Anne McCaffrey - Il Drago Bianco

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ANNE McCAFFREY IL DRAGO BIANCO (The White Dragon, 1978) Questo libro è irreverentemente dedicato ai miei fratelli HUGH e KEVIN per le nostre rivalità giovanili, e per l'affetto e la piena dedizione che nascono dagli scontri di gioventù INTRODUZIONE Come per molti altri autori dalla produzione non vastissima ma dignito- sa, anche per Anne McCaffrey la notorietà, la fama addirittura, è legata ad un particolare soggetto, argomento o ciclo. Nonostante abbia pubblica- to altri romanzi interessanti la scrittrice irlandese rimane e rimarrà «quel- la dei draghi». Sono ormai trascorsi oltre dieci anni da quando John Campbell ospitò su Analog dell'aprile 1967 una novelette intitolata Weyr Search, firmata da un nome non autorevole né molto popolare. Da allora la serie dei «Dragonieri di Pern» ha recato ad Anne McCaffrey autorevo- lezza tra gli scrittori specializzati e popolarità presso gli appassionati di fantascienza. Con quel romanzo breve vinse un Hugo nel 1968; l'anno dopo venne assegnato un Nebula al seguito della vicenda, l'altro romanzo breve Dragonrider, pubblicato sempre da Analog (i due titoli, più un terzo episodio conclusivo scritto appositamente, formarono il volume Dragon- flight, primo della trilogia dei «Dragonieri»). Il secondo libro del ciclo, Dragonquest, entrò poi in finale nello Hugo del 1971. Da allora sono passati sette anni: Anne McCaffrey si è forse dimentica- ta del pianeta Pern, della Stella Rossa, dei Dragonieri? Neanche per idea: già nel 1975 appariva in edizione limitata presso la NESFA, una piccola casa editrice amatoriale, il volumetto A Time When, breve continuazione di Dragonquest. Quindi facevano seguito Dragonsong e Dragonsinger ri- spettivamente nel 1976 e 1977: storie «laterali» del ciclo principale aventi come protagonista una bimba appartenente alla Corporazione degli Arpi- sti. Infine nel 1978 ha visto la luce The White Dragon, un ponderoso volu- me rilegato che comprende l'episodio intitolato A Time When, e si colloca

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ANNE McCAFFREY IL DRAGO BIANCO

(The White Dragon, 1978)

Questo libro è irreverentemente dedicato ai miei fratelli

HUGH e KEVIN per le nostre rivalità giovanili, e per l'affetto e la piena dedizione

che nascono dagli scontri di gioventù

INTRODUZIONE Come per molti altri autori dalla produzione non vastissima ma dignito-

sa, anche per Anne McCaffrey la notorietà, la fama addirittura, è legata ad un particolare soggetto, argomento o ciclo. Nonostante abbia pubblica-to altri romanzi interessanti la scrittrice irlandese rimane e rimarrà «quel-la dei draghi». Sono ormai trascorsi oltre dieci anni da quando John Campbell ospitò su Analog dell'aprile 1967 una novelette intitolata Weyr Search, firmata da un nome non autorevole né molto popolare. Da allora la serie dei «Dragonieri di Pern» ha recato ad Anne McCaffrey autorevo-lezza tra gli scrittori specializzati e popolarità presso gli appassionati di fantascienza. Con quel romanzo breve vinse un Hugo nel 1968; l'anno dopo venne assegnato un Nebula al seguito della vicenda, l'altro romanzo breve Dragonrider, pubblicato sempre da Analog (i due titoli, più un terzo episodio conclusivo scritto appositamente, formarono il volume Dragon-flight, primo della trilogia dei «Dragonieri»). Il secondo libro del ciclo, Dragonquest, entrò poi in finale nello Hugo del 1971.

Da allora sono passati sette anni: Anne McCaffrey si è forse dimentica-ta del pianeta Pern, della Stella Rossa, dei Dragonieri? Neanche per idea: già nel 1975 appariva in edizione limitata presso la NESFA, una piccola casa editrice amatoriale, il volumetto A Time When, breve continuazione di Dragonquest. Quindi facevano seguito Dragonsong e Dragonsinger ri-spettivamente nel 1976 e 1977: storie «laterali» del ciclo principale aventi come protagonista una bimba appartenente alla Corporazione degli Arpi-sti.

Infine nel 1978 ha visto la luce The White Dragon, un ponderoso volu-me rilegato che comprende l'episodio intitolato A Time When, e si colloca

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come terzo momento del ciclo principale. Il romanzo, a dimostrazione del sempre vivissimo interesse dei lettori per questa singolare e originale saga di science fantasy è rimasto per sette mesi di seguito (dal maggio al di-cembre 1978) in testa alla classifica dei libri hardcover di fantascienza più venduti in America ed ha vinto il Premio Gandalf per il miglior romanzo di fantasy alla XXXVII World Science Fiction Convention svoltasi a Bri-ghton in Inghilterra il 23-27 agosto 1979.

Tutto questo non vorrebbe dire proprio nulla: le alte vendite e/o i premi letterari, come ben si sa non garantiscono certo il livello qualitativo della narrativa contemporanea, fantascientifica o meno. A nostro modesto (ben-ché interessato) giudizio tuttavia The White Dragon è il migliore dei tre libri dedicati sino a questo momento ai «Dragonieri di Pern,» uno del romanzi più «letterariamente» completi da noi pubblicati dal 1972 ad og-gi, la prova più convincente offerta dalla McCaffrey che si rivela appieno, se ve ne fosse ancora bisogno, come narratrice autentica.

Non ci sono dubbi che già nel 1971, all'uscita di Dragonquest, la scrit-trice avesse pensato ad un seguito: troppe situazioni nuove erano state avviate, troppi spunti erano stati offerti al lettore, e ognuno di essi aspet-tava una spiegazione o una conclusione. The White Dragon ospita dunque lo sviluppo e le logiche conseguenze di tutte le premesse poste negli episo-di precedenti. In primo luogo, come è ovvio, la vicenda di Ruth il drago bianco e quella di Jaxom, nella sua anomala posizione di Signore della Fortezza di Ruatha e allo stesso tempo di dragoniere: il che rappresenta un contrasto inconciliabile nell'ordine costituito della società pernese. Viene sviluppata anche la tesi della non desiderabilità di una cultura spe-cializzata e chiusa in una serie di singole Arti indipendenti, affrontando il problema del suo superamento in favore di una cultura più aperta Infine, premessa implicita del secondo volume era quella dello sviluppo, in ogni senso, della civiltà, umana su Pern. Come risolvere le difficoltà poste dal-l'inevitabile aumento della popolazione? Verrebbe logico pensare alla colonizzazione del Continente Meridionale: ma lì si erano già insediati gli Antichi. E allora?

Di tutto questo si parla nel terzo romanzo del ciclo. Di questo e di altro, molto altro ancora. La sua lunghezza (una volta impiantata definitivamen-te l'idea fantastica di Pern e dei suoi abitanti e scomparsa la necessità di limitare lo spazio per consentirne la pubblicazione su rivista) consente ad Anne McCaffrey di diffondersi piacevolmente su diversi punti in preceden-za solo accennati o dati per scontati. Ad esempio, l'idea delle lucertole di

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fuoco ed il rapporto empatico drago-essere umano. Le lontane «cugine dei draghi» che nel secondo volume del ciclo potevano sembrare soltanto una gustosa trovatina, diventano nel terzo uno degli elementi fondamentali della vicenda, sia per la loro onnipresenza durante gli avvenimenti, sia per la scoperta di alcune loro qualità inaspettate. Il contrappunto che le lucertole fanno alle vicende riecheggiando emotivamente e fisicamente i sentimenti dei loro padroni, è senza dubbio una delle invenzioni più felici della McCaffrey, e raggiunge effetti estremamente gradevoli, specie quan-do si inserisce anche la personalità di Ruth.

Il drago bianco, anche lui con caratteristiche del tutto inedite, è un altro degli elementi essenziali del romanzo. In Ruth rivive la celebre fiaba del «brutto anatroccolo», prima disprezzato e poi esaltato. Nel piccolo drago senza colore (ma, dice N'ton, «si direbbe che abbia tutti i colori dei dra-ghi, anziché non averne nessuno») si assommano pregi che gli altri anima-li non hanno. Ad esempio, una personalità più viva e spiccata, anche ri-spetto ai grandi bronzei di Rem. I suoi colloqui mentali con il giovane ca-valiere Jaxom sono più frequenti e complessi e - sovente - più arguti, e rivelano il possesso da parte del drago di una ben specifica «ideologia»: quella del dovere da compiere, costì quello che costi («perché dare spie-gazioni? Noi abbiamo fatto quello che dovevamo», dice ad un certo punto al suo angosciato e perplesso cavaliere).

Tramite il rapporto fra Ruth e Jaxom, inoltre, l'autrice affronta ampia-mente - come s'è accennato - il fenomeno del l'empatia esistente fra drago ed essere umano. Se si guarda in retrospettiva, infatti, si noterà come An-ne McCaffrey abbia in precedenza soltanto spiegato sommariamente il concetto, dandolo spesso per scontato. In The White Dragon lo approfon-disce, entrando in un campo delicato: il rapporto fra la psicologia aliena e quella umana. Ciò le permette di affrontare anche un altro argomento chiave per la struttura sociale di Pern: quello del rapporto sessuale fra i draghi, che coinvolge in pratica direttamente anche gli umani. L'empatia mentale è un rapporto reciproco, ed ha conseguenze importanti, qualche volta disastrose.

Il pericolo dei cicli, delle storie a continuazione che proseguono per più romanzi, è quello di diventare ripetitivi, di non portare elementi nuovi, ed infine di annoiare. Con notevole intelligenza, Anne McCaffrey ha evitato l'ostacolo impostando la sua terza opera della serie su un personaggio comprimario del secondo volume, Jaxom, che in The White Dragon diven-ta il vero protagonista insieme con il suo drago Ruth: intorno ad essi, pra-

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ticamente, ruota l'intera trama ed essi sono, sia direttamente, che indiret-tamente, causa e tramite di quasi tutti gli avvenimenti. Inoltre, la scrittrice ha avuto il coraggio non solo di porre almeno parzialmente in secondo piano i protagonisti dei primi due volumi, F'lar e Lessa, ma addirittura di metterli in una luce non del tutto positiva o comunque simpatica, a causa delle loro prese di posizione. Primeggia invece ancora la figura di Robin-ton, il Maestro Arpista, che già in Dragonquest muoveva le fila degli avve-nimenti da dietro le quinte.

La bellezza di questo terzo romanzo risiede comunque - almeno per noi - nell'argomento di fondo, che è l'adolescenza di Jaxom ed il suo trasfor-marsi da ragazzo a uomo, da pupillo a rappresentante del Sangue di Rua-tha, da sottoposto al Reggente Lytol a Signore della propria Fortezza. È una maturazione che avviene a poco a poco, nel fisico come nel carattere e nella personalità, ed è segnata dal sorgere alla coscienza di determinati valori, nel tentativo di seguire il consiglio del suo tutore: «Pensa obietti-vamente. Non puoi governare gli altri fino a quando non avrai imparato a controllare te stesso e ad avere una visione più ampia». Così, poco alla volta, il mondo della giovinezza (o meglio, il mondo visto con gli occhi della giovinezza) trascolora sino a scomparire per essere sostituito da quello degli adulti, con i relativi problemi e responsabilità.

Sono forse le pagine migliori di Anne McCaffrey, quelle in cui la scrit-trice riesce a dare un maggiore accento di verità e verisomiglianza alla società di Pern e al «piccolo mondo» dei suoi protagonisti. In questo è aiutata da uno stile quanto mai fluido e piacevole, e da un tentativo di «coralità» della vicenda abbastanza riuscito. Coralità nel senso di muove-re contemporaneamente sulla scena più personaggi (umani e no), di pro-porre più stati d'animo, d'impostare più problemi.

Una volta, Poul Anderson scrisse che per dare l'impressione di «vissu-to» alle sue descrizioni vi coinvolgeva più «sensi» alla volta, mai comun-que meno di due. La McCaffrey cerca invece di coinvolgere - specie nei fitti dialoghi - i riferimenti a più di un personaggio, descrivendo le diverse reazioni che in ciascuno provocano simultaneamente le stesse parole. Na-turalmente, non si tratta solo di personaggi umani. Draghi e lucertole di fuoco, come s'è già accennato, funzionano quali casse di risonanza dei sentimenti, rendendoli più «potenti». I dialoghi diventano allora delle vere antologie di sensazioni multiple.

Si concluderà il ciclo dei «Dragonieri di Pern»? Forse nemmeno l'au-trice lo sa con esattezza. Comunque, The White Dragon contiene un nume-

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ro sufficiente di presupposti su cui impiantare un eventuale quarto volume della serie: l'esplorazione del Continente Meridionale, il disseppellimento delle vestigia dei progenitori umani di tutto Pern, il tentativo di raggiun-gere le Sorelle dell'Alba, la possibilità di distruggere i Pili direttamente sulla Stella Rossa (come ipotizza lo stesso F'lar, nonostante lo smacco subito in Dragonquest). È impossibile dire se Anne McCaffrey deciderà di sviluppare simili premesse: ma, dopo il successo del ciclo, e soprattutto di questo suo terzo romanzo, ci sembra altamente probabile.

Il volume è completato da un «Draghindice» dei tre romanzi compilato da Wendy Glasser, utilissimo per districarsi dalla complessa rete di istitu-zioni della società pernese e tra gli innumerevoli personaggi (da parte nostra abbiamo inserito per comodità del lettore, un certo numero di rife-rimenti ad avvenimenti esposti e spiegati nei primi due tomi della serie e qui dati per scontati). I due disegni inseriti, sono infine opera di illustrato-ri italiani: Marco Gordini, che ci dà una immagine simbolica del ciclo; e Mauro Marchesani che ha elaborato una mappa di Pern, certo la più det-tagliata di quante sono state eseguite sino ad ora.

G.d.T. - S.F.

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PREMESSA Rukbat, nel Settore del Sagittario, era un'aurea stella della classe G. A-

veva cinque pianeti, due fasce di asteroidi ed un mondo anomalo, che ave-va attirato e trattenuto in quegli ultimi millenni. Quando gli uomini aveva-no colonizzato il terzo pianeta di Rukbat chiamandolo Pern, avevano fatto poco caso allo strano mondo che ruotava intorno al primario adottivo in un'irregolare orbita ellittica. Per due generazioni, i coloni prestarono scarsa attenzione alla fulgida Stella Rossa... fino a quando il percorso del vaga-bondo lo portò vicino al fratellastro, al perielio. Quando tali aspetti astro-nomici erano normali, non alterati da congiunzioni con altri pianeti del sistema, la forma di vita indigena del mondo vagante cercava di attraversa-re il varco tra la sua patria e l'altro pianeta, più temperato e ospitale. In quelle occasioni, i Fili argentei cadevano dai cieli di Pern, distruggendo tutto ciò che toccavano. Le perdite subite inizialmente dai coloni furono tremende. Di conseguenza, durante la successiva lotta per sopravvivere e combattere la minaccia, i tenui contatti fra Pern e il pianeta patrio si spez-zarono.

Per domare le incursioni dei temutissimi Fili - poiché i Pernesi avevano smantellato le loro navi da trasporto sin dai primi tempi, e avevano rinun-ciato alla tecnologia, che aveva poca importanza su quel pianeta pastorale - gli uomini più decisi intrapresero un'iniziativa a lungo termine. La prima fase comportò l'allevamento di esseri indigeni di quel mondo, estremamen-te specializzati. Uomini e donne dotati di elevato livello di empatia e di una certa innata facoltà telepatica vennero addestrati ad usare ed a preser-vare quegli insoliti animali. I draghi - così chiamati in ricordo della mitica bestia terrestre cui somigliavano - avevano due caratteristiche preziose: potevano trasferirsi da un luogo all'altro istantaneamente e, dopo aver ma-sticato pietre sature di fosfina, emettevano un gas fiammeggiante. Poiché i draghi volavano, potevano carbonizzare i Fili a mezz'aria, e sottrarsi alle devastazioni che quelli causavano.

Occorsero parecchie generazioni per sviluppare al massimo le capacità potenziali dei draghi. La seconda fase della progettata difesa contro le mortali incursioni avrebbe richiesto un tempo ancora più lungo. Infatti i Fili, spore fungoidi che attraversavano lo spazio, con insensata voracia divoravano tutta la materia organica e, una volta giunti al suolo, vi si sep-pellì vano e proliferavano con terrificante rapidità. Perciò venne realizzato un simbiote dello stesso ceppo per combattere il parassita, e la larva risul-

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tante fu introdotta nel terreno del Continente Meridionale. Il piano origina-le stabiliva che i draghi avrebbero costituito la protezione visibile, incene-rendo i Fili finché erano in aria, e difendendo le abitazioni e il bestiame dei coloni. La larva-simbionte avrebbe protetto la vegetazione divorando i Fili che riuscivano a sfuggire al fuoco dei draghi.

Gli ideatori della difesa in due fasi non avevano tenuto conto dei cam-biamenti né della realtà geologica. Il Continente Meridionale, in apparenza più. ameno della più aspra terra settentrionale, risultò instabile, e l'intera colonia fu costretta a trasferirsi al Nord, per cercare scampo dai Fili nelle grotte naturali delle masse rocciose che costituivano lo scudo continentale.

La prima colonia, Fort, costruita sulle pendici orientali della Grande Ca-tena Occidentale, divenne ben presto troppo piccola per ospitare tutti gli abitanti. Un altro insediamento fu creato un po' più a Nord, in riva a un grande lago, accanto ad una parete piena di caverne. Ma la Fortezza di Ruatha, come veniva chiamato quell'insediamento, divenne sovraffollata in poche generazioni.

Poiché la Stella Rossa sorgeva ad Est, gli abitanti di Pern decisero di creare una fortificazione nelle montagne orientali, se si fossero trovate caverne adatte. Soltanto la roccia e il metallo, che sfortunatamente erano poco frequenti su Pern, erano inattaccabili per i Fili brucianti.

I draghi, alati, caudati e alitanti fuoco, avevano nel frattempo raggiunto dimensioni che richiedevano sistemazioni più spaziose di quelle offerte dalle fortezze ricavate nei fianchi degli strapiombi. Ma gli antichi coni dei vulcani spenti, crivellati di grotte, uno sopra la prima Fortezza, l'altro tra i monti di Benden, erano adatti, e richiedevano solo poche migliorie per diventare abitabili. Tuttavia, quei progetti consumarono l'ultimo combusti-bile per le grandi macchine tagliapietre, che erano state programmate per le normali attività minerarie e non per svuotare intere montagne. Le For-tezze ed i Weyr creati in seguito dovettero essere scavati a mano.

I draghi e i loro cavalieri, lassù tra le vette, e il popolo comune nelle for-tezze-grotte, svolgevano i loro compiti differenziati; e gli uni e gli altri assunsero abitudini che divennero consuetudini e che poi si consolidarono in tradizioni incontrovertibili come leggi.

Venne poi un periodo di duecento Giri del pianeta Pern intorno al suo primario, durante il quale la Stella Rossa si trovò dall'altra parte della sua orbita irregolare, gelida prigioniera della solitudine. Nessun Filo cadde su Pern. Gli abitanti eliminarono i segni delle devastazioni e coltivarono ce-reali, piantarono frutteti con i semi preziosi che avevano portato con loro,

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provvidero a rimboschire le pendici spogliate dai Fili. Giunsero persino a dimenticare di aver corso in passato un grave pericolo di estinzione. Poi i Fili ripresero a cadere, quando il pianeta vagabondo tornò a passare intor-no a Pern, portando cinquant'anni di attacchi dal cielo. Ancora una volta i pernesi ringraziarono i loro lontani antenati che avevano fornito i draghi, capaci di annientare a mezz'aria i Fili con l'alito fiammeggiante.

Anche i draghi avevano prosperato durante quell'intervallo, e si erano insediati in altre quattro località, secondo il piano generale di difesa.

Il significato dell'emisfero meridionale - e delle larve - era stato dimenti-cato nella lotta immediata per creare i nuovi insediamenti. Il ricordo della terra sbiadì ancora di più nella storia di Pern ad ogni nuova generazione, fino a quando la memoria della lontana origine degenerò nella leggenda o nel mito e svanì nell'oblio.

Al tempo del Terzo Passaggio della Stella Rossa, si era creata una com-plessa struttura sociopolitico-economica per fronteggiare quel disastro ri-corrente. I sei Weyr, come venivano chiamate le sedi vulcaniche dei dra-ghi, erano impegnati a proteggere Pern: ogni Weyr teneva letteralmente sotto le sue ali un settore geografico del Continente Settentrionale. Il resto della popolazione accettava di pagare dècime per mantenere i Weyr, poi-ché i combattenti, i cavalieri dei draghi, non avevano terre coltivabili nelle loro sedi vulcaniche. Non potevano sottrarre tempo all'allevamento dei loro draghi per apprendere altri mestieri, nei periodi di pace, e tanto meno potevano sottraine alla difesa del pianeta durante i Passaggi.

Altri insediamenti, chiamati Fortezze, sorsero dovunque si trovavano caverne naturali... alcune, naturalmente, più ampie e piazzate in posizioni strategiche migliori delle altre. Era necessario un uomo molto energico per tenere in pugno la gente terrorizzata durante gli attacchi dei Fili; era neces-saria una saggia amministrazione per conservare i viveri quando non era possibile coltivare i campi, e occorrevano misure eccezionali per controlla-re la popolazione e mantenerla produttiva e sana fino al momento in cui la minaccia cessava.

Gli uomini specializzati nella lavorazione dei metalli, la tessitura, l'alle-vamento, l'agricoltura, la pesca, lo sfruttamento delle miniere, formavano Corporazioni in tutte le grandi Fortezze e dipendevano dalla Sede Centrale del Maestro, dove venivano insegnati i precetti delle arti e i segreti dei mestieri venivano conservati e custoditi di generazione in generazione. Un Signore di una Fortezza non poteva negare ad altri i prodotti della Sede dell'Arte situata nel suo territorio, poiché le Arti erano considerate indi-

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pendenti da ogni affiliazione alle Fortezze. Ogni Maestro di una Sede do-veva fedeltà solo al suo Gran Maestro... una carica elettiva assegnata in base all'efficienza e alla capacità amministrativa. Il Gran Maestro era re-sponsabile della produzione delle sue Sedi e della distribuzione, equa e imparziale, su base planetaria e non provinciale.

Ai vari Signori delle Fortezze e ai Maestri delle Arti spettavano certi di-ritti e privilegi; e naturalmente, altri spettavano ai dragonieri, da cui tutto Pern si attendeva protezione durante la Caduta dei Fili.

Talvolta, la congiunzione dei cinque pianeti naturali di Rukbat impediva alla Stella Rossa di passare così vicina a Pern da lanciare le sue terribili spore. Per i Pernesi, quelli erano i Lunghi Intervalli. Durante tali intervalli la popolazione, felice, prosperava e si moltiplicava, spargendosi sul territo-rio, scavando altre Fortezze nella roccia, nell'eventualità di un ritorno dei Fili. Ma i Pernesi si erano lasciati prendere dalle attività quotidiane al pun-to che preferivano credere che la Stella Rossa non rappresentasse più un pericolo.

Nessuno si rendeva conto che restavano pochi draghi per pattugliare i cieli, e che su Pern era rimasto un solo Weyr di dragonieri. Poiché la Stella Rossa non sarebbe tornata che dopo molto tempo - ammettendo che tor-nasse - perché preoccuparsi? Nel volgere di cinque generazioni i discen-denti degli eroici cavalieri dei draghi erano caduti in disgrazia; le leggende delle imprese passate e la ragione stessa della loro esistenza erano state dimenticate o disprezzate.

Il primo volume de «I dragonieri di Pern», Volo di drago, s'inizia quan-do la Stella Rossa, obbedendo alle leggi naturali, incominciò ad avvicinarsi a Pern, ammiccando con il minaccioso occhio rosso alla sua antica vittima. Un uomo solo, F'lar, cavaliere del drago bronzeo Mnementh, credeva nelle antiche leggende. Il suo fratellastro F'nor, cavaliere del drago marrone Canth, ascoltava le sue argomentazioni e gli credeva. Mentre l'ultimo uovo dorato d'una regina morente s'induriva sul Terreno della Schiusa del Weyr di Benden, F'lar e F'nor videro l'occasione propizia per assicurarsi il domi-nio del Weyr. Alla ricerca di una donna volitiva destinata a cavalcare la futura regina, F'lar e F'nor scoprirono Lessa, unica superstite del fiero San-gue della Fortezza di Ruatha. Lessa aveva impresso lo Schema dell'Ap-prendimento alla giovane Ramoth, la nuova regina, ed era divenuta Dama del Weyr di Benden. Poi il bronzeo Mnementh, il drago di F'lar, aveva accompagnato la giovane regina nel suo primo volo nuziale, e F'lar era divenuto Comandante del Weyr degli ultimi dragonieri di Pern.

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Poi i tre - Lessa, F'lar e F'nor - costrinsero i Signori delle Fortezze e gli Artigiani a riconoscere l'imminenza del pericolo e a preparare il pianeta quasi indifeso contro i Fili. Ma era dolorosamente evidente che i duecento draghi del Weyr di Benden non erano in grado di proteggere tutte le co-munità sparse per ogni dove. Nei tempi antichi erano stati necessari sei Weyr, quando il territorio abitato era assai più ridotto. Era stato addirittura compiuto un tentativo inutile di colonizzare il continente meridionale, or-mai semidimenticato. Ma non era servito a nulla.

Tuttavia, imparando a guidare la sua regina in mezzo, tra un luogo e l'al-tro, Lessa scoprì che i draghi potevano teletrasportarsi in mezzo anche nel tempo. Rischiando la vita e l'unico drago regina di Pern, Lessa e Ramoth tornarono indietro nel tempo di quattrocento Giri, prima della misteriosa scomparsa degli altri cinque Weyr, immediatamente dopo che si era com-piuto l'ultimo Passaggio della Stella Rossa. I cinque Weyr, che avevano come unica prospettiva il declino del loro prestigio e la noia dell'inattività dopo tutta un'esistenza di emozionanti combattimenti, accettarono di aiuta-re il Weyr di Lessa. Si spostarono avanti nel tempo, e salvarono Pern.

Il secondo volume de «I dragonieri di Pern,» La cerca del drago, ripren-de il racconto sette Giri più tardi, quando l'iniziale gratitudine ed il sollievo delle Fortezze e delle Arti erano ormai sbiaditi e inaciditi. Gli stessi Anti-chi non amavano quel Pern del futuro in cui ora si trovavano a vivere Quattrocento Giri avevano apportato troppi sottili cambiamenti. Gli Anti-chi, abituati ad una popolazione più grata e sottomessa, si trovavano in dissidio con i Signori delle Fortezze e le Sedi delle Arti... e soprattutto con il Weyr di Benden ed i suoi governanti troppo liberali.

La tensione tra le due fazioni esplose in un banale litigio che vide coin-volti F'nor e un Antico dragoniere di Fort. F'nor venne inviato nel Conti-nente Meridionale, da poco nuovamente colonizzato, per guarire della feri-ta ricevuta. Nel frattempo, F'lar affrontò l'Antico, T'ron del Weyr di Fort, in una riunione cui erano presenti tutti i Comandanti dei Weyr, tranne due. In quella riunione fu deciso ben poco, ma risultò evidente che gli Antichi non si assumevano le rispettive responsabilità come avrebbero dovuto. Le argomentazioni di F'lar indussero D'ram, Comandante del Weyr di Ista, e G'narish del Weyr di Igen, entrambi Antichi, a considerare con maggiore obiettività i loro contemporanei. I Fili avevano preso a cadere nei momenti più impensati e le tavole, scrupolosamente preparate da F'lar in base alle Antiche Cronache, avevano inspiegabilmente perduto la loro validità. A questo punto Robinton, il Maestro Arpista di Pern, e il Maestro Fabbro,

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Fandarel, si erano alleati con i Comandanti di Benden, nel tentativo di fronteggiare la nuova situazione di emergenza. Fandarel aveva realizzato uno strumento che sperava potesse servire a stabilire comunicazioni tra le Fortezze e le Sedi.

Intanto, nel Weyr Meridionale, F'nor venne curato dalla giovane compa-gna di una regina, Brekke; e casualmente scoprì che le lucertole di fuoco, un tempo credute leggende o fantasie, esistevano realmente, e alla Schiusa poteva venir loro impresso lo Schema dell'Apprendimento come i draghi, geneticamente loro cugini. Kylara, l'appassionata e insoddisfatta Dama del Weyr Meridionale, trovò una covata di uova di lucertole di fuoco, e le por-tò al Nobile Meron di Nabol, uno dei più turbolenti fra i Signori delle For-tezze.

Chiamato dal messaggio di F'nor che l'informava della scoperta delle lu-certole di fuoco, F'lar si recò al Weyr Meridionale, dove notò che T'bor, il giovane Comandante, aveva serie difficoltà con la sua Dama del Weyr, la sensuale Kylara. Quando i Fili cominciarono a cadere sul Continente Me-ridionale, F'lar partecipò alla battaglia. Osservando un bizzarro fenomeno nella fitta vegetazione, scoprì un bruco straordinariamente attivo nel terre-no, e ne portò diversi esemplari al Maestro Allevatore, Sograny, un uomo testardo per i quali i bruchi rappresentavano una maledizione. F'lar, ricor-dando ciò che aveva osservato, entrò in dissidio con costui e proseguì le indagini sui bruchi con l'aiuto di F'nor, ritornato al Weyr, e di N'ton, un giovane cavaliere di discendenza artigiana, compagno del bronzeo drago Lioth.

Ben presto il Nobile Lytol, tutore del giovanissimo Jaxom, il ragazzo cui Lessa aveva ceduto i suoi diritti sulla Fortezza di Ruatha, si recò in visita al Weyr di Benden e discusse la situazione con F'lar, Lessa, Robinton e Fandarel. Portò con sé Jaxom, poiché il ragazzo era amico di Felessan, l'unico figlio di F'lar e Lessa. Mentre gli adulti parlavano, i due ragazzi s'intrufolarono nei corridoi abbandonati del Weyr di Benden per andare a guardare le uova dell'ultima covata di Ramoth nel Terreno della Schiusa. Spaventati dall'inatteso ritorno della regina, i ragazzi si smarrirono nei corridoi bui, scoprendo inavvertitamente alcune camere dimenticate da molto tempo. Un gruppo di soccorritori trovò i ragazzi svenuti, e scoprì una quantità di strani oggetti, compreso uno strumento capace di ingrandi-re le cose più piccole, che divenne il più grande tesoro del Maestro Fabbro. F'lar propose di iniziare una ricerca nelle Fortezze e nei Weyr più antichi, nella speranza di trovare qualcosa d'interessante, per colmare le lacune

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della scienza perduta. Poco dopo, Kylara e il Nobile Meron si presentarono alla festa nuziale

del Nobile Asgenar e della sorella di Telgar alla Fortezza di Telgar, por-tando sulle braccia lucertole di fuoco e suscitando considerevole sensazio-ne. All'improvviso sopraggiunse un dragoniere, che turbò la festa di nozze con l'annuncio che i Fili, inspiegabilmente, stavano cadendo su Igen. F'lar chiese l'aiuto degli altri Comandanti dei Weyr, e T'ron scovò un pretesto per sfidare il Comandante di Benden a un duello da cui F'lar, sebbene feri-to, uscì vincitore, e bandì T'ron e tutti gli altri Antichi che non fossero di-sposti a riconoscergli il titolo di Comandante Supremo dei Weyr. I Signori delle Fortezze e i Maestri delle Arti sostennero F'lar; anche alcuni Antichi Comandanti dei Weyr, D'ram di Istia, G'narish di Igen e R'mart di Telgar, si schierarono al suo fianco. T'kul delle Terre Alte seguì T'ron in esilio con settanta altri Antichi e i relativi draghi. F'lar, nonostante la ferita, volle partecipare alla battaglia contro i Fili ad Igen, andando in mezzo nel tempo per poter intervenire all'inizio della Caduta.

I dragonieri del Continente Meridionale, estromessi da T'ron, si insedia-rono nel Weyr delle Terre Alte, che era stato lasciato in condizioni scanda-lose. Brekke, ignorando che la sua regina, Wirenth, stava per levarsi nel primo volo nuziale, incominciò a ristabilire l'ordine nel Weyr mentre Kyla-ra si divertiva con il Nobile Meron. Sfortunatamente anche la regina di Kylara, Prideth, era prossima all'accoppiamento, e quando si levò Wirenth, si levò anche Prideth. Vi fu allora una battaglia tra le due, sebbene le altre regine cercassero di separarle. Disperatamente, Canth tentò di salvare Wi-renth. Ma entrambe le regine erano mortalmente ferite, e andarono in mez-zo, lasciando Kylara ridotta a un'idiota demente e Brekke brancolante sul-l'orlo della follia. Solo l'amore di F'nor, la devozione di Canth, e la compa-gnia delle piccole lucertole di fuoco riuscirono a tenerla in vita.

Intanto, ispirandosi ai principi del congegno scoperto a Benden, Fanda-rel e Wansor costruirono un telescopio che permise di vedere la superficie nebulosa della Stella Rossa, e gli altri pianeti del sistema. Lessa, Robinton e il dissidente Nobile Meron, tra gli altri, giunsero al Weyr di Fort, per collaudare il nuovo telescopio. Meron però sostenne che, poiché ormai era possibile vedere la faccia della Stella Rossa, i dragonieri avrebbero dovuto trovare il modo di raggiungerla: quindi cercò d'indurre la sua piccola lucer-tola di fuoco a compiere il viaggio. L'esserino scomparve per la paura, e comunicò il suo terrore anche alle altre lucertole.

Quando la covata di Ramoth fu finalmente pronta alla Schiusa, tra i mol-

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ti ospiti giunsero al Weyr di Benden anche il Nobile Lytol ed il giovane Jaxom. Il tentativo di strappare Brekke al suo torpore presentandola come candidata alla nuova regina fallì, ma la sua bronzea lucertola di fuoco, Berd, riuscì a strapparla allo stordimento angoscioso. Quando Jaxom notò che l'uovo più piccolo - lo stesso verso cui s'era sentito attratto quando era andato furtivamente a spiare la covata - ondeggiava senza spaccarsi, accor-se in aiuto della creatura, e Impresse lo Schema al piccolo drago bianco da lui salvato. Sebbene fosse destinato a rimanere Signore della Fortezza di Ruatha, Jaxom entrò così a far parte del Weyr. La decisione venne presa per consentirgli di portare Ruth alla sua Fortezza, poiché era possibile che il minuscolo drago non sopravvivesse al suo primo Giro. F'lar, guarito dal-le ferite, approfittò della Schiusa per dimostrare a vari Maestri artigiani ed a vari Signori che i bruchi attaccavano e divoravano i Fili, e sembravano inoltre risanare e proteggere la vegetazione danneggiata. Allora il Maestro Agricoltore Andemon ricordò un antico ammonimento, State attenti ai bruchi, e comprese che il detto era stato interpretato erroneamente: i bruchi erano stati sistematicamente annientati con il fuoco, mentre sarebbe stato opportuno invece incoraggiarli a riprodursi.

Così, dopo molti secoli, la fase secondaria della protezione, iniziata dai coloni, venne finalmente riconosciuta per ciò che era. F'lar incominciò così due campagne, con la collaborazione di F'nor e di N'ton: la prima per dis-seminare i bruchi nel Continente Settentrionale; la seconda per diffondere ogni conoscenza specializzata, per fare in modo che nessuna informazione importante andasse più perduta o alterata.

Ma i Signori delle Fortezze, istigati da Meron, continuarono a insistere perché i dragonieri si recassero sulla Stella Rossa ed eliminassero alla fon-te la minaccia rappresentata dai Fili. Per impedire che F'lar compisse il pericolosissimo tentativo, F'nor guidò Canth verso una formazione nuvolo-sa sulla superficie della Stella Rossa. Compirono un enorme balzo in mez-zo, e per poco non morirono nell'atmosfera turbolenta della Stella Rossa; ma furono richiamati e sottratti alla morte certa dall'appello di Brekke. F'nor si sforzò di far comprendere a tutti i dragonieri ed ai possessori delle lucertole di fuoco che la Stella Rossa non poteva venire attaccata diretta-mente. Era troppo rischioso.

Di fronte alla realtà della situazione, F'lar s'impegnò a diffondere i bru-chi ed a mantenere una sorveglianza discreta sul Continente Meridionale che, per il momento, doveva restare il dominio degli Antichi dissidenti i quali, non avendo regine abbastanza giovani per accoppiarsi, cominciava-

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no a trovarsi in condizioni critiche. E c'erano altre pressioni, che Robinton, il Maestro Arpista, giudicava altrettanto pericolose.

Comincia a questo punto Il drago bianco... il terzo volume de «I drago-nieri di Pern»...

I

Fortezza di Ruatha, Passaggio Attuale, 12° Giro. «Se adesso non è abbastanza pulito,» disse Jaxom a N'ton, mentre pas-

sava per l'ultima volta lo straccio oliato sulla cresta del collo di Ruth, «non so proprio cosa voglia dire pulito!» Si terse la fronte sudata con la manica della tunica. «Cosa ne pensi, N'ton?» chiese educatamente, rendendosi conto di aver parlato senza il dovuto riguardo per il rango del suo compa-gno, che era Comandante del Weyr di Fort.

N'ton sorrise e indicò la riva erbosa del lago. Si avviarono nella fanghi-glia formatasi dalla sciacquatura della sabbia saponosa con cui era stato pulito il piccolo drago e si voltarono nello stesso istante a contemplare Ruth che splendeva tutto umido nel sole mattutino.

«Non l'ho mai visto più pulito e lustro,» commentò N'ton, dopo adeguata riflessione, poi si affrettò ad aggiungere: «Con questo, non voglio negare che tu l'abbia sempre tenuto immacolato, Jaxom. Tuttavia, se non gli chie-di di uscire dal fango, non rimarrà lindo a lungo.»

Jaxom trasmise in fretta la richiesta. «E tieni alta la coda, Ruth, finché sei sull'erba.»

Con la coda dell'occhio, Jaxom notò che Dorse ed i suoi amici si stavano allontanando furtivamente, per timore che N'ton avesse qualche altro lavo-ro da affidar loro. Jaxom era riuscito a nascondere a stento il suo orgoglio, durante il bagno di Ruth. Dorse e gli altri non avevano osato disobbedire al dragoniere, quando N'ton aveva richiesto garbatamente i loro servigi. Ve-derli sudare intorno al «rachitico», alla «lucertola di fuoco troppo cresciu-ta», senza poter punzecchiare a provocare Jaxom come avevano intenzione di fare quel mattino, aveva migliorato parecchio l'umore del giovane Si-gnore di Ruatha. Non s'illudeva che la situazione durasse a lungo. Ma se quel giorno i Comandanti del Weyr di Benden avessero deciso che Ruth era abbastanza forte per reggere il suo peso in aria, allora sarebbe stato

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libero di volare lontano dalle canzonature che era stato sempre costretto a sopportare da parte del suo fratello di latte e dei suoi amici.

«Vedi,» cominciò N'ton, aggrottando leggermente la fronte e incrocian-do le braccia sulla tunica bagnata, «Ruth non è veramente bianco.»

Jaxom fissò incredulo il suo drago. «No?» «No. Guarda: la pelle ha ombre marroni ed oro, e screziature azzurre o

verdi sul fianco.» «Hai ragione!» Jaxom batté le palpebre, sorpreso di scoprire qualcosa di

nuovo nel suo amico. «Immagino che i colori si notino molto di più perché è così pulito, e perché il sole è così luminoso, oggi!» Era un grande piace-re, per lui, poter discorrere del suo argomento favorito con un interlocutore esperto.

«Si direbbe che abbia tutti i colori dei draghi, anziché non averne nessu-no,» continuò N'ton. Posò una mano sull'angolo della spalla muscolosa di Ruth, poi inclinò la testa, scrutando i poderosi quarti posteriori. «Ed è splendidamente proporzionato. Sarà piccolo, Jaxom, ma è magnifico!»

Jaxom sospirò di nuovo, raddrizzando inconsciamente le spalle e gon-fiando il petto per l'orgoglio.

«Né troppa carne, né troppo poca, eh, Jaxom?» N'ton diede una gomitata alla spalla del ragazzo, con un sogghigno ironico, in ricordo di tutte le vol-te che Jaxom era stato costretto ad invocare l'aiuto del Comandante del Weyr per curare un'indigestione di Ruth. Erroneamente, Jaxom aveva cre-duto che, se fosse riuscito a ingozzare a sufficienza Ruth di cibo, il piccolo drago sarebbe cresciuto quanto i suoi compagni di covata. I risultati non erano stati dei migliori.

«Credi sia abbastanza forte per portarmi in volo?» N'ton gli lanciò un'occhiata pensierosa. «Vediamo: gli hai impresso lo

Schema dell'Apprendimento un Giro fa, la scorsa primavera, e adesso sia-mo nella stagione fresca. Quasi tutti i draghi finiscono di crescere durante il loro primo Giro. Non mi sembra che Ruth sia aumentato d'una mezza spanna negli ultimi sei mesi, e quindi dobbiamo dedurre che abbia comple-tato la crescita. Su, andiamo,» continuò, al triste sospiro di Jaxom. «È più alto di mezza testa di qualunque animale corridore, no? E quelli si possono cavalcare per ore senza che si stanchino, veto? E tu non sei pesante come Dorse.»

«Ma volare è tutta un'altra cosa, no?» «È esatto; ma le ali di Ruth sono proporzionate al suo corpo quanto ba-

sta per sostenerlo in volo...»

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«Dunque è un vero drago?» N'ton fissò Jaxom. Poi gli posò le mani sulle spalle. «Sì, Jaxom, Ruth è

un vero drago, anche se è grande la metà dei suoi compagni! E oggi lo dimostrerà, portandoti in volo. Quindi adesso torniamo alla Fortezza. Do-vrai metterti in ghingheri per essere pari alla sua bellezza!»

«Vieni, Ruth!» Preferirei starmene seduto qui al sole, rispose Ruth, portandosi alla sini-

stra di Jaxom con andatura elegante, e reggendo il passo del suo amico e del Comandante del Weyr di Fort.

«C'è sole anche nel nostro cortile, Ruth,» gli assicurò Jaxom, posandogli leggermente la mano sulla cresta, e notando il gaio tono azzurro degli oc-chi sfaccettati del drago.

Mentre proseguivano in silenzio, Jaxom levò lo sguardo verso l'impo-nente strapiombo roccioso che era la Fortezza di Ruatha, seconda in ordine di antichità fra gli insediamenti umani di Pern. Sarebbe stata la sua Fortez-za, quando fosse diventato maggiorenne, o quando il suo tutore, il Nobile Lytol, già tessitore, già dragoniere, avesse deciso che era abbastanza sag-gio... cioè, se gli altri Signori delle Fortezze si fossero decisi infine a supe-rare le obiezioni per la sua involontaria Impressione dello Schema sul pic-colo drago Ruth. Jaxom sospirò, rassegnato all'idea che non gli avrebbero mai permesso di dimenticare quel momento.

Lui non ci teneva, certo; ma con l'imprimere lo Schema dell'Apprendi-mento a Ruth aveva causato problemi di ogni genere ai Comandanti del Weyr di Benden, F'lar e Lessa, ai Signori delle Fortezze ed a se stesso, perché non gli era stato permesso di diventare un vero dragoniere e di vi-vere in un Weyr. Doveva rimanere Signore della Fortezza di Ruatha, altri-menti tutti i giovani figli cadetti dei più importanti Signori avrebbero com-battuto alla morte per prendere il suo posto. Il problema peggiore l'aveva causato all'uomo che più teneva ad accontentare, il suo tutore, il Nobile Lytol. Se Jaxom avesse indugiato un momento a riflettere, prima di lan-ciarsi sulla sabbia calda del Terreno della Schiusa di Benden, per aiutare a spezzare il duro guscio del piccolo drago bianco, si sarebbe reso conto che avrebbe continuamente ricordato al Nobile Lytol ciò che aveva perduto con la morte del suo drago marrone, Larth. Non importava se Larth era morto molti Giri prima della nascita di Jaxom alla Fortezza di Ruatha: quella tragedia era ancora viva nella mente di Lytol: e tutti lo ripetevano continuamente a Jaxom. Se era così, si chiedeva spesso il ragazzo, perché Lytol non aveva protestato quando i Comandanti dei Weyr ed i Signori

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delle Fortezze avevano deciso che Jaxom doveva cercare di allevare a Rua-tha il piccolo drago?

Levando lo sguardo verso le alture dei fuochi, Jaxom notò che il bronzeo Lioth di N'ton stava muso a muso con Wilth, l'anziano drago marrone di guardia. Si chiese di cosa stavano parlando, quei due. Del suo Ruth? Della prova di quel giorno? Notò alcune lucertole di fuoco, minuscole cugine dei grandi draghi, che volteggiavano pigramente sopra i due enormi esseri alati. Gli uomini stavano conducendo i wherry e gli animali corridori dalle stalle ai pascoli, a nord della Fortezza. Il fumo usciva dalla fila dei capanni più piccoli che fiancheggiavano la rampa verso il Grande Cortile e il bordo della strada dell'Est. A sinistra della rampa, adesso, venivano costruiti nuovi edifici, poiché i recessi interni della Fortezza di Ruatha erano consi-derati insicuri

«Quanti figli adottivi ha Lytol alla Fortezza di Ruatha, Jaxom?» chiese improvvisamente N'ton.

«Figli adottivi? Nessuno, signore.» Jaxom aggrottò la fronte. Sicuramen-te N'ton doveva saperlo.

«E perché? Tu devi frequentare altri del tuo rango.» «Oh, accompagno spesso il Nobile Lytol in visita alle altre Fortezze.» «Non alludevo alle amicizie, quanto al fatto di avere qui compagni della

tua età.» «C'è il mio fratello di latte, Dorse, ed i suoi amici degli edifici esterni.» «Sì, è vero.» Qualcosa, nel tono del Comandante del Weyr, spinse Jaxom a lanciargli

un'occhiata: ma la sua espressione era impenetrabile. «Vedi spesso Felessan di questi tempi? Ricordo che combinavate guai a

non finire, voi due, al Weyr di Benden.» Jaxom non riuscì a reprimere il rossore che gli dilagava fino alla radice

dei capelli. Possibile che N'ton sapesse che lui e Felessan si erano infilati attraverso un crepaccio nel Terrena della Schiusa di Benden, per vedere da vicino le uova di Ramoth? Non pensava che Felessan l'avesse confessato... a nessuno! Ma sovente Jaxom si era chiesto se, toccando il piccolo uovo, non avesse predestinato a se stesso il drago che vi stava rinchiuso.

«Non vedo spesso Felessan, di questi giorni. Non ho molto tempo: devo prendermi cura di Ruth e di tutto il resto.»

«Naturalmente,» fece N'ton. Sembrava sul punto di aggiungere qualcosa d'altro; poi cambiò idea.

Mentre proseguivano in silenzio, Jaxom si domandò se non aveva detto

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qualcosa di sbagliato. Ma non poté pensarci a lungo. In quel momento la lucertola di fuoco di N'ton, il marrone Tris, scese volteggiando a posarsi sulla spalla imbottita del Comandante del Weyr, trillando in tono eccitato.

«È troppo agitato per esprimersi in modo coerente,» rispose N'ton con una risata, e accarezzò il collo della creaturina, emettendo una serie di suoni rasserenanti fino a quando Tris, lanciando un ultimo trillo in direzio-ne di Ruth, ripiegò le ali.

Ha simpatia per me, osservò Ruth. «Tutte le lucertole di fuoco hanno simpatia per te,» rispose Jaxom. «Sì, questo l'ho notato anch'io, e non solo oggi, quando ci hanno aiutato

a lavarlo,» disse N'ton. «Perché?» Jaxom aveva sempre desiderato rivolgere quella domanda a

N'ton, ma non ne aveva mai trovato il coraggio. Non gli piaceva far perde-re tempo prezioso al Comandante del Weyr con domande sciocche. Ma quel giorno, non gli sembrava più una domanda sciocca.

N'ton girò la testa verso la lucertola di fuoco e, dopo un istante, Tris lan-ciò un rapido trillo e poi s'industriò a forbirsi la zampa anteriore. N'ton ridacchiò. «Ha simpatia per Ruth. La risposta è tutta qui. Direi che è così perché Ruth ha una taglia più simile alla sua. Le lucertole di fuoco possono vederlo senza doversi allontanare molto per riuscirci.»

«Immagino che sia così.» Jaxom aveva ancora qualche riserva. «Co-munque, le lucertole di fuoco vengono da ogni zona di Pern per fargli visi-ta. Gli raccontano le storie più assurde; ma lui si diverte, soprattutto quan-do io non posso tenergli compagnia.»

Avevano raggiunto la strada e si stavano avviando verso la rampa che portava al Grande Cortile.

«Non impiegare molto tempo a vestirti, Jaxom. Lessa e F'lar dovrebbero arrivare fra poco,» disse N'ton, mentre varcava l'enorme porta e si avviava verso il massiccio ingresso metallico della Fortezza. «Finder è nel suo al-loggio, a quest'ora?»

«Dovrebbe esserci.» Poi, mentre Jaxom e Ruth svoltavano verso la cucina e le vecchie stalle,

il giovane cominciò a preoccuparsi per la prova di quel giorno. Senza dub-bio, N'ton non avrebbe fomentato le sue speranze di poter volare con Ruth, se non fosse stato sicuro che i Comandanti del Weyr di Benden sarebbero stati d'accordo.

Volare con Ruth sarebbe stato meraviglioso. E poi, avrebbe dimostrato una volta per sempre che Ruth era un vero drago, e non una lucertola di

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fuoco troppo cresciuta, come ripeteva spesso Dorse. E lui, finalmente, a-vrebbe potuto allontanarsi da Dorse. Quel giorno era la prima volta, dopo molti Giri, che non aveva dovuto sopportare le provocazioni di Dorse, mentre lavava Ruth. Non che il ragazzo fosse geloso perché lui aveva il drago bianco. Dorse l'aveva sempre preso in giro, fin da quando lui riusci-va a ricordare. Prima che venisse Ruth, Jaxom riusciva a nascondersi nei recessi bui dei numerosi piani di Ruatha. Dorse non amava i corridoi scuri e soffocanti, e stava alla larga. Ma con l'arrivo di Ruth, Jaxom non aveva più potuto scomparire per sottrarsi alla presenza di Dorse. Spesso rimpian-geva di dovergli tanto. Ma era il Signore di Ruatha e Dorse era suo fratello di latte, e quindi gli doveva la vita. Se Deelan non avesse messo al mondo Dorse due giorni prima dell'inattesa nascita di Jaxom lui sarebbe morto dopo poche ore. Perciò Lytol l'arpista della Fortezza, aveva insegnato a Jaxom che doveva dividere tutto con il suo fratello di latte. Seconda lui, però, Dorse era quello che traeva i maggiori benefici dalla situazione. Il ragazzo, più alto di tutta una spanna e più massiccio, non aveva certamente sofferto, anche se aveva dovuto dividere il latte di sua madre. E adesso Dorse faceva in modo di assicurarsi la parte migliore di tutto ciò che aveva Jaxom.

Jaxom salutò allegramente le cuoche, indaffarate a preparare un eccel-lente pranzo per festeggiare - almeno così sperava lui - il suo primo volo con Ruth. Insieme al drago bianco, varcò le porte delle vecchie stalle che erano state riattate per ospitarli. Sebbene Ruth fosse piccolo quando era arrivato a Ruatha, un Giro e mezzo prima, era apparso evidente che ben presto sarebbe diventato troppo grosso per entrare nel tradizionale appar-tamento del Signore della Fortezza.

Perciò Lytol aveva deciso che le vecchie stalle, con il soffitto a volta po-tevano venire restaurate e trasformate in una stanza da letto e in una stanza da lavoro per Jaxom e in uno spazioso weir per il piccolo drago. Il Maestro Fabbro Fandarel aveva ideato porte nuove, sistemandole ingegnosamente, in modo che anche un ragazzo esile ed un goffo draghetto potessero aprirle e chiuderle.

Mi metterò qui al sole, disse Ruth a Jaxom, infilando il muso nell'ingres-so dell'alloggio. Il mio letto non è stato spazzato.

«Tutti sono impegnatissimi a far pulizia per la visita di Lessa,» fece Ja-xom, ridacchiando al pensiero dell'espressione di terrore di Deelan, quando Lytol le aveva detto che la Dama del Weyr stava per arrivare. Agli occhi della sua balia, Lessa era ancora l'unica ruathana purosangue sopravvissuta

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all'attacco proditorio di Fax contro la Fortezza, più di venti Giri prima. Jaxom si tolse la tunica infradiciata ed entrò nella sua stanza. L'acqua

nella brocca accanto al lavabo era tiepida. Fece una smorfia. Avrebbe do-vuto presentarsi lindo quanto il suo drago, ma temeva di non avere il tem-po di raggiungere i bagni caldi della Fortezza prima dell'arrivo dei Co-mandanti del Weyr. Si lavò con la sabbia saponosa e l'acqua quasi fredda.

Arrivano, annunciò mentalmente Ruth, poco prima che il vecchio Wilth e Lioth segnalassero i visitatori con adeguate grida strombettanti.

Jaxom si precipitò alla finestra e guardò fuori, scorgendo le grandi ali dei nuovi arrivati che si posavano nel cortile. Non attese di vedere i draghi di Benden involarsi verso le alture dei fuochi, accompagnati dagli eccitati volteggi delle lucertole. Asciugandosi in fretta, si sfilò i calzoni umidi. Non impiegò molto a indossare il bell'abito nuovo e ad infilare gli stivali confezionati appositamente per l'occasione, e foderati di soffice pelo di wherry per tenerlo caldo in volo. Si era esercitato, negli ultimi tempi, a mettere i finimenti al piccolo drago impaziente.

Mentre usciva insieme a Ruth dall'alloggio comune, Jaxom si senti assa-lire di nuovo dall'apprensione. E se N'ton si fosse sbagliato? Se Lessa e F'lar avessero deciso di attendere qualche altro mese per vedere se Ruth sarebbe cresciuto ancora un po'? E se Ruth, essendo così piccolo, non a-vesse avuto la forza necessaria per portarlo in volo? Se lui avesse fatto del male a Ruth?

Ruth emise un verso incoraggiante. Non puoi farmi male. Tu sei mio a-mico. E urtò affettuosamente Jaxom, alitandogli in faccia il fiato caldo e dolce.

Jaxom aspirò profondamente, cercando di calmare le contrazioni dello stomaco. Poi notò coloro che si stavano radunando sulla gradinata della Fortezza. Perché era necessario che ci fosse tanta gente E, proprio quel giorno?

Non Sono molti, gli disse Ruth, in tono sorpreso, mentre alzava la testa per osservare gli invitati. E tante lucertole di fuoco per vedermi. Conosco tutti quelli che sono presenti. E li conosci anche tu.

Jaxom si accorse che era vero. Incoraggiato dalla semplicità con cui il suo drago accettava quel pubblico così numeroso, raddrizzò le spalle e avanzò.

F'lar e Lessa erano gli ospiti più importanti. F'nor, cavaliere del marrone Canth e compagno della mesta Brekke, era anch'egli presente: ma era un buon amico di Jaxom. N'tor, naturalmente, era lì perché era il Comandante

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del Weyr di Fort, e Ruatha era vincolata a quel Weyr. Maestro Robinton, come Arpista di Pern, era pure presente, e al suo fianco, Jaxom fu lieto di vedere Menolly, la giovane Arpista che spesso aveva preso le sue difese. Con riluttanza, Jaxom riconobbe al Nobile Sangel del Boll Meridionale e al Nobile Groghe di Fort il diritto di presenziare quali rappresentanti dei Signori.

In «un primo momento, Jaxom non vide il Nobile Lytol. Poi Finder si mosse per dire qualcosa a Menolly, e Jaxom scorse il suo tutore. Si augu-rava che Lytol avrebbe guardato veramente Ruth, almeno questa volta.

Ormai avevano attraversato il cortile e stavano davanti alla scalinata; Ja-xom teneva la destra sul collo robusto ed elegante di Ruth, fronteggiando con fermezza i giudici.

Tendendo una mano in atto di saluto verso Ruth, Lessa sorrise a Jaxom e gli scese incontro. «Ruth è ingrossato molto dalla scorsa primavera, Ja-xom,» disse, in tono rassicurante. «Ma tu dovresti nutrirti di più. Lytol, Deelan non dà mai da mangiare a questo ragazzo? È tutto ossa.»

Jaxom rimase scosso nell'accorgersi che ormai era più alto di Lessa, e che lei doveva alzare la testa per guardarlo. Lessa gli era sempre sembrata tanto imponente. Guardare dall'alto in basso la Dama del Weyr di Benden era piuttosto imbarazzante.

«Direi che sei ancora più alto di Felessan, che continua a crescere ogni volta che lo guardo,» aggiunse lei.

Jaxom cominciò a balbettare in tono di scusa. «Sciocchezze, Jaxom, non c'è niente da vergognarsi,» disse F'lar, rag-

giungendo la sua consorte. Osservava Ruth, e il drago bianco alzò legger-mente la testa per portare gli occhi al livello di quelli del Comandante del Weyr. «Sei alto molte spanne di più di quanto avrei immaginato alla tua Schiusa! Il tuo amico, il Nobile Jaxom, ti ha trattato bene.» Il Comandante del Weyr di Benden sottolineò leggermente il titolo, mentre deviava lo sguardo dal drago al cavaliere.

Jaxom rabbrividì, turbato nel sentirsi ricordare la sua posizione equivo-ca.

«Tuttavia, non credo che potrai mai raggiungere la statura del nostro buon Maestro Fabbro, quindi non credo che appesantirai molto Ruth in volo.» F'lar lanciò un'occhiata agli altri, sulla gradinata. «Ruth è più alto di tutta la testa, al garrese, degli animali corridori. E più robusto.»

«Che apertura d'ali ha, adesso?» chiese Lessa, con le sopracciglia ag-grondate in un atteggiamento pensieroso. «Jaxom,, vuoi chiedergli di spie-

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garle?» Lessa avrebbe potuto facilmente chiederlo direttamente a Ruth, poiché

era in grado di parlare con tutti i draghi. Jaxom si sentì rincuorato da quel-la cortesia, trasmise la richiesta a Ruth. Con gli occhi roteanti per l'eccita-zione, il drago bianco si sollevò sulle zampe posteriori e allargò le ali: i muscoli si tesero sul petto e sulle spalle, con le screziature nebulose che avevano tutti i colori dei draghi.

«È perfettamente proporzionato,» disse F'lar, chinandosi sotto l'ala per esaminare l'ampia membrana trasparente. «Oh, grazie Ruth,» aggiunse quando il drago, cortesemente, inclinò l'ala. «Direi che è ansioso di volare quanto lo sei tu!»

«Sì, signore, perché, signore, è un drago, e tutti i draghi volano!» Lo sguardo che gli lanciò F'lar indusse Jaxom a trattenere il respiro,

chiedendosi se la sua pronta risposta non era stata troppo ardita. Quando udì la risata di Lessa, la guardò. Non rideva di lui né di Ruth. Teneva gli occhi fissi sul suo consorte. F'lar inarcò il sopracciglio destro, risponden-dole con un sorriso. Jaxom sentiva che in quel momento non si accorgeva-no di lui né di Ruth.

«Sì, i draghi volano, non è vero, Lessa?» chiese sottovoce il Comandan-te del Weyr, e Jaxom comprese che stavano rievocando un loro ricordo esclusivo.

Poi F'lar alzò la testa verso le alture dei fuochi dove l'aurea Ramoth, il bronzeo Mnementh e i due marroni, Canth e Wilth, scrutavano interessati la scena che si svolgeva nel cor file.

«Cosa dice Ramoth, Lessa?» Lessa fece una smorfia. «Lo sai: ha sempre sostenuto che Ruth se la sa-

rebbe cavata benissimo.» F'lar guardò prima N'ton, che sorrise, e poi F'nor, che scrollò le spalle in

segno di acquiescenza. «La risposta è unanime, Jaxom. Mnementh non capisce perché ci stiamo agitando tanto. Monta, ragazzo.» F'lar si fece a-vanti, come se volesse aiutarlo a salire sul collo del drago bianco.

Jaxom era diviso tra l'orgoglio di venire assistito dal Comandante dei Weyr di Pern e l'indignazione al pensiero che F'lar lo giudicasse incapace di montare senza aiuto.

Ruth intervenne, ripiegando le ali perché non fossero d'impaccio e flet-tendo il ginocchio sinistro. Jaxom salì con leggerezza sulla zampa protesa e balzò in posizione, tra le ultime due creste del collo. In un drago norma-le, quelle protuberanze erano sufficienti a tenere saldo un nomo in volo,

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ma Lytol aveva insistito perché Jaxom si servisse di finimenti, per maggio-re sicurezza. Mentre Jaxom fissava le fibbie delle cinghie agli anelli metal-lici della cintura, gettò occhiate furtive al pubblico. Ma nessuno mostrava sorpresa o disprezzo per quella precauzione. Quando fu pronto, il freddo spaventoso del dubbio gli attanagliò di nuovo lo stomaco. E se Ruth non fosse riuscito...

Scorse il sorriso fiducioso sul volto di N'ton e vide il Maestro Robinton e Menolly levare le mani in atto di saluto. Poi F'lar alzò il pugno sopra la testa, nel segnale tradizionale del decollo.

Jaxom trasse un profondo respiro. «Voliamo, Ruth!» Sentì i muscoli contrarsi, mentre Ruth si acquattava, sentì la tensione

lungo il dorso, l'assestamento della muscolatura sotto i suoi polpacci, men-tre le grandi ali si sollevavano per quel primo, importantissimo movimen-to. Ruth si acquattò ancora di più, poi scalciò per staccarsi dal suolo con le poderose zampe posteriori. Jaxom si sentì squassare la testa sul collo. I-stintivamente afferrò le cinghie di sicurezza, poi si tenne aggrappato men-tre le possenti ali del piccolo drago bianco li sollevavano verso il cielo, al di sopra della prima fila di finestre e delle facce sbalordite degli abitanti della Fortezza, su, su, così velocemente verso le alture dei fuochi che Ja-xom vide passare confusamente le altre file di finestre. Poi i grandi draghi spiegarono le ali, lanciando squillanti grida d'incoraggiamento a Ruth. Le lucertole di fuoco turbinarono intorno a loro, aggiungendo al coro le loro voci argentine. Jaxom si augurò che non frastornassero Ruth e non si met-tessero di mezzo.

Sono liete di vederci in aria insieme. Ramoth e Mnementh sono molto fe-lici di vederti finalmente sul mio dorso. Io sono molto felice. E tu sei con-tento, adesso?

Quella domanda quasi lamentosa fece sorgere un groppo nella gola di Jaxom. Aprì la bocca per rispondere, ma il suono gli venne strappato dalle labbra dalla pressione del vento contro il viso.

«Certo, sono felice. Sono sempre felice, con te,» disse, gioiosamente. «Volo con te, come ho sempre desiderato. Così tutti vedranno che sei un vero drago!»

Stai gridando! «Sono felice. Perché non dovrei gridare?» Io sono l'unico che può sentirti, e ti sento benissimo. «È giusto. È soprattutto per te che sono felice.» Incominciarono una planata, virando, e Jaxom s'inclinò all'indietro, trat-

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tenendo il respiro. Aveva volato a dorso di drago innumerevoli volte, ma come passeggero, di solito sistemato tra due adulti. L'intimità di quel volo era una sensazione completamente diversa, esaltante, piacevolmente spa-ventosa e meravigliosa.

Ramoth dice che devi stringere più forte le gambe, come fai in groppa ai corridori.

«Non volevo ostacolarti la respirazione.» Jaxom premette più forte le gambe contro il caldo collo serico, rincuorato dal senso di sicurezza che gli dava quella stretta.

Così va meglio. Non puoi farmi male al collo. Non puoi farmi male. Tu sei il mio cavaliere. Poi il pensiero di Ruth assunse una sfumatura di ribel-lione. Ramoth dice che dobbiamo atterrare.

«Atterrare? Ci siamo appena alzati in volo!» Ramoth dice che non devo sforzarmi. Portarti in volo non è uno sforzo.

È ciò che voglio fare. Lei dice che potremo volare ogni giorno un po' più lontano. È un'idea che mi piace.

Ruth corresse la discesa, avvicinandosi al cortile da Sud-Est. La gente sulla strada si fermò a guardare, e poi ad agitare le braccia in atto di saluto. Jaxom credette di udire acclamazioni, ma il vento rombava, ed era difficile esserne sicuro. Quelli che stavano nel cortile si girarono per seguirli con lo sguardo. Tutte le finestre del secondo e del primo piano della Fortezza erano occupate.

«Dovranno ammettere tutti che adesso sei un vero drago volante, Ruth!» Jaxom rimpiangeva soltanto che quel volo fosse stato così breve. Un po'

più a lungo ogni giorno, eh? Né la Caduta dei Fili, né il fuoco, né la nebbia gli avrebbero impedito di volare tutti i giorni, sempre più a lungo e sempre più lontano da Ruatha.

All'improvviso venne gettato in avanti e urtò il petto su una cresta, men-tre Ruth agitava le ali all'indietro per posarsi esattamente sul punto da cui s'era involato poco prima.

Scusami, disse contrito Ruth. Mi accorgo che devo ancora imparare molte cose.

Assaporando il trionfo dell'esperienza del volo, Jaxom restò seduto per un momento, massaggiandosi il petto e rassicurando Ruth. Poi vide F'lar, F'nor e N'ton che venivano nella sua direzione con espressioni d'approva-zione. Ma perché l'Arpista sembrava così pensieroso? E perché il Nobile Sangel aggrottava la fronte?

I dragonieri dicono che possiamo volare. E sono loro, quelli che conta-

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no, gli disse Ruth. Jaxom non riusciva a distinguere l'espressione del viso del Nobile Lytol;

e l'orgoglio per la sua impresa si smorzò un poco. Aveva tanto sperato di ricevere, almeno quel giorno, un segno di approvazione, una reazione be-nevola dal suo tutore...

Non ha mai dimenticato Larth, disse Ruth, nel suo tono più sommesso. «Hai visto, Jaxom? Te l'avevo detto!» esclamò N'ton, mentre i tre dra-

gonieri si schieravano accanto alla spalla di Ruth. «È una cosa da niente!» «Un ottimo primo volo, Jaxom,» disse F'lar, scrutando Ruth per scoprire

gli eventuali segni di tensione. «Non è per nulla affaticato.» «Questo è capace di virare in punta d'ala. Devi tenere le cinghie, fino a

quando vi sarete abituati l'uno all'altro,» aggiunse F'nor, tendendo la mano per afferrare l'avambraccio ai Jaxom. Era il gesto di saluto tra eguali, e Jaxom si sentì immediatamente lusingato.

«Dunque ti sbagliavi, Nobile Sangel.» La voce di Lessa squillò chiara agli orecchi di Jaxom. «Non c'è mai stato il minimo dubbio che il drago bianco potesse volare. Abbiamo semplicemente rimandato fino a quando siamo stati sicuri che Ruth avesse finito di crescere.»

F'nor strizzò l'occhio a Jaxom e N'ton fece una smorfia, mentre F'lar al-zava gli occhi al cielo, per raccomandare pazienza. Quell'intimità fece sen-tire a Jaxom che lui, il Signore di Ruatha, era stato veramente accettato dai tre dragonieri più potenti di Pern.

«Adesso sei un dragoniere, ragazzo,» disse N'ton. «Sì.» F'lar aggrottò la fronte, strascicando un po' quella parola. «Sì, ma

non potrai fare il giro del mondo in volo domani, e non puoi cercare di andare in mezzo. Non ancora. Te ne renderai conto, spero. Benissimo! Do-vrai esercitarti a volare con Ruth tutti i giorni. Hai una tabella delle eserci-tazioni, N'ton?» F'lar passò a Jaxom la lavagna che N'ton gli porse. «Que-sti muscoli delle ali devono venire rafforzati scrupolosamente, o imporrai loro uno sforzo troppo grande. Il pericolo è questo. Può venire il momento in cui avrai bisogno di velocità e di manovrabilità, ed i muscoli, male adat-tati, forse non reagirebbero! Hai sentito parlare della tragedia alle Terre Alte?» L'espressione di F'lar era severa.

«Sì, signore. Me lo ha detto Finder.» Jaxom non aggiunse che Dorse ed i suoi amici, da quando avevano saputo dell'incidente, non gli avevano mai permesso di dimenticare il giovane del Weyr che si era sfracellato sulle pendici delle montagne perché aveva fatto volare troppo a lungo il suo drago.

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«Tu hai sempre una duplice responsabilità, Jaxom, verso Ruth e verso la tua Fortezza.»

«Oh, sì, signore. Lo so, signore.» N'ton rise e gli batté la mano sul ginocchio. «Scommetto che lo sai, mio

giovane Nobile Jaxom, fino alla nausea!» F'lar girò la testa verso il Comandante del Weyr di Fort, sorpreso dal to-

no di quel commento. Jaxom trattenne il respiro. I Comandanti dei Weyr parlavano senza riflettere? Il Nobile Lytol raccomandava sempre a Jaxom di pensare bene, prima di aprir bocca.

«Sovrintenderò all'addestramento iniziale di Jaxom, F'lar, e non dovrai preoccuparti del suo senso di responsabilità. È ben radicato,» continuò N'ton. «E con il tuo permesso, gli insegnerò a volare in mezzo, quando riterrò che sia pronto. Credo,» disse, indicando i due Signori delle Fortezze che discutevano con Lessa, «che sia bene non dare troppa pubblicità a que-sta fase dell'addestramento.»

Jaxom sentì la lieve tensione nell'aria, mentre N'ton e F'lar si guardava-no. All'improvviso, prima Mnementh e poi Ramoth lanciarono grida dalle alture.

«Sono d'accordo anche loro,» disse N'ton, sottovoce. F'lar scosse leggermente il capo e scostò la ciocca di capelli che gli ca-

deva sugli occhi. «È evidente, F'lar, che Jaxom merita di essere un dragoniere,» disse

F'nor, con lo stesso tono persuasivo. «In ultima analisi, è una responsabili-tà dei Weyr. Non spetta ai Signori delle Fortezze decidere. Inoltre, Ruth è un drago di Benden.»

«La responsabilità è il fattore dominante,» disse F'lar, guardando i due dragonieri con la fronte aggrottata. Alzò gli occhi verso Jaxom, che non aveva compreso esattamente di cosa stessero parlando, e sapeva solo che stavano discutendo di lui e di Ruth. «Oh, sta bene. Deve essere addestrato a volare in mezzo. Altrimenti, immagino che tenteresti comunque da solo, non è vero, giovane Jaxom del Sangue di Ruatha?»

«Signore?» Jaxom quasi non osava credere alla sua fortuna. «No, F'lar, Jaxom non prenderebbe mai una simile iniziativa da solo,»

rispose N'ton, in un tono un po' strano. «Questo è il guaio. Credo che Lytol abbia svolto troppo bene il suo compito.»

«Spiegati,» disse laconicamente F'lar. F'nor alzò la mano. «Ecco Lytol,» disse in fretta, in tono di avvertimen-

to.

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«Nobile Jaxom, vuoi condurre il tuo amico nel suo alloggio, per poi rag-giungerci nella Sala?» Il Nobile Reggente s'inchinò educatamente a tutti. Sul suo viso, un muscolo cominciò a guizzare quando si voltò e si avviò di nuovo verso la scalinata.

Avrebbe potuto almeno dire qualcosa... se avesse voluto, pensò triste-mente Jaxom, guardando l'ampia schiena del suo tutore.

N'ton gli batté di nuovo la mano sul ginocchio, e quando Jaxom alzò la testa, gli strizzò l'occhio. «Sei un bravo ragazzo, Jaxom, e un buon cavalie-re.» Poi seguì gli altri dragonieri.

«Per caso, non servirai un vino di Benden in questa fausta occasione, eh, Lytol?» echeggiò attraverso il cortile la voce del Maestro Arpista.

«Che altro ti si potrebbe servire, Robinton?» chiese Lessa, ridendo. Jaxom li guardò salire i gradini ed entrare nella Sala. Con un concerto di

strida, le lucertole di fuoco rinunciarono alle loro esibizioni aeree e si tuf-farono verso l'entrata, evitando appena l'alta figura dell'Arpista mentre sciamavano per penetrare nella Fortezza.

L'episodio migliorò l'umore di Jaxom, che ricondusse Ruth al suo allog-gio. Levando lo sguardo verso le finestre, vide la gente che si ritirava. Si augurava di tutto cuore che Dorse ed i suoi amici avessero assistito a tutta la scena, avessero notato la stretta di mano di F'nor e avessero visto come lui aveva parlato da pari a pari con i tre dragonieri più importanti di tutto Perni. Dorse avrebbe dovuto essere più prudente, adesso che Jaxom sareb-be stato autorizzato a portare in mezzo il suo Ruth. Forse non l'aveva mai immaginato, vero? E non l'aveva immaginato neppure lui, si disse. Non era magnifico che N'ton l'avesse proposto? E quando Dorse l'avesse sentito, avrebbe dovuto inghiottire quel boccone amaro!

Ruth rispose ai suoi pensieri con un verso orgoglioso, mentre entrava nel cortile della vecchia stalla e abbassava la spalla sinistra per farlo smontare.

«Adesso possiamo volare, e andarcene da qui, Ruth. E potremo anche andare in mezzo, e andare dovunque vogliamo, su Pern. Hai volato splen-didamente, e mi dispiace d'essere stato un mediocre cavaliere, urtandoti in malo modo le creste. Ma imparerò. Vedrai!»

Gli occhi di Ruth turbinarono affettuosamente, in un color azzurro bril-lante, mentre seguiva Jaxom nel weyr. Jaxom continuò a ripetergli che era meraviglioso, che sapeva virare sulla punta di un'ala e tutto il resto, mentre spazzava via la polvere e la lanugine che si erano accumulate sul letto di Ruth durante la notte. Ruth si accovacciò, tendendo la testa in una larvata richiesta di carezze. Jaxom lo accontentò, un po' riluttante a recarsi a par-

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tecipare a dei festeggiamenti cui sarebbe mancato il vero ospite d'onore. Avvertito dalle strida delle lucertole di fuoco, Robinton si affrettò ad ap-

piattirsi contro il battente destro della grande porta metallica, poi si portò le mani alla faccia, per proteggerla. Troppo spesso si era trovato in mezzo ai frenetici festeggiamenti delle lucertole di fuoco, per non prendere pre-cauzioni. In generale, però, le lucertole di fuoco della Sede dell'Arpista, grazie agli ammaestramenti di Menolly, erano bene educate. Sorrise, quando udì l'esclamazione sorpresa e sbigottita di Lessa. Dopo aver sentito l'aria smossa dal loro passaggio, restò dov'era e, inevitabilmente, lo sciame ripassò dalla porta. Udì il Nobile Groghe richiamare all'ordine la sua pic-cola regina, Merga. Poi il suo Zair lo trovò e, rimproverandolo come se Robinton avesse cercato volutamente di nascondersi, il piccolo bronzeo gli si posò sulla spalla imbottita.

«Su! Su, da bravo!» disse Robinton, accarezzando con un dito Tesserino agitatissimo e ricevendo a sua volta, sulla guancia, una affettuosa testata. «Non ti lascerei mai, dovresti saperlo. Anche tu volavi con Jaxom?»

Zair smise di rimproverarlo e lanciò un trillo soddisfatto. Poi girò il col-lo per guardare giù nel cortile. Incuriosito, Robinton si sporse per vedere che cosa aveva attirato Zair, e scorse Ruth che si avviava in direzione delle vecchie stalle. Robinton sospirò. Quasi avrebbe preferito che Jaxom non fosse stato autorizzato a volare con Jaxom. Come aveva previsto, il Nobile Sangel era ancora irriducibilmente contrario all'idea che il giovane godesse delle prerogative dei dragonieri. E il Nobile Sangel non era il solo della generazione più anziana dei Signori delle Fortezze a contestare quella li-bertà. Robinton era convinto di avere fatto un buon lavoro, influenzando Groghe in favore del ragazzo; ma Groghe era più intelligente di Sangel. E poi, aveva una lucertola di fuoco, e questo lo rendeva più comprensivo nei confronti di Jaxom e Ruth. Robinton non riusciva a ricordare se Sangel non aveva voluto o potuto imprimere ad una lucertola di fuoco lo Schema dell'Apprendimento. Doveva chiederlo a Menolly. La sua regina, Bella, tra poco avrebbe deposto le uova. Era molto utile che la sua Arpista avesse una lucertola regina; così lui avrebbe potuto distribuire le uova nel modo che sarebbe tornato più conveniente per il bene di tutti.

Restò a guardare ancora per un momento, un po' commosso da quello spettacolo. Jaxom e Ruth erano circondati da un'aura d'innocenza e di vul-nerabilità, di dipendenza e di protezione reciproca.

Jaxom era venuto al mondo svantaggiato, strappato dal grembo della

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madre morta, mentre suo padre veniva ferito senza speranza in duello mezz'ora dopo. Ricordando quello che N'ton e Finder gli avevano detto poco prima del volo di Jaxom, Robinton era irritato con se stesso per non aver tenuto d'occhio più attentamente il ragazzo. Lytol non era così rigido da non accettare un consiglio discreto, soprattutto se era per il bene di Ja-xom. Ma Robinton era così indaffarato, nonostante la collaborazione dei fidi Menolly e Sebell. Zair trillò e gli strusciò la testa contro il mento.

Robinton ridacchiò e accarezzò Zair. Le lucertole di fuoco non erano più lunghe di un braccio. Non erano intelligenti come i draghi, ma erano com-pagne deliziose... e talvolta anche utili.

Adesso avrebbe fatto meglio a raggiungere gli altri, per vedere come po-teva passare a Lytol il suo suggerimento. Il giovane Jaxom avrebbe com-pletato perfettamente il suo progetto.

«Robinton!» F'lar lo chiamò dalla soglia della sala dei ricevimenti più piccola. «Vieni qui subito. La tua reputazione è in pericolo.»

«La mia... che cosa? Arrivo...» Le lunghe gambe dell'Arpista lo portaro-no rapidamente nella sala, prima ancora che concludesse la frase. A giudi-care dai sorrisi di coloro che stavano accanto alle fiasche di vino decantato, l'Arpista non faticò a comprendere che cosa si stava preparando.

«Ah! Credete di mettermi nei guai!» esclamò, indicando drammatica-mente il vino. «Bene, sono sicuro di poter salvare la mia reputazione! Pur-ché tu abbia segnato esattamente le fiasche, Lytol.»

Lessa rise e ne prese una, mostrandola ai presenti. Versò un bicchiere del vino rossocupo e la porse a Robinton. Conscio di avere tutti gli occhi addosso, l'Arpista si avvicinò al tavolo, affettando un'andatura baldanzosa. I suoi occhi incontrarono quelli di Menolly, che ammiccò lievemente, completamente a suo agio in quella compagnia prestigiosa. Come il picco-lo drago bianco, era pronta a volare da sola. Certo, era ben diversa dalla ragazza insicura e sottovalutata di una isolata Fortezza del Mare che era stata un tempo. Ormai doveva lasciarla andare dalla Sede dell'Arpista, per-ché potesse volare con le sue ali.

Robinton assaggiò il vino con le dovute cerimonie, poiché era quanto ci si aspettava da lui. Esaminò il colore del liquido nella luce del sole che entrava nella sala, aspirò profondamente l'aroma, poi lo sorbì con delica-tezza, e rigirò la sorsata sulla lingua, in modo vistoso.

«Uhm... sì, bene. Non è difficile riconoscere questa annata,» disse, con una sfumatura di alterigia.

«Allora?» chiese il Nobile Groghe, torcendo le grossa dita sull'alta cintu-

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ra in cui aveva infilato i pollici. Si dondolò un poco, impaziente. «Non bisogna mai affrettarsi, con un vino!» «O lo sai, o non lo sai,» disse Sangel, con una smorfia di scetticismo. «Certo che lo so. È stato pigiato a Benden, undici Giri fa, non è vero,

Lytol?» Robinton, conscio del silenzio che era sceso nella sala, si stupì dell'e-

spressione di Lytol. Non poteva ancora essere sconvolto per il fatto che Jaxom aveva volato con il piccolo drago; No, il tic nervoso era sparito dal-la sua guancia.

«Ho ragione io,» disse Robinton, con voce strascicata, puntando un indi-ce accusatore verso il Nobile Reggente. «E tu lo sai, Lytol. Per essere esat-to, questa è l'ultima pigiatura, poiché il vino ha un gradevole sapore frutta-to. Inoltre, fa parte della prima spedizione di Benden, che riuscisti a ottene-re dal vecchio Nobile Raid, grazie al Sangue Ruathano di Lessa.» Alterò la voce, imitando i pesanti toni baritonali di Lytol. «La Dama dei Weyr di Pern deve avere a disposizione vino di Benden, quando visita quella che era la sua Fortezza. Non ho ragione, Lytol?»

«Oh, hai ragione su tutta la linea,» ammise Lytol, con una risatina re-pressa. «Per quanto riguarda i vini, Maestro Arpista, sei infallibile.»

«Che sollievo!» esclamò F'lar, battendo la mano sulla spalla dell'Arpista. «Non avrei sopportato che perdessi la tua reputazione, Robinton.»

«È un vino adatto per celebrare questa occasione. Alla salute di Jaxom, giovane Signore della Fortezza di Ruatha e fiero cavaliere di Ruth.» Ro-binton si rendeva conto di aver scatenato un drago tra i wherry, con quelle parole; ma era inutile nascondere che, sebbene Jaxom fosse il Signore elet-to della Fortezza di Ruatha, era anche e innegabilmente un dragoniere. Il Nobile Sangel si schiarì brusco la gola, prima di bere il sorso prescritto dall'etichetta. La smorfia di Lessa lasciavi capire che lei avrebbe preferito un altro brindisi, in quel momento.

Poi, dopo essersi schiarito la gola una seconda volta, Sangel intervenne, come Robinton aveva sperato. «Sì, ma è meglio stabilire fino a che punto il giovane Jaxom deve essere un dragoniere. Mi era stato detto, alla Schiu-sa,» continuò Sangel, tendendo la mano in direzione delle stalle, «che quel piccolo drago difficilmente sarebbe sopravvissuto. Fu l'unica ragione per cui non protestai, quella volta».

«Non avevamo cercato d'ingannarti, Nobile Sangel,» cominciò Lessa, in tono irritato.

«Non ci saranno problemi, Sangel,» disse diplomaticamente F'lar. «Al

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Weyr non ci mancano i grandi draghi. Quindi Ruth non dovrà combatte-re.»

«E non mancano neppure uomini del Sangue, ben preparati, e pronti a impadronirsi di questa Fortezza,» disse Sangel, sporgendo bellicosamente il mento. Si poteva contare sempre sul vecchio Sangel per arrivare diritto al dunque, pensò riconoscente Robinton.

«Ma non del Sangue di Ruatha,» disse Lessa, con un lampo negli occhi grigi. «Quando ho ceduto il mio diritto su questa Fortezza, diventando Dama del Weyr, l'ho ceduto all'unico maschio superstite che avesse San-gue di Ruatha nelle vene... Jaxom! Finché sarò viva io, non permetterò che proprio Ruatha, fra tutte le Fortezze di Pern, diventi il premio di sanguino-si duelli tra i cadetti del continente. Jaxom rimane il Signore eletto di Rua-tha: non sarà mai un dragoniere combattente.»

«Tanto per chiarire le cose,» disse Sangel, scostandosi per evitare lo sguardo gelido di Lessa. «Ma dovrai ammettere, Dama del Weyr, che ca-valcare i draghi, sia pure in modo limitato, può essere pericoloso. Ho senti-to di quel giovane del Weyr, nelle Terre Alte...»

«I voli di Jaxom saranno sempre controllati,» promise F'lar. Lanciò u-n'occhiata ammonitrice a N'ton. «E non volerà mai per combattere i Fili. Sarebbe troppo pericoloso.»

«Jaxom è per natura un ragazzo prudente,» intervenne Lytol. «E l'ho de-bitamente educato alle sue responsabilità.»

Robinton notò la smorfia di N'ton. «Troppo prudente, N'ton?» chiese F'lar, che aveva notato a sua volta l'e-

spressione del Comandante del Weyr di Fort. «Forse,» rispose con molto tatto N'ton, rivolgendo a Lytol un cenno di

scusa. «O forse la parola più adatta è inibito. Senza offesa, Lytol, ma oggi ho notato che il ragazzo si trova... isolato dagli altri. Il fatto che abbia il suo drago lo spiega, in parte, ne sono sicuro. Poiché nessun ragazzo della sua età è stato autorizzato a imprimere lo Schema alle lucertole di fuoco, i ragazzi della fortezza non possono comprendere i suoi problemi.»

«Dorse ha ricominciato a tormentarlo?» chiese Lytol, tirandosi il labbro inferiore mentre guardava N'ton.

«Allora non ignori la situazione?» N'ton sembrava sollevato. «No, certo. È una delle ragioni per cui ho insistito con te, F'lar, perché

gli permettessi di volare. Così sarebbe stato in grado di visitare le Fortezze dove vivono ragazzi della sua età e del suo rango.»

«Ma senza dubbio hai figli adottivi!» esclamò Lessa, girando lo sguardo

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intorno a sé, come se le fosse sfuggita la presenza dei giovani della Fortez-za.

«Stavo appunto per affidare Jaxom per un mezzo Giro, quando ha im-presso lo Schema dell'Apprendimento al drago.» Lytol tese una mano, per indicare che il suo progetto non si era compiuto.

«Non approvo l'idea che Jaxom lasci Ruatha,» fece Lessa, aggrottando la fronte. «Poiché è l'ultimo del suo Sangue...»

«Neppure io,» disse Lytol. «Ma queste adozioni devono essere sempre ricambiate...»

«No,» disse il Nobile Groghe, battendo la mano sulla spalla di Lytol. «Anzi, è un bene che non sia così. Io ho un ragazzo dell'età di Jaxom, da mandare in adozione. È un sollievo non dover prendere in cambio un altro ragazzo. Quando vedo quello che hai fatto per rimettere in sesto Ruatha e renderla così prospera, Lytol, penso che il ragazzo potrebbe imparare da te come si dirige una Fortezza. Cioè, se avrà una Fortezza da governare quando diventerà maggiorenne.»

«C'è un'altra cosa che vorrei discutere,» disse il Nobile Sangel, acco-standosi a F'lar e lanciando un'occhiata a Groghe per chiedere il suo ap-poggio. «Cosa dobbiamo fare, noi Signori delle Fortezze?»

«Fare?» chiese F'lar, sconcertato. «Con i figli cadetti,» disse tranquillamente Robinton, «per i quali non ci

sono più fortezze da governare nel Boll Meridionale, a Fort, in Ista e I-gen... per nominare soltanto i Signori che hanno il maggior numero di figli ambiziosi.»

«Il Continente Meridionale, F'lar! Quando potremo cominciare ad aprire il Continente Meridionale?» chiese Groghe. «Toric, che è rimasto nella Fortezza Meridionale, forse avrà bisogno di due o tre ragazzi forti, attivi, energici, ambiziosi.»

«Nel Continente Meridionale ci sono gli Antichi,» disse severamente Lessa. «Là non possono far male a nessuno, poiché la terra è protetta dai bruchi.»

