bra la sua liberazione, chiediamo alla Madonnadi vegliare su questa nobile nazione ed i suoicittadini. Affidiamo alla sua protezione tutti i gio-vani che si sono radunati qui da tutta l’Asia. Possano essere araldi gioiosi dell’alba di un mon-do di pace, secondo il disegno benedetto di Dio!

15 agosto, Santuario di Solmoe, incontro con i giovani dell’Asia

È davvero bello per noi essere qui, insieme, pres-so questo Santuario dei Martiri Coreani, nei qua-li la gloria del Signore si rivelò all’aurora dellavita della Chiesa in questo Paese. Vorrei riflet-tere con voi su un aspetto del tema di questaSesta Giornata Asiatica della Gioventù: “La glo-ria dei Martiri risplende su di voi”. Come il Signorefece risplendere la sua gloria nell’eroica testi-monianza dei martiri, allo stesso modo Egli desi-dera che la sua gloria risplenda nella vostra vitae attraverso di voi desidera illuminare la vita diquesto grande Continente. (…) Che cosa fare, che strada scegliere? Ma tu nondevi scegliere nessuna strada: la deve scegliereil Signore! Gesù l’ha scelta, tu devi sentire Luie chiedere: Signore, che cosa devo fare? Questa è la preghiera che un giovane deve fare:“Signore, cosa vuoi tu da me?”. E con la pre-ghiera e il consiglio di alcuni veri amici – laici,sacerdoti, suore, vescovi, papi… anche il Papapuò dare un buon consiglio – trovare la stradache il Signore vuole per me. E poi la domandadolorosa: la divisione tra i fratelli delle Coree.Ma ci sono due Coree? No, ce n’è una, ma èdivisa, la famiglia è divisa. E c’è questo dolo-re… Come aiutare affinché questa famiglia siunisca? Io dico due cose: prima un consiglio,e poi una speranza. Prima di tutto, il consiglio: pregare; pregare peri nostri fratelli del Nord : “Signore, siamo unafamiglia, aiutaci, aiutaci per l’unità, Tu puoi far-lo. Che non ci siano vincitori né vinti, soltantouna famiglia, che ci siano soltanto i fratelli”. Adessovi invito a pregare insieme in silenzio, per l’u-nità delle due Coree. Adesso, la speranza. Qualè la speranza? Ci sono tante speranze, ma cen’è una bella. La Corea è una, è una famiglia:voi parlate la stessa lingua, la lingua di famiglia;voi siete fratelli che parlate la stessa lingua. Pensateai vostri fratelli del Nord: loro parlano la stessalingua e quando in famiglia si parla la stessa lin-gua, c’è anche una speranza umana.

15 agosto, Seoul, Santa Messa di Beatificazionedi Paul Yun Ji-Chung e 123 compagni martiri alla Porta di Gwanghwamun

Cristo è vittorioso e la sua vittoria è la nostra!Oggi celebriamo questa vittoria in Paolo Yun Ji-chung e nei suoi 123 compagni. I loro nomi siaggiungono a quelli dei Santi Martiri Andrea KimTaegon, Paolo Chong Hasang e compagni, aiquali poc’anzi ho reso omaggio. Con san Paolo

ci dicono che «né morte né vita, né altezza néprofondità, né alcun’altra creatura potrà mai sepa-rarci dall’amore di Dio, che è in Gesù Cristo, nostroSignore» (Rm 8,38-39).La vittoria dei martiri, la loro testimonianza resaalla potenza dell’amore di Dio continua a por-tare frutti anche oggi in Corea, nella Chiesa chericeve incremento dal loro sacrificio. La celebrazione del beato Paolo e dei suoi com-pagni ci offre l’opportunità di ritornare ai primimomenti, agli albori della Chiesa in Corea. Invitavoi, cattolici coreani, a ricordare le grandi coseche Dio ha compiuto in questa terra e a custo-dire come tesoro il lascito di fede e di carità avoi affidato dai vostri antenati. Nella misteriosa provvidenza di Dio, la fede cri-stiana non giunse ai lidi della Corea attraversomissionari; vi entrò attraverso i cuori e le men-ti della gente coreana stessa. Essa fu stimola-ta dalla curiosità intellettuale, dalla ricerca del-la verità religiosa. Attraverso un iniziale incontro con il Vangelo, iprimi cristiani coreani aprirono le loro menti aGesù. L’apprendere qualcosa su Gesù condussepresto ad un incontro con il Signore stesso, aiprimi battesimi, al desiderio di una vita sacra-mentale ed ecclesiale piena, e agli inizi di unimpegno missionario. Questa storia ci dice molto sull’importanza, ladignità e la bellezza della vocazione dei laici!Qualche tempo dopo che i primi semi della fedefurono piantati in questa terra, i martiri e la comu-nità cristiana dovettero scegliere tra seguire Gesùo il mondo. Per molti ciò significò la persecu-zione e, più tardi, la fuga sulle montagne, doveformarono villaggi cattolici. Erano disposti a gran-di sacrifici e a lasciarsi spogliare di quanto li potes-se allontanare da Cristo: i beni e la terra, il pre-stigio e l’onore, poiché sapevano che solo Cristoera il loro vero tesoro.L’esempio dei martiri, inoltre, ci insegna l’importanzadella carità nella vita di fede. Fu la purezza del-la loro testimonianza a Cristo, manifestata nel-l’accettazione dell’uguale dignità di tutti i battezzati,che li condusse ad una forma di vita fraternache sfidava le rigide strutture sociali del loro tem-po. Il loro esempio ha molto da dire a noi, cheviviamo in società dove, accanto ad immensericchezze, cresce in modo silenzioso la più abbiet-ta povertà; dove raramente viene ascoltato il gri-do dei poveri; e dove Cristo ci chiede di amar-lo e servirlo tendendo la mano ai nostri fratellie sorelle bisognosi.Oggi è un giorno di grande gioia per tutti i corea-ni. L’eredità del beato Paolo Yun Ji-chung e deisuoi Compagni - la loro rettitudine nella ricer-ca della verità, la loro fedeltà ai sommi princi-pi della religione che hanno scelto di abbrac-ciare, nonché la loro testimonianza di carità edi solidarietà verso tutti - tutto ciò fa parte del-la ricca storia del popolo coreano. L’eredità dei martiri può ispirare tutti gli uominie le donne di buona volontà ad operare in armo-nia per una società più giusta, libera e riconci-liata, contribuendo così alla pace e alla difesadei valori autenticamente umani in questo Paesee nel mondo intero.

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66 OttobreOttobre20142014

16 agosto, Kkottongnae, incontro con i leader dell’Apostolato laico

La Chiesa in Corea è erede della fede di gene-razioni di laici che hanno perseverato nell’amoredi Gesù Cristo e nella comunione con la Chiesa,nonostante la scarsità di sacerdoti e la minac-cia di gravi persecuzioni. Il beato Paul Yun Ji-chung e i martiri oggi beatificati rappresentanoun capitolo straordinario di tale storia. Essi die-dero testimonianza alla fede non soltantomediante le loro sofferenze e la morte, ma anchecon la loro vita di amorevole solidarietà l’uno ver-so l’altro nelle comunità cristiane, caratterizza-te da esemplare carità. Questa preziosa eredi-tà si prolunga nelle vostre opere di fede, di cari-tà e di servizio. Oggi, come sempre, la Chiesaha bisogno di una testimonianza credibile deilaici alla verità salvifica del Vangelo, al suo pote-re di purificare e trasformare il cuore umano, ealla sua fecondità nell’edificare la famiglia uma-na in unità, giustizia e pace. Sappiamo che viè un’unica missione della Chiesa di Dio, e cheogni cristiano battezzato ha un ruolo vitale in que-sta missione. Assistere i poveri è cosa buonae necessaria, ma non è sufficiente. Vi incorag-gio a moltiplicare i vostri sforzi nell’ambito del-la promozione umana, cosicché ogni uomo e ognidonna possa conoscere la gioia che deriva dal-la dignità di guadagnare il pane quotidiano, soste-nendo così le proprie famiglie. Ecco, questa digni-tà, in questo momento, è minacciata da questacultura del denaro, che lascia senza lavoro tan-te persone… Coloro che sono senza lavorodevono sentire nel loro cuore la dignità di por-tare il pane a casa, di guadagnarsi il pane! Affidoquesto impegno a voi.

17 agosto, Santuario di Haemi, incontro con i Vescovi dell’Asia

Siamo radunati in questo luogo santo, nel qua-le numerosi cristiani hanno donato la loro vitaper la fedeltà a Cristo. Ci sono i martiri senzanome: sono santi senza nome. Ma questo mifa pensare a tanti cristiani santi, nelle nostre chie-se; non conosciamo i nomi, ma sono santi. Laloro testimonianza di carità ha portato grazie ebenedizioni alla Chiesa in Corea ed anche aldi là dei suoi confini (…)Nell’intraprendere il cammino del dialogo conindividui e culture, il nostro punto di partenza eil nostro punto di riferimento fondamentale checi guida alla nostra meta è la nostra identità dicristiani. Non possiamo impegnarci in un verodialogo se non siamo consapevoli della nostraidentità. E d’altra parte non può esserci dialo-go autentico se non siamo capaci di aprire lamente e il cuore, con empatia e sincera acco-glienza verso coloro ai quali parliamo. (…) Se la nostra comunicazione non vuole essereun monologo, dev’esserci apertura di mente edi cuore per accettare individui e culture. Il com-pito di appropriarci della nostra identità e di espri-merla si rivela tuttavia non sempre facile, poi-ché saremo sempre tentati dallo spirito del mon-do, che si manifesta in modi diversi. Vorrei qui

segnalarne tre. Il primo è l’abbaglio ingannevoledel relativismo, che oscura lo splendore dellaverità e, scuotendo la terra sotto i nostri piedi,ci spinge verso le sabbie mobili della confusio-ne e della disperazione.Un secondo modo attraverso il quale il mondominaccia la solidità della nostra identità cristia-na è la superficialità: la tendenza a giocherel-lare con le cose di moda, gli aggeggi e le dis-trazioni, piuttosto che dedicarsi alle cose che real-mente contano (cfr Fil 1,10). In una cultura che esalta l’effimero e offre nume-rosi luoghi di evasione e di fuga, ciò presentaun serio problema pastorale. C’è poi una terzatentazione, che è l’apparente sicurezza di nascon-dersi dietro risposte facili, frasi fatte, leggi e rego-lamenti. Gesù ha lottato tanto con questa gen-te che si nascondeva dietro le leggi, i regola-menti, le risposte facili… Li ha chiamati ipocri-ti. Infine, assieme ad un chiaro senso della nostrapropria identità di cristiani, il dialogo autenticorichiede anche una capacità di empatia.Tale empatia dev’essere frutto del nostro sguar-do spirituale e dell’esperienza personale, checi porta a vedere gli altri come fratelli e sorel-le, ad “ascoltare”, attraverso e al di là delle loroparole e azioni, ciò che i loro cuori desideranocomunicare. In questo senso, il dialogo richie-de da noi un autentico spirito “contemplativo”:spirito contemplativo di apertura e di accoglienzadell’altro.

17 agosto, Castello di Haemi, S. Messa conclusiva della 6a Giornata della Gioventù Asiatica

“La gloria dei martiri brilla su di voi!”. Questeparole, che fanno parte del tema della Sesta GiornataAsiatica della Gioventù, consolano tutti noi e cidanno forza. Giovani dell’Asia, voi siete eredidi una grande testimonianza, di una preziosaconfessione di fede in Cristo. E’ Lui la luce delmondo, Lui la luce della nostra vita! I martiri del-la Corea, e innumerevoli altri in tutta l’Asia, han-no consegnato i propri corpi ai persecutori; a noiinvece hanno consegnato una testimonianza peren-ne del fatto che la luce della verità di Cristo scac-cia ogni tenebra e l’amore di Cristo trionfa glo-rioso. Con la certezza della sua vittoria sulla mor-te e della nostra partecipazione ad essa, pos-siamo affrontare la sfida di essere suoi disce-poli oggi, nelle nostre situazioni di vita e nel nostrotempo. L’altra parte del tema della Giornata –«Gioventù dell’Asia, alzati!» – vi parla di un com-pito, di una responsabilità. (…) Nella vostra vita cristiana sarete molte volte ten-tati di allontanare lo straniero, il bisognoso, il pove-ro e chi ha il cuore spezzato. Sono queste per-sone in modo speciale che ripetono il grido del-la donna del Vangelo: «Signore, aiutami!». E’ il gemito di tante persone nelle nostre cittàanonime, la supplica di moltissimi vostri contemporanei,e la preghiera di tutti quei martiri che ancora oggisoffrono persecuzione e morte nel nome di Gesù.Diamo risposta a questa invocazione, non comequelli che allontanano le persone che chiedo-no, come se servire i bisognosi si contrappo-

nesse allo stare più vicini al Signore. Dobbiamo essere come Cristo, che risponde adogni domanda d’aiuto con amore, misericordiae compassione. Infine, la terza parte del temadi questa Giornata: «Alzati!». Questa parola par-la di una responsabilità che il Signore vi affida.E’ il dovere di essere vigilanti per non lasciareche le pressioni, le tentazioni e i nostri pecca-ti o quelli di altri intorpidiscano la nostra sensi-bilità per la bellezza della santità, per la gioiadel Vangelo. (…) Con la certezza dell’amore di Dio, andate peril mondo, così che «a motivo della misericordiada voi ricevuta», i vostri amici, i colleghi di lavo-ro, i connazionali e ogni persona di questo gran-de Continente «anch’essi ottengano misericor-dia». E’ proprio mediante questa misericordiache siamo salvati. Gioventù dell’Asia, alzati!

18 agosto, Seoul, S. Messa per la Pace e la Riconciliazione (delle due Coree, n.d.r.)nella Cattedrale di Myeong-dong

La Messa di oggi è soprattutto e principalmen-te una preghiera per la riconciliazione in que-sta famiglia coreana. Nel Vangelo, Gesù ci dicequanto potente sia la nostra preghiera quandodue o tre sono uniti nel suo nome per chiede-re qualcosa (cfr Mt 18,19-20). (…) Quanto più quando un intero popolo innalza lasua accorata supplica al cielo! In questa Messaascoltiamo tale promessa nel contesto dell’e-sperienza storica del popolo coreano, un’esperienzadi divisione e di conflitto che dura da oltre ses-sant’anni. Ma il pressante invito di Dio alla con-versione chiama anche i seguaci di Cristo in Coreaad esaminare la qualità del loro contributo allacostruzione di una società giusta e umana. Chiama ciascuno di voi a riflettere su quanto,come individui e come comunità, testimoniateun impegno evangelico per i disagiati, per gli emar-ginati, per quanti non hanno lavoro o sono esclu-si dalla prosperità di molti. Vi chiama, come cristiani e come coreani, a respin-gere con fermezza una mentalità fondata sul sospet-to, sul contrasto e sulla competizione, e a favo-rire piuttosto una cultura plasmata dall’insegnamentodel Vangelo e dai più nobili valori tradizionali delpopolo coreano. Questo è il messaggio che vilascio a conclusione della mia visita in Corea.Vi chiedo di portare una testimonianza convin-cente del messaggio di riconciliazione di Cristonelle vostre case, nelle vostre comunità e in ogniambito della vita nazionale. Ho fiducia che, inuno spirito di amicizia e di cooperazione con glialtri cristiani, con i seguaci di altre religioni e contutti gli uomini e le donne di buona volontà chehanno a cuore il futuro della società coreana,voi sarete lievito del Regno di Dio in questa ter-ra. Preghiamo dunque per il sorgere di nuoveopportunità di dialogo, di incontro e di supera-mento delle differenze, per una continua gene-rosità nel fornire assistenza umanitaria a quan-ti sono nel bisogno, e per un riconoscimento sem-pre più ampio della realtà che tutti i coreani sonofratelli e sorelle, membri di un’unica famiglia edi un unico popolo. Parlano la stessa lingua.

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77OttobreOttobre20142014

Giovanna Abbate*

IIn occasione della IX Giornata per la custo-dia del creato (1 settembre 2014), il mes-saggio di Papa Francesco è stato quello di

“educare alla custodia del creato per la salutedei nostri paesi e delle nostre città”; ciò in lineacon quanto affermato nell’Enciclica Caritas in veri-tate di Benedetto XVI: “all’uomo è lecito eser-citare un governo responsabile sulla natura percustodirla, metterla a profitto e coltivarla anchein forme nuove e con tecnologie avanzate in modoche essa possa degnamente accogliere e nutri-re la popolazione che la abita” (50); “è neces-sario un effettivo cambiamento di mentalità checi induca ad adottare nuovi stili di vita… Il librodella natura è uno e indivisibile, sul versante del-l’ambiente come sul versante della vita” (51).L’educazione ambientale è oggi ritenuta una prio-rità in tutti i Paesi europei, ma, purtroppo, unosfondo culturale solido sui diversi temi ambien-tali è solo di pochi esperti e molto poco vieneda questi divulgato alla cittadinanza. Di “ambiente”, infatti, negli ultimi anni ne par-lano in tanti, o meglio in troppi, con modalità mass-mediatiche, prive di basi scientifiche, così cheil cittadino non riesce a percepire quale sia il verovalore, anche in termini economici, del patrimonionaturale che lo circonda. Ho avuto recentemente diverse occasioni di dia-logo con professionisti e amministratori che ope-rano nel territorio della Diocesi Velletri-Segni e,con mio grande stupore, mi sono resa conto diquanto fossero ignari dell’elevato valore natu-ralistico di estese aree e di come ciò, per esse-re concreti, possa rappresentare anche un’op-portunità di finanziamenti da parte dellaComunità Europea, utili a creare lavoro.D’altro canto, nelle scuole di ogni ordine e gra-do (a meno della scuola primaria) si impartisconopochissime nozioni di Scienze della Vita e del-la Natura per rendere i giovani consapevoli del-le peculiarità e potenzialità del territorio in cuivivono, facilitando in tal modo il radicamento alterritorio stesso, fonte primaria di imprenditorialitàlavorativa nell’età adulta. Il docente “tecnologico” predilige l’apprendimentomnemonico di qualche nozione di biochimica,ma non si preoccupa di organizzare un’escur-sione didattica in natura, che, nel caso dei Comunidella nostra Diocesi, avrebbe costi prossimi allozero, vista la dominanza nel comprensorio di areead elevata naturalità (foreste, pascoli, lago). Recentemente è stato evidenziato come le areesoggette a tutela ambientale creino maggiorericchezza e benessere alle imprese che operanonel territorio, quale frutto della sostenibilità ambien-tale, di produzioni di qualità, rispetto dei sape-ri; ciò rappresenta un modello nuovo di svilup-po che fortunatamente inizia ad interessare lenuove generazioni.Veniamo quindi, come prima fase conoscitiva,alla presentazione delle aree protette e di quel-

le facenti parte della Rete Natura 2000 che com-prendono parte del territorio della nostraDiocesi.

Parco Regionale dei Castelli Romani

Istituito nel 1984, ha un’estensione di 12.000 etta-ri; include aree comprese in 16 comuni, quat-tro dei quali appartenenti alla Diocesi Velletri-Segni: Artena, Genzano di Roma, Lariano, Velletri.Nonostante la diffusa urbanizzazione e la vici-nanza a Roma, il comprensorio è caratterizza-to da estese foreste di castagno e di querce cadu-cifoglie, da una flora spontanea che supera le800 specie (alberi, arbusti, erbe) e da una ric-ca fauna.Numerose sono le potenzialità del Parco in ter-mini di educazione ambientale e le proposte offer-te dall’Ente Parco; a mio avviso, purtroppo, ven-gono poco utilizzate dalle scuole e dalla citta-dinanza.

Siti di Importanza Comunitaria (SIC) e Zonedi Protezione Speciale (ZPS) facenti parte del-la Rete Natura 2000 dell’Unione Europea

La “Rete Natura 2000” è una rete di siti con laquale l’Europa intende conservare le comuni-tà naturali e le specie vegetali e animali che carat-terizzano la biodiversità del continente, in lineacon gli obiettivi che si prefiggono la Direttiva Habitat(Direttiva 92/43/CEE) e la Direttiva Uccelli(72/409/CEE). In Italia la Rete è costituita com-plessivamente da 2.585 Siti di Importanza Comunitaria(SIC) e Zone di Protezione Speciale (ZPS), checoprono circa il 19% del territorio nazionale.L’Unione Europea ha istituito nel 2013 uno stru-mento finanziario denominato “Programma perl’ambiente e l’azione del clima”, mettendo a dis-posizione circa 3,5 miliardi di euro utilizzabili perazioni diverse, preferibilmente all’interno dellaRete. Nel comprensorio della Diocesi ricadono

3 SIC e una ZPS, di seguito elencati con la deno-minazione ufficiale e le loro peculiari caratteri-stiche in termini naturalistici; rappresentano eccel-lenti strumenti di educazione ambientale, oltreche di gestione sostenibile e conservazione:Maschio dell’Artemisio: parte dell’area rien-tra nei Comuni di Velletri, Lariano e Artena; leforeste di castagno rappresentano un habitat diinteresse comunitario; numerose le specie ani-mali (uccelli, rettili e anfibi) e vegetali sponta-nee segnalate tra quelle di interesse comuni-tario.Cerquone-Doganella: rientra in parte nelComune di Artena; oltre che da una peculiareflora e fauna, l’area è caratterizzata da rari boschidi farnia e rovere.Alta Valle del Torrente Rio: rientra in parte nelComune di Montelanico; è importante per la pre-senza di alcune specie di rettili e anfibi.Monti Lepini centrali: rientra in parte nei Comunidi Montelanico e Segni; di grande interesse leforeste di faggio, le foreste sempreverdi di lec-cio, i pascoli, la ricca fauna (in particolare uccel-li, tra cui numerose specie di rapaci) e la floraerbacea.Alla luce di quanto illustrato, va sottolineato quan-to sia necessario stimolare in tutti i contesti unprocesso di divulgazione scientifica seria per faci-litare la comprensione del “mondo reale”, costi-tuito nel nostro comprensorio da tasselli ove siste-mi naturali e sistemi antropici sono in stretto con-nubio. Nel corso dei prossimi mesi presenteròalcuni temi ambientali di particolare valenza scien-tifica e applicativa.

*Docente presso l’Università di Roma La Sapienza

Per saperne di piùwww.minambiente.it www.parcocastelliromani.itwww.regione.lazio.it/rl_ambientehttp://ec.europa.eu/environment/nature/natura2000/financing

http://www.areeprotette-economia.minambiente.it/

88 OttobreOttobre20142014

Marta Pietroni

LLa ferita della sof-ferenza è da sem-pre una lacera-

zione che per l’uomo si ponecome una sfida per il pen-siero e per l’agire. Pensarela sofferenza è uno sforzoper l’essere umano e solodopo un profondo percorsoriflessivo si può arrivare a con-siderarla non come malema come possibilità di aper-tura al bene. All’interno di que-sta possibilità la sofferenza diven-ta una sorta di cammino che puòcondurre l’uomo ad una maggioreconsapevolezza di sé, aprendolo sguardo su una prospettiva chetrascende la mera dimensione bio-logica.Con l’avvento della modernità e del-la medicina moderna, assistiamo altentativo di dominio di una antropo-logia individualistica che vede nel pia-cere un ruolo fondamentale e nella sof-ferenza un qualcosa che toglie sensoalla vita stessa. La sofferenza diventa di conseguenza l’e-lemento discriminante per definire una con-dizione degna o non degna di essere vis-suta. Ma anche in questa prospettiva ildolore e la sofferenza restano sradicabilidall’esperienza umana e con esse il temadella morte che comporta importanti rifles-sioni sulla questione antropologica.Il discorso è indubbiamente estremamentecomplesso e tocca tante e diverse sferedel sentire, del pensiero e del sapere, dal-la religione alla medicina, dalla filosofiaalla psicologia, alla scienza. E le conseguenze di queste considera-zioni hanno delle fortissime ripercussio-ni sull’individuo e sull’intera comunità. Daqualche anno assistiamo al tentativo dilegittimare socialmente il suicidio; l’eutanasiacontinua a bussare alle porte dellanostra legislazione, restando un tema for-temente dibattuto non solo nella societàma anche all’interno del singolo individuo.Essa implica non solo una discussionesulla liceità del suicidio ma ci interrogasulla doverosità di una collaborazione del-lo Stato e quindi di tutti noi, nella messain pratica del desiderio di morte. Dalla dimensione strettamente individualisticadell’autodeterminazione del singolo si pas-

sa quindi alla richie-sta di liceità in unpanorama relazio-nale, di collaborazione. L’azione non diven-ta più privata, un uomoche tragicamentedecide di suicidarsi,ma collettiva e con-siderata condivisibi-

le. Alla società vieneimplicitamente chiesto

di condividere e giudi-care come giusto il giu-

dizio del singolo sulla suacondizione di vita non più

degna di essere vissuta.Nelle società secolariz-

zate la libertà di uccidersiè indiscussa. Un tentato sui-

cidio non viene infatti puni-to. Da alcuni anni però in Olanda,

Svizzera, Belgio e Lussemburgoe negli stati americani Oregon

e Montana è consentito il sui-cidio assistito.

Questa prospettiva è resa anco-ra più complessa dalla capacità del-

la moderna medicina di croniciz-zare malattie un tempo implacabi-

li e dalla possibilità di tenere in vitapazienti in gravissime condizioni. Ma il dibattito oggi non si ferma solosugli eventuali limiti degli interventimedici bensì sul fatto che ogni per-sona, qualora reputi la sua condizionedi vita non più degna, possa esse-re assecondata nella sua richiestadi morte. Questo crinale intrapreso è estre-mamente pericoloso e le condizio-ni considerate non degne comincianoad includere anche casi di sofferenzapsicologica e non solo fisica. In tut-ti i casi però, quello che emerge èla difficoltà ad accettare o riconoscerecome degna una certa condizione,nella maggior parte dei casi si trat-ta di disabilità o di una prospettivadi totale dipendenza o di demenza.Ma passare da questa non accettazione,dalla paura di tali condizioni al rico-noscerle come indegne è tutt’altro cheovvio e obbligato. Quello che infatti si potrebbe far sco-prire e proporre, anche come comu-

Lo scorso 11 settembre su Radio Radicale viene trasmessa la video inter-vista di Damiana. Damiana aveva 68 anni e una diagnosi di sclerosi multipla alle spalle. Untentativo di suicidio e la convinzione di vivere una vita che non le appar-tenesse più. Non ha accettato di giungere ad una condizione di totale dipen-denza e, con il rimpianto delle escursioni in montagna e delle passeg-giate in spiaggia, dopo due anni di trafile e l’aiuto di tre associazioni, il4 settembre, in Svizzera, ha bevuto con le proprie mani un veleno che hamesso fine alla sua esistenza. “Il male mi ha tolto l’autonomia e gli affetti. Questa non è più vita.”Lo stesso 11 settembre l’ associazione Luca Coscioni ha mobilitato uncosiddetto “walk-around” di venti ore intorno alle sedi del parlamento edel governo per smuovere i deputati a parlare di etica. Anch’io credo che ci sia urgenza di parlare di etica. Riflettere profonda-mente su casi come quello di Damiana è doveroso anche per lo Stato eper tutti noi, per comprendere però (al contrario dell’associazione LucaCoscioni) quanto potesse essere fatto per sostenere ed accompagnarequesta donna in un percorso tanto difficile, per farle scoprire una dimen-sione di sussidiarietà e relazionalità capace di cambiare il senso dell’ auto-nomia, per immergerla in un universo di affetti che la facesse sentire ama-ta e che fosse più forte di ogni disperazione, una forza in grado di annul-lare la perdita di senso. La vita non perde mai il suo valore, siamo noiche perdiamo la capacità di riconoscerlo e rispettarlo e quando gli altri,invece di aiutarci a porci nella giusta prospettiva ne offuscano ancora dipiù la vista, allora sì arriviamo alla tragedia mascherata da rispetto.

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99OttobreOttobre20142014

Sara Gilotta

“Mi sono riconosciuto

una docile fibra

dell’universo”.