«Non avevo dimenticato dove sono gli antichi, Dama del Weyr,» osser-vò Groghe, inarcando le sopracciglia. «È il posto più adatto: così non ci danno fastidio, fanno quello che vogliono, senza far soffrire la gente one-sta.» C'era una lodevole assenza di acrimonia nel tono di Groghe, pensò Robinton, considerando ciò che aveva sofferto la sua Fortezza per la con-dotta irresponsabile di T'ron al Weyr di Fort. «Il fatto è questo: il Conti-nente Meridionale è grande e pieno di bruchi, quindi conta poco che gli

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Antichi volino o no per combattere i Fil: non possono fare danni gravi.» «Sei mai rimasto fuori dalla tua Fortezza durante la Caduta dei Fili?»

chiese F'lar a Groghe. «Io? No! Mi credi pazzo? No, ma quella banda di giovani, pronti a bat-

tersi perché qualcuno getta a terra un guanto... D'accordo, si battono a pu-gni, ed io tengo solo armi spuntate, ma fanno abbastanza baccano per met-termi addosso la voglia di andare in mezzo o chissà dove... Oh, ti capisco, Comandante del Weyr,» aggiunse cupamente, mentre le sue dita eseguiva-no una rapida danza sull'alta cintura. «Sì, rende le cose più difficili, no? Non siamo abituati a vivere senza Fortezze, no? Toric non aspira a ingran-dire la sua? Bisogna fare qualcosa per i giovani. E non solo nella mia For-tezza, eh, Sangel?»

«Se posso fare una proposta,» s'intromise pronto Robinton, quando vide che F'lar esitava. Considerando l'alacrità con cui F'lar gli accennò di pro-seguire, doveva essergli grato dell'interruzione. «Bene, mezzo Giro fa, il quinto figlio del Nobile Groghe, Benelek, ebbe un'idea per migliorare una macchina per il raccolto. Il Maestro Fabbro suggerì d'interessare Fandarel. E in verità il buon Maestro Fandarel se ne interessò. Il giovane Benelek andò a Telgar per ricevere un'istruzione speciale, e convinse anche uno dei figli del Signore delle Terre Alte ad accompagnarlo, perché anche lui era portato per la meccanica. Insomma, per tagliar corto, adesso ci sono otto figli di Signori delle Fortezze nella Sede dell'Arte dei Fabbri, e tre ragazzi d'origine artigiana che mostrano un eguale talento per quell'Arte.»

«Che cosa proponi, Robinton?» «Le mani oziose tendono ad operare male. Mi piacerebbe vedere un

gruppo speciale di giovani, reclutati in tutte le Arti e in tutte le Fortezze, che si scambiassero idee anziché insulti.»

Groghe borbottò. «Loro vogliono terra, non idee. E il Continente Meri-dionale?»

«Si può prendere in esame quella soluzione, sicuramente,» disse Robin-ton, trattando l'insistenza di Groghe con la maggiore disinvoltura che osas-se adottare. «Gli Antichi non vivranno in eterno.»

«In verità, Nobile Groghe, non siamo affatto contrari ad estendere gli in-sediamenti nel Continente Meridionale,» disse F'lar. «È solo che...»

«Bisogna scegliere il momento,» concluse Lessa, quando lui esitò. C'era uno strano scintillio, nei suoi occhi, e l'Arpista pensò che doveva avere anche altre riserve.

«Non dovremo attendere la fine di questo Passaggio, mi auguro,» com-

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mentò stizzito Sangel. «No, purché non corriamo il rischio di disonorare la nostra parola,» dis-

se F'lar. «Se ci pensi bene, i Weyr hanno concordato di esplorare il Conti-nente Meridionale...»

«I Weyr hanno concordato anche di liberarci dei Fili e della Stella Ros-sa,» disse Sangel, ormai adirato.

«F'nor e Canth portano ancora le cicatrici di quella Stella,» gli rammentò Lessa, indignata nel sentir criticare i Weyr.

«Non volevo offendere nessuno, Dama del Weyr, F'lar, F'nor,» disse Sangel borbottando, senza impegnarsi troppo a mascherare l'irritazione.

«Un'altra ragione per cui sarebbe forse salutare educare i giovani a sco-prire modi nuovi di fare le cose,» disse Robinton, fuorviando abilmente il Nobile Sangel.

Robinton era molto soddisfatto dell'atteggiamento di Sangel. Aveva ri-cordato a F'lar e a Lessa che i Signori delle Fortezze più vecchi erano tut-tora convinti che i dragonieri, se si fossero impegnati, avrebbero potuto distruggere i Fili all'origine, sulla Stella Rossa, ponendo per sempre fine alla minaccia che costringeva la gente a restare chiusa nelle Fortezze. Tut-tavia, ritenne sufficiente quell'accenno e si affrettò a cambiare argomento.

«Il mio archivista, Maestro Arnor, sta perdendo la vista per cercare di decifrare Cronache scritte su pelli ormai consunte. Se la cava bene, ma qualche volta penso che non comprenda quello che sta salvando, e che quindi, involontariamente, sbagli a trascrivere le parole poco chiare. Anche Fandarel si è lagnato dello stesso problema. È fermamente convinto che alcuni dei misteri delle Antiche Cronache siano dovuti ad errori di copiatu-ra. Ora, se avessimo copisti che conoscessero il mestiere...»

«Mi piacerebbe che Jaxom acquisisse una certa competenza in questo campo,» disse Lytol.

«Speravo che l'avresti proposto.» «Non rimangiarti l'offerta di accettare mio figlio, Lytol,» disse Groghe. «Beh, se Jaxom...» «Non vedo motivo di non adottare entrambe le soluzioni,» disse Robin-

ton. «Potremmo avere ragazzi della sua età e del suo rango ospiti come figli adottivi qui, dove Jaxom deve imparare a governare la Fortezza; ma Jaxom imparerebbe molte altre cose insieme ad altri giovani di rango e d'estrazione diversi.»

«Dopo la carestia, un banchetto?» chiese N'ton, a voce così bassa che so-lo Robinton e Menolly l'udirono. «E a proposito di banchetti, ecco il nostro

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ospite d'onore!» Jaxom stava esitante sulla soglia; ricordò le buone maniere quanto ba-

stava per rivolgere un inchino ai presenti. «Ruth è sistemato, no, Jaxom?» chiese Lessa in tono gentile, invitando il

ragazzo al suo fianco con un gesto. «Sì, Lessa.» «Sono state sistemate anche altre cose, parente,» continuò lei, quando

notò l'occhiata apprensiva di Jaxom. «Tu conosci mio figlio Horon, no? Ha la tua età,» disse Groghe. Jaxom annuì, stupito. «Bene, verrà come figlio adottivo qui, a farti compagnia.» «E forse verranno anche altri ragazzi,» disse Lessa. «Ti farebbe piace-

re?» Robinton notò che Jaxom spalancava gli occhi incredulo e deviava lo

sguardo da Lessa a Groghe, e poi fissava di nuovo Lytol, sino a quando quello annuì solennemente.

«E quando Ruth avrà imparato a volar bene, che ne diresti di venire alla mia Sede, per vedere se posso insegnarti, sul conto di Pern, qualcosa che Lytol non sa?» chiese Robinton.

«Oh, signore.» Jaxom guardò di nuovo il suo tutore. «Davvero posso fa-re tutte queste cose?» C'erano una gioia ed un sollievo inequivocabili nella voce di Jaxom.

II

Weyr di Benden, Passaggio Attuale, 13° Giro. Il crepuscolo stava calando sul Weyr di Benden mentre Robinton saliva

la scala del weyr della regina, come aveva fatto tante altre volte in quegli ultimi tredici Giri. Si soffermò, per riprendere fiato e per parlare all'uomo che lo seguiva.

«Tempismo perfetto, Toric. Non credo che nessuno abbia notato il no-stro arrivo. E certamente non troveranno da ridire sulla presenza di N'ton,» aggiunse, indicando il Comandante del Weyr di Fort che in quel momento attraversava la Conca, dirigendosi verso le caverne illuminate delle cucine.

Toric non lo guardava. Fissava il cornicione dove il bronzeo Mnementh

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stava accovacciato a guardare i nuovi arrivati, con gli occhi sfaccettati che brillavano nella luce fioca. Zair, la lucertola di fuoco di Robinton, reagì piantando le unghie nell'orecchio dell'Arpista e avvolgendogli più stretta-mente la coda intorno al collo.

«Non ti farà alcun male, Zair,» disse Robinton: ma si augurava che quel messaggio servisse a tranquillizzare anche il Signore del Forte Meridiona-le, teso in volto per lo stupore.

«È grande quasi il doppio delle bestie degli Antichi,» fece Toric, con voce rispettosamente abbassata. «Ed io che pensavo fosse grosso Lioth di N'ton!»

«Credo che Mnementh sia il bronzeo più grande,» disse Robinton, con-tinuando a salire gli ultimi gradini. Era preoccupato da quell'oppressione al petto. Aveva sperato che il recente, inaspettato riposo avrebbe alleviato quel disturbo. Doveva ricordare di parlarne al Maestro Oldive. «Buonase-ra, Mnementh,» disse, quando fu giunto sull'ultimo scalino, inchinandosi verso il grande bronzeo. «Sarebbe indelicato passargli davanti senza salu-tarlo,» spiegò sottovoce a Toric. «È questo è il mio amico Toric, che Lessa e F'lar stanno aspettando.»

Lo so. Ho detto loro che siete arrivati. Robinton si schiarì la gola. Non si aspettava mai una risposta al suoi

convenevoli, ma si sentiva sempre molto lusingato, quando Mnementh rispondeva. Tuttavia, non confidò a Toric il commento del drago. Quel-l'uomo sembrava già abbastanza sconvolto.

Toric si affrettò ad avviarsi verso il breve corridoio, mettendo Robinton tra sé e il bronzeo Mnementh.

«Devo avvertirti,» disse Robinton, cercando di non lasciar trapelare il suo divertimento, «che Ramoth è ancora più grossa!»

La reazione di Toric fu un borbottio che si dissolse in un'esclamazione soffocato quando il corridoio sfociò nella grande camera rocciosa che era la casa della regina di Benden. Ramoth dormiva sul suo giaciglio di pietra, con la testa a forma di cuneo rivolta verso di loro, scintillante di riflessi d'oro nella luce delle lampade che rischiaravano il weyr.

«Robinton, sei tornato!» esclamò Lessa, correndo verso di lui con un gran sorriso. «E così abbronzato!»

Con lieta sorpresa dell'Arpista, lo strinse in un rapido, inatteso abbrac-cio.

«Dovrei perdermi più spesso nella tempesta,» riuscì a dire lui in tono leggero, sogghignando più bricconescamente che poteva, mentre il cuore

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gli batteva forte nel petto. Lei era stata così vibrante e Beve, nell'abbrac-ciarlo.

«Non provartici!» Lessa gli lanciò un'occhiata mista di collera, sollievo e indignazione; poi il suo viso mobilissimo si atteggiò ad un sorriso più dignitoso, dedicato all'altro ospite. «Toric, sei il benvenuto, qui, e grazie per aver salvato il nostro buon Maestro Arpista.»

«Io non ho fatto niente,» rispose Toric, sorpreso. «Lui ha avuto un vero colpo di fortuna. Poteva annegare, in quel fortunale.»

«Non per nulla Menolly è la figlia del proprietario d'una Tenuta Mari-na,» disse l'Arpista, schiarendosi la gola nel ricordare quelle ore terribili. «È stata lei a tenerci a galla. Anche se, ad un certo punto, non ero sicuro che ci tenesse a restar viva!»

«Allora non sei un buon marinaio, Robinton?» chiese F'lar con una risa-ta. Strinse il braccio del meridionale in atto di saluto mentre, con la mano sinistra, batteva affettuosamente sulla spalla dell'Arpista.

All'improvviso, Robinton si rese conto che la sua avventura aveva avuto inquietanti ripercussioni in quel Weyr. E ne era soddisfatto e addolorato. Certo, durante la tempesta, era stato troppo occupato con il suo stomaco ribelle per pensare a qualcosa di più che a sopravvivere alla prossima on-data, pronta ad abbattersi sulla loro piccola imbarcazione. La bravura di Menolly gli aveva impedito di comprendere il pericolo imminente. Poi si era reso conto della situazione, e si era chiesto se Menolly aveva dominato la propria paura per non disonorarsi ai suoi occhi. Aveva usato tutte le sue conoscenze marinaresche, riuscendo a salvare quasi tutta la vela strappata dal vento, lanciando un'ancora galleggiante e legandolo all'albero quando la nausea e il vomito l'avevano indebolito troppo.

«No, F'lar, non sono un marinaio,» disse Robinton con un brivido. «La-scio il mare a quelli che sono nati per l'arte.»

«E seguirai il loro consiglio,» aggiunse Toric, un po' acido. Si rivolse ai Comandanti del Weyr. «Non è neppure capace di sentire il tempo che cambia. E naturalmente, Menolly non si rendeva conto della forza della Corrente Occidentale in questo periodo dell'anno.» Alzò le spalle, per far capire che lui non poteva nulla, contro una simile stupidità.

«È per questo che siete stati trascinati tanto lontani dal Continente Meri-dionale?» chiese F'lar, indicando ai visitatori di accomodarsi al tavolo ro-tondo, in un angolo della grande sala.

«Cosi mi hanno detto,» rispose Robinton, facendo una smorfia al pensie-ro delle lunghe lezioni ricevute su correnti, maree, derive e venti. Adesso

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ne sapeva più di quanto sperava di dover mai sapere, su quegli aspetti del-l'arte della navigazione.

Lessa rise del suo tono ironico e versò il vino. «Ma ti rendi conto,» chiese lui, rigirando il bicchiere fra le dita, «che a

bordo non c'era neppure una goccia di vino?» «Oh, no!» esclamò Lessa, con comico rammarico. F'lar rise con lei.

«Che privazione!» Poi Robinton affrontò lo scopo della sua visita. «Tuttavia, è stato un in-

cidente fortunato. Miei cari Comandanti del Weyr, il Continente Meridio-nale è considerevolmente più grande di quanto avessimo mai pensato.» Lanciò un'occhiata a Toric, e quello estrasse una mappa che aveva copiato frettolosamente dall'altra, più grande, custodita nella sua Fortezza. F'lar e Lessa si affrettarono a tenerne gli angoli, per stendere la pelle rigida. Il Continente Settentrionale era ben dettagliato, e così pure la parte conosciu-ta del Continente Meridionale. Robinton indicò la penisola meridionale, dove stavano il Weyr e la Fortezza di Toric, poi accennò a destra e a sini-stra dove la costa e buona parte dell'interno, diviso da due fiumi, erano state rappresentate topograficamente. «Toric non è stato in ozio. Potete vedere quanto ha ampliato la conoscenza del territorio oltre quel che poté fare F'nor durante il suo viaggio al Sud.»

«Ho chiesto a T'ron il permesso di continuare l'esplorazione.» L'espres-sione del meridionale rispecchiava disprezzo e antipatia. «Ma mi ha ascol-tato appena, e ha detto che potevo fare quel che volevo, purché il Weyr venisse adeguatamente rifornito di selvaggina e frutta fresca.»

«Rifornito?» esclamò F'lar. «Ma basterebbe che si allontanassero di po-chissimo dai Weyr per procurarsi tutto quello che gli occorre.»

«Qualche volta lo fanno. Ma per me è meglio convincere quelli della mia Fortezza ad accontentarli. Così non ci danno fastidio.»

«Perché, vi danno fastidio?» Il tono di Lessa era indignato. «È come ho detto, Dama del Weyr,» rispose Toric, con una nota ferrea

nella voce; tornò a guardare la mappa. «I miei sono riusciti a penetrare fin qui, nell'entroterra. È assai difficile muoversi. La vegetazione della giungla è molto solida, e in un'ora smussa anche le lame più affilate. Non ho mai visto piante simili! Sappiamo che qui ci sono colline, e più oltre una catena di montagne.» Batté il dito sulla mappa. «Ma non mi sorride l'idea di a-prirmi la strada nella giungla per arrivarci. Perciò abbiamo esplorato lungo la costa, abbiamo trovato questi due fiumi e li abbiamo risaliti fin dove è stato possibile. Il fiume occidentale finisce in un lago acquitrinoso, quello

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di Sud-Est ad una cascata, alta sei o sette lunghezze di drago.» Toric si raddrizzò, fissando con vago disgusto il breve tratto di territorio esplorato. «Direi che, anche se il continente non si spinge più a Sud di quella catena, è grande il doppio del Boll Meridionale o di Tillek!»

«E agli Antichi non interessa esplorare il loro territorio?» Robinton si accorse che F'lar giudicava inammissibile quella mentalità.

«No, Comandante del Weyr! E sinceramente, senza un modo più facile per penetrare in mezzo a quella vegetazione,» continuò Toric, battendo la mano sulla pelle, «io non ho né gli uomini né l'energia per farlo. Ho tutta la terra di cui posso occuparmi, in questo momento, pur facendo in modo che i miei siano al sicuro dai Fili.» Indugiò. Sebbene Robinton intuisse perché stava esitando, l'Arpista voleva che i Comandanti del Weyr venis-sero a conoscere di prima mano il pensiero di quell'energico meridionale. «E molto spesso i dragonierí non si preoccupano neppure di questo.»

«Cosa?» sbottò Lessa, ma F'lar le sfiorò la spalla. «È quel che mi domandavo, Toric.» «Ma come osano?» continuò Lessa, lanciando lampi dagli occhi grigi.

Ramoth si agitò sul suo giaciglio. «Osano, eccome,» disse Toric, guardando nervosamente la regina. Robinton, tuttavia, si accorse che la reazione sgomenta di Lessa al com-

portamento indegno degli Antichi aveva fatto piacere a Toric. «Ma... ma...» Lessa balbettava per il furore. «E tu riesci a cavartela, Toric?» chiese F'lar, calmando la sua compagna

con un gesto. «Ho imparato,» rispose quello. «Abbiamo parecchi lanciafiamme: F'nor

li ha affidati a me. Manteniamo i nostri insediamenti liberi dall'erba, e chiudiamo le bestie in stalle di pietra, durante la Caduta.» Scrollò le spalle, con diffidenza, poi sorrise lievemente dell'espressione indignata della Da-ma del Weyr. «Non ci fanno alcun male, Lessa, anche se non ci fanno cer-to del bene. Non preoccuparti. Possiamo cavarcela.»

«Non si tratta di questo,» fece irosamente Lessa. «Sono dragonieri, e hanno giurato di proteggere...»

«Li avete mandati al Sud proprio perché non lo erano,» le rammentò To-ric «Perché non potessero far male a nessuno, qui.»

«Questo non dà loro il diritto di...» «Te l'ho detto, Lessa. Non ci fanno alcun male. Ce la caviamo benissimo

senza di loro!» Il tono di sfida di Toric mozzò il respiro di Robinton. Lessa aveva un ca-

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rattere suscettibile. «C'è qualcosa che il Nord possa fare per voi?» chiese F'lar, quasi per

scusarsi indirettamente. «Speravo proprio che me lo chiedessi,» disse il meridionale con un sor-

riso ironico. «So che non potete disonorarvi interferendo con gli Antichi, al Sud. Non che mi dispiaccia...» aggiunse prontamente, quando vide che Lessa stava per protestare di nuovo. «Ma siamo a corto di certo materiale, per esempio metallo forgiato per il mio Fabbro, e pezzi dei lanciafiamme che, dice, solo Fandarel è capace di fabbricare.»

«Ti farò avere il necessario.» «E vorrei che una mia giovane sorella, Sharra, studiasse con quel guari-

tore di cui mi ha parlato l'Arpista, Maestro Oldive. Abbiamo strane febbri e infezioni bizzarre.»

«Naturalmente, tua sorella sarà la benvenuta,» rispose prontamente Les-sa. «E la nostra Manora è esperta nel preparare rimedi con le erbe.»

«E...» Toric esitò un momento, sbirciando Robinton, che si affrettò a rassicurarlo con un sorriso ed un gesto incoraggiante. «Se ci fossero uomi-ni e donne amanti dell'avventura, disposti a trasferirsi nella mia Fortezza, credo che potrei accoglierli all'insaputa degli Antichi. Non molti, capite, perché anche se abbiamo tutto lo spazio di questo mondo, certuni si spa-ventano quando non ci sono draghi in volo durante la Caduta dei Fili.»

«Ma certo,» disse F'lar, con una noncuranza che indusse Robinton a sof-focare una risata. «Credo che ci siano alcuni ardimentosi ben disposti ad unirsi a voi.»

«Bene. Se ne avrò abbastanza per mandare avanti a dovere la mia For-tezza, allora prevedo che potremo estenderci oltre i fiumi, alla prossima stagione fresca.» Il sollievo di Toric era trasparente.

«Mi pareva avessi detto che era impossibile...» incominciò F'lar. «Non impossibile. Solo difficile,» rispose Toric, e aggiunse con un sor-

riso: «Ho uomini disposti a continuare nonostante tutto, e mi piacerebbe sapere cosa c'è là fuori.»

«Piacerebbe anche a noi,» fece Lessa. «Gli Antichi non dureranno in e-terno.»

«È un pensiero che mi consola spesso,» rispose Toric. «Ma c'è una co-sa...» S'interruppe, e socchiuse gli occhi per fissare i due Comandanti del Weyr di Benden.

Fino a quel momento, l'audacia di Toric aveva rallegrato Robinton. L'Arpista era soddisfattissimo di averlo indotto a chiedere proprio quello di

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cui il Nord aveva più bisogno... un luogo dove mandare uomini capaci e indipendenti che non avevano possibilità di assicurarsi fortezze nel Conti-nente Settentrionale. I modi del meridionale erano una novità per i Co-mandanti del Weyr di Benden: né sottomessi e supplichevoli, né aggressivi ed esigenti. Toric era diventato indipendente perché non aveva nessuno su cui contare, dragonieri, Maestri delle Arti o Signori delle Fortezze. Poiché era sopravvissuto, aveva fiducia in se stesso, e sapeva quel che voleva e come ottenerlo. Perciò si rivolgeva a F'lar e a Lessa da pari a pari.

«Un piccolo particolare che vorrei chiarire,» continuò. «Sì?» l'invitò F'lar. «Cosa ne sarà della Fortezza Meridionale, dei miei e di me, quando gli

ultimi Antichi non ci saranno più?» «Direi che ti sei ben guadagnato il diritto di governare,» rispose lenta-

mente F'lar, accentuando l'ultima parola, «quello che sei riuscito a strappa-re alla giungla.»

«Bene!» Toric annuì energicamente, senza distogliere gli occhi da quelli di F'lar. Poi, all'improvviso, la sua faccia abbronzata si aprì in un sorriso. «Avevo dimenticato come siete voi settentrionali. Mandatemi qualcuno...»

«Terranno quello che avranno bonificato?» chiese prontamente Robin-ton.

«Sì,» rispose in tono grave Toric. «Ma non mandatemi troppa gente. Dovrò piazzarli di nascosto, quando gli Antichi non guardano.»

«Quanti sei in grado di piazzarne di nascosto... senza difficoltà?» chiese F'lar.

«Oh, sei od otto, la prima volta. Poi, quando avranno le loro tenute, ri-cominceremo daccapo.» E sorrise. «I primi costruiranno per sé, prima che ne arrivino altri. Ma al Sud lo spazio non manca.»

«È consolante, perché anch'io ho i miei progetti per il Sud,» disse F'lar. «E questo mi ricorda una cosa: Robinton, fin dove vi siete spinti, verso Est, tu e Menolly?»

«Vorrei essere in grado di risponderti. So dove eravamo arrivati, quando è scoppiata la tempesta. Il posto più bello che abbia mai visto, un perfetto semicerchio di spiaggia dalla sabbia candida, con un'immensa montagna conica, lontanissima, proprio al centro della baia...»

«Ma siete tornati lungo la costa, no?» F'lar era impaziente. «Com'era?» «C'era,» disse Robinton, evasivamente. «Non so dire altro...» Lanciò u-

n'occhiataccia a Toric che ridacchiava. «Potevamo scegliere: o navigare vicino a terra, e Menolly diceva che era impossibile, poiché non conosce-

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vamo i fondali; oppure tenendoci abbastanza lontano dalla costa per stare al di là della Corrente Occidentale, che evidentemente ci avrebbe riportati nella baia. Come ho detto, è un posto bellissimo, ma sono stato ben lieto di lasciarlo per un po'. Quindi, anche se la terra c'era, non risultava abbastan-za vicina perché potessi osservarla.»

«Che peccato.» F'lar appariva dispiaciuto. «Sì e no,» rispose Robinton. «Abbiamo impiegato nove giorni per torna-

re indietro lungo quella costa. Toric ne avrà, di terra da esplorare.» «Sono dispostissimo a farlo, e sarò pronto, se riceverò il materiale ne-

cessario...» «Come possiamo spedirtelo, Toric?» chiese F'lar. «Non osiamo mandar-

telo a dorso di drago, anche se sarebbe più semplice, dal mio punto di vi-sta.»

Robinton ridacchiò e strizzò l'occhio. «In quanto a questo, se per caso un'altra nave dovesse venire spinta fuori rotta, a Sud della Fortezza di I-sta... Recentemente ho parlato con Maestro Idarolan, e lui mi ha detto che in questo Giro le tempeste sono diventate veramente tremende.»

«È così che tu sei capitato al Sud?» chiese Lessa. «E come, se no?» rispose Robinton, con l'espressione più innocente.

«Menolly cercava d'insegnarmi a navigare, ed è scoppiata all'improvviso una tempesta che ci ha spinti proprio nel porto di Toric. Non è così, To-ric?»

«Se lo dici tu, Arpista!»

III Mattino alla Fortezza di Ruatha e alla Sede dell'Arte dei Fabbri, Fortezza di Telgar, Passaggio Attuale, 15.5.9. Con una violenza che fece sobbalzare tutte le coppe ed i piatti, Jaxom

batté i pugni sul pesante tavolo di legno. «Basta!» disse nel silenzio sor-preso. Era in piedi, e buttava all'indietro le ampie spalle magre perché le braccia erano indolenzite dai colpi. «Basta!»

Non gridava, come ricordò più tardi con compiacimento; ma la sua voce era resa più profonda da quell'esplosione di collera a lungo repressa, e

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giungeva in fondo alla Sala. La sguattera che stava portando un'altra caraf-fa di klah caldo si fermò confusa.

«Io sono il Signore di questa Fortezza,» continuò Jaxom, fissando prima Dorse, il suo fratello di latte. «Sono il cavaliere di Ruth. È indiscutibilmen-te un drago.» Jaxom girò lo sguardo su Brand, il maggiordomo che era rimasto a bocca spalancata per la sorpresa. «E come al solito...» Gli occhi di Jaxom sfiorarono il volto sconcertato di Lytol. «Come al solito gode dell'ottima salute di cui ha sempre goduto dopo la Schiusa.» Jaxom passò oltre i quattro figli adottivi che erano arrivati da troppo poco tempo a Rua-tha per aver cominciato a farsi beffe di lui. «E sì,» disse direttamente a Deelan, la balia, che ascoltava con labbra tremanti quella sorprendente esplosione. «Questo è il giorno in cui andrò alla Sede dell'Arte dei Fabbri dove, come tutti sapete, verrò trattato con il vitto e la cortesia dovuti alle mie esigenze e alla mia posizione. Perciò,» e il suo sguardo girò sui volti dei commensali, «l'argomento della conversazione di questa mattina non deve venire trattato di nuovo in mia presenza. Mi sono spiegato?»

Non attese una risposta, ma uscì a passo deciso dalla Sala, felice di aver detto finalmente quel che aveva sullo stomaco, e sentendosi un po' colpe-vole per aver perso la calma. Sentì che Lytol lo chiamava, ma per una vol-ta non gli obbedì.

In questa occasione non sarebbe stato Jaxom, per quanto giovane, a scu-sarsi per il suo comportamento. L'elenco interminabile di episodi del gene-re, coraggiosamente trangugiati o dimenticati per una quantità di ragioni logiche, travolgeva ogni pensiero, tranne il desiderio di mettere la massima distanza possibile tra sé e la Fortezza, il suo tutore troppo ragionevole e coscienzioso e il gruppo fastidioso di individui che scambiavano l'intimità quotidiana per il diritto ad ogni licenza.

Ruth, captando l'inquietudine del suo cavaliere, uscì precipitosamente dalla vecchia stalla che era il suo weyr alla Fortezza di Ruatha. Le ali ap-parentemente fragili del drago bianco erano semischiuse, mentre accorreva in aiuto del suo compagno.

Con un respiro che era quasi un singulto, Jaxom balzò sul dorso di Ruth e lo esortò a involarsi dal cortile, proprio mentre Lytol appariva sulla so-glia della massiccia porta della Fortezza. Jaxom girò la faccia, per poter dire più tardi, in tutta sincerità, di non aver visto il cenno del suo tutore.

Ruth batté energicamente le ali e salì: la sua leggera massa si lanciava più facilmente nell'aria di quella dei draghi normali.

«Sei due volte più drago degli altri! Due volte! Sei migliore in tutto! In

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tutto!» Il pensiero di Jaxom era così turbolento che Ruth barrì in tono di sfida.

Sbalordito, il drago marrone di guardia l'interrogò dalle alture dei fuochi e tutte le lucertole di fuoco della Fortezza si materializzarono intorno a Ruth, tuffandosi e risalendo, lanciando trilli che riecheggiavano la sua agi-tazione.

Ruth superò le alture dei fuochi e poi passò in mezzo, trasferendosi senza sbagliare nei pressi del lago montano sopra la Fortezza, che era diventato il loro rifugio.

Il freddo penetrante che regnava in mezzo, per quanto il passaggio fosse stato fulmineo, calmò i bollori di Jaxom. Rabbrividì, poiché indossava soltanto una tunica senza maniche, mentre Ruth planava agilmente verso l'acqua.

«È assolutamente ingiusto!» disse, battendosi così forte il pugno destro sulla coscia che Ruth grugnì.

Che cosa ti turba, oggi? chiese il drago, mentre atterrava elegantemente in riva al lago.

«Tutto! Niente!» Cosa? Ruth ci teneva a venire informato, e girò la testa per guardare il

suo cavaliere. Jaxom si lasciò scivolare dal morbido dorso bianco e cinse il collo del

drago con le braccia, attirando a sé la testa affusolata per cercare conforto. Perché lasci che loro ti sconvolgano tanto? chiese Ruth, con gli occhi

che turbinavano di affetto per il compagno. «Una domanda intelligente,» rispose Jaxom, dopo un lungo istante di ri-

flessione. «Ma loro sanno esattamente come fare.» Poi rise. «Ecco dove dovrebbe intervenire l'obiettività di cui parla tanto Robinton... ma non in-terviene affatto.»

Il Maestro Arpista viene onorato per la sua saggezza. Ruth sembrava incerto, e il suo tono fece sorridere Jaxom.

Gli avevano detto e ripetuto che i draghi non erano capaci di comprende-re i concetti astratti e le relazioni complesse. Ma troppe volte Ruth lo ave-va sorpreso con osservazioni che gettavano dubbi su quella teoria. I draghi, e soprattutto Ruth, secondo l'opinione parziale di Jaxom, evidentemente avevano percezioni molto più acute di quelle che venivano loro attribuite. Persino da Comandanti dei Weyr come F'lar e Lessa e addirittura N'ton. Il pensiero del Comandante del Weyr di Fort rammentò a Jaxom che adesso aveva una ragione particolare per trasferirsi alla Sede dei Fabbri, quella

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mattina. N'ton, che sarebbe stato là ad ascoltare Wansor, era l'unico drago-niere che, ne era convinto, sarebbe stato disposto ad aiutarlo.

«Per tutti i Gusci!» Jaxom sferrò rabbiosamente un calcio ad una pietra, e guardò le increspature che si formarono sull'acqua, mentre quella rimbal-zava sulla superficie, e poi sprofondava.

Robinton aveva spesso usato l'effetto delle increspature per dimostrare come una piccola azione produceva reazioni multiple. Jaxom sbuffò, chie-dendosi quante increspature aveva causato quel mattino precipitandosi fuori dalla Sala. E perché si era irritato tanto, proprio quel mattino? Era cominciato come tutti gli altri giorni, con i triti commenti di Dorse sulle lucertole di fuoco troppo cresciute, con le solite domande di Lytol sulla salute di Ruth - come se il drago potesse finire consunto dalla sera alla mattina - mentre Deelan ripeteva la solita, nauseante calunnia secondo cui i visitatori soffrivano la fame alla Sede dei Fabbri. Certo, le premure ma-terne di Deelan da un po' di tempo avevano cominciato a infastidire Ja-xom, soprattutto quando quella santa donna lo coccolava invariabilmente al cospetto del suo fremente figlio naturale, Dorse. Erano tutte le solite, vecchie e logore stupidaggini che incominciavano la giornata, ogni giorna-ta, alla Fortezza di Ruatha. Perché, proprio oggi, l'avevano fatto balzare in piedi infuriato e l'avevano spinto a scappare dalla Sala di cui era il Signore, fuggendo da coloro su cui, in teoria, deteneva la supremazia?

E Ruth non aveva niente che non andava. Niente. No. Sto benone, disse Ruth, poi aggiunse, in tono lamentoso: Solo, non

ho avuto tempo di fare la mia nuotata. Jaxom gli accarezzò le morbide arcate sopracciliari, con un sorriso in-

dulgente. «Mi dispiace di aver rovinato la mattinata anche a te.» Oh, non me l'hai rovinata. Nuoterò nel lago. C'è più tranquillità, qui,

disse Ruth, strofinando il muso contro Jaxom. E ci starai meglio anche tu. «Lo spero.» Jaxom era incapace di collera, e risentiva per la violenza dei

suoi sentimenti, e contro coloro che lo avevano spinto ad infuriarsi. «È meglio nuotare. Sai che dobbiamo andare alla Sede dell'Arte dei Fabbri.»

Ruth aveva appena spiegato le ali quando uno sciame di lucertole di fuo-co apparve nell'aria sopra di lui, trillando all'impazzata e irradiando pensie-ri di soddisfazione per l'abilità con cui l'avevano trovato. Una sparì imme-diatamente, e Jaxom provò un'altra fitta d'irritazione. Lo tenevano d'oc-chio, eh? Avrebbe dovuto dare un altro ordine, appena tornato alla Fortez-za. Chi credevano che fosse, un poppante o un Antico?

Sospirò, pentito. Certo, si erano preoccupati per lui quando s'era precipi-

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tato fuori dalla Fortezza. Anche se non era probabile che andasse da qual-che altra parte, oltre al lago. Anche se non poteva capitargli nulla di male, in compagnia di Ruth, e anche se lui e Ruth non potevano andare in nessun posto dove le lucertole di fuoco non riuscissero a trovarli.

Il risentimento si riaccese, questa volta contro le sciocche lucertole di fuoco. Perché, fra tutti i draghi, erano proprio le lucertole a provare una curiosità insaziabile nei confronti di Ruth? Dovunque loro due andassero, su Pern, tutte le lucertole di fuoco dei dintorni schizzavano fuori per am-mirare sbalordite il drago bianco. Questo divertiva Jaxom, un tempo, per-ché le lucertole avevano l'abitudine di trasmettere a Ruth le immagini più incredibili delle cose che ricordavano, e Ruth comunicava a lui le più inte-ressanti. Ma quel giorno, com'era avvenuto per tutto il resto, il divertimen-to s'era trasformato in acida irritazione.

«Analizza,» amava ripetergli Lytol. «Pensa obiettivamente. Non puoi governare gli altri fino a quando non avrai imparato a controllare te stesso e ad avere una visione più ampia.»

Jaxom trasse un paio di profondi respiri, come gli aveva raccomandato di fare Lytol prima di parlare, per organizzare quanto si accingeva a dire.

Ruth stava sorvolando le acque azzurrocupe del lago, e le lucertole di fuoco attorniavano la sua figura elegante. All'improvviso ripiegò le ali e si tuffò. Jaxom rabbrividì, chiedendosi come facesse Ruth a gradire le acque freddissime, alimentate dalle cime incappucciate di neve delle Alte Vette. Nel calore afoso dell'estate, spesso Jaxom lo trovava piacevole; ma adesso che l'inverno era appena trascorso... Rabbrividì di nuovo. Bene, se i draghi non sentivano il freddo in mezzo, tanto più intenso, un tuffo in un lago ge-lido non poteva essere fastidioso.

Ruth riemerse, e le onde si irraggiarono fino alla riva, ai piedi di Jaxom. Pigramente, il giovane spogliò un ramo dai fitti aghi e li lanciò, uno dopo l'altro, nelle increspature. Bene, un'onda di reazione alla sua esplosione di quel mattino era stato l'invio delle lucertole di fuoco per rintracciarlo.

Un'altra era stata l'espressione di sbalordimento sulla faccia di Dorse. Era stata la prima volta che Jaxom s'era ribellato al suo fratello di latte anche se, per tutti i Gusci!, era stato solo il pensiero di dispiacere a Lytol a tenerlo a freno tanto a lungo. Dorse si divertiva immensamente a prendere in giro Jaxom per la piccolezza di Ruth, mascherando i suoi commenti maligni con toni fintamente fraterni, poiché sapeva troppo bene che Jaxom non poteva reagire senza che Lytol lo rimproverasse per una condotta in-degna del suo rango e della sua posizione. Jaxom non sentiva più da tempo

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il bisogno delle premure di Deelan, ma la sua innata bontà e la gratitudine per il latte con cui l'aveva nutrito dopo la sua nascita prematura gli aveva-no impedito di chiedere a Lytol che gliela togliesse di torno.

Quindi perché, proprio oggi, c'era stata quell'esplosione.? La testa di Ruth emerse di nuovo dall'acqua; gli occhi sfaccettati riflette-

vano il fulgido sole del mattino in limpide sfumature verdi e azzurre. Le lucertole di fuoco gli ripulivano la schiena con le ruvide lingue e gli artigli, staccando particelle infinitesimali di polvere, spruzzandolo d'acqua con le ali, mentre la loro pelle, bagnata, appariva più scura.

La lucertola verde si voltò per urtare con il naso una delle due azzurre, e batté l'ala su quella marrone per indurla a lavorare in modo più soddisfa-cente. Nonostante l'irritazione, Jaxom rise nel vedere quella scena. Era la verde di Deelan, e aveva modi così simili alla sua balia che lui rammentò l'assioma dei Weyr, secondo cui un drago somigliava sempre al suo com-pagno.

In quanto a questo, Lytol non aveva reso un cattivo servigio a Jaxom. Ruth era il drago migliore di tutto Pern. Se - e adesso Jaxom riconosceva la causa profonda della sua ribellione - a Ruth fosse stato permesso di es-sere ciò che era. Subito la collera frustrata di quel mattino ritornò, distrug-gendo quel po' di obiettività riconquistata sulla riva tranquilla del lago. Né lui, Jaxom, Signore di Ruatha, né Ruth, il piccolo drago bianco della cova-ta di Ramoth, erano autorizzati ad essere ciò che erano veramente.

Jaxom era Signore di Ruatha soltanto di nome, perché Lytol governava la Fortezza, prendeva tutte le decisioni, e parlava in Consiglio a nome di Ruatha. Jaxom doveva ancora venire confermato dagli altri Signori delle Fortezze quale Signore di Ruatha. Certo, era soltanto una formalità, perché su Pern non c'era nessun altro maschio del Sangue di Ruatha. Inoltre, Les-sa, l'unica Ruathana di sangue puro, aveva rinunciato al suo diritto in favo-re di Jaxom al momento in cui egli era nato.

Jaxom sapeva che non avrebbe mai potuto diventate un dragoniere, per-ché doveva essere il Signore di Ruatha. Ma in realtà non era un Signore, perché non poteva presentarsi a Lytol per dirgli: «Sono abbastanza grande per comandare io! Grazie, e tanti saluti.» Lytol si era adoperato per troppo tempo, con impegno enorme, per rendere prospera Ruatha, e non poteva passare in seconda linea di fronte ai tentativi velleitari di un giovane ine-sperto. Lytol viveva solo per Ruatha. Aveva perduto tutto il resto, prima il suo drago, e poi la sua famigliola a causa dell'avidità di Fax. Ormai tutta la sua vita era incentrata sui campi di Ruatha, sul grano e sui corridori e sui

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wherry... No, in tutta giustizia, avrebbe dovuto semplicemente aspettare che Lytol,

il quale godeva d'ottima salute, morisse di morte naturale, prima di poter cominciare a governare a Ruatha.

Ma, continuò Jaxom, seguendo il filo logico dei suoi pensieri, se Lytol era attivo e non era neanche il caso di pensare a governare Ruatha, perché lui e Ruth non potevano dedicare il loro tempo ad addestrarsi per diventare una vera coppia di drago e dragoniere? Adesso c'era bisogno di tutti i dra-ghi da combattimento, con i Fili che cadevano dalla Stella Rossa a inter-valli imprevedibili. Perché doveva aggirarsi a piedi per la campagna, im-pugnando un goffo lanciafiamme, quando poteva combattere i Fili in modo molto più efficiente, purché Ruth venisse autorizzato a masticare pietre focaie? Solo perché Ruth era grosso la metà degli altri draghi, non signifi-cava che non fosse un vero drago sotto tutti gli altri punti di vista.

Certo che lo sono, disse Ruth dal lago. Jaxom fece una smorfia. Aveva cercato di pensare silenziosamente. Io capto i tuoi sentimenti, non i tuoi pensieri, disse calmo Ruth. Sei con-

fuso e infelice. Emerse dall'acqua, inarcandosi, per scrollare le ali e asciu-garle. Un po' volando e un po' nuotando, si diresse verso la riva. Io sono un drago. Tu sei il mio cavaliere. Nessuno può cambiare questa realtà. Sii quel che sei. lo sono quel che sono.

«Ma non è così. Non ci permetteranno di essere quel che siamo,» gridò Jaxom. «Mi costringono ad essere tutto, tranne un dragoniere.»

Tu sei un dragoniere. E sei anche, disse lentamente Ruth, come se cer-casse di comprenderlo a sua volta, il Signore di una Fortezza. Sei allievo del Maestro Fabbro e del Maestro Arpista. Sei amico di Menolly, Mirrim, F'lessan e N'ton. Ramoth conosce il tuo nome, e anche Mnementh. E cono-scono me. Tu devi essere molte persone diverse. Questo è difficile.

Jaxom fissò Ruth, che diede un'ultima scrollata alle ali e le piegò scrupo-losamente sul dorso.

Sono pulito. Mi sento bene, disse il drago, come se quell'affermazione potesse risolvere tutti i dubbi interiori di Jaxom.

«Ruth, che cosa farei senza di te?» Non lo so. N'ton sta venendo a cercarti. È andato a Ruatha. Il piccolo

marrone che ci ha seguiti è legato a N'ton. Jaxom trattenne nervosamente il respiro. Ruth era abilissimo nel ricono-

scere a chi appartenevano le varie lucertole di fuoco. Lui aveva creduto che il marrone fosse legato a qualcuno della Fortezza di Ruatha.

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«Perché non me l'hai detto prima?» Jaxom, affrettandosi, si avvicinò per montare su Ruth. Desiderava vedere subito N'ton, e teneva moltissimo a continuare a godere delle sue simpatie. Il Comandante del Weyr di Fort non aveva molto tempo disponibile per chiacchierare.

Volevo fare la mia nuotata, rispose Ruth. Arriveremo in tempo. Ruth si sollevò da terra appena Jaxom gli si fu assestato sul dorso. Non faremo aspettare N'ton. Prima che Jaxom avesse la possibilità di rammentare a Ruth che non dovevano andare in mezzo nel tempo, ormai c'erano già an-dati.

«Ruth, cosa succederà se N'ton se ne accorge?» chiese Jaxom, battendo i denti, mentre uscivano nel caldo sole mattutino di Telgar, sopra la Sede del Maestro dell'Arte dei Fabbri.

Non lo chiederà. Jaxom avrebbe preferito che Ruth non si mostrasse tanto compiaciuto.

Ma del resto, il drago bianco non voleva subire le reprimende di N'ton. Passare in mezzo nel tempo era terribilmente pericoloso.

Io so sempre «quando» sto andando, rispose imperturbabile Ruth. E questo, ben pochi draghi possono dirlo.

«E non capirò mai come hai fatto a calcolare il tempo con tanta precisio-ne,» confessò Jaxom.

Oh, fece disinvolto Ruth, ho sentito «quando» il marrone è tornato da N'ton e sono venuto in questo quando.

Jaxom sapeva che i draghi non ridevano, ma la sensazione che si irradia-va da Ruth era così simile ad una risata che quasi era impossibile distin-guerla.

Lioth volò vicino a loro, ed il giovane Signore poté vedere l'espressione del cavaliere del bronzeo... un sorriso soddisfatto. Jaxom ricordò che Ruth aveva detto che N'ton era stato a Ruatha, prima. Poi notò che N'ton aveva alzato la mano, e stringeva qualcosa che poteva essere soltanto la sua giubba da volo, in pelle di wher.

Mentre scendevano in grandi cerchi, Jaxom vide che non erano i primi ad arrivare. Contò cinque draghi, inclusi il bronzeo di F'lessan, Golanth, e il verde di Mirrim, Path, che lanciarono un saluto modulato. Ruth atterrò sul prato davanti alla Sede dell'Arte dei Fabbri, mentre Lioth toccava il suolo nello stesso istante. N'ton scivolò dalla spalla del bronzeo, e la sua lucertola di fuoco marrone, Tris, si posò con fare impertinente sulla cresta di Ruth, trillando orgogliosa.

«Deelan mi ha detto che te n'eri andato senza questa,» disse N'ton, lan-

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ciando la giubba a Jaxom. «Bene, immagino che tu non senta il freddo come lo sentono le mie vecchie ossa. Oppure ti stai addestrando alle eser-citazioni di sopravvivenza?»

«Ah, N'ton, non cominciare anche tu!» «Anch'io che cosa, mio giovane amico?» «Lo sai benissimo...» «No, non lo so.» N'ton diede a Jaxom un'occhiata più attenta. «Oppure

quello che ha blaterato questa mattina Deelan è vero?» «Non hai visto Lytol?» «No. Ho solo chiesto dov'eri alla prima persona che ho incontrato nella

Fortezza. Deelan piangeva perché te n'eri andato senza la giubba.» Ironi-camente, N'ton abbassò il labbro inferiore, imitando Deelan. «Non soppor-to le donne che piangono, o almeno le donne di quell'età... perciò ho preso la giubba, ho promesso sul Guscio del mio drago di costringerti a indossar-la, ho mandato Tris dov'era Ruth, ed eccoci qui. Dimmi, è successo qual-cosa, questa mattina? Ruth mi sembra in ottima forma.»

Imbarazzato, Jaxom si sottrasse allo sguardo interrogativo del Coman-dante del Weyr di Fort e cercò di acquistare tempo infilando la giubba.

«Le ho cantate chiare a tutta la Fortezza, questa mattina.» «L'avevo detto, a Lytol, che non sarebbe mancato molto.» «Cosa?» «Qual è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso? I piagnucolii di

Deelan?» «Ruth è un drago!» «Certo che lo è.» N'ton rispose con tanta enfasi che Lioth girò la testa

per guardarli. «Chi sostiene il contrario?» «Loro. A Ruatha. Dappertutto! Dicono che è solo una lucertola di fuoco

troppo cresciuta. E tu sai che lo dicono.» Lioth sibilò. Sorpreso, Tris si lanciò in volo, ma Ruth gorgogliò compia-

ciuto e gli altri si calmarono. «Lo so che lo dicono,» rispose N'ton, posando le mani sulle spalle di Ja-

xom. «Ma non c'è stato un solo dragoniere di mia conoscenza che non ab-bia replicato a dovere... abbastanza energicamente, in certi casi.»

«Se tu lo consideri un drago, perché non può comportarsi come tale?» «Ma lo fa!» N'ton diede a Ruth una lunga occhiata, come se il drago

bianco avesse potuto trasformarsi all'ultimo momento in qualcosa d'altro. «Voglio dire, come gli altri draghi da combattimento.» «Oh.» N'ton fece mia smorfia. «Dunque è di questo che si tratta. Senti,

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ragazzo mio...» «È per via di Lytol, no? Ti ha detto di non lasciarmi combattere contro i

Fili insieme a Ruth. È per questo che non mi permetterai mai d'insegnare a Ruth a masticare le pietre focaie.»

«Non si tratta di questo, Jaxom...» «E allora di che cosa? Non c'è un posto in tutto Pern dove non possiamo

recarci senza sbagliare, neppure la prima volta. Ruth è piccolo, ma è più veloce, vira più rapidamente a mezz'aria, ha una massa inferiore da sposta-re...»

«Non è questione di abilità, Jaxom,» disse N'ton, alzando leggermente la voce per farsi ascoltare. «È questione di opportunità.»

«Ancora evasioni.» «No!» La negazione recisa di N'ton spezzò il risentimento di Jaxom.

«Volare con una squadriglia da combattimento, quando cadono i Fili, è maledettamente pericoloso, ragazzo mio. Non discuto il tuo coraggio: ma per dirla francamente, per quanto tu sia sveglio, per quanto Ruth sia svelto e intelligente, per una squadriglia da combattimento saresti un peso. Non hai l'addestramento, la disciplina...»

«Se si tratta solo d'addestramento...» N'ton afferrò Jaxom per le spalle, per interromperlo. «No.» N'ton trasse un profondo respiro. «Ho detto che non si tratta solo

delle tue capacità e di quelle di Ruth: è questione di opportunità. Pern non può permettersi di perdere né te, giovane Signore di Ruatha, né Ruth, che è unico.»

«Ma io non sono neppure Signore di Ruatha. Non ancora! Lo è Lytol. È lui che prende tutte le decisioni... Io mi limito ad ascoltare ed a chinare la testa come un wherry con l'insolazione.» Jaxom s'interruppe, rendendosi conto che le sue parole potevano venire interpretate copie una critica a Lytol. «Voglio dire, so che Lytol dovrà governare fino a quando i Signori delle Fortezze mi confermeranno... ed io non voglio che lasci la Fortezza di Ruatha. Ma se potessi diventare un dragoniere, tutto questo si evitereb-be. Capisci?»

Quando Jaxom scorse l'espressione degli occhi di N'ton, abbassò le spal-le, sconfitto. «Tu capisci, ma la risposta è sempre no! Solleverebbe altre onde, probabilmente molto più grosse, non è vero? Quindi devo acconten-tarmi di essere in eterno una via di mezzo. Non un vero Signore d'una For-tezza, non un vero dragoniere... niente di niente, solo un problema. Un vero problema per tutti!»

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Non per me, disse chiaramente Ruth e toccò il suo cavaliere con il muso, in un gesto rassicurante.

«Tu non sei un problema, Jaxom; ma mi rendo conto che ne hai uno,» disse N'ton in tono comprensivo. «Se stesse in me, direi che ti farebbe be-ne entrare a far parte di una squadriglia e insegnare a Ruth come masticare le pietre focaie. Perché nessun altro Signore delle Fortezze potrebbe conte-stare una simile esperienza diretta.»

Per un attimo, Jaxom credette che N'ton gli stesse offrendo la possibilità cui aspirava.

«Se spettasse a me decidere, Jaxom, ma non è così, e non può essere co-sì. Tuttavia,» e N'ton s'interruppe, scrutando il viso del giovane, «è una questione da discutere. Sei abbastanza grande per venire confermato come Signore di Ruatha o per fare qualcosa d'altro. Parlerò a Lytol e a F'lar.»

«Lytol dirà che io sono il Signore di Ruatha, e F'lar dirà che Ruth non è abbastanza grosso per una squadriglia da combattimento...»

«E io non dirò niente, se ti comporti da ragazzino imbronciato.» Un muggito risuonò in alto, interrompendoli. Altri due draghi stavano

volteggiando, per indicare che intendevano atterrare. N'ton agitò un brac-cio in risposta, e insieme a Jaxom si avviò verso la Sede dell'Arte dei Fab-bri. Erano quasi arrivati alla porta, quando N'ton trattenne il ragazzo.

«Non dimenticherò, Jaxom, ma...» E sorrise. «Per amore del Primo Uo-vo, non farti sorprendere da nessuno a dare a Ruth le pietre focaie. E stai maledettamente attento a quando vai!»

Un po' stordito, Jaxom fissò N'ton, mentre il Comandante del Weyr salu-tava un amico che si trovava nell'edificio. N'ton aveva capito. La depres-sione di Jaxom svanì immediatamente.

Mentre varcava la soglia della Sede dell'Arte dei Fabbri, esitò, in attesa che i suoi occhi si abituassero alla penombra dell'interno, dopo il fulgido sole primaverile. Preso dai suoi problemi, aveva dimenticato l'importanza dell'imminente riunione. Il Maestro Arpista Robinton era seduto davanti al lungo tavolo da lavoro, che per l'occasione era stato sgombrato, e accanto a lui c'era F'lar, il Comandante del Weyr di Benden. Jaxom riconobbe altri tre Comandanti e il nuovo Maestro Allevatore, Briaret. C'era una mezza squadriglia di dragonieri bronzei e parecchi Signori delle Fortezze, i Fab-bri più importanti e numerosi arpisti, più. numerosi dei rappresentanti di tutte le altre arti, a giudicare dai colori delle tuniche degli uomini che non era in grado di riconoscere immediatamente.

Qualcuno lo stava chiamando per nome, in un bisbiglio concitato. Guar-

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dando verso sinistra, Jaxom vide che F'lessan e gli altri allievi regolari si erano radunati umilmente accanto alla finestra più lontana; le ragazze era-no appollaiate sugli sgabelli.

«C'è mezzo Pern, qui,» osservò F'lessan, soddisfatto, mentre faceva po-sto per Jaxom.

Jaxom salutò a cenni gli altri, che sembravano interessati soprattutto a osservare i nuovi arrivati. «Non sapevo che fossero in tanti a occuparsi delle stelle e della matematica di Wansor,» disse sottovoce Jaxom a F'les-san.

«Cosa? Per perdersi l'occasione di un volo a dorso di drago?» chiese al-legramente F'lessan. «Io stesso ne ho potati quattro.»

«Sono stati parecchi, quelli che hanno aiutato Wansor a collezionare il materiale,» disse Benelek, con il suo solito tono didattico. «Naturalmente, vogliono sapere a che cosa sono serviti i loro sforzi.»

«Di sicuro non sono venuti qui per la cucina,» disse F'lessan con una ri-sata.

Ma perché, si chiese Jaxom, il commento di F'lessan m'infastidisce? «Sciocchezze, F'lessan,» rispose Benelek; aveva una mentalità troppo ri-

gida per capire quando qualcuno scherzava. «Qui si mangia benissimo. E tu non ti tiri indietro.»

«Sono come Fandarel,» disse F'lessan. «Io trangugio tutto quello che c'è di commestibile. Silenzio! Eccolo qua. Per i Gusci!» Il giovane dragoniere bronzeo fece una smorfia di disgusto. «Possibile che nessuno sia riuscito a convincerlo a cambiarsi d'abito?»

«Come se i vestiti avessero importanza, per un uomo come Wansor.» Benelek abbassò la voce, ma la si sentiva carica di disprezzo per F'lessan.

«Ma proprio oggi, Wansor avrebbe dovuto presentarsi in ordine,» disse Jaxom. «È questo che intendeva, F'lessan.»

Benelek borbottò, ma non insistette. Poi F'lessan diede a Jaxom una go-mitata, strizzandogli l'occhio per sottolineare la reazione di Benelek.

Quando era già sulla soglia, Wansor si accorse all'improvviso che la sala era piena. Si fermò, si guardò intorno, dapprima timidamente. Poi, quando riconobbe una faccia, chinò la testa e sorrise incerto. Tutti gli rivolsero grandi sorrisi incoraggianti e mormorarono saluti e gli accennarono di farsi avanti.

«Bene, bene... Tutto per le mie stelle? Le mie stelle, oh, oh!» La sua rea-zione sollevò un'ondata di ilarità. «È molto lusinghiero. Non avevo imma-ginato... Molto lusinghiero. E Robinton, ci sei anche tu...»

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«E dove dovrei essere?» La lunga faccia del Maestro Arpista era debi-tamente seria, ma Jaxom notò che torceva le labbra per reprimere un sorri-so. Poi Robinton guidò Wansor verso il podio in fondo alla sala.

«Vieni, Wansor,» disse Fandarel, con il suo vocione. «Oh, sì, scusa. Non volevo farti aspettare. Ah, ed ecco il Nobile Asge-

nar. È stato molto gentile a venire. Dico, ma c'è anche N'ton?» Wansor girò su se stesso. Poiché era miope, scrutò attentamente le facce, cercando di individuare N'ton. «Davvero, ci dovrebbe essere...»

«Son qui, Wansor.» N'ton alzò il braccio. «Ah!» Il cipiglio preoccupato svanì dalla faccia tonda del Fabbro delle

Stelle, come l'aveva chiamato Menolly con impertinente esattezza. «Mio caro N'ton, devi venire qui davanti. Hai lavorato tanto, vegliando e osser-vando durante le ore più buie della notte. Vieni, devi...»

«Wansor!» Fandarel si alzò a mezzo per lanciare un muggito autoritario. «Non puoi sistemare tutti in prima fila, e tutti hanno fatto la loro parte di osservazioni. Sono qui per questo. Per vedere a cosa è servito il loro lavo-ro. Stai perdendo tempo. Questa è pura inefficienza.»

Wansor mormorò proteste e scuse, mentre si avvicinava al podio. Aveva veramente l'aria, notò Jaxom, di aver dormito con quei vestiti addosso. Probabilmente non si era più cambiato dopo l'ultima Caduta, a giudicare dalle sgualciture sul dorso della tunica.

Ma non c'era nulla di trascurato nelle carte stellari che Wansor, adesso, stava fissando alla parete. Chissà dove aveva preso quel colore sgargiante per la Stella Rossa... sembrava quasi pulsare sulla carta. E non c'era nulla di scialbo nella sua presentazione. Per deferenza e rispetto nei confronti di Wansor, Jaxom si sforzò di ascoltare attentamente; ma aveva già sentito tutto altre volte, e la sua mente ritornò, com'era inevitabile, alla frase che N'ton gli aveva lanciato al momento di separarsi da lui. «Non farti sor-prendere da nessuno a dare a Ruth le pietre focaie!»

Come se lui fosse così sciocco... Jaxom esitò. Sebbene conoscesse, in teoria, perché e come si doveva insegnare ad un drago a masticare le pietre focaie, aveva anche imparato che fra la teoria e la pratica c'era un abisso. Forse avrebbe dovuto chiedere aiuto a F'lessan?

Diede un'occhiata al suo amico d'infanzia, che aveva impresso lo Sche-ma dell'Apprendimento ad un bronzeo due Giri prima. Sinceramente, Ja-xom considerava F'lessan un ragazzo che non prendeva abbastanza sul serio le sue responsabilità di cavaliere di un bronzeo. Era grato a F'lessan di non aver mai rivelato a nessuno che lui aveva toccato l'uovo di Ruth,

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quando il drago era ancora nel suo guscio, sul Terreno della Schiusa. Natu-ralmente, sarebbe stata una grave colpa, nei confronti del Weyr. F'lessan non avrebbe considerato straordinario insegnare ad un drago a masticare pietre focaie.

Mirrim? Jaxom sbirciò la ragazza. Il sole del mattino scendeva obliquo sui suoi capelli bruni, traendone scintillii dorati the lui non aveva mai nota-to. Sembrava dimentica di tutto, assorta nelle parole di Wansor. Probabil-mente, avrebbe risposto a Jaxom che non doveva causare altri problemi al Weyr, e poi lo avrebbe fatto sorvegliare da una delle sue lucertole di fuoco, per assicurarsi che non s'incendiasse per sbaglio.

Jaxom era segretamente convinto che T'ran, l'altro giovane dragoniere bronzeo, giunto dal Weyr di Ista, ritenesse Ruth una lucertola di fuoco troppo cresciuta. Sarebbe stato anche meno utile di F'lessan.

Anche Benelek era escluso. Ignorava i draghi e le lucertole di fuoco, e quelli ignoravano lui. Ma bastava dare a Benelek un diagramma o una macchina, o anche i pezzi di un congegno trovato nelle vecchie fortezze e nei vecchi weyr e lui impiegava giorni e giorni cercando di scoprire cosa doveva essere e cosa doveva fare. Di solito, riusciva a far funzionare una macchina, anche se era costretto a smontarla completamente per scoprire perché non andava. Benelek e Fandarel s'intendevano alla perfezione.

Menolly? Menolly era la persona adatta, se lui aveva bisogno di qualcu-no, nonostante la sua passione di tradurre in una canzone tutto quel che sentiva... un'abitudine che qualche volta era una vera seccatura. Ma quella dote faceva di lei un'eccellente Arpista; anzi, era la prima Arpista donna a memoria d'uomo. Le diede una lunga occhiata furtiva: le labbra le freme-vano lievemente. Si chiese se stava già mettendo in musica le stelle di Wansor.

«Le stelle segnano il tempo, per noi, ad ogni Giro, e ci aiutano a distin-guerli l'uno dall'altro,» stava dicendo Wansor e, con un certo rimorso, Ja-xom tornò a volgere l'attenzione su di lui. «Le stelle guidarono Lessa nel suo coraggioso viaggio attraverso il tempo, per portare fino a noi gli Anti-chi.» Wansor si schiarì la gola, un po' pentito di quell'accenno alle due fazioni dei dragonieri. «E le stelle saranno le nostre guida costanti nei Giri futuri. Terre, mari, persone e luoghi possono cambiare, ma le stelle seguo-no le loro rotte ordinate e rimangono guide sicure.»

Jaxom ricordò di aver sentito parlare di possibili tentativi per mutare il percorso della Stella Rossa, allontanandola da Pern. Wansor aveva appena dimostrato che era impossibile?

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Wansor proseguì, sottolineando che, quando si conoscevano l'orbita e la velocità di una data stella, si poteva calcolare la sua futura posizione nei cieli, purché si tenesse conto anche degli effetti delle sue vicine, alla con-giunzione.

«Perciò, non c'è dubbio che adesso noi possiamo predire con esattezza le Cadute dei Fili, secondo la posizione della Stella Rossa, quando si trova in congiunzione con le altre nostre vicine nei cieli.»

Jaxom notò, divertito, che quando Wansor faceva un annuncio generale, diceva noi, ma quando proclamava una scoperta, diceva io.

«Noi crediamo che, non appena questa stella azzurra si libererà dell'in-fluenza della stella gialla del nostro orizzonte primaverile e passerà più in alto, a oriente, la Caduta dei Fili riprenderà l'andamento che F'lar aveva osservato originariamente.

«Con questa equazione,» e Wansor schizzò rapidamente i numeri sulla lavagna, mentre Jaxom constatava, ancora una volta, che nonostante il suo aspetto trascurato, le sue notazioni erano scrupolosamente precise, «pos-siamo calcolare future congiunzioni che influiranno sulla Caduta dei Fili durante questo Passaggio. Anzi, ora possiamo indicare dove erano le varie stelle in ogni momento del passato, e dove saranno in ogni momento del futuro.»

Stava scrivendo equazioni con un ritmo vertiginoso, spiegando quali stelle ne venivano influenzate. Poi si voltò, atteggiando il viso rotondo ad un'espressione molto seria. «Possiamo addirittura predire, basandoci su questa conoscenza, il momento esatto in cui avrà inizio il prossimo Pas-saggio. Naturalmente, è lontano tanti Giri nel futuro che nessuno di noi ha motivo di preoccuparsene. Tuttavia, credo che sia consolante saperlo.»

Qualche risatina, qua e là, indusse Wansor a sbattere le palpebre e poi a sorridere con esitazione, come se si rendesse conto in ritardo di aver detto una frase spiritosa.

«E dobbiamo assicurarci che nessuno lo dimentichi, questa volta, duran-te il lungo Intervallo,» disse il Maestro Fabbro Fandarel, sorprendendo tutti con la sua voce di basso, dopo quella di tenore leggero di Wansor. «È lo scopo di questa riunione, sapete,» aggiunse Fandarel, indicando il pub-blico.

Parecchi Giri prima, quando ci si aspettava che Ruth non vivesse a lun-go, Jaxom aveva avuto una teoria personale ed egocentrica circa le sedute nella Sede dell'Arte dei Fabbri. Si era convinto che fossero state iniziate per dargli un interesse alternativo nella vita, caso mai Ruth fosse morto. La

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riunione di quel giorno toglieva ogni fondamento a quell'idea, e Jaxom sbuffò, ricordando il suo sospetto. Più erano numerosi coloro - in tutte le Fortezze e nei Weyr - che sapevano cosa si faceva in ognuna delle Sedi delle Arti, ad opera dei vari Maestri e dei loro tecnici più importanti, e meno era probabile che gli ambiziosi piani per salvare Pern dalle devasta-zioni dei Fili andassero di nuovo perduti.

Jaxom, F'lessan, Benelek, Mirrim, Menolly, T'ran, Piemur, vari altri probabili successori dei Signori delle Fortezze e giovani artigiani specia-lizzati formavano il nucleo della scuola regolare delle Sedi delle Arti dei Fabbri e degli Arpisti. Ogni studente imparava ad apprezzare le altre Arti.

La conclusione era essenziale. Era uno dei principi fondamentali di Ro-binton. Ripeteva continuamente: «Scambiatevi informazioni, imparate a parlare con competenza di ogni argomento, a esprimere i vostri pensieri, ad accettare nuove idee, ad esaminarle ed analizzarle. Pensate obiettivamente. Pensate in vista del futuro.»

Jaxom girò lo sguardo intorno alla sala, chiedendosi quanti dei presenti potevano accettare le spiegazioni di Wansor. Certo, aveva il vantaggio che quasi tutti avevano osservato le stelle formare e riformare i loro schemi, notte dopo notte, stagione dopo stagione, fino a quando i movimenti erano stati tradotti nei numeri e nei diagrammi. Il guaio era che ognuno era lì perché era disposto ad ascoltare idee nuove e ad accettare nuovi pensieri. Quelli che più avevano bisogno di venire influenzati erano quelli che non avevano ascoltato... come gli Antichi esiliati nel Continente Meridionale.

Jaxom immaginava che quanto accadeva laggiù venisse tenuto sotto sor-veglianza, con molta discrezione. N'ton, una volta, aveva fatto un'allusione obliqua alla Fortezza Meridionale. Gli studenti disponevano di una mappa dettagliata del territorio intorno alla Fortezza e di alcune aree circostanti: indicava che il Continente Meridionale si spingeva nei mari del Sud molto più lontano di quanto chiunque avesse immaginato soltanto cinque Giri prima. Durante una conversazione con Lytol, una volta Robinton si era lasciato sfuggire qualcosa che aveva indotto Jaxom a sospettare che il Ma-estro Arpista fosse stato recentemente in quelle terre. Jaxom si chiedeva, divertito, cosa sapevano gli Antichi di quel che succedeva sul loro conti-nente. C'erano alcuni cambiamenti evidenti, e persino gli individui dalla mentalità più chiusa dovevano ammettere di vederli. E il crescente rimbo-schimento, contro cui gli Antichi avevano protestato... estensioni ormai protette dai bruchi che un tempo gli agricoltori avevano cercato di stermi-nare, giudicandoli erroneamente una maledizione, anziché una difesa rea-

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lizzata di proposito nel passato. L'attenzione di Jaxom fu attratta da un battimani. Si affrettò ad applaudi-

re a sua volta, chiedendosi se, mentre rimuginava, si era lasciato sfuggire qualcosa d'importante. Più tardi l'avrebbe chiesto a Menolly. Lei ricordava sempre tutto.

L'ovazione si protrasse quanto bastava per far arrossire Wansor di com-piaciuto imbarazzo, sino a quando Fandarel si alzò e tese le braccia enormi per imporre silenzio. Ma il Maestro Fabbro non aveva ancora aperto bocca quando uno degli osservatori della Fortezza di Ista balzò in piedi per chie-dere a Wansor chiarimenti su un'anomalia relativa alla posizione fissa delle tre stelle chiamate «le Sorelle del Giorno». Prima che Wansor potesse ri-spondergli, qualcun altro ribatté che non c'era nessuna anomalia, ed ebbe inizio un'accanita discussione.

«Chissà se potremmo usare le equazioni di Wansor per trasferirci nel fu-turo senza pericolo,» mormorò F'lessan.

«Che lampada spenta sei! Non puoi andare in un tempo che non c'è an-cora!» rispose acida Mirrim, prima che gli altri potessero replicare. «Come faresti a sapere quello che sta succedendo là? Finiresti dentro ad una parete rocciosa o in mezzo a una folla, o circondato dai Fili! È abbastanza perico-loso tornare indietro nel tempo, quando almeno puoi controllare che cosa era accaduto, e chi c'era. E anche in tal caso, potresti combinare un guaio, e lo combineresti. Scordatelo, F'lessan!»

«Andare avanti nel tempo non avrebbe uno scopo logico, in questa epo-ca,» osservò Benelek nel suo solito tono sentenzioso.

«Sarebbe divertente,» disse F'lessan, imperturbabile. «Come sapere quello che stanno tramando gli Antichi. F'lar è sicuro che tenteranno qual-cosa. Se ne stanno troppo tranquilli. laggiù.»

«Chiudi il becco, F'lessan. Sono cose che riguardano i Weyr,» disse bru-scamente Mirrim, guardandosi ansiosamente intorno, per timore che gli adulti avessero udito quell'osservazione indiscreta.

«Comunicate! Condividete i vostri pensieri!» F'lessan buttò là un paio di motti abituali di Robinton.

«C'è differenza tra comunicazione e pettegolezzo,» disse Jaxom. F'lessan rivolse un lunga occhiata indagatrice al suo amico d'infanzia.

«Sai, pensavo che l'idea della scuola fosse Buona. Adesso sono convinto che ci abbia trasformati tutti in chiacchieroni oziosi. E in pensatori!» Roteò gli occhi al cielo con un'espressione di disgusto. «Noi parliamo e pensiamo tutto fino alla morte. E non facciamo mai niente. Almeno, io devo prima

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agire e poi pensare, quando combattiamo i Fili!» Girò sui tacchi e poi, a-nimandosi, annunciò: «Ehi, si mangia!» Cominciò a farsi largo in mezzo alla folla, dirigendosi alla porta, dove vassoi carichi venivano fatti passare verso il tavolo centrale.

Jaxom sapeva che i commenti di F'lessan erano stati rivolti a tutti, ma sentiva come un'allusione personale la battuta a proposito della lotta contro i Fili.

«Quel F'lessan!» gli disse Menolly all'orecchio. «Ci tiene alla gloria del-la sua stirpe. Un po' di audacia...» I suoi occhi azzurri come il mare brilla-rono di gaiezza, quando aggiunse: «Ed io posso costruirci una melodia!» Poi sospirò. «E lui non è affatto il tipo. Lui non pensa ad altro che a se stesso. Ma è buono. Andiamo a dare una mano a servire.»

«Sì, facciamo qualcosa!» La battuta di Jaxom fu ricambiata da Menolly con un sorriso d'apprezzamento.

Entrambi i punti di vista avevano una loro validità, decise Jaxom mentre toglieva dalle mani di una donna sovraccarica un vassoio d'involtini fu-manti; ma ci avrebbe pensato più tardi.

La cucina del Maestro Fabbro aveva fatto i preparativi per la riunione, e oltre ai succulenti involtini c'erano polpette di pesce bollenti, fette di pane spalmate con i formaggi compatti delle Alte Vette, e due enormi recipienti di klah.

Mentre distribuiva il cibo, Jaxom si accorse di una seconda cosa che lo irritava. Gli altri Signori delle Fortezze e i Maestri delle Arti erano tutti cordiali, e gli chiedevano gentilmente notizie di Lytol e di Ruth. Sembra-vano disposti a scambiare convenevoli con lui, ma non a discutere le teorie di Wansor. Forse, pensò cinicamente, non avevano capito quello che aveva detto il Fabbro delle Stelle, e si vergognavano di dimostrargli la loro igno-ranza. Jaxom sospirò. Non sarebbe mai cresciuto abbastanza per venire considerato un loro eguale?

«Ehi, Jaxom, scarica quella roba.» F'lessan lo prese per la manica. «Ho qualcosa da mostrarti.»

Convinto di aver fatto il suo dovere, Jaxom posò il vassoio sulla tavola e seguì il suo amico fuori dalla porta. F'lessan proseguì sorridendo come un idiota, e poi si girò di scatto, indicando la sommità della Sede dell'Arte dei Fabbri.

La Sede era un edificio imponente dai tetti aguzzi, che adesso sembra-vano invasi da un movimento colorito e da un suono ondeggiante. Una schiera di lucertole di fuoco stava appollaiata sulle tegole d'ardesia grigia;

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e tutte trillavano e cinguettavano, conversando animatamente... in una pa-rodia perfetta delle discussioni impegnate che si svolgevano all'interno dell'edificio. Jaxom scoppiò a ridere.

«Non possono esserci tante lucertole di fuoco legate a quelli che stanno là dentro,» disse a Menolly, che li aveva raggiunti in quel momento. «Op-pure tu ne hai acquisito un altro paio di covate?»

Asciugandosi gli occhi bagnati da lacrime d'ilarità, lei si dichiarò inno-cente. «Ne ho soltanto dieci, e se ne vanno sempre per i fatti loro: qualche volta restano assenti per giorni e giorni. Non credo di poter rispondere per più di due, a parte Bella, la mia regina. Lei non mi lascia mai. Vedi,» pro-seguì, guardandolo con aria seria. «Finiranno per diventare un problema. Non per me, perché ho insegnato alle mie a comportarsi bene, ma... cose del genere.» Indicò il tetto. «Sono delle tremende pettegole. Scommetto che in maggioranza non sono legate a coloro che stanno là dentro. Sono state attirate dai draghi, e soprattutto dal tuo Ruth.»

«Se ne raduna sempre una schiera, dovunque andiamo io e Ruth,» am-mise Jaxom, un po' irritato.

Menolly guardò dall'altra parte della valle, dove Ruth stava sdraiato sul-la riva soleggiata dei fiume, insieme ad altri tre draghi, e al solito gruppet-to di servizievoli lucertole di fuoco.

«E a Ruth non dispiace?» «No.» Jaxom sorrise, tollerante. «Credo che gli piaccia, anzi. Gli tengo-

no compagnia, quando io devo andare altrove per occuparmi degli affari della Fortezza. Dice che hanno tutte nella mente immagini affascinanti e inverosimili. Lui si diverte a guardare... quasi sempre. Qualche volta s'in-fastidisce... dice che esagerano.»

«E com'è possibile?» Menolly espresse bruscamente i suoi dubbi. «Non hanno una grande immaginazione, per la verità. Possono riferire solo quel-lo che vedono.»

«O magari quel che credono di vedere?» Menolly rifletté. «Di solito, quello che vedono è abbastanza attendibile.

Lo so...» Poi s'interruppe, sconcertata. «Non importa,» disse Jaxom. «Sarei proprio stupido, se non mi rendessi

conto che voi Arpisti vi state dando da fare laggiù a Sud.» Poi Jaxom si voltò per dire qualcosa a F'lessan, ma il giovane era sparito.

«Ti dirò una cosa, Jaxom.» Menolly abbassò la voce. «F'lessan aveva ragione. Sta succedendo qualcosa, al Sud. Alcune delle mie lucertole sono molto agitate. Ricevo l'immagine di un uovo, ma non è in un weyr chiuso.

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Pensavo che forse la mia Bella avesse nascosto un'altra covata: lo fa, qual-che volta. Poi ho avuto l'impressione che quanto vedeva fosse accaduto molto tempo fa. E Bella non è più vecchia di Ruth; quindi come poteva ricordare qualcosa avvenuto prima di cinque Giri addietro?»

«Le lucertole di fuoco si illudono di aver individuato il Primo Uovo?» Jaxom rise di cuore.

«Non possono ridere dei loro ricordi. Sanno una quantità di cose stranis-sime. Ricordi Grall, la lucertola di F'nor, che non voleva andare alla Stella Rossa? In quanto a questo, tutte le lucertole di fuoco hanno il terrore della Stella Rossa.»

«E non l'abbiamo tutti?» «Loro sapevano, Jaxom; sapevano prima che il resto di Pern ne venisse

a conoscenza.» Istintivamente, si volsero entrambi verso Est, verso la malevola Stella

Rossa. «Dunque?» chiese enigmaticamente Menolly. «Dunque cosa?» «Dunque le lucertole di fuoco conservano certi ricordi.» «Ah, lascia andare, Menolly. Non vorrai farmi credere che le lucertole di

fuoco possano ricordare cose che l'Uomo non può rammentare.» «Hai un'altra spiegazione?» chiese in tono bellicoso Menolly. «No, ma questo non significa che non esista.» Jaxom le rivolse un sorri-

so, che si trasformò in una smorfia allarmata. «Senti, e se qualcuna di quel-le lucertole lassù venisse dalla Fortezza Meridionale?»

«Non mi preoccupa. Le lucertole di fuoco sono all'esterno della Sede, tanto per cominciare. In secondo luogo, possono visualizzare soltanto quel che comprendono.» Menolly ridacchiò, un'abitudine che Jaxom trovava simpatica, in confronto alle risatine melense delle ragazze della Fortezza. «Immagini cosa ci capirebbe uno come T'kul nelle equazioni di Wansor? Viste attraverso gli occhi di una lucertola?»

Jaxom ricordava poco l'Antico Comandante del Weyr delle Terre Alte, ma ne aveva sentito parlare abbastanza da Lytol e da N'ton per capire che la mente di quell'uomo era inaccessibile a qualunque novità. Ma forse, sei Giri passati ad arrangiarsi da solo, laggiù sul Continente Meridionale, po-tevano avere un po' ampliato la sua visuale.

«Senti, non sono la sola a preoccuparmi,» continuò Menolly. «Anche Mirrim è allarmata. E se c'è qualcuno, al giorno d'oggi, che capisce le lu-certole di fuoco, è proprio Mirrim.»

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«Neppure tu te la cavi male, per una semplice Arpista.» «Beh, grazie, Signore di Ruatha.» Menolly lo salutò ironicamente. «Sen-

ti, vuoi cercare di scoprire che cosa stanno dicendo a Ruth le lucertole di fuoco?»

«Non parlano con il drago verde di Mirrim?» Jaxom esitava ad avere a che fare con le lucertole di fuoco più di quanto fosse assolutamente indi-spensabile, al momento.

«I draghi non hanno una gran memoria. Lo sai. Ma Ruth è diverso. Ho notato...»

«È molto diverso...» Menolly captò la nota acida nella sua voce. «Ma che cos'hai, oggi? Op-

pure il Nobile Groghe è andato a trovare Lytol?» «Il Nobile Groghe? E perché?» Gli occhi di Menolly brillarono maliziosamente; gli accennò di avvici-

narsi, come se temesse che ci fosse in giro qualcuno e potesse ascoltare quel che dicevano. «Credo che il Nobile Groghe voglia destinarti alla sua terza figlia, quella con quel seno spropositato.»

Jaxom gemette inorridito. «Non preoccuparti, Jaxom. Robinton ha bloccato tatto. Non vuole certo

renderti un così cattivo servizio. Naturalmente,» Menolly lo sbirciò di tra-verso, con occhi ridenti, «se hai in mente qualcun'altra, è il momento di dirlo.»

Jaxom era furioso: non con Menolly, ma con la notizia che gli aveva da-to, ed era difficile distinguere l'ambasciata dall'ambasciatore.

«L'unica cosa che non voglio, in questo momento, è proprio una mo-glie.»

«Oh? Ti sei già arrangiato?» «Menolly!» «Non fare lo scandalizzato. Noi Arpisti comprendiamo la fragilità della

carne umana. E tu sei alto e di bell'aspetto, Jaxom. Lytol doveva istruirti in tutte le arti....»

«Menolly!» «Jaxom!» Lei parodiò alla perfezione il suo tono. «Lytol non ti ha mai

lasciato andare a divertirti per conto tuo? Oppure ti limiti a pensarci? Sin-ceramente, Jaxom...» Il suo tono divenne acerbo, l'espressione spazientita. «Fra Robinton, per quanto io gli sia affezionata e Lytol, F'lar, Lessa e Fan-darel, credo che abbiano finito per trasformarti in una specie di pallida immagine di loro stessi. Dov'è il vero Jaxom?»

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Prima che lui riuscisse a pensare una risposta adatta a quell'impertinen-za, Menolly gli lanciò un'occhiata penetrante, socchiudendo le palpebre. «Dicono che tale è il drago, tale è l'uomo. Forse è per questo che Ruth è tanto diverso!»

E con quell'osservazione enigmatica si alzò e si avviò per raggiungere gli altri.

Jaxom era quasi deciso a chiamare Ruth e ad andarsene, pur di non re-stare lì a subire insulti e sgarberie.

«Come un bambino imbronciato!» Ricordò le parole di N'ton. Con un sospiro, si riassestò sull'erba. No, non se ne sarebbe andato precipitosa-mente per la seconda volta, quella mattina, per allontanarsi da una scena imbarazzante. Non si sarebbe comportato in modo immaturo. Non avrebbe dato a Menolly la soddisfazione di sapere che i suoi commenti provocatori l'avevano turbato.

Guardò verso il fiume, dove giocava il suo compagno, e rifletté. Perché Ruth è così diverso? Il drago è davvero simile all'uomo? La sua nascita era stata bizzarra quanto la Schiusa di Ruth... lui era stato strappato dal grem-bo della madre morta, Ruth da un guscio d'uovo troppo duro perché il suo becco minuscolo potesse spezzarlo. Ruth era un drago, ma non era cresciu-to in un Weyr. Lui era Signore di una Fortezza, ma non confermato.

«Bene, allora, dimostrare una cosa sarebbe dimostrare l'altra!» Non farti sorprendere da nessuno a dare a Ruth le pietre focaie, aveva

detto N'ton. Bene, quella sarebbe stata la sua prima meta!

IV Fortezza di Ruatha, Tenuta di Fidello, e vari punti in mezzo, 15.5.10 - 15.5.16. Nei giorni che seguirono, Jaxom si accorse che una cosa era decidere

d'insegnare a Ruth a masticare le pietre focaie, e un'altra era trovare il tem-po di farlo. Era impossibile avere un'ora libera. Jaxom nutriva l'indegno sospetto che N'ton avesse accennato qualcosa del suo progetto a Lytol, e che il Reggente si fosse affrettato a inventare attività sempre nuove per riempirgli la giornata. Ma con la stessa rapidità, Jaxom scartò quell'idea.

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N'ton non era un traditore o un individuo subdolo. Riflettendo freddamen-te, Jaxom doveva ammettere che le sue giornate erano sempre state molto piene: prima le cure di Ruth, poi le lezioni, gli impegni della Fortezza e, nei Giri passati, le riunioni in altre Fortezze, cui Lytol riteneva che lui do-vesse assistere, come osservatore silenzioso, per imparare a conoscere me-glio il governo delle Fortezze.

Jaxom non si era mai reso conto dei suoi impegni quanto adesso, quando desiderava disperatamente trovare un po' di tempo per sé, senza dover for-nire spiegazioni o dover prendere accordi in anticipo.

L'altro problema che non aveva preso seriamente in considerazione era questo: dovunque fossero lui e Ruth, era sicuro che sarebbe apparsa una lucertola di fuoco. Menolly aveva ragione quando affermava che erano pettegole, e lui non voleva che spiassero le sue esercitazioni non autorizza-te. Fece esperimenti, portando Ruth sul cornicione di una montagna nelle Terre Alte, che era stata una zona di esercitazioni quando lui insegnava a Ruth a volare in mezzo. Era un'area deserta, spoglia, dove neppure le er-bacce montane spuntavano sotto l'ultima neve indurita. Aveva impartito le istruzioni a Ruth mentre erano in volo, e in quel particolare momento non erano scortati dalle lucertole di fuoco. Ma non aveva contato più di venti-due respiri, dopo il loro arrivo, prima che la verde di Deelan e l'azzurra del maggiordomo della Fortezza comparissero sopra la testa di Ruth. Le lucer-tole avevano lanciato squittii di sbigottimento e poi avevano incominciato a protestare.

Poi Jaxom aveva provato con due località altrettanto poco frequentate, una nelle pianure di Keroon e l'altra su un'isola deserta al largo della costa di Tillek. Ed era stato seguito anche là.

All'inizio si sentì ribollire per quella sorveglianza, e pensò di affrontare Lytol per discutere la faccenda. Il buon senso gli diceva che difficilmente Lytol poteva aver chiesto al maggiordomo e a Deelan di dare alle loro cre-aturine l'incombenza di spiarlo. Era un caso di eccesso di zelo! Se avesse cercato di parlarne apertamente a Deelan, lei avrebbe pianto, e torcendosi le mani si sarebbe precipitata da Lytol. Ma Brand, il maggiordomo, era tutta un'altra faccenda. Era arrivato dalla Fortezza di Telgar due Giri pri-ma, quando il vecchio maggiordomo s'era dimostrato incapace di tenere a bada gli scatenati figli adottivi. Jaxom rifletté. Brand doveva comprendere i problemi di un giovane.

Perciò, quando tornò alla Fortezza di Ruatha, Jaxom andò a cercare Brand, e lo trovò nel suo ufficio, intento a fare una sfuriata agli sguatteri

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per i danni causati dai serpenti delle gallerie nei magazzini. Con grande stupore di Jaxom, gli sguatteri vennero immediatamente congedati con l'ingiunzione di portargli le carcasse di due serpenti delle gallerie a testa, se non volevano saltare il pasto per alcuni giorni.

Brand non aveva mai mancato di riguardo a Jaxom, ma la prontezza con cui si occupò di lui lo sorprese; dovette prendere fiato prima di parlare. Brand attese con tutta la deferenza che avrebbe mostrato verso Lytol o un visitatore d'alto rango. Con un certo imbarazzo, Jaxom ricordò la sua sce-nata di qualche giorno prima e si chiese se la causa era quella. No, Brand non era un tipo ossequioso. Aveva l'occhio fermo, la mano sicura, l'espres-sione e il portamento decisi che spesso Lytol aveva indicato a Jaxom come le caratteristiche di un uomo fidato.

«Brand, a quanto pare non posso andare in nessun posto senza che com-paia qualche lucertola di fuoco di questa Fortezza: la verde di Deelan e, se non la mia osservazione non ti offende, anche la tua azzurra. È ancora ne-cessario?»

Lo stupore di Brand era sincero. «Qualche volta,» continuò in fretta Jaxom, «un uomo desidera andarsene

per i fatti suoi da solo, veramente da solo. E come tu ben sai, le lucertole di fuoco sono le più grandi pettegole di questo mondo. Potrebbero farsi un'impressione sbagliata... se capisci quel che voglio dire.»

Brand capiva benissimo; ma, se era divertito o sorpreso, riusciva a na-sconderlo con grande abilità.

«Chiedo scusa, Nobile Jaxom. Una svista, ti assicuro. Sai com'era sem-pre in ansia Deelan, da quando tu e Ruth avete incominciato a volare in mezzo, e le lucertole di fuoco vi seguivano per maggior sicurezza. Io avrei cambiato tutto già da tempo.»

«Da quando in qua per te sono il Nobile Jaxom, Brand?» Il maggiordomo torse le labbra. «Dall'altra mattina... Nobile Jaxom.» «Non è questo che intendevo, Brand.» Brand chinò leggermente la testa, per prevenire altre scuse, «Come ha

osservato il Nobile Lytol, sei abbastanza adulto per essere confermato nel tuo rango, Nobile Jaxom, e noi...» Brand sorrise con disinvoltura. «Noi dovremmo comportarci di conseguenza.»

«Ah, bene, sì. Grazie.» Jaxom riuscì a lasciare l'ufficio di Brand senza perdere ancor più la faccia e si diresse a passo svelto verso la prima curva del corridoio.

Poi si fermò, rimuginando sul significato di quel colloquio. «Abbastanza

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adulto per essere confermato nel tuo rango...» E il Nobile Groghe che pen-sava di dargli in moglie sua figlia. Senza dubbio, l'astuto Signore di Fort non l'avrebbe fatto, se la conferma di Jaxom fosse stata in dubbio. Quella prospettiva, adesso lo allarmava e lo irritava, mentre il giorno prima lo avrebbe lusingato immensamente. Quando fosse diventato ufficialmente Signore di Ruatha, avrebbe perduto ogni possibilità di entrare a far parte delle squadriglie da combattimento. Non voleva diventare Signore di Rua-tha... non ancora, almeno. E di sicuro non voleva che gli affibbiassero una moglie che non fosse di sua scelta.

Avrebbe dovuto dire a Menolly che non aveva difficoltà con le ragazze della Fortezza... quando ci teneva. Non che lui avesse seguito l'esempio di certuni tra i più intraprendenti dei figli adottivi. Non intendeva farsi una reputazione di libertino come Meron, o come quel giovane sciocco del Nobile Laudey, che Lytol si era affrettato a rispedire alla sua Fortezza con una scusa ufficiale cui nessuno aveva creduto. Il Signore di una Fortezza aveva tutti i diritti di generare qualche bastardo; ma annacquare il sangue dei Signori con quello di altre stirpi era tutta un'altra faccenda. Comunque, avrebbe dovuto trovare una ragazza simpatica che gli offrisse l'alibi neces-sario, e poi assicurarsi il tempo per le cose più importanti.

Jaxom si scostò dalla parete, raddrizzando inconsciamente le spalle. La deferenza di Brand era stata come un tonico. Ora che ci pensava, ricordava altri sintomi di un atteggiamento diverso nei suoi confronti, anche se fino a quel momento non se c'era accorto, accecato com'era delle sue preoccupa-zioni. All'improvviso rammentò che Deelan, a colazione, non l'aveva più assillato per indurlo a mangiare più di quanto voleva, e che da qualche giorno Dorse era inspiegabilmente assente. Ed i commenti mattutini di Lytol non erano stati preceduti da domande sulle condizioni di salute di Ruth, e avevano riguardato invece le attività in programma per la giornata.

La sera del suo ritorno dalla Sede del Maestro Fabbro, Lytol e Finder s'erano mostrati desiderosi di apprendere notizie sulle stelle di Wansor, ed il suo resoconto aveva occupato l'intera serata. I figli adottivi e gli altri erano stati insolitamente taciturni, ma Jaxom l'aveva attribuito all'interesse per l'argomento. Lytol, Finder e Brand non avevano certamente taciuto.

La mattina dopo c'era stato appena il tempo di buttar giù una tazza di klah ed un involtino di carne, poiché i Fili stavano per cadere sui campi seminati in primavera, a Sud-Ovest, e li attendeva una lunga cavalcata.

Avrei dovuto parlar chiaro mesi fa, pensò Jaxom, mentre entrava nel suo alloggio.

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Era stato stabilito che Jaxom non doveva essere disturbato quando si prendeva cura di Ruth: un'intimità che solo adesso incominciava ad ap-prezzare. In genere, Jaxom curava il suo drago, oliandogli la pelle e lu-strandolo, di prima mattina o a tarda sera. Ogni quattro giorni andava a caccia con Ruth, perché il drago bianco aveva bisogno di pasti più frequen-ti dei suoi compagni più grandi. Di solito le lucertole di fuoco della For-tezza accompagnavano Ruth, banchettando con lui. Molti usavano imboc-carle personalmente tutti i giorni, ma il bisogno di carne fresca non le ab-bandonava mai, ed era stato deciso di non cercare di sradicare quell'istinto. Le lucertole di fuoco erano esserini sventati e temerari e, sebbene non vi fosse dubbio che si affezionavano sinceramente alla Schiusa, andavano soggetti a crisi e paure improvvise e scomparivano, spesso per lunghi pe-riodi. Quando tornavano, si comportavano come se non si fossero mai as-sentate, a parte il fatto che trasmettevano immagini incredibili.

Quel giorno, Jaxom lo sapeva, Ruth era pronto per andare a caccia. Udì il suo compagno esprimere rumorosamente l'impazienza di partire. Riden-do, Jaxom indossò la pesante giubba da volo e infilò gli stivali, mentre chiedeva educatamente che genere di cibo avrebbe gradito Ruth.

Wherry, un bel wherry grasso delle pianure, non uno di quelli segaligni di montagna, fece Ruth, sottolineando il suo disprezzo con uno sbuffo.

«Direi proprio che sei affamato,» disse Jaxom, entrando nel weyr del drago e avvicinandosi.

Ruth appoggiò leggermente il naso sul petto di Jaxom: il suo alito fresco penetrava anche attraverso la pesante giubba da volo. Gli occhi turbinava-no delle sfumature rosse dell'appetito. Si avviò verso l'enorme porta metal-lica che dava sul cortile delle stalle e l'aprì con le zampe anteriori.

Avvertite dai pensieri famelici di Ruth, le lucertole di fuoco della For-tezza volteggiavano in aria, impazienti. Jaxom montò e disse a Ruth di prendere il volo. Il vecchio drago marrone di guardia augurò buona caccia dalle alture dei fuochi, ed il suo cavaliere agitò il braccio in segno di salu-to.

Grazie alle dècime pagate dalle Fortezze, i sei Weyr di Pern avevano armenti e greggi che servivano a sfamare i draghi. Nessun Signore delle Fortezze protestava se di tanto in tanto un cavaliere portava il drago a sfa-marsi sulle sue terre. Poiché Jaxom era Signore di Ruatha e, ufficialmente, avevi diritti su tutto quanto si trovava entro i suoi confini, la caccia di Ruth era soprattutto una questione di cortesia. Lytol non aveva avuto bisogno di spiegare a Jaxom che doveva portare il suo animale a nutrirsi un po' qua e

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un po' là, per non danneggiare troppo i singoli allevatori. Quel mattino, Jaxom diede a Ruth le coordinate di una ricca tenuta erbo-

sa, dove, aveva detto Lytol, venivano ingrassati i wherry maschi destinati ad essere macellati in primavera. L'allevatore era in giro sul suo corridore, quando Jaxom e Ruth apparvero; salutò educatamente il giovane Signore e rispose alle cortesi domande di Jaxom sulla sua salute, sulla prosperità del branco e sulle uova deposte dalle sue femmine.

«C'è qualcosa che vorrei riferissi al Nobile Lytol,» cominciò l'uomo, e Jaxom notò un certo risentimento nei suoi modi. «Ho richiesto più volte un uovo di lucertola di fuoco. Ne ho il diritto e la necessità. Non posso riusci-re a far schiudere le uova dei wherry, se tutte quelle bestiacce scavano e rompono i gusci. Ogni covata ne perdo quattro o cinque, per colpa dei ser-penti e del resto. Una lucertola di fuoco li terrebbe lontani. So che lo fanno per quel tale giù alla Fortezza del Lago Bald e per altri con cui ho parlato. Le lucertole di fuoco sono molto utili, Nobile Jaxom, e poiché ormai da dodici Giri sono proprietario terriero, ho diritto ad averne una Palon del Lago Bald ha una lucertola di fuoco, eppure è proprietario terriero da soli dieci Giri.»

«Non riesco a immaginare perché tu sia stato trascurato, Tegger. Prov-vederò perché si rimedi. Al momento non abbiamo covate, ma appena ne avremo una, farò quello che posso.»

Tegger ringraziò, imbronciato, poi consigliò a Jaxom di dar la caccia al branco di maschi che avrebbe trovato al pascolo in fondo al prato, in pia-nura. Aveva intenzione di portare al macello il branco più vicino, i wherry inseguiti da un drago dimagrivano troppo.

Jaxom lo ringraziò, e Ruth modulò un grido di gratitudine, facendo im-pennare spaventato il corridore di Tegger. Rabbiosamente, Tegger tirò le redini, facendo girare la testa all'animale e impedendogli di darsi alla fuga.

Era molto difficile che Tegger potesse imprimere a una lucertola di fuo-co lo Schema dell'Apprendimento, pensò Jaxom, mentre balzava sulla spalla di Ruth.

Ruth si dichiarò d'accordo. Una volta, quell'uomo ha avuto un uovo La piccolina andò subito in mezzo e non tornò più al luogo della Schiusa.

«Come fai a ricordarlo?» Me l'hanno detto le lucertole di fuoco. «Quando?» Quando accadde. L'ho appena rammentato. Ruth sembrava molto fiero

di sé. Mi dicono molte cose interessanti, quando tu non sei con me.

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Solo allora Jaxom si accorse che non avevano la solita scorta di lucertole di fuoco, sebbene Ruth fosse in caccia. Lui non aveva preteso che Brand vietasse completamente alle lucertole di compiere escursioni in loro com-pagnia.

Lamentosamente, Ruth chiese se non potevano proseguire la caccia, per-ché aveva tanta fame. Proseguirono verso la zona indicata, e Ruth lasciò Jaxom su un pendio erboso, in vista del territorio di caccia, e il giovane sedette. Non appena Ruth, si fu alzato di nuovo in volo, apparve uno scia-me di lucertole di fuoco, che atterrarono compite, in attesa che il drago le invitasse a partecipare alla caccia.

Alcuni draghi se la prendevano comoda, quando si trattava di scegliere il pasto, sorvolando l'armento o il branco per disperderlo e isolare i capi più grossi. Ruth si decise in fretta, o forse era influenzato dal fatto che Jaxom sapeva che Tegger non sarebbe stato lieto di veder dimagrire troppo i suoi wherry. Comunque, il drago bianco uccise il primo maschio con una rapi-da picchiata, spezzandogli il lungo collo mentre gli piombava addosso.

Ruth permise alle estasiate lucertole di fuoco di spilluzzicare le ossa, mentre uccideva un secondo capo, mangiando con la sua abituale eleganza. Il branco si era appena ricomposto in fondo al pascolo quando, inaspetta-tamente, Ruth si lanciò verso la terza preda.

Te l'avevo detto che ero affamato, disse in tono così contrito che Jaxom rise e gli rispose di rimpinzarsi quanto voleva.

Non mi sto rimpinzando, ribatté Ruth, un po' scandalizzato all'idea che Jaxom pensasse di lui una cosa simile. Ho tanta fame.

Jaxom guardò pensosamente le lucertole di fuoco che banchettavano. Si chiese se ce n'era qualcuna di Ruatha. Immediatamente, Ruth rispose che erano venute dalle zone circostanti.

Dunque, pensò Jaxom, ho risolto il problema d'impedire alle lucertole ruathane di seguirmi. Ma quello che sapeva una lucertola di fuoco sembra-va che lo sapessero tutte le altre, e quindi avrebbe dovuto tener loro nasco-ste le sue attività.

Jaxom sapeva che un drago aveva bisogno di tempo per masticare e di-gerire le pietre focaie, se si voleva ottenere l'effetto migliore. I dragonieri incominciavano a dare le pietre alle loro bestie parecchie ore prima che cominciassero a cadere i Fili. Quanto tempo avrebbe impiegato Ruth a lavorarsi una dose completa di pietre, per produrre sbuffi di fuoco? Chissà. Avrebbe dovuto procedere con prudenza. Poiché i draghi erano diversi per capacità e prontezza, ogni cavaliere doveva scoprire da sé le caratteristiche

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del suo animale. Se almeno avesse potuto addestrare Ruth in un Weyr, avvalendosi dell'esperienza di un istruttore...

Bene, le pietre focaie non costituivano un problema. Il vecchio drago da guardia doveva venire rifornito costantemente, e quindi ce n'era un bel mucchio sulle alture dei fuochi. E Ruth non avrebbe avuto bisogno della quantità necessaria ad un grosso drago.

Il problema era quando. Jaxom aveva la mattinata libera perché Ruth doveva andare a caccia, e non era consigliabile portare in mezzo un drago sazio... tutto quel cibo caldo e nutriente avrebbe causato un'indigestione, nel freddo che regnava in mezzo. Perciò Jaxom avrebbe dovuto ricondurre Ruth in volo diretto alla Fortezza di Ruatha. Il pomeriggio sarebbe stato impegnato a ispezionare le semine di primavera; e se Lytol aveva vera-mente iniezione di prendere accordi per farlo confermare Signore della Fortezza, lui non poteva esimersi dal fare la sua comparsa.

Pigramente, Jaxom si chiese se i Signori delle Fortezze non si preoccu-pavano mai della possibilità che lui finisse per imitare gli atteggiamenti tirannici di suo padre. Parlavano delle Stirpi del Sangue, e delle caratteri-stiche di famiglia; ma non temevano che in lui il sangue di Fax non men-tisse? Oppure contavano sull'influenza positiva del sangue di sua madre? Erano tutti dispostissimi a parlare con lui di sua madre, Dama Gemma; ma s'impappinavano e si affrettavano a cambiare argomento se lui si azzardava a nominare il suo poco compianto genitore. Temevano che si facesse veni-re qualche idea, ispirandosi al comportamento aggressivo di suo padre? Oppure era solo per cortesia che preferivano non parlar male di un morto? Certamente non si facevano scrupolo di parlare dei vivi nel modo più fero-ce.

Jaxom si baloccò con idee di conquista. Come avrebbe fatto, lui, per sconfiggere Nabol, o magari Tillek, dato che la Fortezza di Fort era un boccone troppo duro? O forse Crom, sebbene lui avesse simpatia per il figlio maggiore del nobile Nessel, Kem... troppa simpatia per pensare di togliergli quello che era suo di diritto. Per i Gusci, era proprio il tipo più adatto per parlare di conquista, visto che non riusciva neppure a disporre del suo destino e di quello del suo drago!

Ruth, barcollando un po' con il ventre gonfio, ruttò soddisfatto mentre si avvicinava al suo cavaliere. Si sdraiò sull'erba riscaldata dal sole e comin-ciò a leccarsi gli artigli. Come sempre, era meticoloso in fatto di pulizia.

«Riesci a volare quando sei così pieno?» chiese Jaxom, quando Ruth eb-be finito di forbirsi.

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Ruth girò la testa, roteando gli occhi con un'espressione di rimprovero. Io posso volare sempre. Alitò, e il suo fiato dolce sapeva di carne. Sei an-cora preoccupato.

«Voglio che noi due siamo una vera coppia, drago e cavaliere, e che combattiamo i Fili: io sul tuo dorso, e tu che lanci fiamme.»

Allora lo faremo, disse Ruth, con fede incrollabile. Io sono un drago, tu sei il mio cavaliere. Perché questo deve costituire un problema?

«Beh, dovunque andiamo, le lucertole di fuoco ci seguono.» Tu hai detto all'uomo tozzo con la lucertola azzurra - era così che Ruth

identificava Brand - che non dovevano seguirci. E non sono venute qui. «Ne sono venute altre, e sai bene quanto spettegolano le lucertole di fuo-

co.» Poi Jaxom ricordò i commenti di Menolly. «Cosa stanno pensando, adesso?»

Alle loro pance piene. I wherry erano grassi e teneri. Ottimo pasto. Non ricordano di aver mangiato di meglio da molti Giri.

«Se ne andranno, se glielo dici tu?» Ruth sbuffò e roteò gli occhi, più per l'ilarità che per l'irritazione. Si

chiederebbero perché e tornerebbero a vedere. Glielo dirò, se vuoi. Forse resteranno lontane abbastanza a lungo.

«È il loro comportamento tipico: hanno più curiosità che buon senso. Bene, come dice Robinton, c'è sempre un modo per risolvere tutti i pro-blemi. Basta trovarlo.»

Quando tornarono alla Fortezza di Ruatha, l'apparato digerente di Ruth funzionava rumorosamente. Non desiderava altro che acciambellarsi su una roccia riscaldata dal sole e dormire, e poiché il drago marrone di guar-dia non era al suo solito posto, Ruth andò a sistemarsi là. Jaxom attese nel Grande Cortile che il drago bianco si fosse piazzato comodo, e poi andò a cercare Lytol.

Se anche Brand gli aveva riferito la richiesta di Jaxom, il Nobile Reg-gente non lo fece capire: accolse il pupillo con l'abituale riserbo e lo solle-citò a mangiare in fretta, perché li attendeva una cavalcata piuttosto lunga. Tordrill e uno degli altri figli adottivi più grandi, che vivevano sotto la supervisione di Lytol, li avrebbero accompagnati. Il Maestro Agricoltore Andemon aveva inviato sementi nuove ottenute da poco e che davano gra-no a crescita rapida ed a resa elevata. I campi meridionali, popolati dai bruchi e seminati con quella varietà di grano, avevano prodotto messi stra-ordinariamente sane e resistenti alle malattie, capaci di sopravvivere a lun-ghi periodi di siccità. Andemon teneva a sapere come sarebbe venuto quel

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grano in un clima nordico, maggiormente piovoso. Molti dei piccoli proprietari terrieri più anziani non volevano saperne di

provare le novità. «Fossilizzati come gli Antichi,» borbottava Lytol, ma in un modo o nell'altro riusciva sempre a spuntarla. Per esempio, Fidello, proprietario della tenuta che stavano seminando, era lì solo da due Giri: il suo predecessore era morto per una caduta mentre inseguiva alcuni wherry selvatici.

Dopo un pasto sbrigativo, i viaggiatori partirono in groppa ai corridori selezionati, capaci di camminare per tutta una lunga giornata estiva senza stancarsi. Sebbene Jaxom trovasse noioso impiegare ore ed ore per attra-versare la campagna, quando avrebbe potuto volare in mezzo con Ruth in pochi respiri, apprezzava di tanto in tanto una cavalcata a dorso dei corri-dori. Quel giorno, con la primavera nell'aria e la certezza di essere ancora nelle grazie di Lytol, si godette il viaggio.

La tenuta di Fidello si trovava nella parte nordorientale di Ruatha, su un pianoro che aveva per sfondo le montagne innevate di Crom. Quando arri-varono sull'altopiano, la lucertola di fuoco azzurra che stava posata sul braccio di Tordril lanciò un gridolino di saluto e s'involò per volteggiare in cerchio, presentandosi ad una lucertola marrone, che probabilmente era legata a Fidello ed era stata inviata a segnalare l'arrivo dei visitatori. Im-mediatamente, le due lucertole sparirono in mezzo. Tordril e Jaxom si scambiarono un'occhiata, pensando al klah e ai dolci che li attendevano nella tenuta. La cavalcata aveva messo loro addosso un certo appetito.

Fidello venne loro incontro per accompagnarli durante l'ultimo tratto di strada. Cavalcava un robusto animale da lavoro, con il manto estivo che splendeva di salute attraverso i brandelli del ruvido vello invernale. La tenuta, in cui li accolse con premura dignitosa, era piccola e ben tenuta. I suoi dipendenti, inclusi quelli del precedente proprietario, si erano radunati per servire i visitatori.

«Ha una buona cuoca,» disse Tordril sottovoce a Jaxom, mentre i tre giovani si servivano abbondantemente dei piatti. preparati sul lungo tavolo della Sala. «E una sorella molto carina,» aggiunse, quando la ragazza si avvicinò portante) una caraffa fumante di klah.

Era veramente carina, riconobbe Jaxom, osservandola attentamente per la prima volta. Tordril era abilissimo nell'adocchiar le ragazze più grazio-se. Brand avrebbe dovuto tenerlo d'occhio, quando si avventurava fuori dalla Fortezza tra le casette degli operai, sotto il ponte. La ragazza, co-munque, rivolse un sorriso timido a Jaxom, non a Tordril, e sebbene il fu-

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turo Signore di Ista cercasse di fare conversazione, lei rispose laconica-mente, riservando a Jaxom tutti i sorrisi. Si allontanò da lui solo quando suo fratello arrivò per dire che avrebbero dovuto cominciare la semina, altrimenti avrebbero dovuto tornare alla Fortezza di notte.

«Chissà se avresti fatto colpo su di lei tanto in fretta, se fossi stato io il Signore di Ruatha?» chiese Tordril a Jaxom, mentre controllavano le cin-ghie delle selle prima di rimontare.

«Ho fatto colpo su di lei?» Jaxom fissò Tordril senza capire. «Abbiamo chiacchierato, ecco tutto.»

«Beh, potresti averla la prossima volta che... ah, avrai occasione di chiacchierare. Oppure a Lythol dispiacerebbe avere intorno qualche mez-zosangue? Mio padre dice sempre che servono a far rigare diritto i figli purosangue! Per te dovrebbe essere facile, dato che Lytol è cresciuto in un Weyr, e non è troppo rigido in queste cose.»

In quel momento, Lytol e Fidello li raggiunsero, ma il commento invi-dioso di Tordril lanciò i pensieri di Jaxom lungo una rotta interessante. Come si chiamava la ragazza? Corana? Bene, Corana poteva essere molto utile. C'era soltanto una lucertola di fuoco nella Tenuta del Pianoro... e se Ruth fosse riuscito a dissuaderla dal seguirli...

Quando ritornarono alla Fortezza, a notte inoltrata, Jaxom salì furtiva-mente sulle alture dei fuochi e prelevò un sacco di pietre focaie dalla scorta del drago marrone, mentre il vecchio animale e il suo cavaliere compivano un breve volo serale per sgranchire le ali.

La mattina dopo, chiese con aria disinvolta a Lytol se pensava che aves-sero portato abbastanza semi a Fidello. Il campo sembrava molto grande. Lytol lo fissò a palpebre socchiuse per un momento, poi ammise che forse sarebbe stato meglio mandare un altro mezzo sacco. L'espressione di Tor-dril tradiva sorpresa e, pensò Jaxom, un certo rispetto per la plausibilità di quel pretesto. Lytol ordinò di prelevare mezzo sacco di semi di Andemon dal magazzino di Brand, e Jaxom se ne andò per indossare gli abiti da vo-lo.

Ruth, molto pieno di sé dopo l'abbondante pasto, voleva sapere se c'era un bel lago nei pressi della tenuta. Jaxom pensava che il fiume fosse abba-stanza ampio per il bagno di un drago: ma non andavano là per darsi agli sport acquatici. Riuscirono a decollare senza che nessuno notasse il secon-do sacco appeso a Ruth... né le cinghie da combattimento. Sebbene le lu-certole di fuoco seguissero i soliti caroselli vertiginosi mentre Ruth s'invo-lava, nessuna emerse insieme a loro alla Tenuta del Pianoro.

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Fidello prese personalmente in consegna i semi, profondendosi in tali ringraziamenti che Jaxom si vergognò un poco della propria doppiezza.

«Non volevo accennarne davanti al Nobile Reggente, Nobile Jaxom, ma ho preparato un campo molto grande per la semina, e mi piacerebbe vedere una buona resa, per giustificare la opinione che il Nobile Lytol ha di me. Gradisci qualcosa da bere! Mia moglie...»

Solo sua moglie? «Grazie. La mattina è fresca.» Batté affettuosamennte la mano sul collo di Ruth e smontò, seguendo Fidello nella casa. Notò con piacere che la Sala principale era linda e in ordine come lo era stato in oc-casione della prima visita. Corana non c'era, ma la moglie incinta di Fidel-lo non si lasciò ingannare da quel ritorno.

«Tutti gli altri sono andati al fiume, dove c'è l'isola, per raccogliere giunchi, Nobile Jaxom,» disse, sbirciandolo con aria civettuola, mentre gli serviva il klah bollente. «Con il tuo bel drago, è questione di un momento arrivarci, mio signore.»

«Ma perché il Nobile Jaxom dovrebbe aver voglia di assistere alla rac-colta dei giunchi?» chiese Fidello: ma non ricevette una risposta diretta.

Sbrigati i convenevoli, Jaxom guidò Ruth in volo, volteggiò in cerchio per salutare Fidello, e poi andò in mezzo per raggiungere la montagna, al riparo degli occhi più acuti. La lucertola di fuoco marrone li seguì.

«Per i Gusci! Ruth, digli di sparire.» Immediatamente, la lucertola marrone scomparve. «Bene; adesso posso insegnarti a masticare le pietre focaie.» Lo so. «Lo credo bene. Ho frequentato i dragonieri abbastanza a lungo per ca-

pire che non è una cosa tanto semplice.» Ruth lanciò uno sbuffo, mentre Jaxom estraeva dal sacco un pezzo di

pietra focaia grossa come un pugno. «Adesso pensa all'altro tuo stomaco!» Ruth si coprì completamente gli occhi con le palpebre, mentre accettava

la pietra focaia. Il rumore della masticazione lo sbalordì. Spalancò gli oc-chi, e Jaxom esclamò: «Ma devi proprio fare tanto chiasso?»

È pietra. Abbassò le palpebre sugli occhi e inghiottì improvvisamente. Sto pen-

sando all'altro mio stomaco, disse a Jaxom, prima che questi glielo ram-mentasse. Più tardi, Jaxom giurò che sentiva i frammenti masticati rotolare giù per la strozza del drago. I due si guardarono, in attesa della fase suc-cessiva.

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«Dovresti ruttare.» Lo so. So come si fa a ruttare. Ma non posso. Cortesemente, Jaxom gli offrì un altro grosso pezzo di pietra. Questa

volta la masticazione fu meno rumorosa. Ruth deglutì, poi si assestò sulle zampe posteriori.

OH! All'esclamazione mentale seguì un rombo che indusse Ruth a guardarsi

prontamente il ventre bianco. Poi aprì la bocca. Con un grido d'allarme, Jaxom si buttò a lato mentre un sottile filo di fiamma usciva dal muso del drago. Ruth sussultò, piegandosi all'indietro, e non si rovesciò soltanto perché si teneva puntellato con la coda.

Credo d'aver bisogno di altre pietre focaie per produrre una fiamma ri-spettabile.

Jaxom gli offrì altri pezzi più piccoli. Ruth si affrettò a masticarli, e an-cora più rapidamente eruttò il gas.

Così va meglio, disse soddisfatto. «Non servirebbe a molto, contro i Fili.» Ruth si limitò ad aprire la bocca per ricevere altre pietre focaie. Quelle

che Jaxom aveva portato vennero consumate anche troppo in fretta. Ma Ruth riuscì a carbonizzare un ampio tratto d'erba, fra le rocce.

«Non credo che abbiamo imparato come si fa.» E non abbiamo bruciato Fili a mezz'aria. «Non siamo ancora pronti. Ma abbiamo dimostrato che tu puoi mastica-

re le pietre focaie.» Non ne avevo mai dubitato. «Neppure io, Ruth.» Jaxom emise un profondo sospiro. «Ma avremo bi-

sogno di parecchie pietre focaie, fino a quando avrai imparato a produrre un'eruzione continuata.»

Ruth assunse un'espressione così sconsolata che Jaxom si affrettò a ras-sicurarlo, strofinandogli le arcate sopracciliari e accarezzandogli la protu-beranza ossea della testa.

«Dovevano permetterci di addestrarti adeguatamente con gli altri dra-ghetti. Non è giusto. L'ho sempre detto. Oggi non puoi superare tutte le difficoltà. Ma, per il Primo Guscio, alla fine la spunteremo.»

Ruth si tranquillizzò, poi si rianimò. C'impegneremo maggiormente, ec-co tutto. Ma sarebbe più facile se avessimo più pietre focaie. Il marrone Wilth non le usa più tanto. È troppo vecchio per masticarle.

«Per questo è un drago da guardia.»

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Jaxom svuotò il sacco dalle briciole di pietra focaia, legò il cinghiolo dell'imboccatura e se l'annodò intorno alla cintura. Non aveva avuto biso-gno della corda per le cinghie da combattimento, dopotutto. Stava per dire a Ruth di trasferirsi direttamente a Ruatha, quando ricordò che avrebbe fatto bene a consolidare il suo alibi, per il futuro. Non faticò a rintracciare i raccoglitori di giunchi accanto all'isola nel fiume, e Corana si affrettò a corrergli incontro. Era molto graziosa, notò Jaxom, con un delicato rossore sulle guance, e gli occhi sgranati, verdognoli. Le trecce scure s'erano sciol-te, ed i capelli le aderivano alle guance in onde umide.

«Sono arrivati i Fili?» chiese lei sbarrando gli occhi verdi per lo sgo-mento.

«No. perché?» «Sento odore di pietra focaia.» «Oh, sono questi abiti da volo. Li uso sempre durante le Cadute. L'odore

deve restare attaccato. Non me ne ero accorto.» Era un rischio che non aveva considerato, e avrebbe dovuto far qualcosa per rimediare. «Ho por-tato altri semi per tuo fratello...»

Corana lo ringraziò dolcemente perché si prendeva tanto disturbo per una piccola tenuta come la loro. Poi s'intimidì. Jaxom si divertì a sconvol-gerla ancor di più, insistendo per aiutarla a raccogliere i giunchi.

«Come Nobile della Fortezza, desidero imparare a fare tutto quello che richiedo ai miei,» disse, per troncare le proteste della ragazza.

In effetti, si divertì. Quando ebbero raccolto un enorme fascio, si offrì di portarlo a casa sul dorso di Ruth, se Corana consentiva ad andare con lui. La ragazza era chiaramente impaurita, ma Jaxom le garantì che avrebbero compiuto un volo diretto, poiché lei non era vestita per affrontare il freddo in mezzo. Jaxom ottenne un paio di baci, prima che Ruth scendesse in cer-chio per far atterrare i suoi passeggeri alla tenuta. E decise che, in un modo o nell'altro, Corana non sarebbe stata soltanto un pretesto.

Dopo aver deposto a terra lei ed i giunchi, portò Ruth in mezzo per tra-sferirsi al loro lago montano. Sebbene non avesse voglia di un bagno fred-do, sapeva che avrebbero fatto bene a togliersi di dosso l'odore della pietra focaia prima di ripresentarsi a Ruatha. Impiegò diverso tempo per togliere, con la sabbia saponosa, il puzzo dalla pelle lucente di Ruth. Poi Jaxom dovette asciugarsi la camicia e i calzoni, stendendoli al sole sui cespugli. Ormai il sole aveva superato lo zenith, e lui aveva perso più tempo di quanto potesse giustificare la sosta in compagnia di Corana. Perciò corse il rischio e ritornò a Ruatha passando in mezzo nel tempo, giungendo quando

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il sole stava ancora ascendendo in cielo. Ma un particolare di cui non ave-va tenuto conto per poco non li tradì.

Era a cena quando il suo drago gli lanciò un appello, una chiamata ur-gente. «Ruth!» spiegò, balzando dalla sedia, e corse attraverso la Sala, pre-cipitandosi nel corridoio che portava al suo alloggio.

Mi brucia lo stomaco, cominciò a dirgli angosciato Ruth. «Per i Gusci, sono le pietre,» rispose Jaxom, mentre correva per il corri-

doio deserto. «Vai fuori, sulle alture dei fuochi. Dove Wilth lascia le sue.» Ruth non era sicuro di poter volare in quelle condizioni. «Sciocchezze. Tu puoi volare sempre.» Ruth doveva svuotarsi il secon-

do stomaco fuori dal Weyr. Lytol poteva sopraggiungere per vedere che cosa aveva indotto il drago ad interrompere la cena di Jaxom.

Non posso muovermi. Sono troppo appesantito. «Devi solo rigurgitare la cenere delle pietre focaie. I draghi non la ten-

gono nello stomaco: non possono digerirla. Devi vomitarla.» Credo proprio che lo farò. «Non nel weyr, Ruth. Ti prego!» Dopo un istante, Ruth lo guardò con aria contrita. In mezzo al pavimento

del weyr, un mucchietto di qualcosa che sembrava sabbia umida, bruno-grigiastra, esalava vapore.

Adesso mi sento molto meglio, disse Ruth con un filo di voce. «Senti arrivare Lytol?» chiese Jaxom: il cuore gli batteva così forte per

la corsa che non sentiva altro. Si precipitò fuori dalle porte metalliche, nel cortile della cucina, per prendere un secchio e una paletta. «Se riesco a portar via questa roba prima che l'odore saturi il weyr...» Lavorò più in fretta che poteva: il secchio bastò a raccogliere tutto. Per fortuna Ruth non aveva masticato abbastanza pietre focaie per le quattro ore di una Caduta dei Fili.

Jaxom spinse fuori il secchio e sparse sabbia dolce. «Niente Lytol?» chiese, un po' sorpreso. No. Jaxom esalò un sospiro di sollievo e accarezzò Ruth per tranquillizzarlo.

La prossima volta, non avrebbe dimenticato di far rigurgitare il drago in un posto sicuro.

Quando riprese il suo posto a tavola, Jaxom non fornì spiegazioni e nes-suno gliene chiese... un altro esempio del nuovo rispetto di cui era circon-dato.

La notte seguente, lui e Ruth rubarono tutte le pietre focaie che il drago

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poteva portare dal posto più logico... le miniere di pietra focaia a Crom. Sei lucertole di fuoco apparvero durante la scorreria, e Ruth si limitò a rimandarle indietro via via che comparivano.

«Non lasciare che ci seguano.» Lo facevano solo per cortesia. Mi vogliono bene. «Qualche volta è un guaio godere di troppa popolarità.» Ruth sospirò. «Le pietre focaie sono troppe?» chiese Jaxom, che non voleva sovracca-

ricarlo. No, certo. Io sono molto forte. Jaxom portò Ruth in mezzo, e uscirono nel deserto di Keroon. Lì c'era il

mare per poter fare il bagno, dopo, e sabbia dolce in abbondanza per to-gliere il fetore della pietra focaia, e il sole era abbastanza caldo per asciu-gare gli abiti in brevissimo tempo.

V

Mattina alla Sede dell'Arte degli Arpisti, Fortezza di Fort. Pomeriggio al Weyr di Benden. Tardo pomeriggio nella Sede dell'Arte degli Arpisti, 15.5.26. Passò un'altra Caduta dei Fili prima che Jaxom potesse tornare di nuovo

alla Tenuta del Pianoro. Sembrava che avesse più successo con Corana che nei suoi tentativi di riuscire ad ottenere da Ruth una fiamma continuata. Il drago bianco aveva la gola ustionata, a furia di trattenere i rutti quando le lucertole di fuoco comparivano nei momenti meno opportuni. Jaxom era sicuro che tutte le lucertole della Fortezza di Keroon fossero venute a dare un'occhiata. Persino la pazienza di Ruth era al limite, e dovettero spostarsi nel tempo di sei ore perché la loro assenza da Ruatha non venisse conside-rata eccezionale. Spostarsi nel tempo lo stancava, notò Jaxom, mentre si buttava sul letto quella notte, esausto e frustrato.

Per peggiorare la situazione, l'indomani doveva andare con Finder alla Sede del Maestro Arpista, perché l'Arpista di Ruatha doveva imparare a servirsi delle equazioni stellari di Wansor. Tutti gli arpisti dovevano impa-rare, in modo che almeno un'altra persona, oltre al Signore della Fortezza, fosse in grado di effettuare previsioni esatte sulla Caduta dei Fili.

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La Sede del Maestro Arpista faceva parte dell'ampio complesso di abita-zioni all'interno ed all'esterno dei dirupi della Fortezza di Fort. Quando Jaxom e Finder, sul dorso di Ruth, irruppero nell'aria sopra la Sede, trova-rono il caos. Le lucertole di fuoco volteggiavano e si tuffavano in picchia-ta, in preda alla più grande agitazione. Il drago di guardia sulle alture dei fuochi della Fortezza s'era alzato sulle zampe posteriori, e raspava l'aria con quelle anteriori, sventolando le ali e muggendo di furore.

Sono infuriati! Infuriati! commentò sbigottito il drago bianco. Ruth! So-no Ruth! Ruth! gridò con la sua inimitabile voce tenorile.

«Cos'è successo?» chiese Finder all'orecchio di Jaxom. «Ruth dice che sono infuriati.» «Infuriati? Non ho mai visto un drago così infuriato in vita mia!» Pieno d'apprensione, Jaxom guidò Ruth nel cortile della sede dell'arte

degli Arpisti. C'era tanta gente che correva di qua e di là, mentre le lucerto-le sfrecciavano all'impazzata, che faticò a trovare un posto sgombro per atterrare. Appena fu al suolo, uno sciame di lucertole di fuoco gli danzò intorno, proiettando pensieri ansiosi e agitati che, come riferì Ruth a Ja-xom, per lui non avevano senso... e meno ancora ne avevano per il giovane Signore di Ruatha, quando li ricevette di seconda mano. Percepì che erano le bestiole di Menolly, inviate a scoprire dov'era.

«Eccoti qui! Hai ricevuto il mio messaggio?» Menolly uscì correndo dalla Sede, trascinandosi dietro gli indumenti da volo. «Dobbiamo andare al Weyr di Benden. Hanno rubato l'uovo di regina.»

Si arrampicò dietro Finder, sul dorso di Ruth, scusandosi per il disturbo ed esortando Jaxom a ripartire. «Siamo in troppi, tre per Ruth?» chiese preoccupata, un po' in ritardo, mentre il drago bianco sembrava esitare prima di lanciarsi.

No. «Chi ha rubato l'uovo di Ramoth? Come? Quando?» chiese Finder. «Mezz'ora fa. Stanno chiamando tutti i bronzei e le altre regine. Voglio-

no andare al Weyr Meridionale in forze, per costringerli a rendere l'uovo.» «E come fanno a sapere che è stato il Weyr Meridionale?» chiese Jaxom. «Chi altri avrebbe bisogno di rubare un uovo di regina?» Poi la conversazione cessò, mentre Ruth li portava prontamente in mez-

zo. Irruppero nell'aria al di sopra di Benden, e all'improvviso tre bronzei arrivarono sfrecciando dalla parte del sole, diritti verso di loro, lanciando fiamme. Ruth gettò uno strido e andò in mezzo, emergendo sopra il lago e strillando a pieni polmoni in direzione dei mancati aggressori.

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Sono Ruth. Sono Ruth. Sono Ruth! «L'abbiamo scampata bella!» disse Finder, deglutendo. Stringeva con-

vulsamente le braccia di Jaxom. Avete mancato di poco le mie ali. Sono Ruth! Si sono scusati, aggiunse il

drago bianco in tono più calmo, rivolgendosi al suo cavaliere. Ma girò la punta dell'ala per osservarla meglio.

Menolly gemette. «Avevo dimenticato di dirvi che, arrivando, doveva-mo gridare chi siamo. Ma avrei creduto che almeno Ruth non avesse biso-gno di farsi riconoscere.»

Mentre l'Arpista parlava, apparvero altri draghi, lanciando grida ai tre bronzei che montavano la guardia dalle alture. I nuovi arrivati volarono in stretti cerchi per deporre i loro passeggeri accanto alla folla raccolta intor-no all'ingresso del Terreno della Schiusa. Jaxom, Finder e Menolly si av-viarono attraverso la Conca per raggiungere gli altri.

«Jaxom, avevi mai visto tanti draghi?» Menolly girò lo sguardo verso il bordo del Weyr affollato, verso i draghi appollaiati sui cornicioni, tutti con le ali spiegate, pronti a prendere immediatamente il volo. «Oh, Jaxom, e se si arrivasse a una battaglia di draghi contro draghi?»

Il terrore nella voce dell'Arpista faceva eco alla paura del Signore di Ruatha.

«Quei pazzi degli Antichi devono essere ridotti alla disperazione,» disse cupamente Finder.

«E come hanno potuto compiere un furto così sfrontato?» chiese Jaxom. «Ramoth non lascia mai una covata.» Almeno da quella volta che io e F'lessan disturbammo le sue uova, aggiunse fra sé, contrito.

«F'nor ci ha portato la notizia,» disse Menolly. «Ha detto che Ramoth era andata a mangiare. Metà delle lucertole di fuoco di Benden erano sul Terreno della Schiusa. Ci stanno sempre...»

«Più una o due venute in visita dal Weyr Meridionale, senza dubbio,» aggiunse Finder.

Menolly annui. «È quel che ha detto F'nor. Quindi gli Antichi sapevano che Ramoth non c'era. F'nor ha detto che aveva appena ucciso la preda quando sono apparsi tre bronzei, hanno superato il drago di guardia... Vo-glio dire, perché mai il drago di guardia avrebbe dovuto contestare la pre-senza dei bronzei? Si sono infilati nella galleria superiore che porta al Ter-reno della Schiusa: Ramoth ha lanciato un urlo terribile ed è andata in mezzo. Poi i tre bronzei sono usciti in volo dall'ingresso superiore: avevano sentito l'urlo di Ramoth. Lei si è precipitata fuori dal Terreno della Schiu-

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sa, ma quelli erano andati in mezzo prima che potesse sollevarsi dal suolo.» «Non hanno mandato i draghi a inseguirli?» «È andata Ramoth! Con Mnementh subito dietro di lei. Ma è stato inuti-

le.» «Perché?» «I bronzei sono andati in mezzo nel tempo.» «E neppure Ramoth poteva sapere quando.» «Esattamente. Mnementh ha controllato il Weyr e la Fortezza Meridio-

nale e metà delle spiagge calde.» «Neppure gli Antichi sarebbero tanto stupidi da portare direttamente un

uovo di regina al Weyr Meridionale.» «Ma senza dubbio gli Antichi non sanno,» aggiunse stancamente Fon-

der, «che noi siamo al corrente che l'uovo l'hanno preso loro.» Avevano raggiunto la folla: c'erano dragonieri di altri Weyr, e Signori

delle Fortezze e Maestri delle Arti. Lessa stava sul cornicione dei suo Weyr, accanto a F'lar e a Fandarel e Robinton, che avevano un'aria estre-mamente cupa e ansiosa. N'ton si fermò a metà della scalinata, parlando concitato e con gesti rabbiosi ad altri due cavalieri bronzei. Un po' in di-sparte stavano le altre tre Dame del Weyr di Benden, e parecchie altre donne che dovevano essere compagne delle regine degli altri Weyr. L'at-mosfera d'indignazione e di frustrazione era opprimente. Ramoth domina-va la scena, camminando avanti e indietro di fronte al Terreno della Schiu-sa, e soffermandosi di tanto in tanto per scrutare le uova rimaste sulla sab-bia calda. Agitò la coda sferzante e lanciò urla rabbiose che soffocarono le discussioni in corso sul cornicione, sopra di lei.

«È pericoloso portare un uovo in mezzo,» disse qualcuno che stava da-vanti a Jaxom e Menolly.

«Immagino che sia possibile; purché l'uovo fosse ben caldo e non ne ab-bia risentito.»

«Dovremmo prendere il volo, piombare sul Continente Meridionale e bruciare gli Antichi e il loro Weyr.»

«Spingere i draghi a combattere i draghi? Tu ragioni come gli Antichi.» «Ma non possiamo permettere che i draghi rubino le nostre uova di regi-

na! È il peggiore insulto che Benden abbia mai ricevuto dagli Antichi. Io dico che dobbiamo fargliela pagare.»

«Il Weyr Meridionale è ridotto alla disperazione,» disse sottovoce Me-nolly a Jaxom. «Nessuna delle loro regine si è levata nel volo nuziale. I bronzei stanno morendo, e non hanno neppure giovani verdi.»

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In quel momento Ramoth lanciò un grido lamentoso, levando la testa verso Lessa. Tutti i draghi presenti nel Weyr risposero al suo appello, as-sordando gli umani. Jaxom vide Lessa sporgersi dal cornicione, tendendo una mano verso la regina disperata. Poi, siccome era più alto di quasi tutti i presenti e stava guardando da quella parte, Jaxom vide qualcosa di scuro che scendeva fluttuando sul Terreno della Schiusa. Udì un grido soffocato di angoscia.

«Guardate! Che cos'è? Nel Terreno della Schiusa!» Solo coloro che gli stavano intorno udirono la sua esclamazione e videro

ciò che indicava. Jaxom pensò soltanto che, se i bronzei del Weyr meri-dionale stavano davvero morendo, gli Antichi potevano approfittare di quella confusione per cercare di rubare anche un uovo bronzeo.

Si lanciò a corsa, seguito da Menolly e da Finder, ma fu sopraffatto da un'ondata di debolezza che lo costrinse a fermarsi. Sembrava che qualcosa gli sottraesse le forze: ma non riusciva a immaginare che cosa fosse.

«Cosa succede, Jaxom?» «Niente.» Jaxom si svincolò dalla mano di Menolly che gli stringeva il

braccio e la sospinse verso il Terreno della Schiusa. «Le uova. Le uova!» La sua esclamazione venne sommersa dal muggito di stupore e di esul-

tanza di Ramoth. «L'uovo. L'uovo di regina!» Intanto, Jaxom s'era ripreso dalla vertigine inspiegabile ed aveva rag-

giunto il Terreno della Schiusa: tutti guardavano con sollievo l'uovo di regina, piazzato di nuovo al sicuro, tra le zampe anteriori di Ramoth.

Una lucertola di fuoco, resa temeraria dalla curiosità, si addentrò appena nel Terreno, prima che l'urlo furibondo di Ramoth la costringesse a sfrec-ciar via.

Sollevati, tutti presero a conversare, allontanandosi dal Terreno della Schiusa verso un tratto dove la sabbia era meno scottante. Qualcuno for-mulò l'ipotesi che forse l'uovo era semplicemente rotolato via, e che Ra-moth aveva creduto che fosse stato rubato. Ma in troppi avevano visto il posto vuoto, da cui mancava l'uovo di regina. E i tre bronzei estranei che erano usciti sfrecciando dall'entrata superiore del Terreno? Era più accet-tabile l'ipotesi che gli Antichi avessero cambiato idea e che a loro volta esitassero a scatenare i draghi contro i draghi.

Lessa era rimasta nel Terreno della Schiusa, e cercava d'indurre Ramoth a lasciarle controllare se l'uovo aveva subito danni. Ben presto uscì di cor-sa e raggiunse F'lar e Robinton.

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«È lo stesso uovo, ma è più vecchio e più duro, ormai pronto a schiuder-si da un momento all'altro. Bisogna far venire qui le ragazze.»

Per la terza volta, in quella mattinata, nel Weyr di Benden, si scatenò la più intensa eccitazione... più lieta, per fortuna, ma ancora in grado di pro-vocare il caos. Jaxom e Menolly riuscirono a tenersi in disparte, pur re-stando abbastanza vicini per sentire quello che succedeva.

«Chiunque ha preso quell'uovo l'ha tenuto almeno dieci giorni o più,» disse irosamente la voce di Lessa. «E questo richiede un intervento.»

«L'uovo è stato restituito indenne,» disse Robinton, cercando di calmar-la.

«Siamo forse vigliacchi, per ignorare un simile insulto?» chiese Lessa agli altri dragonieri e voltando le spalle a Robinton.

«Se essere coraggiosi,» disse sprezzante la voce del Maestro Arpista, «significa opporre drago a drago, io preferisco essere un vigliacco.»

L'indignazione incandescente di Lessa si placò in notevole misura. Drago contro drago. Quelle parole echeggiarono tra la folla. Il pensiero

bruciava doloroso nella mente di Jaxom; sentì che Menolly, al suo fianco, rifiutava di pensare alle conseguenze di quel dissidio.

«L'uovo è rimasto in un altro tempo abbastanza a lungo per indurirsi e avvicinarsi alla Schiusa,» continuò Lessa, con il viso contratto dalla colle-ra. «Probabilmente è stato maneggiato dalla candidata. Potrebbe essere stato influenzato quanto basta perché la piccola regina, qui, non possa ri-cevere lo Schema dell'Apprendimento.»

«Nessuno ha mai dimostrato in quale misura può essere influenzato un uovo dai contatti precedenti la Schiusa,» stava dicendo Robinton, con il suo tono più persuasivo. «Almeno, così mi hai detto molte volte tu stessa. A meno che buttino la loro candidata sull'uovo quando si schiuderà, non credo che la loro astuzia possa tornare a loro svantaggio e possa causare danni all'uovo.»

I draghi erano ancora molto tesi, ma l'impulso iniziale di levarsi in squa-driglie e di distruggere il Weyr Meridionale si era considerevolmente raf-freddato con la restituzione dell'uovo, sebbene rimanesse un evento miste-rioso.

«Evidentemente, non possiamo più sentirci compiaciuti,» disse F'lar, al-zando gli occhi verso i draghi di guardia, «né illuderci dell'inviolabilità del Terreno della Schiusa. Di tutti i Terreni della Schiusa.» Nervosamente, si scostò i capelli dalla fronte. «Per il Primo Guscio, hanno avuto un bel fe-gato: cercare di rubare un uovo di Ramoth!»

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«Il primo provvedimento per proteggere questo Weyr è bandire quelle dannate lucertole di fuoco,» disse Lessa, accalorandosi. «Sono pettegole, peggio che inutili...»

«Non tutte, Lessa,» disse Brekke, avvicinandosi alla Dama del Weyr. «Alcune vengono qui per motivi legittimi e sono per noi di grande aiuto.»

«Due giocavano quel gioco,» disse Robinton, tristemente. Menolly diede una gomitata nelle costole a Jaxom, ricordandogli il con-

tributo delle lucertole di fuoco della Sede degli Arpisti, incluse le sue. «Non m'interessa,» rispose Lessa a Brekke, guardandosi intorno alla ri-

cerca delle lucertole. «Non voglio più vederle qui intorno. Ramoth non deve più venire ossessionata da quelle pesti. Bisogna fare qualcosa per tenerle al loro posto.»

«Segnatele con i vostri colori!» fu la rapida risposta di Brekke. «Segna-tele e insegnate loro a dichiarare il nome e l'origine, come fanno i draghi. Sono capaci d'imparare i convenevoli. Almeno quelle che dovranno venire a Benden per eseguire un ordine.»

«Insegna loro a presentarsi a te, Brekke, o a Mirrim,» propose Robinton. «Basta che le teniate lontane da Ramoth e da me!» Lessi sbirciò la sua

regina, poi si voltò di scatto. «E qualcuno porti qui quel wherry che Ra-moth non ha potuto mangiare. Deve mettersi qualcosa nello stomaco, ades-so. Discuteremo più tardi questa violazione del Weyr. Dettagliatamente.»

F'lar ordinò ad alcuni dragonieri di andare a prendere il wherry e ringra-ziò cerimoniosamente il resto dei presenti per la prontezza con cui avevano risposto alla chiamata. Accennò ai Comandanti dei Weyr e a Robinton di seguirlo su, nel Weyr.

«Non c'è in giro neppure una lucertola di fuoco,» disse Menolly a Ja-xom. «Ho detto a Bella di stare alla larga. Mi ha risposto, spaventata a morte.»

«È spaventato anche Ruth,» disse Jaxom, mentre attraversavano la Con-ca per raggiungerlo. «È diventato quasi grigio.»

Ruth non era soltanto spaventato: tremava per l'ansia.. C'è qualcosa che non va. Qualcosa che non va, disse al suo cavaliere,

mentre toni grigi gli turbinavano negli occhi. «La tua ala! È lesionata?» No Non l'ala. C'è qualcosa che non va nella mia testa. Non mi sento be-

ne. Ruth si accosciò sulle zampe posteriori, poi si risollevò, facendo fru-sciare le ali.

«Forse perché le lucertole di fuoco se ne sono andate tutte? Oppure per

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l'agitazione a causa dell'uovo di Ramoth?» Ruth rispose che era per l'una cosa e per l'altra, e per nessuna delle due.

Le lucertole di fuoco erano tutte spaventate; ricordavano qualcosa che le impauriva.

«Ricordano? Uh!» Jaxom era esasperato al pensiero delle lucertole di fuoco, dei ricordi che evocavano, e delle immagini ridicole che frastorna-vano il suo sensibilissimo Ruth.

«Jaxom?» Menolly aveva fatto una puntata alle Caverne Inferiori, e a-desso era tornata per dividere con lui un piatto d'involtini che si era fatta consegnare dalle cuoche. «Finder dice che Robinton vuole che io torni alla Sede dell'Arte e informi gli Arpisti e la Fortezza di Fort di quanto è suc-cesso. E devo anche cominciare a contrassegnare le mie lucertole di fuoco. Guarda!» Indicò l'orlo del Weyr e le Pietre della Stella. «Il drago di guar-dia sta masticando pietre focaie. Oh, Jaxom!»

«Drago contro-drago.» Lui fu scosso da un brivido. «Jaxom, questo non può accadere,» disse Menolly, con voce soffocata. Nessuno dei due riuscì a finire gli involtini. In silenzio, montarono su

Ruth che si alzò in volo. Mentre Robinton saliva la scala che portava al weyr della regina, riflet-

teva più rapidamente di quanto avesse mai fatto in vita sua. Troppe cose dipendevano da quel che sarebbe accaduto ora... l'intero futuro del pianeta, se la sua interpretazione delle reazioni era esatta. Sapeva molte cose della situazione al Weyr Meridionale, ma quel giorno non gli era servito a nulla. Si rimproverò di essere stato ingenuo, cieco e ottuso come un qualsiasi dragoniere, per aver creduto che i Weyr fossero inviolabili ed i Terreni della Schiusa intoccabili. Aveva ricevuto vari avvertimenti da Piemur: ma non era stato capace di mettere in relazione le informazioni nel modo esat-to fra loro. Eppure, alla luce degli avvenimenti di quel giorno, avrebbe dovuto giungere alla conclusione logica: i meridionali, disperati, avrebbero compiuto quel sorprendente tentativo per far rivivere il Weyr in decadenza con il sangue di una regina nuova e vitale. Ma anche se fosse arrivato alla conclusione esatta, pensò tristemente Robinton, come avrebbe potuto con-vincere Lessa e F'lar di quello che stavano progettando i meridionali? I Comandanti del Weyr avrebbero riso di quell'idea ridicola.

Ma quel giorno non rideva nessuno. Nessuno. Era strano che tanti avessero presunto che gli Antichi avrebbero accetta-

to docilmente l'esilio e sarebbero rimasti tranquilli nel loro continente. Non

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era lo spazio che mancava loro, ma ogni speranza per il futuro. L'ideatore doveva essere stato T'kul... T'ron aveva perso vigore e spirito d'iniziativa, dopo il duello con F'lar. Robinton era quasi sicuro che le due Dame del Weyr, Merika e Mardra, non avevano partecipato all'intrigo; non desidera-vano sicuramente di venire spodestate da una giovane regina e dalla sua compagna. Era stata una di loro a rendere l'uovo?

No, pensò Robinton: doveva essere qualcuno che conosceva molto bene il Terreno della Schiusa del Weyr di Benden... o qualcuno sfacciatamente fortunato, e capace di andare in mezzo per entrare e uscire dalla caverna.

Robinton rivisse, per un attimo, i terrori che aveva provato durante l'as-senza dell'uovo. Rabbrividì, pensando al furore di Lessa. Era ancora pro-babile che scatenasse i dragonieri del Nord. Era capacissima di mantenere viva la frenesia irrazionale che aveva dominato gli eventi della mattinata. Se avesse continuato a chiedere vendetta contro i meridionali colpevoli, per Pern avrebbe potuto essere una calamità quanto la caduta dei primi Fili.

L'uovo era stato restituito. Robinton si aggrappò al pensiero consolante che era apparentemente indenne, nonostante l'invecchiamento subito nel tempo soggettivo trascorso. Lessa poteva decidere di fare una questione delle condizioni in cui era ridotto. E se l'uovo non avesse dato una regina perfetta, Robinton non dubitava che Lessa avrebbe preteso una rappresa-glia.

Ma l'uovo era stato restituito! Doveva insistere su quel fatto, doveva sot-tolineare che, evidentemente, non tutti i meridionali erano stati partecipi di quell'azione odiosa. Alcuni Antichi onoravano ancora i vecchi codici di comportamento. Senza dubbio, uno di loro era stato abbastanza acuto da comprendere che sarebbe stata inviata una spedizione punitiva contro i colpevoli e aveva voluto, con lo stesso fervore di Robinton, che lo scontro venisse evitato.

«È un momento nero,» disse qualcuno, con voce mesta e profonda. L'Arpista si voltò, grato del lucido intervento del Maestro Fabbro. Il volto pesante di Fandarel era scavato dalla preoccupazione; e per la prima volta Robinton notò i lineamenti resi gonfi dall'età, gli occhi giallognoli. «Una simile perfidia deve essere punita... eppure non è possibile!»

Il pensiero dei draghi che combattevano i draghi inondò nuovamente di terrore la mente di Robinton. «La perdita sarebbe troppo grande,» disse a Fandarel.

«Loro hanno già perduto tutto quel che avevano, quando sono stati esi-

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liati. Spesso mi sono domandato perché non si sono ribellati prima.» «Si sono ribellati adesso. E si sono vendicati.» «Provocando un'altra vendetta. Amico mio, oggi dobbiamo tenere più

che mai la testa a posto. Temo che Lessa si dimostri irragionevole e irri-flessiva. Ha già permesso che i suoi sentimenti predominassero sul buon senso.» Il Fabbro indicò la toppa di cuoio sulla spalla di Robinton, dove stava posata abitualmente la sua lucertola di fuoco, Zair. «Dov'è, adesso, il tuo piccolo amico?»

«Nel weyr di Brekke, con Grall e Berd. Volevo che tornasse alla Sede degli Arpisti con Menolly, ma lui ha rifiutato.»

Il Fabbro scrollò di nuovo la grossa testa, lentamente e tristemente, quando entrarono nella Camera del Consiglio.

«Io non ho una lucertola di fuoco, ma posso dire soltanto bene di quelle creaturine. Non ho mai pensato che potessero costituire una minaccia per qualcuno.»

«Allora mi sosterrai, Fandarel?» chiese Brekke, che era entrata dietro di loro, insieme a F'nor. «Lessa è fuori di sé. Comprendo la sua angoscia, ma non possiamo permetterle di condannare tutte le lucertole di fuoco per la monelleria di alcune.»

«Monelleria?» F'nor era turbato. «Non farti sentire da Lessa a chiamare monelleria quello che è successo. Monelleria? Il furto di un uovo di regi-na?»

«La parte che hanno avuto le lucertole di fuoco è stata solo una monelle-ria... apparire nella caverna di Ramoth come hanno fatto tante altre da quando sono state deposte le uova.» Brekke parlava più bruscamente di quanto fosse sua abitudine, e la tensione negli occhi e nella bocca di F'nor indicava a Robinton che i due erano in disaccordo. «Le lucertole di fuoco non sanno quel che è giusto e quel che è ingiusto.»

«Dovranno imparare...» cominciò F'nor, accalorandosi. «Purtroppo noi, che non abbiamo draghi,» disse Robinton, affrettandosi

a intervenire per timore che gli eventi di quel giorno spezzassero il legame fra i due innamorati, «abbiamo dato troppa importanza ai nostri piccoli amici, portandoli con noi dovunque andassimo, viziandoli come bambini e permettendo loro troppe libertà. Ma un atteggiamento più rigoroso nei con-fronti delle lucertole di fuoco è ben poca cosa, in confronto a quanto è ac-caduto oggi.»

F'nor si era un po' calmato. Annuì, rivolgendosi all'Arpista. «Pensa se quell'uovo non fosse stato restituito, Robinton...» Scrollò le spalle in un

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sussulto convulso e si passò la mano sulla fronte, come per scacciare il ricordo della scena.

«Se l'uovo non fosse stato restituito,» disse implacabile Robinton, «i draghi avrebbero combattuto i draghi!» Scandì le parole, riversando nel suo tono un energico disgusto.

F'nor si affrettò a scuotere la testa, per negare quella possibilità. «No, non si sarebbe arrivati a tanto, Robinton. Tu ti sei dimostrato saggio...»

«Saggio?» Sibilata dalla furibonda Dama del Weyr, quella parola taglia-va come un coltello. Lessa era sulla soglia della Sala del Consiglio, tesa per le emozioni di quel mattino, livida in volto per la collera. «Saggio? Permettere che un simile delitto restasse impunito? Lasciare che quelli tramassero tradimenti ancora più vili? Ma perché mai, allora, ho giudicato necessario portarli nel nostro tempo? Quando ricordo che ho supplicato quel verme di T'ron perché venisse ad aiutarci! Ad aiutarci? Quello aiuta se stesso. Portando via l'uovo della mia regina. Ah, se potessi rimediare alla mia stupidità...»

«La tua stupidità la dimostri accanendoti in questo modo,» disse fred-damente l'arpista: sapeva che quanto doveva dire di fronte ai Comandanti dei Weyr e ai Maestri delle Arti radunati nella Sala del Consiglio poteva alienarglieli tutti. «L'uovo è stato restituito...»

«Sì, e quando io...» «Non è questo che volevi mezz'ora fa, un'ora fa?» chiese Robinton, al-

zando la voce in tono autoritario. «Tu volevi che l'uovo venisse restituito. Per raggiungere questo scopo, avevi il diritto di mandare drago contro dra-go, e nessuno poteva biasimarti. Ma l'uovo è stato reso. Lanciare drago contro drago per vendetta? Oh, no, Lessa. Questo non hai il diritto di farlo. Non per vendetta.

«E se proprio devi vendicarti per placare la tua collera e quella della tua regina, pensa a questo: loro hanno fallito. Non hanno l'uovo. La loro azio-ne ha messo in guardia tutti i Weyr, e quindi non potrà mai accadere una seconda volta. Loro hanno perduto l'unica occasione, Lessa. La loro unica speranza di far rivivere i bronzei morenti è caduta. Sono stati frustrati. E si trovano di fronte... alla fine. Non hanno futuro, non hanno speranze.

«Non puoi far loro nulla di peggio, Lessa. Quindi, con la restituzione dell'uovo, agli occhi di Pern non hai diritto di fare nulla.»

«Ho il diritto di vendicare l'insulto che è stato fatto a me, alla mia regina e al mio Weyr!»

«Insulto?» Robinton proruppe in una breve, secca risata. «Mia cara Les-

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sa, non è stato un insulto. È stato un grande complimento!» La sua risata inattesa e la sua sorprendente interpretazione fecero ammu-

tolire Lessa. «Quante uova di regina sono state deposte durante l'ultimo Giro?» chiese

Robinton agli altri Comandanti dei Weyr. «E in Weyr che gli Antichi conoscevano molto meglio di Benden. No,

loro volevano una regina della covata di Ramoth! Il meglio che Pern può produrre!» Astutamente, Robinton cambiò argomento. «Suvvia, Lessa,» disse in tono di comprensione e di pietà, «siamo tutti scossi da questo e-vento terribile. Nessuno di noi riesce a pensare con lucidità...» Si passò la mano sul viso: non era un gesto teatrale, perché sudava per le sforzo d'in-fluire sullo stato d'animo di tutti i presenti. «Le emozioni si sono scatenate. E tu ne hai risentito più di tutti, Lessa.» La prese per il braccio e la condus-se al suo seggio, facendola accomodare con premura e deferenza. Lessa, per quanto fosse scandalizzata, non oppose resistenza. «Dovevi essere fuo-ri di te per l'angoscia di Ramoth. Adesso lei è più calma, non è vero?»

Lessa aprì la bocca per lo sbalordimento, e continuò a fissare Robinton ad occhi spalancati. Poi annuì, chiudendo la bocca e umettandosi le labbra.

«Quindi fra poco anche tu ti riprenderai.» Robinton riempì una coppa di vino e gliela porse. Ancora sconcertata dal suo atteggiamento, Lessa sor-seggiò. «E potrai comprendere che la peggior catastrofe, per questo mon-do, sarebbe la lotta fra draghi e draghi.»

Lessa depose la coppa, rovesciando un po' di vino sul tavolo di pietra. «Tu... con le tue parole melliflue...» Tese il braccio verso Robinton, scat-tando dal seggio come una molla. «Tu...»

«Robinton ha ragione, Lessa,» disse F'lar dalla soglia, dove aveva assi-stito alla scena. Entrò nella sala, avviandosi verso il tavolo. «Avevamo motivo d'invadere il Weyr Meridionale soltanto per cercare il nostro uovo. Ora che ci è stato restituito, tutto Pern ci biasimerebbe se insistessimo nel cercare vendetta.» Parlava a lei, ma il suo sguardo s'era posato, uno dopo l'altro, sui Comandanti dei Weyr e sui Maestri delle Arti, per valutare le loro reazioni. «Se i draghi combattono i draghi, per qualunque ragione,» ed il suo gesto secco cancellò ogni possibile considerazione, «allora noi, i dragonieri, perdiamo il resto di Pern!»

Rivolse a Lessa una lunga, dura occhiata, che lei ricambiò con gelida implacabilità. F'lar si girò verso gli altri. «Vorrei, con tutto il mio cuore, che fosse stata possibile qualche altra soluzione quel giorno, a Telgar, per T'ron e T'kul. Allora sembrava che la soluzione consistesse nel mandarli

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nel Continente Meridionale. Là non avrebbero potuto fare del male al resto di Pern...»

«No, solo a noi... solo a Benden.» Lessa parlava con pesante amarezza. «Sono T'ron e Mardra, che cercano di vendicarsi di te e di me!»

«Mardra non andrebbe certo in cerca di una regina destinata a spodestar-la,» notò Brekke, e non abbassò la testa quando Lessa si voltò di scatto verso di lei.

«Brekke ha ragione, Lessa,» disse F'lar, posando una mano sulla spalla della sua Dama del Weyr con apparente disinvoltura. «A Mardra non piace la concorrenza.»

Robinton poté notare la pressione delle nocche sbiancate del Comandan-te del Weyr, ma Lessa non dava segno di accorgersene.

«E non l'avrebbe fatto neppure Merika, la Dama di T'kul,» disse D'ram, il Comandante del Weyr di Ista. «E la conosco abbastanza bene per esserne sicuro.»

Robinton pensava che l'Antico risentisse più di tutti i presenti la piega assunta dagli avvenimenti. D'ram era un uomo onesto, leale, obiettivo. S'era sentito in dovere di appoggiare F'lar contro quelli del suo Tempo. E con il suo appoggio aveva indotto R'mart e G'narish, gli altri Antichi Co-mandanti, a schierarsi con il Weyr di Benden, alla Fortezza di Telgar. C'e-rano tante correnti sotterranee e tante pressioni sottili in atto in quella sala, pensò Robinton. Chi aveva ideato il furto dell'uovo di regina non aveva portato a termine il suo piano, ma era riuscito a spezzare la solidarietà dei dragonieri.

«Non so dirti quanto sono addolorato, Lessa,» continuò D'ram, scuoten-do il capo. «Quando l'ho saputo, non riuscivo a crederlo. Non capisco che utilità possa arrecare loro un'azione del genere. T'kul è più vecchio di me. Il suo Salth non potrebbe sperare di accompagnare una regina di Benden nel volo nuziale. E del resto, nessuno dei draghi del Sud è in grado di far-lo.»

Il commento sconcertato di D'ram contribuì non meno delle osservazioni di Robinton ad attenuare le tensioni. Inconsciamente, D'ram aveva con-fermato la tesi di Robinton: il furto era stato un omaggio reso al Weyr di Benden.

«In quanto a questo, allorché la nuova regina fosse stata abbastanza a-dulta per levarsi nel volo nuziale,» aggiunse D'ram, come se se ne rendesse conto in quel momento, «probabilmente i loro bronzei sarebbero già tutti morti. Nell'ultimo giro sono morti otto draghi del Weyr Meridionale. Lo

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sappiamo tutti. Perciò hanno tentato di rubare l'uovo per niente... per nien-te.» Il suo viso era segnato da un tragico rammarico.

«Non per niente,» disse Fandarel, con la voce appesantita dalla tristezza. «Guarda cos'è accaduto a noi, che siamo amici e alleati da tanti Giri. Voi dragonieri,» continuò, indicandoli con la grossa mano, «stavate per sca-gliare le vostre bestie contro quelle del Sud.» Fandarel scosse lentamente il capo. «È stato un giorno terribile, terribile! Mi dispiace per tutti noi.» Il suo sguardo rimase posato più a lungo su Lessa. «Ma credo che dovrò ad-dolorarmi ancor più per me stesso e per Pern se la vostra collera non si placa e se il buon senso non riprende il sopravvento. Ora vi lascio.»

Con grande dignità, s'inchinò ai Comandanti dei Weyr ed alle loro Da-me, a Brekke e infine a Lessa, cercando di guardarla negli occhi. Non ci riuscì, e lasciò la sala con un sospiro.

Fandarel aveva espresso chiaramente quel che Robinton desiderava che Lessa ascoltasse e comprendesse... che i dragonieri correvano il grave pe-ricolo di perdere la loro autorità sulle Fortezze e sulle Arti, se si lasciavano dominare dall'indignazione. Era stato detto anche troppo, nella furia del momento, alla presenza dei Signori convocati al Weyr durante la crisi. Se non si fosse deciso di fare altro, adesso che l'uovo era stato restituito, nes-sun Signore e nessun Maestro avrebbe potuto biasimare Benden.

Ma com'era possibile far intendere la ragione all'ostinata Lessa, che ri-muginava il suo furore, decisa ad una disastrosa vendetta? Per la prima volta in vita sua il Maestro Arpista di Pern, Robinton, non riusciva a trova-re le parole. Era già abbastanza grave che avesse perduto la benevolenza di Lessa! Come avrebbe potuto indurla a ragionare?

«Fandarel mi ha ricordato che i dragonieri non possono abbandonarsi a dissidi personali senza conseguenze gravissime,» disse F'lar. «Una volta io ho permesso che un insulto travolgesse la mia ragione. E oggi ne abbiamo visto il risultato.»

D'ram rialzò la testa e fissò F'lar con occhi ardenti, poi scosse energica-mente il capo. Altri dragonieri mormorarono, protestando che a Telgar F'lar si era comportato onorevolmente.

«Sciocchezze, F'lar,» disse Lessa, scuotendosi dalla sua immobilità. «Quella non era una questione privata. Quel giorno hai dovuto batterti con T'ron per salvare l'unità di Pern!»

Lessa fissò F'lar per un altro lungo istante, poi abbassò le spalle, come se accettasse quella distinzione, sebbene con riluttanza.

«Ma... se l'uovo non si schiude, o se la piccola regina è in qualche modo

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menomata...» «Se questo dovesse avvenire, riesamineremo la situazione,» le promise

F'lar, alzando la mano destra per confermare l'impegno. Robinton s'augurò fervidamente che la piccola regina nascesse sana e

vigorosa nonostante l'avventura. Alla Schiusa, avrebbe potuto avere infor-mazioni che placassero Lessa e salvassero l'onore di F'lar.

«Devo tornare da Ramoth,» annunciò Lessa. «Lei ha bisogno di me.» Uscì a passo deciso, mentre i dragonieri si scostavano deferenti.

Robinton guardò la coppa di vino che aveva versato per lei, la prese, e ne trangugiò il contenuto in una sorsata. Gli tremava la mano, quando la posò e incontrò lo sguardo di F'lar.

«Una coppa farebbe piacere a tutti,» disse F'lar, accennando agli altri di raccogliersi intorno a lui, mentre Brekke, alzandosi prontamente in piedi, cominciava a servirli.

«Attenderemo fino alla Schiusa,» continuò il Comandante del Weyr di Benden. «Non credo di dovervi suggerire di prendere tutte le precauzioni perché non si ripeta una simile evenienza.»

«Nessuno di noi ha covate già deposte, F'lar,» disse R'mart del Weyr di Telgar. «E nessuno di noi ha regine di Benden!» Aveva uno scintillio iro-nico negli occhi, mentre sbirciava l'Arpista. «Quindi, se otto dei loro dra-ghi sono morti durante l'ultimo Giro, posso calcolare che adesso sono ri-masti duecentoquarantotto dragonieri, e solo cinque bronzei. Ma chi ha riportato l'uovo?»

«L'uovo è stato reso: questo è ciò che conta,» disse F'lar, poi vuotò metà della coppa al primo sorso. «Tuttavia, sono profondamente grato a quel cavaliere.»

«Potremmo scoprirlo,» fece sottovoce N'ton. F'lar scosse il capo. «Non sono sicuro di volerlo sapere. Non sono sicuro

che sia necessario saperlo... purché quell'uovo dia una regina viva e vita-le.»

«Fandarel ha messo il dito sulla piaga,» disse Brekke, mentre si aggirava con grazia per riempire di nuovo le coppe. «Guardate che cosa è accaduto a quelli di noi che sono amici e alleati da tanti Giri. «È questo che mi turba più di ogni altra cosa. E poi,» continuò, guardandoli uno ad uno, «mi turba anche l'antagonismo nei confronti di tutte le lucertole di fuoco, a causa di poche che si sono limitate a mostrarsi devote ai loro amici e che hanno avuto una parte in questa orribile storia. So di essere prevenuta.» e sorrise tristemente. «Ma io ho parecchi motivi per essere grata alle nostre piccole

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amiche. E vorrei vedere il buon senso prevalere anche nei loro confronti.» «Dovremo andarci piano, Brekke,» rispose F'lar. «Ma ti ho capito. Molte

cose che sono state dette questa mattina, ispirate dalla rabbia e dalla confu-sione, presto non avranno più alcun valore.»

«Lo spero. Lo spero sinceramente,» disse Brekke. «Berd continua a ripe-termi che i draghi hanno alitato fiamme contro le lucertole di fuoco!»

Robinton si lasciò sfuggire un'esclamazione sbigottita. «Anch'io ho cap-tato la stessa nozione assurda da Zair, prima che lo mandassi nel tuo weyr, Brekke. Ma qui nessun drago ha fiammeggiato...» Girò lo sguardo sui Comandanti dei Weyr, alcuni dei quali confermavano le parole di Brekke, mentre altri si dichiaravano preoccupati per quell'evento così inverosimi-le.»

«Non ancora...» fece Brekke, accennando con il capo in direzione del weyr di Ramoth.

«Allora dobbiamo fare in modo che la regina non venga più turbata dalla vista delle lucertole di fuoco,» disse F'lar, girando intorno lo sguardo per chiedere consensi. «Per il momento,» aggiunse, alzando la mano per arre-stare le proteste. «È più prudente che non si facciano vedere né sentire, per adesso. So che si sono rese utili, e alcune si sono dimostrate messaggere fidate. So che molti di voi ne hanno. Ma dite loro di rivolgersi a Brekke, se è assolutamente indispensabile mandarle qui.» E guardò in faccia Robin-ton.

«Le lucertole di fuoco non vanno dove non sono gradite,» disse Brekke. Poi aggiunse, con un sorriso ironico, per togliere il veleno dal suo com-mento: «Del resto, adesso sono spaventate a morte.»

«Quindi non faremo nulla fino a quando quell'uovo non si sarà schiu-so?» chiese N'ton.

«Nulla, tranne radunare le ragazze trovate nella Cerca. Lessa le vorrà qui al più presto possibile, per abituare Ramoth alla loro presenza. Ci radune-remo di nuovo per la Schiusa, Comandanti dei Weyr.»

«Buona Schiusa,» disse D'ram, con un fervore che tutti assecondarono sinceramente.

Robinton sperava che F'lar lo trattenesse, mentre gli altri se ne andavano alla spicciolata. Ma F'lar stava conversando con D'ram, e Robinton decise tristemente che avrebbe fatto meglio ad allontanarsi. Lo addolorava trovar-si in contrasto con i Comandanti del Weyr di Benden, e si sentiva esausto, mentre ritornava verso l'ingresso. Tuttavia, F'lar aveva sostenuto la sua richiesta. Quando raggiunse l'ultima svolta del corridoio, vide la mole

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bronzea di Mnementh sul cornicione ed esitò, un po' riluttante ad avvici-narsi al compagno di Ramoth.

«Non agitarti tanto, Robinton,» disse N'ton, avvicinandosi e sfiorandogli il braccio. «Hai fatto bene a parlare come hai parlato, e probabilmente eri l'unico che poteva frenare la furia di Lessa. F'lar lo sa.» N'ton sorrise. «Ma anche lui deve fare i conti con Lessa.»

«Maestro Robinton.» La voce di F'nor era sommessa, come se non vo-lesse che qualche altro li udisse. «Ti prego di raggiungere me e Brekke nel mio weyr. Vieni anche tu, N'ton, se non devi tornare subito al Weyr di Fort.»

«Posso dedicarti tutto il tempo necessario, oggi,» rispose il giovane ca-valiere bronzeo, con gaia condiscendenza.

«Brekke arriverà subito.» Poi il vicecomandante si avviò attraverso la Conca stranamente silenziosa, dove echeggiavano soltanto i gemiti ed i borbottii sommessi di Ramoth, dal Terreno della Schiusa. Dal suo corni-cione, Mnementh girava continuamente la grande testa di qua e di là, per scrutare ogni tratto dell'orlo.

Appena entrarono nel weyr, gli uomini furono assaliti da quattro isteri-che lucertole di fuoco, e dovettero vezzeggiarle e assicurare loro che nes-sun drago le avrebbe bruciate con l'alito di fiamma... Quella paura sembra-va comune e persistente.

«Che cos'è il grande buio che ricevo dalle immagini di Zair?» chiese Robinton, dopo aver calmato un po' il piccolo bronzeo. Zair rabbrividiva spesso e, ogni volta che l'Arpista smetteva di accarezzarlo, spingeva con testate imperiose la mano negligente.

Berd e Grall, intanto, s'erano appollaiati sulle spalle di F'nor, e si stru-sciavano contro le sue guance, con gli occhi gialli accesi d'ansia e freneti-camente roteanti. «Quando saranno più calmi, io e Brekke tenteremo di chiarire quello che cercano di comunicare. Ho l'impressione che stiano ricordando qualcosa.»

«Non qualcosa di simile alla Stella Rossa?» chiese N'ton. A quell'allu-sione inopportuna Tris, che si era adagiato tranquillo sul suo avambraccio, cominciò a sbattere le ali, mentre le altre lucertole squittivano atterrite. «Mi dispiace. Calmati, Tris.»

«Non, non si tratta di quello,» disse F'nor. «È qualcosa... qualcosa che hanno ricordato.»

«Sappiamo che comunicano istantaneamente fra loro, ed a quanto sem-bra trasmettono tutto ciò che vedono e che costituisce per loro un'esperien-

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za sconvolgente,» fece Robinton, scegliendo le parole via via che esprime-va i suoi pensieri. «Questa, quindi, potrebbe essere la dimostrazione di una reazione di massa. Ma da quale lucertola di fuoco è stata irradiata? Co-munque Grall e Berd, e sicuramente la creaturina di Meron, non potevano aver saputo tramite uno dei loro simili che la... sapete a cosa alludo... era pericolosa per loro. Quindi, come potevano saperlo al punto di diventare isterici? Come poteva trattarsi di qualcosa che ricordavano?»

«Gli animali corridori sembrano in grado di evitare il terreno infido..» osservò N'ton.

«Istinto,» mormorò Robinton. «Potrebbe essere istinto.» Poi scosse il capo. «No, evitare il terreno infido non ha nulla a che vedere con una pau-ra istintiva generalizzata. La S-T-E-L-L-A-R-O-S-S-A,» continuò, pro-nunciando lettera per lettera, «è qualcosa di specifico. Ah, beh!»

«Le lucertole di fuoco sono dotate sostanzialmente delle stesse facoltà dei draghi. Ma i draghi non possiedono una memoria eccezionale, tutt'al-tro.»

«E questo, speriamolo,» disse F'nor, alzando gli occhi verso il soffitto, «servirà a cancellare a tempo di primato quanto è accaduto oggi.»

«Non è una caratteristica comune anche a Lessa,» fece Robinton con un profondo sospiro.

«Ma Lessa non è stupida, Maestro Arpista,» disse N'ton, sottolineando il suo rispetto per Robinton con quel ricorso al titolo che gli spettava. «E non lo è F'lar. Sono soltanto preoccupati. Finiranno entrambi per apprezzare il tuo intervento di oggi.» Poi N'ton si schiarì la gola e guardò fermamente negli occhi il Maestro Arpista. «Tu sai chi ha preso l'uovo?»

«Avevo sentito che si stava tramando qualcosa. Sapevo, e doveva essere ovvio per chiunque avesse un po' di buon senso, che gli uomini e i draghi del Weyr Meridionale sono vecchi e disperati. Io ho avuto soltanto l'espe-rienza di Zair che voleva accoppiarsi...» Robinton s'interruppe, ricordando quella sconcertante rinascita di desideri che credeva di aver superato; poi scrollò le spalle e notò lo scintillio comprensivo negli occhi di N'ton. «Quindi posso capire le pressioni che i draghi marroni e bronzei sono in grado di esercitare sui loro cavalieri. Anche un drago verde, pronto per il volo nuziale, farebbe il suo effetto...» Guardò i due dragonieri con aria interrogativa.

«Dopo oggi, no,» disse F'nor, con enfasi. «Se ci fossero rivolti ad uno dei Weyr... a D'ram, per esempio...» Lanciò un'occhiata a N'ton, per chie-dergli conferma, «Forse sarebbe sparito un verde, se non altro per evitare

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conseguenze disastrose. Ma cercare di risolvere i loro problemi rubando un uovo di regina?» F'nor aggrottò la fronte. «Tu cosa sai, Robinton, di quello che succede nel Weyr Meridionale? So che hai tutte le mappe preparate da me quando mi trovavo laggiù.»

«Sinceramente, sono più informato di quanto avviene nella Fortezza. Ho ricevuto recentemente un messaggio da Piemur: i dragonieri si comportano con riserbo anche maggiore del consueto. Non frequentano mai quelli della Fortezza, seguendo le tradizioni del loro Tempo; ma prima permettevano un certo movimento nei pressi del loro Weyr. Poi, all'improvviso, hanno troncato tutto, e nessuno della Fortezza è più stato autorizzato ad avvici-narsi. E senza una ragione precisa. Inoltre, non volavano più tanto. Piemur dice che si vedevano i draghi a mezz'aria, e poi sparivano in mezzo. Non volteggiavano, non esploravano, Andavano in mezzo, e basta.»

«Nel tempo, sicuramente,» disse pensieroso F'nor. Zair squittì dolorosamente e Robinton lo calmò. La lucertola di fuoco in-

sinuò di nuovo nella sua mente l'immagine di draghi che alitavano fiamme contro altre lucertole: il nulla nero, e la rapida visione di un uovo.

«Anche voi ricevete la stessa immagine dai vostri amici?» chiese, seb-bene la loro espressione sbigottita rendesse superflua la domanda.

Robinton insistette perché Zair gli trasmettesse un'immagine più chiara del luogo in cui si trovava l'uovo, e ricevette soltanto un'impressione di fiamme e di paura.

«Vorrei che fossero un po' più sensate,» fece Robinton, domando a sten-to l'irritazione. Era esasperante essere così vicino, eppure frustrato dalla portata limitata della visuale della lucertola di fuoco.

«Sono ancora sconvolte,» disse F'nor. «Proverò con Grall e Bed, più tar-di. Chissà se Menolly ottiene dalle sue la stessa reazione. Dovresti chie-derglielo quando tornerai alla Sede dell'Arte degli Arpisti, Maestro Robin-ton. Lei ne ha dieci; forse riceve un'impressione più nitida.»

Robinton promise e si alzò; poi gli venne in mente un'ultima cosa. «N'ton, non eri con i bronzei che sono andati al Weyr Meridionale, per vedere se l'uovo era stato portato là?»

«Sì. Il Weyr era deserto. Non c'era rimasto neppure un vecchio drago. Completamente abbandonato.»

«Sì; logico, non è vero?» Quando Jaxom e Menolly, sul dorso di Ruth, emersero nell'aria sopra la

Fortezza di Fort, Ruth annunciò il suo nome al drago di guardia, e per poco

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non venne sommerso dalle lucertole di fuoco. L'ostacolarono al punto che perse quota, prima di riuscire ad indurle a lasciargli spazio. Nell'istante in cui atterrò, le lucertole sciamarono addosso a lui e ai suoi passeggeri, stril-lando ansiosamente.

Menolly si sforzò di rassicurarle mentre le bestiole le si aggrappavano agli abiti e le s'impigliavano nei capelli. Due cercarono di posarsi sulla testa di Jaxom, parecchie gli avvolsero le code intorno al collo; e tre batte-vano freneticamente le ali, sforzandosi di restare all'altezza dei suoi occhi.

«Che cos'hanno?» «Sono terrorizzate. Draghi che alitano fiamme contro di loro,» esclamò

Menolly. «Ma nessuno vuol farvi una cosa simile, sciocchine, Basta che per un po' stiate lontane dai Weyr.»

Altri Arpisti, richiamati da quel subbuglio, vennero in loro soccorso, staccando di peso le lucertole da Jaxom e Menolly, o richiamando in tono severo quelle che erano legate a loro. Quando Jaxom cominciò a far chias-so per allontanarle da Ruth, il drago gli disse di non disturbarsi... ci avreb-be pensato lui a calmarle. Erano spaventate perché ricordavano di essere state inseguite dalle fiamme dei draghi. Poiché ormai tutti gli arpisti insi-stevano per sapere notizie di Benden, Jaxom decise di lasciare che Ruth si arrangiasse con le lucertole.

Gli Arpisti avevano ricevuto immagini distorte dalle lucertole di fuoco che erano tornate atterrite alla Sede dell'Arte: Benden pieno d'immensi draghi bronzei che alitavano fiamme, pronti a combattere; Ramoth che si comportava come un wher da guardia assetato di sangue, e immagini biz-zarre dell'uovo di regina tutto solo sulla sabbia. Ma quello che aveva scon-volto di più gli Arpisti era stata la visione dei draghi che lanciavano fiam-me contro le lucertole.

«I draghi di Benden non hanno alitato fiamme contro le lucertole di fuo-co,» dissero Jaxom e Menolly.

«Ma tutte le lucertole dovranno star lontane da Benden, a meno che ven-gano inviate a Brekke o a Mirrim,» aggiunse con fermezza Menolly. «E dobbiamo contrassegnare con i nostri colori tutte quelle che sono legate agli Arpisti.»

Jaxom e Menolly furono condotti nella Sede degli Arpisti; vennero loro offerti vino ed una zuppa calda. Non dovettero mangiarla bollente, comun-que, perché erano appena stati serviti quando arrivò gente dalla Fortezza a chiedere notizie. Fu Menolly a riferire la maggior parte degli avvenimenti, poiché era un'Arpista esperta. Il rispetto che Jaxom provava per la ragazza

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crebbe mentre ne ascoltava la voce fluente che evocava le emozioni appro-priate ad ogni fase del racconto, senza alterare la realtà. Uno degli Arpisti anziani, intento a tranquillizzare la lucertola azzurra annidata sul suo brac-cio, continuava ad annuire, come per approvare l'abilità con cui Menolly usava i trucchi del mestiere.

Quando la ragazza ebbe finito, nella sala si levò un rispettoso mormorio di ringraziamento. Poi gli ascoltatori cominciarono a parlare, analizzando le notizie, chiedendosi chi aveva reso l'uovo e come aveva fatto... e perché: quello era l'interrogativo fondamentale. Come avrebbero fatto i Weyr a proteggersi? Le Fortezze principali correvano qualche pericolo? Chi sape-va fin dove sarebbero arrivati gli Antichi, se avevano rubato un uovo di Benden? E c'erano stati alcuni fatti misteriosi - insignificanti in se stessi, ma nel complesso molto sospetti - che gli Arpisti ritenevano opportuno riferire al Weyr di Benden. Per esempio, le strane sparizioni di materiali nelle miniere di ferro. E quelle ragazze che erano state rapite, e nessuno sapeva dov'erano finite? Forse gli Antichi cercavano altre uova di drago?

Menolly si allontanò dal cerchio di folla che l'attorniava e fece segno a Jaxom di seguirla. «Ho la gola secca, a furia di parlare,» disse con un pe-sante sospiro, e lo condusse lungo il corridoio, fino all'immensa copisteria, dove le Cronache muffite venivano trascritte perché i loro messaggi non andassero perduti per sempre. Apparvero all'improvviso le sue lucertole, e lei accennò di atterrare su uno dei tavoli. «Adesso vi sistemerò secondo l'ultima moda per le lucertole di fuoco!» Frugò nello stipo sotto il tavolo. «Aiutami a trovare il bianco e il giallo, Jaxom. Questo barattolo è secco.» E lo gettò in un bidone, nell'angolo.

«E qual è il distintivo per le lucertole di fuoco?» «Uhm. Ecco il bianco. L'azzurro degli Arpisti e il celeste degli apprendi-

sti, separati dal bianco e incorniciati dalla grata gialla della Fortezza di Fort. Dovrebbe bastare a farle riconoscere, non ti pare?»

Jaxom si dichiarò d'accordo, e Menolly lo invitò a tener ferini i colli del-le bestiole. Il compito era piuttosto difficile, perché le lucertole di fuoco sembravano decise a guardarlo negli occhi.

«Se anche stanno cercando di dirmi qualcosa, non ricevo il messaggio,» disse Jaxom a Menolly, mentre sosteneva con fermezza il quinto, intenso scrutinio.

«Sospetto,» fece Menolly, parlando a frasi sconnesse mentre applicava con cura i colori, «che il tuo... tienila ben ferma, Jaxom... sia l'unico... dra-go di Pern... del quale... tienila... adesso non abbiano una paura pazza. Do-

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potutto... Ruth non... mastica pietre focaie.» Jaxom sospirò, poiché capiva che l'improvvisa popolarità di Ruth avreb-

be rovinato i suoi progetti personali. Per quanto l'idea non lo affascinasse, sarebbe stato costretto a spostarsi nel tempo perché, se le lucertole di fuoco non sapevano quando andavano loro, non potevano seguirli. E questo gli ricordò la ragione per cui si era recato alla Sede degli Arpisti.