SSono parole trattedalla poesia diGiuseppe Ungaretti

intitolata “ I fiumi”, in cuil’autore esprime, nelcontempo, tutta la dispe-razione che aveva accu-mulato durante la guer-ra, per scoprirsi, immer-gendosi nell’acqua dei suoifiumi, non più insensi-bile, arido, disanimatocome una pietra delSan Michele, ma, appun-to, come una docilefibra dell’universo, che vuo-le e sa ritrovare, dopo tan-to dolore, se stesso ela sua identità. E’, dunque, la poesia del-la consapevolezza, della capacità di comprendere il vero significato del-la vita. Ma è anche, secondo me e, grazie ai fiumi che con le loro acquepurificano e reificano il corpo e l’anima del poeta, il canto dell’io , chevuole ritrovare se stesso, (dopo i giorni bui della lacerazione dramma-tica) e la libertà di vivere in comunione con la natura ed ancor di piùcon tutti gli uomini capaci di seguire la propria interiorità nell’insegna-mento di Cristo. Ma noi tutti soprattutto cristiani ne siamo capaci ? Nocertamente, anzi guardando la realtà nella quale viviamo non può nontornare in mente il verso di Dante che nel Purgatorio dice “Lo mondoè ben così tutto diserto d’ogni virtute..” Perché l’umanità da sempre hatrascurato le virtù ed ha preferito naufragare in una realtà in cui domi-nano disordine, egoismo e, soprattutto, lotte e guerre di ogni genere. D’altra parte ognuno di noi nella vita quotidiana, nel mondo o nella pro-fondità del suo essere è spinto dal desiderio di cercare qualcosa chelo soddisfi e lo renda il più possibile felice. Ne deriva una continua ricer-ca, capace di dar forma al suo “esserci” e innanzitutto quieti la suaansia o forse meglio la sua inquietudine innata, che, se non ben nutri-ta, finisce per sopraffarlo e financo per distruggerlo. Purtroppo, però, è proprio la passione della ricerca che porta con sé ilcaos delle passioni e dei desideri, che altro non produce che errori e

mali di ogni genere,che danneggiano tut-ti. Soprattutto se sidimentica che la pri-ma salvezza per l’uo-mo è nell’uomo stes-so e nel suo destinostorico, basato certosulla fede, ma innan-zitutto sulla ragionepositiva, che dovreb-be avere la capacitàe la forza di indicareall’uomo le vie che puòseguire e più ancorai limiti insuperabilidella affermazione disé. Oggi soprattutto chesembra essere statodimenticato ogni gene-re di dubbio com-portamentale, perlasciare il posto nonsolo ad una sicurez-za infinita , ma ad unasicumera che nonconosce se non ilvalore della propria for-

za. In tali condizioni è davvero difficile sentirsi in armonia con la natu-ra e con gli altri ed ancor più difficile imparare a seguire gli insegna-menti della fede, al cui centro c’è o dovrebbe esserci il desiderio di segui-re Cristo , per avvicinarsi a lui ed imparare ad sentirne la voce. I grandi santi ce lo hanno insegnato , ci hanno detto con le parole e leopere che , per arrivare a Lui, la via è innanzitutto quella di farsi “pusil-lo” perché la strada di Cristo è quella della non-violenza, di cui è splen-dido esempio San Francesco, della giustizia, della libertà da ogni attra-zione che ci lega troppo alla terra e alle sue lusinghe, della disposizioned’ animo alla pietà e al perdono. Ma la lotta contro le sirene del mon-do è dura ed estenuante per la fragilità del nostro essere che continuamenteci spinge a “battere l’ ali in basso “, ignorando innanzitutto le sofferen-ze degli altri, mentre si dovrebbe cercare di, come dice Brecht :”Spogliarsidi violenza, rendere bene per male, non soddisfare i desideri, anzi dimen-ticarli” almeno per tentare di imparare ad essere “saggi”. Altrimenti itempi diventeranno sempre più bui.

Nell’immagine: un’opera di Fabien Mérelle.

nità, è un panorama di relazionalità e solidarietà nel quale la sofferenza ela malattia non tolgono dignità alla vita e nel quale quell’individuo non sisenta mai inutile o di peso. Come ha scritto nel titolo del suo ultimo librola psicologa Marie de Hennezel “tutti noi vogliamo morire con dignità”, matroppo spesso, afferma l’autrice, si confonde la dignità con l’integrità fisi-ca o con l’autonomia. La dignità è altra cosa e non può prescindere dalla solidarietà e dalla dis-ponibilità ad accogliere l’altro anche nelle sue debolezze e fragilità.La società ha il dovere di insegnare questo e non può assecondare la per-dita di senso che tragicamente accompagna le decisioni eutanasiche di un

individuo. L’incontro con il dolore e la sofferenza è purtroppo ineludibile etutt’altro che privo di senso nell’esistenza, riscoprirlo ed accettarlo tornaad essere una sfida innanzitutto per il singolo individuo, una sfida antro-pologica che purtroppo da molti, quando “persa” viene paradossalmen-te festeggiata come vittoria.

Nell’immagine del titolo: Rappresentazione medioevale di Giuda impiccato assediato dai demoni, Cattedrale di Autun.

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1010 OttobreOttobre20142014

Claudio Capretti

Non dica lo stra-niero che ha ade-rito al Signore:“Certo, mi esclu-derà il Signore dalsuo popolo. Non dica l’eunuco:“Ecco, io sono unalbero secco!”.Poiché così dice ilSignore: “Agli eunuchi cheosservano i mieisabati, preferisconoquello che a me pia-ce e restano ferminella mia alleanza, io concederò nella miacasa e dentro le mie mura un monumentoe un nome più prezioso che figli e figlie; daròloro un nome eterno che non sarà mai can-cellato”.

ÈÈconcepibile una vita condannata a nongenerare vita?. E’ mai tollerabile accet-tare un’esistenza relegata perennemente

ai margini della vita stessa?. È vero, nessuna privazione materiale ha maisfiorato la mia vita, e tutto ciò che il rango difunzionario della regina Candace poteva dar-mi, me lo ha concesso in abbondanza. E di tut-to questo ne ringrazio l’Onnipotente. Una sola cosa tarda a giungere: il senso dellamia vita. Non scelsi io di essere ciò che sono,è vero, ne posso cambiare lo stato delle cose,ma tutto ciò potrà mai volgersi ad un bene? Sonole domande che da sempre mi accompagna-no e le cui risposte non hanno ancora una voce.Ripercorro con la mente e con il cuore gli ina-spettati sentieri attraverso i quali giunsi a Te, oDio d’Israele. Ammetto che inizialmente fu la curio-sità ad immettermi in essi, ma poi, per tua volon-tà, tutto si trasformò in vera fede in Te. Nel cono-scere ciò che operasti con il tuo popolo ne rima-si impressionato, e ne dedussi che se per lorosei sceso in Egitto per liberarli dalla schiavitù,per me, scendesti ancora più in basso, poichéla mia terra - l’Etiopia -, si trova a suddell’Egitto. Mi piace molto pensare a tutto ciò,e vuoi che non dimentichiamo la tua bontà. Forse è per questo che nella terra che hai dona-to al tuo popolo, una terra che stilla latte e mie-le, vi sia anche il punto più basso che io cono-sca della terra: il mar Morto. Due opposti, unaterra fertile che genera vita, ed un mare doveogni forma di vita non può sopravvivere, unoaccanto all’altro, come un campo dove convi-

ve il buon grano e la zizzania. Sta a noi sce-gliere se lavorare nella buona terra, per poi goder-ne dei suoi frutti, oppure scendere nelle profonditàdella terra, ovvero incamminarci nella via delpeccato, ed immergerci in un mare dove nonc’è che la morte. Le due uniche scelte della vita, sembrano esse-re presenti nella terra di Abramo. Con il tempoimparai a leggere la Scrittura, e sentivo che quel-le Parole erano vive, vere; ma non riuscivo acomprenderne il senso. Era come se mancas-se una chiave di accesso necessaria per la lorocomprensione. Anche nei giorni passati, quan-do mi trovavo a Gerusalemme per adempiereil culto, nel tuo Luogo santo ho sentito la pre-senza di quell’agognata felicità che da tempoinseguo. Sembrava così vicina a me, e solo Tuo Signore che leggi nei nostri cuori, sai con quan-to ardore avrei voluto afferrarla e trattenerla persempre con me. Avrei pagato qualsiasi prezzoper raggiungerla e non lasciarla andar via, anchequello di rinunciare al mio rango e a tutti queiprivilegi che esso comporta. Ed invece, è sta-to come ritrovarsi dinnanzi ad una porta chiu-sa, dove hai la certezza che dietro di essa siceli il Bene più grande, ovvero la gioia senzafine, ma non potervi accedere in quanto sprov-visto dell’unica cosa che ne permetta l’acces-so: una chiave. Un oggetto così piccolo, e apparentemente insi-gnificante fino a quando non ne capisci l’importanzao la necessità. Tra qualche giorno sarò di nuo-vo nel mio paese, riprenderò il mio servizio pres-so la corte, e tutto tornerà ad essere come eraprima, e ad allontanare la nostalgia che mi atten-de ci sarà solo il ricordo dei giorni trascorsi nel-la città santa. Gli occhi si posano su un rotolodella Scrittura, non oppongo alcuna resisten-za al desiderio di aprirlo e di proclamarlo ad altavoce: “Maltrattato, si lasciò umiliare e non apri

la sua bocca;era come agnel-lo condotto almacello, comepecora muta difronte ai suoitosatori, e nonaprì la sua boc-ca. Con oppres-sione e ingiustasentenza fu tol-to di mezzo; chisi affligge per lasua posterità?. Si,fu eliminato dal-la terra dei viven-ti, per la colpa delmio popolo fu per-cosso a morte”.

Di chi stai parlando o Signore tramite il profe-ta Isaia? Chi mai può accettare una simile edingiusta infamia per redimere il tuo popolo?.Non può che essere uno che lo ama immen-samente per farsi carico di colpe non sue. “Capisciquello che stai leggendo?”. Lo stupore della presenza dell’ignoto viandan-te che si era posto accanto al mio carro si fada parte, per accogliere risposte che il mio cuo-re brama e che solo quest’uomo, ponendomitale domanda, sarà in grado di darmi. “E comepotrei capire se nessuno mi guida?”. Lo invito a salire e a sedersi accanto a me, dicedi chiamarsi Filippo. Gli porgo il rotolo, gli indi-co il passo della Scrittura e gli chiedo: “ Ti pre-go, di quale persona il profeta dice questo? Dise stesso o di qualcun altro?”. Con evidente emozione accoglie tra le sue manila Scrittura, accenna un benevolo sorriso, e par-tendo da quel passo inizia ad annunciarmi unUomo di cui ne avevo sentito parlare: Gesù diNazareth. “Egli”, con viva fede mi dice “è il FiglioUnigenito di Dio Padre, il quale pur essendo dinatura divina, non considerò un tesoro gelosola sua uguaglianza con Dio; ma spogliò se stes-so, assumendo la condizione di servo. Egli, conpotenza, passò in mezzo al suo popolo sanan-dolo e beneficandolo, annunciando il compimentodel Regno dei Cieli e il perdono dei peccati del-l’umanità. Egli è Colui che morì sulla croce, chefu sepolto e il terzo giorno risuscitò da morte,che apparve ai suoi, e noi ne siamo testimoni.Egli è il vittorioso che la morte non poté tratte-nere per se, che la vinse per sempre relegan-dola all’ignominia. Egli è Colui che ci ordinò diandare in Galilea, annunciare al mondo la sal-vezza e battezzare nel nome del Padre, del Figlio,e dello Spirito Santo”. Nell’udire tali parole quella nebbia che avvol-geva il mio cuore si dirada, facendo entrare in

continua a pag. 11

1111OttobreOttobre20142014

esso la Luce che vince le tenebre e forte è ildesiderio di lasciarsi abitare da essa. Ecco lachiave che mancava per aprire la Porta ed acce-dere nel Luogo dove abita la vita. Ecco Coluiche da voce alle mie risposte conducendo il miocuore altrove. Ecco Colui che libera la picco-la imbarcazione della mia vita dallo stagno ela immette nell’oceano della sconfinataMisericordia di Cristo Signore. Il tempo sem-bra fermarsi, come se volesse cedere il pas-so a Qualcuno di cui ne è servitore. L’aver accolto in me il Cristo dona alla mia esi-stenza un nuovo senso, gli regala quella nuo-

va vita che da sempre è attesa. Alla vista di unluogo dove vi è dell’acqua, domando con fedeall’apostolo Filippo: “ Ecco, qui c’è dell’acqua;che cosa impedisce che io venga battezzato?”.Acconsente con gioia, di certo è per questo

che il tuo messaggero, o Signore, si è acco-stato oggi alla mia vita. Entrambi entriamo nell’acqua, mi inginocchioe con viva fede ricevo il battesimo. Ed è gioiavera nell’accogliere un dono di così inestima-bile valore portatore di ogni consolazione e diogni luce. Gli sguardi fanno appena in tempoad incontrarsi e scambiarsi emozioni mai pro-

vate, ma subito dopo egli scompare dalla miavista. La sua assenza non mi sconcerta, poi-ché è ora ricolma della presenza del SignoreGesù Cristo. Non posso che far ritorno versocasa con l’animo colmo di gratitudine per il modopotente in cui Tu o Signore hai manifestato ame il tuo Figlio Gesù Cristo.Il tuo Santo Spirito ha inviato a me il tuo mes-saggero ad annunciarmi un amore così poten-te da allontanare da me ogni male. Ed è l’ani-ma mia che sanata e beneficata proclama: “Gioiscail mio cuore nella tua salvezza e canti al Signoreche mi ha beneficato”.

segue da pag. 10

don Alessandro Tordeschi

“Beata assembleaquella di cui la

Scrittura testimo-nia che “gli occhidi tutti erano fissi

su di lui.”(Origene)

UU na sola volta nei vangeli Gesù legge le Scritture e quella sola lofa in una liturgia. Nella sinagoga di Nazareth (Lc 4,16-21).

Gesù inizia il ministero della predicazione con un primo atto ministeriale,è un atto cultuale, il suo primo gesto pubblico è un gesto liturgico. Iniziala sua missione aprendo il rotolo della profezia che gli è stato messotra le mani e vi legge: “Lo Spirito del Signore è su di me”, lo stesso Spiritodisceso su di lui al Giordano ora lo guida alla lettura della profezia, adire che l’epiclesi dello Spirito accompagna sempre la lettura delle Scritturee ne ispira l’interpretazione.L’incipit della lettura profetica diviene l’incipit del presentarsi di Gesù aisuoi. È l’incipit della pericope liturgica è quello di manifestarsi come Messia,così quella che si celebra nella sinagoga di Nazareth è liturgia, epifa-nia e teofania, perché in essa il Nazareno fa accadere ciò che secon-do la lettera agli Ebrei il Cristo confessa entrando nel cosmo: “di me stascritto nel rotolo del libro” (Eb 10,7; Sal 40,8). “in capite libri scriptumest de me” traduce Girolamo dal greco; Cristo è il caput libri, la testa,l’inizio, il principio del libro nel quale sta scritta la volontà del Padre, perquesto il Figlio incarnato è liber maximus le cui pagine sono la sua car-ne: “Egli stesso (Cristo) è il libro che ebbe come pergamena la carnee come scrittura il Verbo del Padre… il libro più grande è il Figlio incar-

nato”1. Ciò che acca-de nella liturgia sina-gogale di Nazareth èl’istituzione della litur-gia cristiana dellaParola, ne è il typos,allo stesso identicomodo in cui ciò acca-de nel cenacolo diGerusalemme nellasera dell’ultima cena,

è l’istituzione della celebrazione eucaristica. Così la lettura cristiana del-le Scritture e l’eucarestia sono istituite a pari modo. A Nazareth la Parolalegge le Scritture, e dal quel giorno, da quell’ ”oggi”, la lettura fatta daGesù è diventata la maniera con la quale i cristiani hanno letto la scrit-tura.“È Cristo che parla quando nella chiesa si legge la sacra Scrittura”, e”nella liturgia Dio parla al suo popolo, Cristo annuncia il suo Vangelo” 2.Porremo in relazione due racconti di letture di testi biblici in contesti litur-gici narrati nella Bibbia con l’attuale liturgia della Parola. La lettura diIsaia fatta da Gesù nella Sinagoga di Nazareth Lc 4,16-21 e la letturadel libro della Legge fatta dallo scriba Esdra a Gerusalemme Ne 8,1-12. I due racconti sono composti da tre elementi fondamentali:La comunità radunata in assemblea;Il libro delle Scritture canoniche;Il lettore proclama la lettura.

La comunità radunata in assemblea

Gesù “secondo il suo solito, di sabato entrò nella sinagoga”.Entrare nella sinagoga non significa semplicemente fare l’ingresso inun luogo di culto, ma unirsi a una comunità riunita in assemblea litur-gica. “Entrò nella sinagoga” significa convenire insieme ai credenti in

continua a pag. 12

1212 OttobreOttobre20142014

uno stesso luogo per essere membro del qehalAdonai, la convocazione del Signore. Per un figlio d’Israele, entrare nella sinagogaper la preghiera comune, così per un cristia-no entrare in una chiesa, significa entrare a farparte di tutta la storia di fede di un popolo, appar-tenervi interamente. Vuol dire scegliere di esse-re membro del corpo mistico, presente e pas-sato, della comunità credente. Il popolo di Dio radunato in assemblea santa(qehal Adonai) è il fine e l’immagine di tutto ilcammino di salvezza che Dio ha fatto compieread Israele: dalla condizione di schiavitù a quel-la di servizio (‘avodà) reso a Dio. Il culto, il servizio, l’adorazione del Signore èinfatti lo scopo della liberazione dalla schiavi-tù d’Egitto secondo Es 3,12: quando tu avraifatto uscire il popolo dall’Egitto, servirete Diosu questo monte. Servire il Signore significa accedere progres-sivamente alla piena libertà. Adorare il Signoresignifica allontanarsi dalla schiavitù dell’idola-tria per vivere nella libertà. Il primo dato cheemerge dal racconto di Luca, dunque, è la syna-goghè che è il nome stesso della comunità riuni-ta, perché convocata da Dio, per ascoltare lasua Parola nel giorno a lui consacrato. Allo stesso modo, anche l’assemblea di Esdranarrata in Neemia 8,1-12 il primo elemento èla convocazione del popolo chiamato a formarela prima assemblea di Israele dopo il ritorno dal-l’esilio babilonese, convocata dal governatoreNeemia per ascolto del libro della legge: “Allora tutto il popolo si radunò come un solouomo sulla piazza davanti alla porta delle Acquee disse ad Esdra lo scriba di portare il libro del-la legge di Mosè che il Signore aveva dato aIsraele. Il primo giorno del settimo mese, il sacer-dote Esdra portò la legge davanti all’assembleadegli uomini, delle donne e di quanti erano capa-ci di intendere”.Il soggetto dell’azione è il popolo di Israele cheforma l’assemblea santa del Signore “come unsolo uomo” descrivendo così l’unanimità di spi-rito. Ecco cos’è il qehal Adonai: un solo uomo,una sola voce.La comunità precede le Scritture perché primadella Bibbia c’è il popolo della Bibbia. Prima viè l’esperienza di fede dei credenti che ricono-scono e confessano l’opera salvifica di Dio poici sono le Scritture, perché la comunità credenteche professa la sua fede in Dio e nelle sue ope-re di salvezza precede ed è fondamento del librodelle scritture. Prima vi è l’evento operato daDio che la comunità credente riconosce esse-

re evento di salvezza. Questa è la confessione di fede, e la confes-sione è in per se stessa celebrazione della fede,dunque atto liturgico. Questa confessioneliturgica di fede si fa testimonianza scritta, per-manente nel tempo e nello spazio, dunque nor-mativa per la comunità stessa che riconoscenello “sta scritto” la Parola di Dio, norma del-la sua fede alla quale essa si sottomette. L’assemblea liturgica è il luogo ermeneutico ori-ginario delle scritture: esse si ascoltano e si com-prendono pienamente nell’ekklesia perchésono nate nell’assemblea liturgica.L’ascolto delle Scritture, infatti, avviene piena-mente e autenticamente solo all’interno dellachiesa perché in essa sono nate. Non vi sono,infatti, le Scritture e accanto la tradizione, male Scritture nella tradizione.

Il libro delle Scritture

Il secondo elemento della liturgia della Parolaè il libro delle Scritture: si alzò a leggere. Glifu dato il rotolo del profeta Isaia; apertolo tro-vò il passo dove era scritto. Qui si parla di unrotolo e non di libro, ma ciò che è decisivo èche è un testo scritto, anzi uno “sta scritto”. “Egliè la parola e rivela il libro. La Parola si fa car-ne nel libro. Scrivere diventa allegoria dell’in-carnazione nel grembo della Vergine. Di qui lariverenza liturgica per il libro in oggetto”.3Come prevede il rito sinagogale, il rotolo vie-ne dato al lettore perché legga davanti alla comu-nità. Il rotolo non è suo ma della comunità, dalei lo riceve e a lei lo restituisce, perché la comu-nità ne è la sola custode autorizzata. Anche nelle nostre assemblee il lettore ricevedalla chiesa il libro contenente i testi canonicida leggere. Non è suo ma della chiesa, che ponen-dolo sull’ambone, idealmente glielo consegnanelle mani. Terminata la lettura, il lettore non si porta viail libro ma lo lascia nell’assemblea, perché il libroè della comunità che lo custodisce come ciòche insieme all’eucarestia ha di più caro. Analogamente nel libro di Neemia si legge:“Allora tutto il popolo si radunò come un solouomo sulla piazza davanti alla porta delle Acquee disse ad Esdra lo scriba di portare il libro del-la legge di Mosè che il Signore aveva dato aIsraele. Il primo giorno del settimo mese, il sacer-dote Esdra portò la legge davanti all’assembleadegli uomini, delle donne e di quanti erano capa-ci di intendere.Lesse il libro sulla piazzadavanti alla porta delle Acque, dallo spuntar del-

la luce fino a mezzogiorno, in presenza degliuomini, delle donne e di quelli che erano capa-ci di intendere; tutto il popolo porgeva l’orec-chio a sentire il libro della legge”.4Qui è descritta una vera e propria liturgia dellibro della legge di Mosè, cioè la Torà. È l’as-semblea che chiede allo scriba Esdra di por-tare davanti a lei il libro della legge, quasi invo-cando la sua presenza. In questo modo il popo-lo mostra di essere consapevole che per esse-re assemblea santa, davanti a lei ci deve esser-ci la Parola che il Signore le rivolge. Lo scriba Esdra che porta il libro della Leggedavanti all’assemblea e l’inserviente che por-ge il rotolo della profezia di Isaia compiono entram-bi la stessa azione liturgica che con gesti e paro-le rende visibile la reciproca appartenenza trala comunità e le Scritture. L’assemblea che chiede di portare il libro del-la Legge e le mani aperte di Gesù in atto di acco-gliere il rotolo, entrambe invocano quei testi chesono posti davanti agli occhi e nelle mani, per-ché in quei testi la comunità vi trova la propriaidentità e Gesù vi trova la sua. La norma nonè il libro in sé solo, ma il libro davanti agli occhie nelle mani della comunità. Questo spiega perché non può esserci il libroprima e senza la comunità, il libro isolato: l’ek-klesìa, l’assemblea liturgica, dice l’impossibili-tà della sola Scriptura.Un altro dato significativo è che nella liturgiasinagogale ai tempi di Gesù, egli non solo rice-ve dalla comunità il rotolo del profeta Isaia enon di un altro profeta da lui scelto, ma a Gesùnon spetta neppure la scelta del brano da pro-clamare ma legge la pericope che il lezionariosinagogale prevedeva per quel giorno. Così, allostesso modo, il lettore che nella liturgia cristianariceve dalla chiesa il libro delle pericopi bibli-che (lezionario), neppure lui sceglie il brano asuo piacimento ma legge ciò che la chiesa nellezionario ha stabilito per quel giorno.

1 Bornert.2 Concilio Vaticano II Sacrosactum Concilium n.7.3 I.Illicht Nella vigna del testo. Per una etologia del-la lettura, Cortina, Milano, 1994.4 Neemia 8,1-3.

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1313OttobreOttobre20142014

don Andrea Pacchiarotti

LLa Congregazione per il Culto Divinoe la Disciplina dei Sacramenti ha ema-nato una Lettera, approvata da Papa

Francesco, il 7 Giugno scorso, contenente alcu-ne disposizioni riguardo lo scambio della pacedurante la Messa.La pace è il dono e la promessa che Gesùfa varie volte ai suoi discepoli incontrandolinel cenacolo prima di sostenere la passione,così come nelle sue varie manifestazioni dopola resurrezione. Ancora oggi Gesù offre que-sto dono alla Chiesa riunita per l’Eucaristia,chiedendole di testimoniarla nella vita di tut-ti i giorni. Nel documento a cui si fa riferimentonon sono introdotti cambiamenti strutturali cir-ca la posizione delloscambio della paceche, nel Rito Romano,resta pr ima del laComunione (tra il PadreNostro e l’Agnello diDio), con un suo spe-cifico significato teo-logico: esso è con-templazione eucari-stica del mistero pas-quale, è il “bacio pas-quale“ di Cristo risor-to presente sull’altare.Tale gesto esprime lacomunione ecclesialee l’amore vicendevo-le dei fedeli, prima dicomunicare al Corpodi Cristo. La riflessio-ne della chiesa riguar-do allo scambio dellapace in questi ultimi anniruota intorno ad alcu-ni testi.

L’Ordinamento generale del MessaleRomano (Congregazione per il culto divinoe la disciplina dei Sacramenti, 25.1.2004), aproposito del rito della pace scrive:“Segue il rito della pace, con il quale la Chiesaimplora la pace e l’unità per se stessa eper l’intera famiglia umana, e i fedeli espri-mono la comunione ecclesiale e l’amorevicendevole, prima di comunicare al sacra-mento. Spetta alle conferenze episcopalistabilire il modo di compiere questogesto di pace secondo l’indole e le usan-ze dei popoli. Conviene tuttavia che cia-scuno dia la pace soltanto a chi gli sta piùvicino, in modo sobrio“ (n.82).

L’Istruzione Redemptionis Sacramentum,(Giovanni Paolo II del 25.3.2004) per porrerimedio ad alcuni abusi liturgici, a propositodello scambio di pace scrive:“Si mantenga l’uso del rito romano di scam-biare la pace prima della santa comunio-ne, come stabilito nel rito della messa.

Secondo la tradizione del rito romano, infat-ti, quest’uso non ha connotazione né di ricon-ciliazione né di remissione dei peccati, mapiuttosto la funzione di manifestare pace,comunione e carità prima di ricevere la san-tissima eucaristia. È, invece, l’atto peni-tenziale da eseguire all’inizio della mes-sa, in particolare secondo la sua prima for-ma, ad avere carattere di riconciliazionetra i fratelli“ (n 71).E ancora “conviene che ciascuno dia la pacesoltanto a coloro che gli stanno più vici-no, in modo sobrio». «Il sacerdote può darela pace ai ministri, rimanendo tuttavia sem-pre nel presbiterio, per non disturbare lacelebrazione. Così ugualmente faccia se,per qualche motivo ragionevole, vuoi

dare la pace ad alcuni fedeli“ (n.72).

Nell’esortazione post-sinodale Sacramentumcaritatis (2007), Benedetto XVI aveva osser-vato: “Durante il sinodo dei vescovi è sta-ta rilevata l’opportunità di moderare que-sto gesto, che può assumere espressio-ni eccessive, suscitando qualche confu-sione nell’assemblea proprio prima dellacomunione. È bene ricordare come non tol-ga nulla all’alto valore del gesto la sobrie-tà necessaria a mantenere un clima adat-to alla celebrazione, per esempio facendoin modo di limitare lo scambio della pacea chi sta più vicino“. Il Papa aveva anche citato esplicitamente lapossibilità di spostare lo scambio della paceprima dell’offertorio, come nel rito ambrosia-no: “Tenendo conto di consuetudini anti-che e venerabili e dei desideri espressi daipadri sinodali, ho chiesto ai competenti dica-steri di studiare la possibilità di colloca-re lo scambio della pace in altro momen-

to, ad esempio prima della presentazionedei doni all’altare. Tale scelta, peraltro, nonmancherebbe di suscitare un significati-vo richiamo all’ammonimento del Signoresulla necessaria riconciliazione previaad ogni offerta a Dio“. Tuttavia alla fine è prevalsa la tesi di chi pre-ferisce non introdurre cambiamenti.Il documentodel giugno scorso chiede alle Conferenze epi-scopali nel mondo di rendere il momento del-lo scambio della pace più sobrio, senza con-fusioni e troppi spostamenti delle persone. Così, si è cercato di ovviare con un richiamoche tende in qualche modo a ridimensiona-re il gesto, per salvaguardare il senso sacrodella celebrazione eucaristica circa le espres-sioni eccessive che questo momento liturgi-

co talune volte assume, suscitando qualcheconfusione nell’assemblea proprio primadella Comunione. La sobrietà necessaria a mantenere un cli-ma adatto alla celebrazione non toglie nullaall’alto valore del gesto, anzi arricchisce di signi-ficato e conferisce espressività al rito stes-so. Nella lettera si legge anche che le nor-me ecclesiali suggeriscono che lo scambio dipace sia vissuto come un’opportunità concessaa chi celebra e che quindi esso si può ancheomettere. Il documento infine indica come sianecessario evitare definitivamente alcuniabusi: l’introduzione di un “canto per la pace“,lo spostamento dei fedeli dal loro posto perscambiarsi il segno della pace, l’allontanamentodel sacerdote dall’altare per dare la pace aqualche fedele che in alcune circostanze diven-ta occasione per esprimere congratulazioni,auguri o condoglianze tra i presenti.