«Questa mattina ero partito per farmi consegnare da te le equazioni di Wansor...»

«Uhm, sì.» Menolly gli sorrise, alzando la testa da una lucertola azzurra che si dibatteva. «Sembra che siano passati tanti Giri. Bene, aspetta che abbia finito di dare il bianco a Zim, e poi te le consegnerò. Ho anche qual-che carta della stagione inverno-estate che potresti prendere, visto che sei stato così ben disposto a collaborare. Piemur non ne ha ancora preparate molte.»

Una lucertola di fuoco azzurra sfrecciò nella copisteria, e lanciò un trillo di sollievo quando vide Jaxom.

È l'azzurra dell'uomo tozzo, disse Ruth, dall'esterno. «Io ho una sola lucertola azzurra, e abbiamo appena finito di dipingerla,

no?» chiese stupita Menolly, girando lo sguardo nella stanza. «È di Brand. Sarà meglio che io torni a Ruatha. Avrei dovuto rientrare

già da parecchie ore.» «Beh, non fare la sciocchezza di andare in mezzo nel tempo,» disse lei,

con una risata. «Questa volta, hai avuto impegni giustificati.» Ridendo, Jaxom prese il rotolo di carte che Menolly gli buttò. Lei non

poteva sapere che cosa aveva in mente: e lui era troppo sensibile alle sue osservazioni casuali. Un sintomo di coscienza sporca.

«Allora mi fornirai un alibi per Lytol?» «Quando vuoi, Jaxom!» Al ritorno alla Fortezza di Ruatha, dovette raccontare tutto daccapo, ad

un pubblico di volta in volta assorto, sbalordito, indignato e sollevato quanto gli Arpisti e gli inviati della Fortezza di Fort. Si sorprese ad usare inconsciamente le espressioni di Menolly, e si chiese quanto tempo sareb-be passato, prima che la ragazza componesse una Ballata sull'evento.

Finì raccomandando a quanti possedevano lucertole di fuoco di dipin-gerle con i colori di Ruatha: marrone con scacchi rossi, e banda bianca e nera. Cominciò a organizzare il lavoro quando notò che Lytol era ancora sul suo seggio massiccio e si tormentava il labbro inferiore con una mano, tenendo gli occhi fissi su un punto del pavimento.

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«Lytol?» Il nobile Reggente si scosse con uno sforzo e guardò Jaxom aggrottando

la fronte. Poi sospirò. «Avevo sempre temuto che si arrivasse al conflitto fra draghi e draghi.»

«Non è successo, Lytol,» disse Jaxom, sottovoce, nel suo tono più per-suasivo.

L'altro lo guardò attentamente negli occhi. «Poteva accadere, ragazzo. Poteva accadere molto facilmente. Io e te dobbiamo parecchio a Benden. Credi che dovrei andare là, adesso?»

«È rimasto Finder.» Lytol annuì, e Jaxom si chiese se il Nobile Reggente pensava che lui gli

avesse mancato di riguardo. «È meglio che Finder viaggi a dorso di dra-go.» Si passò la mano sugli occhi e scosse il capo.

«Tu non stai bene, Lytol. Una coppa di vino?» «No. Sto bene, ragazzo.» Lytol si alzò, energicamente. «Immagino che

con tutto quello sconquasso non ti sarai ricordato del motivo per cui eri andato alla Sede degli Arpisti?»

Sollevato nel notare che Lytol si era ripreso, Jaxom annunciò che aveva preso non solo le equazioni di Wansor, ma anche alcune carte che sarebbe-ro state utili. Poi, fino all'ora di cena, Jaxom si rammaricò di essere stato così scrupoloso, perché Lytol gli chiese di istruire lui e Brand nel sistema per prevedere esattamente le Cadute dei Fili.

Insegnare un metodo ad altri serve a impararlo meglio, come scoprì più tardi, quella notte, quando risolse alcune equazioni per proprio uso, stu-diando la rozza mappa del Continente Meridionale. C'era troppa attività in tutto Pern, perché lui potesse andare senza rischi in un quando alternativo. E poiché doveva spostarsi nel tempo, tanto valeva tornare indietro almeno di dodici Giri, prima che qualcuno avesse incominciato a visi tare il Conti-nente Meridionale. Sapeva dove poteva estrarre le pietre focaie, e quindi rifornire Ruth non era un problema. Le stelle della notte declinavano già verso il mattino, prima che lui si sentisse sicuro di poter trovare la strada per il tempo che gli interessava.

Poco prima dell'alba, fu svegliato dal piagnucolare di Ruth. Si liberò del-le pellicce che l'avvolgevano e avanzò sul freddo pavimento di pietra, in-cespicando e sbattendo le palpebre per destarsi del tutto. Ruth agitava le zampe anteriori e torceva le ali, in preda al sogno che lo turbava. Intorno a lui stavano rintanate molte lucertole di fuoco; e parecchie non portavano i colori di Ruatha. Jaxom le scacciò e Ruth, sospirando, piombò in un sonno

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più profondo e sereno.

VI Fortezza di Ruatha e Fortezza Meridionale, 15.5.27 - 15.6.2. Alla Fortezza, il giorno incominciò con l'invio di lucertole di fuoco per

portare messaggi a tutte le piccole tenute e alle casette degli artigiani, con. l'ordine di colorare debitamente tutte le lucertole e di istruirle perché non si avvicinassero ai Weyr. Alcuni dei proprietari terrieri più vicini erano arri-vati in mattinata, per chiedere spiegazioni circa i resoconti ingarbugliati forniti dalle lucertole di fuoco. Perciò Lytol, Jaxom e Brand furono occu-patissimi per l'intera giornata. L'indomani, dovevano cadere i Fili: e cadde-ro esattamente nel momento che Lytol aveva calcolato. Questo lo rallegrò e rassicurò i proprietari terrieri più agitati.

Jaxom prese il suo posto nella squadra armata di lanciafiamme, anche se era difficile che qualche Filo sfuggisse ai draghi del Weyr di Fort. Jaxom sorrideva pensando alla prossima Caduta, forse anche lui sarebbe stato in volo sul dorso di un Ruth alitante fiamme.

Il terzo giorno dopo il furto dell'uovo, Ruth, affamato, annunciò che vo-leva andare a caccia. Ma le lucertole di fuoco arrivarono in schiere così numerose per accompagnarlo che il drago bianco uccise una sola volta e divorò la preda, pelle, ossa e tutto.

Non voglio uccidere per loro, dichiarò a Jaxom con tanta rabbia che il giovane si chiese se Ruth sarebbe stato capace, una volta o l'altra, di alitare fiamme contro le lucertole.

«Cosa succede? Credevo che ti fossero simpatiche!» Jaxom andò incon-tro al drago sul pendio erboso e l'accarezzò per calmarlo.

Ricordano che ho fatto qualcosa che io non ricordo di aver fatto. Non l'ho fatto. Gli occhi di Ruth vorticavano di scintille rosse.

Non l'ho fatto. C'era una sfumatura d'intimorita incertezza nel tono men-tale di Ruth. Io so che non l'ho fatto. Non potrei fare una cosa simile. Io sono un drago. Io sono Ruth. Io sono di Benden! Le ultime parole avevano una nota disperata.

«Cosa ricordano che tu hai fatto, Ruth? Devi dirmelo.» Ruth abbassò la testa, come se cercasse di nascondersi, ma poi si girò

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verso Jaxom, roteando pietosamente gli occhi. Io non prenderei mai l'uovo di Ramoth. So di non aver preso l'uovo di Ramoth. Ero in riva al lago con te. Io lo ricordo. Tu lo ricordi. Loro sanno dov'ero. Ma ricordano anche che ho preso l'uovo di Ramoth.

Jaxom si aggrappò al collo del drago per non cadere. Poi trasse qualche profondo respiro.

«Mostrami le immagini che ti hanno trasmesso, Ruth!» Ruth obbedì, e le proiezioni divennero più chiare e vivide via via che il

drago si calmava, reagendo all'incoraggiamento del suo cavaliere. È quello che ricordano, disse alla fine, con un sospiro di sollievo. Jaxom s'impose di pensare logicamente, e disse: «Le lucertole di fuoco

possono riferire solo quel che hanno visto. Tu dici che ricordano. Sai quando ricordano di averti visto prendere l'uovo di Ramoth?»

Potrei portarti in quel quando. «Ne sei sicuro?» Ci sono due regine... mi hanno turbato più di tutte le altre perché ricor-

dano meglio. «Per caso, non ricordano di notte, quando ci sono le stelle, vero?» Ruth scosse il capo. Le lucertole di fuoco non sono abbastanza grosse

per vedere un numero sufficiente di stelle. È stato allora che i draghi han-no lanciato fiamme contro di loro. I bronzei che vigilano sull'uovo masti-cano pietre focaie. Non vogliono che nessuna lucertola si avvicini.

«Molto efficienti.» Nessuno dei draghi vuol più bene alle lucertole di fuoco E se sapessero

quel che le lucertole ricordano di me, non avrebbero più simpatia neppure nei miei confronti.

«Quindi tu sei l'unico drago che ascolta le lucertole di fuoco, no?» Quell'osservazione non fu di molto conforto né per Ruth né per Jaxom. «Ma perché, se l'uovo è già stato riportato al Weyr di Benden, le lucertole continuano ad assillarti con questa storia?»

Perché non ricordano che io sia ancora andato. Jaxom ritenne più opportuno sedersi. Quell'ultima affermazione richie-

deva una lunga riflessione. No, si contraddisse. F'lessan aveva avuto ra-gione. Noi pensiamo e parliamo alla morte. Si chiese fuggevolmente se Lessa e F'nor si erano lasciati prendere dallo stesso tipo di pulsione irra-zionale al momento delle decisioni. E si convinse che era meglio non pen-sare neppure a quello.

«Sei sicuro di conoscere quando dobbiamo andare?» chiese di nuovo a

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Ruth. Due regine si avvicinarono svolazzando e tubando affettuosamente; una

fu così ardita da posarsi sul braccio di Jaxom, con gli occhi turbinanti di gioia.

Loro sanno. Io so. «Bene, sono lieto che siano disposte a guidarci. Ma vorrei che avessero

visto le stelle!» Jaxom trasse un altro profondo respiro, poi balzò sul collo di Ruth e gli

disse di portarlo a casa. Dopo aver preso la decisione, scoprì che era sorprendentemente facile

continuare, purché non ci avesse pensato. Prese la combinazione da volo, la fune, un giubbone di pelliccia per coprire l'uovo. Trangugiò qualche involtino di carne, strizzò distrattamente l'occhio a Brand mentre usciva dalla Sala, ben lieto di avere un pretesto valido nella sua presunta relazione con Corana.

Impiegò un po' di tempo per convincere Ruth a rotolarsi nel nero fango alluvionale del delta del fiume Telgar, ma riuscì a persuadere il suo com-pagno che la pelle bianca era troppo visibile sullo sfondo della notte tropi-cale o alla luce del giorno sul Terreno della Schiusa, dove aveva intenzione di nascondersi nell'ombra.

In base alle immagini trasmesse a Ruth dalle due regine, Jaxom riteneva di poter concludere che gli Antichi avevano portato l'uovo indietro nel tempo, e l'avevano sistemato nel posto più logico e adatto, nelle sabbie calde del vecchio vulcano che in seguito sarebbe diventato lo stesso Weyr Meridionale. Aveva già imparato a memoria la posizione delle stelle della notte meridionale, e quindi probabilmente avrebbe saputo riconoscere quando era, con l'approssimazione di pochi Giri. Avrebbe dovuto affidarsi completamente a Ruth, il quale sosteneva di sapere sempre quando era.

Le lucertole di fuoco arrivarono a schiera sul delta, e lo aiutarono entu-siasticamente a impiastricciare la pelle candida di Ruth con l'appiccicoso fango nero. Jaxom se lo spalmò sulle mani e sul viso e sulle parti lucide del suo abbigliamento. Il giubbone di pelliccia era già abbastanza scuro.

In un certo senso, Jaxom non era sicuro che tutto questo stesse accaden-do proprio a lui, che potesse venire coinvolto in un'avventura così pazze-sca. Ma doveva essere vero. Avanzava a passi inesorabili verso un evento predestinato, e ormai nulla poteva fermarlo. Montò con calma sul dorso di Ruth, fidandosi delle facoltà del suo drago come non aveva mai fatto. Poi trasse due profondi respiri.

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«Tu sai quando, Ruth. Andiamo!» Fu senza dubbio il balzo più lungo e più gelido che avesse mai compiu-

to. Aveva un vantaggio rispetto a Lessa: se l'aspettava. Ma questo non im-pediva che il balzo fosse spaventosamente buio, non alleviava il silenzio che gli premeva rumorosamente nelle orecchie, non frenava il gelo che gli penetrava nelle ossa. Non avrebbe potuto tornare direttamente con l'uovo: avrebbe dovuto fare varie tappe per riscaldarlo.

Poi si trovarono al di sopra di un mondo umido, caldo e buio che odora-va di vegetazione lussureggiante e di frutta troppo matura. Per un momen-to, Jaxom ebbe la sensazione atroce che fosse un sogno delle lucertole di fuoco. Ma qualcosa, nel modo strano in cui Ruth planava cercando di non far rumore, quasi fondendosi nella dolce brezza notturna, rendeva tutto reale e immediato. Poi vide l'uovo, laggiù, un punto luminescente un po' sulla destra della testa protesa di Ruth.

Jaxom lo lasciò planare ancora per un tratto, per scorgere il bordo orien-tale del Weyr, il punto da cui voleva entrare alla massima velocità, all'alba. Poi disse a Ruth di cambiare, e gli parve di restare in mezzo per un istante brevissimo. All'improvviso, il sole che sorgeva gli riscaldò la schiena. Ruth sfrecciò, volando basso e velocissimo, sopra i dorsi dei bronzei in-sonnoliti e dei loro cavalieri occupati a dormicchiare. Con un'abile picchia-ta, Ruth afferrò l'uovo tra le robuste zampe anteriori, risalì e, prima che i bronzei sbalorditi potessero rizzarsi in piedi, il piccolo drago bianco aveva già abbastanza spazio libero per andare di nuovo in mezzo.

Ruth era ancora una lunghezza d'ala al di sopra del Weyr quando usciro-no, un Giro più avanti del tuffo compiuto all'aurora.

Ruth aveva a malapena la forza sufficiente, nelle zampe anteriori e nelle ali, per lasciar cadere delicatamente l'uovo sulla sabbia calda. Jaxom balzò dal collo del drago per controllare se l'uovo aveva qualche crepa, ma sem-brava in ottime condizioni. Certamente era abbastanza duro, e ancora cal-do, con le mani guantate, lo coprì con la sabbia riscaldata dal sole e poi, come Ruth, si lasciò cadere per riprendere fiato.

«Non possiamo restare a lungo. Loro potrebbero provare a controllare giorno per giorno. Sanno che non possiamo portare subito l'uovo molto lontano.»

Ruth annuì; ansimava ancora. Poi s'interruppe, teso, fino a che Jaxom trasalì allarmato. Due lucertole di fuoco, una aurea e un bronzeo, li stavano osservando dal bordo del Weyr. Nel breve istante in cui Jaxom le scorse, prima che scomparissero, non vide fasce colorate intorno al loro collo.

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«Le conosciamo?» No. «Dove sono quelle due regine?» Mi hanno mostrato quando. È quel che volevi tu. Jaxom, privo della loro fragile guida, si rammaricò di non aver insistito

perché restassero. Ci sono pietre focaie, disse Ruth. E una bruciatura lasciata dalle fiam-

me. È qui che i bronzei hanno alitato fiamme contro le lucertole di fuoco. Molto tempo fa. Sulla bruciatura sta crescendo l'erba.

«Drago contro drago!» L'apprensione assalì Jaxom. Lì non si sentiva al sicuro. Non si sarebbe sentito al sicuro fino a quando avessero riportato l'uovo a Benden, al suo posto.

«Dobbiamo compiere un altro balzo, Ruth. Non possiamo restare qui.» Risolutamente, sciolse la corda che si era avvolto alla cintura e cominciò

a confezionare un rudimentale sacco con la giubba di pelliccia. Per Ruth lo sforzo sarebbe stato minore, se l'uovo fosse stato legato tra le zampe ante-riori. Jaxom aveva finito di sistemare gli angoli quando sentì un fortissimo crepitio.

«Ruth! Non vorrai alitare fiamme contro i draghi!» No, naturalmente. Ma oseranno avvicinarsi a me, se fiammeggerò? Jaxom era troppo sconvolto per protestare. Quando Ruth si fu riempito

lo stomaco, lo chiamò e mise l'uovo nel sostegno. Annodò la corda intorno alle spalle del drago, per distribuire il peso. Cominciò a ricontrollare i nodi e poi, spinto da un presentimento interiore, montò.

«Andremo cinque Giri più avanti, a Keroon, al nostro solito posto. Sai quando?»

Ruth rifletté un momento, e poi disse che lo sapeva. In mezzo, Jaxom ebbe il tempo di chiedersi, angosciato, se compiva balzi

troppo lunghi per poter tenere caldo l'uovo. In effetti, non si era schiuso prima della sua partenza. Forse avrebbe dovuto attendere, per scoprire se l'uovo si era schiuso regolarmente; allora avrebbero saputo come calcolare i balzi. Forse aveva addirittura ucciso la piccola regina cercando di salvar-la. No: la sua mente vacillava tra i paradossi: era in corso l'azione più im-portante, la restituzione dell'uovo aureo. E i draghi non avevano combattu-to i draghi... non ancora.

Il calore del deserto di Keroon ristorò non solo il suo corpo ma anche il suo spirito depresso. Ruth aveva un colorito terribile, sotto le incrostazioni di fango nero. Jaxom sciolse la corda e depose l'uovo sulla sabbia. Ruth lo

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aiutò a coprirlo. Era metà mattina, non lontano dall'ora in cui l'uovo dove-va tornare a meno di sei Giri, in termini di distanza temporale.

Ruth chiese se poteva lavarsi in mare per liberarsi dal fango, ma Jaxom rispose che dovevano aspettare di aver restituito l'uovo. Nessuno aveva saputo che erano stati loro: nessuno doveva saperlo, e per misura precau-zionale nessuno doveva vedere un drago dalla pelle bianca.

Le lucertole di fuoco? La cosa aveva preoccupato Jaxom: ma credeva di conoscere la spiega-

zione. «Quel giorno, le lucertole non sapevano chi aveva riportato l'uovo. Non ce n'era nessuna nel Terreno della Schiusa, quindi non sanno quel che non hanno visto.» Jaxom decise di non pensarci più.

Era stanchissimo, e si sdraiò contro il fianco caldo di Ruth. Avrebbero riposato un po', lasciando che l'uovo si scaldasse a dovere al sole, prima di compiere l'ultimo balzo, il più preoccupante. Dovevano piazzarsi in modo da atterrare nel Terreno della Schiusa, dove l'arco dell'ingresso scendeva bruscamente e toglieva la visuale a coloro che guardavano in quella dire-zione dalla Conca. In pratica, direttamente di fronte al crepaccio da cui avevano spiato F'lessan e Jaxom, molti Giri prima. Era una fortuna che Ruth fosse abbastanza piccolo per arrischiarsi ad andare in mezzo all'inter-no del Terreno: ma lui stesso era uscito dal guscio proprio lì, perciò aveva una sensibilità innata. Fino a quel momento, aveva veramente dimostrato di sapere sempre quando andava...

Persino sulle calde pianure deserte di Keroon c'era qualche suono: i fru-scii infinitesimali degli insetti, le brezze ardenti che spiravano fra l'erba morta, i serpenti che scavavano tane nella sabbia, lo sciabordio lontano dell'acqua sulla spiaggia. L'interruzione di simili suoni può essere scon-volgente come lo scoppio di un tuono: e furono il silenzio assoluto ed un lieve mutamento della pressione dell'aria a scuotere Jaxom e Ruth dalla sonnolenza, sgomentandoli.

Jaxom alzò gli occhi, aspettandosi di veder apparire draghi bronzei ve-nuti a riprendersi il bottino. Il cielo, sopra di loro, era limpido e caldo. Ja-xom si guardò intorno e vide il pericolo, la nebbia argentea dei Fili che piovevano sul deserto. Si buttò sull'uovo, e Ruth subito lo imitò: entrambi scavarono per disseppellirlo, lo spinsero nel sostegno, cercando frenetica-mente di calcolare lo spostamento del fronte dei Fili, chiedendosi preoccu-pati perché mai i cieli non brulicavano di draghi.

Per quanto lavorassero in fretta per legare addosso a Ruth il prezioso fardello, non furono abbastanza svelti. I primi Fili caddero sibilando sulla

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sabbia intorno a loro mentre Jaxom balzava sul collo di Ruth e gli gridava di levarsi in volo. Ruth, eruttando uno sbuffo di fiamma, volteggiò verso il cielo, cercando di aprirsi un varco abbastanza in alto per andare in mezzo.

Un nastro di fuoco lacerò la guancia di Jaxom e la spalla destra attraver-so la tunica di cuoio di wher, l'avambraccio, la coscia. Percepì, più che non udisse, il muggito di dolore di Ruth, perduto nella tenebra che regnava in mezzo.

Faticosamente, Jaxom tenne il pensiero fisso sul dove e sul quando della loro meta. Finalmente, furono nel Terreno della Schiusa, mentre Ramoth urlava all'esterno. Ruth non riuscì a reprimere un grido, quando la sabbia caldissima urtò l'ustione causata dai Fili sulla sua zampa posteriore. Jaxom si morse le labbra per vincere la sofferenza mentre lottava con le corde. C'era così poco tempo, e gli parve di impiegare secoli a sciogliere il soste-gno. Ruth calò l'uovo sulla sabbia, ma quello rotolò giù per la leggera pen-denza, dal loro angolo buio. Non potevano attendere oltre. Ruth balzò ver-so la volta e andò in mezzo.

I draghi non avrebbero combattuto i draghi! Jaxom non si stupì che Ruth uscisse sopra il piccolo lago montano. In

quel momento, era troppo preoccupato per il suo drago, per domandarsi quando fossero usciti. Ruth piagnucolava per il dolore al piede e alla zam-pa; voleva solo placare il bruciore. Jaxom saltò giù e spruzzò acqua sulla grigia pelle sudata, imprecando perché l'intorpidaria più vicina si trovava alla Fortezza di Ruatha. Era così furbo, lui, da non prevedere mai che uno di loro poteva averne bisogno.

L'acqua fresca del lago attenuava il bruciore delle ustioni dei Fili, ma adesso Jaxom era preoccupato perché temeva che il fango causasse un'in-fezione. Avrebbe potuto usare senza dubbio qualcosa di meno pericoloso, per mimetizzare il drago. Non osò strigliare le ferite con la sabbia; sarebbe stato troppo doloroso per Ruth, e avrebbe potuto far penetrare quel male-detto fango nella carne viva. Jaxom si rammaricò dell'assenza totale delle lucertole di fuoco, che avrebbero potuto aiutarlo a ripulire il drago. Ancora una volta si chiese fuggevolmente quando erano, in quel meriggio.

È il giorno dopo la sera della nostra partenza, annunciò Ruth. Io so sempre quando sono, aggiunse, giustamente orgoglioso della sua abilità. Lungo la cresta dorsale sinistra, un prurito terribile. Hai lasciato un po' di fango.

Jaxom usò la sabbia sul resto della pelle di Ruth, e si sforzò di non bada-re al dolore che gli causava sulle sue ustioni. Era stanco morto e indolenzi-

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to, quando Ruth dichiarò che era abbastanza pulito per compiere un ultimo tuffo nella parte più profonda del lago.

Le onde che lambirono le caviglie di Jaxom gli ricordarono il giorno non lontano della sua ribellione.

«Bene,» disse con una risata, «tra le altre cose, adesso abbiamo anche combattuto i Fili.» E purtroppo ne portavano la prova sulla pelle.

Non avevamo concentrato tutta la nostra attenzione sui Fili, gli ram-mentò Ruth con una sfumatura di rimprovero. Adesso so come si fa. Ce la caveremo molto meglio la prossima volta. Io sono più svelto di tutti i dra-ghi grandi. Sono capace di girare sulla mia coda e di andare in mezzo ad una sola lunghezza da terra.

Fervidamente, Jaxom disse a Ruth che era senza dubbio il drago miglio-re, più veloce e intelligente di tutto Pern, Nord e Sud. Ruth roteò gli occhi per il piacere e avanzò a nuoto verso la riva, tendendo le ali per asciugarle.

Tu hai freddo e fame e sei ferito. La zampa mi fa male. Andiamo a casa. Jaxom sapeva che era la cosa più saggia da farsi: doveva spalmare l'in-

torpidaria sulla zampa di Ruth e sulle proprie ferite. Ma erano ustioni, in-negabilmente causate dai Fili. In nome del Primo Guscio, come avrebbe fatto a spiegarlo a Lytol?

Perché dare spiegazioni? chiese sensatamente Ruth. Noi abbiamo fatto quello che dovevamo.

«Pensi secondo logica, eh?» rispose Jaxom con una risaia, e batté affet-tuosamente la mano sul collo di Ruth prima d'issarsi, a fatica. Con riluttan-za e apprensione, disse al drago bianco di andare a casa.

Il drago di guardia lanciò un grido di saluto e non più di sei lucertole di fuoco, tutte distinte dai colori della Fortezza, arrivarono per scortare Ruth nel cortile del suo weyr.

Una sguattera arrivò correndo dalla cucina, con gli occhi spalancati per l'eccitazione.

«Nobile Jaxom, c'è stata una Schiusa. L'uovo di regina si è aperto. Erano venuti a invitarti, ma nessuno è riuscito a trovarti.»

«Avevo altro da fare. Portami un po' d'intorpidaria.» «Intorpidaria?» La sguattera spalancò ancora di più gli occhi, preoccupa-

ta. «Intorpidaria! Mi sono scottato al sole.» Compiaciuto della propria inventiva, considerando che stava tremando

negli abiti fradici, Jaxom sistemò comodamente Ruth nel suo weyr, con la zampa ferita sollevata.

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Sfilarsi la tunica dalla spalla fu doloroso, perché il Filo aveva ustionato la pelle fino al muscolo, l'aveva colpito al polso, continuando a incidergli un lungo solco nella coscia.

Un timido grattare alla porta che comunicava con la Fortezza annunciò il ritorno incredibilmente sollecito della sguattera. Jaxom socchiuse la porta quanto bastava per prendere il barattolo d'intorpidaria, nascondendo a que-gli occhi curiosi i segni dei Fili.

«Grazie; e voglio anche qualcosa di caldo da mangiare. Zuppa, klah, tut-to quello che c'è sul fuoco.»

Jaxom chiuse la porta, prese un asciugamani e se l'annodò alla vita, poi raggiunse Ruth. Spalmò una manciata d'intorpidaria sulla zampa del drago e sorrise al sospiro d'intenso sollievo di Ruth, quando l'unguento fece im-mediatamente effetto.

Anche lui provò la stessa sensazione quando unse le proprie ferite. Be-nedetta, benedetta intorpidaria. Non si sarebbe più irritato di dover racco-gliere i duri arbusti spinosi da cui si ricavava quel balsamo incredibile. Si guardò nello specchio, mentre si ungeva la ferita al volto. Avrebbe lasciato una cicatrice lunga un dito: non c'era niente da fare. Adesso, se fosse riu-scito a evitare la collera di Lytol...

«Jaxom!» Lytol entrò dopo aver bussato una sola volta. «Ti sei perso la Schiusa al

Benden di Weyr e...» Quando vide Jaxom, si fermò di colpo, vacillando. Poiché era avvolto soltanto nell'asciugamano, i segni sulla spalla e sul viso di Jaxom erano ben visibili.

«Allora l'uovo si è schiuso normalmente? Bene,» rispose Jaxom, racco-gliendo la tunica con una noncuranza ostentata. «Io...» Poi s'interruppe, un po' perché la stoffa della tunica gli smorzava la voce, un po' perché s'era accorto di essere sul punto di riferire, con la sua abituale sincerità, la biz-zarra impresa di quella notte. Forse Ruth aveva ragione... avevano fatto quello che dovevano. Era una faccenda personale, che riguardava solo lui e il drago bianco. Forse il suo gesto rispecchiava il desiderio inconscio di riparare alla violazione del Terreno della Schiusa di Ramoth, compiuta da bambino. Si passò la tunica sulla testa, rabbrividendo quando toccò l'intor-pidaria spalmata sulla guancia. «A Benden,» continuò, «ho sentito che temevano non si schiudesse, dopo tutto quell'andare e venire in mezzo.»

Lytol si avvicinò lentamente, fissando il giovane con aria interrogativa. Jaxom si assestò la tunica, allacciò la cintura, poi distribuì meglio l'in-

torpidaria sulla ferita. Non sapeva che dire.

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«Oh, Lytol, ti dispiacerebbe dare un'occhiata alla zampa di Ruth? Per vedere se l'ho curata bene?» Poi Jaxom attese, fronteggiando con calma Lytol. Notò, con tristezza, che gli occhi del suo tutore erano oscurati dall'emozione. Doveva molto a quell'uomo, e mai più che in quel momen-to. Si chiese come poteva aver giudicato Lytol freddo e duro e insensibile.

«C'è un trucco per schivare i Fili,» disse sottovoce Lytol, «che faresti bene a insegnare a Ruth, Nobile Jaxom.»

«Se avessi la gentilezza d'insegnarmelo, Nobile Lytol...»

VII Mattino alla Fortezza di Ruotha, 15.6.2. «Ero venuto a dirti che abbiamo ospiti, Nobile Jaxom. Ci sono il Mae-

stro Robinton, N'ton e Menolly: sono appena tornati dalla Schiusa. Ma prima pensiamo a Ruth.»

«Tu non sei andato a Benden per la Schiusa?» chiese Jaxom. Lytol scosse il capo, avviandosi verso il weyr di Ruth. Il drago bianco si

stava accingendo ad un meritato sonnellino. Lytol gli rivolse un inchino cerimonioso, prima di esaminare attentamente le ustioni coperte d'unguen-to.

«L'hai lavato prima nel lago, immagino.» Lytol lanciò un'occhiata ai ca-pelli bagnati di Jaxom. «È acqua abbastanza pura, e l'intorpidaria è stata applicata in tempo. Controlleremo di nuovo fra qualche ora. Ma credo che sia tutto a posto.» Lo sguardo di Lytol si posò sull'ustione fin troppo evi-dente di Jaxom.

«Non avevo motivo per scusarti con i nostri ospiti.» Sospirò. «Ringrazia che di sopra ci sia N'ton e non F'lar. Immagino che Menolly sapesse quello che intendevi fare.»

«Non ho detto a nessuno quel che intendevo fare, Nobile Lytol,» rispose Jaxom, in tono solenne.

«Almeno hai imparato a comportarti con discrezione.» Il Reggente esitò, squadrando il suo pupillo. «Ah, bene, dovrò chiedere a N'ton di farti eser-citare con gli allievi... ci sarà meno pericolo, e sarai insieme agli altri. Ro-binton capirà quello che hai fatto: ma verrebbe a saperlo comunque, a tem-po debito, anche se ci sforzassimo di tenerglielo nascosto. Vieni, allora: non se la prenderanno troppo con te per la tua goffaggine, anche se merite-

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resti una sfuriata per il rischio che hai corso e che hai fatto correre a Ruth. E proprio adesso, quando l'ordine sta andando a pezzi dovunque...»

«Ti chiedo scusa per il dispiacere che ti ho dato, Nobile Lytol...» Il Reggente squadrò di nuovo il suo pupillo. «Non importa, Nobile Jaxom. Non voglio scuse. Avrei dovuto capire

che sentivi il bisogno di dimostrare le doti di Ruth. Vorrei che fossi più vecchio di qualche Giro e che la situazione fosse tranquilla, così potrei lasciarti assumere il governo della Fortezza...»

«Non voglio toglierti la Fortezza, Nobile Lytol...» «Non credo che mi permetterebbero di rinunciare proprio ora, Jaxom.

Come sentirai tu stesso. Vieni. Abbiamo già fatto attendere anche troppo i nostri ospiti.»

N'ton stava rivolto verso l'ingresso della saletta che veniva usata a Rua-tha quando gli ospiti volevano discutere senza essere disturbati. Il cavalie-re bronzeo diede un'occhiata al viso di Jaxom e si lasciò sfuggire un gemi-to. Alla sua reazione, il Maestro Robinton si girò sulla sedia: i suoi occhi stanchi esprimevano sorpresa e - si augurò Jaxom - anche una certa appro-vazione.

«Sei segnato dai Fili, Jaxom!» esclamò Menolly, sconvolta. «Come hai potuto correre un rischio simile proprio adesso?» Lei, che l'aveva sempre punzecchiato accusandolo di pensare e non di agire, adesso era furiosa.

«Avrei dovuto immaginare che ti ci saresti provato, giovane Jaxom,» disse N'ton con un sospiro ed un sorriso malinconico. «Era inevitabile che lo facessi presto; ma hai scelto il momento peggiore.»

Jaxom avrebbe voluto ribattere che, in realtà, aveva scelto il momento esatto, ma N'ton continuò: «Ruth non è rimasto ferito, vero?»

«Una sola ustione sulla coscia e la zampa,» rispose Lytol. «Ben curata.» «Capisco le tue ambizioni, Jaxom,» disse Robinton, in tono insolitamen-

te solenne. «So che desideri far volare Ruth con gli altri draghi, ma devo consigliarti di avere pazienza.»

«Vorrei che avesse imparato a volare come si deve, Robinton. Insieme agli altri miei allievi,» l'interruppe inaspettatamente N'ton, assicurandosi la gratitudine di Jaxom. «Soprattutto se è così pazzo e coraggioso da tentare da solo, senza guida.»

«Non credo che otterremo l'approvazione di Benden,» obiettò Robinton scuotendo il capo.

«Io approvo,» disse Lytol con voce ferma, serio in viso. «Il tutore del Nobile Jaxom sono io, non F'lar o Lessa. Che lei si occupi degli affari suoi.

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Il Nobile Jaxom è affidato a me. Non può accadergli niente di male con gli Allievi di Fort.» Lytol guardò cupamente Jaxom. «E s'impegnerà a non metterà in pratica gli insegnamenti ricevuti senza consultarci. Accetti, No-bile Jaxom?»

Sollevato nell'apprendere che i Comandanti del Weyr di Benden non sa-rebbero stati interpellati, Jaxom sarebbe stato disposto ad accettare condi-zioni anche più rigorose. Annuì, e si sentì subito assalire da emozioni con-trastanti... divertimento perché tutti avevano pensato alla spiegazione più ovvia, e irritazione perché, dopo aver compiuto ben altro, quel giorno, a-desso veniva ridotto al rango di apprendista. Eppure, l'esperienza a Keroon aveva dimostrato anche troppo chiaramente che doveva imparare ancora molto per combattere i Fili, se voleva serbare intatta la sua pelle e quella del drago bianco.

N'ton aveva continuato a scrutare attentamente Jaxom, aggrottando la fronte, tanto che per un momento il giovane si chiese se il Comandante del Weyr di Fort aveva intuito quello che lui e Ruth stavano facendo, quand'e-rano stati ustionati dal Fili. Se l'avessero scoperto, Jaxom si sarebbe trova-to impastoiato da restrizioni doppiamente rigorose.

«Credo di doverti chiedere un'altra promessa, Jaxom,» disse il cavaliere bronzeo. «Basta con gli spostamenti nel tempo. L'hai fatto troppo spesso, ultimamente. Te lo leggo negli occhi.»

Con un sussulto, Lytol esaminò più attentamente il viso del suo pupillo. «Con Ruth non corro nessun pericolo, N'ton,» rispose Jaxom, sollevato

nel sentirsi accusare di un'infrazione di poco conto «Lui sa sempre quando è.»

N'ton ebbe un gesto d'impazienza. «Può darsi. Ma il pericolo sta nella mente del cavaliere... una traccia temporale involontaria che potrebbe met-tere in pericolo entrambi. Avvicinarti troppo a te stesso nel tempo sogget-tivo è rischioso. Non è necessario che tu lo faccia, giovane Jaxom. Avrai a disposizione il tempo necessario per fare tutto quello che devi.»

Le parole di N'ton rammentarono a Jaxom l'inspiegabile debolezza che l'aveva sopraffatto nel Terreno della Schiusa. Possibile che in quel mo-mento...

«Non credo che tu ti sia reso conto, Jaxom,» cominciò Robinton, inter-rompendo i suoi pensieri, «di quanto sia critica in questo momento la si-tuazione di Pern. Eppure dovresti saperlo.»

«Se ti riferisci al furto dell'uovo, Maestro Robinton, e al fatto che poco è mancato che i draghi combattessero i draghi, io ero al Weyr di Benden,

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quella mattina...» «C'eri?» Lievemente sorpreso, l'Arpista scosse il capo, come rammari-

candosi di averlo dimenticato. «Allora puoi immaginare l'umore di Lessa, oggi. Se quell'uovo non si fosse schiuso come doveva...»

«Ma l'uovo è stato restituito, Maestro Robinton,» Jaxom era confuso. Perché Lessa era ancora sconvolta?

«Sì,» rispose l'Arpista. «Evidentemente non tutti, nel Weyr Meridionale, ignoravano le possibili conseguenze del furto. Ma Lessa non si è placata.»

«È stato un insulto per il Weyr di Benden, e Ramoth e Lessa,» disse N'ton.

«I draghi non possono combattere i draghi!» Jaxom era sgomento. «Per questo l'uovo è stato restituito.» Se i rischi corsi e la ferita di Ruth erano stati inutili...

«La nostra Lessa è una donna dalle emozioni molto forti, Jaxom... e la sete di vendetta è una delle più sviluppate. Ricordi come sei diventato Si-gnore di questa Fortezza?» Il viso di Robinton esprimeva il rammarico di dover rammentare a Jaxom la sua origine. «Non biasimo la Dama del Weyr di Benden. Tanta perseveranza, di fronte a difficoltà incredibili, è encomiabile. Ma la sua tenacia potrebbe avere conseguenze disastrose per Pern. Finora, la ragione ha potuto prevalere, ma l'equilibrio è scosso.»

Jaxom annuì, rendendosi conto che non avrebbe mai potato rivelare il suo intervento: era un sollievo, per lui, non aver raccontato a Lytol la sua avventura. Nessuno avrebbe mai dovuto sapere che era stato lui a riportare l'uovo. Soprattutto Lessa. Trasmise un ordine silenzioso a Ruth, il quale rispose insonnolito che era troppo stanco per parlare con qualcuno e che desiderava soltanto dormire.

«Sì, disse Jaxom, rivolgendosi a Robinton. «Capisco benissimo che la discrezione è indispensabile.»

«C'è un'altra cosa.» Il viso mobilissimo di Robinton si contrasse in una smorfia dolorosa, mentre cercava le parole. «Un evento che tra poco ag-graverà i vostri problemi.» Lanciò un'occhiata a N'ton. «D'ram.»

«Credi che tu abbia ragione, Robinton,» disse il cavaliere bronzeo. «È improbabile che rimanga Comandante del Weyr, se Fanna muore.»

«Se? Purtroppo dobbiamo dire "quando". E secondo quanto mi ha riferi-to il Maestro Oldive, prima avverrà, e meglio sarà per lei.»

«Non sapevo che Fanna fosse malata,» disse Jaxom, e pensò, dolorosa-mente, che la regina di Fanna, Mirath, si sarebbe suicidata alla morte della sua Dama dei Weyr. La morte di una regina avrebbe sconvolto tutti i dra-

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ghi... e Lessa e Ramoth! L'espressione di Lytol era cupa, come sempre quando qual cosa gli ri-

cordava la morte del suo drago. Jaxom trangugiò il suo orgoglio e la sua irritazione per la prospettiva di diventare apprendista: non voleva più far correre rischi a Ruth.

«Fanna declina poco a poco,» stava dicendo Robinton. «Una malattia di consunzione che niente riesce ad arrestare. Adesso, il Maestro Oldive è da lei, a Ista.»

«Sì, la sua lucertola di fuoco mi chiamerà quando sarà pronto a ripartire. Voglio tenermi a disposizione di D'ram,» disse N'ton.

«Le lucertole di fuoco, sì, uhm,» fece l'Arpista. «Un altro argomento scottante, al Weyr di Benden.» Guardò il sua bronzeo, che gli stava appol-laiato soddisfatto sulla spalla. «Mi sentivo nudo alla Schiusa, senza Zair. Parola mia!» Fissò il suo bronzeo insonnolito, poi guardò Tris, semiad-dormentato sul braccio di N'ton. «Adesso sì sono calmate.»

«C'è qui Ruth,» disse N'ton, accarezzando Tris. «Con lui si sentono al sicuro.»

«No, non è così,» fece Menolly, guardando in faccia Jaxom. «Erano pre-occupate anche con Ruth. Ma adesso quell'agitazione è finita. Non hanno più visioni dell'uovo.» Sbirciò la sua piccola regina. «Immagino che sia logico. Si è schiuso normalmente. Quello che le angosciava non è avvenu-to. O forse sì?» chiese, fissando di nuovo Jaxom.

Jaxom affettò un'espressione sorpresa e confusa. «Erano preoccupate per la schiusa dell'uovo, Menolly?» chiese Robin-

ton. «Peccato che non possiamo dire a Lessa quanto erano agitate. Forse contribuirebbe a riportarle nelle sue grazie.»

«Credo che sia ora di fare qualcosa per le lucertole di fuoco,» disse seve-ramente Menolly.

«Mia cara ragazza...» Robinton era sbalordito. «Non mi riferisco alle nostre, Maestro Robinton. Si sono dimostrate e-

stremamente utili. Troppe persone le accettano come una cosa normalissi-ma e non fanno nulla per addestrarle.» Rise stranamente. «Come può con-fermare Jaxom. Si radunano dovunque vada Ruth, fino a quando lui è co-stretto ad andare in mezzo per sottrarsi alle loro attenzioni. Non è vero, Jaxom?» Nello sguardo di Menolly c'era un'espressione strana che lo scon-certò.

«Non direi che Ruth obietti... di solito,» rispose lui tranquillamente, stendendo sotto il tavolo le lunghe gambe. «Ma uno desidera avere un po'

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di tempo tutto per sé, capisci.» Lytol sbuffò, con aria saputa, e Jaxom comprese che Brand doveva a-

vergli parlato di Corana. «Perché? Per masticare pietre focaie?» chiese N'ton con un sorriso. «È questo che te ne fai del tuo... tempo, Jaxom?» gli chiese Menolly,

spalancando gli occhi con fare innocente. «Può darsi.» «Le lucertole di fuoco ti creano davvero problemi?» chiese Robinton.

«Con la loro preferenza per la compagnia di Ruth?» «Ecco, signore,» rispose Jaxom, «dovunque andiamo, tutte le lucertole

di fuoco dei dintorni si affollano per vedere Ruth. Di solito non è un fasti-dio, perché lo divertono, quando io sono impegnato nelle attività della For-tezza.»

«Per caso, non hanno detto a Ruth perché erano così sconvolte? Oppure sapevi di quelle immagini?» L'Arpista si tese in avanti, ansioso di ascoltare la risposta di Jaxom.

«I draghi che alitavano fiamme contro le lucertole, vuoi dire? Il nulla ne-ro e l'uovo? Oh, sì, hanno ridotto Ruth all'isterismo, con quelle assurdità,» disse Jaxom. Fece una smorfia, come se fosse irritato per il suo amico, ed evitò di guardare Menolly. «Ma sembra che sia passato. Forse l'inquietudi-ne era legata al furto dell'uovo. Ma adesso si è schiuso; e guarda, non sono più agitate come prima, e lasciano che Ruth dorma in pace.»

«Dov'eri, mentre l'uovo si schiudeva?» Menolly lanciò la domanda a Ja-xom così fulmineamente che Robinton e N'ton la guardarono sorpresi.

«Ma...» Jaxom rise, toccandosi la guancia segnata. «Stavo cercando di bruciare i Fili!»

La prontezza della risposta confuse Menolly, mentre Robinton, Lytol e N'ton ricominciavano a rimproverargli la sua avventatezza. Jaxom soppor-tò di buon animo i rimbrotti perché impedivano a Menolly d'insistere. Si era insospettita, dopotutto. Avrebbe voluto poterle dire la verità. Fra tutti gli abitanti di Pern, era l'unica di cui si potesse fidare, adesso che capiva che era infinitamente più prudente lasciar credere che un dragoniere del Weyr Meridionale avesse restituito l'uovo. Ma era insoddisfatto, perché sarebbe stato un sollievo e una gioia poter dire a qualcuno ciò che aveva fatto.

Il pranzo venne servito, e continuarono a discutere il problema delle lu-certole di fuoco - erano più fastidiose o più utili? - sino a quando Jaxom commentò che tutti i presenti erano schierati in favore delle minuscole

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bestiole. Adesso bisognava trovare il modo di placare Lessa e Ramoth. «Ramoth dimenticherà presto,» disse N'ton. «Ma Lessa no, anche se dubito che avrò motivo di mandare Zair al Weyr

di Benden.» Mentre N'ton e Lytol rassicuravano l'Arpista, Jaxom si accorse che nella

sua voce c'era una nota strana, quando parlava di Benden e della Dama del Weyr. Robinton non era preoccupato soltanto perché Lessa aveva proibito alle lucertole di fuoco l'accesso a Benden.

«C'è un altro aspetto di questa faccenda che assilla la mia immaginazio-ne,» disse Robinton. «L'episodio ha richiamato l'attenzione di tutti sul Continente Meridionale.»

«E perché è un problema?» chiese Lytol. Robinton sorseggiò il vino, indugiando a rispondere mentre l'assaporava.

«Ecco: gli ultimi avvenimenti hanno ricordato a tutti che quel continente immenso è occupato da pochissimi.»

«E allora?» «Conosco certi Signori irrequieti che hanno le Fortezze affollate. Ed i

Weyr, invece di proteggere l'inviolabilità del Continente Meridionale, era-no praticamente sul punto d'invaderlo. Cosa impedirà ai Signori delle For-tezze di prendere l'iniziativa e di occuparne ampi territori?»

«Non ci sarebbero abbastanza draghi per proteggere un'area così vasta,» disse Lytol. «Gli Antichi certamente non lo farebbero.»

«Al Sud non c'è bisogno di dragonieri,» disse lentamente Robinton. Lytol lo fissò, sconcertato da quell'affermazione. «È vero,» disse. «Il territorio è popolato dai bruchi. I commercianti mi

hanno riferito che là quasi non fanno più caso ai Fili; il Nobile Toric si limita ad assicurarsi che tutti quanti e il bestiame siano al coperto.

«Verrà un tempo in cui neppure al Nord ci sarà più bisogno dei drago-nieri,» disse lentamente N'ton, sconvolgendo ancora di più Lytol.

«Su Pern ci sarà sempre bisogno dei dragonieri, finché ci saranno i Fili!» Lytol sottolineò la sua convinzione battendo un pugno sul tavolo.

«Almeno finché saremo vivi noi,» disse Robinton, suadente. «Ma avrei preferito un minore interesse per il Continente Meridionale. Pensaci, Lytol.»

«Continui a pensare al futuro, Robinton?» chiese Lytol, con una nota a-cida nella voce ed un'espressione irritata sul volto.

«Pensare al futuro è più costruttivo che pensare al passato,» replicò l'Ar-pista. Alzò il pugno chiuso. «Avevo in mano tutti gli elementi, ma non

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riuscivo a vedere il mare perché badavo troppo alle onde.» «Sei stato spesso nel Continente Meridionale, Maestro Arpista?» Robinton rivolse a Lytol una lunga occhiata riflessiva. «Sì. Con la mas-

sima discrezione, ti assicuro. Ci sono cose che bisogna vedere, per creder-le.»

«Per esempio?» Robinton accarezzò pigramente Zair e levò gli occhi sopra la testa di

Lytol, verso una lontana visione. «Certo, qualche volta è utile pensare al passato,» disse, e poi tornò a ri-

volgersi al Nobile Reggente. «Ti rendi conto che in origine tutti noi siamo venuti dal Continente Meridionale?»

La sorpresa di Lytol per la nuova piega assunta dalla conversazione si espresse in un cipiglio pensieroso. «Sì, questo era implicito nelle Cronache più antiche.»

«Spesso mi sono domandato se non esistono Cronache ancora più anti-che che ammuffiscono chissà dove, al Sud.»

Lytol sbuffò. «Ammuffiscono: è la parola giusta. Non può essere rima-sto nulla, dopo tante migliaia di Giri.»

«I nostri antenati conoscevano metodi per temprare i metalli, metodi che li rendevano inattaccabili alla ruggine e all'usura. Le lastre trovate nel Weyr di Fort, gli strumenti, il telescopio che affascina tanto Wansor e Fandarel. Non credo che il tempo possa aver cancellato tutte le tracce di quella gente così ingegnosa.»

Jaxom sbirciò Menolly, ricordando gli accenni che lei si era lasciata sfuggire. Le brillavano gli occhi per l'eccitazione repressa: certo, sapeva qualcosa che l'Arpista non aveva detto. Poi Jaxom guardò il Comandante del Weyr di Fort e comprese che N'ton era al corrente di tutto.

«Il Continente Meridionale è stato ceduto agli Antichi dissidenti,» disse Lytol in tono pesante.

«E loro hanno già violato il patto,» commentò N'ton. «È una ragione perché lo facciamo anche noi?» chiese Lytol, raddriz-

zando le spalle e rivolgendo una smorfia al Comandante del Weyr e all'Ar-pista.

«Loro occupano soltanto una piccola lingua di terra che si protende nel Mare Meridionale,» fece Robinton, con quel suo tono tranquillo. «Hanno ignorato le attività in corso altrove.»

«State già esplorando il Sud?» «Giudiziosamente. Giudiziosamente.»

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«E le vostre intrusioni... giudiziose non sono state scoperte?» «No,» rispose Robinton con lentezza. «Presto farò un annuncio pubbli-

co. Non voglio che tutti gli apprendisti insoddisfatti ed i piccoli proprietari estromessi si buttino indiscriminatamente, distruggendo quanto dovrebbe essere conservato, solo perché non hanno l'intelligenza di capirne il valo-re.»

«Che cosa avete scoperto, fino ad ora?» «Vecchie miniere, puntellate con materiale leggero ma così resistente da

essere perfetto, senza un graffio ancora oggi. Utensili che possono venire adoperati... e strumenti che neppure il giovane Benelek riesce a montare.»

Vi fu un lungo silenzio che Lytol interruppe sbuffando. «Gli Arpisti! Gli Arpisti dovrebbero istruire i giovani.»

«E soprattutto, devono conservare la nostra eredità.»

VIII Fortezza di Ruatha, Weyr di Fort, Tenuta di Fidello, 15.6.3 - 15.6.17. Jaxom era deluso: nonostante le sue insistenze, Lytol non era riuscito a

farsi dire dall'Arpista nulla di più sulle sue esplorazioni nel Sud. Quando la stanchezza stava già per impedirgli di tenere gli occhi aperti, Jaxom si ac-corse che Robinton era riuscito a convincere Lytol ad appoggiare lui e N'ton nel tentativo di ridurre al minimo l'interesse per il Continente Meri-dionale.

L'ultimo pensiero di Jaxom, prima di addormentarsi, fu di ammirazione per i metodi tortuosi dell'Arpista. Non era sorprendente che non si fosse opposto a che Jaxom si addestrasse insieme a N'ton, quando aveva visto che Lytol era favorevole. L'Arpista aveva bisogno che il vecchio restasse Signore di Ruatha. Finché addestrava Ruth a masticare le pietre focaie, il giovane Signore non avrebbe pensato a prendere il posto di Lytol.

Il mattino dopo, Jaxom era sicuro d'essere rimasto tutta la notte immobi-le. Era irrigidito, la faccia e la spalla bruciavano: e questo gli ricordò la ferita di Ruth. Senza pensare a se stesso, gettò via le pellicce, afferrò il barattolo d'íntorpidaria e si precipitò nel weyr di Ruth.

Un brontolio sommesso gli annunciò che il drago bianco dormiva pro-

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fondamente. Sembrava che non avesse mosso la zampa: era ancora nella stessa posizione. Il compito di Jaxom era facilitato; spalmò un nuovo strato d'íntorpidaria sulla linea dell'ustione. Soltanto allora, pensò che lui e Ruth avrebbero dovuto attendere di essere guariti prima di potersi recare come allievi al Weyr di Fort.

Lytol non condivideva quel pensiero. La ragione per cui Jaxom doveva andare al Weyr di Fort era imparare ad evitare i Fili e ad aver cura di se stesso e del suo drago durante le Cadute. Se lo prendevano in giro perché non era riuscito a schivare i Fili con sufficiente rapidità, se lo meritava. Perciò, dopo aver fatto colazione, Jaxom salì su Ruth e si recò al Weyr.

Fortunatamente, due allievi avevano quasi diciotto Giri come lui... anche se a Jaxom non sarebbe dispiaciuto essere il più vecchio, purché potesse addestrare adeguatamente Ruth. Doveva reprimere l'impulso insidioso di spiegare la cicatrice di Ruth con la vera ragione di quella presunta goffag-gine. Si rifugiò nella consapevolezza di aver compiuto qualcosa di grande, che gli altri non avrebbero mai potuto immaginare... una piccola consola-zione.

Il suo primo problema, nel corso allievi, fu liberare Ruth dall'imbarazzo delle innumerevoli lucertole di fuoco che gli si posavano addosso. Appena riusciva a far sloggiare e allontanare un gruppo ne appariva un altro, con grande esasperazione di K'nebel, il maestro degli allievi.

«E succede così tutto il giorno, dovunque andiate?» chiese irritato a Ja-xom.

«Più o meno. Arrivano, ecco tutto. In particolare dopo quello che è ac-caduto al Weyr di Benden.»

K'nebel sbuffò, seccato, mentre annuiva in segno di comprensione. «Non vorrei attribuire qualche verità all'idea che i draghi abbiano alitato fiamme contro le lucertole di fuoco, ma non riuscirai mai a combinare niente con Ruth, se le lucertole non lo lasciano in pace. E se non lo lasciano in pace, qualcuna finirà per farsi alitare le fiamme addosso!»

Perciò Jaxom raccomandò a Ruth di mandar via le lucertole di fuoco ap-pena comparivano. Dovette passare un po' di tempo prima che il drago bianco restasse indisturbato. Poi... o tutte le lucertole dei dintorni erano già venute a fare una visita, oppure Ruth era stato abbastanza energico: co-munque, il resto delle lezioni di quel mattino passò senza altre interruzioni.

Nonostante le varie soste, K'nebel fece lavorare gli allievi sino all'an-nuncio del pasto di mezzogiorno. Jaxom fu invitato a fermarsi: in omaggio al suo rango, venne sistemato al grande tavolo riservato ai dragonieri an-

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ziani. La conversazione era dominata da continue ipotesi sulla restituzione del-

l'uovo: ci si chiedeva quale, tra le compagne delle regine, lo avesse riporta-to. Le discussioni contribuirono a rafforzare in Jaxom la decisione di tace-re. Ammonì Ruth; ma non era necessario, a quanto sembrava, poiché al drago bianco interessava più imparare a masticare le pietre focaie ed a schivare i Fili che rimuginare sugli eventi passati.

Le lucertole di fuoco che l'attorniavano non erano più agitate. Adesso, la loro prima preoccupazione era mangiare, la seconda curarsi della loro pel-le. Con la venuta dei primi caldi, avevano cominciato la muta ed erano tormentate dal prurito. Le immagini che proiettavano a Ruth non erano più allarmanti.

Poiché al mattino era sempre impegnato al Weyr di Fort, Jaxom dovette rinunciare a frequentare i corsi nelle Sedi delle Arti degli Arpisti e dei Fabbri. Quindi non doveva sopportare le domande insinuanti di Menolly, e questo era un sollievo. Inoltre, lo divertì sinceramente scoprire che Lytol gli lasciava diverse ore libere nel pomeriggio. Diligentemente, Jaxom e Ruth andavano alla Tenuta del Pianoro per vedere se il grano nuovo pro-sperava.

In quei giorni, Corana era sempre alla Tenuta, poiché la moglie di suo fratello stava per partorire. Quando si mostrò preoccupata per l'ustione, ormai in via di guarigione, Jaxom non smentì la sua convinzione di averla acquisita durante una Caduta, per proteggere dai Fili la Fortezza. Corana lo ricompensò in un modo che lo imbarazzò. Avrebbe preferito meritare quei favori per qualche vera impresa, ma non riuscì a irritarsi con lei quando, nel languore che seguì al piacere, Corana accennò più volte alle lucertole di fuoco e gli chiese se aveva mai avuto occasione di trovarne una covata, quando combatteva i Fili.

«Tutte le spiagge del Nord sono ben recintate,» le rispose; poi, notando la sua intensa delusione, aggiunse: «Naturalmente, nel Continente Meri-dionale c'è una quantità di spiagge deserte!»

«E potresti andarci in volo con il tuo Ruth, senza che gli Antichi se ne accorgano?» Evidentemente, Corana sapeva ben poco degli ultimi avveni-menti, e anche questo era un sollievo per Jaxom, che cominciava a stancar-si dell'interesse dei Weyr per quella faccenda.

L'idea di compiere il volo con Ruth sembrava semplificale la cosa: so-prattutto perché Ruth non avrebbe sconvolto le lucertole di fuoco scono-sciute, dato che apparentemente aveva fatto amicizia con tutte.

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«Credo di sì.» La sua esitazione era dovuta alle complicazioni inevitabili per pianificare un'assenza abbastanza lunga da permettergli di andare al Sud. Corana lo fraintese; e Jaxom era troppo intenerito e riconoscente per correggerla.

Mentre lui e Ruth volavano verso casa dal Pianoro, Jaxom pensò che le onde della sua esplosione iniziale di poco tempo prima stavano ancora dilagando. Aveva finalmente ottenuto un addestramento adeguato per Ruth e, anche se non era entrato in possesso della Fortezza, adesso godeva delle prerogative di un Signore. Sorrise, ripensando alla dolcezza di Corana. A giudicare dalla calorosa accoglienza della cognata di lei, sembrava che la Tenuta del Pianoro non avrebbe trovato da ridire sull'eventuale nascita di un mezzosangue. Un successo in quel campo non l'avrebbe danneggiato agli occhi dei Signori delle Fortezze. Pensò di portare Corana a Ruatha, ma decise di non farlo. Sarebbe stato ingiusto nei confronti degli altri figli adottivi, e avrebbe causato fastidi a Brand e a Lytol. Del resto, aveva Ruth e poteva andare e venire velocemente a suo piacere. Inoltre, se avesse por-tato Corana nel suo alloggio, lei avrebbe richiesto maggiori attenzioni, a spese di Ruth.

Il terzo pomeriggio in cui si recò alla Tenuta del Pianoro, la moglie di Fidello era in travaglio, e Corana era troppo occupata per far altro che scu-sarsi con lui. Jaxom chiese se desideravano l'intervento del guaritore della Fortezza, ma Fidello disse che una delle sue dipendenti era esperta in quel-le cose e aveva detto che il parto non sarebbe stato difficile. Jaxom si pro-fuse in tutti i convenevoli del caso e poi se ne andò, un po' irritato da quel-l'ostacolo imprevisto.

Perché ridi? chiese Ruth mentre tornavano in volo alla Fortezza. «Perché sono uno sciocco, Ruth. Sono uno sciocco.» Non credo che tu lo sia. Lei ti fa sentire bene: non ti fa sentire sciocco. «È per questo che sono sciocco, stupidino d'un drago. Ero andato là a-

spettandomi... aspettandomi di sentirmi bene, e lei è troppo occupata. Ep-pure, pochi settedì fa non mi sarei neppure sognato di aver fortuna con lei. È per questo che adesso sono uno sciocco, Ruth.»

Io ti amerò sempre, fu la risposta di Ruth, perché sentiva che Jaxom ne aveva bisogno.

Jaxom accarezzò la cresta del collo del suo drago, con fare rassicurante, ma non riuscì a reprimere la sua ilarità. Quando tornò alla Fortezza scoprì un nuovo ostacolo. Lytol l'informò che il resto della covata di Ramoth si sarebbe schiusa probabilmente l'indomani, e che lui avrebbe dovuto pre-

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sentarsi a Benden. Il Nobile Reggente scrutò attentamente l'ustione già guarita e annuì.

«Cerca di stare alla larga dai Comandanti del Weyr. Capirebbero a prima vista di cosa si tratta,» disse. «È assurdo dare pubblicità alla tua pazzia.»

Personalmente, Jaxom riteneva che la cicatrice gli desse un aspetto più maturo: ma promise a Lytol che sarebbe stato lontano da Lessa e da F'lar.

Gli faceva piacere assistere alle Schiuse, soprattutto quando Lytol non era presente. Si sentiva un po' colpevole per questo, ma sapeva che, ad ogni Schiusa, il suo tutore era torturato dai ricordi dolorosi dell'amato Larth.

L'annuncio dell'imminente Schiusa giunse al Weyr mentre Jaxom stava esercitandosi con gli altri allievi. Completò la manovra, chiese licenza al-l'istruttoria e portò Ruth in mezzo, recandosi a Ruatha per cambiarsi d'abi-to. Lytol e Sassetto, una delle lucertole di fuoco di Menolly, lo raggiunsero nello stesso momento, per chiedergli di portare con sé la giovane Arpista, perché Robinton era già al Weyr di Ista con il drago ed il cavaliere della sua Sede.

Jaxom fece buon viso alla richiesta, poiché non riuscì a trovare un prete-sto per rifiutare. Bene, si sarebbe affrettato a condurre Menolly fuori dalla Sede e al Weyr, per non lasciarle il tempo di fare domande.

Quando arrivò alla Sede dell'Arte degli Arpisti, e Ruth gridò il suo nome al drago di guardia insediato sulle alture dei fuochi, Jaxom s'infuriò. C'era-no tanti draghi del Weyr di Fort, sul prato, che avrebbero potuto trasporta-re metà degli Arpisti. Perché Menolly non aveva optato per uno di quelli? Jaxom era deciso a non permetterle di assillarlo, e chiese perentoriamente a Ruth di riferire alle lucertole di fuoco della ragazza che era arrivato e la stava aspettando sul prato. Aveva appena formulato mentalmente quelle parole che Menolly uscì correndo dal portale e gli venne incontro, mentre Bella, Sassetto e Tuffolo trillavano volteggiando sopra la sua testa. Me-nolly s'infilò la giubba da volo, passandosi impacciata qualcosa da una mano all'altra.

«Scendi, Jaxom,» ordinò imperiosamente. «Non posso farlo se mi volti la schiena.»

«Far cosa?» «Questo!» Menolly alzò una mano, mostrandogli un vasetto. «Scendi.» «Perché?» «Non fare l'idiota. Stai perdendo tempo. Serve per nascondere la cicatri-

ce. Non vorrai che Lessa e F'lar la vedano, e ti facciano domande imbaraz-

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zanti, vero? Scendi! Altrimenti arriveremo in ritardo. E tu non devi spo-starti nel tempo, no?» Aggiunse l'ultimo commento mentre lui esitava an-cora, non del tutto rassicurato da quell'altruismo.

«L'ho coperta con i capelli...» «Te ne dimenticherai e li ributterai indietro,» disse Menolly, accennan-

dogli di farlo, mentre svitava il coperchio del vasetto. «Ho convinto Oldive a prepararne un po' senza aromi. Ecco. Ne basta pochissimo.» Applicò l'unguento e poi ne spalmò un poco sul polso di Jaxom, al di sopra del guanto. «Vedi? Viene assorbito.» Lo guardò con aria critica. «Sì, ecco fat-to. Nessuno si accorgerà che sei stato ustionato. Poi ridacchiò. «Cosa ne pensa Corana della tua cicatrice?»

«Corana?» «Non guardarmi in quel modo. Monta su Ruth. Arriveremo in ritardo.

Sei molto furbo, Jaxom, a coltivarti Corana. Con la tua intelligenza, saresti stato un buon Arpista.»

Jaxom montò sul drago, infuriato con Menolly ma deciso a non abbocca-re alla provocazione. Era degno di lei tirare in ballo quelle storie nella spe-ranza d'irritarlo. Beh, non ci sarebbe riuscita.

«Grazie per aver pensato all'unguento, Menolly,» disse, quando poté controllare la voce. «Non sarebbe certamente opportuno irritare Lessa, in questo momento, e io devo presenziare a questa Schiusa.»

«Infatti.» Il tono della ragazza era caricato, ma lui non aveva tempo di chiedersi

cosa intendeva dire; Ruth li portò in alto e, senza bisogno di altre istruzio-ni, passò in mezzo e uscì sul Weyr di Benden. No, non doveva lasciarsi invischiare da quella ragazza. Ma era maledettamente furba.

Ruth irruppe nell'aria lanciando il suo annuncio. ...Ruth Sono Ruth. Sono Ruth.

Jaxom, ricordando di colpo le lucertole di fuoco, girò la testa verso Me-nolly.

«Non ti preoccupare. Sono al sicuro nel weyr di Brekke.» «Tutte?» «Per il Guscio, no, Jaxom. Solo Bella e i tre bronzei. Può darsi che lei si

accoppi presto e i maschi non la lasciano sola un momento.» Menolly ri-dacchiò di nuovo.

«Hai già promesso tutta la covata?» «Che? Contare le uova prima che siano deposte? Ma no!» Menolly sem-

brava indignata. «Perché? Non ne vorrai una, vero?»

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«Io no.» Menolly scoppiò a ridere di quella trasparente risposta, e Jaxom si lasciò

sfuggire un gemito. Bene, ridesse pure. «Che me ne farei d'una lucertola di fuoco?» continuò. «Ho promesso a

Corana di vedere se potevo procurargliene una. È stata molto... gentile con me, vedi.» Fu ricompensato dall'esclamazione sorpresa di Menolly.

Poi lei gli batté sulla scapola il pugno chiuso, e Jaxom rabbrividì, sco-standosi.

«Smettila, Menolly! Ho una cicatrice anche sulla spalla.» Parlò in tono più irritato di quanto avesse inteso fare, e poi si rimproverò per averle ri-cordato quello di cui preferiva non discutere.

«Scusami, Jaxom,» disse la ragazza, così contrita che lui si placò. «Quante ustioni hai ricevuto?»

«Faccia, spalla e coscia.» Menolly si aggrappò all'altra spalla. «Ascolta! Gridano all'impazzata. E

guarda: i candidati stanno entrando nel Terreno della Schiusa. I bronzei continuavano a portare nuovi visitatori. Quando Ruth arrivò, Jaxom invo-lontariamente guardò il punto accanto all'arco, dove lui e Ruth si erano trasferiti per riportare l'uovo. All'improvviso, fu scosso da un fremito d'or-goglio.

«Vedo Robinton, Jaxom. È sulla quarta gradinata. Vicino ai colori di I-sta. Vuoi stare con noi, Jaxom?» Nel suo tono c'era una supplica, un'enfasi che sconcertò il giovane. Chi non avrebbe desiderato sedere accanto al Maestro Arpista di Pern?

Ruth si diresse verso la gradinata, si afferrò all'orlo con gli artigli e rima-se lì il tempo sufficiente per permettere a Menolly e Jaxom di smontare.

Mentre Jaxom si rassettava la tunica prima di sedersi, diede una lunga occhiata al Maestro Robinton. Adesso poteva capire la supplica di Me-nolly. L'Arpista sembrava cambiato. Oh, li aveva salutati abbastanza viva-cemente, rivolgendo un sorriso alla ragazza e battendo la mano sulla spalla di Jaxom; ma poi era sprofondato di nuovo nei suoi pensieri che, a giudica-re dalla espressione, dovevano essere tristi. Il Maestro Arpista di Pern ave-va la faccia lunga e mobilissima, molto espressiva. Adesso, mentre osser-vava l'avanzata dei giovani candidati sulle sabbie calde del Terreno della Schiusa, il suo viso era segnato, gli occhi profondamente incassati erano alonati dalla stanchezza e dalla preoccupazione, le guance e il mento erano cascanti. Sembrava vecchio, stanco e desolato. Jaxom si sgomentò e di-stolse in fretta lo sguardo, evitando gli occhi di Menolly perché i suoi pen-

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sieri dovevano apparire anche troppo evidenti a quella ragazza così osser-vatrice.

Il Maestro Robinton vecchio? Stanco e preoccupato, sì. Ma vecchio? Un senso di freddo strinse le viscere di Jaxom. Pern privata dello spirito e del-la saggezza del Maestro Arpista? Ed era ancora più duro immaginare di non avere più la sua lungimiranza e la sua ardente curiosità. Il risentimento si sostituì allo smarrimento, quando Jaxom, fedele ai precetti di Robinton, si accorse che stava cercando di razionalizzare quell'ondata di pensieri inaccettabili.

Un tambureggiare incalzante richiamò la sua attenzione sul Terreno del-la Schiusa. Aveva assistito a molte Schiuse e sapeva che la presenza di Ramoth, quando non c'erano uova di regina, era insolita; il suo atteggia-mento era sconcertante. Lui non avrebbe voluto sfidare quei turbinanti occhi rossi, o gli scatti della grande testa verso i candidati che si avvicina-vano. Invece di disperdersi per aggirarsi in mezzo alle uova ondeggianti, i ragazzi formavano un gruppo serrato, come se in quel modo si sentissero più protetti contro l'attenzione della regina.

«Non li invidio,» disse sottovoce Menolly a Jaxom. «Lascerà che imprimano lo Schema dell'Apprendimento, signore?» chie-

se Jaxom al Maestro Arpista, dimenticando per un momento il pensiero della mortalità di quell'uomo.

«Sembra che li esamini uno ad uno per fiutare se hanno addosso l'odore del Weyr Meridionale, no?» rispose l'Arpista, in tono leggero.

Jaxom lo guardò e si chiese se non era stato uno scherzo della luce, per-ché l'Arpista sorrideva maliziosamente: sembrava tornato se stesso.

«Non sono sicuro che ci terrei ad un esame del genere, in questo mo-mento,» aggiunse, inarcando di scatto il sopracciglio sinistro.

Menolly tossì: le brillavano gli occhi. Jaxom intuì che erano stati al Sud, recentemente, e si domandò che cosa potevano avere scoperto.

Per i Gusci, pensò in preda ad un panico improvviso, i meridionali sape-vano che nessuno di loro aveva restituito l'uovo. E se Robinton l'aveva scoperto?

Un sibilo rabbioso, dal Terreno della Schiusa, provocò una tale reazione nel pubblico che Jaxom si affrettò a girare gli occhi. Un uovo s'era spacca-to; ma Ramoth lo copriva con fare protettivo, e nessuno dei candidati osa-va avvicinarsi. Mnementh muggì dal suo cornicione, all'esterno, ed i bron-zei ringhiarono. Ramoth alzò la testa, spiegò le ali scintillanti verdi e dora-te e modulò una risposta in tono di sfida. Gli altri bronzei replicarono con

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fare conciliante, ma il grido squillante di Mnementh fu chiaramente un ordine.

Ramoth è molto sconvolta, disse Ruth a Jaxom. Il drago bianco si era ri-tirato con discrezione in un posto assolato, vicino al lago della Conca. La lontananza non gli impediva di sapere quello che succedeva nel Terreno della Schiusa. Mnementh le sta dicendo che si comporta da sciocca. Le uova devono schiudersi; i draghetti devono ricevere l'Impressione dello Schema. Poi lei non dovrà più preoccuparsene. Saranno al sicuro con gli uomini.

Il richiamo cantilenante dei bronzei divenne più profondo e Ramoth, pur continuando a protestare contro il ciclo inevitabile della vita, si scostò len-tamente dalle uova. Uno dei ragazzi più grandi, che aveva coraggiosamen-te guidato la prima fila, le rivolse un inchino, poi si accostò all'uovo spac-cato da cui stava uscendo un giovane bronzeo, squittendo, mentre cercava di tenersi in equilibrio sulle zampe malferme.

«Quel ragazzo ha una grande presenza di spirito,» disse Robinton, con un cenno d'approvazione. «Ci voleva proprio, quell'inchino a Ramoth. I suoi occhi si placano, e sta ripiegando le ali. Bene. Bene!»

Seguendo l'esempio, altri due candidati s'inchinarono a Ramoth e si av-viarono svelti verso le uova che avevano incominciato a oscillare violen-temente per lo sforzo con cui i draghetti cercavano di sfondare i gusci. Anche se gli inchini successivi furono convulsi o sbrigativi, Ramoth si era lasciata placare, sebbene emettesse bizzarri latrati sommessi ogni volta che un draghetto riceveva l'Impressione dello Schema.

«Guarda, quel ragazzo ha preso il bronzeo! Se lo meritava!» disse Ro-binton, applaudendo, quando i due si avviarono verso l'uscita del Terreno.

«Chi è quel ragazzo?» chiese Menolly. «È della Fortezza di Telgar; ha la taglia ed il colorito del vecchio Signo-

re... e la sua prontezza di spirito.» «Il giovane Kirnery della Fortezza di Fort ha un altro bronzeo,» riferì

Menolly, soddisfatta. «Te l'avevo detto che ce l'avrebbe fatta.» «Mi sono sbagliato altre volte e mi sbaglierò ancora, mia cara ragazza.

L'infallibilità sarebbe una seccatura,» rispose tranquillo il Maestro Robin-ton. «Non ci sono ragazzi di Ruatha, Jaxom?»

«Due, ma da qui non riesco a riconoscerli.» «È una covata numerosa,» rispose Robinton. «C'è da scegliere.» Jaxom stava osservando cinque ragazzi che avevano circondato un gros-

so uovo coperto di chiazze verdi. Trattenne il respiro quando il draghetto si

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affacciò girandosi a guardarli uno ad uno mentre si scrollava di dosso i frammenti del guscio. «E molti ragazzi resteranno delusi,» disse Jaxom, quando il piccolo drago marrone passò oltre ai cinque e si avventurò sulla sabbia crocidando pateticamente e dondolando la testa. Cosa sarebbe acca-duto, pensò Jaxom, con una fitta di gelo nelle viscere, se Ruth non mi a-vesse giudicato adatto? Quasi tutti i candidati avevano già lasciato il terre-no, quando lui aveva liberato il drago bianco dal guscio troppo duro.

Il draghetto inciampò, e fini con il naso nella sabbia calda, rialzò, starnu-tì e gridò di nuovo. Ramoth lanciò un richiamo ed i ragazzi più vicini si affrettarono a ritrarsi. Uno di loro, magro e con le ginocchia ossute segnate da cicatrici, per poco non cadde addosso al piccolo marrone. Riprese l'e-quilibrio agitando disperatamente le braccia, fece per indietreggiare e poi si fermò, fissando il drago. E l'Impressione dello Schema avvenne.

Io c'ero. Tu c'eri. Ora siamo insieme, disse Ruth, reagendo all'emozione di Jaxom. Il giovane signore di Ruatha sbatté le palpebre per scacciare le lacrime di fronte a quella riaffermazione del loro legame.

«Fra poco sarà finito,» disse Menolly, con voce resa petulante dal ram-marico. «Vorrei tanto che non succedesse così in fretta!»

«Direi che è stato un pomeriggio sensazionale,» commentò Robinton, indicando Ramoth. La regina, adesso, stava guardando cupamente le cop-pie che si allontanavano, e si dondolava un po' sulle zampe anteriori.

«Credi che il suo umore migliorerà, adesso che sono tutti usciti dall'uovo e hanno ricevuto lo Schema dell'Apprendimento?» chiese Menolly.

«E che migliorerà anche l'umore di Lessa?» Le labbra di Robinton si contrassero, per nascondere l'ilarità. «Senza dubbio, appena Ramoth si lascerà convincere a mangiare, tutte e due saranno più malleabili.»

«Lo spero.» La risposta di Menolly era sommessa e fervida: non voleva farsi sentire da Robinton. L'Arpista, intanto, si era girato verso la fila dei ripiani, come se cercasse qualcuno.

Ma Robinton aveva udito, e rivolse un sorriso caloroso alla ragazza. «Peccato che non possiamo rinviare l'incontro fino al momento in cui si sarà compiuta questa felice restaurazione.»

«Non posso venire con te, stavolta?» «Per proteggermi, Menolly?» L'Arpista le strinse la spalla, con un'oc-

chiata affettuosa. «No, non è una riunione a carattere generale, e non posso offendere qualcuno portando anche te.»

«Lui può venirci...» Menolly indicò Jaxom con il pollice, lanciandogli uno sguardo di risentimento.

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«Io posso... che cosa?» «Non l'avevi saputo da Lytol, che dopo la Schiusa ci sarebbe stata una

riunione?» chiese l'Arpista. «Ruatha deve essere rappresentata.» «Non potevano escluderti, come Maestro Arpista,» disse Menolly con

voce tesa. «E perché dovrebbero farlo?» chiese Jaxom, stupito dall'insolito tono di-

fensivo della ragazza. «Perché, specie di lampada spenta...» «Basta, Menolly. Ti sono grato per la tua premura, ma ogni cosa deve

venire a suo tempo. La mia testa non è insanguinata e non si è piagata. Quando Ramoth avrà ucciso, non dovrò temere neppure di finire in pasto a un drago.» Robinton le batté la mano sulla spalla, con fare rassicurante.

La regina uscì dal Terreno della Schiusa: e mentre la stavano guardando, prese il volo.

«Ecco, vedi. È andata a mangiare,» disse l'Arpista. «Non ho più niente da temere.»

Menolly gli rivolse una lunga occhiata sardonica. «Vorrei solo essere con te, ecco tutto.»

«Lo so. Ah, Fandarel.» L'Arpista alzò la voce e agitò le braccia per atti-rare l'occhio del colossale Maestro Fabbro. «Vieni, Nobile Jaxom, dob-biamo recarsi nella Sala del Consiglio.»

Doveva essere questo che intendeva Lytol, quando gli aveva detto che era necessaria la sua presenza alla Schiusa. Ma non avrebbe dovuto esserci lì Lytol, se la riunione era importante come aveva fatto capire Menolly? Jaxom si sentiva lusingato della fiducia del suo tutore.

Robinton e Fandarel, dopo essersi incontrati sulla scala, si unirono ad al-tri Maestri delle Arti, che si salutavano con solennità maggiore di quella abituale per una riunione del genere. L'accenno di Menolly, che doveva essere un raduno eccezionale, trovava conferma. Jaxom si chiese di nuovo perché non c'era Lytol. Sapeva che aveva accettato di sostenere Robinton.

«Per un momento, ho pensato che Ramoth stesse per impedire l'Impres-sione dello Schema,» disse Fandarel, salutando Jaxom con un cenno del capo. «Ho saputo che mi hai abbandonato per il tuo passatempo preferito, eh, ragazzo?»

«Solo per l'addestramento, Maestro Fandarel. Tutti i draghi devono im-parare a masticare le pietre focaie.»

«Per l'anima mia!» esclamò Nicat, il Maestro Minatore. «Non avrei mai pensato che vivesse abbastanza a lungo per farlo.»

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Jaxom notò l'espressione ammonitrice del Maestro Arpista mentre stava per rimbeccare, e rispose diversamente da come avrebbe voluto. «Ruth è abilissimo, grazie.»

«Ci si dimentica che il tempo passa, Maestro Nicat,» disse conciliante Robinton. «E quelli che ricordiamo giovanissimi crescono e maturano. Ah, Andemon, come va oggi?» L'Arpista invitò con un cenno il Maestro Agri-coltore a unirsi a loro, mentre s'incamminavano sulla sabbia calda.

Nicat si avviò a fianco di Jaxom, ridacchiando. «Insegni al piccolo drago bianco a masticare pietre focaie, eh? Non sarà per questo che la mattina le nostre scorte sono sempre un po' diminuite?»

«Maestro Nicat, io faccio le esercitazioni al Weyr di Fort e là ci sono tut-te le pietre focaie di cui Ruth ha bisogno.»

«Ti eserciti al Weyr di Fort?» Il sorriso di Nicat si allargò, e il suo sguardo si posò per un attimo sulla guancia del giovane, prima di deviare. «Con i dragonieri, eh, Nobile Jaxom?» Nicat sottolineò appena appena il titolo, poi volse gli occhi sulla scala che portava al weyr della regina ed al cornicione dove stava abitualmente posato Mnementh.

Il bronzeo aveva preso il volo per andare a vedere la sua regina che mangiava sul prato. Jaxom cercò la chiazza bianca di Ruth in riva al lago, e sentì la presenza mentale del suo drago.

«Una buona Schiusa, con qualche emozione iniziale, eh?» fece in tono discorsivo Nicat.

«Avevi qualche ragazzo sul terreno della Schiusa, oggi?» chiese educa-tamente Jaxom.

«Uno solo, questa volta. Due ragazzi sono già andati all'ultima Schiusa di Telgar, quindi non posso lamentarmi. Non posso lamentarmi. Comun-que, se hai una covata di lucertole di fuoco e non sai a chi darle, non direi di no se me ne offrissi un paio.»

Lo sguardo di Nicat era innocente; senza dubbio, non si sarebbe indigna-to se Jaxom avesse deciso d'insegnare a Ruth a masticare le pietre focaie e si fosse appropriato di qualche sacco nelle miniere.

«Per il momento non ne abbiamo, ma non si può mai dire quando se ne può trovare una.»

«Ecco, ci tengo a dirlo. Sono un'iradiddio per quei pestiferi serpenti del-le gallerie, e per giunta sono abilissime a scoprire le sacche di gas che noi non possiamo sentire. E in questo periodo, non troviamo altro che sacche di gas.»

Il Maestro Minatore sembrava depresso e preoccupato. Jaxom si chiese

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cosa c'era in aria, in quei giorni, per produrre una simile atmosfera d'ansia e di tristezza. Aveva sempre avuto simpatia per il Maestro Nicat e, durante le lezioni nelle miniere, aveva imparato a rispettare il piccolo, tozzo Mae-stro dell'Arte, che aveva ancora i pori ostruiti di polvere nera dal tempo in cui aveva lavorato sottoterra come apprendista. Mentre salivano i gradini di pietra per giungere al weyr della regina, Jaxom si rammaricò di essere legato alla promessa di non spostarsi nel tempo fatta a N'ton. Aveva troppi impegni, durante il giorno, per arrischiarsi a compiere un balzo in mezzo fino alle spiagge meridionali, anche se Ruth poteva avere un colpo di for-tuna e individuare subito una covata. Sarebbe stato lieto di fare un favore al Maestro Nicat; e gli sarebbe piaciuto anche trovare un uovo per Corana. E non sarebbe stato male accontentare l'insoddisfatto Tegger, che forse nel frattempo aveva imparato come si faceva a tenere una lucertola di fuoco. Ma adesso era impossibile, a meno di muoversi nel tempo, compiere un viaggio a Sud.

Mentre raggiungevano l'ingresso, un drago bronzeo apparve sopra le Pietre della Stella, lanciando grida. Il drago di guardia rispose. Jaxom notò che tutti s'erano fermati, per ascoltarli. Schegge e gusci! Erano ben nervo-si, a Benden. Si chiese chi era arrivato.

Il Comandante del Weyr di Ista, gli disse Ruth. D'ram? Gli altri Comandanti del Weyr non erano tenuti ad assistere alle

Schiuse, anche se ci andavano, soprattutto a Benden, a meno che nella loro area stessero per cadere i Fili. Jaxom aveva già visto tra i presenti N'ton, R'mart del Weyr di Telgar, G'narish di Igen, T'bor delle Terre Alte. Poi ricordò quello che aveva detto l'Arpista a proposito di Fanna, la Dama del Weyr di D'ram. Era peggiorata?

Quando giunsero nella Sala del Consiglio, Nicat lo lasciò. Jaxom diede un'occhiata a Lessa, seduta sull'enorme seggio di pietra della Dama del Weyr: era accigliata, e lui si affrettò a portarsi dalla parte opposta della sala. Gli occhi acuti di Lessa non sarebbero riusciti a scorgere il segno sulla sua guancia, a quella distanza.

Non doveva essere una riunione numerosa, aveva detto l'Arpista. Jaxom vide entrare i Maestri delle Arti, gli altri Comandanti dei Weyr, i Signori più importanti: ma non c'erano dame dei Weyr né vicecomandanti, ad ec-cezione di Brekke e F'nor.

D'ram entrò in compagnia di F'lar e di un uomo più giovane, che Jaxom non riconobbe, sebbene portasse i colori di vicecomandante. Se era rimasto colpito nel vedere invecchiato il Maestro Arpista, Jaxom fu addirittura

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sconvolto nell'osservare quanto era cambiato D'ram. Durante l'ultimo Giro sembrava essersi rattrappito e rinsecchito. Il suo passo era incerto, le spalle curve.

Lessa si alzò con uno di quei suoi gesti aggraziati e andò incontro all'i-stano, a mani tese, con un'espressione inaspettatamente pietosa. Jaxom aveva avuto l'impressione che fosse completamente immersa nei suoi pen-sieri: ma adesso, tutta la sua attenzione era rivolta a D'ram.

«Ci siamo riuniti come tu avevi chiesto, D'ram,» fece Lessa, offrendogli il seggio accanto al suo e versandogli una coppa di vino.

D'ram la ringraziò per il vino e l'accoglienza, bevve un sorso ma, anzi-ché sedersi, si girò verso i presenti. Jaxom vide che aveva il volto segnato dalla stanchezza, non soltanto dall'età.

«Molti di voi conoscono già la mia situazione e la... malattia di Fanna,» esordì a voce bassa ed esitante. Si schiarì la gola e trasse un profondo re-spiro. «Vorrei dimettermi da Comandante del Weyr di Ista. Nessuna delle nostre regine è in procinto di accoppiarsi, ma non me la sento di continua-re. Il mio Weyr ha accettato. G'dened,» e D'ram indicò l'uomo che l'aveva accompagnato, «ha comandato le operazioni durante le ultime dieci Cadute dei Fili, sul suo Bernath. Avrei dovuto dimettermi prima, ma...» scosse il capo con un mesto sorriso, «speravamo che fosse un'infermità passegge-ra.» Raddrizzò le spalle con uno sforzo. «Caylith è la regina più anziana, e Cosira è una buona Dama del Weyr. Barnath ha già accompagnato Caylith in un volo nuziale, e c'è una covata forte e numerosa che lo prova.» Poi esitò, scrutando guardingo Lessa. «Nell'Antichità c'era l'usanza, quando un Weyr era privo di comandante, di aprire il volo della prima regina a tutti í giovani bronzei. In questo modo veniva scelto equamente un nuovo co-mandante. Vorrei riprendere quella tradizione.» Lo disse in tono quasi bel-licoso: tuttavia, il suo atteggiamento verso Lessa era supplichevole.

«Allora devi essere molto sicuro di Barnath, il drago di G'dened,» disse R'mart dei Weyr di Telgar in un tono irritato che s'impose tra i brusii di stupore.

Con un gran sorriso, G'dened riuscì a sfuggire agli sguardi di tutti. «Io voglio il miglior comandante, per Ista,» rispose D'ram, impettito e

risentito per il fatto che R'mart aveva alluso ad un volo precombinato. «G'dened ha dimostrato la sua efficienza in modo soddisfacente. Ma do-vrebbe provarlo a tutti.»

«Ben detto.» F'lar si alzò, tendendo le mani per chiedere silenzio. «Non dubito che G'dened abbia buone possibilità, R'mart, ma l'offerta di D'ram è

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straordinariamente generosa, in questo momento critico. Informerò tutti i miei cavalieri bronzei: ma darò il permesso solo a coloro i cui draghi non hanno ancora avuto occasione di accoppiarsi con una regina. Non ritengo giusto creare troppe possibilità sfavorevoli a Barnath.»

«Caylith non è una regina di Benden?» chiese il Nobile Corman della Fortezza di Keroon.

«No, è nata da una covata di Mirath. La regina nata a Benden è Pirith.» «Caylith è una regina antica?» «Caylith è una regina di Ista,» disse con fermezza F'lar «E G'dened?» «Sono nato nel tempo antico,» disse l'uomo con voce tranquilla; ma l'e-

spressione con cui si rivolse al Nobile Corman era sicura. «Ed è anche figlio di D'ram,» disse il Nobile Warbret della Fortezza di

Ista, rivolgendosi direttamente al Nobile Corman, come se quella qualifica servisse a placare le tacite obiezioni dell'altro.

«Uomo eccellente, sangue eccellente,» rispose Corman, imperturbabile. «È in discussione il suo comando, non la sua discendenza,» disse F'lar.

«La tradizione è giusta...» Jaxom sentì qualcuno commentare che era l'unica tradizione giusta degli

Antichi che avesse mai sentito nominare, e si augurò che quel bisbiglio non si fosse sentito molto lontano.

«D'ram avrebbe tutti i diritti di cercare nel suo Weyr il nuovo comandan-te,» continuò F'lar, rivolgendosi ai Maestri delle Arti e ai Signori delle Fortezze. «Gli sono profondamente grato dell'offerta di tenere un volo a-perto.»

«Io voglio solo il comandante migliore per il mio Weyr,» ripeté D'ram. «Questo è l'unico modo per assicurarmi che Ista lo trovi. L'unico modo, l'unico modo giusto.»

Jaxom represse l'impulso di applaudire e si guardò intorno, augurandosi che tutte le reazioni fossero favorevoli. I Comandanti dei Weyr sembrava-no d'accordo. Era logico, poiché uno dei loro cavalieri poteva aver tutto da guadagnare. Jaxom, comunque, si augurò che Barnath, il bronzeo di G'de-ned, accompagnasse Caylith nel volo nuziale. Questo avrebbe dimostrato che gli Antichi più giovani erano di buona stoffa. Nessuno avrebbe potuto criticare il Comandante di Ista, se fosse stato confermato in quel modo.

«Ho esposto le intenzioni di Ista,» fece D'ram, levando la voce stanca sul brusio generale. «È la volontà del mio Weyr. Ora debbo tornare. I miei omaggi a voi, Signori, Maestri, Comandanti.»

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Rivolse un cenno a tutti, s'inchinò più cerimoniosamente a Lessa che si alzò, gli sfiorò garbatamente il braccio e lo lasciò passare.

Con grande sorpresa di Jaxom, tutti si alzarono quando D'ram uscì, ma il Comandante del Weyr di Ista mantenne la testa bassa. Jaxom si chiese se si era accorto di quella spontanea manifestazione di rispetto e si sentiva un groppo in gola.

«Prenderò congedo anch'io, nel caso ci sia bisogno di me,» disse G'de-ned, inchinandosi formalmente ai Comandanti di Benden ed agli altri.

«G'dened?» Lessa riversò un tono interrogativo in quel nome. L'uomo scosse lentamente il capo. «Informerò tutti i Weyr quando Ca-

ylith sarà pronta per il volo nuziale.» E si affrettò a seguire D'ram. Quando il suono dei passi si perse nel corridoio, incominciarono a levar-

si varie voci. I Signori delle Fortezze non erano entusiasti di quell'innova-zione. I Maestri delle Arti erano divisi, sebbene Jaxom avesse l'impressio-ne che Robinton fosse stato informato in precedenza della decisione di D'ram e fosse neutrale. I Comandanti dei Weyr si dichiararono soddisfatti.

«Speriamo che Fanna non muoia oggi,» mormorò un Maestro ad un col-lega. «Una morte in occasione di una Schiusa è un brutto segno.»

«E per giunta rovina il banchetto. Chissà quanto è forte il bronzeo di G'dened. Ora, se un bronzeo di Benden andasse a Ista...»

Sentendo parlare del banchetto, Jaxom ricordò che lo stomaco gli si tor-ceva per la fame. Si era alzato presto come al solito per le esercitazioni, e aveva avuto solo il tempo di cambiarsi d'abito alla sua Fortezza: perciò si avvicinò all'uscita con aria indifferente. Sarebbe riuscito a farsi offrire un involtino o un dolce dalle donne delle Caverne Inferiori, per placare la fame.

«La riunione è tutta qui?» chiese il Nobile Begamon della Fortezza di Nerat: la sua voce stridente cadde in una pausa di silenzio. «I Weyr non hanno ancora scoperto chi ha rubato l'uovo? E neppure chi l'ha restituito? Pensavo che l'avremmo saputo, oggi.»

«L'uovo è stato restituito, Nobile Begamon,» disse F'lar, porgendo la mano a Lessa.

«Lo so che è stato restituito. Ero presente, quando è successo. Ed ero presente anche quando si è schiuso.»

F'lar continuò a scortare Lessa attraverso la sala. «Questa è un'altra Schiusa, Nobile Begamon,» disse. «Una lieta occasio-

ne per noi tutti. Giù ci attende il vino.» I due Comandanti del Weyr usciro-no.

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«Non capisco.» Confuso, Begamon si rivolse all'uomo che gli stava ac-canto. «Credevo che oggi avremmo saputo qualcosa.»

«Ma l'avete saputo,» disse F'nor, mentre gli passava davanti insieme a Brekke. «D'ram si dimette da Comandante del Weyr di Ista.»

«Questo non mi riguarda.» Begamon, anziché calmarsi, diventava sem-pre più irritato per le risposte che otteneva.

«Ti riguarda molto di più degli indovinelli relativi all'uovo,» disse F'nor, uscendo in compagnia di Brekke.

«Credo che non riuscirai a strappare altre risposte,» disse Robinton a Begamon, con un sorriso ironico.

«Ma... ma non faranno niente? Lasceranno che gli Antichi l'insultino, senza reagire?»

«A differenza dei Signori delle Fortezze,» disse N'ton, facendosi avanti, «i dragonieri non possono occuparsi dello loro passioni e del loro onore a spese del dovere fondamentale, che è proteggere tutto Pern dai Fili. Quella è l'occupazione più importante dei dragonieri, Nobile Begamon.»

«Suvvia, Begamon,» disse il Nobile Groghe di Fort, prendendolo per un braccio. «È una faccenda che riguarda i Weyr, vedi, non noi. Non possia-mo intrometterci. Non dobbiamo. Loro sanno quel che fanno. E l'uovo è stato restituito. Peccato per la donna di D'ram. Mi dispiace che si dimetta: era un uomo di buon senso. F'lar non l'ha detto, ma il vino deve essere di Benden.»

Jaxom notò che il Nobile Groghe si stava guardando intorno. «Ah, Arpista! Non dovrebbe esserci vino di Benden qui?» L'Arpista annuì e lasciò la Sala del Consiglio in compagnia dei due Si-

gnori: Begamon continuava a protestare per la mancanza d'informazioni. Jaxom li seguì, mentre la sala si stava vuotando. Quando arrivò alla base della scala del weyr, Menolly lo raggiunse correndo.

«Beh, cos'è successo? Gli hanno parlato?» «Chi ha parlato con chi?» «F'lar e Lessa hanno rivolto la parola all'Arpista?» «Non ne avevano motivo.» «Avevano tutti i motivi di non farlo. Che cos'è successo?» Jaxom sospirò, ripromettendosi di non perdere la pazienza, mentre rife-

riva in fretta l'accaduto. «D'ram è venuto a chiedere... no, a comunicare che si dimette da Co-

mandante del Weyr di Ista...» Menolly annuì, incoraggiante, come se quel-la non fosse una novità, per lei. «E ha detto che si appellava ad una con-

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suetudine degli Antichi, per rendere accessibile a tutti i bronzei il volo nu-ziale della prima regina.»

Menolly spalancò gli occhi e la bocca per lo stupore. «Questo deve aver-li lasciati di sasso. Ci sono state proteste?»

«Da parte dei Signori delle Fortezze, sì.» Jaxom sorrise ironicamente. «Da parte degli altri Comandanti dei Weyr, no. Solo R'mart ha commenta-to che G'dened è troppo forte perché possa esserci una vera concorrenza.»

«Non conosco G'dened, ma è figlio di D'ram.» «Non sempre questo significa qualcosa.» «È vero.» «D'ram continuava a ripetere che voleva il miglior Comandante per il

Weyr di Ista, e che questo era il modo per riuscirci.» «Povero D'ram...» «Povera Fanna, vorrai dire.» «No. Povero D'ram. Poveri noi. Era un Comandante molto energico. Il

Maestro Robinton non ha parlato?» chiese poi Menolly, abbandonando le riflessioni su D'ram per il problema che le stava più a cuore.

«Ha parlato a Begamon.» «Non ai Comandanti dei Weyr?» «Non ne aveva motivo. Perché?» «Sono amici da tanto tempo... e loro si comportano in modo così ingiu-

sto. Doveva parlare. Non è possibile che i draghi combattano i draghi.» Su questo, Jaxom si dichiarò d'accordo, ma il suo commento fu sottoli-

neato da un borbottio del suo stomaco, così rumoroso che Menolly gli lan-ciò un'occhiataccia. Jaxom si sentì diviso tra l'imbarazzo e l'ilarità. Poi l'ilarità ebbe la meglio; e mentre si scusava con Menolly, si accorse che quell'episodio aveva solleticato il senso del ridicolo della ragazza.

«Oh, vieni. Non riuscirò a ottenere risposte sensate da te fino a che non avrai mangiato.»

Non fu il più memorabile tra i banchetti della Schiusa, e non fu partico-larmente gaio. I dragonieri erano molto riservati. Jaxom non si sforzò di capire in che misura fosse dovuto alle dimissioni di D'ram, e in che misura al furto dell'uovo. Preferiva non sentirne più parlare. Stava a disagio in compagnia di Menolly, perché non riusciva a scacciare l'impressione che lei sapesse che era stato lui a riportare l'uovo. Il fatto che non esprimesse i suoi sospetti lo preoccupava ancora di più, perché sentiva anche che lei lo teneva di proposito sulle spine. Non lo entusiasmava sedersi a tavola con F'lessan e Mirrim, che potevano notare l'ustione causata dai Fili. Benelek

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non era la sua compagnia ideale, e certamente non si sarebbe sentito a suo agio al tavolo principale, dove il suo rango gli dava il diritto di prender posto. Menolly era stata condotta via da Oharan, l'Arpista del Weyr; e a-desso li sentiva cantare. Se fosse stata musica nuova, sarebbe rimasto vici-no a loro, tanto per sentirsi parte di un gruppo. Ma i Signori delle Fortezze e gli orgogliosi genitori dei ragazzi che avevano impresso lo Schema d'Apprendimento ai nuovi draghi insistevano per chiedere le loro ballate preferite.

Ruth si stava godendo le emozioni festose dei draghi appena usciti dall'uovo, ma sentiva la mancanza delle lucertole di fuoco.

Non gli va di star chiuse nel weyr di Brekke, disse al suo cavaliere. Per-ché non possono uscire? Ramoth dorme a pancia piena. Non se ne accor-gerebbe neppure.

«Non contarci troppo,» disse Jaxom, alzando lo sguardo verso Mne-menth, raggomitolato sul cornicione: i suoi occhi lievemente luminosi bril-lavano dall'altra parte della Conca del Weyr, nella semioscurità.

Il risultato fu che Jaxom e Ruth lasciarono la festa, dopo aver mangiato non appena fu possibile andarsene senza apparire scortesi. Mentre scende-vano volteggiando sulla Fortezza di Ruatha, Jaxom cominciò a preoccu-parsi per Lytol. Il suo tutore sarebbe rimasto estremamente sconvolto alla morte di Fanna, e la regina di lei si sarebbe suicidata. Gli dispiaceva di dover portare l'annuncio delle dimissioni di D'ram. Sapeva che Lytol ri-spettava l'Antico. Si chiese quale sarebbe stata la sua reazione all'idea del volo nuziale aperto.

Lytol si limitò a grugnire, annuì bruscamente e chiese a Jaxom se si era parlato di qualche nuovo sviluppo a proposito del furto dell'uovo. Quando il giovane riferì le lamentele del Nobile Begamon, Lytol borbottò di nuo-vo, disgustato e sprezzante. Poi chiese se c'erano disponibili uova di lucer-tole di fuoco; altri due piccoli proprietari terrieri gliele avevano richieste con insistenza. Jaxom rispose che ne avrebbe parlato con N'ton, l'indomani mattina.

«Considerando che le lucertole di fuoco sono in disgrazia, mi chiedo

perché tutti le vogliano,» commentò il giorno dopo il Comandante del Weyr di Fort, quando Jaxom gli riferì la richiesta. «O forse è proprio per questo. Tutti sono convinti che nessun altro le voglia, e quindi si fanno avanti. No, non ne ho. Ma volevo parlare con te. Il Weyr di Forr volerà con quello delle Terre Alte, domani, durante la Caduta dei Fili al nord. Se

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fosse su Ruatha, ti chiederei di far parte della squadriglia allievi. Ma così come stanno le cose, è meglio di no. Capisci?»

Jaxom rispose che capiva: ma N'ton non intendeva dire, con questo, che lui avrebbe potuto combattere insieme a Ruth, la prossima volta che i Fili fossero caduti su Ruatha?

«Ne ho discusso con Lytol.» N'ton sorrideva, e gli brillavano gli occhi. «Il ragionamento di Lytol è che saresti così alto dal suolo che nessun rua-thano si renderebbe conto che il Signore della Fortezza sta rischiando la vita, e a Benden non ne saprebbero nulla.»

«Rischio la vita molto di più a terra, con quella squadra armata di lancia-fiamme.»

«È molto probabile; ma non vogliamo egualmente che qualcuno riferisca la verità a Lessa e F'lar. K'nebel mi ha parlato bene di te. Ruth è proprio come mi avevi detto tu... veloce, intelligente e straordinariamente agile in volo.» N'ton tornò a sorridere. «Resti tra noi, K'nebel dice che è capace di virare sulla coda. Si preoccupa soprattutto che qualcuno degli altri si metta in mente che il suo drago può fare altrettanto; e allora ne succederebbero di tutti i colori.»

La mattina dopo, mentre il Weyr andava a combattere i Fili, Jaxom portò Ruth a caccia e poi al lago, per pulirsi e nuotare. Mentre le lucertole di fuoco forbivano le creste del collo di Ruth, Jaxom ripulì scrupolosamente la cicatrice sulla zampa.

All'improvviso, il drago bianco gemette. Rammaricato, Jaxom girò la te-sta e vide che le lucertole di fuoco avevano smesso di lavorare. Tenevano tutte la testa protesa, come ascoltassero qualcosa che Jaxom non poteva udire.

«Cosa succede, Ruth?» La donna muore. «Riportami alla Fortezza, Ruth. Subito.» Jaxom digrignò i denti, quando gli indumenti bagnati gli si gelarono ad-

dosso, nel freddo in mezzo. Tremando, guardò il drago da guardia sulle alture dei fuochi. Stranamente, oziava al sole, mentre avrebbe dovuto rea-gire alla morte.

Perché adesso la donna non sta ancora morendo, disse Ruth. Jaxom impiegò un attimo per comprendere che Ruth aveva agito di pro-

pria iniziativa e si era spostato nel tempo, arrivando prima dell'allarme dato in riva al lago dalle lucertole di fuoco.

«Avevamo promesso di non spostarci nel tempo, Ruth.» Jaxom si rende-

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va conto della situazione, ma non gli piaceva l'idea di rimangiarsi la paro-la.

L'hai promesso tu, non io. Lytol avrà bisogno di te in tempo. Ruth lo fece scendere nel cortile, e il giovane Signore salì correndo le

scale della Sala principale. Alla sguattera che stava spazzando la sala da pranzo, chiese dov'era Lytol. La sguattera rispose che le pareva che il No-bile Lytol fosse con Mastro Brand. Jaxom sapeva che Brand teneva vino nel suo ufficio, ma corse nella dispensa, afferrò un otre, strinse nell'altra mano due coppe e sali due alla volta i gradini che portavano alla galleria interna. Appoggiò la spalla alla pesante porta, azionò il chiavistello con il gomito destro, e continuò, senza quasi rallentare, lungo il corridoio, fino all'ufficio di Brand.

Nell'istante in cui spalancava la porta, la piccola lucertola azzurra di Brand si atteggiò nella stessa posa d'ascolto che aveva messo in allarme Jaxom in riva al lago.

«Che succede, Nobile Jaxom?» esclamò Brand, balzando in piedi. Lytol sollevò la testa con un'espressione di disapprovazione per quella scorret-tezza, e stava per parlare quando Jaxom indicò la lucertola di fuoco.

La bestiola azzurra sedette all'improvviso sulle zampe posteriori, spiegò le ali e proruppe nell'ululato acuto e altissimo che era il lamento delle lu-certole di fuoco. Mentre Lytol impallidiva, gli uomini udirono le grida più profonde ma egualmente penetranti del drago di guardia e di Ruth, che salutavano il trapasso di un drago regina.

Jaxom riempì una coppa di vino e la porse a Lytol. «Non spegne la sofferenza, lo so,» disse in tono ruvido. «Ma puoi ubria-

carti quanto basta per non sentire e non ricordare.»

IX Inizio dell'estate, Sede dell'Arte degli Arpisti e Fortezza di Ruatha, 15.7.3. Il primo indizio Robinton lo ebbe da Zair, che si svegliò all'improvviso

dal profondo sonno mattutino al sole sul davanzale della finestra e gli volò sulla spalla, avvolgendogli la coda intorno al collo. Robinton, che non a-veva il coraggio di rimproverare il suo piccolo amico, cercò di allentare la

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tensione della coda per non avere l'impressione di soffocare. Zair gli stru-sciò il musetto contro la guancia, gemendo.

«Cosa ti succede?» In quel momento, dalle alture dei fuochi il drago di guardia si sollevò

sulle zampe posteriori e gridò. Un drago apparve a mezz'aria, e rispose prontamente prima di cominciare a volare in cerchio per atterrare.

Un colpo battuto alla porta, e poi l'uscio si aprì subito, senza la pausa imposta dall'educazione. Robinton stava per protestare quando si girò e vide Menolly, con Bella aggrappata alla spalla, mentre Sassetto, Tuffolo e Poll eseguivano una danza aerea intorno a lei.

«Sono F'lar e Mnementh,» gridò la ragazza. «Me n'ero accorto, mia cara. Perché tanto panico?» «Panico? Non è panico. È emozione. È la prima volta, dopo il furto del-

l'uovo, che Benden viene da te.» «Allora fai la brava figliola e vedi se Silvina ha qualche dolce pronto, da

mangiare con il klah.» Sospirò malinconicamente «È un po' troppo presto per offrire vino.»

«Non è troppo presto a Benden,» disse Menolly, mentre usciva di nuovo. Robinton sospirò di nuovo, malinconicamente, guardando la porta aper-

ta. Menolly si era rattristata per il dissidio fra la Sede dell'Arpista e il Weyr di Benden. E a modo suo se ne era rattristato anche lui. Si distolse brusca-mente da quel pensiero. Non c'era stata traccia di tensione nella risposta che Mnementh aveva dato al drago di guardia. Che cosa aveva portato F'lar alla Fortezza di Benden? E soprattutto, Lessa sapeva di quella visita del Comandante del Weyr? Ed era d'accordo?

Mnementh, intanto, era disceso. F'lar, in quel momento, stava senza dubbio attraversando il prato. Robinton cominciò a fremere di un'impa-zienza più grande di quella causata dai quattro settedì di freddezza tra il Weyr e la Sede.

Si alzò e andò alla finestra proprio nell'istante in cui F'lar entrava nel cortile interno della Sede dell'Arte. Camminava a grandi passi, ma F'lar lo faceva sempre, quindi non sembrava che il motivo della sua visita fosse urgente. E allora perché era venuto?

F'lar parlò con un Arpista che stava caricando un corridore per un viag-gio. Le lucertole di fuoco si radunarono sul tetto. Robinton vide F'lar alza-re la testa e notare la loro presenza. Per un momento, si chiese se doveva allontanare Zair. Era inutile rinfocolare i risentimenti.

F'lar era entrato nella Sede. Dalla finestra aperta, Robinton sentì la voce

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del Comandante del Weyr e la pausa in attesa d'una risposta. Silvina? Mol-to più probabilmente un'Arpista, pensò sorridendo tra sé, che era andata ad aspettare il Comandante del Weyr. Sì, non si sbagliava. Sentì le voci di Menolly e di F'lar, mentre salivano le scale: non erano agitate. Brava fi-gliola!

«Ah, Robinton. Menolly mi ha riferito che le sue lucertole di fuoco, quando parlano di Mnementh, lo chiamano "il più grosso",» disse F'lar con un lieve sorriso, entrando.

«Eppure non dispensano facilmente elogi, F'lar,» rispose Robinton pren-dendo il vassoio dalle mani di Menolly, che si ritirò e chiuse la porta. L'as-senza, comunque, non le avrebbe impedito di sapere quel che succedeva, dato che Bella era in comunicazione con Zair.

«Non ci sono guai a Benden, vero?» chiese Robinton al Comandante del Weyr, porgendogli una tazza di klah.

«No, nessun guaio.» Robinton attese. «Ma c'è un mistero, e pensavo che forse tu saresti in grado di scioglierlo.»

«Lo farò, se posso,» rispose l'Arpista, invitando F'lar ad accomodarsi. «Non riusciamo a trovare D'ram.» «D'ram?» Per poco Robinton non rise, sorpreso. «Perché non riuscite a

trovarlo?» «È vivo. Questo lo sappiamo. Ma non sappiamo dove sia.» «Ma Ramoth, senza dubbio, può mettersi in contatto con Tiroth.» F'lar scosse il capo. «Forse avrei dovuto dire che non sappiamo quando

sia.» «Quando? D'ram si è trasferito nel tempo?» «È l'unica spiegazione. E non riusciamo a capire come sia possibile che

sia tornato indietro nel suo Tempo. Non crediamo che Tiroth ne abbia la forza. Spostarsi nel tempo, lo sai, sfinisce drago e cavaliere. Ma D'ram è sparito.»

«La cosa non è sicuramente inaspettata,» fece Robinton, adagio, mentre esaminava tra sé e sé i possibili quando.

«No, non è inaspettata.» «Non può darsi che sia andato al Weyr Meridionale?» «No, perché se fosse là Ramoth non avrebbe difficoltà a rintracciarlo. E

G'dened è tornato indietro nel tempo, prima della Caduta dei Fili, a Ista, pensando che forse D'ram voleva restare con i suoi ricordi.»

«Il Nobile Warbret aveva offerto a D'ram, a sua scelta, una delle grotte sul lato sud dell'Isola di Ista. Lui sembrava d'accordo.» Poi, quando la

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scrollata di spalle di F'lar smentì quell'ipotesi, l'Arpista aggiunse: «Sì, troppo d'accordo.»

F'lar si alzò, si aggirò inquieto avanti e indietro, poi si girò verso l'Arpi-sta. «Hai un'idea di dove potrebbe essere andato? Stavi spesso con lui. Non ricordi niente?»

«Non parlava molto, negli ultimi tempi; restava seduto a tenere la mano di Fanna.» Robinton fu costretto a deglutire. Sebbene fosse abituato alla mortalità umana, la devozione di D'ram per la sua Dama del Weyr e la sua angoscia silenziosa avevano il potere di riempire di lacrime gli occhi del-l'Arpista. «Gli avevo trasmesso le offerte d'ospitalità di Groghe e Sangel. Anzi, direi che avrebbe potuto recarsi dovunque, su Pern, e sarebbe stato accolto a braccia aperte. Evidentemente, preferisce restare solo con i suoi ricordi. Posso chiedere se c'è una ragione precisa per scoprire dove si tro-va?»

«Nessun'altra ragione che la preoccupazione per lui» «Oldive diceva che era nel pieno possesso delle sue facoltà mentali,

F'lar, se è questo che vi preoccupa.» F'lar fece una smorfia e si ricacciò indietro una ciocca di capelli che gli

cadeva invariabilmente sugli occhi quando era agitato. «Per essere sincero, Robinton, si tratta di Lessa. Ramonth non riesce a trovare Tiroth. Lessa è certa che sia tornato indietro nel tempo, così lontano da suicidarsi senza causarci angoscia. D'ram ne sarebbe capace.»

«E ne avrebbe anche il diritto,» notò; gentilmente Robinton. «Lo so. Lo so. E nessuno lo biasimerebbe: ma Lessa è preoccupatissima.

D'ram si è dimesso, Robinton, ma la sua esperienza e le sue opinioni sono preziose. Ora più che mai. In tutta franchezza, abbiamo... abbiamo bisogno di lui.»

Robinton pensò fuggevolmente alla possibilità che D'ram se ne fosse re-so conto e avesse reso volutamente inaccessibili se stesso e Tiroth. Ma D'ram sarebbe sempre stato disposto a servire Pern e i dragonieri.

«Forse ha bisogno di tempo per superare il dolore, F'lar.» «Era esausto, dopo aver assistito Fanna per tanto tempo. Lo sai. Potreb-

be essere malato, e chi lo aiuterebbe? Siamo preoccupati entrambi.» «Esito a suggerirtelo, ma... Brekke ha provato con le lucertole di fuoco?

Con la sua e quelle del Weyr di Ista?» Un sorriso sfiorò la bocca contratta di F'lar. «Oh, sì. L'ha chiesto lei.

Niente da fare. Le lucertole di fuoco hanno bisogno di indicazioni per an-dare in mezzo nel tempo, esattamente come i draghi.»

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«Non parlavo di mandarle. Volevo dire se ha chiesto loro di ricordare un drago bronzeo solitario.»

«Chiedere a quelle bestiole di ricordare?» F'lar rise, incredulo. «Non scherzo, F'lar. Hanno un'ottima memoria, ed è possibile attingervi.

Per esempio, come potevano sapere che la Stella Rossa...» Fu interrotto da uno squittio di protesta di Zair, che si lanciò così in fretta dalla sua spalla da graffiargli il collo. «Non la nominerò più in sua presenza!» disse l'Arpi-sta, massaggiandosi malinconicamente la scalfittura. «Vedi, F'lar, tutte le lucertole di fuoco sapevano che la Stella Rossa era pericolosa e che non la si poteva raggiungere, prima che F'nor e Candì tentassero di andarci. Se riesci a ottenere che le lucertole di fuoco non perdano la testa quando men-zioni la Stella Rossa, ti dicono che ricordano di averne avuto paura. Loro? Oppure le loro antenate, quando i nostri avi tentarono di raggiungerla per la prima volta?»

F'lar rivolse al Maestro Arpista una lunga occhiata indagatrice. «Non è il loro primo ricordo che poi è risultato esatto,» continuò Robin-

ton. «Il Maestro Andemon ritiene possibile che questi esserini possano ricordare eventi insoliti cui ha assistito anche uno solo dei loro simili. L'i-stinto è importante in tutti gli animali... perché non potrebbe esserlo anche per la loro memoria?»

«Non so bene come tu ti proponga di... di servirti della memoria delle lucertole di fuoco per cercare D'ram, dovunque sia andato.»

«È semplice. Chiedi loro di ricordare se hanno visto un drago solitario. Sarebbe una cosa abbastanza insolita per venire notata... e ricordata.»

F'lar non era molto convinto. «Oh, io credo che servirà, se preghiamo Ruth di chiederglielo,» prose-

guì. «Ruth?» «Quando tutte le lucertole di fuoco avevano terrore degli altri draghi,

stavano intorno a Ruth. Jaxom mi ha detto che parlano sempre con il suo bianco. Sono così numerose... inevitabilmente, ce ne sarà una che ricorda quel che vogliamo sapere.»

«Se questo servisse ad alleviare le preoccupazioni di Lessa, dimentiche-rei persino la mia antipatia per quelle seccatrici.»

«Spero che non dimenticherai la promessa.» Robinton sorrise, per ad-dolcire il commento.

«Vuoi venire con me alla Fortezza di Ruatha?» In quel momento, Robinton ricordò la cicatrice di Jaxom. Naturalmente,

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avrebbe impiegato un certo tempo a guarire. Ma non riusciva a ricordare se N'ton avesse mai parlato al Weyr di Benden delle esercitazioni di Jaxom.

«Non dovremmo accertarci se Jaxom è alla Fortezza?» «Perché non dovrebbe esserci?» chiese F'lar, aggrottando la fronte. «Perché spesso è in giro per le sue terre, per imparare a conoscerle, op-

pure alla Sede di Fandarel con altri giovani.» «È vero.» F'lar distolse gli occhi dall'Arpista e guardò fuori dalla fine-

stra. «No, Mnementh dice che Ruth è alla Fortezza. Vedi, anch'io ho il mio messaggero,» aggiunse con un sorriso.

Robinton si augurò che Ruth si affrettasse a riferire a Jaxom che Mne-menth gli aveva chiesto informazioni. Avrebbe voluto avere il tempo d'in-viare Zair a Ruatha con un messaggio, ma non aveva una scusa per farlo, e non voleva che F'lar lo scoprisse.

«Più affidabile del mio e di portata più vasta dei cavi di Fandarel.» Ro-binton indossò la giubba e il casco di cuoio di wher che usava per volare. «A proposito di Fandarel, ha posato i cavi fino alle miniere di Crom, lo sai?» Accennò a F'lar di precederlo.

«Sì, lo so. È un'altra ragione per cui dobbiamo ritrovare D'ram.» «Davvero?» F'lar rise della domanda dell'Arpista: era una risata senza riserve, e Ro-

binton si augurò sinceramente che quella visita restaurasse i loro buoni rapporti di un tempo.

«Nicat non ha insistito anche con te, Robinton? Perché andassi a Sud, a visitare le miniere?»

«Quelle che forniscono il materiale a Toric?» «Immaginavo che lo sapessi, infatti.» «Sì, so che Nicat è preoccupato per gli scavi. I minerali, ormai, sono

molto poveri. E Fandarel è ancora più preoccupato di Nicat. Ha bisogno di metalli della qualità migliore.»

«Se permetteremo alle Arti di insediarsi nel Continente Meridionale, i Signori delle Fortezze pretenderanno di fare altrettanto...» Istintivamente, F'lar abbassò la voce, sebbene il cortile che stavano attraversando fosse deserto.

«Il Continente Meridionale è così grande che potrebbe starci dentro tutto quello Settentrionale, e avanzerebbe ancora posto. Ne abbiamo solo sfiora-to i confini, F'lar. Per i Gusci!» Robinton si batté la mano sulla fronte. «A proposito delle lucertole di fuoco e delle memorie associative. Ecco! Ecco dov'è andato D'ram.»

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«Dove?» «Almeno, io credo che sia andato là.» «Parla. Dove?» «Il problema è sempre scoprire il quando, credo. E Ruth resta la nostra

chiave.» Dovevano percorrere solo alcune lunghezze di drago per raggiungere

Mnementh sul prato. Zair svolazzava sopra la testa di Robinton, cinguet-tando ansioso e tenendosi lontano dal drago bronzeo. Rifiutò di posarsi sulla spalla dell'Arpista, sebbene questi lo invitasse con un gesto.

«Io vado a Ruatha dal drago bianco, da Ruth. Raggiungici là, sciocchi-no, se non vuoi viaggiare sulla mia spalla.»

«Mnementh non ce l'ha con Zair,» disse F'lar. «Temo che sia vero il contrario,» fece Robinton. Un bagliore di collera guizzò negli occhi del cavaliere bronzeo. «Nessun

drago ha alitato fiamme contro una lucertola di fuoco.» «Non qui, Comandante del Weyr. Non qui. Ma tutte ricordano di averlo

visto. E le lucertole di fuoco possono dire solo ciò che ha veduto una di loro.»

«Allora andiamo a Ruatha e accertiamo se una di loro ha visto D'ram.» Dunque le lucertole di fuoco erano ancora un argomento scabroso, pensò

tristemente Robinton mentre montava sulla spalla di Mnementh per pren-der posto dietro F'lar. Avrebbe voluto che Zair non mostrasse di aver tanta paura di Mnementh.

Jaxom e Lytol erano sulla scalinata della Fortezza, quando Mnementh muggì il suo nome al drago di guardia e scese volteggiando per atterrare nell'immenso cortile. Mentre i due visitatori scambiavano saluti, Robinton scrutò la faccia di Jaxom, per vedere se si scorgeva la cicatrice lasciata dai Fili. Non ne vide traccia, e si chiese se stava esaminando la guancia giusta. Poteva soltanto augurarsi che anche Ruth fosse completamente guarito. Certo, F'lar era così assorbito dalla scomparsa di D'ram che non sarebbe stato a scrutare troppo attentamente Jaxom e il drago bianco.

«Ruth dice che Mnementh ha chiesto di lui, F'lar,» esordì Jaxom. «Non è successo niente, spero.»

«Forse Ruth potrà aiutarci a trovare D'ram? Non è...» Jaxom s'interrup-pe, guardando ansioso Lytol, che aggrottò la fronte e scosse il capo.

«No, ma si è trasferito nel tempo, chissà quando,» disse Robinton. «Pen-savo che, se Ruth lo chiedesse alle lucertole di fuoco, forse loro glielo di-rebbero.»

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Jaxom fissò l'Arpista, e quello si chiese perché il ragazzo sembrava così stordito e stranamente spaventato. A Robinton non sfuggì che Jaxom lan-ciava un'occhiata fulminea a F'lar e deglutiva convulsamente.

«Mi sono ricordato di averti sentito dire che spesso le lucertole di fuoco raccontano cose strane a Ruth,» continuò l'Arpista in tono disinvolto, dan-do a Jaxom il tempo di riprendersi. Ma cos'aveva, quel ragazzo?

«Dove? Può darsi. Ma quando, Maestro Robinton?» «Credo di avere intuito dov'è andato D'ram. Potrebbe essere utile?» «Non mi pare di aver capito,» disse Lytol, guardando prima l'uno poi

l'altro. «Che cos'è successo?» Il Reggente stava precedendo i visitatori nella Fortezza, verso la saletta privata. Sul tavolo erano stati disposti il vino e le coppe, formaggi, pane e frutta.

«Bene,» disse Robinton, adocchiando il vino. «Vi spiegherò...» «E avrai la gola secca, immagino,» fece Jaxom, avvicinandosi al tavolo

per mescere. «È vino di Benden, Maestro Robinton. Il meglio per i nostri illustri ospiti.»

«Il ragazzo sta diventando grande,» disse Lytol, borbottando. «Ora, le lucertole di fuoco...»

Zair apparve nell'aria, squittì e piombò sulla spalla di Robinton, avvol-gendogli stretta la coda intorno al collo cinguettando nervosamente mentre si accertava che Robinton non avesse subito danni per il volo sul dorso del drago.

«Scusatemi,» fece Robinton, e calmò Zair. Poi spiegò a Lytol che, se-condo la tua teoria, le lucertole di fuoco possedevano un immenso patri-monio di conoscenze comuni, capace di spiegare la loro paura della... Si schiarì la gola e indicò a oriente, per risparmiare a tutti la scena di terrore del piccolo bronzeo. Le lucertole di fuoco erano in grado di comunicare forti emozioni, come dimostrava l'appello di Brekke a Canth in quella not-te fatidica. Si erano spaventate per l'uovo di regina, ed erano rimaste in uno stato di agitazione convulsa fino a quando l'uovo s'era schiuso nor-malmente. Sembrava ricordassero di avergli visto accanto un nulla nero, e di essere state investite da aliti di fiamma. Jaxom gli aveva riferito più vol-te che le lucertole di fuoco raccontavano a Ruth cose incredibili, sostenen-do di averle viste. Se quella strana facoltà non era una sciocca illusione - e dovette placare l'indignato Zair - in quel caso sarebbe stato possibile dimo-strarlo, con la collaborazione di Ruth. D'ram, a quanto pareva, era andato in un tempo in cui Ramoth non riusciva a mettersi in rapporto mentale con il suo drago, Tiroth. La situazione turbava Ramoth e Lessa: entrambe te-

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mevano che D'ram fosse nei guai. Nonostante le sue dimissioni da Coman-dante del Weyr di Ista, Pern aveva ancora bisogno di D'ram, e non voleva perdere i contatti con lui.

«Ora,» continuò Robinton, «in questi ultimi giri vi sono state occasio-ni...» Si schiarì la gola e guardò F'lar per chiedergli il permesso, ricevendo un cenno affermativo. «Occasioni in cui mi sono avventurato al Sud. Una volta, io e Menolly siamo stati spinti fuori rotta dal vento, lontano, verso Est, e siamo arrivati in un bellissima baia dalla sabbia bianca, ricca di albe-ri da frutto; le acque della cala brulicavano di codagialla e di candidi pe-scindito. Il sole era caldo e le acque del ruscello che si gettava in mare erano dolci come il vino.» Guardò malinconicamente nella coppa. Con una risata, Jaxom la riempì di nuovo. «Ne ho parlato a D'ram, anche se ora non ricordo il perché. Sono sicuro di aver descritto quel luogo abbastanza det-tagliatamente perché un drago esperto come Tiroth possa arrivarci.»

«D'ram non vorrebbe mai causare complicazioni qui,» disse lentamente Lytol. «Si sarebbe trasferito in un tempo in cui gli Antichi non erano anco-ra sul Continente Meridionale. Un balzo di dieci-dodici Giri non avrebbe stancato troppo Tiroth.»

«C'è una possibile complicazione, Robinton,» disse F'lar. «Se questi es-serini possono ricordare eventi significativi accaduti ai loro predecesso-ri...» F'lar era apertamente scettico. «Allora nessuna lucertola di fuoco esi-stente qui può avere ricordi utili per noi. Non hanno antenati provenienti da quella zona.» Indicò Zair. «Fa parte della covata che Menolly ha portato da un tratto più a Sud della Tenuta Maxina del Semicerchio, no?»

«Le lucertole di fuoco arrivano da tutte le parti, e si affollano intorno a Ruth,» disse Robinton, guardando il giovane Signore per chiedergli con-ferma.

«F'lar ha ragione,» fece Jaxom. «Ma no, se tu andrai in quella baia, Jaxom. Sono sicuro che il fascino

esercitato da Ruth su tutte le lucertole di fuoco avrà effetto anche là.» «Vuoi che vada nel Continente Meridionale?» Robinton notò l'incredulità e l'improvviso, intenso interesse negli occhi

di Jaxom. Dunque, il ragazzo aveva scoperto che non gli bastava volare sul dorso di un drago alitante fuoco, per essere felice.

«Io non voglio che nessuno vada nel Continente Meridionale,» rispose F'lar. «Dopotutto... è una violazione del nostro accordo, ma non vedo altri modi per rintracciare D'ram.»

«La baia è molto lontana dal Weyr Meridionale,» disse gentilmente Ro-

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binton. «E sappiamo che gli Antichi non si avventurano mai a grande di-stanza.»

«Ma qualche tempo fa si sono allontanati abbastanza, no?» chiese F'lar accalorandosi, con un bagliore di collera negli occhi ambrati.

Avvilito, Robinton comprese che la rottura fra la Sede degli Arpisti ed il Weyr di Benden non era completamente risanata.

«Nobile Lytol,» continuò il Comandante del Weyr di Benden, «ti chiedo scusa. Mi autorizzi ad arruolare Jaxom per questa ricerca?»

Lytol scosse il capo e indicò il giovane. «La decisione spetta al Nobile Jaxom.»

Robinton notò che F'lar stava rimuginando sui sottintesi di quella rispo-sta, mentre lanciava a Jaxom una lunga occhiata intenta. Poi sorrise. «La tua decisione, Nobile Jaxom?»

Con ammirevole calma, osservò Robinton, il giovane chinò il capo. «Sono lusingato che tu abbia chiesto il mio aiuto, Comandante del Weyr.»

«Per caso, non c'è qualche mappa del Continente Meridionale in questa Fortezza?» chiese F'lar.

«Sì, per la verità.» Poi Jaxom aggiunse una frettolosa spiegazione. «Fandarel ci ha tenuto diverse lezioni di cartografia, nella sua Sede.»

Le carte, comunque, erano incomplete. F'lar si accorse che erano copie di quelle ricavate in base alle esplorazioni effettuate da F'nor nel Continen-te Meridionale, quando il vicecomandante di Benden aveva portato indie-tro nel tempo di dieci Giri la prima covata di Ramoth, perché maturassero prima che cadessero di nuovo i Fili... un'impresa che aveva ottenuto un successo parziale.

«Io ho mappe più ampie della costa,» disse Robinton in tono disinvolto, e scarabocchiò un biglietto per Menolly, fissandolo alla fibbia del collare di Zair. Rimandò il piccolo bronzeo alla Sede raccomandandogli di non dimenticare l'incombenza.

«E porterà direttamente le carte?» chiese F'lar in tono scettico e un po' sprezzante. «Anche Brekke e F'nor continuano a cercare di convincermi che le lucertole di fuoco sono utili.»

«Immagino che, per consegnare cose importanti come le carte, Menolly si farà portare dal drago di guardia.» Robinton sospirò: avrebbe dovuto insistere, nel biglietto, perché Menolly mandasse le carte per mezzo di Zair. Era un'occasione che non bisognava sprecare.

«Ti sei spostato spesso nel tempo, Jaxom?» chiese all'improvviso F'lar. Il rossore soffuse il volto di Jaxom, Con un sussulto, Robinton vide la

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linea sottile della cicatrice spiccare bianca sulla guancia arrossata. Per for-tuna, Jaxom teneva la testa girata, ed il Comandante del Weyr non poteva vederla.

«Ecco, signore...» «Andiamo, ragazzo: non conosco nessun giovane dragoniere che non si

sia mai servito di quel trucco per arrivare puntuale. Quello che voglio ac-certare è la precisione del senso del tempo di Ruth. Certi draghi non l'han-no affatto.»

«Ruth sa sempre quando è,» rispose Jaxom, accendendosi d'orgoglio. «Direi che ha la miglior memoria temporale di Pern.»

F'lar rifletté per un lungo istante. «Hai mai tentato qualche lungo bal-zo?»

Jaxom annuì lentamente, lanciando un'occhiata a Lytol, che rimase im-passibile.

«Nessuna deviazione nel balzo? Nessuna sosta troppo prolungata in mezzo?»

«No, signore. Del resto, è facile essere precisi, quando si compie il balzo di notte.»

«Non credo di seguire il tuo ragionamento.» «Le equazioni stellari preparate da Wansor. Mi pare che tu fossi presente

alla riunione nella Sede dell'Arte dei Fabbri...» La voce del giovane si spense, incerta, fino a quando F'lar afferrò ciò che voleva dire e si mostrò sorpreso. «Se calcoli la posizione delle stelle principali, puoi orientarti con grande esattezza.»

«Se compi il balzo di notte..'.» aggiunse il Maestro Arpista, che non a-veva mai pensato di utilizzare in quel modo le equazioni di Wansor.

«Non mi era mai passato per la mente,» disse F'lar. «C'è un precedente,» commentò Robinton con un gran sorriso. «E pro-

prio nel tuo Weyr, F'lar.» «Lessa si servì delle stelle raffigurate sull'arazzo per tornare a cercare gli

Antichi, vero?» Jaxom, evidentemente, l'aveva dimenticato: e inoltre, a giudicare dall'improvviso, comico sbigottimento apparso sul suo viso, ave-va dimenticato che quell'allusione agli Antichi non era molto opportuna.

«Non possiamo ignorarli, no?» disse il Comandante del Weyr, con tolle-ranza maggiore di quanta avesse previsto Robinton. «Beh, esistono e non si possono ignorare. Torniamo al nostro problema, Robinton. Quanto tem-po potrà impiegare la tua lucertola di fuoco?»

Davanti alla finestra della fortezza si levò un vociare improvviso: erano

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evidentemente lucertole di fuoco, e tutti si precipitarono a guardare. «Menolly ce l'ha fatta,» disse sottovoce Robinton a Jaxom. «Sono qui,

F'lar.» «Chi? Menolly e il drago da guardia?» «No, signore,» rispose Jaxom, trionfante. «Zair, la regina di Menolly, ed

i suoi tre bronzei. Hanno tutti le carte legate sulla schiena.» Zair entrò in volo, trillando in un tono che era di collera, di preoccupa-

zione e di confusione insieme. I quattro di Menolly la seguirono. La picco-la regina, Bella, cominciò a rimproverare tutti i presenti, svolazzando in giro. Robinton non faticò ad indurre Zair a posarglisi sul braccio. Ma Bella continuava a tenere in volo i suoi bronzei, fuori tiro, mentre F'lar, con un sorriso sardonico, e Lytol, con la faccia inespressiva, osservavano gli sfor-zi di Jaxom e dell'Arpista per convincere le quattro lucertole di fuoco ad atterrare.

«Ruth, vuoi dire a Bella di comportarsi bene e di venire sul mio brac-cio?» gridò Jaxom, quando i suoi tentativi di attirare la piccola regina co-minciarono ad assumere aspetti ridicoli agli occhi di colui che cercava d'impressionare.

Bella lanciò uno strillo sgomento, ma andò a posarsi subito sul tavolo. Rimproverò furiosamente Jaxom, mentre il giovane staccava la carta, e continuò il suo monologo mentre i bronzei atterravano timidamente, senza ripiegare del tutto le ali, per farsi togliere i loro fardelli. Appena furono liberi, i bronzei uscirono dalla finestra. Bella rivolse a tutti i presenti un'ul-tima, rauca arringa e poi, con un guizzo di coda, scomparve. Zair lanciò un cinguettio di scusa e nascose il muso tra i capelli di Robinton.

«Bene,» disse l'Arpista, quando il silenzio scese finalmente nella saletta. «Sono tornati subito, no?»

F'lar scoppiò a ridere. «Sono tornati, si. La consegna è stata un'altra fac-cenda. Non mi andrebbe di dover discutere per ogni messaggio che viene recapitato.»

«È successo perché non c'era presente Menolly,» spiegò Jaxom. «Bella non sapeva bene di chi poteva fidarsi, vedi. Senza offesa, F'lar,» si affrettò ad aggiungere.

«Ecco quella che mi serve,» disse Robinton, spiegando la carta. Indicò agli altri di aprire le altre parti. Poco dopo, le mappe vennero sistemate sul tavolo, e le estremità arricciate furono tenute ferme con frutti e coppe.

«Si direbbe,» osservò in tono blando Lytol, «che tu sia finito fuori rotta in tutte le direzioni, Maestro Robinton.»

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«Oh, lo so, signore,» rispose con aria ingenua l'Arpista. «Quelli della Tenuta del mare sono stati molto utili qui, qui e qui.» Indicò i tratti occi-dentali, dove la costa era delineata con molta chiarezza. «È merito di Ida-rolan e dei capitani che gli forniscono le notizie.» Indugiò, baloccandosi con l'idea di aggiungere che le esplorazioni di Idarolan erano state facilita-te dalle varie lucertole di fuoco degli equipaggi. «Naturalmente Toric e i suoi,» continuò, decidendo per il momento di sorvolare, «hanno tutto il diritto di esplorare la loro terra...» Passò la mano sulla penisola dove si trovavano la Fortezza ed il Weyr Meridionale, e su ampi tratti del territo-rio, ai lati.

«E dove si trovano le miniere che riforniscono Toric?» «Qui.» Robinton puntò il dito sulla tratteggiatura delle colline, un po' a

occidente della colonia, nell'entroterra. F'lar osservò, passando le dita sulla pelle fino all'ubicazione del Weyr.

«E dov'è la tua baia?» Robinton indicò un punto che distava dal Weyr Meridionale quanto Rua-

tha era lontana da Benden. «In quest'area. Ci sono parecchie piccole baie, sulla costa. Non saprei dire con precisione quale sia, ma si trova da queste parti.»

F'lar mormorò che l'indicazione era troppo generica, e che difficilmente un drago avrebbe potuto avere gli elementi necessari per andare in mezzo.

«Al centro della baia c'è il cono di un'antica montagna, perfettamente simmetrico.» Robinton lo descrisse a gesti. «Zair era con me, e può tra-smettere l'immagine esatta a Ruth.» Robinton girò la testa, strizzando l'oc-chio a Jaxom.

«Ruth può ricevere istruzioni da una lucertola di fuoco?» chiese F'lar a Jaxom, aggrottando la fronte come per indicare che giudicava inattendibile quell'informazione.

«L'ha fatto,» rispose Jaxom; e Robinton scorse nei suoi occhi un baglio-re d'ilarità. Cominciò a chiedersi dove mai le lucertole di fuoco potevano aver già guidato il drago bianco. Menolly lo sapeva?

«Che cos'è?» chiese all'improvviso F'lar. «Una congiura per rimettere in buona luce le lucertole di fuoco?»

«Mi pareva che stessimo collaborando per ritrovare D'ram,» rispose Ro-binton, in tono di vago rimprovero.

F'lar sbuffò e si piegò per studiare le mappe. La collaborazione, pensò Robinton, doveva essere tutta da parte di Ruth.

Il risultato dipendeva da un fattore: le lucertole di fuoco del Sud sarebbero

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state attratte dal drago bianco? Altrimenti, Jaxom aveva accettato di com-piere prudenti balzi indietro nel tempo, alla baia... se, come commentò F'lar, fosse riuscito a trovare quella giusta.

Venne discussa di nuovo la memoria delle lucertole di fuoco: F'lar non era disposto ad ammettere che, a differenza dei draghi cui pure somiglia-vano, le creaturine fossero dotate di buone facoltà mnemoniche. I loro re-soconti potevano essere tutti immaginari, inconsistenti. Robinton ribatté che l'immaginazione si basava sulla memoria... senza l'una, l'altra era im-possibile.

Il pomeriggio stava per finire: e tornarono alla Fortezza i figli adottivi, che erano stati fuori tutto il giorno a visitare i campi insieme a Brand. F'lar si accorse che era rimasto assente da Benden più di quanto si fosse propo-sto alla partenza. Raccomandò a Jaxom di spostarsi nel tempo con molta prudenza - un consiglio che, sospettava Robinton, F'lar avrebbe fatto me-glio a seguire lui stesso - di non correre rischi e di non farli correre al suo drago. Se non avesse scoperto la baia, non doveva sprecare tempo ed ener-gie, e doveva tornare. Se avesse trovato D'ram, doveva prendere nota del tempo e del luogo e tornare immediatamente a Bend per portare a F'lar le coordinate. F'lar non voleva turbare il dolore di D'ram; e se Jaxom poteva evitare di farsi scorgere, sarebbe stato meglio.

«Credo tu possa star certo che Jaxom risolverà con diplomazia la situa-zione,» disse Robinton, sorvegliando il giovane con la coda dell'occhio. «Ha già dato prove della sua discrezione.» Subito l'Arpista si chiese perché mai Jaxom reagiva cosi a quel complimento, e si diede un gran daffare per arrotolare le carte, distogliendo l'attenzione dal giovane cavaliere.

Robinton disse a Jaxom di farsi una bella dormita, e poi un'abbondante colazione la mattina dopo, e di presentarsi alla Sede degli Arpisti per pren-dere la sua guida. Quindi Robinton e F'lar lasciarono la Fortezza. Quando il Comandante del Weyr e Mnementh lo riportarono alla sua sede, Robin-ton si limitò ai normali convenevoli. Le necessità di Pern avevano riportato alla Sede degli Arpisti il Comandante del Weyr di Benden. Un passo alla volta!

Mentre Robinton guardava F'lar ed il bronzeo Mnementh levarsi al di sopra delle alture dei fuochi e sparire, Bella comparve e rimbrottò Zair, che aveva ripreso il suo posto sulla spalla dell'Arpista. Zair non reagì alla sgridata, e Robinton sorrise. Menolly doveva essere impaziente di cono-scere com'erano andate le cose quel pomeriggio. Non era così presuntuosa da assediare lui: ma questo non impediva a Bella di aggredire il piccolo

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bronzeo. Una brava ragazza, Menolly: e valeva il suo peso in oro. Robin-ton si augurava che accettasse di fare un viaggio con il giovane Jaxom. Non aveva accennato alla sua partecipazione di fronte a Lytol, perché mol-to tempo prima F'lar gli aveva imposto la massima segretezza per le sue esplorazioni al Sud. Zair non sarebbe bastato per aiutare Jaxom a trovare la baia giusta: ma con la guida di Menolly, che era stata con lui durante la navigazione nella tempesta, e delle sue lucertole di fuoco, non sarebbe stato difficile. Comunque, era meglio che fossero pochi a saperlo.

Il giorno dopo, quando l'Arpista informò Jaxom di quella precauzione, il giovane si mostrò sollevato e sorpreso.

«Mi raccomando, Jaxom; non bisogna dire a nessuno che io e Menolly ci siamo spinti tanto a sud nelle nostre esplorazioni. Per la verità, quel vi-aggio non è stato intenzionale...»

Menolly ridacchiò. «Ti avevo detto che c'era stata una tempesta.» «Grazie. E da allora, come ben sai, ho sempre avuto bisogno della tua

conoscenza delle condizioni meteorologiche.» Robinton fece una smorfia, ricordando i giorni di mal di mare e gli sforzi disperati di Menolly, ag-grappata al timone della piccola imbarcazione.

Non diede altri consigli ai due; insistette perché prendessero una buona scorta di viveri dalle cucine e disse che si augurava un rapporto favorevole.

«Per quanto riguarda D'ram?» chiese Menolly, con gli occhi che le bril-lavano. «O per quanto riguarda le prestazioni delle lucertole di fuoco?»

«L'una cosa e l'altra, naturalmente, ragazza mia. Andate.» Aveva deciso di non interrogare Jaxom circa le sue reazioni alle allusio-

ni agli spostamenti nel tempo ed alla discrezione. Quando aveva annuncia-to a Menolly l'intenzione di mandarla ad accompagnare Jaxom con le sue lucertole di fuoco, anche lei aveva reagito in modo inatteso. Le aveva chie-sto che cosa c'era di tanto divertente, e lei si era limitata a scuotere la testa, ridendo. Non riusciva a immaginare che cosa avessero combinato insieme quei due. Adesso, mentre guardava Ruth volteggiare nel cielo sopra la For-tezza, ripensò al loro comportamento. Litigi bonari, senza dubbio... un briciolo di antagonismo per assicurarsi la supremazia, ma niente che an-dasse oltre il comportamento di due vecchi amici. Non che Menolly, si affrettò a dirsi, non sarebbe stata un'ottima Dama per Jaxom, se quei due si volevano sinceramente bene. Era che... l'Arpista si rimproverò quell'intro-missione e si occupò delle noiose incombenze amministrative, che aveva rimandato per troppo tempo.

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X Dalla Sede dell'Arte degli Arpisti al Continente Meridionale, Sera al Weyr di Benden 15.7.4. Mentre Ruth s'innalzava in volo dal prato, Jaxom provò un'immensa

sensazione di sollievo e d'eccitazione, oltre alla solita tensione che s'impa-droniva di lui quando compiva un lungo balzo in mezzo. Bella e Tuffolo erano appollaiati sulle spalle di Menolly, con le code allacciate intorno al collo della ragazza. Lui aveva accolto sulle spalle Poll e Sassetto, perché quei quattro avevano accompagnato l'Arpista e Menolly nel primo viaggio. Jaxom avrebbe voluto chiedere come mai stavano navigando dalle parti del Continente Meridionale. L'idea di usare un'imbarcazione era logica, poiché Menolly, nata e cresciuta in una Tenuta Marina, era esperta nell'arte della navigazione. Ma aveva scorto un bagliore di sfida negli occhi della ragaz-za, e non aveva osato fare domande. E si stava chiedendo se lei aveva rife-rito all'Arpista i suoi sospetti circa la parte che Jaxom aveva avuto nella restituzione dell'uovo.

Si trasferirono in mezzo emergendo all'estremità di Nerat, e volteggiaro-no nell'aria mentre Menolly e le sue lucertole di fuoco si concentravano, pensando alla baia a Sud-Est. Jaxom avrebbe voluto spostarsi nel tempo alla notte precedente: aveva impiegato ore calcolando le posizioni delle stelle nell'emisfero meridionale. Menolly e Robinton l'avevano dissuaso dal farlo, a meno che Ruth non fosse riuscito a ricevere un'immagine abba-stanza vivida della baia per mezzo di Menolly e delle lucertole.

Facendo infastidire un po' Jaxom, Ruth annunciò che poteva vedere chiaramente dove doveva andare. Menolly trasmette immagini molto niti-de, aggiunse.

Jaxom non poté far altro che dirgli di trasferirsi. La prima cosa che notò fu l'aria della nuova località: più dolce, più puli-

ta, meno umida. Ruth stava planando verso la piccola baia, annunciando con gioia che avrebbe fatto una bella nuotata. La montagna che serviva come punto di riferimento scintillava al sole, lontana, serena e stranamente simmetrica.

«Avevo dimenticato quant'era bello,» disse Menolly con un sospiro. L'acqua aveva una trasparenza che rendeva perfettamente visibile il fon-

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do sabbioso della baia, sebbene Jaxom fosse sicuro che doveva essere piut-tosto profonda. Notò i riflessi brillanti dei codagialla e i movimenti sfrec-ciami dei pesci-dito nelle acque limpide. Davanti a loro c'era la perfetta mezzaluna della spiaggia bianca; alberi grandi e piccoli, alcuni carichi di frutti gialli e rossi, formavano una bordura ombrosa. Mentre Ruth scende-va verso la spiaggia, Jaxom vide la fitta foresta che si estendeva ininterrot-ta verso una bassa catena di colline, culminanti nella magnifica montagna. Oltre la baia, ai due lati, c'erano altre calette, non egualmente simmetriche, ma altrettanto pacifiche e intatte.

Ruth manovrò con le ali e si arrestò sulla sabbia, invitando i suoi pas-seggeri a scendere in fretta, perché lui aveva intenzione di fare un bagno.

«Vai pure,» disse Jaxom, battendogli affettuosamente la mano sul muso e ridendo mentre il drago bianco, troppo smanioso di tuffarsi, caracollava sgraziatamente verso il mare.

«La sabbia è calda come i Terreni della Schiusa,» spiegò Menolly, al-zando in fretta i piedi e dirigendosi verso il tratto ombreggiato.

«Non direi,» commentò Jaxom seguendola. «Ho i piedi sensibili,» rispose la ragazza, buttandosi sulla spiaggia. Si

guardò intorno e fece una smorfia. «Nessuna traccia, eh?» chiese Jaxom. «Di D'ram?» «No, delle lucertole di fuoco.» Lei depose il sacco con le provviste. «Probabilmente stanno dormendo per smaltire il pasto mattutino. Tu sei

ancora in piedi. Guarda se c'è qualche frutto rosso maturo su quell'albero, Jaxom, ti dispiace? Gli involtini di carne sono poco sugosi.»

Jaxom trovò frutti maturi a sufficienza da sfamare una Fortezza e portò a Menolly tutti quelli che riusciva a reggere. Sapeva che lei li prediligeva. Ruth si sollazzava in acqua, tuffandosi ed emergendo per reimmergersi sollevando spruzzi e ondate, mentre le lucertole di fuoco lo incoraggiavano con gridolini squillanti.

«C'è l'alta marea,» disse Menolly addentando la buccia di un frutto; ne staccò un grosso pezzo e strizzò la polpa per bere il succo. «Oh, è celestia-le. Perché nel Continente Meridionale è tutto delizioso?»

«Il gusto del proibito, immagino. La marea comporta qualche differenza nella comparsa delle lucertole di fuoco?»

«No, che io sappia. Sarà Ruth a comportare la differenza, credo.» «Dunque dovremo aspettare che notino Ruth?»

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«È il sistema più semplice.» «Sappiamo con precisione dove ci sono lucertole di fuoco in questa par-

te del Sud?» «Oh, sì, non te l'ho detto?» Menolly si finse contrita. «Abbiamo visto

una regina accoppiarsi, e per poco non ho perduto Sassetto e Tuffolo per colpa sua. Bella era furibonda.»

«C'è altro che non mi avevi detto e che dovrei sapere?» Menolly gli rivolse un gran sorriso. «La mia memoria deve attivarsi per

associazione. Quando verrà il momento, saprai quel che c'è da sapere.» Jaxom pensò che quel gioco sarebbe continuato per un pezzo e ricambiò

il sorriso, prima di scegliere un frutto da addentare. Era così caldo che si tolse la giubba da volo ed il casco. Ruth continuò a godersi il lungo bagno mentre le lucertole di fuoco di Menolly si esibivano accanto a lui: e le loro prodezze divertivano il pubblico indulgente.

Il caldo aumentò: le sabbie bianche riflettevano i raggi del sole e riscal-davano la spiaggia persino all'ombra. L'acqua limpida e la gioia delle be-stie che sguazzavano erano per Jaxom una tentazione troppo forte. Si slac-ciò gli stivali, si sfilò i calzoni e la camicia e corse in acqua. Poco dopo, anche Menolly sguazzava accanto a lui, prima che fosse arrivato ad una lunghezza di drago dalla spiaggia.

«Non dobbiamo prendere troppo sole,» gli disse. «L'ultima volta mi so-no buscata una scottatura tremenda.» Fece una smorfia a quel ricordo. «E mi sono spellata come un serpente delle gallerie.»

Ruth eruppe accanto a loro, soffiando acqua, quasi sommergendoli a colpi d'ala; poi, premurosamente, tese la coda per aiutarli mentre i due tos-sivano e sputavano l'acqua che avevano inghiottito.

Menolly aveva una figura più snella di Corana, notò Jaxom mentre usci-vano, felici e sfiniti dopo la nuotata con Ruth. Aveva le gambe più lunghe ed i fianchi più sottili. Era forse un po' piatta di seno, ma si muoveva con una grazia che affascinava Jaxom più di quanto lo permettesse la cortesia. Quando si voltò a guardarla, lei aveva indossato i calzoni e la sopravveste, con le braccia nude al sole mentre si asciugava i capelli. Jaxom preferiva le donne con le chiome lunghe anche se, dato che Menolly doveva volare così spesso sui draghi, si rendeva conto che teneva i capelli corti perché non le dessero impaccio sotto il casco.

Si spartirono un frutto giallo che Jaxom non aveva mai assaggiato. Il sa-pore dolce gli tolse il sale dalla bocca.

Ruth uscì dall'acqua e si scrollò, spruzzando Jaxom e Menolly.

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Il sole è caldo, disse, quando i due protestarono per la doccia inaspettata. Gli abiti si asciugheranno in fretta. Succede sempre così anche a Keroon.

Jaxom lanciò un'occhiata a Menolly: ma lei, evidentemente, non aveva afferrato il significato di quel commento. Stava tornando a sdraiarsi, infa-stidita dalle chiazze di sabbia bagnata che le costellavano i vestiti e le braccia nude.

«Non è l'acqua che dà fastidio,» disse Jaxom a Ruth, ripulendosi la fac-cia prima di ridistendersi. «È la sabbia.»

Ruth si sistemò in una depressione della spiaggia e le lucertole di fuoco, lanciando pigolii di stanchezza, si accovacciarono accanto a lui.

Jaxom pensò che uno di loro doveva restare sveglio per vedere se le lu-certole locali rispondevano al richiamo della presenza del drago bianco: ma lo sforzo fisico, il cibo ingerito, il sole e l'aria limpida dalla baia lo sopraffecero.

Lo svegliò il richiamo sommesso di Ruth. Non ti muovere. Abbiamo vi-site.

Jaxom era sdraiato sul fianco, con la testa appoggiata alla mano sinistra. Aprì gli occhi lentamente e guardò il corpo del drago screziato d'ombra. Contò tre lucertole bronzee, quattro verdi, due dorate ed una azzurra. Nes-suna aveva collari o fasce dipinte. Mentre stava a guardare, una lucertola marrone planò per posarsi accanto ad una dorata. Si toccarono i nasi e poi si girarono verso la testa di Ruth, appoggiata sulla sabbia alla loro altezza. Ruth aveva socchiuso le palpebre di un occhio.

Bella, che si era addormentata dall'altra parte di Ruth, avanzò cautamen-te sulle spalle del drago bianco e ricambiò i convenevoli delle sconosciute.

«Hai chiesto se ricordano di aver visto un drago bronzeo?» chiese men-talmente Jaxom a Ruth.

L'ho fatto. Ci stanno pensando. Mi trovano simpatico. Non hanno mai visto niente di simile a me.

«Né lo vedranno mai.» Ma Jaxom era divertito della gioia del suo drago. Ruth era così felice di essere benvoluto.

Molto tempo fa c'erano un drago bronzeo, e un uomo che camminava su e giù per la spiaggia. Non gli hanno dato fastidio. Non è rimasto a lungo, aggiunse Ruth, quasi in un ripensamento.

E questo cosa significava? si chiese Jaxom, allarmato. O siamo arrivati noi e l'abbiamo trovato, oppure lui e Tiroth si sono suicidati.

«Chiedi che altro ricordano degli uomini,» disse Jaxom a Ruth. Forse avevano visto F'lar insieme a D'ram.

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Le lucertole di fuoco appena arrivate si agitarono tanto che Ruth alzò la testa dalla sabbia, e spalancò gli occhi, facendoli roteare allarmato. Al suo movimento Bella, che gli stava sulla cresta, perse l'equilibrio e sdrucciolò via, ricomparendo a grandi colpi d'ala: riprese il suo posto, strillando infa-stidita.

Ricordano uomini. Perché io non ricordo queste cose? «E draghi?» Jaxom represse un senso di allarme, chiedendosi come mai

gli Antichi potevano sapere che lui e Menolly si trovavano lì. Poi il buon senso riprese il sopravvento. Non potevano saperlo.

Per poco non balzò in piedi quando si sentì sfiorare il braccio. «Scopri quando, Jaxom,» disse sottovoce Menolly. «Quando è stato qui

D'ram?» Niente draghi. Ma molti, molti uomini, stava dicendo Ruth: e aggiunse

che ormai le lucertole di fuoco erano troppo agitate per ricordare un uomo e un drago. Non capiva che cosa rammentavano; sembrava che ognuna avesse ricordi diversi. Era confuso.

«Sanno che siamo qui?» Non vi hanno visti. Guardano solo me. Ma gli uomini che ricordano non

siete voi. Il tono di Ruth indicava che era sconcertato da quel messaggio non meno di Jaxom.

«Non puoi indurle a parlarti di nuovo di D'ram?» No, disse tristemente Ruth, un po' deluso. Vogliono ricordare solo gli

uomini. Non i miei uomini: i loro uomini. «Forse, se mi alzo in piedi, mi riconosceranno come uomo. Lentamente,

Jaxom si alzò, indicando con gesti cauti a Menolly d'imitarlo. Le lucertole di fuoco avevano bisogno di una prospettiva adeguata.

Non siete gli uomini che loro ricordano, disse Ruth mentre le lucertole di fuoco, sbigottite alla vista delle due figure che si alzavano dalla sabbia, prendevano il volo. Volteggiarono nell'aria, a distanza di sicurezza, poi sparirono.

«Richiamale, Ruth. Dobbiamo scoprire quando è D'ram.» Ruth rimase in silenzio per un momento, mentre i suoi occhi turbinavano

meno velocemente. Poi scosse il capo, e disse al suo cavaliere che se n'e-rano andate per ricordare i loro uomini.

«Non potevano riferirsi ai meridionali,» disse Menolly, che aveva rice-vuto qualche immagine dai suoi piccoli amici. «Quella montagna compare sullo sfondo.» Si girò da quella parte, sebbene non potesse scorgerla; giac-ché gli alberi la nascondevano. «E non si riferivano neppure a me ed a Ro-

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binton, quando la tempesta ci buttò qui, Ricordavano una barca, Ruth?» chiese Menolly al drago bianco, poi guardò Jaxom, in attesa della risposta.

Nessuno mi aveva detto di chiedere di una barca, rispose lamentoso Ruth. Ma hanno detto di aver visto un uomo e un drago.

«Reagirebbero se... se Tiroth fosse andato in mezzo, Ruth?» Da solo? Alla fine? Sì, non ricordavano la tristezza. Io ricordo la tri-

stezza. Ricordo molto bene il trapasso di Mirath. Il tono del drago bianco era mesto.

Jaxom si affrettò a consolarlo. «C'è andato?» chiese ansiosa Menolly, che non aveva sentito la risposta

di Ruth. «Ruth crede di no. E inoltre, un drago non permetterebbe al suo cavalie-

re di farsi del male. D'ram non può suicidarsi finché Tiroth è vivo. E Tiroth non lo farà finché è vivo D'ram.»

«Quando?» Menolly sembrava sconvolta. «Non sappiamo ancora quan-do.»

«No, non lo sappiamo. Ma se D'ram è rimasto qui abbastanza a lungo perché le lucertole di fuoco lo ricordino, se aveva intenzione di restare come sembra logico, avrebbe dovuto costruirsi una specie di rifugio. In questa parte del mondo piove parecchio. E i fili...» Jaxom si era avviato verso la foresta, per controllare la sua teoria. Poi chiamò: «Ehi, Menolly: i Fili cadono soltanto da quindici Giri. Non sarebbe un balzo troppo lungo per Tiroth. Sono venuti avanti nel tempo a intervalli di venticinque Giti. Scommetterei che quello è il suo quando: prima della caduta dei Fili. D'ram ne ha avuto abbastanza dei Fili, direi.» Jaxom tornò indietro, raccol-se gli abiti e continuò a parlare mentre si rivestiva. Sentiva che le sue ipo-tesi erano esatte. «Direi che D'ram è tornato indietro di venti o venticinque Giri. Proverò allora, per prima cosa. Se vedremo traccia di D'ram o Tiroth, ti prometto che torneremo subito.» Volteggiò sul dorso di Ruth, allaccian-dosi il casco mentre esortava il drago bianco a levarsi in volo.

«Jaxom, aspetta! Non essere così precipitoso..» Le parole di Menolly si persero nel frastuono delle ali di Ruth. Jaxom

sorrise tra sé, vedendola saltellare furiosa sulla sabbia. Si concentrò sul momento temporale in cui voleva balzare: prima dell'alba, con la Stella Rossa lontana a oriente, di un pallido rosa maligno, non ancora pronta ad avventarsi sull'ignaro Pern. Ma Menolly ebbe l'ultima parola. Jaxom sentì una coda avvolgerglisi intorno al collo proprio mentre diceva a Ruth di trasferirsi in mezzo nel tempo.

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Gli parve un attimo lunghissimo, sospeso nel freddo nulla in mezzo. Sen-tì quel gelo insinuarsi nella pelle e nelle ossa riscaldate dal sole generoso. Si fece forza. Poi uscirono nell'aria fresca, e la scintilla rosea della Stella Rossa era bassa all'orizzonte.

«Riesci a sentire Tiroth, Ruth?» Jaxom non riusciva a vedere nella luce crepuscolare di quel nuovo giorno, tanti Giri prima della sua nascita.

Dorme, e dorme anche l'uomo. Sono qui. Traboccante d'euforia, Jaxom disse a Ruth di tornare da Menolly, ma

non troppo in fretta: si raffigurò il sole alto sulle foreste, e fu quello che vide quando Ruth irruppe nel presente, sopra la baia.

Per un momento, non vide Menolly sulla spiaggia. Poi Bella e gli altri due bronzei - era stato Sassetto ad accompagnarlo - apparvero accanto a loro: Bella incendiava l'aria con i suoi commenti furiosi, mentre Tuffolo e Poll cinguettavano ansiosi. Poi Menolly uscì dalla foresta, si piantò le ma-ni sui fianchi e restò a guardare. Jaxom non aveva bisogno di vederla in faccia per capire che era furibonda. Lei continuò a lanciargli occhiatacce mentre Ruth si posava sulla sabbia, preoccupandosi di non far cadere la ragazza.

«Allora?» Menolly era molto carina, pensò Jaxom, con quegli occhi che lanciavano

lampi: ma gli incuteva soggezione. «D'ram era allora. Venticinque Giri fa. Ho usato come guida la Stella

Rossa.» «Sono lieta che tu abbia usato un punto di riferimento costante. Ti rendi

conto che in questo tempo sei rimasto assente per ore?» «Sapevi che non mi era successo niente. Mi avevi mandato dietro Sas-

setto.» «È stato inutile! Sei andato così lontano che Bella non poteva entrare in

contatto con lui. Non sapevamo dove fossi!» Spalancò le braccia, esaspera-ta. «Avresti potuto incontrare gli uomini visti dalle altre lucertole di fuoco. Avresti potuto sbagliare i calcoli e non tornare più.»

«Mi dispiace, Menolly, veramente,» Jaxom era sinceramente pentito: se non altro, per risparmiarsi la sfuriata della ragazza. «Ma non riuscivo a ricordare l'ora di quando siamo partiti, perciò mi sono assicurato che non incontrassimo noi stessi ritornando.»

Menolly si calmò un pochino. «Non c'era bisogno che fossi così pruden-te. Stavo per mandare Bella a chiamare F'lar.»

«Eri preoccupata!»

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«Hai maledettamente ragione!» Menolly si chinò e raccolse il sacco, s'infilò la giubba e calzò il casco. «Tra parentesi, ho trovato i resti di un rifugio, presso un corso d'acqua, laggiù,» disse, buttandogli il sacco. Vol-teggiò con eleganza sul dorso di Ruth, poi si guardò intorno per cercare le sue lucertole di fuoco, che erano sparite. «Se ne sono andate di nuovo.» Lanciò un richiamo, e Jaxom si chinò d'istinto, sentendo un frullo d'ali intorno alla testa.

Menolly le fece sistemare, Bella e Poll sulle sue spalle, Sassetto e Tuffo-lo su quelle di Jaxom. Erano pronti.

Quando emersero sopra il Weyr di Benden, Ruth cantilenò il suo nome. Le lucertole di Menolly pigolarono incerte.

«Vorrei portarvi nel weyr della regina, ma non sarebbe una grande idea. Via, andate da Brekke!»

Mentre le bestiole sparivano, il drago da guardia lanciò un ruggito d'in-dignazione, con le ali protese e il collo arcuato, e gli occhi rossi. Sbalordi-ti, Menolly e Jaxom si voltarono e videro uno sciame di lucertole di fuoco sfrecciare verso di loro.

«Ci hanno seguiti dal Sud, Jaxom. Oh, digli che tornino indietro!» Lo sciame sparì all'improvviso. Volevano solo vedere da dove siamo venuti, spiegò Ruth a Jaxom in to-

no addolorato. «Alla Fortezza di Ruatha, sì. Qui, no!» Non torneranno, rispose triste Ruth. Si sono spaventate. Intanto, l'allarme lanciato dal drago di guardia aveva scosso il Weyr.

Avviliti, Jaxom e Menolly videro Mnementh levarsi sul suo cornicione. Udirono il muggito di Ramoth; prima che il grande bronzeo avesse atterra-to nella Conca, metà dei draghi si mise a urlare. Sul cornicione, accanto a Mnementh, apparvero le figure inconfondibili di Lessa e F'lar.

«Adesso siamo nei guai,» disse Jaxom. «No. Portiamo buone notizie. Pensaci.» «Sono troppo stanco per pensare a qualcosa,» rispose Jaxom, con troppo

calore. Gli prudeva la pelle, probabilmente per la sabbia. O per il troppo sole. Comunque, gli dava fastidio.

Io ho molta fame, disse Ruth, guardando il recinto del Campo del Pasto. Jaxom gemette. «Non posso lasciarti andare a caccia qui, Ruth.» Diede

all'amico una pacca incoraggiante e, notando che F'lar e Lessa li stavano aspettando, si assestò la cintura e la tunica e indicò a Menolly che avrebbe fatto meglio ad andare.

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Non avevano fatto ancora tre passi - e nel frattempo Mnementh aveva girato la testa verso F'lar - quando il Comandante del Weyr parlò a Lessa, e i due cominciarono a scendere la scala. F'lar indicò a Jaxom di mandare Ruth sul Campo del Pasto.

Mnementh è un amico generoso, disse Ruth. Posso mangiare qui. Ho tanta, tanta fame.

«Lascia andare Ruth, Jaxom,» stava gridando F'lar, da lontano. «È gri-gio!»

Ruth era veramente grigio, notò Jaxom; e anche lui si sentiva dello stes-so colore, adesso che l'esaltazione della ricerca si stava attenuando. Con sollievo, segnalò al drago bianco di procedere.

Mentre, insieme a Menolly, si avvicinava ai Comandanti del Weyr, in-spiegabilmente le ginocchia gli si piegarono e barcollò, appoggiandosi alla giovane Arpista. Lei lo sostenne immediatamente, passandogli la mano sotto il braccio.

«Che cos'ha, Menolly? Sta male?» F'lar si affrettò ad aiutarla. «È balzato indietro di venticinque Giri per cercare D'ram. È esausto!» Per qualche attimo, Jaxom non capì più nulla. Ristabilì il contatto con la

realtà quando qualcuno gli accostò alle narici una boccetta dall'odore for-tissimo; i vapori gli schiarirono la mente e l'indussero a scostarsi per non sentire più quel puzzo. Si accorse che era seduto sui gradini del weyr della regina, sostenuto da F'lar e da Menolly, mentre Manora e Lessa gli stavano davanti. Sembravano tutti in ansia.

Uno squittio acuto gli disse che Ruth aveva ucciso la sua preda: strana-mente, si sentì subito meglio.

«Bevi questo, adagio,» ordinò Lessa, mettendogli nelle mani una tazza calda. Era un denso sugo di carne, insaporito d'erbe e alla temperatura giu-sta. Jaxom bevve due lunghe sorsate e aprì la bocca per parlare, ma Lessa, imperiosamente, gli accennò di continuare a bere.

«Menolly ci ha riferito i dati salienti,» fece la Dama dei Weyr, con una smorfia di disapprovazione. «Ma sei sparito per tanto tempo da metterle addosso una gran paura. Come hai fatto a immaginare che D'ram era torna-to indietro di venticinque Giri? Non rispondere subito. Bevi. Sei trasparen-te, e chissà quel che mi direbbe Lytol, se sapesse che questa pazzesca scappata ti ha fatto male.» Lanciò un'occhiataccia al suo compagno. «Sì, ero preoccupato per D'ram, ma non al punto di rischiare una spanna della pelle di Ruth per ritrovarlo, se lui ci tiene tanto a restare irreperibile. E non sono entusiasta di trovarci immischiate le lucertole di fuoco.» Stava bat-

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tendo un piede, e le sue occhiatacce erano divise equamente tra Menolly e Jaxom «Sono ancora convinta che siano delle pesti. Piombano dove non sono desiderate. Immagino che la schiera senza colori distintivi apparsa all'improvviso vi avesse seguiti dal Sud. Non lo approvo.»

«Beh, non posso impedire che seguano Ruth,» disse Jaxom, troppo stan-co per essere prudente. «Non credere che non ci abbia provato!»

«Ne sono sicura, Jaxom,» rispose Lessa in tono più mite. Dal Campo del Pasto giunse una serie di sibili atterriti dei wherry. Vide-

ro Ruth lanciarsi in picchiata per uccidere una seconda preda. «Certo si muove con eleganza,» osservò Lessa, in tono d'approvazione.

«Non fa scappare un intero branco per scegliere. Ce la fai a stare in piedi, Jaxom? Credo proprio che dovresti passare qui la notte. Manda una di quelle tue sciagurate lucertole di fuoco alla Fortezza di Ruatha, Menolly, per avvertire Lytol. Tanto, Ruth impiegherà il suo tempo per digerire, e non permetterò a questo ragazzo di andare in mezzo così sfinito e in groppa a un drago stanco e sazio.»

Jaxom si alzò. «Adesso sto bene, grazie.» «Non puoi star bene, se non ce la fai a reggerti,» disse sbuffando, F'lar,

passando un braccio intorno alle spalle di Jaxom. «Su, al weyr.» «Gli porterò un pasto come si deve,» promise Manora, e si voltò per an-

darsene. «Puoi aiutarmi, Menolly. E manda il tuo messaggio.» Menolly esitò: era chiaro che voleva restare con Jaxom. «Non ho intenzione di mangiarlo, ragazza,» fece Lessa, accennandole di

andare. «E tanto meno di rimproverarlo quando non sta in piedi. Ci pense-rò più tardi. Vieni su al weyr, quando avrai informato Ruatha.»

Jaxom si sentì in dovere di protestare per quelle premure, ma tutti erano convinti che ne avesse bisogno; e prima che fossero arrivati in cima alla scala, dovette appoggiarsi a loro. Mnementh lo guardò gentilmente, mentre Lessa e F'lar lo accompagnavano nel weyr.

Non era la prima volta che Jaxom veniva lì, e mentre lo conducevano nell'angolo che fungeva da soggiorno, si chiese se era il suo destino entrare sempre nel weyr di Ramoth in preda ai rimorsi. Ramoth poteva percepire i suoi pensieri? Gli occhi gemmei della regina si volsero pigramente, sen-z'ombra di agitazione, mentre lui veniva sistemato su una sedia, con uno sgabello poggiapiedi. Lessa gli drappeggiò addosso una pelliccia, mormo-rando che doveva guardarsi dal prendere freddo dopo un simile sforzo, poi lo fissò attentamente. Gli mise una mano sotto il mento e gli girò un poco

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la testa, poi seguì con la punta di un dito la linea della cicatrice lasciata dai Fili.

«Dove te la sei procurata, Nobile Jaxom?» chiese in tono aspro, costrin-gendolo a guardarla negli occhi.

F'lar, allarmato da quel tono, tornò accanto al tavolo con il vino e le coppe che aveva preso dallo stipo a muro.

«Procurata che cosa? Oh-oh, il giovanotto ha addestrato il suo drago a masticare le pietre focaie, ma non a schivare i Fili!»

«Pensavo fosse stabilito che Jaxom sarebbe rimasto Signore di Ruatha.» «Pensavo che avessi promesso di non rimproverarlo,» rispose F'lar striz-

zando l'occhio al giovane. «Per essersi spostato nel tempo. Ma questo...» Lessa indicò sdegnata Ja-

xom. «Questo è diverso.» «Davvero, Lessa? chiese F'lar in un tono che mise in imbarazzo Jaxom.

Sembrava che si fossero dimenticati di lui. «Mi sembra di ricordare una ragazza che desiderava disperatamente far volare la sua regina.»

«Volare non era pericoloso. Ma Jaxom potrebbe...» «Jaxom ha imparato evidentemente la lezione. Non è così? Per quando

riguarda le schivate, voglio dire.» «Sì, signore. N'ton mi ha accolto tra gli allievi di Fort.» «Perché non sono stata informata?» chiese Lessa. «L'addestramento di Jaxom è affidato alla responsabilità di Lytol, e non

possiamo obiettare. Per quanto riguarda Ruth, direi che anche lui rientra nella giurisdizione di N'ton. Da quanto tempo continua la cosa, Jaxom?»

«Non da molto, signore, L'ho chiesto a N'ton perché... ecco...» A questo punto, la coscienza di Jaxom s'intromise. Soprattutto, Lessa non doveva sospettare che fosse stato lui a restituire quel maledetto uovo.

F'lar s'intromise. «Perché Ruth è un drago, e i draghi dovrebbero com-battere i Fili con le pietre focaie. Giusto?» Scrollò le spalle, guardando Lessa. «Che cosa ti aspettavi? Ha sangue ruathano, come te. Basta che serbi intatta la sua pelle e quella di Ruth.»

«Non abbiamo ancora volato in una Caduta,» ammise Jaxom, e mentre parlava, si rese conto del risentimento che echeggiava nella sua voce.

F'lar gli batté amichevolmente il pugno sulla spalla. «È un ragazzo a posto, Lessa: smettila di protestare. Se si è scottato una

volta, è meno probabile che corra il rischio di rifarlo. Ruth è stato ferito?» «Sì!» L'angoscia di quell'esperienza era evidente nell'ammissione del

giovane.

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F'lar rise e agitò un dito in direzione di Lessa, che stava ancora guardan-do male Jaxom. «Ecco! È il miglior deterrente del mondo. Ruth non è stato ferito gravemente, vero? Non posso dire di avervi visti spesso, in questi ultimi tempi...» F'lar si voltò verso il Campo del Pasto, come se volesse chiamare il drago bianco.

«No,» disse subito Jaxom, e F'lar sogghignò di nuovo nel sentire il tono di sollievo della sua risposta. «È guarito bene. La cicatrice si vede appena. Sulla coscia sinistra.»

«Non posso affermare che questo mi rallegri,» fece Lessa. «Avremmo dovuto chiedertelo, Dama del Weyr,» cominciò Jaxom, non

del tutto sinceramente. «Ma c'erano già tanti guai, allora...» «Beh...» cominciò lei. «Beh,» le fece eco F'lar. «Per la verità non spetta a te decidere, Lessa;

ma tu capisci, Jaxom, che sarebbe una cosa grave se venissi ferito seria-mente proprio ora. Non possiamo permetterci di avere una Fortezza in di-scussione.»

«Me ne rendo conto.» «E inoltre, temo, non è prudente insistere per farti confermare Signore

della Fortezza...» «Non voglio che Lytol se ne vada, signore. Né adesso né mai.» «La tua lealtà ti fa onore, ma non riesco a capire l'ambiguità della tua

posizione. Non è mai facile essere pazienti, amico mio, ma la pazienza può essere premiata.»

Ancora una volta, Jaxom si sentì imbarazzato nel notare lo sguardo che si scambiavano Lessa e F'lar.

«E poi,» continuò con maggiore vivacità il Comandante del Weyr, come se si accorgesse del disagio del giovane, «oggi hai già dimostrato il tuo spirito d'iniziativa, anche se, credimi, riavrei dato istruzioni più esplicite se avessi saputo che saresti stato così meticoloso.» L'espressione di F'lar era severa, ma Jaxom si scoprì a sorridere, sollevato. «Un balzo di venticinque Giri...» Il Comandante del Weyr era sgomento e impressionato.

Lessa sbuffò. «Sono stati i tuoi balzi, Lessa, a farmi venire l'idea,» disse Jaxom, e

quando vide l'espressione sbalordita di lei, spiegò. «Ricordi, tu venisti a-vanti a balzi di venticinque Giri quando portasti qui gli Antichi. Perciò ho ritenuto probabile che D'ram tornasse indietro di un intervallo eguale. Gli lasciava abbastanza tempo, prima del Passaggio, per non doversi preoccu-pare della Caduta dei Fili.»

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F'lar annuì con fare d'approvazione, e Lessa sembrò un po' placata. Ramoth girò la testa verso l'ingresso. «Sta arrivando il tuo pasto,» fece Lessa, sorridendo. «Non parlare più,

prima d'aver finito di mangiare. Ruth ti ha preceduto; ha appena abbattuto il terzo wherry, dice Ramoth.»

«Non stare a preoccuparti per un uccello o tre o quattro,» disse F'lar, perché Jaxom era trasalito a quella rivelazione dell'appetito del suo drago. «Il Weyr può permetterselo.»

Menolly entrò, ansimando per la salita e - a giudicare dal sudore che le imperlava la fronte - per la fretta. Quando Lessa esclamò che aveva portato abbastanza cibo per sfamare una squadriglia da combattimento, Menolly rispose che Manora aveva detto che era quasi il momento della cena, e che potevano mangiare tutti nel weyr.

Se quella mattina qualcuno avesse detto a Jaxom che avrebbe cenato con i Comandanti del Weyr di Benden, gli avrebbe risposto male. Nonostante le assicurazioni di Mnementh e di Ramoth che gli venivano riferite, non volle mettersi tranquillo a mangiare prima di aver dato un'occhiata a Ruth. Perciò Lessa gli permise di andare sul cornicione a guardare il drago bian-co intento a forbirsi in riva al lago. Quando Jaxom tornò a sedersi a tavola, si accorse di tremare, e si buttò sull'arrosto per recuperare le energie.

«Ripetimi un po' quello che hanno detto le lucertole di fuoco a proposito degli uomini,» chiese più tardi F'lar, mentre indugiavano a tavola.

«Non sempre si riesce a ottenere spiegazioni dalle lucertole di fuoco,» disse Menolly, dopo aver dato un'occhiata a Jaxom per controllare se pre-feriva essere lui a rispondere. «Sì sono agitate tanto, quando Ruth ha chie-sto se ricordavano degli uomini, che le loro immagini non avevano senso. Anzi...» Menolly s'interruppe, aggrottando le sopracciglia. «Le immagini erano così diverse che non si vedeva molto.»