1414 OttobreOttobre20142014

Gabriella Fioramonti

SSi trattava di un viaggio di lavoro ad Ayacucho, sulla Sierra. Erofelice ed entusiasta di partire e non riuscivo a frenare il mio gran-de desiderio di avventura, di esplorazione e di ricerca del vero

Perù, quello che sta dietro l’aria grigia e opprimente di Lima, della con-fusione delle sue strade, della sua moltitudine caotica e disordinata. Soloil giorno prima della partenza abbiamo saputo che ci aspettava lo scio-pero degli studenti ma il mio capo, che avrebbe viaggiato con noi, ave-va affermato tranquillo che al massimo avremmo trovato blocchi sullastrada. Dopo una notte di viaggio, alle otto del mattino ci svegliamo econstatiamo che il nostro bus è fermo dietro una ventina di suoi similiche formavano una fila interminabile. Lo sciopero era in atto e senzaallarmarci troppo ci siamo messi ad aspettare. A mezzogiorno, dopo quat-tro ore di sosta forzata, io e Aldo abbiamo deciso di scendere …; infondo , l’avevano fatto in tanti e la città non era molto lontana, un’oradi cammino al massimo. Tra l’altro, tra i viaggiatori stanchi di attendere sugli autobus comincia-va a farsi strada la preoccupazione che gli studenti eccitati potevanoattaccare gli stessi autobus per creare altri problemi, oltre a quelli giàprovocati bloccando la strada principale con massi enormi. La gente stan-ca cominciava a inquietarsi, gli studenti volevano attizzare la protestae i poliziotti, quei pochi presenti, avevano chiesto rinforzi. In questo sta-to di agitazione generale siamo arrivati al punto cruciale: una curva oltrela quale si poteva vedere il cartello di benvenuti nella città, completa-mente controllata dagli studenti che, con i sassi in mano, dall’alto delmonte minacciavano di colpire da dietro chi camminava; anzi qualcu-no diffuse la notizia che altre persone erano state colpite mentre cer-cavano di attraversare la zona. Mi costava molto capire perché gli studenti si erano trasformati in guer-riglieri; ne ho anche visti alcuni in mezzo alla vegetazione con la fac-cia coperta dalla loro maglietta e sembravano ribelli criminali. Solo il gior-no dopo, parlando con uno di loro, guarda caso uno dei partecipanti alnostro stesso laboratorio sui giovani difensori dei diritti umani, ho sapu-to che tra di loro c’erano infiltrati che volevano proprio aggravare lo scon-tro tra studenti e polizia. Quello ammise pure che tale forma di prote-

sta era l’unica e ultima che

restava loro da provare, e che forse era l’unico modo per ottenere qual-cosa dall’attuale rettore, contro il quale stavano lottando. Quando tuttaimpaurita stavo già pensando a rientrare nel bus, ho visto una donnaprendere per mano i suoi cinque figli e iniziare la discesa affrontando isassi pronti nelle mani degli studenti. Si potrebbe dire che ho approfittato dei bambini e sono scesa con loro,che anche mi sono fatta scudo di essi, ma preferisco pensare che hoapprofittato del valore di una donna e di una madre che aveva fretta didar da mangiare ai suoi figli. Nei dieci minuti impiegati per superare lacurva non posso nascondere di aver temuto che da un momento all’al-tro un sasso mi colpisse, obiettivo peraltro piuttosto facile, perché erola più alta degli altri valorosi camminanti, una gringa vestita all’occidentale,senza fagotto sulle spalle né la tipica gonnellina andina. Sperando al massimo nella cattiva mira degli studenti e affrettando ilpiù possibile il passo, ho raggiunto la zona di sicurezza sentendo intor-no grida dei “ribelli” che dicevano: “Grazie, turisti, che appoggiate la nostraprotesta; grazie per il vostro appoggio!”. Infine abbiamo attraversato lazona più pericolosa e abbiamo iniziato la discesa verso il centro dellacittà, senza seguire la strada ma tagliando direttamente per i quartieripiù periferici, cercando di non cadere nei pozzi aperti che sbucavanosenza preavviso dalla strada e dividendo il percorso con una famigliastanca e felice di arrivare finalmente a casa e a un ragazzo che nontornava ad Ayacucho da quasi 12 anni. Dieci minuti dopo la nostra allegra discesa verso la città abbiamo ini-ziato a sentire spari. Il mio entusiasmo si è trasformato in tristezza. Lacrimogenie bombe rumoreggiavano in lontananza e mi venne il timore che qual-che giovane stesse rischiando la vita per lottare per il suo diritto allostudio. Giunti in centro assetati e con le gambe indolenzite per la ripi-da discesa dopo 12 ore fermi nel bus, ci ha accolto una città fantasma.La scena era quella di una città sotto assedio, le strade erano vuotenonostante fosse l’una, tutti i negozi erano chiusi, di mercoledì, giornoferiale qualsiasi; con grandissimo nostro stupore il mercato centrale diHuamanga, enorme, che comprende diversi isolati del centro storico del-la città capitale del distretto di Ayacucho, invece di riunire al suo inter-no migliaia di persone occupate a comprare o vendere prodotti nei ban-chi o per terra, era vuoto, le porte chiuse e i passaggi tra i banchi deser-ti e silenziosi. Uno spettacolo completamente nuovo per me; mai ave-

vo visto un mercato vuoto e così tranquillo e silen-

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zioso, nessuno passava per strada, i taxi non circolavano e la gentesembrava sparita. Il ragazzo che ci accompagnava ci ha spiegato cheil vuoto che vedevamo era il modo di Huamanga e dei suoi abitanti disolidarizzare con la protesta dei loro ragazzi. Un’intera città paralizzataper la causa dei suoi giovani, delle sue forze future, che gli adulti difen-devano e appoggiavano rinunciando anche a una giornata di guadagni,sforzo e sacrificio che – soprattutto nella provincia – significa molto dipiù di quanto possa sembrare a noi europei. E’ molto probabile invece che un europeo resterebbe sbalordito di fron-te all’interesse che tutta una città può avere per un gruppo di studentisciocchi che, per perdere un giorno di studio, preferiscono perdere tem-po inventandosi una protesta. Questo penserebbe la maggior parte dinoi di fronte alle proteste studentesche oppure, per esempio in Italia, lamaggior parte della gente potrebbe pensare di essere d’accordo con igiovani ma senza farsi coinvolgere troppo né realmente né economicamente.Ho passato il tempo successivo, camminando per una città vuota, a pen-sare alle differenze tra que-sta realtà e quella mia, trail modo di protestare diquesti studenti, pochissimi dinumero ma convintissimidelle loro idee. Arrivai infineall’ufficio di Ayacucho dellaAprodeh, la ong peruvianacon la quale collaboravo. Alle quattro di pomeriggio, dopoessere partita alle 10 del gior-no prima e aver vissuto situa-zioni irreali e stati d’animo con-trastanti, abbiamo preso lafelice decisione di pranzaree di cercare di tornare allanormalità, anche perché gliscontri erano cessati e gli stu-denti si preparavano a sfilare pacificamente per le strade del centro diHuamanga. E così abbiamo mangiato guardando la meravigliosa Plazade Armas di Ayacucho e contando le tantissime sue chiese incontratelungo la strada. Gli altri quattro giorni che ci aspettavano furono giorni di immersione tota-le nella natura, nella campagna di Huanta, dove avevamo da realizza-re con giovani del luogo un laboratorio sui diritti umani. Partimmo da Huamanga,la Esmeralda delle Ande, che già era notte e dovevamo attraversare lazona di accesso al famigerato VRAEM, tra Huanta e Luricocha, zona dinarcotraffico e di assalti, zona pericolosa e controllata dalla polizia, cheper due volte ha fermato il nostro “Combi” (pulmino a 8 posti comune inPerù per i trasporti privati) costringendo l’autista - da quanto ho capitoguardando di sottecchi – a pagare tutte e due le volte gli agenti di nasco-sto. Mentre la strada seguiva tortuosa nella notte i monti di Huamanga,uno spettacolo meraviglioso mi ha colpito all’improvviso: le stelle brilla-vano nell’oscurità in modo incredibile, in quantità enorme, campo pie-no di fiori fluorescenti che solo pochissime volte avevo visto prima e chesoprattutto aveva questa volta aspetti del tutto nuovi per me, quelli del-l’emisfero meridionale! Era da tanto che non guardavo il cielo, e molto di più che non guarda-vo le stelle. Avevo trascorso gli ultimi mesi troppo presa dalle mie cose,presa dall’aspetto pratico: preparare il viaggio, controllare l’ansia per lanuova avventura che mi attendeva, salutare i miei cari, abituarmi allenovità forti e ai cambiamenti repentini; insomma mi sono lasciata pren-dere da tutto questo, dimenticando completamente di alzare ogni tantola testa al cielo. Ho approfittato dunque di quella occasione per comin-ciare a speculare come ogni filosofo che si rispetti. Mi sono lasciata por-tare dai miei pensieri e ho cominciato a sentire una immensa gratitudi-ne. Ero grata alla vita, al destino che voleva che stessi proprio in quelbus in mezzo al nulla guardando quello spettacolo della natura; ero gra-ta alla mia famiglia che, nonostante l’abbia messa a dura prova, specieall’inizio di questa esperienza, mi ha sempre sostenuto trasmettendomiuna forza enorme per affrontare tutto questo con coraggio e voglia di

crescere e di arricchirmi, privilegiata di stare lì da sola, lontano da tut-to e tutti, sola con me stessa, l’unica persona con cui sarò davvero obbli-gata a passare il resto della mia vita, ma con la quale in quel momen-to stavo benissimo. E’ stata una sensazione forte, che non credo di avervissuto altre volte, ma che desidero, per me e per tutti, vivere presto un’al-tra volta. E’ stata la felicità, quella che sempre ci chiediamo se esista,e che certamente non è continua né molto stabile, ma che c’è, esiste,dobbiamo solo cominciare a riconoscerla. I ragazzi del laboratorio, in quei giorni bellissimi, mi colpirono per comeerano coinvolti ognuno a suo modo. Chi studiava antropologia, chi poli-tica, chi scienze sociali, ma ciascuno sapeva molto chiaramente comee con quali strumenti agire di fronte allo Stato. Inoltre ognuno faceva par-te di una organizzazione studentesca, indigena, lega dei lavoratori o didonne. Perciò mi venne di fare il secondo confronto con la mia societàeuropea, avanzata e sviluppata. Dove stanno questi giovani in Italia? Di quelli della mia generazione, me compresa ovviamente, quanti cono-

scono la legge a menadi-to, o sono iscritti a qualcheorganizzazione e si impe-gnano a partecipare alaboratori di preparazioneall’azione politica, in dife-sa dei diritti umani, dei grup-pi vulnerabili, della gioventùin genere? Che succede allamia generazione? Dove halasciato l’indignazione?Forse in Italia non è neces-sario indignarsi? Non è for-se vero che anche nella svi-luppata Europa non sirispettano i giovani né sigarantisce loro un futuromigliore? Perché allora io

non mi sono mai sforzata non dico di mobilitarmi, ma almeno di infor-marmi con più attenzione e continuità? Non sarà forse vera la teoria chenoi europei ancora stiamo troppo bene? Bene o male abbiamo la pos-sibilità di studiare, di mangiare, di vestirci alla moda, di avere hobby epraticare sport. Dove lo prendiamo il tempo per indignarci? I ragazzi del laboratorio di Huanta questo mi hanno insegnato, dimostrandomiquanto fiacca fossi stata nel rivendicare i miei diritti di giovane studen-tessa, o almeno di conoscere gli abusi presenti anche nel mio paese,benché più facilmente mascherati dal benessere generalizzato. Specie quando sono venuta a sapere che per andare a lezione la mag-gior parte di essi si alzava alle 4 del mattino e una in particolare, quan-do non andava all’università, correva al mercato per aiutare la madre avendere choclos, cioè pannocchie bollite.Dato l’isolamento del centro dove eravamo, dove non c’era né internetné televisione, come le società antiche dovevamo riunirci di notte, al buioe con coperte per non patire troppo il freddo, molto acuto di notte a quel-le altezze (oltre 3000 metri). La situazione ci dava l’occasione di condi-videre le esperienze di vita in forma di racconti e storie tradizionali. Nellaprima serata ho sentito racconti di paura in quechua (la lingua degli Incas,ancora comune tra i contadini delle Ande), storie di teste volanti e di “harhar har”, alla fine neanche troppo terrificanti visto che non riuscivo a capi-re nemmeno una parola!; nella seconda siamo passati a raccontarci lenostre storie d’amore. E’ stato tutto molto particolare e arricchente per me: stare insieme a sco-nosciuti e condividere la vita, guardare le stelle con loro, realizzare cheanche nel mio paese in provincia di Roma ci sono storie di morti e difantasmi come nelle comunità andine. Mi sono fatta tanti nuovi amici coni quali sono ancora in contatto e che mi hanno invitato a trovarli nellaloro comunità di Sharua, a 4000 metri sulle Ande, durante la festa del-l’acqua, quando gli abitanti si sfidano in balli instancabili finché non restaun solo vincitore. Magari potessi davvero raggiungerli a Sharua, facen-do 120 km in sei ore per la strada difficile, che gira e rigira sui fianchidelle montagne, ma sicura fin da ora che varrà la pena di provarci.

1616 OttobreOttobre20142014

CENTRO DIOCESANO DI FORMAZIONE PERMANENTESCUOLA DI FORMAZIONE TEOLOGICA Ss. CLEMENTE e BRUNO• Il CENTRO DIOCESANO DI FORMAZIONE PERMANENTE è una strut-tura a servizio della Diocesi. La sua principale iniziativa è la Scuola diFormazione Teologica, in continuità con una esperienza ormai trenten-nale, prima con la Scuola di Teologia «SS. Clemente e Bruno» e poi conl’Istituto di Scienze Religiose «Mons. Giuseppe Centra». Il suo scopo èdi proporre percorsi di iniziazione alla teologia, con particolare attenzioneal vissuto di fede e alle esigenze di formazione della Chiesa locale diVelletri-Segni. • La Scuola di Formazione Teologica si articola su tre percorsi distin-ti: A) corso di formazione teologica; B) percorso tematico; C) laborato-ri di comunicazione. In questo modo, la Scuola si offre come un luogo aperto a tutti i mem-bri del Popolo di Dio che possono trovare iniziative corrispondenti alleloro esigenze di formazione e/o di aggiornamento.

• Il Percorso A è impostato secondo un Ciclo quadriennale di inizia-zione alla teologia, con approfondimento in particolare della Sacra Scritturae della Dottrina cristiana alla luce del Concilio Vaticano II e del Catechismodella Chiesa Cattolica. Ogni anno prevede un corso di introduzione gene-rale, la presentazione di una delle costituzioni del concilio Vaticano II,un corso di Sacra Scrittura, un corso di teologia sistematica, secondo ilseguente quadro:Anno I - Introduzione alla Storia della salvezza- Introduzione generale alla Sacra Scrittura- Costituzione Dogmatica Dei Verbum- Dottrina cristiana su DioAnno II - Introduzione al pensiero cristiano- Sacra Scrittura: Antico Testamento- Costituzione pastorale Gaudium et Spes- Dottrina cristiana sull’uomo in Cristo Anno III - Introduzione alla storia della Chiesa- Sacra Scrittura: NT I: i Vangeli- Costituzione dogmatica Lumen Gentium- Dottrina cristiana sulla Chiesa di CristoAnno IV - Introduzione ai Padri della Chiesa- Sacra Scrittura: NT II: le Lettere- Costituzione liturgica “Sacrosanctum Concilium”- Dottrina cristiana sui sacramenti della Chiesa.

• Il Percorso B consiste in un percorso su un tema di inte-resse generale, nella forma del dialogo con uno o più esper-ti. Oltre ai contenuti, il percorso vuole essere una vera e pro-pria scuola del dialogo, dove ogni incontro diventi uno spazioin cui il confronto sereno delle idee su un tema di grande rile-vanza per chiunque – credente o meno – si traduca in stile dipensiero e di vita.

• Il Percorso C è un ulteriore spazio di confronto, dove esper-ti nelle diverse scienze offriranno brevi percorsi formativi neidiversi ambiti della vita civile ed ecclesiale.• Gli incontri si terranno nella Sede del Centro Diocesano diFormazione Permanente, a Velletri, presso la Chiesa del Crocifisso,Viale Salvo D’Acquisto, 51, il martedì e il giovedì dalle ore18.30 alle 20.00. Il mercoledì si terranno i laboratori e i semi-nari.

• Note informative -I Corsi organizzati dal Centro Diocesano di Formazione Permanentesono indirizzati a tutti, senza richiesta di titoli o competenzespecifiche;-La Scuola di Formazione Teologica non conferisce titoli acca-demici; a quanti lo richiedono, rilascia un attestato di frequenza;

per chi deve o intende sostenere l’esame, la prova consisterà in un ela-borato concordato con il docente. -I corsi possono valere, per le Scuole di ogni ordine e grado, come cor-si di aggiornamento.-Le iscrizioni si fanno, su apposito modulo, a inizio corso.-Per la frequenza alla Scuola è richiesta una quota di Euro 50.00, a tito-lo di rimborso spese.

ANNO 2014-2015Programma

• PERCORSO A: ANNO I DEL CORSO DI FORMAZIONE TEOLOGICA

Martedì, ore 18.30-20.00: 1.Costituzione dogmatica Dei Verbum21 e 28 ott, 4, 11, 18 e 25 nov, 2 e 9 dic; 2.Dottrina cristiana su Dio13, 20 e 27 gen, 3, 10, 17 e 24 feb, 2, 10, 17 e 24 mar.Giovedì, ore 18.30-20.00:3.Introduzione alla Storia della salvezza 23 e 29 ott, 6, 13, 20 e 27 nov., 4 e 11 dic.4.Introduzione alla Sacra Scrittura15, 22 e 29 gen, 5, 12, 19 e 26 feb, 5, 12, 19 e 26 mar.

* VELLETRI, Chiesa del Crocifisso.

• PERCORSO B: ESERCITAZIONI DI DIALOGO

Giovedì, ore 20.30-22.00:1. Corso tematico: EDUCARE ALLA LIBERTA’ RELIGIOSAaprile-maggio 2015

• PERCORSO C: LABORATORI SULLA DOTTRINA SOCIALE DELLA CHIESA

Responsabile dei laboratori: Costantino Coros aprile-maggio 2015

SEGRETERIA:VELLETRI, Chiesa del Crocefisso, Viale Salvo D’Acquisto, 51Martedì, venerdì, orario incontri.Direttore: Don Dario Vitali:[email protected]

1717OttobreOttobre20142014

Paola Cascioli

IIdue specifici organismi della Conferenza EpiscopaleItaliana, Migrantes e Caritas Italiana, insieme,in modi diversi, aiutano la comunità cristiana

e la società italiana ad accompagnare i migranti,guardando alle loro storie di vita e di fede, con un’at-tenzione preferenziale per i poveri. Anche quest’annohanno presentato il rapporto sull’immigrazione nelnostro Paese tracciando un quadro della situazionedella popolazione straniera presente nel territorioitaliano, evidenziandone le criticità. Vediamoinsieme qual è il volto della povertà nel mondo deimigranti in Italia secondo tale rapporto.Nel 2013, se nel mondo e in Europa le migrazio-ni crescono, in Italia il fenomeno continua, ma nonaumenta. La crescita interna dei migranti - per iricongiungimenti familiari, le nuove nascite - vie-ne pressoché annullata dai rientri nei paesi di ori-gine, dalle partenze per altre destinazioni europeee del mondo di numerose persone e famiglie migran-ti. Il numero di persone straniere, comunitarie e non,che sono presenti in Italia, resta circa 5 milioni: vivo-no al Nord, meno al Centro e ancor meno al Sud:la maggior parte di loro sono Romeni, Albanesi,Arabi, Ucraini o Cinesi. La crisi economica degliultimi anni, ha colpito indifferentemente italiani estranieri ed è indubbiamente causa principale deimoltissimi problemi che registriamo in tutto il pae-se in tema di lavoro, di casa e d’istruzione. Le famiglie dei migranti si sono ritrovate a fronteggiarela crisi in posizioni di evidente svantaggio rispet-to alle famiglie italiane. Il rischio di povertà inte-ressa circa la metà di questo universo (quindi un’in-cidenza più che doppia rispetto alla situazione del-le famiglie italiane). Il reddito medio delle famiglie immigrate è solo il56% di quello degli italiani, perciò la componentestraniera, ad esempio, risulta incapace di pagarecon puntualità affitti e bollette praticamente in unquarto dei casi (rispettivamente contro il 10,5% el’8,3% degli italiani). Dati desumibili da un campione dei Centri di Ascoltorelativi a 45 Diocesi dicono che gli immigrati incon-trati dagli operatori nel 2012 hanno manifestato tretipologie preminenti di bisogni, riferibili inprimo luogo a situazioni di povertà e a problemidi occupazione e, in proporzione inferiore, a dis-agi abitativi. Più della metà delle richieste ha riguar-dato beni e servizi materiali. I beni erogati sonodi uso quotidiano ed essenziale: circa quattro inter-venti su dieci hanno riguardato la fornitura di vive-ri e circa un terzo la messa a disposizione di vestia-rio per le famiglie in condizioni di bisogno. Di fronte a questo quadro poco edificante CaritasItaliana ha attivato l’iniziativa Anticrisi, consistentenell’attribuzione alle Diocesi di risorse economicheaggiuntive a loro destinate attraverso l’8x1000 allaChiesa Cattolica per intervenire più significativa-mente in favore dei poveri, che sempre più nume-rosi, italiani e stranieri, si rivolgono ai nostri Centrid’Ascolto. Ad oggi grazie a questo intervento straor-dinario sono stati assegnati oltre 6 milioni di euro.In particolare occorre segnalare una più grave pro-blematica legata ai profili abitativi, che per i migran-ti presenta criticità in misura tre volte superiore aldato corrispondente delle famiglie italiane. Le abitazioni delle famiglie con stranieri presen-tano, rispetto a quelle italiane, maggiori problemi

di sovraffollamento,dovute alle convivenzenella stessa abitazionedi parenti, amici e con-nazionali che permettonodi ridurre le spese perl’affitto, oltre ovvia-mente alla possibilità disostegno reciproco. La componente irre-golare della popolazio-ne immigrata presentein Italia vive in alloggi cheper le loro caratteristi-che non possono esse-re classificati come abi-tazioni (ad esempio:caravan, container,baracche, garage, soffitte e can-tine). Ciò vale anche per gli immigrati regolari che,con le normative introdotte dalla Bossi-Fini, pos-sono trovarsi in situazioni di irregolarità, innanzi-tutto a causa della perdita del posto di lavoro. Èuna condizione di vulnerabilità che comporta il rischiodi rimanere senza alloggio e senza appoggio di retiamicali/parentali. In un simile scenario non possono che destare preoc-cupazione gli ultimi esiti delle questioni legate almondo del lavoro: tra gli italiani il fenomeno col-pisce soprattutto le classi più giovani e quindi i figliche restano nei nuclei di origine, mentre nelle fami-glie straniere la persona priva di lavoro o a rischiocrescente di disoccupazione è tipicamente ilgenitore/capofamiglia.Il degrado del quadro occupazionale degli immi-grati è da ascrivere non solo alla crisi in atto, maanche ad un modello di sviluppo che ha puntatosull’abbassamento del costo del lavoro più che sul-l’innalzamento della produttività. È l’esito della scelta, economicamente miope e social-mente imprudente, di avere incoraggiato l’arrivo diimmigrati intenzionati a installarsi in maniera defi-nitiva senza interrogarsi sul loro destino umano elavorativo, e in particolare sulle prospettive di mobi-lità e sviluppo professionale e sulla possibilità difare leva sulle loro competenze per la creazionedi valore aggiunto. Bloccare semplicemente i flussi di ingresso o nonpermettere forme di emersione per chi si trova alavorare in Italia senza un permesso di soggior-no, vuol dire solamente abbassare le tutele e legaranzie dei lavoratori. E se questo è vero per deter-minati settori di inserimento, è ancor più vero perrealtà come il lavoro in agricoltura dove ormai cisiamo abituati a sopportare la vista di decine di migliaiadi schiavi moderni, sfruttati sui campi di mezza Italia.(Tre euro e mezzo per raccogliere un cassone dipomodori da 300 kg sotto il sole anche a 40 gra-di. Due euro e mezzo se si è senza permesso disoggiorno. È questa la paga che un immigrato rice-ve nelle campagne pugliesi, dove fa anche 14 oreal giorno). Il 2013 ha visto la crisi far emergere ilrischio - Lampedusa e Prato sono solo due esem-pi estremi e drammatici - di indebolire la tutela deifondamentali diritti umani: il Mediterraneo è sem-pre più un luogo di morte per tante persone in fuga;l’Europa presidia i suoi confini solo sul piano del-la sicurezza; i diritti dei lavoratori sono stati rinnegatiin alcuni luoghi di lavoro - dalle imprese di Pratoalle campagne della pianura padana o della pia-na del Sele, della Capitanata, di Rosarno o della

Lucania - senza dimenticare il lavoro domestico.Il trattenimento nei Centri di Identificazione e di Espulsione(CIE) non soddisfa l’interesse al controllo delle fron-tiere e alla regolazione dei flussi migratori, ma sem-bra piuttosto assolvere alla funzione di “sedativo”delle ansie di chi percepisce la presenza dello stra-niero irregolarmente soggiornante, o dello stranieroin quanto tale, come un pericolo per la sicurezza.Le norme che regolano il trattenimento nei CIE appaio-no illegittime, in quanto non rispettano le garan-zie dei diritti costituzionali e non superano i testdi ragionevolezza soprattutto quando riguarda per-sone che hanno già scontato la pena detentiva incarcere e, per un difetto dell’Amministrazione, sitrovano a dover prolungare nei CIE la loro espe-rienza detentiva. Troppe sono ancora le vittime di tratta per sfrut-tamento sessuale o lavorativo che chiedono un rico-noscimento e una protezione sociale, fortementeindebolita in questi ultimi anni da una politica chesembra trattare con scarsa attenzione, se non pro-prio dimenticare, i percorsi e gli strumenti per lepari opportunità.Lo stesso Papa Francesco nell’EsortazioneApostolica Evangelii Gaudium così si esprime atal proposito: «Mi ha sempre addolorato la situa-zione di coloro che sono oggetto delle diverse for-me di tratta di persone. Vorrei che si ascoltasse ilgrido di Dio che chiede a tutti noi: “Dov’è tuo fra-tello?” (Gen 4,9). Dov’è il tuo fratello schiavo? Dov’èquello che stai uccidendo ogni giorno nella piccolafabbrica clandestina, nella rete della prostituzione,nei bambini che utilizzi per l’accattonaggio, in quel-lo che deve lavorare di nascosto perché non è sta-to regolarizzato?Non facciamo finta di niente. Ci sono molte com-plicità. La domanda è per tutti! Nelle nostre cittàè impiantato questo crimine mafioso e aberrante,e molti hanno le mani che grondano sangue a cau-sa di una complicità comoda e muta».In conclusione - riprendendo le parole di Papa Francescoper il Messaggio della 100° Giornata Mondiale delMigrante e del Rifugiato 2014 - «se da una partele migrazioni denunciano spesso carenze e lacu-ne degli Stati e della Comunità internazionale, dal-l’altra rivelano anche l’aspirazione dell’umanità avivere l’unità nel rispetto delle differenze, l’acco-glienza e l’ospitalità che permettano l’equa con-divisione dei beni della terra, la tutela e la promozionedella dignità e della centralitàdi ogni essere umano».

Fonti: Caritas-Migrantes, XXII Rapporto Immigrazione 2013.

1818 OttobreOttobre20142014

don Dario Vitali*

LLa Parola di Dio ci invita a contemplare laChiesa come sposa, la sposa più bella:«Cristo ha amato la Chiesa – dice la Lettera

agli Efesini – e ha dato se stes-so per lei, purificandola con il lava-cro dell’acqua mediante laParola, e per presentare a se stes-so la Chiesa tutta gloriosa, sen-za macchia né ruga o alcunchédi simile, ma santa e immaco-lata» (Ef 5,25-27). Siamo chiamati ad entrare in un«mistero grande», quello diCristo con la Chiesa (cfr Ef 5,32),che domanda grande attenzio-ne. Per questo è necessario invo-care da subito lo Spirito, perchéillumini gli occhi della nostra men-te al fine di comprendere a qua-le speranza siamo stati chiamati(cfr Ef 1,18), quale dignità ci ètoccata: di essere «non più stranieri né ospiti, maconcittadini dei santi e familiari di Dio, edificati soprail fondamento degli apostoli e dei profeti, aven-do come chiave di volta lo stesso Cristo Gesù. In lui tutta la costruzione cresce ben ordinata peressere tempio santo nel Signore; in lui anche voivenite edificati insieme per diventare abitazionedi Dio per mezzo dello Spirito» (Ef 2,19-21). Lo Spirito, dunque, ci doni l’intelligenza - nel sen-so profondo dell’intus legere - per una «medita-zione sulla Chiesa». Uso questo termine nel sen-so voluto da H. de Lubac, il quale ha indagato ilmistero della Chiesa a partire da una attenta rilet-tura dei testi della Scrittura e della Tradizione, soprat-

tutto dei Padri e dei teologi del Medioevo, tra cuiil nostro Bruno di Segni. Nella prefazione al volu-me Meditazione sulla Chiesa, egli dice: «Non abbia-mo voluto né iniziare una nuova ricerca, né rifa-re a nostra volta quello che altri hanno già fatto,e fatto bene. Noi abbiamo soltanto, alla luce del-la fede, meditato in alcuni dei suoi aspetti il miste-ro della Chiesa, sforzandoci di metterci, il più pos-sibile, al centro del mistero stesso» (p. 3). Dalla lettura contemplativa dei testi dellaTradizione, il grande teologo si è sentito rapito,senza per questo scadere in sogni. «Non abbia-mo cercato una specie di evasione, fuori della bana-lità quotidiana o delle tristezze dell’esistenza, inuna visione irreale, fluttuando sopra le nubi. [Alcontrario], questa patria della libertà, “Madre nostra”,ci è apparsa nella sua reale maestà e nel suo cele-ste splendore, nel cuore stesso della nostra real-tà terrestre, in mezzo alle opacità e alle inevita-bili pesantezze che la sua missione tra gli uomi-

ni comporta. L’abbiamo amata – di sempre più gran-de amore – così come è, non soltanto nella suaidea, ma nella sua storia, e più particolarmentecosì come essa, oggi, ci appare. Il nostro cuorene è rimasto avvinto» (p. 3-4). E conclude: «Se nella nostra epoca così strana-mente sconvolta – de Lubac scriveva nel 1952!– e nell’inevitabile turbamento che, di riflesso, siripercuote nella nostra coscienza, l’una o l’altradelle nostre parole riuscisse a fare intravvedereun po’ meglio a qualcuno la Sposa dell’Agnello,radiosa e materna, il nostro scopo sarebbe rag-giunto» (p. 4).Le immagini della Chiesa che de Lubac ha pro-

posto, mostrando il volto bellodella Chiesa partecipe delmistero stesso di Dio, sono diven-tate patrimonio comune attraversoil concilio: la costituzione dog-matica Lumen gentium si aprecon il rimando a un’immagine caraai Padri, secondo cui la Chiesariflette la luce di Cristo, come laluna riflette la luce del sole. LaChiesa, descritta come «plebsadunata de unitate Patris et Filiiet Spiritus Sancti», secondo ilcelebre adagio di Cipriano (cfrLG 4), è il Popolo di Dio pelle-grinante nel tempo, che anela

alla patriaceleste, dovepotrà dimo-rare conCristo in Dio.Stando anco-ra alle paro-le di deLubac, laChiesa èmistero eparadosso,perché è«compagosocialis», insieme di uomini, non esenti dal pec-cato, e tuttavia è communio sanctorum, «comu-nità di fede, speranza e carità», abitata e guida-ta dallo Spirito (LG 8); è «al contempo umana edivina, visibile ma provvista di realtà invisibili, impe-gnata nell’azione e dedita alla contemplazione,

presente nel mon-do e tuttavia pel-legrina; e tutto que-sto, però, in modotale che quanto inessa è umano siaordinato e sub-ordinato al divino,il visibile all’invi-sibile, l’azionealla contempla-zione, il presen-te alla città futu-ra alla quale ten-diamo» (SC 2).Questo è possi-bile, perché laChiesa è «realtà

una e complessa, in cui si legano insieme un ele-mento umano e un elemento divino» (LG 8): comein Cristo, infatti, la natura umana è a servizio delVerbo eterno come vivo organo di salvezza, «inmodo non dissimile l’organismo sociale della Chiesaserve allo Spirito di Cristo per far crescere il cor-po» (ibid.), per realizzare cioè quel mistero gran-de, in cui Cristo capo della Chiesa riempie di sétutte le cose (cfr 1Cor 1,23).Dopo cinquant’anni dal concilio, possiamo chie-derci quanto sia veramente recepita questa ideadi Chiesa. Nonostante le affermazioni di prammatica,sembra darsi una sorta di dissociazione in meri-to: da una parte si ripetono le belle affermazioniconciliari, senza legarle però a un soggetto sto-rico preciso, quasi riguardassero un’entità astrat-ta e ideale; dall’altra si parla della Chiesa comeun’istituzione, identificata di volta in volta con ilpapa, con il Vaticano, con i vescovi o i preti, conla diocesi o la parrocchia: una realtà comunquemessa sotto la lente d’ingrandimento della criti-ca e, non di rado, della contestazione. Al contrario, dopo aver illustrato la «non deboleanalogia» tra il mistero di Cristo e quello della Chiesa,LG 8 si affrettava a precisare come quella descrit-ta non fosse una Chiesa ideale, ma «l’unica Chiesadi Cristo che nel simbolo professiamo una, san-ta, cattolica e apostolica e che il nostro Salvatoreha dato da pascere a Pietro dopo la sua resur-rezione, affidandone a lui e agli altri apostoli la

1919OttobreOttobre20142014

diffusione e la guida». In altre parole, la Chiesaè una e una sola, questo popolo pellegrinante nel-la storia, che ha per capo Cristo, per statuto lalibertà dei figli di Dio, per fine il Regno di Dio, perlegge il precetto dell’amore (cfr LG 9).Ma la resistenza più forte si incontra quando sitratta di trasferire questi termini alla Chiesa par-ticolare. È mai possibile parlare del mistero del-la Chiesa di Velletri-Segni? Dire che per questa Chiesa Cristo «ha dato sestesso» morendo sulla croce? D’altra parte, comesi fa a parlare di sposa o di corpo di Cristo, o ditempio dello Spirito, quando questa diocesi, cosìconfigurata, esiste da pochi decenni, per una unio-ne forzosa di due diocesi antiche e con una sto-ria e una identità assai diversa? Non bisogna ammet-tere piuttosto che con un atto giuridico è stata costi-tuita una circoscrizione ecclesiastica, che esisteunicamente perché non si poteva o nonsi doveva sopprimere una delle diocesi sub-urbicarie? Che altri erano i progetti dellacuria romana, mai andati in porto perchéi rispettivi cardinali hanno difeso le Chiesedi cui erano titolari? Una lettura teologica della Chiesa particolaresembra destituita di ogni fondamento. Eppure,è il concilio, recuperando la Tradizione piùantica, a dirci che questa assemblea, riuni-ta nella chiesa cattedrale, è la praecipuamanifestatio Ecclesiae: «la manifestazio-ne precipua – principale, ma anche più evi-dente – della Chiesa si ha nella parteci-pazione piena di tutto il popolo santo di Dioalle medesime celebrazioni liturgiche,soprattutto alla medesima eucarestia,nell’unica preghiera, intorno all’unico alta-re cui presiede il vescovo circondato dalsuo presbiterio e dai ministri» (SC 41). Dopo secoli in cui la Chiesa si era pensata comeun’istituzione, una societas, il concilio ne recuperail mistero, situandola nel luogo e nell’atto più altoche la manifesta: la celebrazione dell’Eucarestia.Come non ricordare qui l’assioma dei Padri, ripre-so in modo magistrale da de Lubac, secondo cuila Chiesa fa l’Eucarestia e l’Eucarestia fa la Chiesa?Nel momento stesso in cui la Chiesa celebra l’Eucarestia,è da questa costituita come il corpo di Cristo –capo e membra – che celebra quel culto pub-blico integrale, capace di rendere gloria a Dio edi realizzare la salvezza dell’uomo (cfr SC 7). Vale qui il principio enunciato da Paolo: «Poichévi è un solo pane, noi siamo, benché molti, un solocorpo: tutti, infatti, partecipiamo dell’unico pane»(1Cor 10,17). È questo il nucleo centrale di ciòche possiamo descrivere come Chiesa eucaristica. Che non si tratti di una descrizione simbolica, lodimostrano i tanti passaggi del Vaticano II sullaChiesa raccolta dall’Eucarestia: «Con il sacramentodel pane eucaristico viene rappresentata e rea-lizzata l’unità dei fedeli che costituiscono un solocorpo in Cristo», dice LG 3; e LG 7, che cita 1Cor10,17, precisa: «per mezzo della frazione del paneeucaristico diventiamo realmente partecipi del cor-po del Signore e siamo elevati alla comunione conlui e tra di noi»; per LG 26, «la Chiesa è vera-mente presente in tutte le legittime assemblee loca-li di fedeli che, aderendo ai loro pastori, sono anch’es-se chiamate Chiese nel Nuovo Testamento».

Basti pensare «alla Chiesa di Dio che è in Corinto»(1Cor 1,1), o «alla Chiesa dei Tessalonicesi cheè in Dio Padre e nel Signore nostro Gesù Cristo»(1Ts 1,1). Dunque, anche noi possiamo parlaredella Chiesa di Dio che è in Velletri-Segni, la qua-le è in Dio Padre e nel Figlio suo Gesù Cristo. Non si tratta di un’attribuzione analogica, o fitti-zia, del titolo di Chiesa. Basta, a dimostrarlo, unaltro testo conciliare, recepito alla lettera anchedal Codice di Diritto Canonico: «La diocesi è unaporzione del Popolo di Dio affidata alla cura pasto-rale del vescovo con la cooperazione del presbiterio,in modo che, aderendo al suo pastore e da lui rac-colta nello Spirito santo attraverso il Vangelo el’Eucarestia, costituisca una Chiesa particolare,nella quale è veramente presente e agisce la Chiesadi Cristo una, santa, cattolica e apostolica» (CD11). In questo luogo non c’è altra Chiesa che quel-

la di Velletri-Segni. I due verbi - inest et operatur - rimandano alla sacra-mentalità della Chiesa, la quale «è in Cristo comeun sacramento, cioè segno e strumento dell’inti-ma unione con Dio e dell’unità del genere uma-no» (LG 1). D’altronde, sempre il concilio dice che«nelle e a partire dalle Chiese particolari esistel’una e unica Chiesa di Cristo» (LG 23).

Dunque qui, in questo lembo di territorio dell’e-strema campagna romana, la Chiesa di Cristo èpresente e agisce in questa Chiesa particolare,che è segno e strumento della comunione con Dioe tra gli uomini. E lo è, perché in essa si dannotutti gli elementi necessari perché esista la Chiesa:il Popolo santo di Dio, il vescovo con il suo pre-sbiterio, il Vangelo e l’Eucarestia, lo Spirito cheè l’anima della Chiesa. La portio Populi Dei è talee non la somma di un certo numero di individui,perché ha nel vescovo il suo principio di unità. Egli,in quanto membro del collegio dei vescovi, immet-te la Chiesa a lui affidata nella comunione delleChiese che costituiscono la Chiesa Cattolica, laquale ha il proprio principio e fondamento di uni-tà nel papa (cfr LG 23). In forza della presenzadel vescovo, successore degli Apostoli, è garan-tito al Popolo di Dio il nutrimento della Parola e

dell’Eucarestia, che egli stesso cele-bra o fa celebrare (cfr LG 26). Egli haperciò necessità di «saggi collabora-tori» che gli siano di aiuto nel suo mini-stero, i quali formano con lui un solopresbiterio, destinato al servizio delPopolo di Dio (cfr LG 28). Tutto questo non è opera dell’uomo,ma di Dio, azione continua dello Spiritoche guida e santifica la Chiesa. A par-tire da questa vertebrazione minima- Popolo di Dio, vescovo, presbiterio- la Chiesa può crescere ben ordinata(cfr Ef 4,16), arricchendosi di doni, voca-zioni, carismi, ministeri. Possiamo vede-re i tanti ministeri della nostra Chiesa:quello ordinato dei diaconi, quelli isti-tuiti dei lettori e degli accoliti, quelli difatto dei catechisti, dei tanti operato-ri pastorali negli ambiti della Parola,

della liturgia, della carità. Possiamo vedere i tanti carismi che lo Spirito hasuscitato e suscita come vuole, da quelli collet-tivi degli ordini e congregazioni religiose e dei movi-menti ecclesiali, a quelli personali che lo Spiritodistribuisce a piene mani, come vuole, tra tutti imembri del Popolo di Dio. Possiamo anche vedere come non mancano le

2020 OttobreOttobre20142014

vocaz ion i ,segno dell’i-n e s a u s t afecondità del-lo Spirito. È lo Spirito,infatti, l’ani-ma di questaChiesa e del-la Chiesa tut-t a . Q u e s t omistero è gran-de! Talmente gran-de che forse

non siamo abituati a riferirlo alla realtà di Chiesadi cui facciamo quotidianamente esperienza. Comeparlare della diocesi come Chiesa particolare, edi essa come sposa di Cristo e madre che gene-ra sempre nuovi figli alla fede, quando la realtàecclesiale di cui facciamo parte è spesso delu-dente? quando vediamo il peccato, le divisioni, igiochi di potere, le beghe di sacrestia? Eppure,non esiste altra Chiesa per noi, se non nella e apartire dalla Chiesa di cui siamo parte. Quanto amore portiamo, quale rispetto abbiamo- tutti, ciascuno per la sua parte e secondo il posto

e la funzione che occupa in questa Chiesa- per questa Chiesa particolare, «nellaquale è presente e agisce la Chiesa diCristo una, santa, cattolica e apostoli-ca»? Quanto siamo disposti a investire peressere Chiesa che, rinnovata dallo Spirito,mostri la bellezza della vita cristiana?«Beati gli invitati alle nozze dell’Agnello»,i quali vestono l’abito della festa e atten-dono vigilanti la venuta dello Sposo.Questo non vuol dire una fuga in qual-che realtà ideale. Gli ambiti in cui i diversi gruppi sono chia-mati a interrogarsi - la tradizione, la cit-tadinanza, il lavoro e la festa, la fragi-lità, la famiglia - rimandano a una situa-zione drammatica, segnata dalla crisi eco-nomica che intacca le poche certezze

rimaste a una popolazione sra-dicata dal terreno sicuro della tra-dizione cristiana e scaraventa-ta in una modernità liquida, sen-za volto e all’insegna delle rela-zioni virtuali. Per gli uomini e le donne Chevivono sul territorio della nostradiocesi, segnato da tanti problemie contraddizioni sociali, la Chiesache cammina in Velletri-Segni èchiamata ad essere segno di verasperanza, strumento di edifica-zione del Regno e della sua giu-stizia. E non potrà esserlo, senon riscopre la bellezza diessere la sposa bella di Cristo,dove ciascuno con la sua vitacontribuisce a tessere l’abito bel-lo delle nozze.A qualcuno questa chiusa potrà suonare come un’en-fasi retorica. Ma non faccio altro che riprendereun’immagine di Bruno di Segni, il quale nei suoiscritti si è ripetutamente riferito alla Chiesa comesposa di Cristo. Nel secondo libro delle Sentenzeparla degli ornamenti - meglio sarebbe dire: gioiel-li - della Chiesa, e indica undici perle per una col-lana o un diadema di grande valore: la fede, la

speranza, la carità, lequattro virtù cardinali, l’u-miltà, la misericordia, lapazienza, la castità, l’ob-bedienza, l’astinenza (perla vigilanza in attesa del-lo Sposo). Il concilio Vaticano II decli-na lo stesso tema, parlandodella «universale vocazionealla santità»: la santità del-la Chiesa risplende nellesue membra, e ogni mem-bro della Chiesa parteci-pa di questo mistero gran-de della Chiesa, cheCristo, per il dono delloSpirito, si fa compariredavanti «senza macchiané ruga o alcunché di simi-

le, ma santa e immacolata» (Ef 5,27). Per Bruno la Chiesa è la regina alla destra delsovrano (cfr Sal 44,11), la sposa del cantico, cheegli descrive come «Sponsam Regis regiam», laSposa regale del Re, degna di tale sposo.Nella fiducia che lo Spirito ci abbia mostrato, aldi là delle macchie sull’abito delle nozze, o del-le sbavature nel trucco, la bellezza della nostra

Chiesa, Sposa del Cristo, mi piace chiu-dere questa meditazione teologica conun frammento dell’ultimo carme che Brunodedica alla sposa del cantico dei canti-ci e che, nella fede, noi possiamo dedi-care alla nostra Chiesa di Velletri-Segni,in un atto di amore e di dedizione:

Chi è costei che vienecolma di delizie?

Non sale camminando, ma portata dal suo uomo,

sono stato sulla croce con te. Lì ti ho svegliata…

Mettimi come sigillo sul cuore e sul braccio:

l’amore vince ogni cosa…

*Docente Ordinario alla P.U.G. di Roma

segue da pag. 19

2121OttobreOttobre20142014

Edoardo Baietti

UUn’oasi di pace, amena, pacifica, salubre.Un luogo fuori dal tempo, così estraneoalla Velletri del nuovo millennio eppure

così legato alle insite radici volsche, con rivela-zioni germogliate dalla sconfinata distesa di ver-de, lasciata decantare da un brezza cordiale chequieta, fuori dal tempo, baciava con delicatezzale magnifiche espressioni della natura. La cornice adatta per parlare di un legame onni-presente, sempiterno e ineliminabile dalla condi-zione umana: Il matrimonio del Signore con la suaSposa - “Adorna per lo sposo” per citare l’intro-duzione di mons. Luigi Vari. È stato il Centro diS. Maria dell’Acero l’impeccabile sede di oltre seiore di Convegno Pastorale Diocesano, non con-

siderando nel computo i momenti conviviali, dedi-cate alla Fede, alla riflessione e alla crescita inte-riore intesa da un punto di vista tanto singolo quan-to comunitario, nel pomeriggio di venerdì 19 e nel-la mattinata di sabato 20 settembre. Sembra l’inizio di un pellegrinaggio miniaturizza-to, il breve tratto da percorrere per raggiungereil Centro. Mentre le tante forze diocesane dellagrande famiglia di Velletri - Segni prendevano postoin Chiesa, pronti ad intraprendere un nuovo cam-mino fatto di piccoli passi, una musica soffusa pren-deva lentamente forma, creando il clima adattoper il particolare week end: le preghiere inizialie i canti corali curati dal Centro Diocesano Vocazioni.Mons. Vari ha introdotto i lavori davanti all’immagineimperante del Cristo e di Gerusalemme, “addob-bata” qua e là con ritagli di elementi architettoni-ci della nostra Diocesi, come gemme preziose diuna collana primordiale, atti a dimostrare l’unici-tà della Chiesa.“La Chiesa bella che ho visto”: Il titolo del con-vegno si avvicina da un lato al fulcro del semi-nario, esplicato da continue similitudini e vocabolitematici legati allo sposalizio, e dall’altro al moti-vo scatenante, al leitmotiv di quest’anno: la visi-ta pastorale del nostro vescovo Apicella. “Definire da noi stessi la chiesa come “bella” ciespone a un rischio di autoreferenzialità”, ha spie-gato don Vari, “ma quello di oggi è un incontro

per cercare con umiltà passi con-creti per raggiungere un model-lo, per camminare sino a dovesogniamo di essere”. “Noi fac-ciamo parte della continuitàdel progetto di Dio”. In questomodo è iniziata la riflessione ,avulsa da tecnicismi e da rigo-ri formali, di mons. Apicella, che ha optato per unarelazione scorrevole, a tratti benevolmente scher-zosa, inserita esattamente al termine della VisitaPastorale. Dopo il Ringraziamento al Padre, il vescovo havoluto ripercorrere alcuni avvenimenti importan-ti che hanno caratterizzato gli ultimi mesi, comeil cambio del Papa – “Un gesto di fede e corag-gio ha aperto la strada al nuovo Pontefice”.

In seguito si è tor-nati all’identifica-zione della Chiesacome sposa e all’in-divisibilità delle variecomponenti. “Lachiesa è sposa eanche mamma ed èquindi naturale par-lare della sua bel-lezza. Cristo ama laChiesa e Il volto diCristo deve riflettersisul nostro”. Il momento cloudella relazione èstato quello dedicatoalla visita pastorale,durante la quale ilvescovo ha cono-sciuto le tante real-tà del territorio.

Incontri con la comunità, i consigli pastorali, leAmministrazioni locali, che Sua Eccellenza ha con-densato in cinque ambiti: la vita affettiva e la fami-glia, il lavoro e la festa, la tradizione e trasmis-sione della fede, la fragilità e la cittadinanza. Un esame ad ampio spettro, dunque, della strut-tura diocesana. Parole di elogio dedicate al pre-sbiterio, giudicato sano e motivato, con l’auspi-cio che i legami comunitari diventino più solidi –“Un banco di prova sono gli spostamenti dei par-roci per distribuire al meglio le forze”. Un ringraziamentoè stato riservato ai diaconi e al gruppo di laici, risor-se fondamentali che sostengono le attività.“Ogni membro” ha ricordato il vescovo “è disce-polo missionario , e il termine missionario non deveessere messo da parte in un sistema dove ognicomponente risulta fondamentale”. Non è man-cato anche un accenno ai “lontani”: “Cosa sipuò fare per gli atei? La prima e più signifi-cativa azione è quella di volergli bene”. Dopoalcune note sulla festa, che dà senso al lavo-ro, sulla catechesi intesa come punto di rife-rimento “per tutti, non solo per i giovani”, cor-redata da un sentito ringraziamento al corpusdei catechisti, per cui si è ribadito la cura del-la formazione, si è passati al rapporto con lescuole, che per la grande maggioranza han-no accolto con interesse e partecipazione lavisita del vescovo. La relazione si è conclu-

sa con alcune prospettive: com-prendersi e integrarsi partendoda responsabilità comuni, unamaggiore attenzione alle tema-tiche sociali a tutti i livelli, pro-seguire la formazione all’a-scolto e chiedersi il significatodella Chiesa “in uscita” come rap-

presentata dal Papa. I cinque settori illustrati daS.E. sono confluiti nelle analisi dei lavori di grup-po, che venerdì sera hanno iniziato a predispor-re il materiale per le discussioni. I momenti fon-damentali della mattinata di sabato, dopo il ritodi introduzione e la richiesta di perdono, sono sta-ti dedicati alla meditazione di Don Dario Vitali, sulruolo della Chiesa, sulle bellezze che la con-traddistinguono e sul nostro apporto di imprescindibilevalore al suo interno, evidenziandone l’essenzadi madre di tanti figli. Per rendere ancor più vivido l’intervento di DonDario ed esemplificarne i contenuti, è stato con-cesso l’utilizzo del suo testo “La sposa più bel-la”, breve ma esauriente affresco costituito da gran-de profondità teologica, partendo da un aforismadi Dostoevskij per affrontare una visione storico– sociale adattata al linguaggio attuale, proponendoanche numerosi interrogativi sul futuro della Fedetra le nuove generazioni. La parte conclusiva del-l’incontro è stata dedicata ai lavori di gruppo, conun amalgamarsi di riflessioni, domande, propo-ste e anche possibili soluzioni alle “imperfezioni”ecclesiastiche e sociali, per i quali rimandiamo aldettaglio delle cinque sezioni. Impossibile non cita-re, infine, il banchetto con il miele come conclu-sione del corso di apicoltura proposto di concer-to tra l’Azione Cattolica Diocesana, il Progetto Policoroe la Caritas Diocesana, che sta per rinnovarsi perla seconda edizione. Si è svolto così, dunque, ilweek end del Convegno Pastorale Diocesano. Sì,un intero fine settimana, perché se da un lato ilvenerdì pomeriggio e il sabato mattina si confi-gurano come giorni “operativi”, la domenica risul-ta necessaria per elaborare i contenuti appresi eper lasciar sedimentare i messaggi.E’ una missione fondamentale, quella prospetta-ta dal seminario, un obiettivo da perseguire confatti concreti e senza compromessi. Lo scopo diesaminare virtù e imprecisioni di una Chiesa acco-gliente, formata dalla buona volontà e dalla dedi-zione è stato raggiunto nella sua interezza. Evitando di gongolare nell’autocompiacimento, abbia-mo scoperto in sinergia pregi e limiti di una Chiesa“umana”, ma decisa al compimento di una con-tinua tensione all’ideale, e proprio per questo prov-vista di una bellezza ineffabile consona solo allaSposa dell’Altissimo.

Gruppo catechesi.

2222 OttobreOttobre20142014

Edoardo Baietti

Gruppo “Vita affettiva e famiglia” - Don Vincenzo

Ben trenta partecipanti per il gruppo sulla vitaaffettiva e la famiglia sia in senso stretto che allar-gato. E’ l’ambito al quale ci riferiamo di più inrelazione all’affettività. Il gruppo ha voluto riflettere sulle differenze trala famiglia di ieri e quella di oggi, in particolareper quanto riguarda il ruolo della donna comemoglie e madre. I partecipanti hanno posto all’at-tenzione generale la necessità di lavorare all’in-terno del rapporto di coppia, creando appositipercorsi per le nuove generazioni. “Sensibilizzazione”è stata una delle parole chiave.

Gruppo “Fragilità - Carità - Solidarietà”- Don Cesare

Di particolare delicatezza le tematiche legate allasolidarietà. Tra gli elementi emersi, numeroseproposte sono state indirizzate ai bambini, pereducarli alla carità tramite esperienze e picco-li gesti. Si è prospettata l’idea di provare a crea-re una sorta di oratorio, uno spazio di accoglienzaper le varie esigenze. Tra i messaggi principali scaturiti dagli interventi,la carità è stata intesa come “educare nel dare”e anche come “educazione alla condivisione” . La vera solidarietà, è emerso nelle conclusio-

ni, è il contribui-re alla creazionedi una societàgiusta.

Gruppo “Cittadinanza e impegno sociale”- Claudio Gessi

Secondo i componenti del gruppo, la comuni-cazione con le istituzioni risulta un elementoimprescindibile per promuovere l’impegnosociale della Diocesi. Compito della chiesa è dare voce a chi non ha

voce, e per raggiungere questo obiettivo il ConsiglioPastorale deve conoscere in maniera approfonditail territorio, le problematiche che lo affliggono ei punti di forza da valorizzare. Il Consiglio deve essere rappresentato dalleAmministrazioni e deve essere considerato comeuna realtà importante. Nella relazione finale alla presenza del vesco-vo, è stato sottolineato con dispiacere la

carenza di giovani al Convegnoed è stata posta la necessità dipreoccuparsi anche di proble-matiche sociali e politiche.

Gruppo “Il lavoro e la festa” - Mons. Franco Fagiolo

Un lavoro che lasci spazio alleproprie radici e che dia sensoalla festa, entrambi massimi gra-di della vocazione personale.

Il lavoro e la festa sono un binomio inscindibi-le, e nel corso del dibattito si è dialogato sulladifficoltà di conciliare le esigenze lavorative alrispetto per la Domenica, sull’importanza di tro-varsi insieme durante festa, sull’occasione di cre-scita fornita dalle assemblee domenicali.La provocazione più forte espressa in sede didibattito è stata “si parla di crisi della domeni-ca o di crisi della Fede?”, domanda delicata chemerita adeguati approfondimenti. Il giorno delsignore è al centro della vita parrocchiale cosìcome “L’Eucaristia è il cuore della domenica”.

Gruppo “Tradizione etrasmissione della Fede -Catechesi”- Don Antonio Galati

La catechesi, non relegata sola-mente all’insegnamento per igiovani, è un momento importanteche necessita di una cura parti-colare. Per prima cosa si è cercato di capi-re cosa si intende con “formazione”,analizzando le varie tipologie didialogo, il metodo e il ruolo del-l’educatore. “Non possiamo

dare ciò che non abbiamo”. In questa espres-sione si riassume il concetto di formazione con-tinua anche per i catechisti. Durante il dibattito, sono stati proposti incontridi catechesi tra genitori e figli e anche la crea-zione di un coordinamento interparrocchiale cit-tadino. I partecipanti si sono infine impegnati adincontrarsi durante l’anno per verificare l’anda-mento generale delle cose.

Gruppo famiglia.

Gruppo catechesi.