«E perché mai le immagini erano diverse?» chiese la Dama del Weyr in-teressata nonostante la sua attuale ostilità verso le lucertole di fuoco.

«In generale, un gruppo fornisce un'immagine specifica...» Jaxom trasse un profondo respiro: Menolly non poteva essere così scioc-

ca da parlare delle visioni dell'uovo. «Hanno riecheggiato la caduta di Canth dalla Stella Rossa. I miei piccoli

amici spesso mi portano immagini piuttosto chiare dei luoghi dove sono stati, e credo che l'una rafforzi l'altra.»

«Uomini!» disse pensieroso F'lar. «Potevano riferirsi soltanto ad uomini che si trovano altrove, nel Sud. È un continente immenso.»

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«F'lar!» Il tono di Lessa era brusco, ammonitore. «Non andrai a esplora-re il Continente Meridionale! E potrei ricordarti che, se là ci fossero uomi-ni, da qualche parte, sicuramente si sarebbero avventurati abbastanza a settentrione perché F'nor li vedesse, prima o poi, quando era al Sud... o perché li vedessero i gruppi di Toric. E ci sarebbe stata qualche altra trac-cia, oltre ai ricordi inattendibili di alcune lucertole di fuoco.»

«Hai ragione, Lessa,» rispose F'lar. Sembrava così deluso che Jaxom comprese, per la prima volta, che quella di Comandante del Weyr di Ben-den e Primo Dragoniere di Pern poteva essere una carica meno invidiabile di quanto lui avesse immaginato.

In quegli ultimi tempi gli era accaduto spesso di scoprire che le cose non erano come sembravano. Tutto aveva sfaccettature nascoste. Credevi di avere in pugno quel che desideravi e, quando guardavi bene, era diverso da ciò che ti era parso da lontano. Come insegnare al tuo drago a masticare le pietre focaie... ed essere sorpreso a farlo, come era capitato a lui, in un certo senso. Adesso doveva esercitarsi sul serio con gli allievi di N'ton, e andava benissimo, ma non era quel che voleva lui... volare altissimo, in una squadriglia del Weyr di Fort, in modo che quelli della sua Fortezza noto sapessero neppure che era là!

«Il problema, Jaxom, è che noi...» F'lar indicò Lessa, se stesso e tutto il Weyr, «abbiamo altri piani per il Sud... prima che i Signori delle Fortezze incomincino a spartirlo tra i loro figli cadetti.» Si scostò i capelli dalla fronte. «Abbiamo imparato una lezione importante dagli Antichi. E so che cosa succede ad un Weyr durante un Lungo Intervallo.» F'lar rivolse un gran sorriso a Jaxom. «Ci siamo dati da fare a proteggere il terreno disse-minando bruchi. Prima del prossimo Passaggio della Stella Rossa, tutto il Continente Settentrionale,» e il gesto del Comandante del Weyr fu ancora più ampio, «sarà disseminato di bruchi. E finalmente sarà al sicuro dai Fili che si rintanano nel suolo. Se le Fortezze pensavano già prima che i drago-nieri fossero superflui, allora avranno ancora un motivo di più per affer-marlo.»

«La gente si sentirà sempre più sicura vedendo i draghi che bruciano i Fili,» si affrettò a dichiarare Jaxom, per lealtà, anche se, a giudicare dalla sua espressione, il Comandante del Weyr non aveva bisogno di essere tranquillizzato.

«È vero, ma preferirei che i Weyr non avessero più bisogno della gene-rosità delle Fortezze. Se avessimo terre nostre a sufficienza...»

«Voi volete il Sud!»

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«Non tutto.» «Solo la parte migliore,» disse Lessa con fermezza.

XI

Mattina inoltrata al Weyr di Benden Prima mattina alla Sede dell'Arte degli Arpisti Mezzogiorno alla Tenuta di Fidello 15.7.5. Jaxom e Ruth trascorsero la notte in un weyr vuoto, ma Ruth si sentiva a

disagio su un giaciglio adatto a un drago normale, e Jaxom prese le sue pellicce e andò a raggomitolarsi accanto all'amico. Aveva la sensazione di doversi strappare a forza da un morbido abisso nero, che gli dispiaceva abbandonare.

«So che devi essere sfinito, Jaxom, ma devi svegliarti!» La voce di Me-nolly penetrò in quella piacevole oscurità. «E poi, ti farai venire il torcicol-lo, a dormire in quel modo.»

Menolly era capovolta, pensò Jaxom quando aprì gli occhi. Bella stava in equilibrio precario, con le zampe posteriori sulla spalla della ragazza, le zampe anteriori sul suo petto, e lo sbirciava ansiosamente. Sentì Ruth che si muoveva.

«Jaxom, sveglia! Ti ho portato tutto il klah che puoi riuscire a bere!» Comparve anche Mirrim. «Ma F'lar ha fretta di andare, e vuole che prima Mnementh parli con Ruth.»

Menolly strizzò solennemente l'occhio a Jaxom, girandosi un po' perché Mirrim non se ne accorgesse. Jaxom gemette, perché non riusciva mai a ricordare bene quel che doveva restare un segreto e chi poteva esserne in-formato. Gemette di nuovo perché aveva veramente il collo indolenzito.

Ruth socchiuse appena appena la palpebra interna e guardò tristemente il suo cavaliere. Sono stanco. Ho bisogno di dormire.

«Non puoi continuare a dormire, adesso. Mnementh ha bisogno di par-larti.»

Perché non mi ha parlato ieri sera? «Perché oggi, probabilmente, non avrebbe ricordato più nulla.» Ruth alzò la testa e girò un occhio verso Jaxom. Mnementh lo ricorde-

rebbe. È il drago più grosso di tutto Pern. «Ti è simpatico solo perché ha lasciato che t'ingozzassi sul suo Campo

del Pasto. Ma vuol parlare con te, quindi deciditi. Sei sveglio?

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Se posso parlare con te, non sto sognando. Sono sveglio. «Sei molto baldanzoso, oggi,» disse Jaxom. Con uno scatto, si alzò dal

letto improvvisato. Trascinandosi addosso le pellicce, si avviò incespican-do verso il tavolo, dove Menolly e Mirrim s'erano educatamente ritirate. L'odore del klah era gradevole, e ringraziò le due ragazze.

«Che ora è?» «Metà mattina, tempo di Benden,» rispose Menolly, impassibile: ma i

suoi occhi brillavano mentre sottolineava leggermente quelle ultime tre parole.

Jaxom grugnì. Udirono gli scricchiolii, i gemiti e i brontolii di Ruth che si stirava per prepararsi ad affrontare la giornata.

«Quando sei stato colpito dai Fili, Jaxom?» chiese Mirrim, con la sua a-bituale franchezza. Si sporse, seguendo la cicatrice con un dito, leggermen-te, stringendo le labbra con aperta disapprovazione per lo sfregio.

«Mentre insegnavo a Ruth a masticare le pietre focaie. Al Weyr di Fort,» aggiunse, dopo una pausa maliziosa, quando vide che lei si accingeva a rimproverarlo.

«Lessa lo sa?» chiese Mirrim, sottolineando l'ultima parola. «Sì,» rispose Jaxom. Che Mirrim digerisse quella verità. Ma quella ra-

gazza non voleva saperne di lasciar perdere. Non posso avere una grande opinione dell'istruttore degli allievi di

N'ton,» disse, impettita. «Lasciare che venissi sfregiato così!» «Non è stata colpa sua,» borbottò Jaxom, masticando un boccone di pa-

ne. «E Lytol non era furioso? Tu non puoi correre simili rischi.» Jaxom scosse energicamente la testa. Avrebbe preferito che Menolly non

avesse portato con sé Mirrim. «E proprio non riesco a capire a cosa ti servirà. Non puoi pensare di an-

dare in combattimento insieme a Ruth.» Per poco, Jaxom non si soffocò. «Andrò in combattimento insieme a

Ruth, Mirrim.» «Lo ha già fatto,» commentò Menolly, indicando la cicatrice lasciata dal

Filo. «E adesso chiudi il becco e lascia mangiare quest'uomo.» «Uomo?» La voce di Mirrim assunse un tono di derisione, e lo sguardo

che lanciò a Jaxom fu bruciante. Menolly proruppe in uno sbuffo esasperato. «Se Path non si leverà pre-

sto nel volo nuziale, Mirrim, diventerai insopportabile per chiunque!» Sorpreso, Jaxom guardò Mirrim, che era arrossita violentemente.

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«Oh-oh. Path è pronta al volo nuziale! Questo dovrebbe farti passare certe idee.» Jaxom non seppe resistere alla tentazione di ridere dello sgo-mento di lei. «Path ha dimostrato qualche preferenza? Ah! Guarda come arrossisce! Non avrei mai creduto che un giorno avresti perso la lingua! E presto perderai anche qualcosa d'altro. Spero che sia il volo più folle che ci sia mai stato a Benden, da quando Mnementh accompagnò Ramoth per la prima volta!»

Mirrim esplose, con gli occhi socchiusi per la collera, i pugni sui fianchi. «Almeno la mia Path avrà il suo volo nuziale! E questo è più di quanto potrai mai avere tu, con quel tuo bianco rachitico!»

«Mirrim!» La voce tagliente di Menolly la fece rabbrividire ma non in tempo per stroncare la replica rabbiosa che affondò gelida nella mente di Jaxom. Fissò Mirrim, cercando di trovare le parole per respingere quell'in-sinuazione. «Stai esagerando, Mirrim,» disse Menolly. «Credo che faresti meglio ad andartene.»

«Puoi star certa che me ne vado. E non m'importa se anche dovrai scen-dere da questo weyr aggrappandosi alle rocce, Menolly. Proprio non m'im-porta.» E la ragazza uscì correndo.

«Schegge e Gusci, sarà un vero sollievo quando quella sua verde si leve-rà per il volo nuziale. E magari potrebbe essere anche oggi, a giudicare dal modo in cui reagisce Mirrim.» Menolly parlava in tono disinvolto, quasi ridendo del comportamento dell'amica.

Jaxom deglutì, per cancellare l'aridità che sentiva in bocca. Rigidamente, dominò l'intensa reazione emotiva, per Ruth. Uno sguardo di sottecchi al drago bianco gli mostrò che quello si stava ancora stirando per sgranchirsi le ali e le zampe. Jaxom si augurò che Ruth fosse ancora troppo insonnoli-to per capire quello che avevano detto. Si piegò verso Menolly.

«Sai niente di...» Indicò Ruth con un cenno del capo. «Che io non sap-pia?»

«Di Path?» Volutamente, Menolly equivocò il suo cenno. «Beh, se non hai mai visto un cavaliere reagire a un drago suscettibile, Mirrim te ne ha appena offerto un esempio classico.»

Path è un drago ben cresciuto, disse pensieroso Ruth. Jaxom gemette, coprendosi la faccia con una mano; avrebbe dovuto immaginarlo che a Ruth sfuggivano ben poche cose.

Menolly gli batté imperiosamente sulla mano, esigendo con gli occhi una spiegazione.

«Ti piacerebbe volare con Path?» chiese Jaxom a Ruth, fissando Me-

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nolly negli occhi. Perché dovrei volare con lei? L'ho già battuta in volo in tutte le gare

che abbiamo fatto a Telgar. È meno veloce di me. Jaxom ripeté esattamente a Menolly quel che aveva detto Ruth, cercando

di imitare il più possibile il tono perplesso del drago. Menolly scoppiò a ridere. «Oh, come vorrei che Ruth l'avesse detto in

presenza di Mirrim! Le avrebbe fatto abbassare un po' la cresta.» Mnementh vuole parlarmi, disse Ruth in tono di profondo rispetto, al-

zando la testa e girandosi verso il cornicione del grande bronzeo. «Tu sai qualcosa che io non so? Sul conto di Ruth?» chiese Jaxom in un

bisbiglio convulso, afferrando Menolly per la mano, per tirarla più vicina. «Lo hai sentito, Jaxom.» Gli occhi di Menolly brillavano per il diverti-

mento. «I draghi non gli interessano da quel punto di vista, per ora.» Jaxom le strinse con forza la mano. «Prova a ragionare, Jaxom,» disse lei. «Ruth è piccolo, e matura più len-

tamente degli altri draghi.» «Vuoi dire che forse non sarà mai abbastanza maturo per accoppiarsi,

vero?» Menolly lo guardò con fermezza; Jaxom la scrutò negli occhi, cercando-

vi pietà o evasività, e non trovò né l'una né l'altra. «Jaxom, non ti diverti con Corana?»

«Sì.» «Sei sconvolto. Non credo che tu ne abbia il motivo. Non ho mai sentito

niente che possa darti fonte di preoccupazione. Solo che Ruth è ecceziona-le.»

Ho detto a Mnementh quello che voleva sapere. Adesso loro vanno, dis-se Ruth. Credi che potrei andare a fare il bagno nel lago?

«Non hai sguazzato abbastanza ieri nella baia? Con sollievo, Jaxom si accorse che stava rispondendo con calma al suo drago.

È stato ieri, rispose tranquillo Ruth. Ma poi ho mangiato e ho dormito sulla polvere. E credo che anche tu abbia bisogno di fare un bagno.

«E va bene, va bene,» rispose Jaxom. «Vai pure, allora. Ma non farti ve-dere da Lessa in compagnia delle lucertole di fuoco.»

E come farò a pulirmi a dovere la schiena? chiese Ruth in tono di blan-do rimprovero. Scese dal suo giaciglio di roccia.

«Che cos'ha?» domandò Menolly, sorridendo dell'espressione di Jaxom. «Vuol farsi pulire la schiena.» «Ti manderò i miei amici, Ruth, appena sarai al lago. Lessa non se ne

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accorgerà.» Ruth, che si stava avviando all'entrata del weyr, si fermò e inclinò la te-

sta, riflettendo. Poi inarcò il collo e avanzò, sicuro. Sì Mnementh è andato, e Ramoth è con lui. Non sapranno che farò un bagno vero, con le lucertole di fuoco per pulirmi per bene le creste.

Jaxom non seppe trattenere una risata per l'orgogliosa soddisfazione del tono di Ruth, mentre il drago usciva dal weyr.

«Mi dispiace di averti inflitto la presenza di Mirrim, Jaxom, ma non po-tevo arrivare fin quassù senza Path. E senza di lei.»

Jaxom bevve una lunga sorsata di klah. «Immagino che se Path è nervo-sa, lei sia giustificata.»

«Mirrim lo è sempre, in un modo o nell'altro.» Il tono di Menolly era a-cido.

«Eh?» «Mirrim, di solito, si fa perdonare il comportamento più scandaloso...» Un pensiero improvviso indusse Jaxom ad interrompere bruscamente la

giovane Arpista. «Non credi che Mirrim fosse entrata di nascosto nel Ter-reno prima di quella Schiusa? So che giura di non averlo fatto, ma so an-che che non avrebbe dovuto imprimere lo Schema...»

«Non più di te! Oh, santo cielo, Jaxom, non posso prenderti in giro? No, non credo che abbia cercato di influenzare Path nel guscio. Aveva le sue lucertole di fuoco e se ne accontentava. Chi non sarebbe contento, con tre? E poi, tu sai senza dubbio com'era furiosa Lessa, dopo che Mirrim aveva impresso a Path lo Schema dell'Apprendimento. Beh, nessuno si fece avan-ti, allora, a dire di aver visto Mirrim sgattaiolare nel Terreno della Schiusa. Mirrim può essere autoritaria, priva di tatto, difficile e insopportabile, ma non è subdola. Non eri presente alla Schiusa? Oh, beh, io c'ero. Path si diresse barcollando verso il punto dove stava seduta Mirrim, gridando di-speratamente e rifiutando tutti i candidati presenti sul Terreno, fino a quando F'lar fu costretto ad ammettere che Path voleva qualcuno seduto tra gli spettatori.»

Menolly scrollò le spalle. «E quel qualcuno era Mirrim. Stranamente, le sue lucertole di fuoco non hanno mai obiettato. No, credo che l'abbinamen-to fosse... beh, predestinato come quello fra te e Ruth. Non come la mia acquisizione di Poll. Come se avessi avuto bisogno di un'altra lucertola di fuoco.» Fece una smorfia ironica. «Ma il guscio si è spaccato proprio men-tre lo stavo passando a quell'imbranato del figlio del Nobile Groghe. Lui non ha mai dato la colpa a me, e il bambino ha avuto un verde. Un bronzeo

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sarebbe stato sprecato per quel marmocchio!» Jaxom puntò l'indice contro Menolly. «Stai divagando! Che cosa mi na-

scondi? Cosa sai sul conto di Ruth che io non so?» L'Arpista lo guardò direttamente negli occhi. «Io non so niente, Jaxom.

Ma a giudicare da quello che mi hai riferito tu stesso pochi minuti fa, Ruth ha accolto l'annuncio dell'imminente accoppiamento di Path con l'entusia-smo di un allievo cui venga ordinato di cambiare gli stoppini delle lampa-de.»

«Questo non significa...» «Non significa niente. Quindi non metterti sulla difensiva. Ruth sta ma-

turando lentamente. Non devi pensare altro... soprattutto quando sei con Corana.»

«Menolly!» «Non urlare! O perderai tutto il beneficio del riposo di questa notte. Eri

sfinito!» Gli mise una mano sul braccio e strinse. «Non voglio sapere di Corana. Sto solo facendo un commento, anche se forse tu non sei capace di afferrare la distinzione.»

«Secondo me, la Fortezza di Ruatha non riguarda gli Arpisti,» disse Ja-xom, digrignando i denti per trattenere le parole che gli salivano alle lab-bra.

«Tu, Jaxom, cavaliere del bianco Ruth, riguardi gli Arpisti... non il gio-vane Jaxom, Signore di Ruatha.»

«Ecco che ricominci a fare distinzioni.» «Sicuro, Jaxom.» E sebbene il tono di Menolly fosse serio, gli occhi

brillavano. «Quando Jaxom influisce su ciò che accade a Pern, riguarda gli Arpisti.»

Jaxom la fissò, ancora sconcertato del suo silenzio circa la restituzione dell'uovo. Poi captò la strana espressione ammonitrice nei suoi occhi. Per qualche ragione a lui incomprensibile, Menolly non voleva che confermas-se quell'avventura.

«Tu sei personaggi diversi nello stesso tempo, Jaxom,» proseguì lei. «Il Signore di una Fortezza che non può diventare oggetto di contese, il cava-liere di un drago eccezionale ed un giovane che non sa bene chi o cosa dovrebbe essere. Ma sai, tu puoi essere tutto questo e anche di più, senza tradire nessuno, neppure te stesso.»

Jaxom sbuffò. «E questo chi lo dice? L'Arpista, o Menolly l'impiccio-na?»

Menolly scrollò le spalle e fece una smorfia che non era né un sorriso né

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una smentita. «Un po' l'Arpista, perché non posso guardare la realtà senza pensare da Arpista, ma soprattutto Menolly, credo, perché non voglio ve-derti sconvolto. Soprattutto dopo l'impresa che hai compiuto ieri!» Non c'erano riserve, nel calore del suo sorriso.

Lo sciame delle sue lucertole di fuoco sfrecciò nel weyr. Jaxom dominò il fastidio per quell'interruzione, perché avrebbe preferito che Menolly continuasse a parlare, dato che era d'umore insolitamente espansivo. Ma le lucertole di fuoco erano eccitate e, prima che la ragazza riuscisse a calmar-le abbastanza per scoprirne la causa, Ruth rientrò nel weyr, con gli occhi che gli brillavano d'una miriade di colori.

D'ram e Tiroth sono qui, e tutti sono agitati, disse Ruth, tendendo il mu-so per farsi accarezzare. Jaxom l'accontentò, e continuò a grattare le arcate sopraciliari, bagnate dopo la nuotata. Mnementh è molto fiero di sé. C'era una nota di rammarico in quel commento.

«Beh, Mnementh non avrebbe potuto riportare indietro D'ram e Tiroth senza il tuo aiuto, Ruth,» rispose con fermezza Jaxom. «Non è così, Me-nolly?»

Io non avrei potuto trovare D'ram e Tiroth senza l'aiuto delle lucertole di fuoco, osservò garbatamente Ruth. E sei stato tu ad avere l'idea di tor-nare indietro di venticinque Giri.

Menolly, che non aveva potuto sentire l'ultimo commento di Ruth, sospi-rò.

«Per la verità, dobbiamo di più alle lucertole di fuoco del Continente Meridionale.»

«È appunto quel che ha detto Ruth...» «I draghi sono persone oneste!» Con un profondo respiro, Menolly si al-

zò. «Andiamo, amico mio. Io e te faremo bene a tornare a casa. Abbiamo fatto quel che dovevamo. E l'abbiamo fatto bene. È l'unica soddisfazione che ne ricaveremo, probabilmente.» Gli lanciò un'occhiata divertita. «Non è vero?» E riprese il sacco. «Certe cose dovranno restare così. Giusto?»

Lo prese a braccetto, facendolo alzare e sorridendo con un'aria da cospi-ratrice che, stranamente, dissipò il risentimento che Jaxom incominciava a provare.

Quando uscirono sul cornicione, videro un gran movimento intorno al weyr della regina: cavalieri e donne salite dalle Caverne Inferiori arrivava-no a frotte per salutare D'ram ed il suo bronzeo.

«Devo ammetterlo: è bello lasciare Benden quando tutti sono di buon umore, una volta tanto,» disse Menolly, mentre Ruth li portava in volo.

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Jaxom prevedeva di lasciare Menolly alla Sede dell'Arpista e di tornare a Casa. Non appena Ruth si fu annunciato al drago di guardia sulle alture dei fuochi, Zair ed una piccola regina con i colori degli Arpisti si aggrapparo-no con gli artigli al collo di Ruth.

«Quella è Kimi, di Sebell. È tornato!» C'era un tono esultante, nella voce di Menolly, quale Jaxom non aveva mai udito.

Il drago di guardia dice che l'Arpista vuole vederci. E lo dice anche Zair, riferì Ruth a Jaxom. E intende anche me, aggiunse con una nota di compiaciuta sorpresa.

«E perché l'Arpista non dovrebbe volerti vedere, Ruth? Lui sa riconosce-re i tuoi meriti,» fece Jaxom, covando ancora un po' di risentimento, men-tre batteva affettuosamente la mano sul collo arcuato. Ruth aveva girato la testa per scegliere un posto dove atterrare nel cortile.

Il Maestro Robinton ed un uomo che portava il fiocco di Maestro sulla spalla scesero in fretta la scalinata della Sede. Robinton tese le braccia e strinse Menolly e Jaxom con un entusiasmo che quasi imbarazzò il giova-ne. Poi, con sua grande sorpresa, l'altro Arpista strappò Menolly alla stretta di Robinton e cominciò a farla volteggiare, baciandola con trasporto. Inve-ce di protestare per il modo in cui veniva trattata la loro amica, le lucertole di fuoco si lanciarono in spettacolose manovre aeree, intrecciando i colli e sovrapponendo le ali. Jaxom sapeva che raramente le lucertole regine sop-portavano il contatto fisico di altare regine, ma Bella e l'aurea dello scono-sciuto vi si abbandonavano con lo stesso slancio di Menolly e di quell'uo-mo. Quando Jaxom guardò Robinton per scoprire come reagiva ad un si-mile eccesso, si stupì nel vedere che sorrideva con orgoglio compiaciuto, un'espressione che mutò rapidamente quando notò l'occhiata del giovane.

«Vieni, Jaxom. Menolly e Sebell hanno parecchie cose da raccontarsi, e io voglio sentire la tua versione della scoperta di D'ram.»

Mentre Robinton guidava Jaxom verso la Sede, Menolly gridò e si liberò dalle braccia di Sebell; ma Jaxom notò che continuava a tenere per mano il nuovo venuto, mentre avanzava verso Robinton con un passo esitante. «Maestro?»

«Cosa?» Robinton si finse sbalordito. «Sebell non ha diritto ad un po' del tuo tempo, dopo un'assenza tanto lunga?»

Per Jaxom fu una soddisfazione vedere Menolly in preda all'incertezza e alla confusione. Sebell sorrideva.

«Prima ascolta quello che ha da dirti lui, ragazza,» disse Robinton, più gentilmente. «Io mi farò informare da Jaxom.»

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Voltandosi a guardare i due mentre Robinton lo faceva entrare nella Se-de, Jaxom vide che si tenevano allacciati per la vita, con le teste accostate. Le loro lucertole di fuoco volteggiavano nell'aria, seguendoli mentre si avviavano lentamente verso il prato oltre la Sede dell'Arpista.

«Hai riportato D'ram e Tiroth?» chiese Robinton. «Li ho trovati. I Comandanti del Weyr di Benden li hanno riportati in-

dietro questa mattina, tempo di Benden.» Robinton esitò, e per poco non mise un piede in fallo sull'ultimo gradino,

mentre conduceva Jaxom nel suo alloggio. «Ma erano in quella baia, vero? Proprio come avevo immaginato.»

«Venticinque Giri fa.» Senza bisogno di altre sollecitazioni, Jaxom riferì l'avventura dall'inizio. Il suo ascoltatore era più attento e comprensivo di quanto si fossero mostrati Lessa e F'lar, e Jaxom cominciò ad apprezzare quel ruolo cui non era abituato.

«Uomini?» L'Arpista, che stava oziando sul suo seggio, con un piede sul tavolo, si scosse di colpo. Il tacco batté, risonando, sul pavimento di pietra. «Avevano visto uomini?»

Jaxom si sentì sconcertato. Mentre i Comandanti del Wev s'erano mo-strati allarmati e scettici, il Maestro Arpista si comportava quasi come se si fosse aspettato quella notizia.

«Ho sempre sostenuto che proveniamo dal Continente Meridionale,» disse Robinton, parlando soprattutto a se stesso. Poi accennò di continuare.

Jaxom obbedì, ma ben presto si occorse che l'Arpista non gli prestava in-teramente attenzione, sebbene annuisse e gli rivolgesse qualche domanda di tanto in tanto. Jaxom riferì che lui e Menolly erano tornati sani e salvi a Benden, ricordò di accennare alla sua gratitudine nei confronti di Mne-menth che aveva permesso a Ruth di mangiare. Poi tacque, chiedendosi come poteva fare a rivolgere lui una domanda all'Arpista; ma Robinton era immerso nelle sue riflessioni.

«Ripetimi tutto ciò che hanno detto le lucertole di fuoco a proposito di quegli uomini,» chiese l'Arpista, tendendosi verso di lui, fissandolo, con i gomiti appoggiati sul tavolo. Sulla sua spalla, Zair gli fece eco con una nota interrogativa.

«Non hanno detto molto, Maestro Robinton. Questo è il guaio! Erano così agitate che quel che dicevano non aveva molto senso. Probabilmente, Menolly sarà in grado di spiegarsi meglio, perché aveva con sé Bella e i tre bronzei. Ma...»

«Cos'ha detto Ruth?»

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Jaxom scrollò le spalle, conscio che le sue risposte parziali erano inade-guate.

«Ha detto che le immagini erano troppo confuse, anche se riguardavano tutte gli uomini, i loro uomini. E noi, io e Menolly, non eravamo gli uomi-ni che intendevano loro.»

Jaxom prese la caraffa di klah, per placare l'arsura. Riempì cortesemente una tazza anche per l'Arpista che ne bevve distrattamente metà, immerso nei suoi pensieri.

«Uomini,» ripeté il Maestro Robinton, schioccando la lingua. Si alzò in piedi con un movimento fluido, mentre Zair strillava, piantando le unghie per non perdere l'equilibrio. «Uomini, e tanto tempo fa che le immagini conservate dalle lucertole di fuoco sono vaghe. Molto interessante, molto interessante davvero.»

Cominciò a camminare avanti e indietro, accarezzando Zair che cinguet-tava in tono di rimprovero.

Jaxom guardò dalla finestra Ruth che prendeva il soie nel cortile, cir-condato dalle lucertole di fuoco locali. Ascoltò pigramente il coro degli Arpisti, chiedendosi perché interrompevano tanto spesso la Ballata, dato che non riusciva a notare stonature. La brezza che entrava dalla finestra era gradevole, addolcita dai profumi dell'estate. Si sentì riportare bruscamente alla realtà quando la mano di Robinton gli strinse la spalla.

«Ti sei comportato benissimo, ragazzo mio, ma adesso faresti meglio a tornare a Ruatha. Sei quasi addormentato. Il balzo nel tempo ti ha sfinito più di quanto tu ti renda conto.»

Mentre accompagnava Jaxom nel cortile, Robinton si fece ripetere anco-ra una volta la conversazione con le lucertole di fuoco. Stavolta, l'Arpista annuì ad ogni punto, come per assicurarsi che avrebbe ricordato esattamen-te.

«Il fatto che tu abbia trovato D'ram e Tiroth sani e salvi, Jaxom, è ancora il dettaglio meno importante, secondo ma. Sapevo che avrei fatto bene a rivolgermi a te e a Ruth. Non stupirti se chiederò ancora il tuo aiuto a que-sto proposito, con il permesso di Lytol, naturalmente.»

Dopo avergli stretto amichevolmente il braccio, Robinton si tirò indietro per lasciarlo montare su Ruth, mentre le lucertole di fuoco strepitavano, deluse per la brevità della visita del loro amico. Quando Ruth, obbediente, si levò in volo, Jaxom agitò il braccio in un allegro saluto al Maestro Arpi-sta. Poi girò lo sguardo verso il fiume, cercando Menolly e Sebell. Era irritato con se stesso perché voleva sapere dov'erano... e irritato ancora di

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più perché, quando li scorse, l'intimità del loro atteggiamento gli confermò l'esistenza di un legame che non aveva neppure sospettato.

Non tornò direttamente alla Fortezza di Ruatha. Lytol non lo aspettava ad un'ora precisa. Non vedeva in volo altre lucertole di fuoco che avrebbe-ro potuto fare la spia, perciò chiese a Ruth di portarlo alla Tenuta del Pia-noro. Ruth acconsentì gaiamente, e Jaxom si chiese se per caso il drago bianco lo conosceva meglio di quanto si conoscesse lui stesso.

Era quasi mezzogiorno nella parte occidentale di Pern, e Jaxom si do-mandò come avrebbe fatto ad attirare l'attenzione di Corana senza che tutti i dipendenti della Tenuta si accorgessero della visita. Il bisogno di lei era così grande da renderlo irritabile.

Lei sta arrivando, disse Ruth, inclinando l'ala in modo che Jaxom potes-se vedere la ragazza uscire dalla casa e avviarsi verso il fiume, con una cesta in equilibrio sulla spalla.

Una coincidenza fortuita! Disse a Ruth di scendere in riva al fiume, dove di solito le donne della tenuta si recavano per fare il bucato.

L'acqua non è molto profonda, disse disinvolto Ruth, ma c'è una grande roccia, al sole; dopo posso mettermi comodo. Prima che Jaxom potesse rispondere, cominciò a planare verso il fiume, superando il tratto dove l'acqua ribolliva sui macigni infidi e scendendo verso la landa tranquilla e l'enorme pietrone piatto. Manovrando abilmente per non impigliarsi con le ali fra i rami dei grossi alberi che fiancheggiavano il fiume, Ruth atterrò con leggerezza sulla roccia più grande. Lei sta arrivando, ripeté, abbas-sando la spalla per far smontare Jaxom.

All'improvviso, il giovane si sentì assalire da desideri e dubbi contra-stanti. Gli riecheggiavano nella mente le parole rabbiose di Mirrim. Ruth aveva superato l'età abituale dell'accoppiamento, eppure...

Lei sta arrivando, e va bene per te. Se va bene per te, va bene anche per me, disse Ruth. Lei ti rende felice e rilassato, e questo è bene. Il sole, qui, mi tiene caldo e mi rende felice. Vai.

Sorpreso dal tono energico del suo compagno, Jaxom alzò gli occhi ver-so il muso di Ruth. Gli occhi roteavano dolcemente e le sfumature azzurre e verdi della contentezza contrastavano con la forza della voce.

Poi Corana arrivò all'ultima svolta del sentiero che scendeva in riva al fiume e lo vide. Lasciò cadere il cesto, rovesciando i panni e corse ad ab-bracciarlo con tanto ardore, baciandogli il viso e il collo con una gioia così disinibita che ben presto Jaxom si trovò troppo occupato per pensare.

Insieme, si diressero verso il soffice tappeto di muschio che copriva il

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suolo al di là dei macigni, invisibile dalla riva del fiume e lontani dalla vista di Ruth. Corana era impaziente quanto lui di soddisfare i desideri frustrati durante la sua precedente visita alla Tenuta. Quando le sue, mani toccarono il corpo morbido della ragazza e la sentì stringersi forte a lui, si chiese fuggevolmente se Corana sarebbe stata un'amante così disponibile, se lui non fosse stato il Signore di Ruatha. Ma non gliene importava. Era il suo amante, adesso. Si dedicò a quell'attività senza riserve. Nell'istante preciso dell'orgasmo, squisito fin quasi al punto di essere doloroso, si ac-corse di un contatto delicato e comprese, con un senso di sollievo che esal-tava il suo, che Ruth, come sempre, si era associato a lui.

XII

Fortezza di Ruatha Tenuta di Fidello Caduta dei Fili 15.7.6. Non era facile avere un segreto per il proprio drago. L'unico momento in

cui Jaxom poteva pensare a qualcosa che non voleva lasciar percepire a Ruth era a notte tarda, quando il suo amico dormiva profondamente, o alla mattina, se gli capitava di svegliarsi prima del drago. Gli accadeva di rado di nascondere i suoi pensieri a Ruth: questo complicava e inibiva il proces-so. Ma il ritmo della sua vita - le ormai noiose esercitazioni con la squa-driglia degli allievi, il lavoro insieme a Lytol e a Brand per preparare le attività estive, per non parlare delle escursioni alla Tenuta del Pianoro - faceva sì che Jaxom si addormentasse non appena si tirava sulle spalle le coperte di pelliccia. Di mattina, spesso veniva trascinato giù dal letto da Tordril o da qualche altro figlio adottivo, appena in tempo per gli appun-tamenti.

Tuttavia, il problema della maturità di Ruth gli affiorava nella mente nei momenti meno opportuni, quando era sveglio, e lui doveva reprimerlo ri-gorosamente, prima che il drago captasse una sfumatura d'ansia.

Ad aggravare il problema, per due volte al Weyr di Fort un drago verde s'era levato nel volo nuziale, inseguito dai marroni e dagli azzurri che si sentivano in grado di raggiungerlo. La prima volta, Jaxom si stava eserci-tando, e notò appena il volo, al di sopra della squadriglia degli allievi. La sua attenzione venne bruscamente distolta, quando Ruth, per nulla turbato,

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continuò a eseguire le manovre. Jaxom dovette aggrapparsi alle cinghie per non cadere.

La seconda volta, Jaxom e Ruth erano a terra quando il Weyr fu scosso dalle grida di una verde che stava bevendo il sangue della preda uccisa. Gli altri draghi della squadriglia allievi erano troppo giovani per interessarse-ne, ma l'istruttore guardò per un lungo istante nella direzione di Jaxom. All'improvviso, Jaxom si accorse che K'nebel si domandava se lui e Ruth si sarebbero uniti a quelli in attesa che la verde si lanciasse in volo.

Jaxom fu assalito da una tale gamma di emozioni diverse - ansia, vergo-gna, attesa, riluttanza e terrore - che Ruth s'impennò allarmato, spiegando le ali.

Che cosa ti ha sconvolto? chiese il drago bianco, posandosi al suolo e girando il collo per guardare il cavaliere, con gli occhi che turbinavano reagendo alle emozioni di Jaxom.

«Sto benissimo. Sto benissimo,» si affrettò a dire il giovane, accarez-zandogli la testa: desiderava disperatamente chiedere se Ruth se la sentiva di seguire in volo la verde e si augurava, dentro di sé, che la risposta fosse no.

Con un ringhio di sfida, la femmina verde si lanciò nell'aria, seguita da-gli azzurri e dai marroni mentre ripeteva la sua provocazione. Più svelta e leggera dei corteggiatori, resa ancora più agile dallo stimolo sessuale, la femmina aveva percorso una distanza notevole quando il primo maschio si alzò in volo. Poi tutti la inseguirono. Sul Campo del Pasto, i cavalieri si strinsero intorno al dragoniere della verde. Fulmineamente, la sfidante e gli inseguitori divennero puntolini minuscoli nel cielo. I cavalieri, correndo e incespicando, si precipitarono nelle Caverne Inferiori, nella camera a loro riservata.

Jaxom non aveva mai assistito al volo nuziale di un drago. Deglutì, cer-cando d'inumidirsi la gola riarsa. Sentiva il cuore e il sangue pulsare, ed una tensione che di solito provava solo quando teneva Corana stretta a sé. All'improvviso si chiese quale drago aveva accompagnato Path, la verde di Mirrim, quale cavaliere...

Il tocco sulla sua spalla lo fece sussultare con un grido. «Bene, anche se Ruth non è pronto al volo nuziale, tu lo sei certamente,

Jaxom,» disse K'nebel. L'istruttore alzò gli occhi verso quei lontani punti nel cielo. «Anche l'accoppiamento di una verde può essere sconvolgente.» L'espressione di K'nebel era comprensiva. Indicò Ruth con un cenno del capo. «Non gli interessa? No, bene, dagli tempo. Faresti meglio ad andare.

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Le esercitazioni sono quasi finite per oggi, del resto. Devo soltanto tenere occupati altrove questi giovani, quando la verde si farà raggiungere.»

Jaxom si accorse che il resto della squadriglia s'era disperso. Con un'al-tra pacca incoraggiante sulle spalle, K'nebel si diresse verso il suo bronzeo, montò agilmente e gli ordinò di portarlo al loro weyr.

Jaxom pensò alle bestie in volo. Involontariamente pensò ai cavalieri nella stanza interna, legati ai loro draghi in una lotta emotiva che si risol-veva in un rafforzamento dei vincoli fra draghi e dragonieri. Jaxom pensò a Mirrim. Ed a Corana Con un gemito, balzò sul collo di Ruth, fuggendo dall'atmosfera emotiva del Weyr di Fort, cercando di sottrarsi all'improvvi-sa rivelazione di ciò che con tutta probabilità aveva sempre saputo sul con-to dei dragonieri, ma che aveva veramente assimilato solo quella mattina.

Aveva avuto intenzione di andare al lago per immergersi nelle acque fredde e lasciare che quella scossa gelida guarisse il suo corpo e agghiac-ciasse il tormento della sua mente. Ma Ruth, invece, lo portò alla Tenuta del Pianoro.

«Ruth! Il lago. Portami al Lago!» È meglio per te essere qui, adesso, fu la sorprendente risposta del drago.

Le lucertole di fuoco dicono che la ragazza è sul campo alto. Ancora una volta, Ruth prese l'iniziativa, planando verso il campo dove il grano giova-ne ondeggiava, verde e brillante nel sole meridiano, dove Corana stava diligentemente sarchiando i tenaci rampicanti che si protendevano dai bor-di dell'appezzamento e minacciavano di soffocare le messi.

Ruth atterrò nello stretto spazio fra il grano e il muro. Corana, ripren-dendosi dalla sorpresa di quell'arrivo inatteso, agitò le braccia in atto di saluto. Invece di precipitarsi incontro a Jaxom come faceva di solito, si rassettò i capelli e si terse il sudore dal volto.

«Jaxom,» cominciò, mentre il giovane avanzava verso di lei e l'ardore che gli consumava i lombi cresceva alla sua vista, «vorrei che tu non fos-si...»

Jaxom troncò quel rimprovero scherzoso con un bacio, e sentì qualcosa di duro urtargli il fianco. Tenendo stretta a sé la ragazza con il braccio de-stro, afferrò con la sinistra la zappa. La strappò via e la scagliò lontano. Corana si divincolò per liberarsi, impreparata a quell'assalto. Jaxom la strinse più forte, cercando di attenuare le pressioni interiori fino a quando lei avesse reagito. Corana odorava di terra e di sudore. I capelli che gli ricadevano sulla faccia mentre le baciava la gola e il seno, sapevano di sole e di sudore, e quegli odori lo eccitavano ancora di più. In fondo alla sua

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mente c'era un drago verde che lanciava un grido di sfida. E chissà dove, troppo vicino, c'era la visione dei dragonieri nella stanza interna, che at-tendevano, con un'eccitazione pari alla sua, attendevano che la femmina verde fosse stata raggiunta dal più veloce, dal più forte o dal più astuto degli inseguitori. Ma era Corana che lui teneva fra le braccia, era Corana che cominciava a rispondere al suo desiderio. Erano sul suolo caldo, e la terra umida che lei aveva appena zappettato era morbida sotto i suoi gomiti e le sue ginocchia. Il sole batteva caldo sulle sue natiche, mentre cercava di cancellare il ricordo dei cavalieri che si avviavano quasi barcollando verso la stanza interna, e la provocazione beffarda di un drago verde in volo. Non contrastò il lieve contatto abituale di Ruth, mentre l'orgasmo liberava il tumulto del suo corpo e della sua mente.

La mattina dopo, Jaxom non se la sentì di andare ad esercitarsi con gli

allievi. Lytol e Brand erano usciti presto per recarsi in una Tenuta lontana, insieme ai figli adottivi, e perciò nessuno gli fece domande. Quando lasciò la Fortezza, nel pomeriggio, ordinò a Ruth di andare al lago, e lustro e lu-cidò il drago fino a quando questi gli chiese gentilmente che cosa aveva.

«Ti amo, Ruth. Sei mio. Ti amo,» disse Jaxom. Avrebbe desiderato con tutto il cuore essere capace di aggiungere, con la sicurezza di un tempo, che avrebbe fatto qualunque cosa al mondo per il suo amico. «Ti amo!» ripeté, a denti stretti e si lanciò dal dorso di Ruth nelle acque gelide del lago.

Forse ho fame, disse Ruth, mentre Jaxom lottava contro la pressione del-l'acqua e la mancanza d'aria nei polmoni.

Poteva essere senza dubbio una diversione, pensò Jaxom, mentre affio-rava ansimando. «C'è una Tenuta, nella parte meridionale di Ruatha, dove ingrassano i wherry.»

Andrebbe benissimo. Jaxom si asciugò in fretta, infilò abiti e stivali, avvolgendosi distratta-

mente sulle spalle l'asciugatoio umido mentre montava sul dorso di Ruth e lo faceva salire in volo e passare in mezzo per raggiungere la Tenuta Meri-dionale. Si rese conto di aver commesso una sciocchezza quando il gelo mortale in mezzo fece effetto sulla stoffa umida. Si sarebbe preso senza dubbio un fastidioso raffreddore, per la sua incuria.

Ruth andò a caccia con la solita rapidità. Arrivarono lucertole di fuoco, locali a giudicare dai colori che portavano: il drago bianco, evidentemente, le aveva invitate a partecipare al banchetto. Jaxom restò a guardare: era più

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libero di pensare, adesso che Ruth era completamente occupato a cacciare ed a mangiare. Jaxom non era soddisfatto di sé. Era disgustato e schifato per il modo in cui s'era servito di Corana. Il fatto che lei avesse mostrato di corrispondere a quella che lui era costretto a riconoscere come una libidine violenta lo sconcertava. La loro relazione, che un tempo era piacere inno-cente, si era in qualche modo contaminata. Non era del tutto sicuro di voler continuare ad essere il suo amante, un'idea che gli imponeva un altro sgra-devole fardello di colpa. Unico punto a suo favore: l'aveva aiutata a finire di sarchiare, dopo averla interrotta. In quel modo, Corana non aveva rice-vuto rimproveri da Fidello per aver trascurato il lavoro. Il grano giovane era importante. Ma lui non avrebbe dovuto prendere Corana in quel modo. Era imperdonabile.

Le è piaciuto moltissimo. Il pensiero di Ruth lo sfiorò così inaspettata-mente che Jaxom si rialzò di scatto.

«Come puoi saperlo?» Quando tu sei con Corana, anche le sue emozioni sono fortissime e mol-

to simili alle tue. Allora posso sentire anche lei. Solo in quell'occasione. Altrimenti non la sento. C'era accettazione, non rammarico, nel tono di Ruth. Sembrava quasi fosse un sollievo, per lui, che il contatto fosse limi-tato.

Ruth stava risalendo a piedi dal campo, mentre parlava, dopo aver divo-rato due grassi wherry senza lasciare molto da spilluzzicare alle lucertole di fuoco. Jaxom guardò il suo amico: il turbinio degli occhi gemmei rallen-tava, il rosso della fame sbiadiva trasformandosi nel viola chiaro e poi nell'azzurro della contentezza.

«Ti piace quello che senti? Noi che facciamo l'amore?» chiese Jaxom, decidendo bruscamente di esprimere la sua preoccupazione.

Sì. A te piace tanto. Ti fa bene. Mi piace che ti faccia bene. Jaxom balzò in piedi, divorato dalla frustrazione e da un senso di colpa.

«Ma non lo vorresti per te? Perché ti preoccupi sempre di me? Perché non hai accompagnato in volo quella verde?»

Perché questo preoccupa te? Perchè dovrei accompagnare la verde? «Perché sei un drago.» Io sono un drago bianco. Sono gli azzurri e i marroni, e qualche volta

un bronzeo, ad accompagnare le verdi. «Avresti potuto andare con lei. Avresti potuto andare con lei, Ruth!» Non lo desideravo. Ecco, sei di nuovo sconvolto. Ti ho sconvolto. Ruth

allungò il collo, sfiorandogli delicatamente il viso con il naso, per scusarsi.

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Jaxom gli cinse il collo con le braccia, nascondendo la fronte contro quella pelle liscia e odorosa di spezie, pensando quanto amava Ruth, il suo eccezionale Ruth, l'unico drago bianco di tutto Pern.

Sì, io sono l'unico drago bianco che sia mai esistito su Pern, disse inco-raggiante Ruth, spostandosi per accogliere Jaxom nel semicerchio della zampa anteriore. Io sono il drago bianco. Tu sei il mio cavaliere. Siamo insieme.

«Sì,» disse Jaxom, riconoscendosi sconfitto. «Siamo insieme.» Un brivido gelido lo scosse: starnutì. Per i Gusci, se l'avessero sentito

starnutire, alla Fortezza, lo avrebbero costretto a trangugiare quelle medi-cine schifose che Deelan imponeva a tutti. Si chiuse la giubba, si drappeg-giò sul collo e sul petto l'asciugatoio ormai asciutto, montò sul dorso di Ruth, dicendogli di ritornare alla Fortezza al più presto possibile.

Sfuggì alle medicine soltanto perché si tenne alla larga da Deelan, rima-nendo nel suo alloggio. Annunciò che era occupato a sbrigare un lavoro per Robinton e non voleva interromperlo per il pasto serale. Si augurava che prima di notte gli starnuti smettessero di tormentarlo. Lytol sarebbe venuto sicuramente a trovarlo, e Jaxom ricordò che, se non avesse avuto qualcosa da mostrare a testimonianza delle sue attività del pomeriggio, Lytol si sarebbe insospettito. In effetti, Jaxom desiderava trascrivere le sue osservazioni sulla bellissima baia, con il cono della montagna enorme al centro della curva. Usando il carboncino tenero che il Maestro Bendarek aveva inventato per scrivere sui fogli di carta, Jaxom si lasciò assorbire nel lavoro. Era molto più facile servirsi di quegli utensili, pensò, che della ta-vola di argilla. Gli errori, poiché i suoi ricordi della baia non erano esatti, poteva cancellarli con un pezzo di resina d'un certo albero dalla corteccia morbida, purché stesse attento a non raschiare troppo la superficie del fo-glio.

Aveva realizzato una mappa decente della baia di D'ram quando un toc-co alla porta interruppe la sua concentrazione. Jaxom aspirò forte con il naso, prima di gridare «avanti». La sua voce non sembrava troppo alterata dal raffreddore.

Lytol entrò, lo salutò e si avvicinò al tavolo da lavoro, distogliendo cor-tesemente lo sguardo.

«Ruth ha mangiato, oggi?» chiese. «Perché N'ton manda a dirti che i Fili cadono a Nord, e che puoi volare con la squadriglia. Ruth avrà abbastanza tempo per digerire, no?»

«Tutto a posto», rispose Jaxom, conscio dell'eccitazione e del senso d'i-

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nevitabilità alla prospettiva di combattere i Fili a dorso di Ruth. «Allora hai completato le esercitazioni con gli allievi?» Dunque Lytol aveva scoperto che quella mattina lui non era andato al

Weyr. E Jaxom notò anche la lieve nota di sorpresa nella voce del suo tu-tore.

«Beh, si può dire che ho imparato tutto quel che devo sapere, dato che non dovrò volare regolarmente con una squadriglia da combattimento. Ho fatto questo schizzo della baia di D'ram. È là che l'abbiamo trovato. Non è bellissima?» E porse il foglio a Lytol.

Con sua grande soddisfazione, Lytol assunse un'aria di stupore e di inte-resse mentre scrutava lo schizzo e il diagramma.

«Hai riprodotto esattamente la montagna? Senza dubbio deve essere il vulcano più grande di Pern! La prospettiva è precisa? Magnifico! E que-st'area?» Lytol passò la mano sullo spazio oltre gli alberi, che Jaxom aveva fedelmente ritratto nelle loro varietà e nella posizione che ricordava, lungo il bordo della baia.

«La foresta si estende sulle colline, ma noi siamo rimasti sulla spiaggia, naturalmente...»

«Bellissimo! Si può capire perché l'Arpista ricordava tanto chiaramente questo posto.»

Con una certa riluttanza, Lytol depose il foglio sul tavolo. «Il disegno è solo una modesta immagine di quel luogo,» disse il giova-

ne, concludendo la frase con una nota in crescendo. Non era la prima volta che si rammaricava dell'avversione di Lytol per i viaggi a dorso di drago, eccettuate le occasioni in cui erano inevitabili.

Lytol gli rivolse un breve sorriso, scuotendo il capo. «È abbastanza pre-ciso per servire da guida a un drago, ne sono sicuro. Ma ricordati di dirme-lo, quando avrai intenzione di tornarci.»

Poi Lytol gli diede la buonasera, lasciandolo un po' turbato. Il suo tutore gli aveva dato il permesso indiretto di ritornare alla baia? Perché? Critica-mente, Jaxom esaminò lo schizzo, chiedendosi se aveva disegnato gli albe-ri in modo esatto. Sarebbe stato bello tornare laggiù. Per esempio, dopo la Caduta dei Fili, se Ruth non fosse stato troppo stanco...

Mi farebbe piacere togliermi di dosso il fetore delle pietre focaie nuo-tando nelle acque della baia, disse insonnolito Ruth.

Inclinando all'indietro la sedia, Jaxom vide la mole bianca di Ruth sul giaciglio; teneva la testa rivolta verso la sua porta, sebbene le palpebre fossero chiuse.

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Mi piacerebbe moltissimo, davvero. «E magari potremmo sapere qualcosa di più dalle lucertole di fuoco sul

conto di quegli uomini.» Sì, pensò Jaxom, sollevato all'idea di avere un obiettivo preciso, sarebbe stato piacevole. F'lar e Lessa non gli avevano proibito di tornare alla baia. Era senza dubbio abbastanza lontana dalla Fortezza Meridionale perché lui non corresse il rischio di compromettere i Comandanti del Weyr. E se avesse potuto scoprire qualcosa di più su que-gli uomini, avrebbe fatto un favore a Robinton. E forse sarebbe addirittura riuscito a scoprire una covata lungo quella costa. Forse era questo che Lytol aveva in mente, quando gli aveva dato quell'autorizzazione indiretta. Ma certo! Perché non l'aveva capito subito?

La caduta dei Fili era prevista per l'indomani mattina, subito dopo la no-na ora. Sebbene Jaxom non dovesse recarsi al solito posto con le squadre armate di lanciafiamme, venne svegliato molto presto da una sguattera che gli portò un vassoio di klah e dolci, e un pacco d'involtini di carne per il pranzo.

Jaxom si sentiva intontito, aveva la gola chiusa ed un senso generale di malessere. Imprecò, sottovoce, per quel momento di trascuratezza che a-vrebbe rovinato il suo primo volo contro i Fili. Cosa gli era venuto in men-te di tuffarsi in un lago gelido, di andare in mezzo ancora bagnato, e poi di darsi ad attività amatorie sulla terra umida appena rivoltata? Starnutì più volte, mentre si vestiva: si liberò il naso, ma la testa gli doleva ancora di più. Indossò gli indumenti più caldi, la tunica ed i calzoni più pesanti, gli stivali meglio imbottiti. Stava sudando, quando lasciò l'alloggio insieme a Ruth. Gli uomini si aggiravano nel cortile, montando in sella ai corridori, legando lanciafiamme ed equipaggiamento. Il drago di guardia e le lucerto-le di fuoco della Fortezza stavano masticando pietre focaie sulle alture. Quando vide Lytol che lo osservava dal gradino più alto dell'entrata, Ja-xom indicò il cielo, vide il Reggente rispondere al suo saluto prima di ri-prendere ad impartire ordini. Jaxom starnutì di nuovo, uno starnuto che lo scosse violentemente.

Stai bene? Gli occhi di Ruth rotearono più svelti per la preoccupazione. «Per essere uno stupido che si è buscato un raffreddore, sì, sto bene. An-

diamo. Sto andando arrosto, sotto queste pellicce.» Ruth obbedì, e Jaxom si sentì meglio quando il vento gli raffreddò il su-

dore sul viso. Disse a Ruth di raggiungere il Weyr in volo diretto, poiché avevano tutto il tempo. Non avrebbe più commesso la sciocchezza di anda-re in mezzo tutto sudato. Forse avrebbe fatto meglio a indossare abiti più

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leggeri, arrivato a Fort. Si sarebbe riscaldato a sufficienza quando avrebbe-ro combattuto i Fili. Ma il Weyr era situato fra le montagne, più in alto di Ruatha, e Jaxom non sentì troppo caldo, quando atterrarono.

Seguendo le istruzioni che aveva imparato durante l'addestramento, con-dusse Ruth a ritirare il sacco di pietre focaie. Poi disse al drago di prendere le pietre dei mucchi sistemati nella Conca. Ruth cominciò a masticare, preparando il secondo stomaco per fiammeggiare. Con un buon riforni-mento iniziale, avrebbe potuto produrre una fiamma costante, da alimenta-re in volo con le pietre contenute nel sacco. Mentre Ruth masticava, Jaxom andò a procurarsi un grosso boccale di klah fumante, sperando che lo ria-nimasse un po'. Si sentiva malissimo, e il naso gli si ostruiva di continuo.

Per fortuna, il chiasso di tutti i draghi intenti a masticare le pietre ma-scherò i suoi starnuti. Se non fosse stata la prima volta che doveva portare Ruth a combattere, Jaxom avrebbe esitato. Poi si convinse che, siccome gli allievi avrebbero indubbiamente volato nella scia delle altre squadriglie, al limite estremo della Caduta, probabilmente non avrebbe dovuto andare spesso in mezzo, e non avrebbe corso il rischio di aggravare la congestione. Non gli andava l'idea di starnutire mentre Ruth doveva lanciarsi in mezzo per evitare i Fili.

N'ton e Lioth apparvero sulle Pietre della Stella. Lioth muggì per impor-re silenzio, mentre il Comandante del Weyr alzava il braccio. Le quattro regine di Fort fiancheggiavano il grande bronzeo: erano ancora più grosse ma, pensò Jaxom, esaltavano la sua magnificenza con il loro splendore. Su tutti i cornicioni dei weyr, i draghi ascoltarono gli ordini silenziosi di Lioth, e poi si formarono le squadriglie. Jaxom controllò le cinghie che lo trattenevano saldamente sul collo di Ruth.

Dobbiamo andare con la squadriglia delle regine, disse Ruth al suo ca-valiere.

«Tutti gli allievi?» chiese Jaxom, poiché K'nebel non aveva parlato d'un cambiamento di formazione.

No, solo noi. Ruth sembrava compiaciuto, ma Jaxom non era sicuro che fosse un onore.

La sua esitazione fu notata dall'istruttore, che gli accennò seccamente di prendere posizione. Jaxom disse a Ruth di salire alle Pietre della Stella: quando il drago bianco si posò elegantemente alla sinistra di Selianth, la più giovane delle regine di Fort, Jaxom si chiese se faceva davvero la figu-ra da stupido che sentiva di fare, accanto al gigantesco drago dorato.

Lioth gridò di nuovo e i Comandanti del Weyr s'involarono dalle Pietre

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della Stella, allontanandosi e abbassandosi per trovare spazio di manovra, prima di sollevarsi in cielo a grandi colpi d'ala. Ruth non aveva bisogno di spazio per decollare, e restò librato per un momento prima di mettersi in posizione accanto a Selianth. Prilla, la sua compagna, levò il pugno in un gesto incoraggiante e poi Ruth riferì a Jaxom che Lioth gli stava ordinando di andare in mezzo, incontro ai Fili.

Quando emersero sopra le colline brulle della parte settentrionale di Ruatha, Jaxom si sentì pervaso da un'euforia che non aveva mai provato prima sul dorso di Ruth. Le squadre dei draghi da combattimento si sten-devano intorno e sopra di lui, nella sua posizione nella squadriglia delle regine. Il cielo era pieno di draghi, tutti rivolti verso oriente: la squadriglia più in alto sarebbe stata la prima a entrare in contatto con l'imminente Ca-duta dei Fili.

Jaxom tirò su col naso, irritato per quel disturbo che attenuava il suo tri-onfo: Jaxom, Signore della Fortezza di Ruatha, stava per volare con il suo drago bianco contro i Fili! Sotto le gambe, sentiva il corpo di Ruth romba-re per il gas accumulato e si chiese se quella sensazione somigliava un po' al suo stato di congestione.

In uno scatto fulmineo, la squadriglia più in alto avanzò, e Jaxom non ebbe più tempo per i suoi pensieri, quando vide velarsi il cielo limpido, nell'ingrigire che annunciava l'arrivo dei Fili.

Selianth vuole che io resti sempre sopra di lei, perché il suo lancia-fiamme non mi strini, disse Ruth, in toni mentali smorzati, mentre trattene-va l'alito infuocato. Cambiò posizione: poi tutte le squadriglie si mossero.

Il velo grigio si mutò nella pioggia argentea dei Fili. Getti di fiamma fio-rirono nel cielo, quando i draghi all'avanguardia bruciarono l'antico nemi-co, riducendolo in polvere carbonizzata. L'eccitazione di Jaxom era tempe-rata dalle innumerevoli esercitazioni che aveva compiuto insieme agli al-lievi, e dalla fredda logica della prudenza. Oggi lui e Ruth non sarebbero ritornati a casa ustionati dai Fili!

La squadriglia delle regine virò leggermente verso Est, per volare al di sotto della prima ondata di draghi e distruggere i Fili che potevano essere sfuggiti alle loro fiammate. Volavano fra nubi di polvere finissima, i resti dei Fili bruciati. Volteggiando bruscamente, le regine tornarono indietro, e Jaxom scorse un lungo Filo argenteo. Spronando verso l'alto l'impaziente Ruth, Jaxom sentì il drago bianco avvertire gli altri di scostarsi, mentre i due novizi affrontavano e annientavano il Filo con la dovuta perfezione.

Pieno d'orgoglio, Jaxom si chiese se qualcun altro aveva notato l'esatta

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economia della fiamma mortale di Ruth: quanto bastava, e niente più del necessario. Accarezzò il collo dell'amico, e sentì la sua gioia per quella lode. Poi sfrecciarono su una tangente diversa mentre la squadriglia delle regine si dirigeva verso una concentrazione più massiccia di Fili, evitando di scontrarsi con un'altra squadriglia in volo verso l'Est.

Da quel momento, per tutta la Caduta, Jaxom non ebbe più tempo di pensare. Notò il ritmo del movimento delle regine. Margatta, sulla sua au-rea Luduth, sembrava avere un istinto strano che le permetteva di scoprire le masse più pesanti, capaci di sfuggire anche alla formazione più serrata. Ogni volta le regine si buttavano contro la pioggia argentea, annientandola. Jaxom si rese conto che la sua posizione nella squadriglia delle regime non era una sinecura. I draghi aurei potevano coprire uno spazio maggiore, ma non erano molto agili. Ruth lo era. Anche mantenendosi in posizione più elevata, il piccolo drago bianco poteva guizzare da una parte all'altra della formazione a V delle regine, portando aiuto dovunque fosse necessario.

All'improvviso, i Fili smisero di cadere. Gli strati superiori del cielo non erano più offuscati dalla nebbia grigia. La squadriglia più in alto cominciò a scendere in cerchio, per iniziare la fase finale della difesa, il sorvolo a bassa quota per aiutare le squadre di terra a localizzare le tracce dei Fili superstiti.

L'esaltazione del combattimento abbandonò Jaxom, e il disagio fisico cominciò a manifestarsi. Si sentiva la testa gonfia, gli occhi inspiegabil-mente pieni di sabbia e doloranti. Aveva un'oppressione al petto e la gola riarsa. Ormai la malattia s'era impadronita di lui. Era stato uno sciocco a combattere i Fili. Per aggravare le cose, non si sentiva molto soddisfatto, dopo quattro ore di dura fatica. Era completamente depresso. Avrebbe vo-luto potersi ritirare insieme a Ruth: ma aveva insistito tanto per prender parte ai combattimenti che adesso doveva andare sino in fondo. Disciplina-tamente, continuò a volare sopra le regine.

La grande regina dice che dobbiamo andare, riferì all'improvviso Ruth, prima che le squadre di terra ci vedano.

Jaxom abbassò lo sguardo verso Margatta e la vide fare un gesto di con-gedo. Non riuscì a reprimere la sensazione dolorosa che gli diede quel se-gnale. Non si era aspettato un applauso, ma pensava che lui e Ruth si fos-sero comportati abbastanza bene per meritare un cenno d'approvazione. Avevano commesso qualche errore? Non riusciva a pensare, con la testa che gli bruciava e doleva tanto. Ma obbedì, dicendo a Ruth di recarsi in volo alla Fortezza, quando vide Selianth salire verso di lui. Prilla agitò il

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pugno destro nel movimento che significava «ben fatto, e grazie.» Abbiamo combattuto bene e nessun Filo ci è sfuggito, disse Ruth, in tono

speranzoso. Mi sono trovato bene a mantenere un getto continuo di fiam-ma.

«Sei stato meraviglioso, Ruth. Sei così abile a schivare che non abbiamo dovuto andare in mezzo neppure una volta.» Jaxom batté la mano, affettuo-samente, sul collo proteso nel volo. «Hai ancora gas da esalare?»

Sentì Ruth tossire: un filo di fiamma gli guizzò intorno alla testa. Non ho più fiamme, ma sarò ben felice di liberarmi delle ceneri. Non

avevo mai masticato tante pietre focaie. Ruth sembrava così fiero che, nonostante il malessere, Jaxom rise, esal-

tato da quell'ingenua soddisfazione. Fu consolante trovare la Fortezza occupata solo da pochi sguatteri. Gli

altri erano a combattere i Fili, lontano, e sarebbero passate ore prima che tornassero a godersi il premio che adesso attendeva lui. Mentre Ruth beve-va avidamente al pozzo del cortile, Jaxom chiese ad uno sguattero di por-targli qualcosa di caldo da mangiare e un boccale di vino.

Quando Jaxom entrò nel suo alloggio per togliersi gli abiti da combatti-mento puzzolenti di fosfina, passò davanti al tavolo da lavoro e, vedendo lo schizzo della baia, ricordò la promessa della sera prima. Pensò con no-stalgia al sole caldo di quella baia. Gli avrebbe tolto il freddo dalle ossa e avrebbe prosciugato il catarro nella testa e nel petto.

Mi piacerebbe nuotare, disse Ruth. «Non sei troppo stanco, vero?» Sono stanco, mi piacerebbe però nuotare in quella baia e poi sdraiarmi

sulla sabbia. E farebbe bene anche a te. «D'accordo,» disse Jaxom, togliendosi gli abiti da combattimento. Stava

indossando altre vesti da volo quando lo sguattero bussò nervosamente all'uscio semiaperto ed entrò con il vassoio.

Jaxom indicò il tavolo da lavoro, poi disse all'uomo di prendere gli in-dumenti che si era tolto, per pulirli e arieggiarli. Stava sorseggiando il vino caldo, soffiando perché gli scottava la bocca, quando pensò che sarebbero passate ore prima che Lytol tornasse alla Fortezza; quindi non avrebbe potuto riferire al tutore le sue intenzioni. Ma non era costretto ad attendere. Poteva andare e tornare prima che Lytol rientrasse a Ruatha. Poi gemette. La baia era dall'altra parte di Pern, ed il sole che aveva tanto desiderato doveva essere tramontato da un pezzo.

Resterà caldo abbastanza a lungo, disse Ruth. Davvero, desidero tanto

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andarci. «Ci andremo, ci andremo!» Jaxom trangugiò l'ultimo sorso di vino e

prese il pane tostato ed il formaggio. Non aveva fame: anzi, l'odore del cibo gli rivoltava lo stomaco. Arrotolò una delle coperte di pelliccia per non sdraiarsi sulla sabbia, si buttò l'involto sulla spalla e uscì. Avrebbe avvertito lo sguattero. No, non bastava. Jaxom tornò al tavolo, con il pacco che gli batteva sulle costole. Scrisse un biglietto a Lytol e lo lasciò appog-giato fra il boccale ed il piatto, bene in vista.

Quando andiamo? chiese Ruth, lamentoso, impaziente di pulirsi e di ro-tolarsi sulla sabbia calda.

«Vengo, vengo!» Jaxom passò dalle cucine, prendendo qualche involti-no ed un altro po' di formaggio. Forse più tardi gli sarebbe venuta fame.

Il capocuoco stava preparando un arrosto, e anche quell'odore diede la nausea a Jaxom.

«Batunon, ho lasciato nella mia stanza un biglietto per il Nobile Lytol. Ma se lo vedi prima, digli che sono andato alla baia per lavare Ruth.»

«I Fili non sono più nel cielo?» chiese Batunon, fermandosi con il me-stolo levato sopra l'arrosto.

«Sono finiti in polvere, tutti quanti. Noi andiamo a toglierci di dosso il puzzo.»

La sfumatura gialla negli occhi turbinanti di Ruth era carica di rimprove-ro, ma Jaxom non gli badò, mentre gli saliva sul collo, allacciando lente le cinghie da combattimento, che avevano anch'esse bisogno di una lavata. Decollarono così in fretta che Jaxom fu lieto di essere fissato con quelle cinghie. Appena ebbe lo spazio sufficiente, Ruth si trasferì in mezzo.

XIII

Una baia del Continente Meridionale 15.7.7 - 15.8.7. Jaxom si svegliò e sentì una goccia scendergli dalla fronte al naso. Si

scosse, irritato. Ti senti meglio? La voce di Ruth fremeva d'una speranza malinconica

che stupì il giovane. «Sentirmi meglio?» Non ancora del tutto sveglio, Jaxom tentò di solle-

varsi su un gomito; ma non riuscì a muovere la testa. Sembrava bloccata. Brekke dice di stare fermo.

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«Stai fermo, Jaxom,» ordinò Brekke. Lui sentì sul petto la mano che gli impediva di muoversi.

Udiva l'acqua che sgocciolava, lì vicino. Poi un'altra pezza bagnata, fre-sca e profumata, gli si posò sulla fronte. Sentiva due grossi blocchi imbot-titi, ai lati della testa, dalle guance alla spalla: evidentemente servivano ad evitare che lui girasse la testa. Si chiese che cos'era successo. Perché Brek-ke era lì?

Sei stato molto male, disse Ruth, in toni venati d'ansia. Ero molto preoc-cupato. Ho chiamato Brekke. Lei è una guaritrice. Mi ha sentito. Non po-tevo abbandonarti. Lei è venuta con F'nor, su Canth. Poi F'nor è andato a prendere l'altra.

«Sono stato male per molto tempo?» Jaxom era sbigottito all'idea di aver bisogno di due infermiere. Si augurò che «l'altra» non fosse Deelan.

«Diversi giorni,» rispose Brekke; ma Ruth sembrava pensare ad un peri-odo più lungo. «Adesso guarirai presto. La febbre è vinta, finalmente.»

«Lytol sa dove sono?» Jaxom aprì gli occhi, si accorse che erano coperti dall'impacco e alzò la mano per toglierlo. Ma vide macchie che gli danza-vano davanti agli occhi, sebbene fossero riparati dalla stoffa. Gemette e richiuse le palpebre.

«Ti ho detto di star fermo. E non aprire gli occhi, e non cercare di toglie-re la benda,» disse Brekke, dandogli un colpetto alla mano. «Certo che Lytol lo sa. F'nor l'ha informato immediatamente. Io l'ho avvertito appena la febbre è caduta. L'ha presa anche Menolly.»

«Menolly? Ma come ha fatto a prendere il raffreddore da me? Era con Sebell.»

C'era qualcun altro nella stanza, perché Brekke non poteva parlare e ri-dere nello stesso tempo. Lei cominciò a spiegare, sottovoce, che Jaxom non aveva avuto un raffreddore. Aveva avuto una malattia che i meridiona-li chiamavano testa-di-fuoco; i sintomi iniziali erano identici a quelli del raffreddore.

«Ma mi rimetterò, vero?» «Gli occhi ti danno fastidio?» «Non voglio più riaprirli.» «Vedi macchie? Come se guardassi il sole?» «Infatti.» Brekke gli batté la mano sul braccio. «È normale, no, Sharra? Quanto

tempo dura, di solito?» «Quanto il mal di testa. Quindi tieni gli occhi coperti, Jaxom.» Sharra

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parlava lentamente, quasi strascinando le parole, ma la sua voce sommessa aveva una cadenza deliziosa, e Jaxom si chiese se lei era bella quanto quel-la voce. Ne dubitava. Era impossibile. «Non provare a guardarti intorno. Hai ancora il mal di testa, no? Bene, tieni gli occhi chiusi. Abbiamo cerca-to di tenere buio, qui, ma puoi procurarti lesioni permanenti agli occhi, se non sei prudente.»

Jaxom sentì che Brekke sistemava l'impacco. «Anche Menolly si è am-malata?»

«Sì, ma il Maestro Oldive ha fatto sapere che reagisce bene alle cure.» Brekke esitò. «Certo, lei non aveva combattuto i Fili e non era andata in mezzo. È stato questo ad aggravare la tua malattia.»

Jaxom gemette. «Ero già andato in mezzo con il raffreddore, e non mi era successo niente.»

«Con il raffreddore, sì, ma non con la testa-di-fuoco,» disse Sharra. «Ec-co, Brekke. Adesso è pronto.»

Jaxom si sentì accostare una cannuccia alle labbra. Brekke gli disse di succhiare, perché non doveva alzare la testa per bere.

«Che cos'è?» mormorò lui, stringendo la cannuccia. «Succo di frutta,» disse così prontamente Sharra che Jaxom sorseggiò

con cautela. «Solo succo di frutta, Jaxom. Hai bisogno di assorbire liquidi. La febbre ti ha disidratato.»

Il succo era fresco e di sapore così blando che Jaxom non riuscì a capire da quale frutto fosse estratto. Ma andava benissimo: non era abbastanza acido da irritargli i tessuti aridi della bocca e della gola, né abbastanza dol-ce da nauseare lo stomaco vuoto. Finì di bere e ne chiese ancora, ma Brek-ke gli rispose che bastava. Adesso doveva cercare di dormire.

«Ruth? Tu stai bene?» Adesso che tu ti sei ripreso, mangerò. Non andrò lontano. Non è neces-

sario. «Ruth?» Angosciato al pensiero che il suo drago si era trascurato tanto,

Jaxom cercò imprudentemente di alzare la testa. Il dolore fu incredibile. «Ruth sta benissimo, Jaxom,» disse Brekke in tono severo, mentre lo co-

stringeva a ridistendersi. «Ruth era circondato dalle lucertole di fuoco che lo pulivano, ed è stato regolarmente lavato mattina e sera. Non si è mai allontanato da te. Io l'ho rassicurato per quanto era possibile.» Jaxom ge-mette: aveva dimenticato completamente che Brekke poteva parlare con tutti i draghi. «F'nor e Canth sono andati a caccia per lui perché non voleva mai lasciarti, e quindi non è affatto ridotto pelle e ossa come te. Adesso

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andrà a caccia da solo, e l'attesa non gli ha fatto male. Dormi.» Jaxom non poteva far altro; e mentre si assopiva sospettò che in quella

bevanda ci fosse stato qualcosa d'altro, oltre al succo di frutta. Quando si svegliò, riposato e irrequieto, non mosse la testa. Cominciò a

ricordare, vagamente, di avere sentito caldo e freddo. Rammentava di esse-re giunto alla baia, di essere andato vacillando all'ombra. Poi s'era lasciato cadere ai piedi di un albero dei frutti rossi, cercando di prenderne un grap-polo per placare la sete che gli inaridiva la bocca e la gola. Doveva essere stato allora che Ruth s'era accorto che lui stava male.

Ricordava, in modo vago, di aver intravisto Brekke e F'nor, di averli im-plorati di portargli Ruth.. Pensava che avessero eretto una specie di rifugio provvisorio. Sbarra aveva detto qualcosa in proposito. Tese lentamente il braccio sinistro, lo alzò e lo abbassò, senza incontrare altro che l'intelaiatu-ra del letto. Tese anche il braccio destro.

«Jaxom?» Sentì la voce sommessa di Sharra. «E Ruth dorme troppo pro-fondamente per avvertirmi. Hai sete?» Non sembrava contrita per essersi addormentata. Lanciò un piccolo grido di sbigottimento nel toccare l'im-pacco ormai asciutto. «Non aprire gli occhi.»

Tolse la benda, e Jaxom la sentì immergerla nel liquido e strizzarla, poi rabbrividì al contatto freddo sulla pelle. Alzò la mano, tenendo l'impacco sulla fronte, dapprima leggermente, poi con una pressione più sicura.

«Ehi, non fa male...» «Ssst. Brekke dorme, e si sveglia così facilmente.» Sharra aveva parlato

sottovoce: ora gli tappò la bocca con le dita. «Perché non posso girare la testa?» Jaxom cercò di non mostrarsi troppo

sbigottito. La risatella di Sharra lo rassicurò. «Abbiamo sistemato due blocchi in

modo che tu non possa muoverla. Ricordi?» Gli guidò le mani, poi scostò un poco i blocchi. «Adesso girala, appena appena. Se la pelle non è più sensibile, allora forse hai superato il peggio.»

Impacciato, Jaxom girò la testa, prima a sinistra e poi a destra. Fece un movimento più deciso. «Non fa male. Davvero, non fa male.»

«Oh, no, non toglierlo!» Sharra gli afferrò il polso, quando lui fece per toccare l'impacco. «Ho acceso una lampada da notte. Aspetta che la schermi. Meno luce vedi, meglio è.»

Jaxom la sentì trafficare con lo schermo di un cestello luminoso. «Posso, adesso?»

«Ti permetto di tentare,» Sharra sottolineò l'ultima parola, posandogli le

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mani sulle mani. «Solo perché è notte e non c'è la luna, e non può capitarti niente. Se vedi anche la minima chiazza luminosa, copriti subito gli oc-chi.»

«È tanto pericoloso?» «Potrebbe esserlo.» Lentamente, Sharra scostò la benda. «Non vedo nulla!» «Macchie? Chiazze luminose?» «No. Niente. Oh!» Qualcosa gli aveva oscurato la vista, perché adesso

riusciva a scorgere vaghi contorni. «Ti tenevo la mano davanti al naso, per precauzione,» disse lei. Jaxom riuscì a distinguere la macchia buia della figura di Sbarra. Dove-

va essere inginocchiata. Lentamente, la vista migliorò, mentre sbatteva le ciglia per liberarle dalle incrostazioni.

«Ho gli occhi pieni di sabbia.» «Un attimo.» All'improvviso, l'acqua gli sgocciolò lentamente negli oc-

chi. Sbatté con furia le palpebre e si lamentò a voce alta. «Ti ho detto di non far chiasso, o sveglierai Brekke. È esausta. E adesso, la sabbia se n'è andata?»

«Sì, va molto meglio. Non volevo dare tanto disturbo.» «Oh? Pensavo che avessi fatto apposta.» Jaxom le prese una mano e se la portò alle labbra, trattenendola per

quanto glielo permettevano le poche forze, perché lei soffocò un grido e ritrasse la mano.

«Grazie!» «Adesso ti rimetto la benda,» disse lei, con un tono di rimprovero ine-

quivocabile. Jaxom ridacchiò, soddisfatto di averla sconcertata. Rimpiangeva solo la

mancanza di luce. Aveva visto che Sharra era snella. La voce, nonostante il tono fermo, sembrava giovane. Chissà se il volto era delizioso quanto quella voce?

«Per favore, bevi tutto questo succo,» disse lei, e Jaxom sentì la cannuc-cia contro le labbra. «Un altro bel sonno e avrai superato il peggio.»

«Sei una guaritrice?» Jaxom era deluso. La voce gli era parsa così gio-vane. Aveva immaginato che fosse una figlia adottiva di Brekke.

«Certamente. Non penserai che avrebbero affidato la vita del Signore di Ruatha ad un'apprendista? Ho una lunga esperienza nella cura dei malati di testa-di-fuoco.»

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La sensazione di torpore indotta dal succo di fellis l'invase: non poteva risponderle, per quanto lo desiderasse.

Con sua grande delusione, quando il giorno dopo si svegliò, fu Brekke a rispondergli. Non gli parve corretto chiedere dov'era Sharra. E non poteva domandarlo a Ruth, perché Brekke avrebbe potuto sentire. Ma evidente-mente Sharra aveva riferito a Brekke il suo risveglio notturno, perché lei lo salutò con un tono più lieve, quasi gaio. Per festeggiare il miglioramento, gli concesse una tazza di klah leggero ed una ciotola di pandolce inzuppa-to.

Avvertendolo di tenere gli occhi chiusi, gli cambiò la benda: ma quella nuova era meno pesante e, quando Jaxom aprì cautamente le palpebre, riuscì a distinguere intorno a sé aree più chiare e più scure.

A mezzogiorno, venne autorizzato a sollevarsi a sedere ed a mangiare il pasto leggero portogli da Brekke: ma quell'attività lo sfinì. Tuttavia prote-stò quando Brekke gli offrì altro succo di frutta.

«Condito con il fellis? Devo proprio passare la vita dormendo?» «Oh, ti rifarai del tempo perduto, ti assicuro,» rispose lei: quel commen-

to enigmatico lo sconcertò, mentre tornava ad assopirsi. Il giorno dopo protestò ancora più energicamente per le restrizioni. Pro-

testò, ma quando Sharra e Brekke lo aiutarono a sedersi sulla panca per poter cambiare il pagliericcio del letto, dopo pochi minuti si sentì così de-bole che fu ben lieto di ridistendersi. Fu molto sorpreso quando, quella sera, sentì nell'altra stanza la voce di N'ton.

«Hai un aspetto assai migliore, Jaxom,» disse N'ton, avvicinandosi al letto. «Per Lytol sarà un grande sollievo. Ma,» continuò, con una voce aspra che tradiva l'ansia, «se tenterai ancora di combattere i Fili quando stai male, io... io... ti butterò fra le grinfie di Lessa.»

«Pensavo di avere soltanto il raffreddore, N'ton,» rispose Jaxom, tastan-do nervosamente i grumi d'erba del pagliericcio. «Ed era la prima volta che combattevo i Fili insieme a Ruth...»

«Lo so, lo so,» ribatté N'ton, in tono meno bellicoso. «Non potevi sapere di avere la testa-di-fuoco. Devi la vita a Ruth, lo sai? F'nor dice che Ruth ha più buon senso di tanta gente. Metà dei draghi di Pern non avrebbero saputo cosa fare, con il loro cavaliere in delirio: sarebbero stati completa-mente storditi dalla confusione della mente del loro compagno. No, tu e Ruth siete nelle grazie di Benden. Sicuro! Adesso pensa soltanto a ripren-derti. E quando ti sentirai di nuovo in forze, D'ram ha detto che sarà lieto di tenerti compagnia e di mostrarti alcune delle cose interessanti che ha

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scoperto quando era qui.» «Non gli è dispiaciuto che io e Ruth l'abbiamo seguito?» «No.» N'ton era sinceramente sorpreso dalla domanda di Jaxom. «No,

ragazzo; credo si sia stupito che si sentisse tanto la sua mancanza, e si sia rallegrato di sapere che c'era ancora bisogno di lui come dragoniere.»

«N'ton!» Il richiamo di Brekke era fermissimo. «Mi avevano avvertito che non potevo trattenermi a lungo.» Jaxom sentì

lo scalpiccio, quando N'ton si alzò. «Tornerò, te lo prometto.» Jaxom sentì Tris che protestava, e immaginò la piccola lucertola di fuoco che si ag-grappava alla spalla del Comandante del Weyr per non perdere l'equilibrio.

«Come va Menolly? Sta guarendo? Dì a Lytol che mi dispiace molto di avergli causato tante preoccupazioni!»

«Lo sa, Jaxom. E Menolly sta molto meglio. Ho visto anche lei. Ha avu-to una forma di testa-di-fuoco più leggera. Sebeli ha riconosciuto i sintomi quasi subito ed ha chiamato Oldive. Comunque, non aver troppa fretta di alzarti.»

Per quanto fosse lieto della visita di N'ton, Jaxom provò un senso di sol-lievo perché era stata breve. Si sentiva esausto e cominciava a dolergli la testa.

«Brekke?» Possibile che avesse una ricaduta? «È con N'ton, Jaxom.» «Sharra! Mi fa male la testa.» Non riuscì a nascondere il tremito della

voce. Lei gli sfiorò la guancia con la mano fresca. «Niente febbre, Jaxom. Ti

stanchi facilmente, ecco tutto. Adesso dormi.» Quelle parole ragionevoli, pronunciate dalla voce dolcissima, lo cullaro-

no: sebbene desiderasse restare sveglio, chiuse gli occhi. Le dita di lei gli massaggiarono la fronte, scesero il collo, attenuando la tensione, mentre la voce lo esortava a riposare, a dormire. E lui dormì.

La brezza marina, fresca e umida, lo svegliò all'alba. Irritato, si agitò per

coprirsi le gambe e la schiena, perché stava dormendo bocconi, aggrovi-gliato nella coperta leggera. Dopo essersi riassettato con qualche difficoltà, non riuscì a riaddormentarsi, sebbene avesse chiuso gli occhi con l'inten-zione di assopirsi ancora. Li riaprì, guardando oltre le tende rialzate del rifugio. Lanciò un'esclamazione di sorpresa, tendendosi: si era accorto in quel momento che non aveva più gli occhi bendati e che la sua vista era di nuovo normale.

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«Jaxom?» Girandosi, vide l'alta figura di Sharra scendere dall'amaca, notò i lunghi

capelli scuri che le ricadevano sulle spalle, nascondendole il viso. «Sharra!» «I tuoi occhi, Jaxom?» chiese lei in tono preoccupato, e si avvicinò svel-

ta al letto. «I miei occhi stanno benone, Sharra,» rispose lui, prendendole la mano e

trattenendola per poterla vedere in. volto nella luce fioca. «Oh, no,» disse con una risata sommessa quando lei cercò di svincolarsi. «Aspettavo di vedere come sei.» Con la mano libera, scostò i capelli che le coprivano il viso.

«E...?» Lei pronunciò quel monosillabo in tono di sfida orgogliosa, rad-drizzando inconsciamente le spalle e ributtando all'indietro la chioma.

Sharra non era graziosa. Questo, Jaxom se l'era aspettato. I lineamenti erano troppo irregolari, e soprattutto il naso era un po' troppo lungo per quel viso; e sebbene il mento fosse ben modellato era un po' forte per esse-re veramente bello. Ma la bocca aveva un'incantevole doppia curva, e la metà sinistra fremeva, come se trattenesse la gaiezza rispecchiata dagli occhi profondi. Sharra inarcò lentamente il sopracciglio sinistro, divertita da quell'esame.

«E...?» ripeté. «So che forse non sarai d'accordo, ma io penso che sei bellissima!» Ja-

xom resistette al suo secondo tentativo di svincolarsi. «Devi sapere che hai una voce magnifica.»

«Quella ho cercato di coltivarla,» disse lei. «Ci sei riuscita.» Jaxom l'attirò ancora più vicino. Era immensamente

importante, per lui, accertare che età avesse. Sharra rise sommessamente, divincolando le dita nella sua stretta. «A-

desso lasciami andare, Jaxom, fai il bravo ragazzo!» «Non sono bravo e non sono un ragazzo.» Jaxom aveva parlato con u-

n'intensità che scacciò dal viso di lei l'espressione di bonario divertimento. Ricambiò il suo sguardo con fermezza e gli rivolse un lieve sorriso.

«No, non sei bravo e non sei un ragazzo. Sei un uomo che è stato molto malato, ed è compito mio,» sottolineò quelle ultime parole, mentre Jaxom lasciava che ritraesse la mano, «farti star bene di nuovo.»

«Al più presto, se è possibile.» Jaxom si ridistese, sorridendole. Doveva essere alta quasi quanto lui, pensò. L'idea che avrebbero potuto guardarsi negli occhi lo sgomentava.

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Lei gli rivolse una lunga occhiata perplessa e poi con una scrollata di spalle lo lasciò, raccogliendosi i capelli e intrecciandoli intorno al capo.

Sebbene nessuno dei due parlasse più di quel colloquio all'alba, in segui-to Jaxom trovò più facile accettare con buona grazia le restrizioni della convalescenza. Mangiava senza protestare quello che gli veniva offerto, prendeva le medicine, e obbediva all'ordine di riposare.

Una preoccupazione lo agitò, fino a quando si confidò con Brekke. «Quando avevo la febbre, Brekke, ho... voglio dire...» Brekke sorrise e gli batté la mano sul polso, con fare rassicurante. «Non

badiamo mai a quello che dice un malato in delirio. Di solito, sono così incoerenti che non si capisce nulla...»

Ma nella voce della giovane donna c'era una nota che lo turbava. «... co-sì incoerenti che non si capisce nulla?» Allora aveva parlato. Non che gli dispiacesse, se Brekke lo aveva sentito dire qualcosa di quel dannato uovo di regina. Ma se aveva sentito anche Sharra? Lei veniva dalla Fortezza Meridionale. Si sarebbe affrettata anche lei a non attribuire la minima im-portanza alle sue farneticazioni su quello stramaledetto uovo? Non riusciva a calmarsi. Che sciagura, ammalarsi proprio quando c'era un segreto da conservare! Continuò a preoccuparsi fino a quando si addormentò; e la mattina dopo, al risveglio, ricominciò a pensarci, sebbene si facesse forza di mostrarsi allegro, mentre ascoltava Ruth che faceva il bagno insieme alle lucertole di fuoco.

Lui sta arrivando, disse all'improvviso Ruth, sbalordito. E lo conduce D'ram.

«Chi è che conduce D'ram?» chiese Jaxom. «Sharra,» chiamò Brekke dall'altra stanza, «sono arrivati i nostri ospiti.

Vuoi accompagnarli dalla spiaggia?» Entrò in fretta nella camera di Ja-xom, assestando la coperta leggera e scrutandolo attentamente. «Hai la faccia pulita? E le mani?»

«Chi è arrivato, per agitarti tanto. Ruth?» È contento di vedere anche me. Lo stupore di Ruth era sfumato di gioia. Jaxom fu preavvertito da quel commento, ma spalancò gli occhi, stordi-

to, quando Lytol entrò a grandi passi. Il suo viso era pallido e teso sotto il casco da volo, e non si era neppure slacciato la giubba mentre saliva dalla spiaggia, così che sulla fronte e sul labbro superiore si stavano formando gocce di sudore. Si fermò sulla soglia, guardando il suo pupillo.

Poi, di colpo, si girò verso il muro esterno, schiarendosi bruscamente la gola, si tolse casco e guanti, slacciò la cintura della giubba, borbottando

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stupito quando Brekke gli venne accanto per togliergli gli indumenti dalle mani. Quando lei passò accanto al letto di Jaxom per uscire, gli rivolse un'occhiata così intensa che il giovane non capì cosa stesse sforzandosi di comunicargli.