2323OttobreOttobre20142014

p. Vincenzo Molinaro

IIlavori del gruppo dedicato all’ambito dell’affettivitàhanno richiamato più di 30 partecipanti, qua-si tutti già impegnati in attività pastorali riguar-

danti la famiglia oppure desiderosi di ascolta-re e condividere le esperienze degli altri.Questa è la prima indicazione: tutti aspettanoche cresca questo movimento di attenzione, distudio, di catechesi, di formazione e di attivitàche risponda alle attuali esigenze delle nostrefamiglie provate da una serie lunga di elemen-ti negativi che potenzialmente tendono alla nega-zione dei valori della comunità familiare.Il primo di questi si può dire sia del tutto sfug-gito alla analisi fatta durante i lavori, benché nel-la scheda preparata fosse stato evidenziato comeil tarlo che corrode ogni giorno di più il vincoloche unisce l’uomo alla donna. Si tratta del fenomeno dell’individualismo cui vie-ne affidata l’esperienza della affettività. Essa escedal contesto della speranza, cade in una visio-ne sentimentale dove non c’è spazio per la spe-ranza. Le esperienze affettive sono sempre piùvissute come pura passività incontrollabile dal-la libera volontà…Si esalta ciò che piace e sidenigra ciò che è responsabilità. Si dimenticache l’uomo in quanto persona è ”fondamental-mente relazione con l’altro” (cfr. R. Iafrate, Introduzioneall’ambito: vita affettiva, Verona 2006).Nel nostro gruppo questa riflessione è pratica-mente svanita, confusi dalle tante attività fattee dalle moltissime che bisogna fare. Invece, èquesto il punto di partenza. Prendere coscienza di questa realtà, conoscerlaadeguatamente e, a partire dagli operatori, schie-rarsi su un terreno più articolato. E’ vero dun-que che serve una formazione e una cateche-si per gli operatori. E’ vero che non ci si può con-tentare di organizzare corsi e percorsi, ma biso-gna cambiare questo atteggiamento che ripor-ti al centro della vita della coppia la Parola conil valore evangelico e la dimensione etica.Preso atto, come ci ricorda Educare alla vita buo-na del Vangelo, nn.36-37-38, che la famiglia restala prima e indispensabile comunità educante…eche essa è a un tempo forte e fragile…ricono-scere la sua missione e la sua responsabilità

nella trasmis-sione della fede,vorrà dire acco-gliere i sugge-rimenti che ivescovi ci han-

no offerto, e tentare tutte le vie per inserirli nel-la prassi pastorale.Conclusioni:Il gruppo di lavoro dedicato all’ambito della affet-tività per il fraintendimento delle indicazioni for-nite si è trasformato in gruppo di lavoro di pasto-rale della famiglia. E’ vero che la famiglia è l’am-bito nel quale maggiormente si sperimenta l’af-fettività e spesso, con un crescendo dolorosoai nostri giorni, si conosce anche la mancanzadell’affetto e la rarefazione degli affetti che si spez-zano provocando ferite profonde.1. I partecipanti al gruppo erano una trentina,rappresentavano quasi tutte le parrocchie e i cen-tri pastorali della diocesi, molti con esperienzalunga di attività pastorale nel settore della pre-parazione al matrimonio.Già da questa semplice affermazione si evin-ce che sono tante le realtà attive in pastoralefamiliare: gruppi famiglie, gruppi di giovani cop-pie, associazione genitori, Azione cattolica: tut-te sono aperte e attive anche con strumenti del-la moderna comunicazione.2. La difficoltà della relazione che emerge a pri-ma vista all’interno della società più ampia, simanifesta anche all’interno delle nostre parrocchiee delle nostre famiglie con forme di individua-lismo e autoaffermazione che rendono difficili irapporti con gli altri, sia familiari, parentali e ami-cali. Basterebbe, a proposito, un semplice rile-vamento dati per prendere atto di quante dellenostre famiglie siano toc-cate dalle separazioni,dai divorzi, dagli abban-doni…3. Il desiderio di dar vitaa un movimento di fami-glie nella diocesi alimen-tato da catechesi, incon-tri di formazione e scam-bi di ospitalità si è mani-festato nella quasi totali-tà dei partecipanti. Ovvio che si richieda unperiodo di conoscenzapiù prolungato. Qui non sitratta di vantare i propri pro-dotti da piazzare sul mer-

cato ma di quel cambiamentointeriore con cui più ci si aprea esperienze diverse e cam-minando insieme diventiamo testi-moni della speranza possibi-le. Se le parole hanno un sen-so, questo richiede anche unavolontà di partecipazione alleeventuali future proposte, pergiungere al termine di unanno almeno di cammino a unavisione chiara e condivisa.4. Percorsi di preparazione al

matrimonio sono riproposti non tanto come dis-tribuzione di informazioni e atti dovuti, quantocome approfondimento della fede. Si proponedi trovare il modo di anticipare i percorsi for-mativi ai più giovani, quindi non in prossimitàdel matrimonio ma con largo anticipo attraver-so incontri in cui far passare l’annuncio cristia-no dell’amore e della sessualità. Il collegamentocon gli uffici diocesani (pastorale giovanile e cate-chesi) si rende necessario per fare proposte checoinvolgano in maniera unitaria verso il medesi-mo obbiettivo.5. Dare maggiore attenzione alle coppie in dif-ficoltà, creare se possibile dei centri di ascoltoche siano conosciuti e ai quali possano rivol-gersi con facilità. Ciò presuppone la presenzao la formazione di persone esperte in grado diascoltare, di proteggere la privacy, di affianca-re e sostenere i più deboli, il tutto non è auto-matico né scontato. Ma è quello che si auspi-ca pertanto va cercata la via adatta per tramu-tare tutte queste idee in attività pastorale.Per concludere, dal punto di vista pratico ci sia-mo scambiati i contatti telefonici e gli indirizzimail. Con questo si spera più facile comunica-re e fare i primi passi e le prime scelte per il cam-mino di un anno. Come quasi tutte le parroc-chie hanno già un profilo su Facebook così neabbiamo aperto uno con il nome di pastorale fami-liare diocesi Velletri Segni per dare le informazionia livello diocesano. Basterà chiedere l’amicizia. Appena Ecclesia@incammino sarà uscita e troverete alcuni nume-ri e potrete cominciare a presentare delle pro-poste concrete. Se poi andrà in porto il porticodigitale, come previsto lo scorso anno, allora saràancora più facile comunicare.

Gruppo famiglia.

2424 OttobreOttobre20142014

don Cesare Chialastri

IIl gruppo di lavoro era costituito da 42 per-sone provenienti da 18 parrocchie della Diocesie da alcuni rappresentanti di associazioni

laicali (A.C.) e confraternite. Venerdì 19 settembre pomeriggio, nella primaparte del lavoro, ascoltata la relazione del Vescovo,ne abbiamo condiviso i contenuti, soffermandociin particolare all’interno del nostro ambito: la fra-gilità. E’un ambito vitale per cogliere la bellez-za della nostra Chiesa: la maturità e la vitalitàdi una comunità cristiana si possono certamentericonoscere dalla capacità di accogliere con tene-rezza e misericordia le proprie e le altrui fragi-lità. E’ una efficacie Cartina di Tornasole!Dire fragilità equivale a: fare accoglienza,sostenere, dialogare anche con chi non lo cer-ca o apparentemente lo snobba, fare comunionetra i cristiani e le comunità nell’esercizio dellaCarità (uscire dalla sindrome dell’autosufficienza,del “noi già lo facciamo”, del non voler impara-re niente dagli altri, ecc), avere vicinanza nonsolo attraverso l’aiuto materiale ma anche spi-rituale (visita ai malati e nei luo-ghi della sofferenza con gioiae con la preghiera). Inoltre, inquesto momento di difficoltà socia-le ed economico, è fondamentalefavorire l’accesso al credito, farerete con tanti soggetti che lavo-rano nel terzo settore per unavicinanza più efficace e orga-nica alle persone, favorire la cono-scenza e lo studio delle politi-che sociali. Ne è venuta fuoriuna visione globale della vitadi Carità evidenziando gliaspetti fondamentali senzarimanere schiacciati su uno oqualcuno di essi.Siamo continuamente provocatidalle diverse situazioni di fra-

gilità (e lo saremo sem-pre più nel prossimo futu-ro): la risposta non va arti-colata soltanto nel regi-stro del servizio possi-bile, ma dell’educazionealla condivisione e a sti-li di vita decisamente piùevangelici. Si tratta di mettereinnanzitutto in gioco noistessi, nello svuotarci delnostro IO, essere liberiinteriormente per vole-re bene a chi bussa e poivedere che cosa è pos-sibile fare (che saràsempre poco rispetto alle necessità che pian pia-no emergono). Mettere le fragilità al centro della vita della comu-nità ci provoca anche a mettere in gioco gli sti-li di vita (es. portafoglio personale!) e il capito-lo delle spese di una parrocchia (es. il 30 % delbilancio parrocchiale è destinato per i poveri?).Il capitolo delle nostre fatiche e fragilità. Ne sono

state individuate principalmen-te due: l’assenza dei giovani all’in-terno dei luoghi di servizio e lanon adeguata attenzione dellapreghiera nella formazione deivolontari. Il rapporto cruciale tra Carità egiustizia: essere sale per costrui-

re una comunità più equa,non rassegnarsi all’esistenzae all’allargamento della for-bice tra ricchi e indigen-ti. Si ha l’impressione, cheanche all’interno dellaChiesa, non solo sembraevaporare l’indignazioneper le situazioni di ingiu-stizia, ma è presenteuna visione abbastanzadiffusa di assistenzialismo.Il monito di GiovanniBattista: “chi ha due tuni-che né dia una a chi nonné ha”, è per tutti (presbiteri,diaconi, laici, ecc). Occorre continuare ad esse-

re creativi nel bene, mettere in circolo prassi vir-tuose, che vengono pensate e realizzate dal bas-so per coniugare realtà e idealità. Il lavoro for-mativo delle coscienze è la prima ed indispen-sabile opera di Carità, soprattutto verso i gio-vani.Alcune proposte più o meno concrete:- famiglie solidali: due o tre famiglie della par-

rocchia adottano una fami-glia in difficoltà per un deter-minato periodo di tempo;- costituire almeno in ognicittà un oratorio per iragazzi, privilegiando l’at-tenzione verso le famigliefragili (coppie separate, figlidi mamme sole, immigra-ti, ecc);- rafforzare nei percorsi edu-cativi parrocchiali, l’edu-cazione alla condivisione(dove, con chi, che cosa,ecc)- la verifica del bilancio per-sonale, familiare e par-rocchiale nella direzione del-la attenzione ai poveri.

2525OttobreOttobre20142014

Don Corrado FanfoniDon Antonio Galati

IIl gruppo era com-posto da circa 50persone in rap-

presentanza di quasitutte le parrocchie del-la diocesi. Il primo momento è sta-to dedicato all’analisidella scheda ed allariflessione sulla relazio-ne del vescovo. E’ emer-sa la necessità di una cre-scita da parte delle comunità nel curare mag-giormente le relazioni personali, educando uni-tariamente la relazione con Cristo e con i fra-telli. Tale dimensione aiuterebbe a maturarela trasmissione della fede come impegno chela comunità assume e svolge attraverso il sin-golo catechista, coinvolgendo tutti gli ambiti del-la vita e non limitandosi solo o soprattutto allapreparazione ai sacramenti, che dovrebbeessere una parte e non la totalità della trasmissionedella fede.Alla luce di tali premesse il gruppo suggeriscecome proposte “piccole semplici e fattibili”:

Curare gli incontri con le famiglia della comu-nità parrocchiale a partire da quella dei ragaz-zi che partecipano al catechismo: Un incontro mensile genitori e figli insieme, anchenella casa dei ragazzi, uscendo dai locali del-la parrocchia. Accompagnamento personale deiragazzi e famiglie che hanno difficoltà.Maggiore unità e collaborazione tra i vari ope-ratori pastorali: incontro mensile di spiritualitàe/o formazione e/o programmazione unitaria.Coordinamento interparrocchiale o cittadino, soprat-tutto per le comunità piccole e senza strutturee forze necessarie o per tematiche che coin-

volgono tutto il territorio.Coordinamento tra parrocchie ed uffici diocesani,con l‘effettivo coinvolgimento dei consigli pasto-rali parrocchiali: le parrocchie tengono del calen-dario diocesano e gli uffici si impegnano a for-nire le date entro il mese di agosto.I membri del gruppo hanno infine deciso di rive-dersi a metà ed a fine anno per la verifica..

Nota: Le foto del Convegno Diocesano, pubblicatenelle pagine 18-25, sono di Giovanni Zicarelli, Edoardo Baietti e Mihaela Lupu.

2626 OttobreOttobre20142014

Mons. Franco Fagiolo

DAGLI ORIENTAMENTI PASTORALIEDUCARE ALLA VITA BUONA DEL VANGELO.La capacità di vivere il lavoro e la festa comecompimento della vocazione personale appartieneagli obiettivi dell’educazione cristiana. È impor-tante impegnarsi perché ogni persona possa vive-re «un lavoro che lasci uno spazio sufficiente perritrovare le proprie radici a livello personale, fami-liare e spirituale», prendendosi cura degli altri nel-la fatica del lavoro e nella gioia della festa, ren-dendo possibile la condivisione solidale con chisoffre, è solo o nel bisogno. Oltre a promuovereuna visione autentica e umanizzante di questi ambi-ti fondamentali dell’esistenza, la comunità cristianaè chiamata a valorizzare le potenzialità educati-ve dell’associazionismo legato alle professioni, altempo libero, allo sport e al turismo. (n° 54).DALLA NOTA PASTORALEIL VOLTO MISSIONARIO DELLE PARROCCHIE IN UN MON-DO CHE CAMBIA.L’esperienza del lavoro percorre oggi strade sem-pre più complesse a causa di molteplici fattori, trai primi quelli riconducibili alle innovazioni tecno-logiche e ai processi di globalizzazione. Ci voglio-no competenze che possono essere assicuratesolo da livelli più integrati, diocesani o almeno zona-li, e da dedizioni più specifiche, come quelle pro-mosse dalla pastorale d’ambiente e dalle espe-

rienze associative.La Chiesa deveoffrire una visioneantropologica dibase, indispensabileper orientare ildiscernimento, eun’educazione allevirtù, che costitui-scono l’ancoraggiosicuro capace disostenere i com-portamenti da assu-mere nei luoghi dellavoro e del socia-le e di dare coeren-za alle scelte che,nella legittima auto-nomia, i laici devo-no operare per edi-

ficare un mondo impregnato di Vangelo.Il riposo si è tramutato in tempo “libero”, quindidequalificato di significato rispetto al tempo“occupato” del lavoro e degli impegni familiari esociali; e il “tempo libero” è scaduto a tempo diconsumo; soprattutto i giovani ne sono protago-nisti e vittime. (n° 9)Giovanni Paolo II ha scritto: «Dallaperpetuazione nell’Eucaristia delsacrificio della Croce e dalla comu-nione col corpo e con il san-gue di Cristo la Chiesa trae lanecessaria forza spirituale percompiere la sua missione.Così l’Eucaristia si pone comefonte e insieme come culmi-ne di tutta l’evangelizzazione,poiché il suo fine è la comu-nione degli uomini con Cristoe in Lui col Padre e con lo SpiritoSanto».La vita della parrocchia hail suo centro nel giorno delSignore e l’Eucaristia è il cuore della dome-nica. Dobbiamo “custodire” la domenica, e la dome-nica “custodirà” noi e le nostre parrocchie. È neces-sario ripresentare la domenica in tutta la sua ric-chezza: giorno del Signore, della sua Pasquaper la salvezza del mondo, di cui l’Eucaristia èmemoriale, origine della missione; giorno della

Chiesa, esperienza vivadi comunione condi-visa tra tutti i suoi mem-bri, irradiata su quan-ti vivono nel territorioparrocchiale; giornodell’uomo, in cui ladimensione della festasvela il senso deltempo e apre il mon-do alla speranza.Queste dimensionidella domenica sonooggi in vario modominacciate dalla cul-tura diffusa; in parti-colare, l’organizza-zione del lavoro e i feno-

meni nuovi di mobilità agiscono da fattori disgregantila comunità e giungono anche a precludere la pos-sibilità di vivere la domenica e le altre feste. Treobiettivi per le nostre parrocchie. Difendere anzitutto il significato religioso, mainsieme antropologico, culturale e sociale del-la domenica. Un aiuto particolare va dato alle fami-glie, affinché il giorno della festa possa rinsaldarnel’unità, mediante relazioni più intense tra i suoi mem-bri; la domenica infatti è anche giorno della fami-glia. La qualità delle celebrazioni eucaristichedomenicali e festive va curata in modo partico-lare: equilibrio tra Parola e Sacramento, cura del-l’azione rituale, valorizzazione dei segni, legametra liturgia e vita. C’è bisogno, insomma, di «una liturgia insiemeseria, semplice e bella, che sia veicolo del miste-ro, rimanendo al tempo stesso intelligibile, capa-ce di narrare la perenne alleanza di Dio con gliuomini». In ogni parrocchia ci sia una prepara-zione accurata, che coinvolga varie ministeriali-tà, nel rispetto di ciascuna, a cominciare da quel-la del sacerdote presidente, senza mortificare quel-le dei laici. Perché le celebrazioni siano dignito-se e fruttuose, se ne valuti il numero, gli orari, ladistribuzione nel territorio. Si promuovano altre for-me di preghiera, liturgiche o di pietà, consegna-

teci dalla tradizione, per prolungarenella giornata festiva, in chie-sa e in famiglia, il dialogo conil Signore. Il giorno del Signoreè anche tempo della comunione,della testimonianza e della mis-sione.Il confronto con la parola di Dioe il rinvigorire la confessione del-la fede nella Celebrazioneeucaristica devono condurre arinsaldare i vincoli della frater-nità, a incrementare la dedizioneal Vangelo e ai poveri. Ciò impli-ca il convergere naturale di tut-ti alla comune celebrazione par-

rocchiale. Le parrocchie dovranno poi curare laproposta di momenti aggregativi, che diano con-cretezza alla comunione, e rafforzare il collega-mento tra celebrazione ed espressione della fedenella carità. Così, nella festa, la parrocchia con-tribuisce a dar valore al “tempo libero”, aiutandoa scoprirne il senso attraverso opere creative, spi-rituali, di comunione, di servizio. (n° 8)TRACCE PER IL LAVORO DI GRUPPO.Nelle celebrazioni domenicali, si celebra laPasqua settimanale del Popolo di Dio? L’importanzadi trovarsi insieme. Le nostre Assemblee dome-nicali sono l’occasione preziosa per una cresci-ta della comunità cristiana? La Domenica è il gior-no delle opere buone? Senza un centro si perdel’equilibrio. L’Eucarestia è al centro della Domenica? La Domenicaè un giorno di festa per illuminare i giorni feriali?Senza festa non c’è il giorno del Signore. Si radu-na un numero sufficiente di partecipanti per lafesta? Crisi della domenica o crisi della fede? Comevivere la domenica per ritrovare se stessi? Il gior-no del Signore ci fa scoprire la gioia del vange-lo? Come conciliare la Domenica con le attuali esi-genze lavorative?

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2727OttobreOttobre20142014

RIFLESSIONI:- nel rapporto tra pastorale liturgica festiva e nuo-ve sfide dei ritmi lavorativi va privilegiata la cen-tralità dell’uomo;- alla crisi di fede che è alla base della crisi del-la domenica occorre rispondere facendo risco-prire il valore e il senso vero della festa, comePasqua settimanale e vero incontro tra due inna-morati, cioè Cristo Sposo e la Chiesa Sposa;- esigenza di rendere le nostre liturgie belle, gioio-se, dignitose e attraenti, in modo da coinvolgeretutte le generazioni delle nostre comunità par-rocchiali;- esigenza di rieducare tutti al significato dei ritie della liturgia festiva, rettificando anche com-portamenti non esemplari (quale ad esempio quel-lo di genitori che accompagnano i propri bam-

bini a Messa senza fermarsi a parteciparvi inprima persona); - esigenza di educare anche il mondo del lavo-ro a non utilizzare la domenica se non davve-ro strettamente necessario.PROPOSTE:- “mistagogia”: istituire in tutte le parrocchie appun-tamenti a cadenza regolare, al di fuori della litur-gia stessa, di formazione liturgica permanentedestinata a un “gruppo liturgico” stabile.- “sinassi”: curare la catechesi sulla domenicacome giorno della riunione (sinassi) di tutto il popo-lo di Dio.- “agape”: sensibilizzare tutta la comunità par-rocchiale a “santificare la festa” anche con leopere di misericordia e solidarietà, con gesti con-creti quale ad esempio creando dopo la Messadella domenica mattina un momento di convi-

vialità e condivisione di un pasto (cf l’esempiovirtuoso di Colleferro, dove da tempo un centi-naio di famiglie offrono il pasto domenicale aibisognosi persino accogliendoli nella propria casa).- per conseguire concretamente l’“unione fra-terna” come frutto della “frazione del pane” (cfAt 2,42), ottimizzare in tutte le parrocchie il momen-to liturgico della processione offertoriale ancheper la comunione dei beni e la condivisione deiviveri per i più bisognosi.- razionalizzare gli orari delle Messe nel terri-torio, riducendone il più possibile il numero pernon disperdere e frammentare la comunità, eper svilupparne il vero senso d’appartenenza intutti i parrocchiani (diversamente dal concettoormai superato di dover moltiplicare il numerodi Messe festive come “servizio” alle esigenzedei fedeli).

a cura dell’Ufficio Catechistico Diocesano

QQuest’anno l’Ufficio Catechistico Diocesano oltre alle attività con-suete, propone a tutti i catechisti, gli educatori ed animatori del-la nostra diocesi dei “pomeriggi” un po’ diversi per approfondi-

re alcune tematiche legate alla catechesi. Il primo appuntamento sulla catechesi narrativa sarà guidato dal Prof.Marco Tibaldi, Consulente dell’Ufficio catechistico Nazionale sui temi delprimo annuncio. Siamo tutti invitati a partecipare: “I POMERIGGIDELL’UFFICIO CATECHISTICO”. Al prof. Marco Tibaldi abbiamo chiesto diraccontarci in breve qualcosa su questo tipo di esperienza:Dalla nascita fino al tramonto le storie accompagnano la nostra esistenza.È attraverso di esse che il bambino comincia a scoprire come orien-tarsi nel mondo. E una voltadiventato adulto, questo bisognocambia forma ma persiste inalte-rato: romanzi, fiction, film, teatro tut-to questo assolve al nostro biso-gno di narrazione. E non a caso ilPadre si è servito proprio di que-sto genere per raccontarsi e farsiconoscere agli uomini. Raccontare una storia è semplice,ma non è scontato, soprattutto perquanto riguarda il mondo della nar-razione biblica. Troppo spesso, infat-ti, si è tentati di saltare la storia perandare subito ai suoi significati. La narrazione diventa allora un pre-testo per dire altre cose che si richia-mano ad essa. Non è che questoprocedimento sia in sé sbagliato però non sfrutta a pieno le potenziali-tà comunicative insite nella storia stessa. Le storie bibliche sono state,per lunghi secoli, più raccontate che lette. È questa capacità che occor-re oggi recuperare. Attraverso la narrazione orale si instaura infatti unrapporto più diretto tra l’annunciatore e il destinatario e, soprattutto, sipuò aiutare meglio l’interlocutore ad entrare nella vicenda narrata. Questeinfatti talvolta suonano lontane, poiché sono state scritte e pensate inculture e lingue molto lontane dalle nostre. Nello stesso, però, conten-gono una sorta di visione dell’uomo perenne che il narratore deve esse-re in grado di mettere in luce. Per far questo, la strategia più efficace consiste nel porre delle doman-de al destinatario, invitandolo a prendere la parola nei momenti crucia-li della vicenda. Chiedere insomma cosa proverei, cosa penserei, cosafarei io al posto del personaggio biblico nelle diverse situazioni in cui siviene a trovare. In questo modo, si dà voce alle precomprensioni, allescelte e opinioni che poi diventano l’occasione per andare a vedere come

si è comportato il personaggio biblico in questione. In questo modo i dueorizzonti, quello del testo e quello del destinatario, si fondono e si pos-sono gustare nell’oggi le buone notizie che il testo ci vuole comunica-re. L’annuncio della fede, infatti, non è la riproposizione di una serie diinformazioni, pur vere, a mo’ di slogan, ma è il porre in essere un per-corso dialogico che ha nella narrazione biblica il suo terreno privilegia-to. Così ne parla uno dei documenti sull’iniziazione cristiana appronta-ti dal Consiglio permanente della CEI: “il fanciullo è guidato gradualmentea comprendere che è chiamato a rivivere in sé la storia di Gesù e, piùin generale, la storia della salvezza in una comunità… tale storia vieneraccontata non come qualcosa di lontano e ormai concluso, ma comesuccessione di eventi aperti, attuali, che attendono altri protagonisti. L’anno liturgico risulta di fatto il contesto più opportuno per compiere que-

sto annuncio narrativo e coinvol-gente” (IC 2. Fanciulli e ragazzi,nn. 31-32). Ciò che qui viene det-to per i fanciulli si applica altrettantoopportunamente agli adulti. Ildocumento mette in chiaro una verae propria pedagogia della narra-zione. Questa infatti di sua natura ha lacapacità di immedesimare il pro-prio destinatario nella vicendanarrata, muovendo non solo la suacomprensione intellettuale maanche e soprattutto i suoi affetti.Esempio paradigmatico della for-za della narrazione è il raccontoche il profeta Natan fa a Davideper sbloccare la situazione di

indurimento in cui si ritrova dopo i misfatti commessi a partire dall’adul-terio con Betsabea (2Sam 12,1-15). L’accostarsi o l’allontanarsi dall’in-contro con Dio dipende, infatti, in larga misura da dinamiche affettive.Sappiamo ad esempio quanto un lutto o un‘esperienza dolorosa pos-sano chiudere una persona per anni all’incontro con la fede. Così è per le conseguenze dei propri peccati o per le precomprensioniche si è ricevute dell’agire di Dio. Quanti allontanamenti ha generato lapercezione del volto minaccioso e implacabile di Dio o del suo disinte-resse per le vicende umane. Al contrario la narrazione consente di scoprire, all’interno di una storia,l’essere persona di Dio, il suo interessarsi a ciascuno a partire propriodalle sue fragilità come la sterilità di Abramo e Sara o i fallimenti dei ten-tativi di liberazione di Mosè. La narrazione lo fa con i suoi tempi e i suoi ritmi, ma con una forza chenessun altro genere comunicativo possiede. Di questo parleremo nel-l’incontro per i catechisti del prossimo 19 ottobre.

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don Dario Vitali*

LL’ultimo articolo del Simbolo niceno-costantinopolitano riguardale «cose ultime»: la resurrezione dei morti e la vita del mondoche verrà. Il verbo che lo introduce è denso di significato: expec-

to, che dice l’attesa attenta di chi sta rivolto verso un punto, da cui ècerto che vedrà comparire qualcosa o qualcuno. In greco il verbo è pro-sdokeo, nel Nuovo Testamento spesso riferito alla speranza cristianadel Regno di Dio, che si compirà definitivamente nel giorno del Signore. Il testo più famoso è quello di 2Pt 3,8-13: «Una cosa non dovete per-dere di vista, carissimi: davanti al Signore un solo giorno è come milleanni e mille anni come un solo giorno. Il Signore non ritarda nel com-piere la sua promessa, anche se alcuni parlano di lentezza. Egli inve-ce è magnanimo con voi, perché non vuole che alcuno si perda, mache tutti abbiano modo di pentirsi. Il giorno del Signore verrà come unladro; allora i cieli spariranno in un grande boato, gli elementi, consu-mati dal calore, si dissolveranno e la terra, con tutte le sue opere, saràdistrutta. Dato che tutte queste cose dovranno finire in questo modo,quale deve essere la vostra vita nella santità della condotta e nelle pre-ghiere, mentre aspettate e affrettate la venuta del giorno di Dio… Noi,infatti, secondo la promessa, aspettiamo nuovi cieli e una terra nuova,nei quali abita la giustizia» (2Pt 3, 8-13). Per spiegare la fine di tutte le cose, il testo ricorre a immagini apoca-littiche, frequenti anche nei vangeli, dove i segni della fine sono evo-cati per inquadrare la venuta del Figlio dell’Uomo (cfr Mt 24-25; Mc 13;Lc 21). Al pari dell’autore della Seconda Lettera di Pietro, i segni dellafine servono per suscitare nella comunità cristiana l’atteggiamento del-la vigilanza che deve sostenere i credenti, tentati di lasciar cadere lasperanza nella venuta del Regno di Dio. Un po’ tutti gli scritti nel NuovoTestamento insistono su questo elemento, lasciando intravedere uno deipassaggi più drammatici della prima generazione cristiana. La predicazione apostolica, infatti, sosteneva che in Cristo si sono com-piute le promesse. Questo significava che doveva finire il presente ordi-ne di cose, lasciando posto in modo definitivo al Regno di Dio.«Riguardo ai tempi e ai momenti, fratelli, non avete bisogno che ve nescriva - dice Paolo ai Tessalonicesi -; infatti, sapete bene che il giornodel Signore verrà come un ladro di notte. E quando la gente dirà: “C’èpace e sicurezza”, allora d’improvviso la rovina li colpirà, come le doglieuna donna incinta; e non potranno sfuggire. Ma voi fratelli, non sietenelle tenebre, cosicché quel giorno possa sorprendervi come un ladro.Infatti siete tutti figli della luce e figli del giorno; noi non apparte-niamo alla notte, né alle tenebre. Non dormiamo dunque comegli altri, ma vegliamo e siamo sobri» (1Ts 5,1-6).L’annuncio cristiano, in altre parole, era espo-sto a due estremi. Da una parte, sta l’af-fermazione che le promesse di Dio era-no definitivamen-te compiute inCristo, come sta-va a manifestareil dono dello Spiritoche accompagnavala predicazionedegli apostoli consegni e prodigi. Nel discorso alla fol-la nel giorno di

Pentecoste, Pietro cita la profezia di Gioele per spiegare il dono delloSpirito: «Avverrà: negli ultimi giorni – dice Dio – su tutti effonderò il mioSpirito; i vostri figli e le vostre figlie profeteranno, i vostri giovani avran-no visioni e i vostri anziani faranno sogni… Farò prodigi lassù nel cie-lo e quaggiù sulla terra, sangue, fuoco e nuvole di fumo. Il sole si mute-rà in tenebra e la luna in sangue, prima che giunga il giorno del Signore,giorno grande e glorioso. Allora, chiunque invocherà il nome del Signoresarà salvato» (At 2,17-21, che cita Gl 3,1-5). Dall’altra parte, sta l’affermazione che quei doni erano solo la primiziao la caparra del Regno di Dio, prossimo a manifestarsi: presto Dio avreb-be messo fine ad ogni tribolazione degli eletti e li avrebbe portati consé, donando loro il premio dei giusti. «Se, infatti crediamo che Gesù èmorto e risorto, crediamo anche che Dio, per mezzo di Gesù, radune-rà con lui tutti coloro che sono morti» (1Ts 4,14). Poiché quello sarà ilmomento della definitiva rivelazione dei figli di Dio, l’invito pressante aicredenti è quello dell’attesa: «Noi, che possediamo le primizie dello Spirito,gemiamo interiormente, aspettando l’adozione a figli, la redenzione delnostro corpo. Nella speranza, infatti, siete stati salvati» (Rm 8,23-24),dice Paolo, il quale conclude: «se speriamo quello che non vediamo,lo attendiamo con perseveranza» (Rm 8,25). Né questa è una disposi-zione interiore, priva di incidenza sulla vita reale: «Questo voi farete,consapevoli del momento: è ormai tempo di svegliarvi dal sonno, per-ché adesso la nostra salvezza è più vicina di quando diventammo cre-denti. La notte è avanzata, il giorno è vicino. Perciò gettiamo via le ope-re delle tenebre e indossiamo le armi della luce» (Rm 13,11-12).Dunque, la speranza della vita eterna sostiene la prima generazione cri-stiana in un contesto di ostilità e di persecuzione, motivando ogni mem-bro della comunità in una condotta esemplare, manifestata prima di tut-to nell’osservanza del comandamento dell’amore. Il problema sorge quan-do la venuta del Signore tarda a manifestarsi e qualcuno, per questoritardo nell’adempiersi delle promesse, mette in discussione la salvez-za in Cristo, abbandonando la fede. L’obiezione risuona nella Seconda Lettera di Pietro, poco prima dell’affermazionesui nuovi cieli e la terra nuova: «Negli ultimi giorni si farà avanti genteche si inganna e inganna gli altri e si lascia dominare dalle proprie pas-sioni. Diranno: “Dov’è la sua venuta, che egli ha promesso? Dal giorno in cui i nostri padri chiusero gli occhi, tutto rimane come aprincipio della creazione» (2Pt 3,3-4). Davanti a questa obiezione, lerisposte sono di due tipi: da una parte si spiega che il Signore tarda per

dare modo a tutti di pentirsi, dall’altra si invitano le comunità aperseverare nell’attesa.

L’autore della Lettera agli Ebrei dice, ad esempio: «Badate,fratelli, che non si trovi in nessuno di voi un cuore per-

verso e senza fede, che si allontani dal Diovivente. Esortatevi piuttosto a vicenda ogni

giorno, finché dura questo oggi, perchénessuno di voi siostini, sedottodal peccato.Siamo infattidiventati parte-cipi di Cristo, acondizione dimantenere sal-da fino alla finela fiducia cheabbiamo avuto

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fin dall’inizio» (Eb 3,12-14), il quale, più avanti, dice: «manteniamo sen-za vacillare la professione della nostra speranza, perché è degno di fedecolui che ha promesso» (Eb 10,23); richiamando i momenti drammati-ci della persecuzione, aggiunge: «Non abbandonate la vostra franchezza,alla quale è riservata una grande ricompensa. Avete solo bisogno di per-severanza, perché, fatta la volontà di Dio, otteniate ciò che è stato pro-messo. Ancora un poco, infatti, un poco appena, e colui che deve veni-re, verrà e non tarderà. Il mio giusto per fede vivrà; ma se cede, nonporrò in lui il mio onore» (Eb 10,35-38). Non diversamente si esprimono la Lettera di Giacomo, le due Letteredi Pietro, la Lettera di Giuda, oltre a molti passaggi dell’epistolario pao-lino: «Siate costanti, fratelli, fino alla venuta del Signore. Guardate l’a-gricoltore, egli aspetta con costanza il prezioso frutto della terra… Siatecostanti anche voi, rinfrancate i vostri cuori, perché la venuta del Signoreè vicina… ecco, il giudice è alle porte» (Gc 57-10); «la fine di tutte lecose è vicina. Siate dunque moderati e sobri per dedicarvi alla preghiera»(1Pt 4,7).La mancata venuta del Signore per l’immediato ha mostratoalla prima generazione cristiana che la risposta alla venuta del Regnodi Dio non va cercata in prospettiva temporale; è piuttosto una decisioneche spetta a Dio, come emerge dalle parole stesse di Gesù: «In veritàio vi dico: non passerà questa generazione prima che tutto questo avven-ga. Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno. Quanto però a quel giorno o a quell’ora, nessuno lo sa, né gli angelinel cielo né il Figlio, eccetto il Padre. Fate attenzione, vegliate, perchénon sapete quando è il momento» (Mc 13,29-33). I Vangeli hanno visto questo adempimento ultimo nella morte di Cristo:colui che è innalzato da terra sulla croce è il Figlio dell’Uomo che vie-ne sulle nubi del cielo. Da quel momento il tempo è compiuto: siamo

entrati nell’ultima fase della storia, perché in lui è dato inizio in mododefinitivo al Regno di Dio. Il mistero pasquale diventa il punto discrimi-nante della storia, divisa tra il prima dell’attesa e il dopo del compimento,già dato in Cristo e che dovrà essere manifestato in modo pieno allafine, quando Cristo «consegnerà ogni cosa a Dio Padre e Dio sarà tut-to in tutti» (1Cor 15,28). Paolo, che ha avvertito acutamente la contraddizionedell’annuncio della mancata seconda venuta del Signore, risponde mostran-do che il Signore è già presente con il dono dello Spirito, e mediantequesto «riempie di sé tutte le cose» (Ef 1,23), in modo che «tutti, a visoscoperto, riflettendo come in uno specchio la gloria del Signore, venia-mo trasformati in quella medesima immagine, di gloria in gloria, secon-do l’azione dello Spirito del Signore» (2Cor 3,18).In questo senso, l’attesa della resurrezione dei morti e della vita del mon-do che verrà si ricollega all’articolo cristologico sulla fede «in un soloSignore Gesù Cristo… il quale siede alla destra del Padre e di nuovoverrà nella gloria per giudicare i vivi e i morti e il suo regno non avràfine». Non si tratta di stabilire una data, come fanno ripetutamente cer-tuni, rispondendo a una curiosità umana; si tratta invece di entrare inun’altra logica, o meglio, in una logica altra: quella dello Spirito che sospin-ge l’umanità verso il pieno e definitivo compimento in Cristo. Nonostante tutte le apparenze contrarie, il Regno di Dio, già dato in Cristo,sta crescendo, e giungerà a compimento quando Dio vorrà. In questofrattempo tra la prima e la seconda venuta di Cristo, l’una nella carne,l’altra nella gloria, siamo chiamati alla fedeltà dell’attesa: «Beati gli invi-tati alle nozze dell’Agnello».

*Docente Ordinario alla P.U.G. di Roma

Nell’immagine: Giudizio universale, Beato Angelico, 1431, Museo di San Marco, Firenze.

mons. Franco Risi

IIl papa san Pio V nella BollaConsueverunt del 17 set-tembre 1569 così presenta il

rosario: «Il rosario o salterio del-la Santissima Vergine Maria è unmodo piissimo di orazione e di pre-ghiera a Dio, modo facile e allaportata di tutti, che consiste nellodare la stessa beatissimaVergine ripetendo il saluto ange-lico, 150 volte, quanti sono i Salmidel Salterio di Davide, interponendoad ogni decina la preghiera delSignore con determinate meditazioni,illustranti l’intera vita del SignoreNostro Gesù Cristo». Questa presentazione riguardan-te la storia del rosario è il momen-to aureo della sua evoluzione, chesostanzialmente è la forma in usoai giorni d’oggi. Esso non è più retag-gio delle confraternite mariane, fon-date da san Pietro da Verona, disce-polo di san Domenico, che con isuoi frati predicatori diffuseroquesta forma di preghiera in ono-re della Vergine Maria. In poco tem-po il rosario si è radicato in mez-zo al popolo cristiano diventandouna forma universale di preghie-

ra; pietà mariana e rosario si con-fonderanno: l’una troverà nell’altrola sua espressione orante, sem-plice e ricca. Dalle più piccole parrocchie allecattedrali, dai territori d’Europaai territori di missione esso rag-giunge i confini della cristianità.Tutti i Papi hanno sempre postonel loro Pontificato una partico-lare attenzione alla recita del san-to rosario per la pace nellaChiesa e nel mondo. Papa Leone XIII ha scritto dodi-ci Encicliche e due lettere apo-stoliche che sviluppano consomma dottrina i temi del rosa-rio. Esse insegnano che il rosa-rio è «una maniera facile per farpenetrare e ricordare negli ani-mi i dogmi principali della fede cri-stiana». Pio XII scrisse sul rosarioun’Enciclica e otto lettere senzacontare i numerosissimi discor-si. Egli definisce il rosario quale«sintesi di tutto il Vangelo, medi-tazione dei misteri del Signore […],preghiera della famiglia, compendiodi vita cristiana, pegno sicuro delfavore celeste, presidio per l’at-tesa salvezza […], esso è la gran-de speranza che noi riponiamo

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nel santo rosario per risanare i mali che afflig-gono i nostri tempi». San Giovanni XXIII onorò il rosario non solo comePontefice, ma in tutta la sua vita: esso si rive-la come una componente essenziale della suaspiritualità secondo quanto scritto nel Giornaledell’Anima. Il 26 settembre 1959, a pochi giorni dal primoanniversario dell’elezione al soglio di Pietro, ilPontefice sentì il desiderio di scrivere una bre-ve Enciclica sul rosario intitolata Grata recor-datio: egli affidò alla Vergine Maria, tramite larecita del rosario, il Sinodo di Roma, il ConcilioVaticano II, la Chiesa ed il mondo. Riponeva nel-la recita del rosario totale fiducia, perché si supe-rassero le divisioni tra i cristiani. Scrisse anche che «con il rosario a Maria le etàdell’esistenza terrena non contano: ognuno puòconservare quella freschezza ed incanto del-l’infanzia, che suggeriva ad un grande scritto-re di rilievo: nessuna cosa è più bella di un fan-ciullo che recita l’Ave Maria». Inoltre, ricordando gli insegnamenti di Leone XIII,spiegava: «Questo soave ricordo della Nostraetà giovanile, con il passare degli anni non ciha mai abbandonato, e neppure si è affievoli-to; anzi, esso valse a rendere caro assai al Nostrospirito. Il santo rosario, che non tralasciamo maidi recitare intero in ogni giorno dell’anno: attodi pietà mariana, che soprattutto desideriamocompiere nel mese di ottobre».Egli frequentava spesso con grande amore ilSantuario di Pompei, al Papa Buono è dedicatoun grande piazzale con al centro la sua statua:Giovanni XXIII con la sua forte spiritualità maria-na è riuscito ad essere aperto verso tutti e aportare tutti a Cristo, salvatore e portatore di paceper tutta l’umanità. Paolo VI, beato in questo mese di ottobre, conl’Esortazione Apostolica Recurrens mensisoctober esorta vivamente l’Episcopato, il Cleroed il popolo della Chiesa Cattolica ad invoca-re l’aiuto della Beata Vergine Maria con il san-

to rosario in particolare durante tutto il mese diottobre, affinché, riconciliati mente e cuore deipopoli, rifulga finalmente nel mondo la vera pace.In questa Esortazione papa Montini afferma chela pace è certamente opera degli uomini, maè anche opera di Dio. Per questo è necessario invocare con la reci-ta del rosario l’umile Vergine di Nazareth, in quan-to essa è divenuta madre del principe della pace(cfr Is 9, 5), di Colui che è nato sotto il segnodella pace (cfr Lc 2, 14), che ha proclamato:«Beati gli operatori di pace, poiché saranno chia-mati figli di Dio» (Mt 5, 9). Anche altri papi han-no scritto e parlato del rosario: Giovanni PaoloI, San Giovanni Paolo II, Benedetto XVI e papaFrancesco. Tutto ciò ci rivela una tradizione inin-terrotta ed il sentire cristiano continuo del Magisteroverso questa preghiera. Infine, credo opportu-no soffermarmi sulla testimonianza di San GiovanniPaolo II. Tutti lo abbiamo visto con la coronadel rosario tra le mani lungo le strade del mon-do. Nel suo stemma volle scrivere la “M” di Mariaed anche con il suo motto, Totus tuus, volle affi-darsi alla Vergine. Egli si recò pellegrino per duevolte a Pompei nel 1979 e 2003: era molto fede-le alla recita del rosario, lo recitava almeno trevolte al giorno, e nel 2002, in occasione del suoventicinquesimo anno di pontificato, volle pro-clamare un anno speciale dedicato al rosariocon la lettera apostolica Rosarium Virginis Mariae,nella quale aggiunse i Misteri della Luce, checontemplano la vita pubblica di Gesù. Tra Wojtylae Pompei il legame è stato molto forte. Egli, nel1979, si recò a Pompei per affidare alla Reginadel Rosario le vittorie e le più profonde attese

delle persone e delle famiglie. L’anno successivo, in san Pietro, fu lui stessoa beatificare Bartolo Longo (20 ottobre 1980),fondatore del Santuario e delle opere di caritàdi Pompei definendolo “l’apostolo del santo rosa-rio”. Il 16 ottobre 2002, per l’indizione dell’an-no del rosario, volle in Piazza san Pietro il qua-dro di Pompei. La sua seconda visita a Pompeifu il 7 ottobre 2003, quando le forze fisiche l’a-vevano ormai abbandonato. Da questi insegnamentimagisteriali scaturiscono tre caratteristichefondamentali che incoraggiano a recitare anchea noi il rosario per la pace dei popoli. La prima ci fa capire che è la preghiera dei pove-ri, non solo perché è praticabile dagli umili, maperché ci insegna il cammino verso la sempli-cità e povertà di spirito. Certamente è una pre-ghiera evangelica, in quanto ci aiuta a comprendereche, le lodi rivolte alla Vergine, vogliono soloproclamare e annunciare in ogni modo la fedein Gesù Cristo come Dio, come uomo e comenostro vero Salvatore. La seconda è che il rosa-rio è scuola di contemplazione, perché ci abi-tua a contemplare la vita di Gesù, che nutre ilcuore e l’intelligenza di ogni persona. La terza, infine, è una preghiera ecclesiale peril bene del mondo intero, in quanto la Chiesaè il popolo dei chiamati a portare salvezza agliuomini mediante la fede in Gesù Cristo. In que-sta prospettiva, possiamo con tutta certezza affer-mare che la recita del santo rosario, da partedi ognuno, contribuirà a portare la pace in ter-ra in vista di quella celeste che non avrà maifine. Beato chi trova il tempo di recitare il san-to rosario, in quanto esso certamente contribuiràa realizzare la pace e la salvezza per tutti gliuomini.

Nell’immagine del titolo: Madonna del Rosario con i Santi Domenico, Caterina daSiena e Giovanni Battista, Sebastiano Conca, 1741, MuseoDiocesano Velletri.

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IN RICORDO DI

PADRE ALVARO DI CORI M.S.C.

( Artena, 12 gennaio 1921 -

Artena, 29 novembre 2008)

Paola Lenci

P. Alvaro è nato ad Artena da una famiglia semplice, operosa e di sani prin-cipi. Papà Giuseppe, detto Marcolino, e mamma Maria Grazia Giulia Caradonnaebbero una bella nidiata : Elisabetta, la primogenita è l’unica femmina, poiben sei maschi, Luigi, P. Alvaro, Carlo, Benito , Antonio e Giorgio. Negli anni trenta entra nella “ Piccola Opera” e al termine degli studi di Filosofiae Teologia presso l’Università Gregoriana finalmente l’ordinazione sacerdo-tale il 13 luglio 1947. Ha svolto il suo ministero in varie città italiane tra cuiRoma, Narni, Minturno, Pontecagnano ed Artena, ma l’amore per il prossi-mo spinge i suoi passi verso terre lontane. Viaggia moltissimo. In collabo-razione con la “ Romana Pellegrinatio” si reca in , Egitto, Terra Santa, Turchia,

Siria, molte mete in Europa, e soprattutto in Russia. Pur avendo ricopertonumerosi incarichi la sua innata comunicativa lo ha portato ad essere pun-to di riferimento per la formazione dei giovani attraverso l’insegnamento ele organizzazioni parrocchiali di cui si prendeva cura.Negli anni ‘90 , il ritorno al suo paese natale; per P. Alvaro è l’ inizio di unministero apostolico straordinario, si impegna fortemente a mantenere vivoil ricordo dei suoi confratelli che nel passato hanno curato le anime di Artena.Si tratta di Padri Missionari del Sacro Cuore molto cari agli artenesi, Mons.Amleto de Angelis e P. Genocchi che tanto si erano prodigati per l’OratorioMaschile e la Chiesa di Artena.Durante gli ultimi anni della sua esistenza terrena, nonostante l’età e le limi-tazioni derivanti dalla malattia, non si è mai arreso, è stato sempre opero-so . Tra le sue attività di questo periodo si ricorda la sua proficua parteci-pazione alle edizioni del giornale locale “L’Altrartena”, dove i suoi articoli era-no fonte di riflessione su temi di attualità . Quando si rese conto che il tempo a sua disposizione era volto al termine,volle continuare in qualche modo ad essere vicino a chi ne avesse bisognofondando una onlus a sostegno dei diversamente abili di Artena. Ora, in occa-sione del sesto anniversario del suo ritorno alla Casa del Padre, queste pocherighe, per ricordare P. Alvaro , uomo di pace , generoso ed attento ai biso-gni dei più deboli.

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don Gaetano Zaralli

NNon è miaabitudinealzare la

voce nei confronti dichi non è direttamenteresponsabile di un fat-to accaduto, eppurelunedì scorso all’in-contro con i ragaz-zi di cresima mi sono ritrovato ad essere aggres-sivo e volutamente energico nel richiamare loro,persone sagge, ben educate e foriere di giu-stizia quali dicono di essere, ad una maggio-re presenza all’interno del gruppo o dei grup-pi che dalla scuola alla discoteca, dalle festedi compleanno alle gite scolastiche si formanospontaneamente o per scelta ben calibrata.I giovani sono tutti figli di “buona famiglia”… e,se li incontrate singolarmente vi si intenerisceil cuore nel vederli disposti ad un pur timido dia-logo, nel vederli puliti, tanto da non trovare nel-le loro parole e nei loro atti segno alcuno di bru-tale violenza. E allora, mi chiedo, quale miste-rioso meccanismo li condiziona, quando, inse-riti nel gruppo, abdicando alla propria natura,si sentono invogliati a dimostrare agli altri spre-giudicatezza, malvagità e stupida virile grandezza…?Le risposte sono tante e il fenomeno rientra neidiscorsi forbiti degli esperti… che, puntualmente,dopo ogni depravazione compiuta, affollano isalotti televisivi e spadellano pagine intere suriviste specializzate.A me spetta il compito di agitare il problema tragli attori che trovo nella piccola fetta di giova-nili esuberanze parrocchiali con la speranza diraccogliere un giorno qualche buon frutto.

La sala delle riunioni era ancora deserta e nelsilenzio frullava la ventola della stufetta elettri-ca, modesta, purtroppo, nelle sue riserve calo-riche. La ragazza, che prima degli altri ha bus-sato alla porta, aveva tra le mani un foglio fit-to di parole.- Sarei felice se, quanto ho scritto, lo leggessiagli altri ragazzi…Eravamo in piedi l’una di fronte all’altro. Lei gio-vane e bella nella fiducia che riponeva in me,io meno giovane, ma altrettanto bello nella spe-

ranza che da quello scritto potesse scaturire unaqualche testimonianza di generoso amore cri-stiano.- Pensi sia davvero opportuno rendere pubbli-co questo tuo dramma?Ho frenato l’ardore della ragazza, prometten-dole che avrei fatto conoscere il suo raccontoe i suoi insegnamenti in un secondo momen-to, solo dopo averlo liberato da riferimenti trop-po personali. Mantengo ora la promessa.

“Vede, Don Gaetano, io sono stata con un ragaz-zo per circa tre anni, di cui l’ultimo è stato orri-bile per me.Era una sera di inizio estate, come tutti i saba-ti era venuto a prendermi per uscire e per l’en-nesima volta era ubriaco. Io non so neancheperché sono salita in quella macchina, forse ave-vo la speranza di chiarire con lui, perchè eragià da qualche giorno che gli avevo comunicatodi non volere più continuare la storia, visto chenon faceva altro che drogarsi, bere e soprat-tutto picchiarmi.Quella sera mi portò in una stradina dove pas-savano raramente macchine e quelle poche era-no guidate da cacciatori intenti nel loro hobby.Gli dissi che mi ero stancata, che non volevostare più con lui, che volevo essere libera. Luinon capiva il perché e continuava a dare pugnicontro il finestrino. Gli manifestai ancora unavolta la mia volontà. Lui si girò, mi saltò soprae cominciò a sbottonarmi i pantaloni. Spaventata,cercavo di spingerlo, di scansarlo… e piange-vo. Cominciò a fare i suoi comodi… piangevo,lo supplicavo di lasciarmi andare. Lui continuavae mi faceva male. Una delle cose che ricordobenissimo è il suo sguardo pieno di cattiveriae compiacimento insieme, mentre io nei mieipensieri speravo che di lì passasse papà…Gli

gridavo di lasciarmi,mi ha dato unoschiaffo e ha conti-nuato…Dopo un’ora circa(che per me è sta-ta l’ora più lunga del-la mia vita) è scesodalla macchina eha cominciato aridere sghignaz-zando. Ero distrutta,

tornai a casa e la prima cosa che feci fu unadoccia. Ero arrabbiata e pensavo, “perché a me?”.Ero appena una sedicenne, piena di gioia di vive-re. Quella gioia lui me l’ha distrutta. Non dissiniente a nessuno… Ne parlai con i miei genitori solo dopo due annie ho sbagliato Sono rimasti sorpresi per il tem-po che ho lasciato trascorrere senza dire nul-la. La prima cosa che hanno fatto è stata quel-la di starmi accanto per aiutarmi a superare ildolore che ancora forte sentivo nell’anima. Liringrazio.Vorrei far capire a tutti che quando si è vittimadi una violenza così atroce, la cosa migliore èparlarne con qualcuno, perché fa sentiremeglio e aiuta a superare il dolore, anche se ilricordo vivrà sempre… ma sarà diverso.”

Ho letto la testimonianza della ragazza, così comel’ho trascritta, anche ai genitori dei bambini dacomunione… e il silenzio si è fatto immediata-mente pensoso. Qualche mamma istintivamenteha tratto a sé la bambina, come per proteggerlada eventuali aggressori; un papà ha reagito conforza quasi bestemmiando, accusando di coseorrende i genitori di quella poveretta, come selui, genitore, mai sarebbe caduto nell’errore difar crescere la propria figlia in un abbandonototale… Altri, più pacatamente, hanno commentatoil fatto, facendolo rientrare nelle cose che pur-troppo accadono oggigiorno…La rabbia sale fino a strozzare le parole quan-do accadono questi fatti poi purtroppo si voltapagina, perché alla vita si deve concedere l’il-lusione di essere noi, tra i tanti, i più onesti ditutti.

Nell’immagine:disegno di Andrea Martinucci.

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Tonino Parmeggiani

SSi è svolta,presso laparrocchia

di S. Maria in Trivioa Velletri, dome-nica 21 settembrela festa dellaMadonna dellaSalute, precedutada un triduo pre-dicato dal parrocoDon Gino Orlandi.Come narrato nel-lo scorso numero,la “Pia Unione del-la Madonna dellaSalute” venne isti-tuita nella chiesa150 anni orsono,ma il suo cultopopolare dovreb-be risalire ancoraindietro se è vero che il quadro originale, tra-fugato dai tedeschi dell’ultima guerra, risalivaal sec. XVIII.Poiché questa devozione mariana sotto il tito-lo di “Salus infirmorum” che, semplicisticamenteviene tradotta in ‘salute degli infermi’ ma cheè più corretto interpretare come ‘salvezza degliinfermi’, per cui la salute e/o infermità non è solodel corpo ma anche dell’anima, si originò neiprimi anni del ‘600 nella chiesa della Maddalenain Roma, tenuta da allora dai Padri Camilliani,si è avuta la bella sorpresa di avere, grazie allagentile concessione dei Superiori dell’Ordine

Camilliano, anche per tutto il triduo, la reliquiadel Cuore di S. Camillo De Lellis di cui correquest’anno il 4° centenario della morte (1614-2014), la quale nell’occasione di questo annogiubilare è stato portato in pellegrinaggio in mol-te città.Domenica 21 inoltre si è avuta la gradita pre-senza di P. Gianfranco Lunardon, Segretario gene-rale dell’Ordine Camilliano, il quale ha celebratola S. Messa delle ore 11,30 sviluppando una bel-lissima omelia, alla presenza di una chiesa gre-mita di fedeli.La festa è stata anche l’occasione per saluta-

re Don Gino Orlandi che, dopo aver svolto il suoministero di parroco per ben 38 anni, lascia taleincarico nelle mani di Don Roberto Mariani, veli-terno, già parroco della Cattedrale di S.Clemente. In vero il saluto ufficiale di Don Gino, che tragli altri incarichi ha anche quello di Vicario epi-scopale per l’economia, c’è stato poi domeni-ca 28, ed il 5 ottobre l’inizio del mandato di DonRoberto. Un grazie da parte di tutti coloro che l’hannoconosciuto in questi anni ed un augurio per ilnuovo parroco.

3333OttobreOttobre20142014

Sara Calì

AAllora Cécile, il tuo entusiasmo perArtena è contagioso, vieni ogni annodalla Francia per occuparti degli sca-

vi sul sito archeologico del Piano della Civita.Si parla di circa mille anni di vita dal IV sec.a.C. al VII d.C., esatto?Sì, è l’arco di tempo minimo stimato sulla basedei dati raccolti fino ad oggi. La storia archeo-logicamente accertata comincia con la città recin-tata di epoca repubblicana, strategicamente ubi-cata e già ben organizzata con un asse stra-dale e una vasta piattaforma artificiale centra-le. La fase successiva alla distruzione di que-sto primo insediamento si concentra sulla piat-taforma che ospiterà, intorno al I sec. a.C., lavilla che, tra ampliamenti e ristrutturazioni suc-cessive, vivrà per molti secoli, si può dire, finoad oggi. Alcuni ambienti saranno riedificati, altriutilizzati come cave di materiali, ma sempre all’in-terno dello stesso perimetro. Arriviamo, così, al VI-VII sec. d.C., periodo nelquale la zona viene dedicata probabilmente adattività agrarie o pastorali, ma non possiamo esclu-dere la possibilità di altri utilizzi (lo scavo di que-sto periodo è ancora in corso). Chi ha fatto costruire la villa romana e per-ché proprio ad Artena?Si trattava sicuramente di una famiglia poten-te data l’ampia superficie investita (in cui dob-biamo presupporre chefosse incluso ancheun territorio agrarionecessario all’approv-vigionamento dei suoiabitanti). Purtroppo non dispo-niamo di iscrizioni o rap-presentazioni figurativeidentificative dei padro-ni di casa, ma è evidenteche abbiano sfruttato unluogo già strutturato(via d’accesso e piat-taforma) situato in una

zona bellissima,molto vicina a Roma,quindi strategica-mente comoda perchiunque avesseimpegni importantinell’Urbs. Inoltre,come andava dimoda in quell’epo-ca, il proprietarionon disdegnava diesibire il propriolivello sociale e la pro-pria ricchezza. Lo dimostra anchela presenza delle ter-me e l’evoluzionestrutturale della vil-la con il passaggioda “villa rustica” adun complesso mistoin cui l’idea di otiumnon era sicuramenteassente.Chi si è occupatofinora degli scavi?Dal 2004, ho assun-to assieme al prof. Jan Gadeyne (Temple UniversityRome) la direzione della missione archeologi-ca iniziata nel 1978 dal mio professore di uni-versità, Roger Lambrechts (Université Catholique

Louvain, Belgique), un grande studioso in ricor-do del quale trovo importante portare avanti l’o-pera da lui iniziata. Accanto a lui è doveroso ricordare i lavori di Lorenzo

Quilici e di Massimiliano Valenti. Una curiosità riguardo al sito?Sono tante... Sicuramente interessantee ancora “da scavare” è l’impron-ta del Cristianesimo, rilevabile a par-tire dalla scoperta di 5 monete d’o-ro bizantine che risalgono ai seco-li VI-VII d.C. e ci ricordano, non soloche la zona di Roma, in quell’epoca,era sotto il dominio di Bisanzio, maforse raccontano la fase del tra-sferimento della popolazione arte-nese dal Piano della Civita all’at-tuale Centro storico.Avete incontrato molte difficol-tà, finora? E di che cosa avre-ste bisogno voi archeologi pervalorizzare questo preziosopatrimonio storico?Attualmente lo scavo funziona comecorso estivo (è aperto anche al pub-blico tra luglio e agosto) per stu-denti americani, che sono accom-pagnati da volontari, professioni-sti e semplici appassionati che cisostengono e ci permettono di por-tare avanti il lavoro, ma da un pun-to di vista scientifico, la mancan-za di un locale ad Artena dove poterstudiare accuratamente il materiale

continua a pag. 34

archeologico, raccolto in più di 15 campagne discavo, ostacola la possibilità di aggiornare le pub-blicazioni dei risultati ottenuti. Per noi è urgen-tissimo. A questo si aggiunge la totale assen-za di manutenzione del sito.Nel salutarti e nel ringraziarti per la dedizionecon la quale ti dedichi ad un bene che dovreb-be essere sempre più conosciuto e consi-derato, un’ultima domanda: Artena era con-siderato il paese dei briganti… che accoglienzahai ricevuto? Niente fucile! Anzi, ho vissuto ilsenso profondo di cosa voglia dire la parola evan-gelica “accogliere il prossimo”. E sono molti i “bri-ganti” che mi aiutano a Piano della Civita conla loro amicizia silenziosa. Ho imparato tanto daloro e a loro devo tanti fra i migliori momenti del-la mia vita.