Dice che lui sta piangendo, riferì Ruth. E che non devi mostrarti sorpre-so o metterlo in imbarazzo. Ruth fece una breve pausa. E pensa che anche Lytol è guarito? Ma Lytol non è stato malato.

Jaxom non ebbe tempo di riflettere su quell'allusione obliqua, perché il suo tutore aveva già ritrovato la compostezza e s'era voltato verso di lui.

«Fa caldo, qui, dopo Ruatha,» disse Jaxom, cercando di rompere il si-lenzio.

«Hai bisogno di un po' di sole, ragazzo mio,» disse Lytol nello stesso i-stante.

«Non posso ancora alzarmi.» «La montagna è esattamente come l'hai disegnata.» Avevano parlato di nuovo contemporaneamente, rispondendo l'uno al

commento dell'altro. Era troppo, per Jaxom; scoppiò a ridere, accennando a Lytol di sedere

sul letto accanto a lui. Sempre ridendo, Jaxom lo prese per l'avambraccio, cercando di scusarsi con quel gesto di tutte le preoccupazioni che aveva causato. All'improvviso, si trovò stretto nel ruvido abbraccio di Lytol, che gli batté la mano sulla spalla, prima di lasciarlo. A quell'inattesa dimostra-zione di affetto, anche gli occhi di Jaxom si riempirono di lacrime. Lytol si era sempre preso scrupolosamente cura del suo pupillo, ma crescendo Ja-xom si era chiesto sempre più spesso se Lytol provava veramente simpatia per lui.

«Credevo di averti perduto.» «Perdermi è più difficile di quanto pensi, signore.» Jaxom non seppe trattenersi dal sogghignare scioccamente, perché sul

volto di Lytol c'era un sorriso: il primo che il giovane ricordasse. «Sei tutto pelle e ossa,» fece Lytol, con il solito tono burbero. «Passerà, Posso mangiare, se voglio,» rispose Jaxom. «Tu gradisci qual-

cosa?» «Non sono venuto per mangiare. Sono venuto per vedere te. E ti dirò

una cosa, Nobile Jaxom: credo farai bene a tornare dal Maestro Fabbro a prendere altre lezioni di disegno: nel tuo schizzo, non hai sistemato esat-tamente gli alberi lungo la riva della baia, anche se la montagna è riprodot-ta molto bene.»

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«Sapevo di aver sbagliato a disegnare gli alberi, signore: era una delle cose che volevo controllare. Ma quando sono arrivato qui mi è passato dalla mente.»

«Lo capisco.» E Lytol proruppe in una risata arrugginita. «Dammi notizie della Fortezza.» Jaxom, adesso, era assetato di quei pic-

coli particolari che un tempo lo annoiavano. Continuarono a chiacchierare con una socievolezza che stupì Jaxom. Si

era sempre sentito a disagio con Lytol, adesso se ne rendeva conto, da quando, inavvertitamente, aveva impresso a Ruth lo Schema dell'Appren-dimento. Ma la tensione era svanita. Se la sua malattia non era servita ad altro, aveva avvicinato lui e Lytol più di quanto avesse creduto possibile durante la sua infanzia.

Brekke entrò, con un sorriso di scusa. «Mi dispiace, Nobile Lytol, ma Jaxom si stanca facilmente.»

Lytol sì alzò, docile scrutando con ansia Jaxom. «Brekke, dopo che Lytol è venuto da tanto lontano, a dorso di drago, de-

ve avere il permesso di...» «No, ragazzo. Posso tornare.» Il sorriso di Lytol stupì Brekke. «Preferi-

rei non fargli correre rischi.» Poi sorprese Brekke per la seconda volta, abbracciando Jaxom con goffa affettuosità, prima di uscire.

Brekke fissò Jaxom, che scrollò le spalle per indicarle che poteva inter-pretare come voleva il comportamento del suo tutore. Lei si affrettò ad uscire per riaccompagnare alla spiaggia i visitatori.

È stato molto contento di vederti, disse Ruth. Sorride. Jaxom si ridistese, assestando le spalle per mettersi più comodo. Chiuse

gli occhi, ridacchiando tra sé. Era riuscito a mostrare a Lytol la sua bellis-sima montagna.

Ma Lytol non fu l'unico che venne a vedere la montagna e Jaxom. Il pomeriggio seguente arrivò il Nobile Groghe, sbuffando e brontolando per il caldo e gridando alla sua piccola regina di non perdersi con tutti quei forestieri, e di non bagnarsi troppo perché non voleva che gli infradiciasse la spalla durante il volo di ritorno.

«Ho saputo che ti sei buscato la testa-di-fuoco, come la giovane arpista,» disse il Nobile Groghe, entrando nella stanza con un vigore che diede al convalescente un'immediata sensazione di stanchezza.

Ancora più snervante fu l'attento esame del Nobile Groghe. Jaxom era sicuro che gli stesse contando le costole. «Non puoi nutrirlo un po' meglio, Brekke? Credevo che fossi una guaritrice di prim'ordine. Questo ragazzo è

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uno stecco! Non è possibile. Devo dire che hai scelto un posto bellissimo per ammalarti. Dacché sono qui, devo proprio dare un'occhiata in giro. Non che ci sia voluto molto per arrivarci. Uhm. Sì, devo dare un'occhiata in giro.» Groghe sporse la testa verso Jaxom, aggrottando di nuovo la fron-te. «Tu l'hai fatto? Prima di sentirti male?»

Jaxom si rendeva conto che la visita completamente inattesa del Nobile Groghe poteva avere diversi scopi: uno era assicurare i Signori delle For-tezze che il Signore di Ruatha era ancora tra i vivi, nonostante le voci con-trarie. Il secondo scopo inquietava Jaxom, perché ricordava quanto aveva detto Lessa: i dragonieri volevano «la parte migliore» del Continente Me-ridionale.

Quando Brekke ricordò con delicatezza all'esuberante e cordiale Groghe che non doveva stancale il malato, per poco Jaxom non l'applaudì.

«Non preoccuparti, ragazzo. Tornerò, stai tranquillo.» Il Nobile Groghe lo salutò allegramente dalla soglia. «Un posto magnifico. Ti invidio.»

«Lo sanno tutti dove sono, al Nord?» chiese Jaxom quando Brekke tor-nò.

«L'ha portato D'ram,» disse lei, sospirando e aggrottando la fronte. «D'ram avrebbe dovuto pensarci due volte,» fece Sharra, lasciandosi ca-

dere sulla panca e agitando come un ventaglio una fronda d'albero, con un sollievo esagerato per la partenza del Nobile. «Quello è il tipo che sfinisce i sani, figurarsi un convalescente.»

«Immagino,» continuò Brekke, senza badare al commento di Sharra, «che i Signori delle Fortezze volessero la conferma della guarigione di Jaxom.»

«Ha esaminato Jaxom come se fosse un mandriano. Gli hai fatto vedere i denti?»

«Non lasciarti ingannare dai modi del Nobile Groghe, Sharra,» disse Ja-xom. «Ha una mente acuta come quella del Maestro Robinton. E se l'ha portato qui D'ram, allora F'lar e Lessa dovevano sapere della sua visita. Non credo che approveranno che lui ritorni... o che se ne vada a esplorare i dintorni.»

«Se Lessa ha autorizzato il Nobile Groghe a venire, mi sentirà, stai tran-quillo,» rispose Brekke, stringendo le labbra in una smorfia di disapprova-zione. «Lui non è un visitatore adatto ad un convalescente. Tanto vale che tu lo sappia, Jaxom: hai avuto la febbre per sedici giorni...»

«Cosa?» Jaxom si levò a sedere di scatto, stordito. «Ma... ma...» «La testa-di-fuoco è una malattia pericolosa per un adulto,» disse Sharra.

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Diede un'occhiata a Brekke, che annuì. «C'è mancato poco che morissi.» «Davvero?» Sgomento, Jaxom si toccò la testa con la mano. Brekke annuì di nuovo. «Quindi, se ti sembra che ti obblighiamo ad an-

darci piano con la convalescenza, ammetterai che abbiamo ragione.» «C'è mancato poco che morissi?» Jaxom non riusciva ad accettare quella

realtà. «Quindi procederemo lentamente per assicurarci che ti riprenda. E ades-

so credo che sia ora di farti mangiare qualcosa,» disse Brekke, uscendo. «C'è mancato poco che morissi?» Jaxom si rivolse a Sharra. «Sì, purtroppo.» Lei sembrava più divertita che preoccupata da quella

reazione. «L'importante è che non sei morto.» Involontariamente, guardò la spiaggia e sospirò, un rapido sospiro di sollievo. Sorrise, sfuggevolmen-te, ma Jaxom notò che i suoi occhi espressivi erano oscurati da un ricordo d'angoscia.

«Chi è morto della stessa malattia perché tu ti rattristi, Sharra?» «Nessuno che tu conoscessi, Jaxom, e nessuno che io conoscessi molto

bene. È che... a nessun guaritore fa piacere perdere un paziente.» Jaxom non riuscì a farsi dire di più, e rinunciò quando comprese che

Sharra aveva sofferto profondamente per quella morte. La mattina dopo, imprecando imbarazzato perché le gambe non lo reg-

gevano bene, Jaxom andò sulla spiaggia, aiutato da Brekke e Sharra. Ruth arrivò correndo, quasi pericoloso per la felicità di vedere il suo amico. Brekke ordinò severamente al drago di star fermo per non far cadere Ja-xom. Roteando gli occhi per la preoccupazione e tubando in tono di scusa, Ruth tese cautamente la testa verso il suo cavaliere, quasi timoroso di dar-gli una musata di saluto. Jaxom gli gettò le braccia al collo, e Ruth irrigidì i muscoli per sostenere il peso del suo corpo, rombando in toni d'incorag-giamento. Gli occhi di Jaxom si riempirono di lacrime che si affrettò ad asciugare sulla pelle morbida del suo drago. Caro Ruth. Meraviglioso Ruth. Un pensiero balenò nella sua mente: «Se fossi morto di testa-di-fuoco...»

Non sei morto, disse Ruth. Sei rimasto. Ti ho detto di restare. E adesso sei molto più forte. Diventerai più forte di giorno in giorno e nuoteremo e prenderemo il sole e sarà bellissimo.

Ruth sembrava così indignato che Jaxom dovette calmarlo con parole e carezze fino a quando Brekke e Sharra insistettero perché sedesse, prima di cadere. Avevano sistemato una stuoia di fronde sotto un albero inclinato, lontano dalla battigia, per non esporlo al sole. Lo aiutarono a stendersi.

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Ruth si accovacciò e appoggiò la testa al fianco di Jaxom: gli occhi gem-mei turbinavano dei riflessi lavanda della tensione.

F'lar e Lessa arrivarono a mezzogiorno, dopo che Jaxom ebbe sonnec-chiato un po'. Si stupì nel notare che Lessa, nonostante la sua ruvida ener-gia di altre occasioni, era una visitatrice pacata e rasserenante.

«Abbiamo lasciato che il Nobile Groghe venisse di persona, Jaxom, an-che se sono sicura che la sua visita non ti avrà entusiasmato. Correva voce che tu fossi morto, e anche Ruth.» Lessa scrollò le spalle in un gesto e-spressivo. «Le brutte notizie non hanno bisogno di Arpisti.»

«Al nobile Groghe interessava più sapere dov'ero che come stavo, no?» chiese Jaxom.

F'lar annuì, con un sorriso ironico. «È per questo che abbiamo pregato D'ram di portarlo. Il drago di guardia della Fortezza di Fort è troppo vec-chio per captare l'ubicazione di una località dalla mente del Nobile Gro-ghe.»

«Aveva con sé anche la sua lucertola di fuoco,» disse Jaxom. «Quelle creature pestifere,» fece Lessa, con gli occhi che scintillavano

per l'irritazione. «Quelle creature pestifere hanno contribuito a salvare la vita di Jaxom,

Lessa» replicò Brekke in tono fermissimo. «D'accordo, sono utili; ma per quel che mi riguarda, le loro brutte abitu-

dini controbilanciano quelle buone.» «La piccola regina del Nobile Groghe è intelligente,» continuò Brekke.

«Ma non tanto da portarlo qui.» «Non è questo il vero problema.» F'lar atteggiò una smorfia. «Adesso ha

visto la montagna. E l'ampiezza del territorio.» «Quindi, siamo venuti a rivendicarlo per primi,» sottolineò Lessa in tono

deciso. «Non m'interessa quanti figli ha da sistemare il Nobile Groghe. I dragonieri di Pern hanno la prima scelta. Jaxom può aiutarci...»

«Deve passare un po' di tempo prima che Jaxom possa fare qualcosa,» disse Brekke, interrompendo con tanto garbo che Jaxom si chiese se aveva interpretato male lo stupore di Lessa.

«Non preoccuparti, troverò il modo di tenere a bada le ambizioni di Groghe,» aggiunse F'lar.

«Se ne arriva uno, gli altri lo seguiranno,» disse pensierosa Brekke. «E non passo dar loro torto. Questa parte del Continente Meridionale è molto più bella dei posti dove viviamo.»

«Vorrei avvicinarmi a quella montagna,» disse F'lar, girando la testa

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verso Sud. «Jaxom, so che non hai potuto far molto, sinora, ma quante delle lucertole di fuoco che stanno intorno a Ruth sono meridionali?»

«Non vengono dal Weyr Meridionale, se è questo che ti preoccupa,» disse Sharra.

«Come fai a dirlo?» chiese Lessa. Sharra alzò le spalle. «Non si lasciano toccare. Vanno in mezzo se qual-

cuno si avvicina. È Ruth che le affascina. Non noi.» «Noi non siamo i loro uomini,» continuò Jaxom. «Adesso che posso te-

nermi in contatto con Ruth, cercherò di scoprire tutto il possibile con il suo aiuto.»

«Vorrei proprio che ci riuscissi,» fece Lessa. «E se ce n'è qualcuna del Weyr Meridionale...» Non terminò la frase.

«Credo che dovremmo lasciar riposare Jaxom,» disse Brekke. F'lar ridacchiò e accennò a Lessa di precederlo. «Che razza di visitatori

siamo! Veniamo a trovarlo e non lo lasciamo parlare.» «Non ho fatto nulla di cui parlare, ultimamente,» e Jaxom lanciò un'oc-

chiataccia a Brekke e Sharra. «Ma quando ritornerete, l'avrò fatto.» «Se succede qualcosa d'interessante, di' a Ruth che informi Mnementh o

Ramoth.» Brekke e Sharra si allontanarono con i Comandanti del Weyr, e Jaxom

fu lieto di quella tregua. Sentì Ruth parlare con i due draghi di Benden, e ridacchiò quando Ruth disse con fermezza a Ramoth che tra i suoi nuovi amici non c'era nessuna lucertola del Weyr Meridionale. Jaxom si chiese come mai non gli era venuto in mente prima d'interrogare gli amici di Ruth a proposito dei loro uomini. Sospirò. Non aveva pensato a molte cose, in quegli ultimi tempi, se non al suo straordinario incontro con la morte, che l'aveva assorbito morbosamente. Era assai meglio indagare su un enigma vivo.

E ne aveva parecchi. Il più preoccupante era ancora quello che poteva aver detto nel delirio. La risposta di Brekke non l'aveva tranquillizzato veramente. Cercò di ripensare a quei giorni, ma ricordava soltanto il caldo e il freddo, e gli incubi indistinti.

Pensò alla visita del suo tutore. Dunque Lytol gli era affezionato! Per i Gusci! Aveva dimenticato di chiedergli notizie di Corana. Avrebbe dovuto mandarle un messaggio. Lei sapeva senza dubbio della sua malattia. Ma questo non gli rendeva più facile interrompere completamente la relazione. Adesso che aveva visto Sharra, non poteva continuare con Corana. Doveva ricordarsi di chiederlo a Lytol.

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Che cosa aveva detto, in preda alla febbre? Come parla un uomo in deli-rio? A frammenti? A frasi intere? Forse non era il caso di preoccuparsi di ciò che poteva aver rivelato.

Non gli andava che il Nobile Groghe fosse comparso per vedere come stava. E se lui non si fosse ammalato, Groghe non avrebbe mai saputo l'e-sistenza di quella parte del Continente Meridionale. Almeno fino a quando i dragonieri fossero staiti disposti a parlargliene. E quella montagna! Era troppo eccezionale per dimenticarla. Qualunque drago sarebbe stato capace di trovarla. O no? Se il cavaliere non aveva un'immagine molto chiara, non sempre il drago vedeva in modo abbastanza netto per balzare in mezzo. E una visione di seconda mano? D'ram e Tiroth c'erano riusciti, basandosi sulla descrizione del Maestro Robinton. Ma D'ram e Tiroth erano esperti.

Jaxom voleva riprendersi in fretta. Voleva avvicinarsi a quella monta-gna. Voleva arrivarci per primo. Quanto tempo avrebbe impiegato per gua-rire completamente?

Il giorno dopo fu autorizzato a nuotare un po': Brekke aveva detto che

quell'esercizio sarebbe servito a ridare tono ai suoi muscoli, ma Jaxom scoprì che non aveva più forze. Esausto, si addormentò profondamente appena si buttò sul giaciglio di fronde.

Svegliato dal tocco di Sharra, gridò e si alzò di,, scatto a sedere, guar-dandosi intorno.

«Cosa c'è, Jaxom?» «Un sogno. Un incubo.» Era sicuro che qualcosa non andava. Poi vide

Ruth, lungo disteso, immerso in un sonno profondo, con il muso ad una spanna dai suoi piedi, con una dozzina di lucertole di fuoco acciambellate addosso o intorno, frementi nei loro sogni.

«Beh, adesso sei sveglio. Cos'è successo?» «Il sogno era così vivido... eppure è tutto sparito. Ci tenevo tanto a ri-

cordarlo.» Sharra gli posò sulla fronte la mano fresca. Lui la respinse. «Non ho la febbre,» disse irritato. «No. Mal di testa? Vedi le macchie?» Spazientito e furioso, Jaxom negò, poi sospirò e sorrise con aria di scu-

sa. «Ho un caratteraccio, eh?» «Di rado.» Sharra sorrise, poi sedette sulla sabbia accanto a lui. «Se ogni giorno nuoto un po' più a lungo e mi spingo un po' più lontano,

quanto tempo impiegherò a riprendermi completamente?»

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«Perché hai tanta fretta?» Jaxom sorrise, indicando con la testa la montagna. «Voglio arrivare là

prima del Nobile Groghe.» «Oh, credo che ce la farai senza difficoltà.» L'espressione di Sbarra era

maliziosa. «Ormai riacquisterai le forze giorno per giorno. Non vogliamo che ti affatichi troppo. Meglio qualche giorno di più adesso, piuttosto che una ricaduta.»

«Una ricaduta? E come farei a saperlo?» «Facile. Vedresti le macchie e avresti mal di testa. Ti prego, fai come ti

diciamo noi, Jaxom.» La supplica negli occhi azzurri di Sharra era sincera, e Jaxom si com-

piacque di pensare che quella premura era per lui personalmente, non per il malato. Senza distogliere lo sguardo, annuì in segno di consenso, e fu ri-compensato da un lento sorriso.

F'nor e D'ram arrivarono nel tardo pomeriggio, in abiti da combattimen-to, con i sacchi pieni di pietre focaie legati sui draghi.

«Domani cadranno i Fili,» disse Sharra a Jaxom, notando il suo sguardo interrogativo.

«I Fili?» «Cadono su tutto Pern, e da quando ti sei ammalato sono caduti tre volte

su questa baia. Anzi, il giorno dopo che ti sei ammalato!» Lei sorrise della sua costernazione. «È uno spettacolo eccezionale vedere draghi in cielo. Noi ci limiteremo a tener libera l'area del rifugio. Al resto pensano i bru-chi.» Sharra ridacchiò. «Tiroth si lamenta, dice che non è un vero combat-timento se non può seguire la Caduta sino alla fine Aspetta di vedere Ruth in azione. Oh, sì, niente può impedirgli di prendere il volo. Brekke lo se-gue e, naturalmente, Tiroth e Canth gli forniscono istruzioni. È così orgo-glioso di proteggerti!»

Jaxom deglutì, travolto da mille emozioni: la più forte era l'angoscia, dopo aver udito la spiegazione disinvolta di Sharra.

«Tu ti accorgevi dei Fili, tra l'altro. Un dragoniere, evidentemente, non dimentica mai... neppure nel delirio. Continuavi a gemere che stavano ar-rivando i Fili e che non riuscivi ad alzarti dal suolo.» Per fortuna, Sharra stava guardando i draghi che si accingevano ad atterrare sulla spiaggia, perché Jaxom era certo che la sua espressione l'avrebbe tradito. «Il Mae-stro Oldive dice che anche noi umani abbiamo istinti radicati nella mente, e che reagiamo in modo automatico. Come tu reagivi alla Caduta dei Fili, sebbene stessi malissimo. Ruth è così viziato. L'ho elogiato a dovere dopo

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ogni Caduta, ti assicuro, e mi sono accertata che le lucertole di fuoco gli togliessero dalla pelle il puzzo delle pietre focaie.»

Sharra salutò con un gesto F'nor e D'ram che avanzavano sulla spiaggia slacciandosi le tenute da combattimento. Canth e Tiroth avevano già scari-cato i sacchi di pietre focaie sulla riva e, ad ali spiegate, scendevano nel-l'acqua calma e tiepida con grida di piacere. Ruth scivolò loro incontro. Un grande sciame di lucertole di fuoco trillava volteggiando sopra i tre draghi: erano tutte felici di quella compagnia.

«Hai un colorito migliore, Jaxom, stai molto meglio!» disse F'nor strin-gendogli il braccio nel gesto di saluto.

D'ram annuì, per confermare. Consapevole del debito che aveva verso i due cavalieri, Jaxom balbettò

parole di gratitudine. «Ti dirò una cosa, Jaxom,» disse F'nor, accovacciandosi accanto a lui, «è

uno spettacolo eccezionale vedere il tuo piccolo al lavoro. È un artista su-perbo. Ha liquidato una quantità di Fili tre volte più grande di quella che hanno fatto fuori i nostri colossi. L'hai addestrato bene.»

«Immagino che non mi consideriate abbastanza forte per combattere i Fili, domani?»

«No, e neppure per un po' di tempo ancora,» rispose con fermezza F'nor. «So quello che provi, Jaxom,» continuò, sedendosi accanto a lui sulla stuo-ia. «Anche per me era lo stesso, quand'ero ferito e non potevo combattere i Fili (1). Ma adesso, il tuo unico dovere verso la Fortezza ed il Weyr è ri-prendere le forze. Quanto basta per dare un'occhiata ai dintorni. T'invidio, Jaxom. Sinceramente.» Il sorriso di F'nor esprimeva quell'invidia. «Non ho avuto il tempo di volare lontano, neppure dopo i Fili, quaggiù. Le foreste si estendono da ogni parte.» F'nor indicò con il braccio. «Vedrai. Devo por-tarti il necessario per scrivere, al prossimo viaggio, così potrai preparare una Cronaca? Non potrai combattere i Fili ancora per un po' di tempo, Jaxom, ma avrai abbastanza da lavorare egualmente!»

«Vuoi dire che...» Jaxom s'interruppe, stupito dal tono amareggiato della propria voce.

«Sì, perché devi occuparti di qualcosa, dato che non puoi fare quel che più desideri,» disse F'nor. Strinse il braccio di Jaxom. «Ti capisco. Ruth ha riferito tutto a Canth. Mi dispiace. È imbarazzante per te, ma Ruth si pre-occupa quando sei sconvolto, oppure non lo sapevi?» concluse, ridac-chiando.

«Ti sono grato per quello che stai cercando di fare, F'nor,» disse Jaxom.

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In quel momento Brekke e Sharra uscirono dagli alberi, e Brekke rag-giunse in fretta il suo compagno. Contrariamente a quello che Jaxom si aspettava, non abbracciò il cavaliere marrone. Ma il modo in cui lo guar-dava, la dolcezza quasi esitante con cui gli posò la mano sul braccio, erano più eloquenti di un'accoglienza espansiva. Un po' imbarazzato, Jaxom girò la testa e vide che Sharra osservava Brekke e F'nor, con una strana espres-sione che cancellò nell'istante in cui si accorse dello sguardo di Jaxom.

«Da bere per tutti,» disse lei in tono vivace, porgendo un boccale a D'ram, mentre Brekke serviva F'nor.

Fu una serata piacevole. Mangiarono sulla spiaggia, e Jaxom riuscì a re-primere la sua frustrazione al pensiero della Caduta del mattino seguente. I tre draghi si annidarono sulla sabbia ancora calda, al di sopra della linea dell'alta marea: i loro occhi brillavano come gemme nell'oscurità, oltre il cerchio della luce del fuoco.

Brekke e Sharra cantarono una delle melodie di Menolly, e D'ram fece il controcanto con la sua voce di basso. Quando Brekke si accorse che la testa di Jaxom ciondolava, gli ordinò di tornare al rifugio, e lui non si op-pose. Si addormentò, con il volto girato verso la lampada, cullato dal can-to.

Fu l'eccitazione di Ruth a svegliarlo; sbatté le palpebre senza capire, mentre la voce del drago spezzava il suo sonno. Fili! Ruth avrebbe com-battuto i Fili, quel giorno, insieme a Tiroth e a Canth. Jaxom gettò via la coperta, infilò i calzoni e si avviò a passo svelto verso la spiaggia. Brekke e Sharra stavano aiutando i due dragonieri a caricare le loro bestie con i sacchi di pietre focaie. Con quattro lucertole di fuoco a terra ai suoi piedi. Ruth stava masticando industriosamente il proprio mucchio. L'alba stava appena spuntando all'Est. Jaxom scrutò nella luce pallida, cercando di scorgere la nebulosità che indicava la presenza dei Fili. Le tre Sorelle dell'Alba ammiccavano insolitamente brillanti sopra di lui, facendo impal-lidire al confronto le altre stelle del mattino, all'Ovest. Jaxom aggrottò la fronte nel vederle. Non aveva mai notato quanto fossero luminose e quanto sembrassero vicine. A Ruatha erano più fioche, punti appena visibili all'o-rizzonte meridionale, all'aurora. Si disse che avrebbe dovuto ricordare di chiedere a F'nor se aveva un cannocchiale, e se Lytol poteva mandargli le equazioni e le mappe stellari. Poi notò l'assenza degli sciami delle lucertole meridionali che attorniavano Ruth giorno e notte.

«Jaxom!» Brekke lo vide. I due cavalieri gli fecero un cenno di saluto e balzarono sui loro draghi.

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Jaxom controllò che Ruth avesse ingoiato abbastanza pietre, lo accarez-zò, elogiando la sua decisione di combattere i Fili da solo.

Ricordo tutte le esercitazioni che ci hanno insegnato al Weyr di Fort. Ho F'nor e Canth, e D'ram e Tiroth che mi aiutano. Brekke mi segue sem-pre, poi. Non ho mai ascoltato una donna, prima. Ma Brekke è bravissima. È triste, ma Canth dice che per lei è un bene poterci sentire. Così sa che non è mai sola.

Erano tutti rivolti verso l'oriente, dove la Stella Rossa pulsava, rotonda, fulgida, di un vermiglio-arancione. Un velo sembrava fluttuare davanti alla stella, e F'nor, alzando la mano, segnalò a Ruth di prendere il volo. Canth e Tiroth si avventarono energicamente nell'aria, battendo le ali per sollevar-si. Ruth era già in alto, prima di loro: accanto a lui apparvero quattro lucer-tole di fuoco, che sembravano minuscole, al confronto, come lui sembrava piccolo accanto a Canth e Tiroth.

«Non andare incontro ai Fili da solo, Ruth!» gridò Jaxom. «Non lo farà,» disse Brekke, con gli occhi scintillanti. «È abbastanza

giovane per voler essere il primo. In quanto a questo, risparmia parecchia fatica ai draghi più anziani. Ma dobbiamo metterci al riparo.»

I tre si soffermarono per dare un'ultima occhiata ai loro difensori, poi si affrettarono ad entrare nel rifugio.

«Non potrai vedere molto,» disse Sharra a Jaxom, che si era messo ac-canto alla porta aperta.

«Vedrò se i Fili cadono qui, sulla vegetazione.» «Non cadranno. Abbiamo cavalieri formidabili.» Jaxom si sentì aggricciare la pelle e rabbrividì. «Non azzardarti a prendere un raffreddore!» disse Sharra. Andò a racco-

gliere una camicia e gliela buttò. «Non ho freddo. Sto solo pensando ai Fili ed a questa foresta.» Sharra lanciò un'esclamazione sprezzante. «L'avevo dimenticato. Tu sei

nato e cresciuto in una Fortezza settentrionale. Nelle foreste del Sud, i Fili non possono far altro che strappare le foglie... che poi guariscono. È pieno di bruchi, qui. E se t'interessa, è stata la prima cosa che hanno fatto F'nor e D'ram... controllare che la zona fosse piena di bruchi. E lo è!»

Abbiamo incontrato i Fili, gli disse Ruth, in tono euforico. Io fiammeg-gio benissimo. Devo compiere virate a V, mentre Canth e Tiroth passano ad Est e ad Ovest. Siamo molto in alto. Anche le lucertole di fuoco fiam-meggiano molto bene. Là! Berd! Tu sei il più vicino. Meer, attacca quello sul tuo fianco. Talla! Aiutalo. Arrivo, arrivo! Giù. Eccomi! Fiammeggio!

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Io proteggo il mio amico! Brekke notò lo sguardo di Jaxom e gli sorrise. «Ci sta facendo un com-

mento continuato, così sappiamo tutti che combatte bene!» I suoi occhi si sfuocarono, e sbatté le palpebre. «Qualche volta, vedo la Caduta attraverso tre paia d'occhi di drago. Non so dove sto guardando. Va tutto bene!»

Più tardi, Jaxom non avrebbe saputo dire che cosa stava mangiando e bevendo. Quando il monologo di Ruth riprese, Jaxom seguì attentamente ciò che gli diceva il suo drago, guardando di tanto in tanto Brekke; il suo volto rispecchiava l'intenso sforzo di ascoltare tre draghi e quattro lucertole di fuoco. All'improvviso, il commento di Ruth s'interruppe, e Jaxom si lasciò sfuggire un grido.

«Tutto bene. Non inseguono i Fili per l'intera Caduta,» disse Brekke. «Solo quanto basta per garantirci la sicurezza. Benden combatterà i Fili domani sera, sopra Nerat. Oggi Candì e Tidoth non devono stancarsi trop-po.»

Jaxom si alzò così bruscamente da rovesciare la panca. Mormorò una parola di scusa, la raddrizzò, poi uscì, avviandosi in direzione della spiag-gia. Quando arrivò al lido, continuò a scrutare verso Ovest, e scorse a fati-ca il velo lontano dei Fili. Un altro brivido lo scosse; dovette lisciarsi i capelli sulla nuca. La baia, solitamente calma e screziata da piccole onde tranquille, ribolliva per l'attività dei pesci che balzavano sulla superficie e ripiombavano, contorcendosi frenetici.

«Che cos'hanno?» chiese a Sharra che l'aveva raggiunto. «I pesci si stanno ingozzando di Fili. Di solito riescono a ripulire la baia

in tempo perché i nostri draghi possano fare il bagno quando tornano. Ec-co! Eccoli là! Sono tornati!»

È stata una bella Caduta! Ruth era giubilante; poi assunse un tono ribel-le. Ma non dobbiamo seguirla. Canth e Tiroth hanno detto che oltre il grande fiume c'è solo un deserto di pietra, ed è stupido sprecar fiamme per qualcosa che i Fili non possono danneggiare. Ooooh!

Sharra e Jaxom risero, quando il piccolo drago bianco lanciò uno sbuffo di fiamma, quasi strinandosi il muso a causa dell'angolo di volo. Lo corres-se immediatamente, continuando a planare.

Allorché i due grandi draghi atterrarono, le acque s'erano già calmate. Ruth era fierissimo di non aver avuto bisogno di alimentare le sue fiamme neppure una volta, perché adesso sapeva quanta pietra focaia doveva ma-sticare per l'intera Caduta. Canth girò la testa verso il piccolo bianco con un'aria di divertita tolleranza.

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Tiroth sbuffò; poi, liberato dal sacco, rivolse un cenno a D'ram e s'im-merse nell'acqua. All'improvviso, l'aria si riempì di lucertole di fuoco che gli aleggiavano intorno. Il vecchio bronzeo levò la testa verso il cielo, sbuffò di nuovo e, con un sonoro sospiro, si rotolò nell'acqua. Le lucertole scesero, gettandogli addosso boccate di sabbia, prima di cominciare a stri-gliargli la pelle con tutte e quattro le zampette. Gli occhi di Tiroth, velati da un solo paio di palpebre per proteggerli dall'acqua, scintillavano appena al di sotto della superficie in un bizzarro arcobaleno sottomarino.

Canth muggì, e metà dello sciame lasciò Tiroth per occuparsi di lui men-tre sguazzava. Ruth osservò la scena, sbatté le palpebre, si scrollò e andò a immergersi ad una certa distanza dal bronzeo e dal marrone. Quattro lucer-tole di fuoco, quelle con le bande colorate, lasciarono i grandi draghi e cominciarono a lustrare il piccolo bianco.

«Ti aiuto io, Jaxom,» disse Sharra. Ripulire la pelle di un drago dal fetore delle pietre focaie è un lavoro fa-

ticoso in ogni caso e, sebbene dovesse occuparsi soltanto di una metà di Ruth, Jaxom dovette stringere i denti per arrivare sino in fondo.

«Ti avevo detto di non strafare, Jaxom,» disse Sharra in tono brusco, ria-lazandosi dopo aver lustrato la coda forcuta di Ruth, quando vide che Ja-xom s'era appoggiato ai quarti posteriori del drago. Gli indicò imperiosa-mente la spiaggia. «Fuori! Ti porterò qualcosa da mangiare. Sei più bianco di Ruth!»

«Non recupererò mai le forze, se non mi do da fare.» «Smettila di borbottare...» «E non dirmi che lo fai per il mio bene...» «No, per il mio! Non voglio essere costretta a curarti per una ricaduta!» Lo guardò così rabbiosamente che Jaxom si rialzò e uscì dall'acqua.

Sebbene non fosse lontano dal suo giaciglio sotto gli alberi, si sentiva le gambe plumbee, mentre le trascinava nell'acqua. Si sdraiò con un sospiro di sollievo e chiuse gli occhi.

Quando li riaprì, qualcuno lo stava scuotendo; vide Brekke che lo guar-dava con aria interrogativa. «Come ti senti?»

«Stavo sognando?» «Uhm. Altri brutti sogni?» «No. Strani. Ma non erano chiari.» Jaxom scosse il capo per scrollarsi di

dosso i miasmi dell'incubo. Si accorse che era mezzogiorno. Ruth dormiva russando alla sua sinistra. Lontano, sulla destra, vide D'ram che riposava appoggiato alle zampe anteriori di Tiroth. F'nor e Cani non c'erano.

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«Probabilmente avrai fame,» disse Brekke, porgendogli il piatto ed il boccale che aveva recato con sé.

«Quanto ho dormito?» Jaxom era irritato con se stesso. Si stirò le spalle e si sentì i muscoli indolenziti per la fatica di aver lustrato il drago.

«Diverse ore. Ti ha fatto bene.» «Da un po' di tempo sogno parecchio. Conseguenza della testa-di-

fuoco?» Brekke batté le palpebre, poi aggrottò la fronte, pensierosa. «Adesso che

ci penso, anch'io sogno più del solito. Forse è il troppo sole.» In quel momento Tiroth si svegliò, muggì, si rialzò in piedi e spruzzò di

sabbia il suo cavaliere. Brekke represse un grido e si alzò di scatto, fissan-do il vecchio bronzeo che si liberava dalla sabbia e spiegava le ali.

«Brekke, devo andare!» gridò D'ram. «Hai sentito?» «Sì, ho sentito. Vai, presto!» gridò lei di rimando, levando la mano in un

gesto di saluto. Ciò che aveva svegliato Tiroth eccitò le lucertole di fuoco, che comin-

ciarono a volteggiare ed a tuffarsi in picchiata, cinguettando rauche. Ruth alzò la testa, le guardò con aria insonnolita, poi posò di nuovo la testa sulla sabbia, imperturbato. Brekke si voltò a guardare il drago bianco con un'e-spressione strana.

«Cosa succede, Brekke?» «I bronzei al Weyr di Ista stanno dissanguando le loro prede.» «Oh, Schegge e Gusci!» La sorpresa iniziale di Jaxom divenne una delu-

sione disgustata per la sua debolezza. Aveva sperato di poter assistere a quel volo nuziale. Voleva gridare incoraggiamenti a G'dened e Barnath.

«Lo saprai,» disse Brekke, calmandolo. «Ci saranno Canth e Tiroth. Mi riferiranno tutto. E adesso mangia!»

Mentre Jaxom obbediva, imprecando ancora contro la sfortuna, notò che Brekke stava fissando di nuovo Ruth.

«Che cos'ha Ruth?» «Ruth? Niente. Povero caro, era così orgoglioso di combattere i Fili per

te, e adesso è troppo stanco per interessarsi a qualunque altra cosa.» Brekke si alzò, e quando si allontanò, Berd e Grall le si posarono sulle

spalle, mormorando sommessamente mentre lei scompariva tra le ombre della foresta.

XIV

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Prima mattina alla Sede dell'Arte degli Arpisti Metà mattina al Weyr di Ista Metà pomeriggio alla Baia di Jaxom 15.8.28. Nell'oscurità dell'alba, Robinton fu svegliato da Silvina. «Maestro Robinton, è arrivato un messaggio dal Weyr di Ista. I bronzei

stanno dissanguando le prede. Caylith si leverà presto per il volo nuziale. Richiedono la tua presenza.»

«Oh, sì, grazie, Silvina.» Robinton sbatté le palpebre, infastidito dalla luce delle lampade cui la donna stava togliendo gli schermi. «Per caso non mi hai portato...» Vide il boccale fumante accanto al letto. «Oh, brava! Hai la mia eterna gratitudine!»

«È quel che dici sempre,» rispose Silvina, ridacchiando, e uscì per la-sciarlo alzarsi.

Robinton si vestì in fretta, per evitare il freddo che precede l'alba. Zair gli si appollaiò come al solito sulla spalla, squittendo sommessamente mentre l'Arpista si avviava nel corridoio.

Con una lampada in mano per rischiarare la sala inferiore, Silvina lo at-tendeva accanto alle massicce porte di ferro. Girò il volano, e la grande sbarra si alzò dal soffitto e dal pavimento. Robinton tirò per aprire il gran-de battente, e trasalì per l'improvvisa fitta al fianco. Poi Silvina gli porse la gitar, chiusa nella robusta custodia per proteggerla dal freddo in mezzo.

«Spero che sia Barnath ad accompagnare Caylith nel volo nuziale,» dis-se la donna. «Guarda, ecco Drenth.»

L'Arpista vide il drago marrone che batteva le ali per atterrare e scese correndo la scala. Drenth era eccitato: i suoi occhi brillavano di un rosso-arancio nella notte. Robinton salutò il cavaliere, indugiò per sistemarsi la gitar sulle spalle e poi, afferrando la mano di D'fio, si arrampicò sul dorso del marrone.

«Come vanno le scommesse?» chiese. «Ah, andiamo, Arpista; Barnath è una bestia magnifica. Sarà lui ad ac-

compagnare Caylith nel volo nuziale. Però,» ed una sfumatura di dubbio s'insinuò nella voce dell'uomo, «i quattro bronzei che N'ton ha autorizzato a partecipare sono giovani e vigorosi, e ansiosi di tentare la sorte. Potrebbe esserci una sorpresa. Scommetti come vuoi, ti renderà bene.»

«Vorrei proprio scommettere, ma non dovrei...» «Oh, se consegnassi i marchi a me, Maestro Robinton, giurerei per il

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Guscio del mio Drenth che sono miei!» «Dopo il volo e non soltanto prima?» chiese Robinton, mentre il diver-

timento lottava con il suo desiderio poco professionale di scommettere. «Sono un dragoniere, Maestro Robinton,» disse burbero D'fio. «Non uno

di quei meridionali senza fede.» «Ed io sono il Maestro Arpista di Pern,» fece Robinton. Ma si appoggiò

alla schiena dell'altro, mettendogli in mano una moneta da due marchi. «Barnath, naturalmente, e che nessuno sappia nulla, per favore.»

«Come vuoi, Maestro Robinton.» D'fio sembrava soddisfatto. Si alzarono sopra l'ombra nera degli strapiombi di Fort, verso l'oscurità

meno intensa del cielo notturno, illune in quell'ora ed in quella stagione. Robinton sentì la tensione nelle spalle di D'fio e trattenne bruscamente il respiro mentre si trasferivano in mezzo. Uscirono all'improvviso, e Drenth gridò il suo nome al drago di guardia del Weyr di Ista.

Robinton si schermò gli occhi per ripararli dal riflesso del sole sull'ac-qua. Quando abbassò lo sguardo, vide il drammatico picco spezzato del Weyr di Ista, le pietre nere puntate verso il cielo azzurro come gigantesche dita corrose. Ista era il Weyr più piccolo, ed alcuni dei suoi draghi avevano i loro weyr nella foresta che circondava la base. Ma l'ampio pianoro oltre il cono era affollato di bestie bronzee: i loro cavalieri erano raggruppati in-torno alla regina aurea accovacciata sulla preda e intenta a succhiarne il sangue. A distanza di sicurezza, un gruppo numeroso di persone assisteva alla scena. Drenth planò in quella direzione.

Zair s'involò dalla spalla di Robinton per unirsi alle altre lucertole di fuoco che volteggiavano eccitate nell'aria. Robinton notò che le creaturine si tenevano lontane dai draghi. Ma almeno, le lucertole di fuoco erano riapparse nei Weyr.

Anche D'fio smontò e mandò il suo marrone a nuotare nelle acque tiepi-de della baia sotto il pianoro del Weyr. Altri draghi, che non avrebbero preso parte al volo, stavano già facendo il bagno.

Caylith si levò volteggiando dal suolo, lanciandosi sul branco chiuso nel Campo del Pasto. Cosira la seguì, controllando energicamente la sua gio-vane regina perché non s'ingozzasse di carne e non si appesantisse troppo per quel decisivo volo nuziale. Robinton contò ventisei bronzei intorno al Campo del Pasto, lucenti nella luce del sole, gli occhi che turbinavano ros-si nell'eccitazione, le ali semispiegate, i corpi accovacciati e pronti a lan-ciarsi verso il cielo nell'istante in cui la regina avrebbe preso il volo. Erano tutti giovani, come aveva raccomandato F'lar, e di dimensioni quasi eguali:

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attendevano, senza mai distogliete gli occhi scintillanti dall'oggetto del loro interesse.

Caylith emise un profondo ringhio gutturale, succhiando il sangue dalla carcassa del wherry. Alzò la testa per lanciare uno sbuffo sprezzante verso i bronzei.

All'improvviso il drago di guardia ruggì una sfida, e persino Caylith si voltò ad osservare. Dal Sud, sul mare, arrivavano sfrecciando due bronzei.

Mentre Robinton pensava che le bestie dovevano aver volato a livello del mare per arrivare così vicine al Weyr senza farsi notare, si accorse che erano animali vecchi, con i musi ingrigiti e i colli tozzi. Due bronzei degli Antichi. Dovevano essere T'kul con Salth, e probabilmente B'zon con Ra-nilth. Robinton corse verso il Campo del Pasto, verso gli aspiranti compa-gni della regina, perché quella era evidentemente la destinazione dei due bronzei arrivati dal Sud.

Il loro tempismo era perfetto, pensò Robinton; poi vide altri due avviarsi verso i bronzei che si accingevano all'atterraggio... la figura massiccia di D'ram e quella agile di F'lar. T'kul e B'zon saltarono dal dorso delle loro bestie. I draghi compirono un ultimo balzo per schierarsi con gli altri bron-zei che sibilarono e ringhiarono contro i nuovi venuti. Robinton pregò, sottovoce, che nessuno dei cavalieri bronzei agisse senza riflettere. Quasi tutti erano così giovani che non potevano aver riconosciuto T'kul e B'zon. Ma D'ram e F'lar li avevano riconosciuti certamente.

Robinton si sentì il cuore battere forte nel petto: un dolore sconosciuto lo costrinse a rallentare. B'zon gli stava di fronte, con un sorriso fisso sul vol-to. L'Antico toccò il braccio di T'kul, e l'ex Comandante del Weyr delle Terre Alte lanciò una rapida occhiata all'Arpista. Poi T'kul, non giudican-dolo pericoloso, tornò a girarsi verso i due Comandanti.

D'ram fu il primo a raggiungere T'kul. «Sciocco, è per bestie giovani. Ucciderai Salth.»

«Che altra possibilità ci avete lasciato?» chiese B'zon, mentre F'lar e Robinton si fermavano a fianco dei due meridionali. C'era un tono isterico nella voce di quell'uomo. «Le nostre regine sono troppo vecchie per levarsi nel volo nuziale: non ci sono verdi per dare sollievo ai maschi. Dobbia-mo...»

Caylith barrì, lasciando la carcassa dissanguata e, un po' correndo e un po' svolazzando per disperdere il branco, inchiodò fulmineamente con la zampa anteriore un'altra vittima e la trascinò a sé.

«D'ram, tu hai dichiarato aperto questo volo, no?» chiese T'kul con voce

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aspra, i lineamenti contratti sotto l'abbronzatura. Poi deviò lo sguardo da D'ram a F'lar.

«Sì, ma i tuoi bronzei sono troppo vecchi, T'kul,» rispose D'ram, indi-cando con un gesto i giovani draghi impazienti. La differenza fra loro e gli altri due era dolorosamente ovvia.

«Salth sta morendo comunque. Lascia che muoia tentando. Ho compiuto questa scelta, D'ram, quando l'ho portato qui.» T'kul fissò F'lar: l'amarezza e l'odio erano così vivi nei suoi occhi che Robinton trattenne il respiro. «Perché avete ripreso l'uovo? Come l'avete trovato?» Per un attimo, la disperazione sprezzò il freddo orgoglio e l'arroganza di T'kul.

«Se vi foste rivolti a noi, vi avremmo aiutato,» disse sottovoce F'lar. «Anch'io,» disse D'ram, addolorato dall'angoscia dell'amico di un tempo. Senza badare a F'lar, T'kul rivolse al Comandante del Weyr di Ista una

lunga occhiata sprezzante; poi, raddrizzando le spalle, accennò a B'zon di farsi avanti. F'lar era sulla sua strada, tra lui e gli altri cavalieri bronzei. Il Comandante del Weyr di Benden aprì la bocca per dire qualcosa, scosse il capo con aria di rammarico, e si scostò. I cavalieri meridionali avanzarono appena in tempo. Caylith, levando il muso insanguinato, sembrava brillare più aurea che mai. I suoi occhi turbinavano opalescenti. Con un grido ter-ribile, si lanciò verso l'alto. Barnath fu il primo drago che si staccò dal suo-lo per seguirla e, con grande sorpresa di Robinton, Salth, il drago di T'kul, non restò molto indietro al bronzeo di Ista.

T'kul si girò di scatto verso F'lar, con un'espressione insultante di trion-fo. Poi si portò accanto a Cosira. La Dama del Weyr vacillava per lo sforzo di restare in contatto mentale con la sua regina. Non si accorse che erano G'dened e T'kul a riaccompagnarla nel suo alloggio, per attendere l'esito del volo.

«Ucciderà Salth,» stava mormorando D'ram, sconvolto. La strana oppressione al petto impedì a Robinton di tranquillizzarlo. «E anche B'zon!» D'ram strinse il braccio di F'lar. «Non possiamo far

nulla per impedirlo? Due draghi!» «Se fossero venuti da noi...» cominciò F'lar, posando la mano su quella

di D'ram, per consolarlo. «Ma i cavalieri Antichi erano abituati a prendere! È stato il loro errore, fin dall'inizio!» Il suo viso s'indurì.

«E continuano a prendere,» disse Robinton, cercando di attenuare l'an-goscia di D'ram. «Hanno sempre preso dal Nord tutto quello che hanno voluto. Qua e là. Quel che gli serviva Ragazze, materiale, pietre, ferro, gemme. Hanno continuato a saccheggiare, senza chiasso, da quando sono

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stati esiliati. Ho ricevuto i rapporti. Li ho trasmessi a F'lar.» «Se ce l'avessero chiesto!» F'lar alzò gli occhi verso i draghi in volo, che

rimpicciolivano rapidamente nel cielo. «Che cos'è successo?» Il Nobile Warbret della Fortezza di Ista si affrettò

a raggiungerli. «Quegli ultimi due erano vecchi o io non conosco più i dra-ghi.»

«Il volo nuziale è aperto,» rispose F'lar, ma Warbret stava scrutando la faccia ansiosa di D'ram.

«Ai draghi vecchi? Mi pareva tu avessi stabilito che dovevano essere draghi giovani e che non avevano ancora avuto la possibilità di accompa-gnare una regina! Non capisco proprio che senso avrebbe avere un altro Comandante anziano. Senza offesa, D'ram. I cambiamenti sconvolgono la gente delle Fortezze.» E scrutò il cielo. «Come faranno a reggere il ritmo dei più giovani? Volano troppo veloci.»

«Hanno il diritto di tentare,» disse F'lar. «E mentre attendiamo l'esito, gradiresti un po' di vino, D'ram?»

«Sì, sì, vino. Nobile Warbret...» D'ram si ricompose e accennò al Signo-re della Fortezza di accompagnarlo verso la caverna. Fece segno agli altri ospiti di seguirlo, ma il suo passo era lento e pesante.

«Non preoccuparti, D'ram. Quell'altro drago potrà anche essere veloce,» disse il Nobile Warbret, battendo la mano sulla spalla del dragoniere, «ma io ho piena fiducia in G'dened e Barnath. Un giovane eccellente! E un dra-go splendido. E poi, si è già accoppiato con Caylith, no? E questo serve sempre a qualcosa, no?»

Mentre Robinton respirava di sollievo perché il Signore della Fortezza di Ista aveva interpretato erroneamente la preoccupazione di D'ram, F'lar ri-spondeva alle domande.

«Sì, Caylith ha deposto trenta quattro uova nella sua prima covata con Barnath. È meglio che una regina giovane non ne deponga troppe, ma i suoi draghi erano tutti sani e robusti. Nessun uovo di regina; ma capita spesso, quando un Weyr ha già regine a sufficienza. Il legame di un accop-piamento precedente può essere un fattore importante, nonostante la schiz-zinosità di una regina, ma non si sa mai.»

Robinton notò che la gente del Weyr sembrava nervosa, mentre serviva i visitatori. Si chiese quanti avevano identificato i meridionali. Si augurò che nessuno esponesse i propri sospetti davanti al Signore di Ista.

Salth, il drago di T'kul, doveva aver volato con la sua regina dozzine di volte, e l'aveva sempre conquistata. Era vecchio e furbo, sì, ma tutta la sua

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furberia non gli sarebbe servita a nulla se non avesse raggiunto la regina nei primissimi minuti di volo. Non poteva avere la resistenza dei draghi più giovani, e forse neppure la velocità per lo scatto finale. Tra i suoi av-versari c'erano bestie magnifiche. Robinton sapeva con quanto scrupolo N'ton aveva scelto i quattro cavalieri bronzei di Fort che si erano presenta-ti. Ognuno di loro era Vicecomandante da molti Giri: erano uomini che avevano dato buona prova di sé durante le Cadute dei Fili, e avevano dra-ghi fortissimi. Anche F'lar aveva scelto i tre concorrenti di Benden tra uo-mini capaci di comandare un Weyr. Robinton immaginava che anche Tel-gar, Igen e le Terre Alte avessero onorato il Weyr di D'ram inviando uo-mini degni. Ista era il più piccolo dei sei Weyr, e aveva bisogno di una grande unità.

Sorseggiò il vino, augurandosi che il fianco smettesse di dolergli, e chiedendosi cosa aveva causato quell'oppressione snervante. Bene, il vino guariva molti mali. Attese che D'ram girasse la testa e gli riempi di nuovo la coppa; e mentre lo faceva, notò lo sguardo d'approvazione di F'lar.

Gli abitanti del Weyr cominciarono a fermarsi al tavolo, per salutare D'ram ed il Nobile Warbret. L'evidente piacere che provavano nel rivedere il loro ex Comandante era come un tonico per D'ram, che rispondeva sor-ridendo e chiacchierando. Sembrava teso, ma tutti l'avrebbero attribuito alla comprensibile ansia per l'esito del volo nuziale.

Robinton era alle prese con un enigma, le parole rabbiose di T'kul a pro-posito dell'uovo. «Perché avete ripreso l'uovo? Come l'avete trovato?» T'kul non aveva capito che l'uovo era stato restituito da qualcuno del Weyr Meridionale? Poi l'Arpista s'irrigidì. Non era stato un meridionale a rende-re l'uovo... perché sicuramente T'kul, nel frattempo, avrebbe scoperto il colpevole.

Robinton si augurò fervidamente che nessuno dei due vecchi draghi mo-risse nel tentativo di accoppiarsi con la giovane regina. Era tipico degli Antichi aggiungere una nota acre a quella che avrebbe dovuto essere un'occasione di gioia. Senza dubbio, nel Weyr Meridionale la vita non doveva essere insopportabile al punto da spingere T'kul a permettere fred-damente al suo drago di sfidare la morte, pur di non restare laggiù. Robin-ton conosceva bene quel Weyr: si trovava in una valletta meravigliosa... un miglioramento considerevole rispetto al tetro Weyr delle Terre Alte. C'era un enorme edificio ben costruito al centro di un cortile lastricato, dove nessun Filo poteva trovare erba per rintanarsi. Il cibo era a portata di mano, c'erano bestie selvatiche in abbondanza per sfamare i draghi, il clima era

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ideale, e i dragonieri dovevano solo proteggere la piccola Fortezza sulla costa.

Poi Robinton ricordò l'odio ardente per F'lar che aveva visto negli occhi di T'kul. Erano la malvagità e il dispetto a spingere l'ex Comandante del Weyr delle Terre Alte... e l'odio per un esilio inaccettabile.

Le regine erano ormai troppo vecchie per levarsi nel volo nuziale, ma questo era un fatto recente, pensò Robinton, e i bronzei non potevano esse-re ridotti tanto male. Invecchiavano, e il loro sangue non si scaldava in fretta, e così doveva essere possibile reprimere gli impulsi.

E c'era anche il fatto che T'kul non era stato costretto a trasferirsi a Sud con Mardra, T'ron e gli altri Antichi irriducibili e ostinati. Avrebbe potuto accettare la superiorità di Benden, riconoscere che le Arti e le Fortezze avevano acquisito diritti nei quattrocento Giri trascorsi dopo l'ultimo Pas-saggio, e avrebbe potuto comportarsi di conseguenza.

Se uno dei meridionali si fosse fatto avanti, comportandosi con onore, chiedendo l'assistenza degli altri Weyr, era certo che l'avrebbe ottenuta. Non dubitava della sincerità di D'ram, e lui stesso avrebbe appoggiato quelle richieste. Per il Guscio, le avrebbe appoggiate!

Considerando la peggior conclusione possibile di quella giornata, cosa sarebbe accaduto a T'kul, se Salth si fosse stroncato nel volo? L'Arpista sospirò: non gli piaceva pensare a quella eventualità, ma era necessario. Era possibile che... Robinton guardò in direzione dell'alloggio della Dama del Weyr. Aveva visto che T'kul portava un coltello alla cintura. Tutti li avevano. Robinton si sentì battere il cuore più forte. Sapeva che era un'in-discrezione, ma non avrebbe dovuto suggerire a D'ram di mandare qualcu-no nel weyr della regina, per precauzione? Qualcuno che non fosse coin-volto nel volo nuziale. Quando un drago moriva, il suo compagno umano poteva impazzire e non capire più quello che faceva. Davanti agli occhi dell'Arpista balenò la visione dell'odio di T'kul. Robinton godeva di molte prerogative, ma non poteva entrare nelle stanze di una Dama del Weyr quando la sua regina si stava accoppiando. Eppure...

Robinton batté le palpebre. F'lar non era più seduto a tavola. L'Arpista girò lo sguardo nella caverna, ma non scorse l'alta figura del Comandante del Weyr di Benden. Si alzò, sforzandosi di muoversi con distratta disin-voltura, rivolse un cortese cenno dal capo a D'ram ed a Warbret mentre si dirigeva verso l'ingresso. L'Arpista della Fortezza di Ista gli si parò davan-ti.

«F'lar ha preso con sé due dei nostri cavalieri più forti, Maestro Robin-

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ton.» Baldor indicò con la testa l'alloggio della Dama del Weyr. «Ha paura di un guaio.»

Robinton annuì, con un sospiro di sollievo, e si fermò. «Come ha fatto? Non ho visto nessuno passare dalla scala.» Baldor sorrise. «Il Weyr è pieno di gallerie e di entrate. Sarebbe stato i-

nutile complicare il problema, no?» aggiunse, indicando gli ospiti. «Infatti. Infatti.» «Sapremo presto quello che succede,» disse Baldor con un sospiro pre-

occupato. «Le nostre lucertole di fuoco ce lo riferiranno.» «È vero.» Zair, sulla spalla di Robinton, scambiò un trillo con il marrone

di Baldor. Un po' tranquillizzato da quelle precauzioni, Robinton tornò a tavola.

Riempì di nuovo la propria coppa e quella di D'ram. Non era vino di Ben-den, ma era accettabile, anche se un po' più dolce di quanto piaceva a lui. Come mai le altre occasioni liete sembravano volare, e quella si trascinava all'infinito?

Il drago di guardia gridò: un suono spaventoso, dolente. Ma non acuto. Non era un grido di morte! Robinton sentì l'oppressione al petto attenuarsi. Ma il suo sollievo era prematuro, perché nella caverna vi fu un brusio di bisbigli preoccupanti. Parecchi corsero fuori, levando gli occhi verso l'az-zurro drago da guardia che teneva le ali protese. Zair crocidò sommessa-mente, ma Robinton non percepì nulla di preciso. Il piccolo bronzeo si limitava a ripetere i pensieri confusi del drago.

«Uno dei bronzei deve aver desistito,» spiegò D'ram, deglutendo nervo-samente, cinereo in volto sotto l'abbronzatura. Fissò Robinton.

«Uno dei più vecchi, scommetterei,» fece Warbret, soddisfatto di quella conferma.

«Probabilmente hai ragione,» disse Robinton, disinvolto. «Ma il volo è aperto, quindi bisognava ammetterli.»

«Non ci stanno impiegando troppo tempo?» chiese Warbret, guardando accigliato il cielo che si scorgeva appena dal tavolo.

«Oh, non credo,» rispose Robinton, augurandosi di avere un'aria abba-stanza distratta. «Anche se qualche volta sembra proprio così. Immagino che dia questa impressione perché l'esito di questo volo nuziale avrà con-seguenze decisive per il Weyr. Caylith sta facendo correre quei bronzei!»

«Credi che ci sarà un uovo di regina, questa volta?» chiese ansioso War-bret.

«Io non farei mai l'errore di contare le uova così presto, Nobile War-

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bret,» disse l'Arpista, cercando di conservare un'espressione blanda. «Oh, sì, certo. Voglio dire, sarebbe un grosso successo per Barnath, no?

Se dopo questo volo la sua regina deponesse un uovo dorato.» «Naturalmente. Cioè... se Barnath riuscirà ad accoppiarsi con lei.» «Suvvia, Maestro Arpista, certo che ci riuscirà. Dov'è il tuo senso di giu-

stizia?» «Dov'è sempre: ma non credo che Caylith sia molto sensibile alla giusti-

zia, in questo momento.» Aveva appena pronunciato quelle parole quando Zair, con gli occhi ac-

cesi del giallo vivo dell'angoscia, lanciò all'Arpista uno squittio incom-prensibile e impaurito. Mnementh irruppe nell'aria, a bassa quota sopra la Conca, gridando allarmato.

Robinton balzò in piedi e corse, guardandosi intorno per cercare Baldor. Anche l'Arpista istano aveva reagito prontamente al pericolo. Insieme a quattro robusti cavalieri si precipitò verso il Weyr.

«Cos'è successo?» chiese Warbret. «Resta lì,» gli gridò Robinton. L'aria si riempì all'improvviso di draghi che urlavano e ululavano, evi-

tando a malapena di scontrarsi in volo mentre turbinavano sconvolti. Ro-binton corse più in fretta che poté, ignorando l'acuta fitta che cercava di alleviare premendosi la mano contro il fianco. L'oppressione al petto sem-brava peggiorata, e gli toglieva il fiato che gli serviva per la corsa.

Zair cominciò a strillare, sopra la sua testa, proiettando l'immagine di un drago che precipitava e di uomini che lottavano. Purtroppo, il piccolo bronzeo non era in grado di trasmettere l'informazione che per Robinton era più importante... quale drago, quali uomini? Doveva esserci di mezzo F'lar, altrimenti Mnementh non sarebbe stato lì.

L'enorme bronzeo stava atterrando sul cornicione del weyr della regina, impedendo il passaggio agli uomini di Baldor. Quelli si strinsero contro la parete di roccia, cercando di sfuggire ai movimenti frenetici delle grandi ali.

«Mnementh! Ascoltami! Lasciaci passare! Andiamo ad aiutare F'lar. A-scoltami!»

Robinton si lanciò correndo su per la scala, superando Baldor e i suoi uomini, ed afferrò la punta di un'ala. Per poco non venne strattonato via quando Mnementh la ritrasse, piegando la testa per sibilare violentemente contro di lui. I grandi occhi turbinavano di un giallo acceso.

«Ascoltami, Mnementh!» tuonò l'Arpista. «Lasciaci passare!»

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Zair volò verso il drago bronzeo, trillando con tutte le sue forze. Ascolta. Salth non è più. Aiutate F'lar! Il grande drago bronzeo ripiegò le ali, alzò la testa e Robinton accennò a

Baldor ed ai suoi compagni di procedere. Lui aveva bisogno di un attimo per riprendere fiato.

Quando Robinton svoltò per entrare nel corridoio, con la mano premuta sul fianco, Zair gli sfrecciò davanti, lanciando grida d'incoraggiamento. L'Arpista si chiese fuggevolmente se quella creaturina sapeva che lui, da solo, aveva fermato il grande bronzeo. Era un miracolo che Mnementh lo avesse ascoltato.

Entrando nel weyr, sentì il rumore di una zuffa nella stanza da letto della Dama del Weyr. La tenda che chiudeva l'ingresso si strappò all'improvvi-so, e due figure avvinghiate e barcollanti uscirono dalla camera. F'lar e T'kul! Baldor e due dei suoi compagni stavano cercando di dividerli. Più indietro, nella stanza, bloccati dal contatto mentale con le loro bestie, c'e-rano gli altri cavalieri bronzei e la Dama del Weyr, ignari dello scontro. Qualcuno s'era accasciato sul pavimento; probabilmente B'zon, pensò Ro-binton, mentre quella scena gli s'imprimeva nella mente in un attimo.

Ad attirare l'attenzione inorridita di Robinton fu il fatto che F'lar non a-veva un coltello. Con la sinistra stringeva il polso destro di T'kul, sforzan-dosi di tenere lontano da sé l'arma dell'Antico... non un coltello a lama corta ma un lungo arnese per scuoiare. Le sue dita affondavano nei tendini del polso di T'kul, nel tentativo di costringerlo a lasciare la presa o d'intor-pidirgli i nervi. Con la destra bloccava il braccio sinistro di T'kul, tenendo-lo abbassato. T'kul si divincolava furiosamente: il bagliore folle dei suoi occhi arrossati diceva a Robinton che era fuori di sé. Come lui aveva volu-to, senza dubbio, pensò l'Arpista.

Uno degli uomini di Baldor stava cercando di passare un coltello a F'lar, ma il Comandante del Weyr di Benden non poteva lasciare il braccio di T'kul.

«Ti ucciderò, F'lar,» disse T'kul, digrignando i denti, sforzandosi di ab-bassare la destra e puntando la lama verso il collo del cavaliere bronzeo. «Ti ucciderò. Come tu hai ucciso il mio Salth. Come tu hai ucciso tutti noi! Ti ucciderò!» Sembrava una cantilena, sottolineata dagli scatti furiosi che T'kul traeva dagli abissi della sua follia.

F'lar non parlava per conservare il fiato lo sforzo con cui cercava di te-nere lontano il coltello gli contraeva i tendini del collo ed i muscoli del viso, delle gambe e delle cosce.

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«Ti ucciderò. Ti ucciderò come avrebbe dovuto fare T'ron! Ti ucciderò, F'lar!»

La voce di T'kul, adesso, gli usciva dalle labbra in rantoli convulsi, men-tre la punta del coltello si avvicinava sempre di più al bersaglio.

All'improvviso, F'lar sferrò un calcio con la gamba sinistra e poi, aggan-ciandola intorno al ginocchio di T'kul, fece perdere l'equilibrio all'Antico, che in quel momento era sbilanciato. Con un urlo, T'kul cadde in avanti, addosso a F'lar, che con una mossa agile lo fece girare e crollare, spezzan-do la stretta della mano sinistra dell'avversario, ma continuando a serrargli saldamente il polso destro. L'Antico scalciò rabbioso, e colpì F'lar allo stomaco. Sebbene il cavaliere bronzeo non lasciasse la mano che impu-gnava il coltello, si piegò su se stesso, senza fiato. Un secondo calcio di T'kul gli fece perdere l'equilibrio. F'lar cadde mentre T'kul svincolava la destra e si accingeva a buttarsi su di lui. Ma F'lar continuò a rotolare con un'agilità che stupì i presenti, e balzò di nuovo in piedi mentre T'kul si gettava all'attacco. Ma quell'istante era bastato a F'lar per afferrare il col-tello che Baldor gli porgeva.

I due antagonisti si fronteggiavano. Robinton comprese, leggendo la cu-pa decisione sul volto di F'lar, che questa volta, adesso che il drago di T'kul era già morto, il Comandante del Weyr di Benden avrebbe finito il suo avversario. Se ci fosse riuscito.

Robinton avrebbe preferito non avere dubbi sulle capacità di combatten-te di F'lar, ma T'kul non era un avversario comune, animato com'era dalla folle sofferenza per la morte di Salth. Quell'uomo, più vecchio di venti Giri, aveva lo stesso allungo di F'lar, e stringeva un'arma più lunga e tre-menda. F'lar avrebbe dovuto sfuggire a quella lama per il tempo sufficiente a sfiancare T'kul, ad esaurire l'energia folle dell'Antico.

Un grido di esultanza giunse dalla stanza della Dama del Weyr, seguito dal suo urlo penetrante. Bastò a distogliere l'attenzione di T'kul. F'lar fu pronto ad approfittare di quella breve falla nella concentrazione dell'avver-sario. Si avventò su T'kul, con il coltello abbassato e, prima che l'altro po-tesse parare, sferrò un affondo che gli trapassò le costole e si piantò nel cuore. T'kul, con gli occhi strabuzzati, crollò morto ai suoi piedi.

F'lar barcollò e si lasciò cadere su un ginocchio, ansando per la fatica. Stancamente si passò il dorso della mano sulla fronte: il suo atteggiamento esprimeva un'immensa desolazione.

«Non potevi far altro, F'lar,» disse sottovoce Robinton, augurandosi di trovare la forza di andargli accanto.

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Dalla stanza della Dama del Weyr uscirono i corteggiatori delusi, storditi dalla partecipazione al volo nuziale. Uscirono in massa, e Robinton non riuscì a capire chi fosse rimasto con la Dama del Weyr come suo compa-gno e come nuovo Comandante del Weyr di Ista.

Un'improvvisa, inspiegabile debolezza confuse l'Arpista. Non riusciva a riprendere fiato; non aveva l'energia necessaria per calmare Zair, che cin-guettava disperato. Il dolore al fianco s'era spostato di nuovo al petto, co-me una pietra che lo schiacciasse.

«Baldor!» «Maestro Robinton!» L'Arpista istano si precipitò accanto a lui, con u-

n'espressione d'orrore e di costernazione e l'aiutò a sedersi sulla panca più vicina. «Sei cinereo. Hai le labbra bluastre. Che cosa ti succede?»

«Mi sento cinereo, infatti. Il mio petto! Vino! Ho bisogno di vino!» L'Arpista ebbe l'impressione che la stanza gli crollasse addosso. Non

riusciva a respirare. Sentiva le grida, percepiva il panico che regnava nel-l'atmosfera; cercò di scuotersi per riprendere il controllo della situazione. Qualcuno lo spinse a sedere, poi lo fece stendere, impedendogli comple-tamente di respirare. Si sforzò di risollevarsi a sedere.

«Lasciatelo fare. Lo aiuterà a respirare.» Vagamente, Robinton riconobbe la voce di Lessa. Come mai era li? Poi

si sentì appoggiare contro qualcuno, e poté respirare meglio. Se almeno avesse potuto riposare, se avesse potuto dormire...

«Fate uscire tutti dal weyr.» Era Lessa che impartiva ordini. Arpista, Arpista, ascoltaci. Ascoltaci. Arpista, non dormire. Resta con

noi. Arpista, abbiamo bisogno di te. Ti amiamo. Ascoltaci. Le voci che gli echeggiavano nella mente erano sconosciute. Avrebbe

desiderato che tacessero, per poter pensare al dolore al petto ed al sonno di cui aveva disperatamente bisogno.

Arpista, non puoi andare. Devi restare. Arpista, noi ti amiamo. Le voci lo sconcertavano. Non le conosceva. Non erano Lessa o F'lar.

Erano profonde, insistenti, e non le udiva con gli orecchi. Erano nella sua mente, e non poteva ignorarle. Avrebbe voluto che lo lasciassero in pace, per poter dormire. Era tanto stanco. T'kul era troppo vecchio per far volare il suo drago e per vincere un duello. Eppure lui era più vecchio di T'kul, che ora dormiva nella morte. Se almeno le voci avessero lasciato dormire anche lui. Era così stanco.

Non puoi ancora dormire, Arpista. Noi siamo con te. Non lasciarci. Ar-pista, devi vivere! Noi ti amiamo.

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Vivere? Certo, voleva vivere. Che sciocche, quelle voci. Era solo stanco. Voleva dormire.

Arpista, Arpista, non lasciarci. Arpista, noi ti amiamo. Non andare. Le voci non erano forti, ma si aggrappavano alla sua mente. Ecco. Non

volevano lasciare la sua mente. Qualcun altro gli accostava qualcosa alle labbra. «Maestro Robinton, devi sforzarti di mandar giù questa medicina. Devi

sforzarti. Calmerà il dolore.» Quella voce la riconosceva. Lessa. Angoscia-ta.

Era logico che lo fosse, dopo che F'lar era stato costretto a uccidere un dragoniere, e tutti i guai causati dal furto dell'uovo, e Ramoth tanto scon-volta.

Arpista, obbedisci a Lessa. Devi obbedire a Lessa, Arpista. Apri la boc-ca. Devi sforzarti.

Lui poteva ignorare Lessa, poteva cercare di allontanare la coppa dalle labbra e di sputare la pillola amara che gli si scioglieva sulla lingua, ma non poteva ignorare quelle voci insistenti. Lasciò che gli versassero in bocca il vino, e inghiottì la pillola. Almeno avevano avuto la gentilezza di dargli vino, non acqua. L'acqua sarebbe stata umiliante per l'Arpista di Pern. Non avrebbe mai potuto trangugiare l'acqua, con quel dolore al petto.

Qualcosa parve spezzarsi dentro di lui. Ah, il dolore al petto. Si stava at-tenuando, come se la lacerazione avesse allentato la stretta fascia che gli opprimeva il cuore.

Sospirò di sollievo. Non si apprezzava mai abbastanza l'assenza del do-lore, pensò.

«Bevi un sorso di vino, Maestro.» Sentì di nuovo la coppa contro le lab-bra.

Vino, sì: avrebbe completato la guarigione. Il vino lo rianimava sempre. Ma voleva ancora dormire. Era così stanco.

«E un altro!» Potrai dormire più tardi. Devi ascoltarci e restare. Arpista, ascolta! Noi

ti amiamo. Devi restare L'Arpista si risentì di quell'insistenza. «Quanto tempo ci mette quell'uomo ad arrivare?» Era la voce di Lessa,

più rabbiosa di quanto l'avesse mai sentita. Ma perché sembrava anche che stesse piangendo? Lessa che piangeva?

Lessa piange per te. Tu non vuoi che pianga. Resta con noi, Arpista. Non puoi andare. Non ti lasceremo andare. Lessa non deve piangere.

No, questo era giusto. Lessa non doveva piangere. Robinton non credeva

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davvero che piangesse. Aprì gli occhi a fatica e la vide chinarsi su di lui. Piangeva! Le lacrime cadevano dalle guance di Lessa sulla sua mano che giaceva inerte, rivolta verso l'alto, come per riceverle.

«Non devi piangere, Lessa. Non voglio che tu pianga.» Grandi Gusci, non riusciva a controllare la propria voce. Si schiarì la gola. Così non an-dava.

«Non sforzarti di parlare, Robinton,» fece Lessa, reprimendo un sin-ghiozzo. «Riposa. Devi riposare. Sta venendo qui Oldive. Ho detto loro di spostarsi nel tempo. Riposa. Ancora un po' di vino?»

«Ho mai rifiutato il vino?» Perché la sua voce era così fioca? «Mai.» E Lessa rideva e piangeva contemporaneamente. «Chi è che mi assilla così? Non vogliono lasciarmi andare. Di' che mi la-

scino riposare, Lessa. Sono così stanco.» «Oh, Maestro Robinton, ti prego!» Ti prego... che cosa? Arpista, resta con noi. O Lessa piangerà. «Oh, Maestro Oldive. Qui!» Era di nuovo Lessa, che si scostava da lui. Robinton cercò di trattenerla. «Non affaticarti!» Lei lo teneva fermo, ma gli restava accanto. Cara Les-

sa! Anche quando era in collera con lei, le voleva bene egualmente. Forse anche di più, perché lei si arrabbiava così spesso, e allora era ancora più bella.

«Ah, Maestro Robinton.» La voce suadente di Oldive gli fece aprire gli occhi. «Ancora il dolore al petto? Rispondi a cenni. Preferirei che non fa-cessi lo sforzo di parlare.»

«Ramoth dice che ha un dolore fortissimo ed è molto stanco.» «Oh? È utile avere un drago che ascolta.» Maestro Oldive gli appoggiava sul petto e sul braccio certi strumenti

freddi. Robinton avrebbe voluto protestare. «Sì, so che sono freddi, mio caro Arpista, ma sono necessari. Adesso a-

scoltami: il tuo cuore è sovraffaticato. Questa era la causa del dolore al petto. Lessa ti ha dato una pillola che lo ha alleviato, per il momento. Ma il pericolo immediato è superato. Voglio che adesso cerchi di dormire. Avrai bisogno di molto riposo, mio caro amico. Molto riposo.»

«Allora di' loro che stiano zitti e mi lascino dormire.» «Chi è che deve star zitto?» La voce di Oldive era blanda, e Robinton

era vagamente irritato perché sospettava che il Guaritore non credesse che lui li aveva uditi e che l'avevano tenuto sveglio. «Ecco, prendi questa pillo-

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la ed un sorso di vino. So che il vino non l'hai mai rifiutato.» Robinton sorrise, stancamente. Come lo conoscevano bene, Oldive e

Lessa. «Sono Ramoth e Mnementh che gli parlano, Oldive. Dicevano che era

quasi andato...» La voce di Lessa si spezzò. Ero quasi andato? È questo, ciò che si prova quando si è così vicini alla

morte? Una grande stanchezza? Adesso resterai, Arpista. Tossiamo lasciarti dormire. Ma saremo con te.

Noi ti amiamo. Draghi che mi parlano? Draghi che m'impediscono di morire? Sono stati

molto cari, perché non volevo ancora morire. C'è tanto da fare. Tanti pro-blemi da risolvere. Avevo un problema in mente... e riguardava proprio i draghi...

«Chi ha accompagnato Caylith nel volo nuziale?» Era riuscito a dirlo? Non udiva neppure la propria voce. «Hai sentito quel che ha detto, Oldive?» «Ha parlato di Caylith.» «Non immagini di che cosa può preoccuparsi, in un momento simile?» Il

tono di Lessa sembrava più normale, acerbo. «È stato Barnath ad accom-pagnare Caylith nel volo nuziale, Robinton. E adesso, dormi.»

Dormi, Maestro. Non ascolteremo. L'Arpista trasse un profondo respiro e si abbandonò riconoscente al son-

no.

XV Sera alla Baia di Jaxom Tarda sera al Weyr di Ista 15.8.28. Sharra stava insegnando a Brekke ed a Jaxom un gioco sulla sabbia, u-

sando sassolini e fuscelli, quando Ruth, che dormiva poco lontano insieme alle lucertole di fuoco, si svegliò. Si sollevò a sedere, tendendo il collo e lanciando la lunga nota penetrante che annunciava la morte di un drago.

«Oh, no!» Brekke reagì un attimo prima di Jaxom. «Salth è andato!» «Salth?» Jaxom si chiese chi era. «Salth!» Sharra era impallidita. «Chiedi a Ruth dove è accaduto!» «Canth dice che stava cercando di raggiungere Caylith. nel volo nuziale,

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e gli è scoppiato il cuore!» Fu Brekke a rispondere. Le spalle le tremavano per quella nuova angoscia e per il ricordo della sua tragedia (1). «Che sciocco! Avrebbe dovuto sapere che i draghi più giovani erano più veloci e più forti del povero vecchio Salth!»

«T'kul se l'è meritato! E non protestare, Brekke!» Gli occhi di Sharra lampeggiarono, quando Brekke si voltò per rimproverarla. «Ricorda, io ho avuto a che fare con T'kul e gli altri Antichi. Non sono come voi del Nord. Sono... sono impossibili! Potrei raccontarti certe cose da farti rizzare i ca-pelli. Se T'kul è stato così pazzo da istigare il suo bronzeo a tentare il volo nuziale con una giovane regina, con la concorrenza che c'era per il coman-do del Weyr di Ista, allora ha meritato di perdere la sua bestia! Scusate, Sono parole che non faranno piacere a te, Brekke, e a te, Jaxom, ma io so come sono quei meridionali. Voi non lo sapete!»

«Immaginavo che ci sarebbero stati guai, prima o poi, dato che erano stati esiliati,» disse lentamente Brekke. «Ma...»

«A quanto ho sentito dire, Brekke,» fece Jaxom, spinto dall'impulso di cancellarle dal volto quell'espressione desolata, «era l'unico modo di trat-tarli. Non rispettavano le responsabilità nei confronti di coloro che dove-vano proteggere. Erano avidi, e non si accontentavano delle decime. E poi...» Ed espose il suo argomento più forte. «Ho sentito Lytol criticare quei dragonieri!»

«Lo so, Jaxom. So tutto: ma loro vennero avanti nel tempo per salvare Pera...» Jaxom si chiese se Brekke si accorgeva che si stava torcendo le mani.

«Per salvare Pern, sì, e poi hanno preteso che ce lo ricordassimo ogni volta che respiravamo in loro presenza,» continuò Jaxom, che ricordava anche troppo chiaramente il modo arrogante con cui T'ron aveva trattato Lytol.

«Noi non badiamo agli Antichi,» disse Sharra, con una scrollata di spal-le. «Pensiamo agli affari nostri, teniamo la nostra Fortezza sgombra dalla vegetazione, rinchiudiamo i nostri animali durante le Cadute dei Fili. E compiamo una rapida ricerca con i lanciafiamme, per accertarci che i bru-chi abbiano fatto il loro dovere.»

«E gli Antichi non combattono i Fili?» chiese sorpresa Brekke. «Oh, di tanto in tanto. Se ne hanno voglia, o se i loro draghi sono troppo

agitati...» Il disprezzo di Sharra era tagliente. Poi notò lo sbigottimento degli altri due e aggiunse: «Oh, quello che è successo non è colpa dei dra-ghi, badate bene. E non credo neppure che sia veramente colpa dei cavalie-

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ri. Credo che dovrebbero almeno cercare di essere quel che sono. Certo, quasi tutti gli Antichi sono rimasti al Nord. E sono pochi, quelli che rovi-nano la reputazione Bei dragonieri nel Continente Meridionale. Tuttavia... se ci fossero venuti incontro a metà strada... li avremmo aiutati.»

«Dovrei andare, credo,» disse Brekke, alzandosi e volgendosi ad Ovest. «T'kul, adesso, è un essere umano ridotto a metà. So quello che si prova...» La sua voce si spense, i suo viso sbiancò mentre fissava l'orizzonte. Spa-lancò gli occhi ed un grido d'orrore le proruppe dalle labbra. «Oh, no!» Si portò la mano alla gola, poi la girò, con il palmo verso l'esterno, come per scongiurare un assalto.

«Brekke, cosa c'è?» Sharra scattò in piedi, abbracciandola. Ruth piagnucolò e spinse il muso contro Jaxom, per farsi consolare. Lei ha molta paura. Sta parlando con Canth. Lui è infelice. È terribile.

Un altro drago è molto debole. Canth è con lui. Adesso è Mnementh che parla. T'kul si batte con F'lar...

«T'kul si batte con F'lar?» Jaxom si aggrappò alla spalla di Ruth per so-stenersi.

Le lucertole di fuoco, contagiate dall'agitazione, si tuffarono in picchia-ta, stridendo in un'aspra cacofonia che indusse Jaxom ad agitare le braccia per imporre loro silenzio.

«È orribile, Jaxom,» gridò Brekke. «Devo andare. Devono capire che T'kul non è responsabile di ciò che sta facendo. Perché non si limitano a sopraffarlo? Deve esserci qualcuno con un barlume d'intelligenza, a Ista! Cosa fa D'ram? Vado a prendere gli abiti da volo.» E rientrò correndo nel rifugio.

«Jaxom.» Sharra si girò verso di lui, alzando una mano per chiedere di venire rassicurata. «T'kul odia F'lar. L'ho sentito attribuire a F'lar la colpa di tutto quello che succede nel Weyr Meridionale. Se T'kul ha perduto il suo drago, sarà impazzito. Ucciderà F'lar!»

Jaxom attirò a sé la ragazza, chiedendosi quale dei due aveva più biso-gno di conforto. T'kul che cercava di uccidere F'lar? Pregò Ruth di restare in ascolto.

Non sento niente. Canth è in mezzo. Sento soltanto guai. Ramoth sta ar-rivando...

«Qui?» No, dove sono loro! Gli occhi di Ruth divennero purpurei per la preoc-

cupazione. Non mi piace. «Cosa, Ruth?»

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«Oh, ti prego, Jaxom, che cosa dice? Ho paura.» «Anche lui. E anch'io.» Brekke uscì dalla foresta, con gli indumenti da volo in una mano, e

nell'altra il pacco delle medicine semiaperto che minacciava di far cadere il contenuto. Si fermò, al limitare delle sabbie, sbatté le palpebre, aggrottan-do la fronte per l'impazienza e lo sgomento.

«Non posso andar là! Canth deve restare con Ranilth, il drago di B'zon. Non possiamo perdere due bronzei, oggi!» Si guardò intorno, come se dal-la spiaggia potesse spuntare una soluzione per il suo dilemma. Si morse il labbro inferiore ed esclamò, esasperata: «Ma io devo andare!»

La seconda scossa investì Brekke e Jaxom nello stesso istante in cui Ruth muggiva di spavento.

«Robinton!» Brekke vacillò; sarebbe caduta, se Sharia e Jaxom non si fossero affrettati a sostenerla. «Oh, no, non Robinton! Ma come?»

Il Maestro Arpista. «Non è morto?» gridò Sbarrali Maestro Arpista sta molto male. Non lo lasceranno andare. Deve resta-

re. Come sei restato tu. «Ti porterò io, Brekke. Su Ruth. Lasciami prendere gli indumenti da vo-

lo.» Le due donne lo trattennero. «Non puoi ancora volare, Jaxom. Non puoi andare in mezzo!» Adesso, la

paura di Brekke era per lui. «Non puoi, davvero, Jaxom,» disse Sharra, scuotendo la testa e guardan-

dolo supplichevole. «Il freddo in mezzo... non ti sei ancora ripreso abba-stanza. Ti prego!»

Adesso hanno paura per te, disse Ruth, confuso. Tanta paura Non so perché tu non debba volare con me, ma è così! «Ha ragione Ruth, Jaxom, sarebbe disastroso,» disse Brekke, accasciandosi sconfitta. Stancamente, alzò una mano e si tolse il casco. «Non devi cercare di andare in mezzo almeno per un mese o per sei settedì. Se lo facessi, rischieresti di soffrire di mal di testa per il resto della tua vita, e forse diventeresti cieco...»

«Come lo sai?» chiese Jaxom, infuriandosi al pensiero di essere stato te-nuto all'oscuro di quella restrizione, di non poter aiutare né Brekke né l'Arpista.

«Lo so,» disse Sharra, girandosi verso di lui. «Uno dei dragonieri del Weyr Meridionale prese la testa-di-fuoco. Non conoscevamo i pericoli di andare in mezzo. Prima diventò cieco. Poi impazzì per i dolori alla testa e...

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morì. Morì anche il suo drago.» La voce di Sharra si spezzò al ricordo di quella tragedia; i suoi occhi erano umidi di lacrime.

Jaxom la fissò, sbigottito. «Perché non me l'avete detto prima?» «Non c'era motivo di farlo,» rispose lei, senza distogliere lo sguardo,

supplicandolo di essere comprensivo. «Stai recuperando le forze giorno per giorno. Prima che ti accorgessi dell'esistenza di questa restrizione, for-se non sarebbe stato neppure necessario dirtelo.»

«Altri quattro o sei settedì?» Jaxom digrignò quelle parole: si accorse che stringeva i pugni e che i muscoli della mascella gli dolevano nello sforzo di dominare il furore.

Sharra annuì lentamente, con il volto inespressivo. Jaxom trasse un profondo respiro, per calmarsi. «È un guaio, perché a-

desso abbiamo bisogno di un dragoniere.» Guardò Brekke, che teneva la testa leggermente girata verso Ovest. Jaxom sentiva il suo desiderio di accorrere dove c'era bisogno di lei, lo scrupolo che le impediva di chiedere l'aiuto di Canth quando il drago marrone era necessario altrove. «Ma il dragoniere l'abbiamo!» esclamò Jaxom, trionfante. «Ruth, sei disposto a portare Brekke a Ista senza di me?»

Porterei Brekke dovunque. Il piccolo drago bianco alzò la testa, facendo roteare rapidamente gli occhi mentre avanzava in direzione della ragazza.

Il viso di Brekke si schiarì miracolosamente. «Oh, Jaxom, davvero me lo permetti?»

Jaxom si sentì ripagato dalla gratitudine travolgente di quella domanda ansiosa.

Le prese il braccio, sospingendola verso Ruth. «Devi andare. Se il Maestro Robinton...» Jaxom non riuscì a concludere

la frase: il panico gli serrò la gola. «Oh, grazie, Jaxom. Grazie, Ruth.» Brekke si allaccio il sottogola del

casco. Pasticciò con la giubba prima di riuscire ad infilare il braccio nella manica, e fissò la fibbia della cintura. Quando fu pronta, Ruth abbassò la spalla per farla montare, poi girò la testa per accertarsi che fosse ben si-stemata.

Ti rimanderò subito Ruth, Jaxom. Oh, no, non lasciatelo andare! Non la-sciatelo dormire!» Quelle due ultime frasi erano rivolte a menti lontane.

Non lo lasceremo andare, disse Ruth. Toccò con il naso la spalla di Ja-xom, per un attimo, poi spiccò un balzo, innaffiando di sabbia asciutta il suo amico e Sharra. Era appena al di sopra delle onde quando scomparve.

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«Jaxom?» La voce di Sharra era così incerta che il giovane si girò verso di lei, preoccupato. «Cosa può essere accaduto? Possibile che T'kul fosse impazzito al punto di aggredire anche l'Arpista?»

«Forse l'Arpista ha tentato di dividerli, se non lo conosco male. Tu cono-sci il Maestro Robinton?»