3434 OttobreOttobre20142014

Mara Della Vecchia

NNei secoli XIV e XV, in Europa si viveuna grande fioritura della musicapolifonica che tradizionalmente viene

chiamata “Scuola franco-fiam-minga“ in quanto in questaregione situata tra la Franciasettentrionale e il Belgio, emer-ge una generazione di musi-cisti che elabora una tecni-ca complessa di composi-zione polifonica, ovvero uncanto in cui più voci di regi-stro diverso cantano con-temporaneamente una pro-pria linea melodica, solita-mente con il medesimotesto.Il primo compositore impor-tante di tale corrente artisticaè Guillame Dufay, succes-sivamente si mettono inluce musicisti come Ockeghem, Binchois,Obrecht; l’ultimo grande rappresentante diquesta serie di altrettanto grandi musicisti è JosquinDeprès. Quello che è interessante e fondamentale osser-vare, per capire lo sviluppo della musica euro-pea e della cultura europea in generale, è chetutti questi artisti, pur provenendo, più o menodalla stessa regione, hanno una formazione benpiù internazionale,anche se tale termine non èappropriato per l’epoca di cui stiamo parlando. Le caratteristiche musicali comuni a questi auto-

ri sono una sintesi delle varie esperienza musi-cali di diversi paesi: la Francia , l’Italia,l’Inghilterra. L’influenza della musica francese si ritrova nelmodo di comporre i mottetti (brevi composizio-

ni in genere di argomentosacro in latino) con l’uso dellaisoritmia ovvero le diversevoci eseguono lo stesso ritmo;lo stile italiano si rintraccia, nel-la musica profana, nel predo-minio della voce più acuta e perla linea melodica ricca di orna-menti, mentre il musicistainglese Dunstable è fonte si ispi-razione per ciò che riguar-da l’armonia. Dunquetutti questi musi-cisti nati nel-la stessaa r e ag e o -grafica

assimilano tutte le ten-denze musicali allorapiù nuove in Europa,ma conquistano la noto-rietà e un posto importan-te nella storia della musica,perché anche la loro vita e la loroproduzione artistica si è svolta neivari paesi europei, innestando così un cir-colo virtuoso di scambi culturali.Josquin Deprès è tra i più importanti musicistiche vive l’ultima stagione della scuola franco-

fiamminga. Il luogo esatto della sua origine nonè certo, così come non lo sono la data della suanascita e quella sua morte, ma certamente vis-se molti anni in Italia, alcuni dei quali nella cap-pella papale sotto Innocenzo VIII e AlessandroVI, quindi molta sua produzione fa parte dellamusica sacra, nella quale esprime la sintesi deicaratteri musicali italiani: senso melodico, chia-rezza espressività e il rigore contrappuntisticoproprio della scrittura polifonica più elaborata.Per questo è possibile vedere nelle sue opereil passaggio da un modo di fare musica e unavisione medioevale dell’arte musicale a una nuo-va maniera che anticipa il Rinascimento. Sono i suoi mottetti quelli che meglio esempli-

ficano il passaggio al un nuovo linguag-gio; la sua Ave Maria riassume mira-

bilmente la grande padro-nanza del contrappunto

con l’imitazione soprattuttonella prima parte del-l’opera e la maestria nel-l’invenzione melodi-ca in modo particola-re nella seconda par-te del mottetto. È que-

sto un brano frequen-temente seguito dalle

corali polifoniche, proprio per-ché costruito con tale padro-

nanza tecnica ed espressiva chepermette un’esecuzione agevole, parte-

cipata, trasmettendo il sentimento religioso diadorazione della Vergine Maria, semplice e pro-fondo.

segue da pag. 33

3535OttobreOttobre20142014

Antonio Venditti

LLa scuola, come la famiglia,ha una funzione educativapreminente, perché deve pro-

muovere lo sviluppo virtuoso del-la personalità di ogni alunno/a. La“bontà” deve essere messa al ripa-ro da tutti i rischi che circondanola vita di esseri fragili e non anco-ra sufficientemente consapevoli, anziin pericolo già per la “curiosità”, cheagisce verso le positività, maanche verso le negatività, ancor piùinsidiose in questi tempi. La sincerità, di cui gli adulti nondanno spesso prova, è fondamentalenel processo educativo; ed anchequando, da parte dei soggetti in cre-scita, si sbaglia e si compiono attiriprovevoli, essere sinceri, nelsenso di riconoscere gli errori, è impor-tante al punto che l’educatore nedeve tener conto e ridurre le con-seguenze, evitando, quando èpossibile, anche la punizione,sostituita da semplice ammonizione ed esorta-zione al buon comportamento; e comunque, perle mancanze più gravi, la sincera ammissionedi colpa deve produrre una sensibile riduzionedella prevista sanzione.La regola indispensabile nell’ambiente scolastico,come in quello familiare, è il rispetto delle per-sone: rispetto degli adulti e rispetto dei coeta-nei, nel mantenimento rigoroso della convivenza,la più serena ed armoniosa possibile. Dovrebbero essere constatazioni ovvie, ma sap-piamo, purtroppo, che non lo sono, in ogni ambi-to, ed in quello scolastico con preoccupante allar-me. Sul fenomeno del “bullismo”, sulle colon-ne di questa rivista, non sono mancate nel pas-sato ripetute riflessioni, in relazione anche a prov-vedimenti dell’Autorità ministeriale, come il famo-so “cinque in condotta”. Il dubbio che non fosse risolutivo, fu allora espres-so, ed alla luce dei fatti recenti, si deve ritene-re più che confermato. La disciplina è soprat-tutto preventiva, perché finalizzata ad evitare chesi manifestino atteggiamenti e comportamentinegativi, per chi ne è responsabile, come perl’intera comunità educativa. Per far questo, occorre un impegno costante epersuasivo dell’educatore, il quale deve esse-re esemplare e trasparente in ogni suo atto, percui diventano credibili le regole che presenta eche s’impongono spontaneamente, senza for-me di pressione; infatti, se si ha chiara cogni-zione di ciò che è giusto e necessario per sestessi e per gli altri, non si può operare in sen-so contrario. Ma sappiamo che la persona, ancheadulta del resto, è fragile e, in determinate cir-costanze, può essere trascinata verso cattivescelte, pur essendo fondamentalmente orien-tata verso il bene; allora, ognuno deve vigilareper mantenere intatta la buona coscienza, edin particolare l’educatore, genitore o docente,

non può permettersi nessuna leggerezza, man-tenendo vigorose le “virtù”; per ragazzi/e, l’aiu-to che venire dagli adulti, sta nel rapporto con-tinuo ed amorevole, che si concretizza nella dis-ponibilità ad essere presenti ed a vigilare, in manie-ra discreta e non invadente, ma efficace, affin-ché gli inevitabili ostacoli del percorso di cre-scita siano superati, senza “ferite” e senza trau-mi. Molti dei fatti allarmanti dell’attualità si spie-gano, proprio per la mancanza della “preven-zione”, da parte di genitori e docenti, quanto menodistratti, se non colpevolmente assenti nella vitadei loro figli e dei loro alunni. Si obietterà che i genitori hanno le loro difficoltàper i tanti ed assillanti problemi dell’odierna real-tà; e si dirà anche, da parte di docenti risentitiper la loro difficile condizione, che, svolte le ored’insegnamento, non si può “pretendere” di più.Ma tale risposta è superficiale e non esaltanteper gli uni e per gli altri: il loro compito è soloparzialmente svolto e, oltre a non essere effi-cace, per i singoli soggetti loro affidati, non èutile alla comunità e favorisce, almeno indiret-tamente, i fenomeni allarmanti del disagio ado-lescenziale, che spinge anche a tragiche “solu-zioni”. Lo sviluppo delle tecnologie informatiche ha resola comunicazione globale ed immediata: ognu-no può comunicare il suo pensiero e diffonde-re scene e retroscene di vita, in tempo reale,entrando in contatto con moltitudini di persone,senza limiti, e quindi potenzialmente con tutti gliesseri umani. Ciò rappresenta un’autentica meraviglia del mon-do in cui viviamo, come dimostrazione dell’elevatezzadell’intelligenza, nel progresso dell’umanità, finoa poco prima inimmaginabile. Ma, purtroppo, unaspetto gravemente degenerativo si è subito mani-festato, già nel privilegiare la “virtualità” del siste-ma alla realtà, nel senso, ad esempio, che si

preferisce la “socializzazione” in rete, a quellareale dell’incontro e colloquio diretto tra perso-ne, che si guardano negli occhi e si confronta-no, nello sforzo effettivo di conoscenza. Inoltrela rete è utilizzata come uno schermo per copri-re la realtà, con una volontà mistificatrice, resapossibile dall’anonimato. Questo aspetto, oltre ad essere preoccupantee pericoloso per tutti, è portatore di un virus leta-le per l’educazione, nel senso che la vanificatotalmente, proprio nell’invisibilità delle perso-ne, che possono colpire e sono colpite, in unadevastante ed interminabile sequenza. La visibilità è, quindi, la terza regola del pro-cesso educativo, senza la quale si vanificanole altre due del rispetto e della sincerità nei rap-porti interpersonali. La scienza e la tecnologia,che hanno portato alla meraviglia di internet, devo-no sconfiggere questo “virus” dell’anonimato, die-tro cui si rifugiamo i tanti “untori”, interessati alla“morte” della schiettezza e della bellezza del-l’animo umano. Non soltanto alle menti malate che si scatena-no nelle loro nefandezze fa comodo agire nel-l’ombra e nella certezza dell’immunità per i gra-vi reati commessi; ma anche tanti truffatori e tan-ti speculatori, di ogni specie, sono interessati almantenimento della situazione attuale. Ed allora tutte le persone amanti del bene devo-no ricercare una via d’uscita, per liberare la reteda tutte le impurità, in modo che tate porten-toso strumento sia a servizio del miglioramen-to dell’umanità. La famiglia e la scuola, intan-to, non possono far altro che potenziare il dia-logo educativo, nella vigilanza continua, per pre-venire i pericoli, verso i quali vanno incontro isoggetti di cui sono responsabili.

Nell’immagine del titolo:un’opera grafica di Rob Gonsalves.

3636 OttobreOttobre20142014

Stanislao Fioramonti

IIl suo nome di battesimo era Cleridona (“donodella sorte”), come risulta anche da un affre-sco del Sacro Speco di Subiaco, opera del

Magister Conxolus (inizi del sec. XIII); quello diChelidonia (dal greco, “rondinella”) si cominciòa usare dopo il Rinascimento in riferimento alluogo dove visse, arroccato sul monte come unnido di rondine. Cleridona nacque nel Cicolano (Valle delSalto), territorio per secoli appartenenteall’Abruzzo e ora in provincia di Rieti. Nacqueverso il 1072 o 1077 forse a Poggio Poponesco,castello oggi diroccato presso Fiamignano; il padresi chiamava Dauferio, la madre Albasia; la sorel-la Nitida parlò di lei a un giovane che poi, fat-tosi monaco sublacense, lasciò la sua testimonianzaraccolta nel codice manoscritto del secolo XIII,conservato in S. Scolastica, che costituisce laprincipale fonte di conoscenza di S. Chelidonia.Verso il 1092, attratta dal messaggio diBenedetto da Norcia, lasciò la casa paterna esi ritirò a vita eremitica, prima donna a farlo, inuna spelonca dei monti Simbruini, tre miglia anord-est di Subiaco. Il luogo è noto col nomedi Morra Ferogna, che conserverebbe il ricor-do di un santuario di Feronia, dea delle fiere,eretto dai Romani dopo la sottomissione degliEqui della valle dell’Aniene. Lì visse per quasi59 anni sola al cospetto di Dio, nel digiuno enella preghiera, sopportando l’ inclemenza deltempo, dormendo sulla nuda roccia, sfidandola famelicità dei lupi, nutrendosi delle offerte deifedeli, ben presto attratti dalla fama delle suevirtù e dei suoi miracoli, e talvolta sostentata mira-colosamente da Dio. Una sola volta, tra il 1111 e il 1122, interruppela lunghissima solitudine compiendo un pelle-grinaggio a Roma. Tornata a Subiaco, nella basi-lica di S. Scolastica (la più antica comunità fem-

minile dell’Occidente) e nel giorno festivo del-la santa sorella di Benedetto da Norcia (10 feb-braio 1109, o nel 1113) ricevette dal cardinaleConone, vescovo di Palestrina, l’abito benedettino.Riprese quindi la vita eremitica e non la abban-donò più fino alla morte, avvenuta nella nottedi domenica 7 ottobre1151. Dalla sua spelon-ca si innalzò fino al cielo una colonna lumino-sa che fu vista da innumerevoli testimoni in tut-to il territorio sublacense e oltre. Il fenomeno fuosservato anche a Segni, dove si trovava allo-ra il papa Eugenio III, che forse decretò per Chelidoniagli onori degli altari. Dall’abate benedettino Simone il corpo della ere-mita fu subito trasportato nell’abbazia di S. Scolasticae sepolto nella cappella di S. Maria Nuova. Noveanni dopo però, dopo gli “anni della grandine”,il suo corpo fu ricondotto dallo stesso abate alsuo eremitaggio e posto in un sarcofago di mar-mo. Nel 1161 ancora Simone edificò in quei pres-si un monastero femminile intitolato a S. MariaMaddalena e una cappella dedicata a Chelidonia.Il 4 ottobre 1187 l’abate sublacense Berardo dona-va alla badessa Domitilla e alle sua monachei territori circostanti il monastero, che nel 1245fu restaurato o ricostruito dall’abate Enrico e lachiesa dedicata a S. Chelidonia fu consacratadal cardinale Rinaldo Vescovo di Ostia e Velletri,poi papa Alessandro IV, nato nella rocca di Jenne.Nel 1414, per scorribande di soldataglie dal vici-no Regno di Napoli, il monastero fu abbando-nato dalle monache, che trovarono rifugio entroSubiaco. Tre anni dopo fu soppresso con decre-to di papa Martino V. Alcuni monaci l’abitarono per vari periodi ed ere-miti di passaggio vi sostarono, finché ilConcilio di Trento non decretò la soppressio-ne materiale delle strutture religiose decaden-ti (1545). Nel 1578 era ormai abbandonato dal-le monache e il corpo della santa fu definitiva-mente trasferito in S. Scolastica dall’abate Cirillo

di Montefiascone, con solennissime feste, e col-locato nella chiesa abbaziale, cappelladell’Immacolata del braccio destro del transet-to, dov’è anche ogg in un’urna di cristallo. Il mona-co Guglielmo Capisacchi, testimone dell’avve-nimento, ne stese una relazione e riscrisse labiografia della santa, dando forma più elegan-te a una Vita manoscritta, redatta da un anoni-mo contemporaneo di Chelidonia e andata piùtardi perduta. I festeggiamenti per la traslazionerisvegliarono il culto di S. Chelidonia nell’abbaziae in tutta la diocesi sublacense e richiamaronosulla santa l’attenzione del Baronio che la intro-dusse nel Martirologio Romano, mentre il 21 otto-bre 1695 la Sacra Congregazione dei Riti la pro-clamava patrona principale di Subiaco. In ono-re di Chelidonia a Subiaco si celebrano due feste:quella del 13 luglio in ricordo della traslazionedel 1578, e quella del 13 ottobre nel giorno del-la sua morte, con la festa e la messa nella chie-setta di Morra Ferogna. In questo stesso gior-no una processione, recando un’ampolla con-tenente il cuore della santa, dalla basilica di S.Scolastica raggiunge un punto da cui si domi-na Subiaco. Di lì con la reliquia si benedice lacittà e il territorio abbaziale; a notte poi i con-tadini che abitano ai piedi del monte dove la san-ta visse e morì accendono falò attorno alla spe-lonca, quasi a rinnovare la meravigliosa luce cheilluminò il luogo alla sua morte. L’eremo di S. Chelidonia, del XII secolo, appa-re come un nido protetto dal bosco e da asprepareti rocciose. Negli anni ebbe un notevole svi-luppo, poi fu completamente distrutto dalle incur-sioni saracene. Oggi le sue rovine, restauratenell’ottobre 2013, sono meta di una suggesti-va escursione tra storia e natura.Il sentiero inizia poco sopra Subiaco (m 408),a circa 3 km dal centro, nella frazione di Vignola,cui si arriva con la strada provinciale per mon-te Livata e poi prendendo il bivio per Cervaradi Roma.

continua nella pag. accanto

3737OttobreOttobre20142014

Circa 500 metri dopo il bivio, senza raggiungereil ristorante Vignola, a un cartello di attraversamentopedonale si devia a destra per una ripida stra-da dal fondo in cemento verso la località Iegli(m 740). Si sale tra villini e case contadine, tenen-dosi a sinistra a un primo bivio (la strada a dxè asfaltata) e a destra a un secondo, ma pro-prio all’incrocio conviene parcheggiare (m730). A piedi da Vignola occorrono 0,30 h.La strada cementata termina accanto a una casacontadina (m 775); poco prima un evidente sen-tiero (n. 671 b) entra a sinistra tra i vigneti e rag-giunge un fabbricato rosso, lo aggira, costeg-gia una piccola fascia di rocce e inizia a salire.Lo si segue con una serie di tornanti e dopo 15minuti si incontra il primo bivio per la fattoria didat-

tica “Bosco dell’Acero” (a 20 minuti). Giunto almargine di una pineta di rimboschimento, il sen-tiero traversa nettamente a destra; dopo 30 minu-ti un secondo bivio a destra scende a Tenne Nove,Cerasolo e S. Scolastica (n. 674 c). Si entra in un ampio vallone e si risale puntan-do alle pareti della Morra Rossa ai piedi dellequali, dopo le deviazioni a destra per Livata emonte Calvo e poi a sinistra per Morra Ferogna,si raggiungono i ruderi dell’antico eremo (m 991,0,40 h), nei cui resti di mura possenti si apro-no ampie arcate affacciate sulla vallata. Al cen-tro del muro di fondo, la piccola chiesa moder-na con un bell’affresco di Cristo in trono tra dueangeli, che benedice alla greca. Sull’ingressodella cappella, una lapide in latino: “Diva Chelidonia de hoc specu in quo diu sanc-

tissime vixit migravit ad coele-stem sponsum ANMCLII.VII.ID.OCT. aet. suaeLIX. Ipse de coelis regione hancuniversam ignea columna in eiusobitu mirabiliter irradiatam respi-cere suisque precibus ac patro-cinio tutam atque incolumen ser-vare non dedignetur. P. ABB. ETMON. S. SCHOL. RESTAU-RARUNT A.D. MDCCLII”.Appena più oltre si possono rag-giungere le basi e le grotte del-la Morra Rossa, luogo sugge-stivo e panoramico su Subiacoe la sua valle. Per il ritorno sisegue la via dell’andata ma vale

la pena, al primo bivio, fare una breve devia-zione a destra e arrivare su sentiero alla MorraFerogna, enorme roccia che spunta dalla vege-tazione, antica “ara sacra” degli Equi legata alculto della Dea Feronia. Questa divinità, di origine italica, nella mitolo-gia romana era una dea della fertilità, protettri-ce dei boschi, delle messi e delle fonti, degli agri-coltori, dei mercanti, dei malati e degli schiaviche riuscivano ad emanciparsi. Popolare in tutta l’Italia centrale, in Etruria e pres-so i Sabini, aveva il santuario principale (LucusFeroniae) a Scorano in comune di Capena (RM),ed era celebrata anche a Trebula Mutuesca(Monteleone Sabino, RI), a Terracina, a Prenestee a Roma nell’area sacra di Largo Argentina (tem-pio C).La tradizione orale tramanda che nella sommi-tà della Morra si recasse abitualmente S. Chelidoniaper ascoltare la S. Messa del Papa dalla BasilicaLateranense a Roma. Dallo spiazzo erboso allabase del torrione della Morra (m 1050) il pano-rama spazia dai crinali dei Monti Simbruini agliAffilani, ai Prenestini, ai Ruffi e ai primi baluar-di dei Lucretili. La salita in vetta è breve ma richie-de un po’di destrezza nel superamento di un trat-to esposto; la grotta della divinità, come altre,è oggi in gran parte franata.

Bibliografia:Benedetto Cignitti, S. Chelidonia, in: Enciclopedia dei Santi.Dom Stanislao Andreotti (a cura), S. Chelidonia, Subiaco 1974.

Giovanni Zicarelli

CColleferro, ospedale “Leopoldo Parodi Delfino”, ore 21 del 23 set-tembre: l’altare posto esattamente sulla soglia di quel cancelloquotidianamente varcato sì da dolore e angoscia ma anche da

gioia, quando la malattia è guarita o ci si porta a casa un “fagottino” natoqualche giorno prima. Alle spalle un crocifisso posto per l’occasione e,più dietro, in una nicchia ricavata tra la vegetazione della grande aiuo-la, la statua bronzea raffigurante un padre Pio dall’espressione bona-ria, comunque non seria o addirittura severa come si osserva in molteimmagini di repertorio, lì permanentemente collocata ad accogliere e con-fortare coloro che varcano il temuto quanto speranzoso ingresso; quel-lo di un ospedale che con le continue minacce di chiusura o di riduzio-ne di servizi e reparti, si può portare a simbolo, come tanti altri luoghidi cura in tutta la Nazione, di cosa oggi ritenga abbia priorità chi ammi-nistra un popolo. Una priorità di certo opposta a quella del Santo effigiato, il cui più gran-de sogno, poi tenacemente realizzato, fu quello di far costruire un gran-de ospedale che alleviasse i patimenti dell’amato prossimo: l’ormai cele-bre nel mondo “Casa Sollievo della Sofferenza” di San Giovanni Rotondo(Foggia). Da quell’altare, a ridosso di piazza Aldo Moro, alla presenza,tra i fedeli, delle autorità civili e militari di Colleferro, don Nando Brusca,cappellano presso l’ospedale, ha officiato, coadiuvato dai sacerdoti del-le parrocchie di Santa Barbara, San Bruno e Immacolata, la Santa Messaper l’anniversario della morte, avvenuta in San Giovanni Rotondo il 23settembre 1968, di san Pio ovvero padre Pio da Pietrelcina, colui cheda ormai molti decenni muove enormi masse di pellegrini da tutto il mon-do, in vita come, e ancor più, dopo la morte e comunque ben prima chefosse proclamato santo da papa Giovanni Paolo II, a sua volta cano-nizzato, lo scorso 27 aprile, da papa Francesco. Sempre più imponen-te è infatti il numero di persone che di continuo si recano a Pietrelcina

(Benevento) e a San Giovanni Rotondo ovvero, rispettivamente, i luo-ghi ove san Pio è nato (25 maggio 1887) e ha svolto il suo ministero.I numerosi fedeli radunatisi in piazza Moro, nell’ascoltare le parole di donNando, davano nel contempo vita ad un suggestivo colpo d’occhio crea-to dalle luci soffuse dei lampioni e dalle fiamme delle candele con para-lume rosso che molti di loro reggevano. Una sorta di coreografia divenuta incantata quando, a cura del “ComitatoSan Pio”, organizzatore dell’annuale evento, come sempre patrocinatoanche dal Comune di Colleferro, a fine Messa, dalla sommità del murodell’ospedale venivano rilasciate nell’aria delle silenziose, piccole mon-golfiere che con le loro fiammelle andavano man mano a costellare ilcielo scuro, a simboleggiare le invocazioni e le preghiere rivolte inces-santemente al Santo di Pietrelcina affinché volga assiduamente il suosguardo benevolo verso il sempre più smarrito popolo della Terra bene-dicendolo con le arcane Stimmate.

segue da pag. 36

3838 OttobreOttobre20142014

Stanislao Fioramonti

PProveniente forse dalla vicina Cori, nel-l’autunno del 1221 o 1222 Francescogiunse a Velletri, importante città e dio-

cesi retta dall’amico cardinale Ugolino. Marcoda Lisbona, cronista francescano, scrive nel1571 che in quel viaggio verso ilmeridione il santo era accompa-gnato dal beato fra Leonardo daFoligno e che i veliterni, andatigliincontro molto devotamente, lo scon-giurarono di liberare i loro vigne-ti da piccoli vermi parassiti chia-mati magnacozze, cosa che il san-to eseguì immediatamente con unsegno di croce salvando l’econo-mia della città, che anche allora comeora si fondava sulla viticoltura. Il santo, che secondo un’antica tra-dizione riferita dal Theuli si sareb-be fermato a pregare nella chie-setta della Madonna degli Angeli,aveva in qualche modo un debitodi riconoscenza verso i veliterni:era infatti originario di Velletri mons.Giovanni Santi, vescovo di Firenzedal 1205 alla morte (1230) che - scrive il Borgia- aveva accolto Francesco nella città tosca-na e aveva favorito la venuta dei suoi frati pri-ma a Scarperia, poi nel 1221 nel convento cit-tadino di S. Croce. Riconoscenti a loro volta verso il santo per iprodigio operato a favore dei loro vigneti, i veli-terni offrirono a lui e ai suoi religiosi una dimo-ra prossima alla città, distante “un tiro di moschet-

to” (circa 200 metri) dalla PortaRomana, vicino a una fonte d’ac-qua purissima. Questo romitorio, chiamato poiSan Francesco Vecchio, restòdi proprietà dei Conventuali finoal 1574, quando fu venduto. Inrealtà esso era stato lasciato daifrati pochi anni dopo la morte

del Serafico, verso il 1245: i religiosi si era-no trasferiti all’interno della città soprattuttoper sfuggire alle scorrerie degli eserciti,occupando dopo radicali restauri e adattamentiun antico ospizio dei Monaci Neri (i Benedettini),che fu chiamato San Francesco Nuovo. La sua chiesa, non grande ma molto amatadal popolo, nel decennio 1246-1256 ricevet-te cinque diversi tipi di indulgenze dai papiInnocenzo IV e Alessandro IV e un’altra la ebbe

nel 1288 dal papa francescano Niccolò IV.Il convento era celebre per aver ospitato ededucato alle lettere sacre e profane personaggifamosi; ricordiamo almeno Benedetto Caetani(papa Bonifacio VIII), educatovi dallo zio mater-no fra Leonardo Patrasso da Guarcino, chenel 1300 dal nipote fu creato cardinale; fra Lorenzoda Velletri, dallo stesso pontefice nominato vesco-vo di Orte nel 1298 e morto nel 1314; lo sto-

rico Bonaventura Theuli nel XVII secolo(1594-1670), la cui opera citiamo spesso anchein questo studio. Era veliterno un importante frate minore del-la prima ora, Giacomo da Velletri, professo-re di Teologia e custode del Sacro Conventodi Assisi (costruito da frate Elia nel 1230) quan-do era ancora in vita S. Chiara, reclusa nel-l’eremo di San Damiano. Nel 1252 il religioso fu inviato da papa InnocenzoIV a Cracovia, in Polonia, come commissa-rio del processo di canonizzazione del vesco-vo della città Stanislao, ucciso sull’altare dalre Boleslao II l’Ardito nel 1079. Tale canonizzazione fu celebrata al suoritorno (1253) dal papa nella basilica inferio-re di Assisi, dove in una cappella si custodìla reliquia del braccio di S. Stanislao e dovepoi furono affrescate le storie della sua vita

e del suo martirio. FraGiacomo da Velletriacquisì all’Ordine ancheil convento di S. Fortunatoa Todi; infine dovettelasciare Assisi perché dapapa Alessandro IV fuelet to vescovo d iFerentino (1254), doverestò fino alla mortesopraggiunta sei annidopo (1260). Nonostante la sua sto-ria gloriosa, il conven-to di S. Francesco aVelletri fu chiuso inseguito alle leggi disoppressione del Regnod’Italia (1875); anche lachiesa fu chiusa al cul-

to e ora è in stato di abbandono. Partiti i Conventuali, restarono a Velletri i FratiMinori nel convento di San Lorenzo, occu-pato nel 1460. In città sorse anche un monastero di S. Chiara,che il p. Casimiro da Roma considera uno deipiù antichi luoghi francescani femminili dellaprovincia Romana. Nel 1274 esso già esisteva,

continua nella pag. accanto

3939OttobreOttobre20142014

La Famiglia Francescana a VelletriTonino Parmeggiani

“Dare a Velletri l’appellativo di«Città Francescana» potrebbe sembra-re esagerato, soprattutto se si tien con-to degli ultimi avvenimenti storici conparticolare riguardo al periodo delRisorgimento italiano; … Come pochecittà d’Italia e forse unica nel Lazio, Velletriha il vanto di aver ospitato entro le suemura, e quel che è più, contempora-neamente, tutte le diverse comunità cheformano la Grande Famiglia Francescanae cioè Primo, Secondo e Terzo Ordine…”.

SS criveva così, P. Benigno Di Fonzo, sul nume-ro unico “ VELLETRI FRANCESCANA”,

edito nel 1961, a commemorazione del V cen-tenario della permanenza dei Frati Minori nel-la Chiesa di S. Lorenzo. Al tempo erano anco-ra presenti in città i Minori Osservanti ed i Cappuccinima oggi, dopo il trasferimento dei primi neglianni ottanta, e dei Cappuccini pochi anni orso-no, rimane solo la presenza di un Padre Cappuccino:

evidente il segno della secolarizzazione. Come viene illustrato in altroarticolo, il francescanesimo era rappresentato nel Primo Ordine con i

Minori Ossevanti, i Conventuali ed iCappuccini, nel Secondo Ordine fem-minile con le Clarisse Francescane ednel Terzo con il Terz’Ordine Regolaredi S. Francesco.Il Monastero delle Clarisse era forse unodei primi del ramo femminile se già lasua presenza è testimoniata sulla finedel sec. XIII, nei secoli successivi arri-vò ad ospitare anche 30-40 monachee da esso uscirono figure illustri tra cuile veliterne Suor Francesca Antonelli,morta nel 1636, Suor PotenzianaAntonelli, morta nel 1709. Con la soppressione degli ordini reli-giosi, l’edificio venne adibito a molinoe poi subì anche un incendio: oggi nerimane solo una parte, attraversato inmezzo da una strada.Il Terz’ordine regolare venne introdot-to in città nel 1621 e dopo una sede prov-visoria, trovo collocazione definitiva inuna fabbrica annessa alla chiesa di S.Apollonia, fino alla soppressione postu-nitaria.

e il 5 ottobre riceve una donazione da una don-na di Anagni; a giugno e a settembre del 1291ottiene indulgenze da Niccolò IV per coloroche lo visitassero nelle feste della Madonnae dei santi Francesco, Antonio e Chiara. Secondo Alfonso Marini, fu voluto da papaAlessandro IV: sorse dunque nel settennio del

suo pontificato (7 dicembre 1254 – 25 mag-gio 1261). Anch’esso però non è giuntofino ai nostri giorni.

La guarigione a Velletri di un giovanedi CisternaAl convento veliterno di S. Francesco Vecchio,più che al Nuovo, credo debba riferirsi ilmiracolo operato dal Serafico a favore diun abitante di Cisterna, borgo pontino a13 chilometri dalla città sulla via Appia. Penso si tratti del convento più antico per-ché nel racconto, preso dal Trattato deiMiracoli di fra Tommaso da Celano(redatto nel 1252-1253), e accennato anchenella Legenda Maior di S. Bonaventuradi Bagnoregio (scritta nel 1263), si diceche il malato di Cisterna fu portato un 4ottobre nella chiesa costruita in onore diS. Francesco “presso” Velletri, cioè fuo-ri del nucleo abitato, dove quel giorno sicelebrava la festa liturgica del Serafico.Se così fosse, e lo farebbe pensare ancheuna venerazione maggiore per un santuariopiù antico piuttosto che per una chiesaappena costruita, potremmo datare il pro-digio nel periodo compreso tra il 1228 (cano-nizzazione di Francesco) e il 1245, anno

intorno al quale i frati lasciarono il conventopiù antico. Ma leggiamo il racconto del miracolo, mettendoin risalto che nella chiesa di San Francescoa Velletri c’era una immagine del Santo mol-to venerata e che il giorno della sua festa erapresente in essa una numerosa folla.

Scrive il Celanese (Fonti Francescane, edi-zione 1977, n. 952): “Il figlio di un uomo di Cisterna, nellaMarittima, era afflitto da una spaventosa lace-razione delle parti genitali (dovrebbe trattar-si di una grossa ernia inguinale, n.d.R.) ed innessuna maniera era possibile contenere lafuoriuscita degli intestini. Difatti anche il cin-to, che solitamente è un buon rimedio per taleinfermità, gli procurava nuove e dolorose lesio-ni. Gli infelici genitori vivevano nel tormentoe l’orrenda vista di tale male era causa di pian-to a vicini e conoscenti. Dopo aver tentato ogni genere di cure sen-za mai approdare a un risultato, il padre e lamadre votarono il figlio a San Francesco. Loportarono dunque il giorno di San Francescoalla chiesa costruita in suo onore presso Velletri,lo deposero dinanzi all’immagine del Santo,fecero i loro voti e piansero per lui insiemealla numerosa folla. Mentre veniva cantato ilVangelo e venivano pronunciate le parole ‘Ciòche viene nascosto ai sapienti, è rivelato aifanciulli’, all’improvviso si ruppero il cinto e gliinutili rimedi. Subito si rimarginò la ferita e ritor-nò la desiderata salute. Si levò quindi un gran-de grido di lode a Dio e di devozione al Santo”. La Legenda di San Bonaventura (ibidem, n.1309) liquida invece il fatto in due righe: “Unabitante del paese di Cisterna fu anche gua-rito miracolosamente da un’ernia inguinaleper la bontà di Dio e i meriti di SanFrancesco”.

Foto di Fabio Rosati.

segue da pag. 38

4040 OttobreOttobre20142014

Bollettino diocesano:

Prot. VSCA 26/2014

Vista la Delibera n°. 217 del 21.07.2014 del Consiglio di Amministrazione dell’Istituto Diocesano per il Sostentamento del Clero della Diocesi di Velletri-Segni,Ente Ecclesiastico con sede in Velletri Corso della Repubblica n° 343, Codice Fiscale 95003060589, iscritto nel Registro delle Persone Giuridiche del Tribunaledi Roma al n° 1187/87;

Visto il Can. 1281 § 2 del Codice di Diritto Canonico;Visto l’art. 18 delle norme circa gli enti e i beni ecclesiastici in Italia;

A U T O R I Z Z ADon Paolo Picca, nato in Velletri il 12.03.1938, quale Presidente e Legale Rappresentante dell’Ente Ecclesiastico suddetto ad assumere alle dipendenze dell’IstitutoDiocesano per il Sostentamento del Clero della Diocesi di Velletri-Segni con contratto part-time a tempo indeterminato il geometra Alberto Quattrocchi, nato aVelletri (RM) il 18.07.1973, codice fiscale QTT LRT 73L18 L719P.Velletri, lì 30.08.2014 + Vincenzo Apicella, vescovo———————————————————————————————————————

Prot. VSCA 27/2014

DECRETO VESCOVILE DI EREZIONE E DI APPROVAZIONE DELLO STATUTOdella Confraternita “S. Giovanni Battista” presso la Parrocchia di S. Maria di Gesù, in ARTENA.Velletri, 13 settembre 2014 2014 + Vincenzo Apicella, vescovo———————————————————————————————————————

Prot. VSCA 29/2014

DECRETO VESCOVILE DI EREZIONE E DI APPROVAZIONE DELLO STATUTOdella Confraternita “SS. Francesco d’Assisi e Teresa d’Avila” presso la Parrocchia di S. Maria di Gesù, in ARTENA.Velletri, 13 settembre 2014 + Vincenzo Apicella, vescovo———————————————————————————————————————

Prot. VSCA 30/2014

DECRETO VESCOVILE DI EREZIONE E DI APPROVAZIONE DELLO STATUTOdella Confraternita “S. Antonio Abate” presso la Parrocchia di S. Maria di Gesù, in ARTENA.Velletri, 13 settembre 2014 2014 + Vincenzo Apicella, vescovo

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Prot. VSCA 31/2014

DECRETO VESCOVILE DI EREZIONE E DI APPROVAZIONE DELLO STATUTOdella Confraternita “Madonna del Buon Consiglio” presso la Parrocchia di S. Maria di Gesù, in ARTENA.Velletri, 13 settembre 2014 2014 + Vincenzo Apicella, vescovo

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Prot. VSCA 32/2014

NOMINA PARROCO PARROCCHIA SANTA MARIA DI GESU’ IN ARTENA

La parrocchia di S. Maria di Gesù in Artena, affidata ai Frati Minori, molto estesa nel territorio e grande per numero di fedeli residenti ha goduto sino ad oggidel servizio pastorale di fr. Giovanni Pucci ora destinato ad altro incarico presso un’altra comunità, necessita quindi provvedere alla nomina di un nuovo parro-co.Secondo quanto disposto dal C.D.C. e accogliendo le indicazioni del Rev.do Ministro Provinciale, con il presente decreto, che ha immediato vigore nomino te Rev. Fr. SALVATORE DONADIO ofmnato a Potenza 08.06.1946 ordinato sacerdote il 30.06.1973,Parroco della suddetta Parrocchia di “Santa Maria di Gesù” in Artenae dell’annesso territorio, a norma dei canoni 519-523 del Codice di Diritto Canonico.

La nomina a Parroco è eseguita “ad tempus”, secondo le disposizioni della C.E.I. fissando il tempo nella misura di nove anni, trascorsi i quali l’ufficio del Parrococontinuerà tuttavia “ad nutum episcopi”.Con il presente decreto termina il tuo servizio in qualità di “Amministratore Parrocchiale presso la Parrocchia di Santa Croce in ArtenaA tale scopo, Ti concedo tutte le facoltà necessarie, mentre chiedo a tutti i fedeli di codesta parrocchia di riconoscerTi e di rispettarTi come Pastore.

Ti accompagni nelle fatiche pastorali la mia personale benedizione, che in auspicio di celesti favori, imparto di cuore a Te, ai Tuoi Collaboratori e ai fedeli dellaParrocchia

Velletri, 14.09.2014 + Vincenzo Apicella, vescovoFesta dell’Esaltazione della Santa Croce

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Prot. VSCA 33/2014

NOMINA PARROCO PARROCCHIA SANTA CROCE IN ARTENA

La parrocchia di Santa Croce in Artena, è stata affidata sino ad oggi a Fr. Salvatore Donadio in qualità di “Amministratore Parrocchiale”, ora destinato ad altracomunità.Secondo quanto disposto dal C.D.C. con il presente decreto, che ha immediato vigore nomino te Rev.do VALENZI DON DANIELEnato a Colleferro il 20.05.1977, ordinato sacerdote il 17.07.2002,Parroco della suddetta Parrocchia di “Santa Croce” in Artenae dell’annesso territorio, a norma dei canoni 519-523 del Codice di Diritto Canonico.

Essendo tu rev.do Don Daniele Valenzi già parroco di Santo Stefano in Artena, con il presente decreto sei incaricato anche di dare vita alla unità pastorale del-le parrocchie da te guidate.La nomina a Parroco è eseguita “ad tempus”, secondo le disposizioni della C.E.I. fissando il tempo nella misura di nove anni, trascorsi i quali l’ufficio del Parrococontinuerà tuttavia “ad nutum episcopi”.A tale scopo, Ti concedo tutte le facoltà necessarie, mentre chiedo a tutti i fedeli di codesta parrocchia di riconoscerTi e di rispettarTi come Pastore.

Ti accompagni nelle fatiche pastorali la mia personale benedizione, che in auspicio di celesti favori, imparto di cuore a Te, ai Tuoi Collaboratori e ai fedeli dellaParrocchia.

Velletri, 14.09.2014 + Vincenzo Apicella, vescovoFesta dell’Esaltazione della Santa Croce

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Prot. VSCA 34/2014

Visto il Verbale dell’Assemblea generale straordinaria dell’Associazione “Famiglia di Santa Paola Frassinetti-Beati i puri di cuore”, tenuta nella sede di ViaMorice, 76 in Velletri il 2 novembre 2012 e avvalendomi delle mie facoltà ordinarieCONFERMOl’elezione della Presidente della suindicata Associazione nella persona di Giuseppina MONTELEONI e delle Consigliere Margherita BIGARAN, in qualità di vice-presidente e Claudia BENATO, consigliera.

La benedizione del Signore accompagni e sostenga la loro opera e quella di tutta l’Associazione.

Velletri, 15 settembre 2014 + Vincenzo Apicella, vescovo

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Prot. VSCA 37/2014

Al Reverendo Don Roberto MARIANI del Clero diocesano di Velletri-Segni Salute nel SignoreLa parrocchia di Santa Maria in Trivio in Velletri si è resa vacante per le dimissioni presentate dal parroco, il Rev.mo Mons. Gino ORLANDI, a norma del can.538 §3.Avendo intenzione di proseguire nel realizzare il progetto da lungo tempo elaborato per il rinnovamento diocesano, al fine di creare le condizioni per una pasto-rale più organica e più adeguata alle nuove esigenze del centro storico di Velletri, con viva gratitudine per la tua disponibilità e fiducioso nel tuo zelo apostolicoTI NOMINOIn virtù delle mie facoltà ordinarie PARROCOdella suddetta parrocchia di Santa Maria in Trivio in Velletri e dell’annesso territorio, a norma dei canoni 519-523 del Codice di Diritto Canonico, con dispensa dalla presa di possesso a norma del canone 527 §2.

La nomina a parroco è eseguita “ad tempus”, secondo le disposizioni approvate dalla Conferenza Episcopale Italiana, fissando il tempo nella misura di 9 anni,trascorsi i quali l’ufficio del Parroco continuerà tuttavia “ad nutum Episcopi”.

A tale scopo, ti sono concesse tutte le facoltà necessarie per l’amministrazione dei Sacramenti, per la predicazione della Parola di Dio e per lo svolgimento ditutte le attività parrocchiali, mentre si fa obbligo a tutti i fedeli della suddetta parrocchia di riconoscerti e di rispettarti come Pastore.Sarà tua cura coordinare con le altre parrocchie che ti sono affidate le celebrazioni dell’Eucarestia e degli altri Sacramenti, organizzare gli itinerari dell’IniziazioneCristiana per i fanciulli e i ragazzi e la preparazione al Matrimonio, promuovere l’attività caritativa , tendere all’integrazione dei Consigli Pastorali, custodire iRegistri parrocchiali, oltre che essere responsabile dell’amministrazione e della gestione economica della parrocchia.

L’opera che ti attende è sicuramente impegnativa, ma essa è volta a creare comunione e dalla comunione presbiterale potrà essere sostenuta.La presente nomina decorre da Domenica 5 ottobre 2014. Ti assista nelle fatiche pastorali la protezione e l’intercessione di Santa Maria delle Grazie, di San Clemente e dei Santi Patroni della Diocesi e delle tue nuoveParrocchie e ti benedica il Signore.

Velletri, 23.09.2014 + Vincenzo Apicella, vescovo

4242 OttobreOttobre20142014

Prot. VSCA 38/2014

Al Reverendo Don Roberto MARIANI del Clero diocesano di Velletri-Segni Salute nel SignoreLa parrocchia arcipretura del SS.mo Salvatore in Velletri si è resa vacante per le dimissioni presentate dal parroco, il Rev.mo Mons. Paolo PICCA, a norma delcan. 538 §3.Avendo intenzione di proseguire nel realizzare il progetto da lungo tempo elaborato per il rinnovamento diocesano, al fine di creare le condizioni per una pasto-rale più organica e più adeguata alle nuove esigenze del centro storico di Velletri, con viva gratitudine per la tua disponibilità e fiducioso nel tuo zelo apostolicoTI NOMINO In virtù delle mie facoltà ordinarie PARROCOdella suddetta parrocchia del SS.mo Salvatore in Velletri e dell’annesso territorio, a norma dei canoni 519-523 del Codice di Diritto Canonico, con dispensa dalla presa di possesso a norma del canone 527 §2.La nomina a parroco è eseguita “ad tempus”, secondo le disposizioni approvate dalla Conferenza Episcopale Italiana, fissando il tempo nella misura di 9 anni,trascorsi i quali l’ufficio del Parroco continuerà tuttavia “ad nutum Episcopi”.A tale scopo, ti sono concesse tutte le facoltà necessarie per l’amministrazione dei Sacramenti, per la predicazione della Parola di Dio e per lo svolgimento ditutte le attività parrocchiali, mentre si fa obbligo a tutti i fedeli della suddetta parrocchia di riconoscerti e di rispettarti come Pastore.Sarà tua cura coordinare con le altre parrocchie che ti sono affidate le celebrazioni dell’Eucarestia e degli altri Sacramenti, organizzare gli itinerari dell’IniziazioneCristiana per i fanciulli e i ragazzi e la preparazione al Matrimonio, promuovere l’attività caritativa , tendere all’integrazione dei Consigli Pastorali, custodire iRegistri parrocchiali, oltre che essere responsabile dell’amministrazione e della gestione economica della parrocchia.L’opera che ti attende è sicuramente impegnativa, ma essa è volta a creare comunione e dalla comunione presbiterale potrà essere sostenuta.La presente nomina decorre da Domenica 5 ottobre 2014.Ti assista nelle fatiche pastorali la protezione del SS.mo Salvatore per l’intercessione di Santa Maria delle Grazie, di San Clemente e dei Santi Patroni dellaDiocesi e delle tue nuove Parrocchie.Velletri,23.09.2014 + Vincenzo Apicella, vescovo

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Al Reverendo Don Roberto MARIANI del Clero diocesano di Velletri-Segni Salute nel Signore

La parrocchia di San Michele Arcangelo in Velletri si è resa vacante per le dimissioni presentate dal parroco, il Rev.mo Mons. Paolo PICCA, a norma del can.538 §3.Avendo intenzione di proseguire nel realizzare il progetto da lungo tempo elaborato per il rinnovamento diocesano, al fine di creare le condizioni per una pasto-rale più organica e più adeguata alle nuove esigenze del centro storico di Velletri, con viva gratitudine per la tua disponibilità e fiducioso nel tuo zelo apostolicoTI NOMINO In virtù delle mie facoltà ordinarie PARROCOdella suddetta parrocchia di San Michele Arcangelo in Velletrie dell’annesso territorio, a norma dei canoni 519-523 del Codice di Diritto Canonico, con dispensa dalla presa di possesso a norma del canone 527 §2.La nomina a parroco è eseguita “ad tempus”, secondo le disposizioni approvate dalla Conferenza Episcopale Italiana, fissando il tempo nella misura di 9 anni,trascorsi i quali l’ufficio del Parroco continuerà tuttavia “ad nutum Episcopi”.A tale scopo, ti sono concesse tutte le facoltà necessarie per l’amministrazione dei Sacramenti, per la predicazione della Parola di Dio e per lo svolgimento ditutte le attività parrocchiali, mentre si fa obbligo a tutti i fedeli della suddetta parrocchia di riconoscerti e di rispettarti come Pastore.Sarà tua cura coordinare con le altre parrocchie che ti sono affidate le celebrazioni dell’Eucarestia e degli altri Sacramenti, organizzare gli itinerari dell’IniziazioneCristiana per i fanciulli e i ragazzi e la preparazione al Matrimonio, promuovere l’attività caritativa , tendere all’integrazione dei Consigli Pastorali, custodire iRegistri parrocchiali, oltre che essere responsabile dell’amministrazione e della gestione economica della parrocchia, fino ad oggi tenuta dal Rev.do don GaetanoZARALLI.L’opera che ti attende è sicuramente impegnativa, ma essa è volta a creare comunione e dalla comunione presbiterale potrà essere sostenuta.La presente nomina decorre da Domenica 5 ottobre 2014.Ti assista nelle fatiche pastorali la protezione e l’intercessione di Santa Maria delle Grazie, di San Clemente e dei Santi Patroni della Diocesi e delle tue nuoveParrocchie e ti benedica il Signore.Velletri, 23.09.2014 + Vincenzo Apicella, vescovo———————————————————————————————————————Prot. VSCA 40/2014

Al Reverendo Don Roberto MARIANI del Clero diocesano di Velletri-Segni Salute nel Signore

La parrocchia di Santa Lucia V.M. in Velletri si è resa vacante per le dimissioni presentate dal parroco, il Rev.mo Mons. Paolo PICCA, a norma del can. 538 §3.Avendo intenzione di proseguire nel realizzare il progetto da lungo tempo elaborato per il rinnovamento diocesano, al fine di creare le condizioni per una pasto-rale più organica e più adeguata alle nuove esigenze del centro storico di Velletri, con viva gratitudine per la tua disponibilità e fiducioso nel tuo zelo apostolicoTI NOMINO In virtù delle mie facoltà ordinarie PARROCOdella suddetta parrocchia di Santa Lucia V.M. in Velletrie dell’annesso territorio, a norma dei canoni 519-523 del Codice di Diritto Canonico, con dispensa dalla presa di possesso a norma del canone 527 §2.La nomina a parroco è eseguita “ad tempus”, secondo le disposizioni approvate dalla Conferenza Episcopale Italiana, fissando il tempo nella misura di 9 anni,trascorsi i quali l’ufficio del Parroco continuerà tuttavia “ad nutum Episcopi”.A tale scopo, ti sono concesse tutte le facoltà necessarie per l’amministrazione dei Sacramenti, per la predicazione della Parola di Dio e per lo svolgimento ditutte le attività parrocchiali, mentre si fa obbligo a tutti i fedeli della suddetta parrocchia di riconoscerti e di rispettarti come Pastore.Sarà tua cura coordinare con le altre parrocchie che ti sono affidate le celebrazioni dell’Eucarestia e degli altri Sacramenti, organizzare gli itinerari dell’IniziazioneCristiana per i fanciulli e i ragazzi e la preparazione al Matrimonio, promuovere l’attività caritativa , tendere all’integrazione dei Consigli Pastorali, custodire iRegistri parrocchiali, oltre che essere responsabile dell’amministrazione e della gestione economica della parrocchia, fino ad oggi tenuta dal Rev.mo Mons. EugenioGABRIELLI.L’opera che ti attende è sicuramente impegnativa, ma essa è volta a creare comunione e dalla comunione presbiterale potrà essere sostenuta.La presente nomina decorre da Domenica 5 ottobre 2014.Ti assista nelle fatiche pastorali la protezione e l’intercessione di Santa Maria delle Grazie, di San Clemente e dei Santi Patroni della Diocesi e delle tue nuoveParrocchie e ti benedica il Signore.Velletri, 23.09.2014 + Vincenzo Apicella, vescovo

4343OttobreOttobre20142014

Prot. VSCA 41/2014

Al Reverendo Don Roberto MARIANI del Clero diocesano di Velletri-Segni Salute nel Signore

La parrocchia della Madonna del Rosario in Velletri si è resa vacante per la dolorosa e repentina scomparsa del compianto parroco don Antonio CARUGHI.Avendo intenzione di proseguire nel realizzare il progetto da lungo tempo elaborato per il rinnovamento diocesano, al fine di creare le condizioni per una pasto-rale più organica e più adeguata alle nuove esigenze del centro storico di Velletri, con viva gratitudine per la tua disponibilità e fiducioso nel tuo zelo apostolicoTI NOMINO In virtù delle mie facoltà ordinarie AMMINISTRATORE PARROCCHIALEdella suddetta parrocchia della Madonna del Rosario in Velletrie dell’annesso territorio, a norma dei canoni 539-540 del Codice di Diritto Canonico.

Ti sono concesse tutte le facoltà necessarie per l’amministrazione dei Sacramenti, per la predicazione della Parola di Dio e per lo svolgimento di tutte le attivi-tà parrocchiali, mentre si fa obbligo a tutti i fedeli della suddetta parrocchia di riconoscerti e di rispettarti come Pastore.Sarà tua cura coordinare con le altre parrocchie che ti sono affidate le celebrazioni dell’Eucarestia e degli altri Sacramenti, organizzare gli itinerari dell’IniziazioneCristiana per i fanciulli e i ragazzi e la preparazione al Matrimonio, promuovere l’attività caritativa , tendere all’integrazione dei Consigli Pastorali, custodire iRegistri parrocchiali, oltre che essere responsabile dell’amministrazione e della gestione economica della parrocchia.L’opera che ti attende è sicuramente impegnativa, ma essa è volta a creare comunione e dalla comunione presbiterale potrà essere sostenuta.La presente nomina decorre da Domenica 5 ottobre 2014.Ti assista nelle fatiche pastorali la protezione e l’intercessione di Santa Maria delle Grazie, di San Clemente e dei Santi Patroni della Diocesi e delle tue nuoveParrocchie e ti benedica il Signore.

Velletri, 23.09.2014 + Vincenzo Apicella, vescovo

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Prot. VSCA 42/2014

Al Reverendo Don Marco NEMESI del Clero diocesano di Velletri-Segni Salute nel Signore

La parrocchia della Basilica Cattedrale di San Clemente I, P.M. si è resa vacante per il trasferimento ad altro incarico del Rev.do Don Roberto MARIANI.Pertanto, con viva gratitudine per la tua disponibilità e fiducioso nel tuo zelo apostolico,TI NOMINO In virtù delle mie facoltà ordinarie PARROCOdella suddetta parrocchia della Basilica Cattedrale di San Clemente I, P.M.e dell’annesso territorio, a norma dei canoni 519-523 del Codice di Diritto Canonico, con dispensa dalla presa di possesso a norma del canone 527 §2.La nomina a parroco è eseguita “ad tempus”, secondo le disposizioni approvate dalla Conferenza Episcopale Italiana, fissando il tempo nella misura di 9 anni,trascorsi i quali l’ufficio del Parroco continuerà tuttavia “ad nutum Episcopi”.A tale scopo, ti sono concesse tutte le facoltà necessarie per l’amministrazione dei Sacramenti, per la predicazione della Parola di Dio e per lo svolgimento ditutte le attività parrocchiali, mentre si fa obbligo a tutti i fedeli della suddetta parrocchia di riconoscerti e di rispettarti come Pastore.L’opera che ti attende è sicuramente impegnativa, ma essa è volta a creare comunione e dalla comunione presbiterale potrà essere sostenuta.La presente nomina decorre da Domenica 5 ottobre 2014.Ti assista nelle fatiche pastorali la protezione e l’intercessione di Santa Maria delle Grazie, di San Clemente e dei Santi Patroni della Diocesi e ti benedica ilSignore.

Velletri, 23 .09.2014 + Vincenzo Apicella, vescovo

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Prot. VSCA 43/2014

Al Reverendissimo Monsignore Cesare CHIALASTRI del Clero diocesano di Velletri-Segni Salute nel Signore

La parrocchia di San Giovanni Battista in Velletri si è resa vacante per il trasferimento ad altro incarico del parroco, il Rev.do Don Marco NEMESI.Non potendo disporre al momento attuale di un sacerdote necessario ad assumere questo incarico, con viva gratitudine per la tua disponibilità e fiducioso neltuo zelo apostolicoTI NOMINO In virtù delle mie facoltà ordinarie AMMINISTRATORE PARROCCHIALEdella suddetta parrocchia di San Giovanni Battista in Velletrie dell’annesso territorio, a norma dei canoni 539-540 del Codice di Diritto Canonico.

Ti sono concesse tutte le facoltà necessarie per l’amministrazione dei Sacramenti, per la predicazione della Parola di Dio e per lo svolgimento di tutte le attivi-tà parrocchiali, mentre si fa obbligo a tutti i fedeli della suddetta parrocchia di riconoscerti e di rispettarti come Pastore.L’opera che ti attende è sicuramente gravosa, tenendo conto degli incarichi di Vicario Generale e Direttore della Caritas diocesana che continui ad esercitare,ma essa è volta a creare comunione e dalla comunione presbiterale potrà essere sostenuta.La presente nomina decorre da Domenica 5 ottobre 2014.

Ti assista nelle fatiche pastorali la protezione e l’intercessione di Santa Maria delle Grazie, di San Clemente e dei Santi Patroni della Diocesi e di San GiovanniBattista e ti benedica il Signore.

Velletri, 23.09.2014 + Vincenzo Apicella, vescovo

Mons. Angelo ManciniCancelliere Vescovile