«Soprattutto di fama,» rispose lei, mordendosi il labbro inferiore. Espirò in un lungo brivido, sforzandosi di dominare la paura. «Per mezzo di Pie-mur e di Menolly. L'ho visto, naturalmente, nella nostra Fortezza, e l'ho sentito cantare. È un uomo meraviglioso. Oh, Jaxom! Tutti i meridionali sono pazzi. Pazzi! Sono malati, confusi, perduti!» Gli appoggiò la testa sulla spalla, abbandonandosi all'ansia. Teneramente, Jaxom l'attirò a sé.

È vivo! Il messaggio rassicurante di Ruth gli echeggiò nella mente, fie-vole ma chiaro.

«Ruth dice che è vivo, Sbarra.» «Deve continuare a vivere, Jaxom. Deve! Deve!» Lei gli batté i pugni

sul petto, per sottolineare quella necessità. Jaxom le afferrò le mani, le trattenne, e sorrise guardandola nei grandi

occhi lampeggianti. «Vivrà. Sono sicuro che vivrà, se abbiamo il potere di aiutarlo con il no-

stro pensiero.» In quel momento così poco opportuno, Jaxom era intensamente conscio

del corpo vibrante di Sharra premuto contro il suo. Sentiva il calore di lei attraverso la stoffa sottile della camicia, la lunga linea delle cosce contro le sue, la fragranza dei capelli, odorosi di sole e del fiore che Sharra s'era infilata dietro l'orecchio. L'espressione sbigottita che le passò sul volto gli disse che anche lei s'era accorta di quell'intimità... se n'era accorta e, per la prima volta da quando la conosceva, era confusa.

Allentò la stretta, pronto a lasciarla completamente, se fosse stato neces-sario. Sharra non era Corana, non era una semplice ragazza contadina, ob-bediente al Signore della sua Fortezza. Sharra non era una compagna di letto per un capriccio fuggevole. Era troppo importante per lui, per rischia-re di distruggere il loro rapporto con un approccio intempestivo. E intuiva, anche, che Sharra era convinta che i suoi sentimenti nascessero dalla natu-rale gratitudine per le cure ricevute. Lui stesso aveva pensato a quella pos-sibilità, e aveva deciso che Sharra si sbagliava. Gli piacevano troppe cose di lei, dal suono della voce bellissima al tocco delle mani sicure: e avrebbe desiderato ardentemente che quelle mani l'accarezzassero. Aveva appreso molte cose sul suo conto in quegli ultimi giorni, ma provava una curiosità

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insaziabile di saperne molto, molto di più. La reazione di Sharra ai meri-dionali l'aveva sorpreso: lei lo stupiva spesso. Il suo fascino, in parte, era dovuto al fatto che Jaxom non sapeva mai cosa avrebbe detto e come l'a-vrebbe detto.

All'improvviso, Jaxom interruppe quell'abbraccio parziale, e cingendole leggermente le spalle la guidò verso le stuoie su cui avevano giocato spen-sieratamente un gioco da bambini. Le posò le mani sulle spalle, e la spinse dolcemente perché si mettesse a sedere.

«Forse dovremo attendere a lungo, Sharra, prima di sapere con certezza come sta l'Arpista.»

«Vorrei tanto sapere che cosa è accaduto! Se quel T'kul ha fatto del male al nostro Arpista...»

«E se ha fatto del male a F'lar?» «Non conosco F'lar; naturalmente mi dispiacerebbe molto se T'kul gli

avesse fatto del male.» Sharra piegò distrattamente le gambe quando lui le sedette accanto, così vicino che le loro spalle si sfiorarono. «E in un certo senso, è giusto che F'lar si batta con T'kul; dopotutto, fu lui a esiliare gli Antichi, quindi dovrebbe essere lui a finirla.»

«E dovrà finirla uccidendo T'kul?» «O morendo ucciso da lui!» «La situazione peggiorerebbe, e di parecchio,» rispose Jaxom, accalo-

randosi più di quanto intendesse, di fronte a quell'insensibile disinteresse per la sorte di F'lar, «se venisse ucciso il Comandante del Weyr di Benden! Lui è Pern!»

«Davvero?» Sharra sembrava disposta a lasciarsi convincere. «Non l'ho mai visto...»

Qui ci sono molti draghi e molta, molta gente, disse Ruth, in tono ancora fioco ma chiaro. Sebell sta arrivando. Menolly non può.

«Ruth ti sta parlando?» chiese ansiosa Sharra, tendendosi per stringergli il braccio. Jaxom le posò la mano sulla mano, azzittendola con quel gesto. Lei si morse il labbro inferiore e lo scrutò in viso. Jaxom cercò di rassicu-rarla con cenni energici.

Le sue lucertole di fuoco sono qui. L'Arpista dorme. Anche il Maestro Oldive è con lui. Loro aspettano fuori. Non lo lasceremo andare. Devo tornare da te, adesso?

«Chi sono loro?» chiese Jaxom, sebbene fosse già certo dell'identità. Lessa e F'lar. L'uomo che ha aggredito F'lar è morto. «T'kul è morto, e F'lar non è ferito?»

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No. «Chiedigli che cos'ha l'Arpista,» mormorò Sbarra. Anche Jaxom era ansioso di saperlo; ma vi fu una lunga pausa prima che

Ruth rispondesse; il piccolo drago sembrava confuso. Mnementh ha detto che Robinton aveva dolore al petto e voleva dormi-

re. Il vino lo ha aiutato. Mnementh e Ramoth sapevano che non doveva dormire. Sarebbe andato. E adesso posso tornare?

«Brekke ha bisogno di te?» Qui ci sono molti draghi. «Allora torna, amico mio!» Arrivo! «Aveva un dolore al petto?» ripeté Sharra, quando Jaxom le riferì quanto

gli aveva detto Ruth. Aggrottò la fronte. «Potrebbe essere il cuore. L'Arpi-sta non è più giovane, e lavora tanto!» Si guardò intorno, cercando le sue lucertole di fuoco. «Potrei mandare Meer...»

«Ruth dice che c'è una gran folla di persone e di draghi ad Ista, adesso. Credo che faremmo bene ad aspettare.»

«Lo so.» E Sharra proruppe in un lungo sospiro. Raccolse una manciata di sabbia e la fece scorrere tra le dita. Poi rivolse a Jaxom un sorriso me-sto. «Io so aspettare, ma questo non significa che mi piaccia!»

«Sappiamo che è vivo, e F'lar...» Jaxom le lanciò un'occhiata ironica. «Non volevo mancare di rispetto al tuo Comandante del Weyr, Jaxom, ci

tengo che tu lo sappia...» Jaxom rise: era riuscito a punzecchiarla. Sharra lanciò un'esclamazione

irritata e gettò verso di lui la manciata di sabbia, ma il giovane si chinò e la sabbia gli passò sopra la spalla, ricadendo nelle onde lievi che lambivano la spiaggia.

Cancellate dalle onde successive in quell'acqua, le increspature causate dalla sabbia non resistevano a lungo. L'analogia dell'Arpista era imperfetta, allora, pensò Jaxom, divertito da quell'idea incoerente.

All'improvviso Meer e Talk strillarono, volgendo la testa verso il braccio occidentale della baia. Sollevarono le ali e si accosciarono sulle zampe posteriori, pronti a lanciarsi in volo.

«Cosa c'è?» Con la stessa rapidità con cui s'erano messe in allarme, le due lucertole

di fuoco si calmarono: Meer si forbì un'ala, come se un attimo prima non fosse apparsa sconvolta.

«Sta arrivando qualcuno?» chiese Sharra, volgendosi stupita a Jaxom.

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Il giovane balzò in piedi e scrutò il cielo. «Non protesterebbero certo per il ritorno di Ruth.»

«Deve essere qualcuno che conoscono!» Era un'eventualità improbabile per Sharra non meno che per Jaxom. «E non sta scendendo qui!»

Udirono il rumore di qualcosa d'ingombrante che si muoveva nella fore-sta, verso il promontorio. Un'imprecazione soffocata indicò che il visitato-re era umano: ma la prima testa che si affacciò dallo schermo fitto dei fo-gliame era innegabilmente animalesca. Il corpo che apparve dopo la testa apparteneva al più piccolo corridore che Jaxom avesse mai visto.

Le imprecazioni soffocate si risolsero in parole intelligibili. «Finiscila di ributtarmi in faccia i rami, specie di esca per draghi, bestiaccia con il naso duro ed i piedi piatti! Ebbene, Sharra, dunque è qui che eri finita! Me l'a-vevano detto, ma stavo cominciando a dubitarne! Ho saputo che sei stato malato, Jaxom! Ma adesso hai di nuovo un bell'aspetto!»

«Piemur?» Sebbene la comparsa del giovane Arpista fosse il più impro-babile degli eventi, era impossibile non riconoscere la caratteristica anda-tura baldanzosa dell'individuo minuto che avanzava sulla spiaggia. «Pie-mur! Cosa ci fai qui?»

«Vi stavo cercando, naturalmente. Avete idea di quante baie, in questo tratto di territorio deserto, corrispondono alla descrizione che mi ha fatto il Maestro Robinton?»

«Bene, il Weyr è organizzato alla perfezione,» disse sottovoce F'lar a

Lessa, raggiungendola nell'anticamera del weyr che era stato sgombrato in fretta per accogliere il Maestro Arpista di Pern. Il Maestro Oldive non permetteva neppure di trasferirlo alla Fortezza di Ista. Il guaritore e Brek-ke, adesso, erano con Robinton che dormiva, semisdraiato sul letto, nella stanza interna: Zair era appollaiato sopra di lui, e non staccava mai gli oc-chi ardenti dal volto del suo amico.

Lessa tese la mano, cercando la stretta consolante del suo compagno. F'lar accostò uno sgabello, le diede un rapido bacio e si versò una coppa di vino.

«D'ram ha organizzato la gente del Weyr. Ha mandato gli altri bronzei per aiutare Canth e F'nor a riportare indietro Ranilth. Quel povero vecchio drago vivrà soltanto qualche altro Giro... se vivrà B'zon.»

«Non ne morirà un altro, oggi!» F'lar scosse il capo. «No, è soltanto addormentato. Abbiamo fatto ubria-

care come tanti apprendisti vinai i cavalieri bronzei delusi, e a quanto sem-

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bra Cosira e G'dened sono... così assorti che non hanno la più vaga idea di quello che sta succedendo qui a Ista.»

«Tanto meglio,» rispose Lessa con un gran sorriso. F'lar le accarezzò la guancia, ricambiando il sorriso. «Dunque, quand'è

che Ramoth si leverà ancora per il volo nuziale, mia cara?» «Mi ricorderò di fartelo sapere!» Notò l'occhiata che F'lar lanciò verso la

stanza interna e aggiunse: «Guarirà!» «Oldive non è stato molto cauto circa le sue possibilità di ripresa com-

pleta?» «E come poteva non esserlo, quando tutti i draghi di Pern stavano ori-

gliando? Certo,» continuò, pensierosa, «è stato del tutto inaspettato. So che i draghi lo chiamano per nome, ma... collegarsi con lui?»

«Per me, è stato ancora più incredibile che Brekke sia arrivata da sola su Ruth!»

«E perché non doveva?» ribatté Lessa, indispettita. «Anche lei era un cavaliere! E ha sempre avuto un contatto speciale con i draghi, da quando ha perduto Wirenth.»

«Non riesco a immaginare te che le metti a disposizione Ramoth, in cir-costanze simili. E adesso non aggredirmi, Lessa. È stato un bellissimo ge-sto da parte di Jaxom. Brekke mi ha riferito che fino a quel momento non aveva saputo di non poter volare in mezzo. Deve essere stata una scoperta dolorosa, e gli fa onore che abbia reagito con tanta generosità.»

«Sì, capisco. Ed è un sollievo avere qui Brekke.» Lessa lanciò un'occhia-ta alla tenda e sospirò. «Sai, comincio quasi a trovare simpatiche le lucer-tole di fuoco, dopo quel che è successo oggi.»

«Che cosa ti ha indotta a cambiare idea?» F'lar la fissò stupito. «Non ho detto di averla cambiata. Ho detto quasi... quando ho visto

Brekke che mandava Grall e Berd a prendere la sua roba, e quel piccolo bronzeo di Robinton. Quegli essermi possono incattivirsi quando i loro amici soffrono; ma lui se ne stava accoccolato, a guardare in faccia Robin-ton ed a pigolare da straziar l'anima. Certo, anch'io mi sento scossa. Quan-do penso...» Lessa s'interruppe, con il volto bagnato di lacrime.

«Non pensarci, cara.» F'lar le strinse la mano. «Non è successo.» «Quando Mnementh mi ha chiamata, non credo di essermi mai mossa

così in fretta. Sono caduta dal cornicione sul dorso di Ramoth. È già stato terribile cercare di arrivare qui prima che T'kul tentasse di ucciderti, ma trovare Robinton... Ah, se avessi ucciso T'ron alla Fortezza di Telgar...»

«Lessa!» Lui le strinse le dita così forte da farla rabbrividire. «Fidranth,

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il drago di T'ron, era ben vivo, alla Fortezza di Telgar. Non potevo causare la sua morte, qualunque fosse l'insulto fattomi da T'ron. Ma T'kul potevo ucciderlo con gioia. Anche se, devo ammetterlo, per poco non è stato lui a liquidarmi. Il nostro Arpista non è il solo che sta diventando vecchio.»

«E grazie al cielo, stanno diventando vecchi anche gli Antichi rimasti nel Weyr Meridionale. E adesso, che cosa ne faremo?»

«Andrò al Sud e mi occuperò del Weyr,» fece D'ram. Era entrato, am-mutolito dallo sfinimento, mentre i due stavano parlando. «Dopotutto, io sono un Antico...»

Trasse un profondo sospiro. «Da me accetteranno quello che non sop-porterebbero da te, F'lar.»

Il Comandante del Weyr di Benden esitò, per quanto quell'offerta fosse allettante. «So che sei disposto a farlo, D'ram, ma se questo dovesse pesarti troppo...»

D'ram alzò la mano per interromperlo. «Sono più forte di quanto credes-si io stesso. Quei giorni di tranquillità passati nella baia hanno operato un miracolo. Avrò bisogno d'aiuto...»

«Tutto l'aiuto che potremo darti...» «Ti prenderò in parola. Avrò bisogno di qualche verde, preferibilmente

fornito da R'mart di Telgar, o da G'narish di Igen, perché qui, sul momen-to, non ce ne sono in soprannumero. E inoltre, se saranno anche loro Anti-chi, sarà più facile accettarli, per i meridionali. Avrò bisogno di due bron-zei più giovani, e di un numero di azzurri e di marroni sufficiente per for-mare due squadriglie da combattimento.»

«I dragonieri del Sud non hanno più combattuto i Fili da molti Giri,» disse sprezzante F'lar.

«Lo so. Ma è ora che ricomincino. Servirà a dare uno scopo e un'energia nuova ai draghi rimasti, e speranza ai loro cavalieri.» L'espressione di D'ram era severa. «Oggi ho saputo da B'zon certe cose che mi addolorano. Sono stato così cieco...»

«La colpa non è tua, D'ram. Sono stato io a decidere di mandarli nel Sud.»

«Io ho rispettato quella decisione perché era giusta, F'lar. Quando... quando è morta Fanna...» D'ram prese a parlare in tono concitato, «avrei dovuto andare al Weyr Meridionale. Non sarei venuto meno ai miei impe-gni con te, se l'avessi fatto, e forse sarebbe servito a...»

«Ne dubito,» fece Lessa, irritandosi nel sentire D'ram che si accusava. «Quando T'kul ha complottato per rubare un uovo di regina...» E fece un

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brusco cenno di condanna. «Se fosse venuto da voi...» L'espressione aspra di Lessa non mutò. «Non credo che T'kul sarebbe

mai venuto,» disse lentamente. Una smorfia di disgusto alterò il suo volto mobilissimo. Sbuffò, irritata, prima di guardare di nuovo D'ram, questa volta con aria rattristata. «E probabilmente io l'avrei respinto. Ma tu,» con-tinuò, puntando l'indice verso D'ram, «non l'avresti fatto. E immagino che anche F'lar sarebbe stato più tollerante di me.» Sorrise al suo compagno. «T'kul non era il tipo da supplicare,» continuò, più vivacemente. «Né io sono il tipo che perdona! Non perdonerò mai i meridionali per il furto dell'uovo di Ramoth! Quando penso che erano riusciti a spingere me al punto che ero disposta a scatenare i draghi contro i draghi! Questo non potrò mai perdonarlo!»

D'ram si raddrizzò. «Dama del Weyr, dissenti dalla mia decisione di re-carmi nel Sud?»

«Grandi Gusci, no!» Lessa, sbalordita, scosse il capo. «No, D'ram, io penso che tu sia saggio e buono, e più generoso di quanto io potrò mai essere. Oh, quell'idiota di T'kul avrebbe potuto uccidere F'lar, oggi! No, tu devi andare. Hai ragione quando dici che ti accetteranno. Forse non mi sono mai resa conto di quello che poteva accadere al Sud. Perché non vo-levo!» aggiunse, in un sincero riconoscimento dei propri torti.

«Allora posso invitare altri cavalieri ad unirsi a me?» D'ram guardò pri-ma lei, poi F'lar.

«Chiedi tutti quelli di Benden che vuoi, eccettuato F'nor. Non sarebbe giusto pretendere che Brekke ritorni al Weyr Meridionale.»

D'ram annuì. «Credo che anche gli altri Comandanti dei Weyr mi aiuteranno. È una

questione che riguarda l'onore di tutti i dragonieri. E...» F'lar s'interruppe e si schiarì la gola. «E non vogliamo che i Signori delle Fortezze si precipi-tino al Sud con il pretesto che noi non siamo in grado di mantenere l'ordine nel Weyr.»

«Non oserebbero mai...» cominciò D'ram, aggrottando la fronte per lo sdegno.

«Potrebbero osare. Per altre ragioni validissime... dal loro punto di vi-sta,» rispose F'lar. «Io so,» e fece una pausa per dare maggiore forza alla sua affermazione, «che i meridionali, agli ordini di T'kul e T'ron, non a-vrebbero mai permesso ai Signori delle Fortezze di estendere le loro tenute di una sola lunghezza di drago. La colonia di Toric ha continuato a cresce-

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re costantemente negli ultimi Giri; qualche persona che arrivava di tanto intanto, gli insoddisfatti, qualche giovane cadetto senza speranza di ottene-re terre al Nord. E tutto con molta discrezione, per non allarmare gli Anti-chi.» F'lar si alzò, e cominciò a camminare irrequieto avanti e indietro. «Questo non è di dominio pubblico...»

«Sapevo che c'erano commercianti, e che si spostavano dal Nord al Sud,» disse D'ram.

«Sì, anche questo fa parte del problema. I commercianti parlano, e qui si è risaputo che al sud c'è terra in abbondanza. D'accordo, può esserci qual-che esagerazione, ma ho motivo di ritenere che il Continente Meridionale sia probabilmente grande quanto questo... Ed è protetto contro i Fili dalla disseminazione dei bruchi.» Si soffermò di nuovo, passandosi pollice e indice dal naso al mento, e grattandosi distrattamente sotto la mascella. «Questa volta, D'ram, saranno i dragonieri ad avere la prima scelta delle terre. Durante il prossimo Intervallo, non voglio che alcun dragoniere deb-ba dipendere dalla generosità delle Fortezze e delle Arti. Avremo terre nostre, senza pregiudizio per nessuno. Per quanto mi riguarda, non mendi-cherò mai più vino o pane o carne!»

D'ram l'aveva ascoltato, dapprima con stupore e poi con uno scintillio soddisfatto negli occhi stanchi. Raddrizzò le spalle e, con un brusco cenno del capo, guardò fisso il Comandante del Weyr di Benden.

«Puoi contare su di me, F'lar, per realizzare tutto questo nel Sud. Uno scopo grandioso! Per il Primo Guscio, è un programma superbo. Quella terra meravigliosa diventerà presto la terra dei dragonieri!»

F'lar gli strinse il braccio, per confermare l'impegno. Poi il suo volto si schiuse in un sorriso ironico. «Se non ti fossi offerto volontariamente di recarti nel Continente Meridionale, D'ram, te l'avrei suggerito io. Sei l'uni-co uomo capace di risolvere la situazione. E non t'invidio!»

D'ram ridacchiò dell'ammissione e ricambiò la stretta. Poi la sua espres-sione si rasserenò.

«Mi sono addolorata per la mia compagna, come del resto era giusto. Ma sono ancora vivo. Mi piaceva stare in quella baia, ma non bastava. È stato un sollievo, per me, quando sei venuto a cercarmi, F'lar, e mi hai tenuto occupato. Era assurdo rinunciare all'unica vita che io abbia mai conosciuto. Non potevo farlo. I dragonieri devono volare - quando i Fili sono in cie-lo!» Sospirò di nuovo, salutò Lessa con un rispettoso cenno del capo e poi, girando sui tacchi, uscì dal weyr a passo fermo, orgogliosamente.

«Credi che possa farcela, F'lar?»

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«Ha maggiori probabilità di chiunque altro... eccettuato forse F'nor. Ma non posso chiederglielo. Né a lui né a Brekke.»

«Direi!» Lessa parlò seccamente e poi, con un grido represso, quasi pen-tita della sua asprezza, corse ad abbracciarlo. F'lar la strinse, accarezzando-le distrattamente i capelli.

Ci sono troppe rughe incise sul suo volto, ora, pensò Lessa: rughe che non aveva mai notato prima. Gli occhi erano tristi, le labbra contratte per la preoccupazione mentre seguiva D'ram con lo sguardo. Ma i muscoli del suo braccio erano forti come sempre, il suo corpo agile e saldo. S'era di-mostrato abbastanza efficiente per salvarsi da un pazzo. C'era stata una sola volta in cui la debolezza aveva impaurito F'lar... subito dopo il duello a Telgar, quando la ferita tardava a guarire e la febbre l'aveva colpito per-ché era andato scioccamente in mezzo. Aveva imparato la lezione, allora, e aveva cominciato a delegare in parte il peso del comando a F'nor e T'gellan lì a Benden, a N'ton e a R'mart, e a Lessa. Conscia del bisogno che aveva di lui, Lessa l'abbracciò di slancio.

F'lar sorrise di quell'improvvisa dimostrazione d'affetto, ed il suo volto si spianò.

«Sono con te, cara, non preoccuparti!» E la baciò con trasporto, per non lasciarle dubbi sulla sua vitalità.

Un suono di passi rapidi nel corridoio li interruppe: si scostarono l'uno dall'altro. Sebell, con la faccia arrossata per la corsa, si precipitò nella stanza, fermandosi quando Lessa gli accennò di non far rumore.

«Come sta?» «Adesso dorme: puoi vedere tu stesso, Sebell,» rispose Lessa, indicando

la tenda della camera da letto. Sebell tentennò; avrebbe voluto tranquillizzarsi dando un'occhiata al suo

Maestro, ma temeva di disturbarlo. «Vai pure.» F'lar gli fece segno di entrare. «Basta che non si faccia ru-

more.» Due lucertole di fuoco entrarono in volo, squittirono quando videro Les-

sa e scomparvero. «Non sapevo che tu avessi due regine.» «Non le ho, infatti,» disse Sebell, girando la testa per vedere dov'erano

andate. «L'altra è di Menolly. Lei non è stata autorizzata a venire!» La sua smorfia bastò a rivelare ai due Comandanti del Weyr il modo in cui Me-nolly aveva reagito a quel divieto.

«Oh, di' loro di tornare. Io non mangio le lucertole di fuoco!» fece Les-

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sa, reprimendo l'irritazione. Non sapeva che cosa l'indispettisse di più: le lucertole di fuoco o l'agitazione intimidita della gente che le stava intorno, quando si parlava di quell'argomento. «E oggi il piccolo bronzeo di Robin-ton ha dimostrato un ammirevole buon senso. Perciò di' alla regina di Me-nolly che può tornare. Se vedrà con i suoi occhi, ci crederà!»

Con un sorriso d'intenso sollievo, Sebell alzò il braccio. Le due regine riapparvero, con gli occhi enormi e turbinanti per l'inquietudine. Una di esse - Lessa non sapeva di chi fosse, poiché le sembravano tutte eguali - trillò, come se volesse ringraziare. Poi Sebell, attento a non far loro perde-re l'equilibrio perché non strillassero, si avviò guardingo verso la stanza del malato.

«Sebell assumerà la direzione della Sede dell'Arpista?» chiese Lessa. «Sì, ed è all'altezza di farlo.» «Se almeno quel caro uomo avesse avuto il buon senso di delegare mag-

giori responsabilità a Sebell, prima che succedesse tutto questo...» «È un po' anche colpa mia, Lessa. Benden ha chiesto molto alla Sede

degli Arpisti.» F'lar si versò una coppa di vino, guardando la sua compa-gna per chiederle se ne voleva anche lei, e ne versò un'altra quando Lessa annuì. Fecero un brindisi tacito. «Vino di Benden!»

«Il vino che gli ha salvato la vita!» «Robinton non è il tipo da perdersi una coppa di vino!» Lessa bevve in

fretta, per sciogliere il groppo che le stringeva la gola. «E vuoterà molti altri otri,» disse la voce sommessa del Maestro Oldive.

Si accostò al tavolo. Era una figura bizzarra, con le braccia e le gambe che sembravano troppo lunghe in confronto al corpo fino a quando non si no-tava la gobba. Il suo bel volto era sereno, mentre si versava una coppa di vino, scrutandone per un momento il ricco colore cremisi prima di alzarla, come aveva fatto Lessa. Bevve. «Come hai detto tu, ha contribuito a tener-lo in vita. Capita raramente che il vizio di un uomo gli torni tanto utile.»

«Il Maestro Robinton guarirà?» «Sì, con molte cure e molto riposo. Si è ripreso bene. Il polso e il cuore

battono di nuovo regolarmente, anche se adagio. Bisogna evitargli le pre-occupazioni. Gli avevo raccomandato tante volte di ridurre le sue attività. Ma non speravo che mi desse ascolto! Sebell, Silvina e Menolly hanno fatto tutto il possibile per aiutarlo, ma poi Menolly si è ammalata... C'è tanto da fare per la sua Sede e per Pern!» Oldive sorrise: il suo volto s'il-luminò, quando prese la mano di Lessa e la mise in quella di F'lar. «Non potete far altro, qui, Comandanti del Weyr. Sebell resterà, per assicurare a

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Robinton, quando si sarà svegliato, che nella sua Sede tutto procede rego-larmente. Io e Brekke, e la brava gente di questo Weyr, assisteremo il Ma-estro Arpista. Anche voi due avete bisogno di riposo. Tornate al vostro Weyr. Questo giorno è stato duro e doloroso per tutti. Andate!» Li sospin-se verso il corridoio. «Andate, adesso!» Parlava come se si rivolgesse a due bambini riottosi, ma Lessa era abbastanza stanca per obbedire, troppo preoccupata per trascurare le obiezioni che leggeva negli occhi di F'lar.

Non lasceremo solo l'Arpista, disse Ramoth, mentre F'lar aiutava Lessa a montare sulla sua regina. Noi siamo con lui.

Siamo tutti con lui, disse Mnementh, girando lentamente gli occhi con tranquilla sicurezza.

XVI

Baia di Jaxom 15.8.28 - 15.9.7. Quando Jaxom e Sharra riferirono a Piemur gli eventi accaduti al Weyr

di Ista, inclusa la notizia della malattia dell'Arpista, il giovane fece loro una colorita descrizione delle pazzie, dei difetti, delle assurde devozioni e delle speranze altruistiche del suo Maestro, e gli ascoltatori rimasero sba-lorditi fino a quando videro le lacrime scorrere sulle guance di Piemur.

In quel momento Ruth ritornò, e il corridore dell'Arpista, spaventatissi-mo, scappò nella foresta. Piemur dovette insistere parecchio per convince-re l'animale, scherzosamente chiamato Stupido, a uscire di nuovo.

«Per la verità non è stupido, sapete,» disse Piemur, tergendosi dal viso lacrime e sudore. «Sa che quello,» aggiunse, indicando furtivamente Ruth con il pollice, «lo trova molto appetibile.» Controllò il nodo della corda con cui aveva legato Stupido ad un tronco d'albero.

Non lo mangerei mai, rispose Ruth. È piccolo e non abbastanza grasso. Ridendo, Jaxom riferì la risposta a Piemur, che s'inchinò al drago bianco

con un gran sorriso di riconoscenza. «Vorrei proprio riuscire a farlo capire a Stupido,» disse l'Arpista con un

sospiro. «Ma per lui è difficile distinguere fra i draghi amici e quelli affa-mati. Per questo tende a sparire nel bosco più vicino quando si accorge della presenza di un drago, e per la verità è un'abitudine che mi ha salvato la pelle parecchie volte. Vedi, ufficialmente io non dovrei fare quello che sto facendo. E soprattutto, non devo farmi cogliere sul fatto.»

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«Continua,» insistette Jaxom quando Piemur s'interruppe per osservare l'effetto di quella sua enigmatica affermazione. «Questo non ce l'avresti detto, se non avessi avuto intenzione di confidarci qualcosa di più. Avevi detto che ci cercavi?»

Piemur sorrise. «Fra le altre cose.» Si sdraiò sulla sabbia, borbottando e assestandosi ostentatamente. Accettò la tazza di succo di frutta portagli da Sharra, ne trangugiò il contenuto e la tese per farsela riempire di nuovo.

Jaxom scrutò paziente il giovane. Era abituato ai modi di Piemur fin dai giorni trascorsi insieme nella Sede del Maestro Fandarel e in quella degli Arpisti.

«Non ti sei mai chiesto perché avevo abbandonato le lezioni, Jaxom?» «Menolly mi ha detto che eri stato mandato altrove.» «E dappertutto,» rispose Piemur, agitando il braccio e indicando il Sud.

«Scommetto che conosco questo pianeta meglio di qualunque altro essere vivente... draghi inclusi!» Annuì energicamente, per spiegare agli altri che era loro dovere mostrarsi impressionati. «Non ho ancora...» e fece una pausa per sottolineare l'avverbio, «... fatto il giro di tutto il Continente Me-ridionale, e non l'ho attraversato, ma conosco bene tutti i posti dove sono stato!» E indicò i suoi stivali logori. «Erano nuovi, neppure quattro settedì fa, quando mi sono diretto verso Est. Oh, quante cose potrebbero racconta-re questi stivali!» Squadrò pensoso Jaxom, socchiudendo gli occhi. «Una cosa, Nobile Jaxom, è sorvolare tranquillamente un territorio, osservando tutto dall'alto. Ma è ben diverso andare a piedi, sopra e sotto e attraverso. Allora sì, che si sa dove si è diretti!»

«F'lar lo sa?» «Più o meno,» rispose Piemur con un sogghigno. «Un po' meno che più,

scommetterei. Vedete, circa tre Giri fa, Toric cominciò a commerciare con il Nord, fornendo magnifici campioni di minerale di ferro, rame e stagno... tutta roba che nel Continente Settentrionale scarseggia, come forse avrai sentito dire da Fandarel, Jaxom. Robinton ritenne opportuno indagare sulle fonti di rifornimento di Toric. E ha avuto l'ottima idea di mandare me... Sei sicuro che guarirà? Non mi nascondi niente?» L'ansia spezzò i modi sfac-ciati di Piemur.

«Tu ne sai quanto noi e quanto Ruth.» Jaxom indugiò per interrogare il suo drago. «E Ruth dice che dorme. E dice anche che i draghi non lo lasce-ranno andare.»

«I draghi non lo lasceranno andare, eh? Questa poi!» Piemur scosse il capo. «Non che mi sorprenda, bada bene,» aggiunse con la solita vivacità.

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«I draghi sanno chi sono i loro amici. Dunque, come stavo dicendo, il Ma-estro Robinton pensò che sarebbe stato molto utile per noi saperne di più sul Sud, poiché aveva in mente che F'lar avrebbe messo gli occhi su questo continente, in vista del prossimo Intervallo.»

«E come fai a sapere così bene quello che pensano F'lar e Robinton?» chiese Sharra.

Piemur rise, agitando un dito. «Questo lo so io, e tu devi provare a indo-vinarlo da sola. Comunque ho ragione, no, Jaxom?»

«Non so quali siano i piani di F'lar, ma scommetterei che non è il solo a interessarsi al Continente Meridionale.»

«Verissimo! Ma lui è l'unico che conta, non capisci?» «No, francamente non capisco,» disse Sharra. «Mio fratello è Signore

d'una Fortezza... Beh, lo è,» aggiunse, accalorandosi, quando Piemur fece per contraddirla. «O lo sarebbe, se la sua Fortezza fosse stata riconosciuta dai Signori del Nord. Ha corso il rischio di stabilirsi al Sud con F'nor, quando tornò indietro nel tempo (1). Nessun altro era disposto a tentare. Ha sopportato gli Antichi, e ha creato un grande, splendido possedimento, libero dai Fili. Nessuno può abdicare al diritto di governare quello che ha...»

«Non lo contesto!» si affrettò a dichiarare Piemur. «Ma... anche se Toric ha attirato dal Nord molta gente nuova, non può governare più. che tanto. Non può proteggere e lavorare un territorio più grande. E il Continente Meridionale è molto più vasto di quanto possa immaginare chiunque... eccettuato me! Scommetto di avere già percorso a piedi, su questo conti-nente, una distanza eguale a quella tra Capo Tillek e Punta Nerat, senza averne coperto l'intera lunghezza.» Di colpo, cambiò tono, passando dalla derisione allo sgomento. «C'era una baia, vedete, e la sponda opposta era quasi completamente nasco sta dalla foschia causata dal caldo. Io e Stupi-do avevamo marciato faticosamente per due giorni su una distesa di sabbia tremenda. Avevo soltanto l'acqua necessaria per tornare indietro, perché pensavo che presto la sabbia avrebbe lasciato il posto ad un terreno decen-te... Ho mandato Farli, prima all'altra sponda, poi all'imboccatura della baia, ma lei mi ha riportato solo altra sabbia. Così ho capito che dovevo tornare indietro. Ma,» continuò, rivolgendosi ai due ascoltatori, «proba-bilmente oltre la baia c'è un territorio grande quanto quello che avevo già attraversato partendo dalla Fortezza di Toric, e io non avevo ancora com-pletato il giro. Toric non sarebbe in grado di governare neppure la metà di quello che ho visto io. Ed è solo la parte occidentale. All'Est, ho impiegato

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tre settedì per raggiungervi, muovendo dalla Fortezza di Toric, e parte del-la strada abbiamo dovuto farla a nuoto. Il mio Stupido è un buon nuotato-re. Sempre volonteroso e non si lamenta mai. Quando penso che mio padre si preoccupava di sfamare i suoi corridori con il mangime migliore, e vedo di cosa si accontenta Stupido, facendo il doppio del lavoro...» Piemur s'in-terruppe per scuotere la testa di fronte a quell'ingiustizia.

«Quindi,» riprese vivacemente, «ho esplorato come mi è stato detto, e mi sono avviato nella vostra direzione, come mi è stato detto... ma mi a-spettavo di arrivare qui molto prima! Parola mia, sono stanchissimo, e nes-suno sa quanto dovrò ancora viaggiare prima di arrivare a destinazione.»

«Credevo che la tua destinazione fosse questa.» «Sì, ma dovrò proseguire... poi.» Alzò la gamba sinistra, che aveva si-

stemato con particolare cura, e fece una smorfia di dolore. «Per i Gusci, non ce la farò a muovere un passo, per un po'! Ho la gamba mezza consu-mata, no, Sharra?»

Tenendo la gamba sollevata, si girò sulla sabbia in direzione della guari-trice che lo stava osservando impensierita. Prontamente, lei tolse i brandel-li d'una fasciatura improvvisata e scoprì una lunga cicatrice rimarginata da poco.

«Non posso camminarci sopra, vero, Sharra?» «No, non credo proprio, Piemur,» disse Jaxom, esaminando con aria cri-

tica la ferita ormai guarita. «E tu, Sharra?» Lei guardò prima l'uno, poi l'altro, quindi scosse la testa, con gli occhi

ridenti. «No, assolutamente no. Ha bisogno di bagni in acqua salata e tiepida, e

di molto sole, e tu sei un mascalzone, Piemur. Per fortuna non sei un Arpi-sta residente! Scandalizzeresti tutti i Signori delle Fortezze!»

«Hai tenuto le Cronache dei tuoi viaggi?» chiese Jaxom, profondamente interessato e un po' ingelosito della libertà di Piemur.

«Se io ho tenuto le Cronache?» Quello sbuffò, sarcastico. «Quasi tutta la soma che porta Stupido è formata da Cronache! Perché credi che io sia vestito di stracci? Non ho lo spazio per portare abiti di ricambio.» Abbassò la voce e si tese ansiosamente verso Jaxom. «Per caso, non hai qui qualcu-no dei fogli di Bendarek? C'è un paio di...»

«Ho fogli in abbondanza. E anche il necessario per disegnare. Vieni con me!»

Jaxom si alzò, e Piemur lo seguì senza lasciarsi distanziare, claudicando appena appena, fino al rifugio. Jaxom non voleva che Piemur vedesse i

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suoi tentativi confusionari di tracciare le mappe dei dintorni immediati. Ma aveva dimenticato che agli occhi acutissimi del giovane Arpista non sfug-giva nulla; Piemur aveva individuato il rotolo di fogli ben ordinati e, senza neppure chiedere permesso, l'aveva aperto. Quasi subito, cominciò ad an-nuire, borbottando sottovoce.

«Non hai perso tempo, vero?» Piemur sogghignò, in un complimento in-diretto per il lavoro di Jaxom. «Hai usato Ruth come misura? Giusto, giu-sto. Io ho insegnato a Farli, la mia regina, a scandire il suo volo. Conto i secondi, aspetto che lei esegua una picchiata al termine del percorso, e registro la distanza in secondi. Poi faccio i calcoli più tardi, quando tra-scrivo gli schizzi. N'ton controllava le misure quando lavorava con me, e quindi so che è un sistema piuttosto preciso, purché si tenga conto del fat-tore vento.» Zufolò quando posò lo sguardo su un grosso fascio di fogli vergini. «Potrei averne bisogno, potrei, per trascrivere le carte dei territori che ho esplorato. Se mi dessi una mano...»

«Tu devi far riposare quella gamba, no?» chiese Jaxom, restando impas-sibile.

Piemur lo guardò stupito; poi scoppiarono entrambi a ridere fino a quan-do Sharia li raggiunse e pretese di conoscere la causa di quell'ilarità.

I giorni seguenti trascorsero piacevolmente per i tre, anche perché Ruth forniva notizie dei continui miglioramenti dell'Arpista. La prima mattina, notando che Stupido aveva brucato tutta l'erba della zona, Piemur chiese se nelle vicinanze c'era qualche prateria. Jaxom e Piemur salirono su Ruth e si spinsero fino ai prati in riva al fiume che scorreva a Sud-Est della baia, a un'ora buona di volo nell'entroterra. Ruth aiutò di buon grado a raccogliere le alte, ondeggianti graminacee che Piemur indicò come ottimo foraggio, adatto a rimettere in forma il povero Stupido. Ruth disse a Jaxom che non aveva mai visto un corridore dall'aspetto tanto denutrito.

«Non lo stiamo certo ingrassando per te,» rispose Jaxom ridendo. Lui è amico di Piemur. Piemur è amico mio. Io non mangio gli amici dei

miei amici. Jaxom non seppe resistere alla tentazione di riferirlo a Piemur, che scop-

piò in una risata fragorosa, e batté sul dorso del drago bianco pacche ruvi-damente affettuose, come faceva sempre con Stupido.

Caricarono su Ruth una mezza dozzina di covoni d'erba, e si levarono in volo: poi Piemur chiese a Jaxom se era mai stato sulla montagna.

«Non posso volare in mezzo.» Jaxom non si preoccupò di nascondere la sua frustrazione al giovane Arpista.

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«Hai maledettamente ragione. Non puoi andarci, con la testa-di-fuoco!» Jaxom batté le palpebre di fronte a quell'inequivocabile conferma. «Non preoccuparti! Ci andrai presto.» Piemur scrutò la vetta simmetrica,

facendo scudo con una mano davanti agli occhi. «Sembra vicina, ma è distante diversi giorni di viaggio, forse quattro o cinque. Terreno acciden-tato, direi. Tu...» S'interruppe per dare a Jaxom un'inattesa gomitata nello stomaco che gli tolse il fiato. «Prima devi rimetterti in forma. Ti ho sentito sbuffare, quando tagliavi l'erba. Uh!»

«Non sarebbe più semplice condurre qui Stupido e lasciarlo pascolare? Non ci sono draghi, qui in giro, tranne Ruth. E lui ha promesso che non mangerà il tuo corridore.»

«Appena vedrà altri animali selvatici, non tornerà più indietro. È troppo stupido per capire che è più al sicuro con me e con un drago che gli porta da mangiare, invece di mangiarselo.»

Stupido si mostrò felice di quel contributo alla sua dieta, e fischiò di gio-ia mentre masticava il mucchio d'erba.

«Quant'è intelligente Stupido?» chiese Sharra, accarezzando il ruvido collo bruno dell'animale.

«Non è sveglio come Farli, ma non è stupido veramente. Direi che è più esatto definirlo limitato. Entro certi limiti, è piuttosto sveglio.»

«Per esempio?» chiese Jaxom. Non aveva mai avuto una grande opinio-ne dei corridori.

«Ecco... per esempio, io posso mandare avanti Farli, dicendole di volare per tante ore nella direzione che le ho indicato, e di atterrare per raccoglie-re quello che trova al suolo. In genere mi porta erba o rametti di arbusti, e qualche volta pietre e sabbia. Posso mandarla in cerca d'acqua. È questo che mi ha imbrogliato, con la Baia Grande. Farli aveva trovato l'acqua, sicuro, e perciò io e Stupido le siamo andati dietro. Non avevo precisato che volevo acqua potabile.» Piemur scrollò le spalle e rise. «Ma io e Stu-pido dobbiamo andare a piedi, e lui se la cava benissimo. Più volte mi ha impedito di sprofondare nel fango e nelle sabbie mobili. È bravissimo a scegliere il percorso più agevole sul terreno accidentato. Ed è anche capace di trovare l'acqua... acqua potabile. Perciò avrei dovuto dargli retta, quando non voleva saperne di attraversare le sabbie per arrivare alla Baia Grande. Sapeva che là non c'era l'acqua che serviva a me, per quanto Farli insistes-se che c'era. Quella volta mi sono fidato di Farli. In genere, quei due, messi insieme, sono una guida attendibile. Lavoriamo in gruppo... Stupido, Farli ed il sottoscritto.

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«E questo mi ricorda che ho trovato una covata di lucertole di fuoco. D'una regina, cinque...» Farli gli rivolse un cinguettio brusco. «E va bene, forse sei o sette baie più indietro. Non ricordo più il posto con precisione, ma lei se lo ricorderà... se qualcuno volesse qualche uovo. Sai, se le lucer-tole di fuoco verdi non fossero stupide come sono, saremmo sepolti fino alle orecchie tra le piccole verdi. E sono completamente inutili.»

Sharra sorrise. «Ricordo il giorno che trovai sulla sabbia la mia prima covata. Io non conoscevo la differenza tra i nidi delle lucertole verdi e quelli delle lucertole dorate. Oh, come tenni d'occhio quella covata... per giorni e giorni. Non lo dissi a nessuno. Volevo imprimere a tutte lo Sche-ma dell'Apprendimento...»

«Quattro o cinque?» chiese Piemur con una risata. «Sei, per l'esattezza. Ma non mi ero accorta che un serpente delle sabbie

era già arrivato alla covata strisciando sottoterra prima ancora che io tro-vassi il nido.»

«Come mai, allora, i serpenti delle sabbie non rubano mai le uova di re-gina?» chiese Jaxom.

«Perché la regina non si allontana mai molto dalla covata,» disse Sharra. «Si accorge subito che il serpente sta scavando la tana, e lo uccide.» Rab-brividì. «Odio i serpenti ancora più dei Fili.»

«Non c'è molta differenza, vero?» chiese Piemur. «A parte la direzione dell'attacco.» Gesticolò con tutte e due le mani, una che scendeva e l'altra che saliva verso una vittima immaginaria.

Nelle ore più calde della giornata, Jaxom, Sharra e Piemur cominciarono a trasformare le Cronache, le misurazioni e gli schizzi in mappe dettaglia-te. Piemur voleva portare al più presto possibile il suo rapporto a Sebell, o a Robinton o a F'lar, a seconda delle disposizioni che avrebbe ricevuto.

La mattina dopo, usando Stupido come bestia da soma, mentre Ruth li precedeva in volo, i tre amici andarono in cerca della covata di regina sco-perta da Piemur. Nel nido c'erano ventinove uova, tutte debitamente indu-rite:' mancavano un giorno o due alla Schiusa. Il loro arrivo aveva fatto fuggire la lucertola regina, e perciò poterono disseppellire le uova e siste-marle scrupolosamente nel canestro che avevano legato sul dorso di Stupi-do. Jaxom pregò Ruth di informare Canth che avevano trovato uova di lucertole di fuoco.

Canth dice che verranno comunque domani, rispose il drago bianco. L'Arpista ha mangiato di buon appetito.

Ruth forniva loro, periodicamente, notizie del Maestro Robinton. Era

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come trovarsi nella Sede del malato, senza dover subire le sue lamentele, osservò Piemur.

Ritornarono alla loro baia passando per la foresta. Gli alberi da frutto in-torno alla radura erano stati saccheggiati, e dato che F'nor sarebbe arrivato presto, avrebbe indubbiamente apprezzato un po' di frutta fresca da portare al Weyr di Benden.

«È opportuno che tu ti faccia trovare qui all'arrivo di F'nor?» chiese Ja-xom al giovane Arpista.

«Perché no? Lui è al corrente di quello che sto facendo. Sai, Jaxom, quando vedi quanto è bello questo continente, ti viene da chiederti perché i nostri antenati si trasferirono al Nord...»

«Forse il Sud era troppo grande per poterlo mantenere libero dai Fili, prima che venisse disseminato di bruchi,» suggerì Sharra.

«Buona idea!» Poi Piemur sbuffò, sarcastico. «Le Antiche Cronache so-no peggio che inutili: trascurano le cose più importanti. Per esempio, dico-no ai contadini di stare attenti ai bruchi nel Nord, e non spiegano perché. Dicono di lasciar perdere il Continente Meridionale, ma non ne chiarisco-no la ragione. Comunque, se allora c'era anche solo metà dei terremoti che ci sono adesso, non posso biasimarli. Mentre stavo andando alla Baia Grande, per poco non ci ho lasciato la pelle, in un terremoto. Ho quasi per-so Stupido. Se Farli non l'avesse tenuto d'occhio, non sarei mai riuscito a riprendere quell'idiota che era scappato per la paura.»

«Ci sono terremoti anche al Nord,» fece Jaxom. «A Crom e nelle Terre Alte, e qualche volta a Igen e nella piana di Telgar.»

«Ma non come quello cui ho assistito io,» rispose Piemur, scuotendo il capo al ricordo. «Qui la terra ti sprofonda sotto i piedi e due passi più in-dietro si solleva di mezza lunghezza di drago.»

«Quando è accaduto? Tre, quattro mesi fa?» «Infatti!» «Alla Fortezza Meridionale, la terra ha appena tremato, ma è stato abba-

stanza spaventoso!» «Hai mai visto un vulcano schizzare fuori dall'oceano e vomitare tutto

intorno pietre infocate e cenere?» chiese Piemur. «No, e non sono sicura che tu l'abbia visto, Piemur,» disse Sharra, guar-

dandolo insospettita. «E invece l'ho visto, e c'era N'ton con me: quindi ho un testimone.» «Non sperare che io non glielo domandi.» «Dov'è stato, Piemur?» chiese Jaxom, affascinato.

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«Te l'indicherò sulla mappa. N'ton ha continuato a tener d'occhio quel posto. L'ultima volta che ci siamo incontrati, ha detto che il vulcano aveva smesso di fumare, e intorno c'era formata un'isola, perfetta come... come quella tua montagna!»

«Avrei preferito vederlo con i miei occhi,» disse Sharra, sempre scettica. «Ti accontenterò,» rispose allegramente l'Arpista. «Ecco un albero adat-

to!» aggiunse; spiccò un balzo, si aggrappò al ramo più basso e salì. Co-minciò a tagliare i ramoscelli che reggevano i frutti rossi, facendoli cadere nelle mani protese di Jaxom e di Sharra.

Avevano impiegato soltanto due ore per raggiungere la covata di lucer-tole di fuoco, camminando lungo la spiaggia. Ma impiegarono tre volte di più per aprirsi uno stretto sentiero nel fitto sottobosco, e per tornare al ri-fugio. Jaxom cominciò a rendersi conto delle difficoltà delle esplorazioni di Piemur, mentre fendeva energicamente gli arbusti dalla linfa viscosa. Gli dolevano le spalle, e aveva le caviglie e i piedi graffiati quando giunse-ro nelle vicinanze del rifugio. Jaxom aveva perso il senso dell'orientamen-to. Ma Piemur aveva uno strano istinto e, insieme a Ruth e alle tre lucerto-le di fuoco, li aveva guidati in linea retta sino a destinazione.

Quando arrivò, soltanto l'orgoglio impedì a Jaxom di buttarsi sul letto a dormire per rifarsi delle fatiche. Piemur propose di fare una nuotata per ripulirsi del sudore, e Sbarra annunciò che il pesce arrostito sarebbe andato benissimo per cena, quindi Jaxom si sforzò di restare in piedi.

Forse fu per quello, pensò più tardi, che fece sogni così vividi quando finalmente andò a dormire. La montagna, che fumava e vomitava cenere e lapilli ardenti, dominava il sogno, popolato da fiumane di gente che fuggi-va. Per Jaxom era una cosa logica; ma lui faceva parte di quelli che fuggi-vano, e gli sembrava di non riuscire a correre abbastanza in fretta. Il fiume rovente, rosso-arancio, che traboccava dalla cima della montagna, minac-ciava d'inghiottirlo, e lui non riusciva a muovere le gambe con la rapidità necessaria.

«Jaxom!» Piemur lo destò, scuotendolo. «Stai sognando! Sveglierai Sharra.» Il giovane Arpista s'interruppe, e nel fioco chiarore che precedeva l'alba, si sentirono nettamente i gemiti di Sharra. «O forse dovrei svegliarla io. Sembra che anche lei stia facendo un brutto sogno.»

Piemur fece per alzarsi, quando sentirono Sharra emettere un profondo sospiro e piombare in un sonno più tranquillo.

«Non avrei dovuto parlare di quel vulcano. Ho rivissuto l'eruzione. Al-meno, credo sia quello che ho sognato.» Piemur sembrava confuso. «Pro-

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babilmente ho mangiato troppo pesce e troppa frutta! Ieri sera mi sono rifatto dei pasti saltati.» Sospirò e tornò a sdraiarsi.

«Grazie, Piemur!» «Di che?» chiese l'Arpista, sbadigliando. Jaxom si girò, trovò una posizione comoda, e non stentò a sprofondare

in un sonno senza sogni. Il grido di Ruth svegliò tutti e tre, al mattino. «Sta arrivando F'nor,» annunciò Jaxom, dopo aver ascoltato il messag-

gio. F'nor porta altri, aggiunse il drago bianco. Jaxom, Sharra e Piemur erano giunti in riva al mare quando quattro dra-

ghi eruppero nell'aria: gli altri tre erano più piccoli di Canth. Le lucertole di fuoco che stavano raggruppate intorno a Ruth sparirono con strilli di sorpresa, lasciando soltanto Meer, Talk e Farli.

È Piemur, comunicò Ruth a Canth. E poi F'nor cominciò a salutare entu-siasta, stringendosi le mani sopra la testa in segno di vittoria.

Canth depose sulla sabbia il suo cavaliere; poi, ruggendo un ordine agli altri draghi, scese tutto felice in acqua, dove Ruth si affrettò a raggiunger-lo.

«Ben trovato, Piemur!» esclamò F'nor, slacciandosi gli indumenti da vo-lo e dirigendosi verso gli altri. «Cominciavo a chiedermi se ti eri perso.»

«Perso?» Piemur assunse un'aria indignata. «Ecco il guaio, con voi dra-gonieri. Non avete nessun rispetto per le distanze a terra. Per voi è troppo facile. Su, su e via! Sparite e riapparite dove volete arrivare. E non fate nessuna fatica.» Lanciò un brontolio di disgusto. «Io, invece, so dove sono stato: ricordo tutto, spanna per spanna!»

F'nor rivolse un gran sorriso al giovane Arpista e gli batté sulla schiena con tanto vigore che Jaxom si stupì nel vedere Piemur restare impassibile. «Allora potrai divertire il tuo Maestro, con il racconto completo e debita-mente abbellito dei tuoi viaggi...»

«Devi portarmi dal Maestro Robinton?» «No. È lui che viene qui!» F'nor indicò la baia. «Cosa?» F'nor si frugò nella borsa appesa alla cintura ed estrasse un foglio piega-

to. «Questa è la ragione della mia visita di oggi. E non dimenticare di con-segnarmi le uova di lucertola di fuoco.»

«Che cos'è?» Jaxom, Sharra e Piemur si strinsero intorno al cavaliere marrone, che spiegava il foglio con studiata lentezza.

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«È... una Sede per il Maestro Arpista, da costruire in questa baia.» «Qui?» chiesero all'unisono i tre. «E come ci verrà?» domandò Jaxom. «Di sicuro, non potrà volare in

mezzo.» Non seppe nascondere una sfumatura di risentimento. F'nor lo fissò inarcando un sopracciglio.

«Il Maestro Idarolan ha messo a disposizione del Maestro Arpista il suo vascello più grosso e più veloce. Menolly e Brekke l'accompagnano. In un viaggio per mare, nulla può turbare o preoccupare l'Arpista.»

«Può avere il mal di mare,» commentò Jaxom.» «Solo a bordo di piccole imbarcazioni.» F'nor li guardò tutti con un'e-

spressione solenne. «Quindi ci metteremo subito al lavoro. Ho portato u-tensili e aiutanti.» Indicò i tre allievi che li avevano raggiunti. «Ingrandi-remo il rifugio sino a farne una piccola fortezza,» disse, abbassando gli occhi sul foglio. «Tuttavia quella vegetazione deve sparire.»

«Così l'Arpista arrostirà al sole, e non sarà piacevole,» gli fece notare Sharra.

«Prego?» Sharra gli tolse il foglio dalle mani e aggrottò la fronte con aria critica.

«Una piccola fortezza? Ma se è una Sede in piena regola,» disse. «E per niente adatta a questo continente. Inoltre,» e si lasciò cadere sulla sabbia, prendendo un lungo frammento di conchiglia, con il quale cominciò a trac-ciare un altro schizzo. «Innanzi tutto, non la costruirei dov'è il vecchio rifugio... troppo vicino alla riva, e qui ci sono mareggiate piuttosto brutte. C'è un'altura, riparata da alberi da frutta, là...» E indicò a est del rifugio.

«Alberi da frutta? Perché se li divorino i Fili?» «Oh, voi dragonieri siete sempre i soliti! Questo è il Continente Meri-

dionale, non il Nord. È tutto pieno di bruchi. I Fili bruciacchiano qualche foglia, all'incirca ogni settedì, ma poi le piante guariscono. E poi, arrivate nella stagione calda e credimi, avrete bisogno di verde intorno per stare un po' freschi. E sarà necessario costruire su palizzate, ad una certa altezza dal suolo. Per le fondamenta, abbondano le rocce nere degli scogli. E ci vo-gliono finestre grandi per fare entrare la brezza: non queste feritoie. D'ac-cordo, potete mettere le imposte se volete, ma io ho sempre vissuto al Sud, quindi so come si deve costruire, qui. Ci vogliono finestre, e corridoi dirit-ti, all'interno, per favorire la ventilazione...» Mentre parlava, Sharra trac-ciava uno schizzo riveduto e corretto a colpi energici perché restassero impressi sulla sabbia calda e asciutta. «E per tanti inquilini, occorre un focolare all'aperto. Io e Brekke abbiamo sempre cucinato quasi tutto qui

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fuori, in fosse di pietra.» Indicò un punto sulla spiaggia. «E non c'è biso-gno d'una stanza da bagno, con il mare a pochi passi dalla porta.»

«Non hai obiezioni contro le condutture dell'acqua, spero?» «No, è più comodo che portare i secchi dal fiume. Ma bisogna mettere

un altro rubinetto nella zona di cottura, oltre a quello in casa. E magari anche un serbatoio vicino al focolare, per avere acqua calda...»

«C'è altro, Maestro Costruttore?» Il tono di F'nor era più divertito e am-mirato che sarcastico.

«Te lo farò sapere quando mi verrà in mente,» rispose dignitosamente Sharra.

F'nor le rivolse un gran sorriso, poi guardò lo schizzo, corrugando la fronte. «Non sono sicuro che l'Arpista sarà soddisfatto di avere intorno tanto verde. Lo so, tu sei abituata a stare all'aperto durante la Caduta dei Fili...»

«C'è abituato anche il Maestro Robinton,» disse Piemur. «Sharra ha ra-gione: qui fa caldo ed è meglio costruire secondo il suo disegno. La foresta faremo sempre in tempo ad abbatterla, F'nor: ma non è facile farla ricre-scere.»

«Giusto. Adesso voi tre, B'reffi, K'van M'tok, lasciate liberi i vostri dra-ghi. Possono fare il bagno e prendere il sole insieme a Ruth e Canth. Non ci sarà bisogno di loro fino a quando non avremo tagliato un po' di legna-me. K'van, dammi il tuo sacco. Hai portato le asce, no?» F'nor distribuì gli utensili, senza ascoltare Piemur che protestava all'idea di aver camminato per giorni e giorni in mezzo alle foreste solo per contribuire ad abbatterne una. «Sharra, portaci al posto che preferisci. Sfronderemo qualche albero e l'useremo come sostegno.»

«Sono abbastanza robusti,» ammise Sharra, e si avviò. Sharra aveva ragione, per quel che riguardava gli alberi, F'nor delimitò il

perimetro della sede e segnò le piante da tagliare. Ma era più facile dirlo che farlo. Le asce non affondavano nel legno, e tendevano a rimbalzare. F'nor era sorpreso; borbottò che le asce erano smussate e tirò fuori la pietra per affilarle. Dopo aver affilato la lama tagliandosi anche un dito, riprovò, con scarso successo.

«Non capisco,» disse, scrutando le intaccature nel tronco. «Il legno non dovrebbe essere così resistente. Sono alberi da frutta, in fondo. Beh, dob-biamo darci da fare, ragazzi!»

L'unico che a mezzogiorno non aveva una bella serie di vesciche alle mani era Piemur, il quale era abituato a maneggiare l'ascia. Ma ancora più

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scoraggiante era la modestia dei risultati: erano stati abbattuti soltanto tre alberi.

«E non per mancanza di buona volontà, eh?» commentò F'nor, tergendo-si il sudore dalla fronte. «Bene, vediamo cosa ci ha preparato Sharra. L'o-dore è invitante.»

Ebbero il tempo per fare una nuotata prima che il pasto fosse pronto; l'acqua salata bruciava sulle vesciche, e Sharra dovette spalmarle d'intorpi-daria. Quando ebbero mangiato il pesce arrostito e le radici al forno, F'nor diede ordine di affilare le asce. Trascorsero il resto del pomeriggio taglian-do i rami, prima di chiedere ai draghi di trascinare da parte il legname. Sharra sgombrò il sottobosco e poi, con l'aiuto di Ruth, trasportò rocce nere dagli scogli per le fondamenta.

Appena F'nor condusse via le sue reclute per accompagnarle al Weyr a passarvi la notte, Jaxom e Piemur si lasciarono cadere sulla sabbia, scuo-tendosi solo il tempo necessario per consumare la cena che Sharra aveva preparato.

«Preferirei fare il giro della Baia Grande,» borbottò Piemur con un bri-vido, mentre si stiracchiava.

«È per il Maestro Robinton,» disse Sharra. Jaxom si guardò pensieroso le vesciche. «Se continueremo con questo

ritmo, sarà meglio che lui impieghi mesi per arrivare!» Sharra, impietosita dai loro muscoli doloranti, li unse con un unguento

aromatico che bruciò piacevolmente l'indolenzimento. Jaxom pensò, com-piaciuto, che Sharra aveva dedicato più tempo a massaggiargli la schiena di quanto ne avesse dedicato a Piemur. Aveva visto con piacere il giovane Arpista, ed era affascinato dalle Cronache e dalle carte dei suoi viaggi, ma avrebbe preferito che Piemur fosse arrivato qualche giorno dopo. Non era possibile consolidare il suo ascendente su Sharra, con un terzo incomodo intorno.

Al mattino seguente, fu anche peggio. Sharra li svegliò per annunciare che era arrivato F'nor, con altri aiutanti.

Jaxom avrebbe dovuto insospettirsi dell'espressione blanda della ragazza e delle grida e degli ordini che sentiva risuonare intorno al rifugio. Ma era completamente impreparato allo spettacolo che si offrì ai suoi occhi quan-do lui e Piemur, tutti indolenziti, uscirono all'aperto.

La baia, la radura, il cielo... erano pieni di draghi e di uomini. Appena un drago veniva scaricato, decollava per lasciar atterrare un'altro. Le acque brulicavano di draghi che sguazzavano e giocavano. Ruth era ritto sulla

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punta orientale della baia, con la testa levata verso il cielo, e muggiva un benvenuto dopo l'altro. Innumerevoli lucertole di fuoco ciangottavano tra loro sul tetto del rifugio.

«Brucialo! Dai un'occhiata!» esclamò Piemur. Poi rise e si fregò le mani. «Una cosa è sicura, oggi non dovremmo lavorare d'ascia!»

«Jaxom! Piemur!» I due giovani si voltarono al gaio saluto di F'nor e vi-dero il cavaliere marrone che si avvicinava a grandi passi. Lo seguivano il Maestro Fabbro Fandarel, il Maestro Legnaiolo Bendarek, N'toon e un comandante di squadriglia di Benden, riconoscibile per i nodi sulle spalle. Jaxom pensò che doveva essere T'gellan.

«Ho dato a te i due disegni ieri sera, Jaxom? Non riesco a trovarli... Ah, eccoli qui!» F'nor indicò i fogli sul tavolino: il progetto originale di Brekke e le modifiche proposte da Sbarra. Il cavaliere marrone li prese e li mostrò ai Maestri delle Arti. Dunque, Fandarel, Bendarek, la nostra idea è que-sta...»

I due uomini presero i fogli dalle sue mani e li scrutarono, prima uno, poi l'altro. Quindi scossero lentamente la testa, con fare di disapprovazio-ne.

«Non molto efficiente, F'nor, ma le intenzioni sono buone,» disse il gi-gantesco Fabbro.

«Il Comandante R'mart mi ha assegnato un numero sufficiente di cava-lieri per trasportare il durallegno ben stagionato per la struttura,» disse Bendarek a Fandarel.

«Ho i tubi per l'acqua e gli altri servizi, i metalli per costruire un focola-re come si deve, utensili da cucina, finestre...»

«Il Nobile Asgenar ha insistito perché portassi qualche scalpellino. Le fondamenta e la pavimentazione devono essere fatti a regola d'arte...»

«Prima dobbiamo correggere il progetto, Maestro Bendarek...» «Perfettamente d'accordo. Questa è una simpatica casetta, ma non adatta

al Maestro Arpista di Pern.» I due Maestri, assorti nel compito di perfezionare gli schizzi rudimentali,

dimenticarono gli altri presenti e si trasferirono al tavolo che Jaxom usava per tenere le sue carte. Piemur si affrettò a recuperare la sua borsa piena di appunti e disegni. Il Maestro Legnaiolo, senza far caso a quelle interruzio-ni, prese un foglio bianco, trasse dalla tasca uno strumento per scrivere e cominciò a disegnare a tratti precisi quello che aveva in mente. Anche il Fabbro prese un foglio e si mise a tradurre in nero su bianco le sue idee.

«Ti giuro, Jaxom,» disse F'nor socchiudendo gli occhi divertito. «Io non

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ho fatto altro che chiedere a F'lar e a Lessa se potevo arruolare qualche altro aiutante. Lessa mi ha lanciato un'occhiataccia; F'lar ha detto che po-tevo prendere tutti i cavalieri che non avevano altro da fare, e all'alba, l'or-lo del Weyr brulicava di draghi, e c'erano metà dei Maestri delle Arti di Pern! Lessa deve aver parlato con Ramoth, ed evidentemente la Regina ha informato tutti...»

«Gli hai offerto il pretesto che aspettavano, F'nor,» disse Piemur, osser-vando il traffico sulla spiaggia un tempo così tranquilla, la folla di drago-nieri e di artigiani che ammucchiavano entro il perimetro il materiale por-tato dai draghi.

«Sì, lo so, ma non mi aspettavo una simile reazione. E come facevo a dir loro che non potevano venire?»

«Credo,» disse Sharra che li aveva raggiunti, «che sia un omaggio al Maestro Arpista.» I suoi occhi incontrarono quelli di Jaxom; il giovane comprese che lei s'era accorta dei suoi sentimenti ambivalenti di fronte all'invasione della loro baia.

Poi Jaxom notò che F'nor lo stava osservando e riuscì a sorridere, de-bolmente. «Le vesciche di ieri potranno guarire, penso. Giusto, Piemur?»

Piemur annuì, stringendo i denti mentre guardava l'attività sulla spiag-gia. «Sarà bene che vada a cercare Stupido. Con tutta questa confusione, probabilmente si è spaventato ed è scappato nella foresta. Farli!» Tese il braccio e la lucertola di fuco scese in picchiata dal tetto. «Cerca Stupido, Farli. Portami da lui!»

La lucertola di fuoco girò la testa verso sinistra e pigolò; Piemur si avviò in quella direzione, senza voltarsi indietro.

«Quel giovanotto è rimasto solo troppo a lungo,» commentò F'nor. «Sì!» «Come puoi sapere quello che prova?» chiese F'nor, sorridendo della la-

conica risposta di Jaxom. Gli batté una mano sulla spalla. «Non me la prenderei troppo se fossi in te, Jaxom. Con tutti questi aiutanti, la sede verrà completata in pochissimo tempo. Poi riavrete la vostra tranquillità.»

«Idioti!» esclamò all'improvviso Sharra. Jaxom, senza badare all'espressione interrogativa di F'nor, la guardò. La

ragazza aveva percepito la conversazione fra i due Maestri. «Adesso voglio chiarire una cosa, con loro!» A pugni stretti per l'esaspe-

razione, si avvicinò decisa ai due. «Maestri, devo farvi osservare qualcosa che evidentemente avete trascurato. Questo è un territorio caldo. Tutti e due siete abituati ad inverni freddissimi ed a piogge gelate. Se costruite la

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sede secondo quel progetto, la gente morirà di caldo durante l'estate che sta per arrivare. Vedete, dove vivo io, alla Fortezza Meridionale, costruiamo mura molto spesse per tener fuori il caldo e mantenere il fresco all'interno. Costruiamo su palizzate per permettere all'aria di circolare sotto i pavimen-ti. Abbiamo molte finestre, e ampie per giunta, e tu hai portato tante impo-ste metalliche, Maestro Fandarel, che basterebbero per una dozzina di for-tezze. Sì, lo so, ma i Fili non cadono tutti i giorni, mentre il caldo c'è sem-pre. Dunque...»

F'nor schioccò la lingua. «Parla come Brekke. E se si comporta in tutto e per tutto come la mia compagna, quando è di quell'umore, preferisco starle alla larga. Tu,» proseguì, dando una gomitata a Jaxom, «puoi mostrarci dove andare a caccia. Abbiamo portato viveri, ma poiché tu sei in pratica il Signore Residente della Fortezza, qui, è tuo dovere comportarti da ospite compito e fornirci un po' di carne arrosto...»

«Vado a prendere i miei indumenti da volo,» disse Jaxom, con un tono di sollievo che fece ridere i tre dragonieri.

Jaxom infilò in fretta i calzoni lunghi sulle mutandine che usava per prendere il sole e fare il bagno, si buttò la giubba sulle spalle e raggiunse sulla soglia i tre cavalieri.

«Credo che possiamo salire sul braccio sinistro della baia, vicino a Ruth,» disse F'nor.

Qualcosa sfrecciò accanto all'orecchio di Jaxom; schivando istintiva-mente, si voltò mentre Meer si fermava, librato davanti a lui, stringendo fra le zampette anteriori un pezzo di roccia nera. Jaxom sentì Sharra che ringraziava la lucertola di fuoco per la prontezza con cui era tornata.

Si affrettò ad andarsene prima che a Sharra venisse in mente di assegna-re qualche incombenza anche a lui. F'nor aveva portato corde da caccia per tutti: le controllarono e se le avvolsero sulle spalle. Mentre passavano tra le cataste di legname, i mucchi di imposte metalliche e di grosse balle, gli uomini salutavano i dragonieri e chiedevano a Jaxom come stava.

Prima che fossero arrivati all'estremità della baia, Jaxom aveva identifi-cato uomini provenienti da tutti i Weyr, eccettuato Telgar - che proprio quel giorno doveva combattere i Fili - ed rappresentanti di tutte le Arti di Pern, quasi tutti artigiani specializzati o di rango ancora più elevato. Poi-ché era rimasto isolato per tanti settedì, Jaxom non aveva immaginato che la sua malattia fosse stata oggetto di tanto interesse nei Weyr, nelle Sedi e nelle Fortezze. Era imbarazzato e non soltanto lusingato; ma questo non attenuava la sensazione di venire travolto da quella violazione - anche se

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bene intenzionata - dell'intimità e della pace della sua baia. Come l'aveva chiamato F'nor? Signore Residente della Fortezza? Scrollò

le spalle mentre Ruth, tutto sgocciolante, si posava accanto a lui. Tanta gente. Tanti draghi! È divertente! Gli occhi di Ruth turbinavano

d'eccitazione e di piacere. Il drago bianco, che sembrava ancora più piccolo accanto ai due enormi

bronzei e al marrone, sembrava così felice di quel trambusto che Jaxom non poté restare irritato a lungo.

Ridendo, batté affettuosamente la mano sulla spalla di Ruth e gli balzò sul collo. Gli altri cavalieri erano già montati; alzò il pugno chiuso e lo agitò per dare il segnale del decollo. Continuando a ridere, si puntellò mentre Ruth si slanciava verso l'alto, lasciando sulla sabbia le altre bestie più pesanti. Educatamente, Ruth volò in cerchio mentre gli altri prendeva-no il volo, poi li precedette dirigendosi verso Sud-Est.

Volò verso il più lontano dei prati in riva al fiume che Jaxom e Sharra avevano scoperto. Di solito i wherry ed i corridori selvatici vi andavano verso metà mattina, per sguazzare nell'acqua e nel fango fresco. C'era spa-zio sufficiente per permettere ai grandi draghi di manovrare e ai loro cava-lieri di lanciare le corde.

I branchi vagavano sui prati, dove il terreno digradava dalla foresta sino al fiume, in una serie di banchine dove le piene avevano impedito agli al-beri di mettere radici. L'erba era abbondante, e stava per ingiallire: il caldo la trasformava implacabilmente in fieno.

Dobbiamo cacciare singolarmente. F'nor ci chiede di prendere un gros-so wherry. Loro cercheranno di catturare un corridore a testa. Per oggi dovrebbe bastare.

«Se no,» rispose Jaxom, «possiamo sempre prendere uno dei grossi pe-sci.»

Jaxom era ansioso di provare. Non aveva mai avuto occasione di usare una fiocina, ma... Adocchiò un wherry, un esemplare magnifico che spie-gava a ventaglio le spine caudali, avanzando maestosamente. Jaxom strin-se le gambe intorno al collo di Ruth, soppesò tra le mani l'estremità appe-santita del cappio. Trasmise mentalmente l'immagine del wherry a Ruth, che girò subito la testa per puntarlo. Poi il drago bianco si tuffò in picchia-ta, ripiegando all'indietro le ali per lasciare spazio a Jaxom, quasi sfiorando con le zampe l'erba del prato. Jaxom si sporse, e lanciò con destrezza il cappio intorno alla grossa testa sgraziata del wherry. L'animale s'impennò, stringendo il nodo scorsoio. Jaxom affondò i talloni nei fianchi di Ruth, e

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il drago bianco salì nell'aria. Con uno strattone, Jaxom spezzò il collo del wherry.

Era molto grosso, pensò il giovane, quando il peso morto per poco non gli scardinò le braccia. Ruth, prontamente, alleviò la tensione afferrando la corda con la zampa anteriore.

F'nor dice che è una bella preda e si augura di saper fare altrettanto! Jaxom guidò Ruth al limitare del campo, più lontano dagli altri cacciato-

ri. Poi, calando delicatamente la carcassa, Ruth atterrò, e Jaxom legò la fune intorno al dorso del drago. Tornarono in volo in tempo per vedere T'gellan inseguire tenacemente il maschio sfuggitogli al primo lancio. F'nor e N'ton avevano già le loro prede. F'nor agitò il braccio trionfante, mentre volteggiava, insieme a N'ton, per tornare alla baia. Mentre Ruth li seguiva, Jaxom vide T'gellan azzeccare il secondo lancio: appena in tem-po, perché dovettero prendere quota per sorvolare la foresta, e poco mancò che la carcassa penzolante s'impigliasse tra i rami. Ma era stata una buona caccia, e rapida, quindi la selvaggina avrebbe dimenticato in fretta l'agita-zione. Senza dubbio avrebbero dovuto tornare a caccia l'indomani. Jaxom immaginava che neppure quell'immane contingente di manodopera sareb-be riuscito a finire in un sol giorno la nuova residenza dell'Arpista. Forse l'indomani avrebbero cercato di catturare i grandi pesci.

Non erano rimasti assenti a lungo, anche se il tragitto di ritorno richiese un po' più di tempo, carichi com'erano. Al centro del bosco era stata aperta una grande radura. Mentre Jaxom si stupiva che quegli uomini, per quanto numerosi, fossero riusciti ad abbattere tutti quegli alberi, vide un drago sollevarne uno dal suolo tenendolo per le radici e trasportarlo sulla spiag-gia della baia contigua, verso Est, dove il tronco venne scrupolosamente accatastato sugli altri. Quando Ruth si avvicinò, Jaxom vide che erano già stati eretti pilastri della roccia nera degli scogli, ed erano state sistemate le travi di durallegno stagionato che il Maestro Bendarek aveva fatto portare da Telgar. Era stato aperto un ampio sentiero curvilineo, e adesso veniva pavimentato con la sabbia trasportata a dorso di drago nei sacchi da pietre focaie. Altri operai, ai bordi della radura, erano impegnati nei lavori più disparati, e segavano, piallavano, inchiodavano, montavano, mentre un'al-tra fila di uomini portava rocce nere dai mucchi in riva al mare.

Jaxom vide che sulla punta orientale erano state scavate fosse per accen-dere il fuoco e arrostire la carne: gli spiedi metallici erano già a posto e le fiamme ardevano allegramente. All'ombra erano stati sistemati i tavoli, e Jaxom si accorse che erano carichi di frutti rossi, arancioni e verdi.

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Ruth si librò sulla radura e atterrò dolcemente. Due uomini che stavano accanto ai fuochi accorsero per aiutare Jaxom a scaricare il wherry. Ruth, immediatamente, si levò in volo volteggiando, in modo che Jaxom potesse dirigere le operazioni di scarico delle altre carcasse che penzolavano dalle funi dei draghi più grandi.

F'nor, slacciandosi la tenuta di volo, si avvicinò lentamente a Jaxom e socchiuse gli occhi per ripararli dal riflesso del sole sulla sabbia, scrutando l'attività che ferveva nella baia un tempo così tranquilla. Sospirò, ma co-minciò ad annuire, come se all'improvviso si sentisse soddisfatto.

«Sì, verrà benissimo,» disse, più a se stesso che a Jaxom, perché subito dopo si voltò sorridendo e gli posò una mano sulla spalla. «Sì, compiranno facilmente la transizione.»

«La transizione?» Era evidente che F'nor non alludeva a quei frenetici lavori. «Il ritorno dei dragonieri alla terra, alle tenute fondiarie. Hai potuto

compiere molte esplorazioni, qui intorno?» «Le baie, fino ai prati in riva al fiume, ed un po' dell'immediato entroter-

ra, l'altro ieri, insieme a Piemur.» I due uomini si girarono verso il cono del vulcano che spiccava in lonta-

nanza, ammantato di nubi. «Sì, attira l'occhio, no?» sorrise F'nor. «Ci arriverai tu per primo, Jaxom.

Anzi, preferirei che tu e Piemur cominciaste ad esplorare seriamente, con quella montagna per meta. Sì, l'idea ti va, vero? Sarà meglio per te e per Piemur, inoltre. E adesso, prima che me dimentichi di nuovo, dov'è la co-vata di lucertole di fuoco?»

«Sono ventun uova, e vorrei tenerne cinque, se posso...» «Ma certo!» «Da portare a Ruatha.» «Prima di sera.» «Sai, è strano.» Jaxom si girò, guardandosi intorno. «Che cosa?» «Di solito, ci sono in giro molte più lucertole di fuoco. Non ne vedo più

d'una ventina. E tutte portano i contrassegni.»

XVII

Fortezza di Fort Weyr di Benden

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Tenuta della Baia Sul mare, a bordo della «Sorella dell'Alba» 15.10.1 - 15.10.2. Appena le tre lucertole di fuoco ebbero incominciato con i saluti, i tre

uomini, sorridendo dell'entusiasmo delle loro amiche, sedettero al tavolo nella saletta della Fortezza di Fort dove il Nobile Groghe teneva le sue riunioni private. Sebell era stato lì spesso, mai tuttavia come portavoce della sua Sede e mai quando il Nobile Groghe aveva convocato anche il Comandante del Weyr di Fort, per una ragione evidentemente importante.

«Non so bene come incominciare,» disse il Nobile Groghe, versando il vino. Sebell pensò che era un ottimo modo di cominciare, dato soprattutto che il Signore della Fortezza li onorava con il vino di Benden. «Tanto vale che mi butti. Il problema è questo... Ho sostenuto F'lar, quando si è scon-trato con T'ron,» e Groghe rivolse un cenno all'attuale Comandante del Weyr di Fort, «perché sapevo che aveva ragione. Era giusto esiliare quegli spostati, mandandoli dove non potevano far male a nessuno. Finché gli Antichi stavano nel Weyr Meridionale, era logico lasciarli in pace, purché loro lasciassero in pace noi... come hanno fatto quasi sempre.» Il Nobile Groghe scrutò, sotto le ciglia, prima N'ton e poi Sebell.

Poiché entrambi sapevano che di tanto in tanto c'erano stati alla Fortezza di Fort furti che si potevano attribuire soltanto agli Antichi dissidenti, an-nuirono. Il Nobile Groghe si schiarì la gola e intrecciò le mani sul tozzo torace.

«Il fatto è che adesso sono quasi tutti morti o in procinto di morire. Non danno fastidio. D'ram, che in un certo senso agisce come rappresentante di F'lar, sta portando draghi e dragorderi da altri Weyr, per rimettere ordine in quello Meridionale, combattere i Fili e tutto il resto. E io approvo!» Lanciò lunghe occhiate significative al sostituto del Maestro della Sede degli Ar-pisti e poi al Comandante del Weyr. «Uhm. Bene, tutto per il meglio, no? Proteggere il Sud dai Fili! L'importante è che, adesso che il Weyr Meri-dionale funziona di nuovo, quel Continente è al sicuro. Ora, io so che lag-giù c'è una fortezza. Il giovane Toric. Non voglio interferire con i suoi diritti. Neanche per idea! Se li è guadagnati. Ma un Weyr efficiente può proteggere ben più di una piccola fortezza, no?» Fissò N'ton, ma quello riuscì a mantenere un atteggiamento di cortese interesse, costringendo il Nobile Groghe a proseguire senza il suo aiuto.

«Bene, uhm. Il guaio è che s'insegna ad una schiera di giovani come si governa a dovere, e quelli vogliono mettere in pratica gli insegnamenti. E

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cominciano ad azzuffarsi. Litigi tremendi. Non serve a molto neppure lo scambio delle adozioni temporanee. Anche i figli adottivi litigano e si az-zuffano. Brucialo! Hanno tutti bisogno di avere terre da governare in pro-prio.» Il Nobile Groghe sferrò un pugno sul tavolo per sottolineare quel-l'affermazione. «Io non posso dividere la mia terra più di quanto sia già divisa, e sto facendo coltivare ogni spanna che non sia roccia sterile. Non posso cacciar via uomini che mi sono fedeli come lo erano i loro padri ed i loro nonni, vero? Non sarebbe giusto. Non posso scacciarli per accontenta-re i miei parenti: e, del resto, quelli non si accontenterebbero...

«Il fatto è questo: finché al Sud c'erano gli Antichi, non mi sarei mai so-gnato di fare una simile proposta. Ma adesso non sono più loro a comanda-re. Adesso c'è D'ram, e lui è incaricato da F'lar, e metterà ordine nel Weyr, così si potranno creare altre Tenute, no?»

Il Nobile Groghe deviò lo sguardo dall'Arpista al Comandante del Weyr, sfidandoli a contraddirlo. «Nel Sud c'è abbondanza di terre che non appar-tengono a nessuno, no? Non si sa neppure quanto sia grande. Ma ho sentito il Maestro Pescatore Idarolan dire che una delle sue navi ha navigato per parecchi giorni lungo la costa. Uhm, sì, beh.» Poi cominciò a ridacchiare, con una gaiezza che divenne quasi convulsa. Ammutolito, puntò l'indice tozzo prima verso l'uno e poi verso l'altro, cercando di chiarire con il gesto quello che l'ilarità gli impediva di spiegare a parole.

N'ton e Sebell si scambiarono sorrisi e scrollate di spalle, incapaci di ca-pire che cosa divertisse tanto il Nobile Groghe, e cosa volesse comunicare loro. L'ilarità si calmò, lasciando Groghe sfinito e intento ad asciugarsi le lacrime.

«Ben addestrati! Ecco cosa siete voi due! Ben addestrati!» ansimò, bat-tendosi il pugno sul petto per calmarsi. Tossì a lungo e poi, bruscamente com'era cominciata, la risata convulsa cessò, e lui assunse di nuovo un'aria solenne. «Non posso dar la colpa a voi. E non lo farò. Del resto, non biso-gna divulgare i segreti dei Weyr. Capitelo. Fatemi un favore. Ditelo a F'lar. Ricordategli che la miglior difesa è l'attacco. Anche se lui lo sa già! Cre-do,» continuò il Nobile Groghe, puntandosi il pollice contro il petto, «che farà bene a prepararsi... presto Il guaio è che su Pern tutti sanno che il Ma-estro Arpista sta andando al Sud per guarire. E tutti augurano al Maestro Robinton la miglior fortuna. Però, tutti cominciano a pensare che ormai il Continente Meridionale non è più chiuso.»

«Il Continente Meridionale è troppo grande perché sia possibile proteg-gerlo adeguatamente dai Fili che continuano a cadervi,» disse N'ton.

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Il Nobile Groghe annuì, mormorando che io capiva. «Ma la gente sa che si può vivere senza Fortezze e sopravvivere ai Fili!» Il Signore di Fort soc-chiuse gli occhi guardando Sebell. «È stata la tua ragazza, Menolly! L'ho sentita dire che Toric, alla Fortezza Meridionale, ha avuto ben poco aiuto dagli Antichi, durante le Cadute.»

«Dimmi, Nobile Groghe,» chiese Sebell con quel suo fare tranquillo, «tu sei mai rimasto all'aperto durante una Caduta?»

Il Nobile Groghe rabbrividì leggermente. «Una volta. Ohhh, beh, sì, ti capisco, Arpista. Ti capisco. Comunque, è un modo come un altro per di-videre i ragazzi dagli uomini!» Annuì, seccamente. «È la mia idea: divide-re gli uomini dai ragazzi!» Alzò lo sguardo verso N'ton, con uno sguardo furbo, sebbene mantenesse un espressione blanda. «O forse i Weyr non vogliono separare i ragazzi?»

Con grande sorpresa di Groghe, N'ton rise. «È ora li separare ben altro che i ragazzi, Nobile Groghe.»

«Eh?» «Oggi riferiremo a F'lar il tuo messaggio.» Il comandante del Weyr di

Fort levò la coppa verso il signore della Fortezza, come per suggellare la promessa.

«Mi sembra giusto! Che notizie ci sono del Maestro Robinton, Maestro Sebell?»

Gli occhi di Sebell s'illuminarono d'una luce divertita. «È a quattro gior-ni di navigazione dalla Fortezza di Ista, e riposa comodamente.»

«Ah!» esclamò il Nobile Groghe, incredulo. «Beh, a me hanno detto che sta comodo,» rispose Sebell. «Non so se poi

lui sia della stessa opinione.» «Va in quel bel posticino dov'è bloccato il giovane Jaxom, eh?» «Bloccato?» Sebell guardò Groghe con finto orrore. «Non può volare in

mezzo ancora per un po', ecco tutto.» «Sono stato in quella baia. Bellissima. Deve si trova esattamente?» «Al Sud,» rispose Sebell. «Umf. Benissimo, non vuoi dirlo? E non dirlo! Non ti do torto. Un posto

magnifico. E adesso andate, tutti e due, e riferite a F'lar quel che vi ho det-to. Non pensate che sarò l'ultimo, ma sarebbe utile che fossi il primo. Utile per lui. Utile per me! Quegli scocciatori dei miei figli mi faranno diventare alcolizzato!» Il Signore della Fortezza si alzò, imitato dagli altri due uomi-ni. «Riferisci al Maestro che ho chiesto di lui, Sebell, quando lo vedrai.»

«Lo farò, Signore!»

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La piccola regina di Groghe, Merga, lanciò trilli vivaci a Kimi di Sebell e a Tris di N'ton, mentre i tre uomini si avviavano verso l'uscita. Secondo Sebell, questo significava che il Nobile Groghe era soddisfatto del collo-quio.

Nessuno dei due visitatori fecero commenti sino a quando furono quasi in fondo alla grande rampa che conduceva dal cortile della Fortezza di Fort alla strada lastricata principale.

Poi N'ton sentì Sebell ridacchiare compiaciuto. «Ha funzionato, N'ton, ha funzionato.»

«Che cosa?» «Il Nobile Groghe ha chiesto ai Comandanti dei Weyr il permesso di an-

dare al Sud!» «E perché non doveva?» N'ton sembrava sconcertato. Sebell gli rivolse un gran sorriso. «Per il Guscio, ha funzionato anche

con te! Hai il tempo di portarmi al Weyr di Benden? Il Nobile Groghe ha ragione. Potrebbe essere il primo, anche se ne dubito, conoscendo le abitu-dini del Nobile Corman: ma non sarà l'ultimo.»

«Che cos'ha funzionato con me, Sebell?» Il sorriso di Sebell si allargò, ed i suoi occhi bruni scintillarono. «Oh,

sono ben addestrato a non tradire i segreti dell'Arte, amico mio.» N'ton sbuffò spazientito e si fermò al centro dello spiazzo polveroso.

«Spiegati, o non ti porto con me.» «Dovrebbe essere ovvio, N'ton. Pensaci s'opra. Mentre mi porti a Ben-

den. Se allora non avrai capito quello che intendo, te lo dirò io. Tanto, de-vo informare F'lar di quello che è stato fatto.»

«Anche il Nobile Groghe, eh?» F'lar guardò pensieroso i due visitatori. Era appena tornato da un combattimento contro i Fili sopra Keroon e da

un successivo, sorprendente colloquio con il Nobile Corman, punteggiato da numerosi starnuti del grosso naso congestionato del Signore di quella Fortezza.

«I Fili sono caduti su Keron, oggi?» chiese Sebell, e quando F'lar fece una smorfia acida, il giovane Maestro sorrise a N'ton. «Il Nobile Groghe non è stato il primo!»

Per sfogare l'irritazione, F'lar sbatté i guanti sul tavolo. Ti chiedo scusa se siamo piombati qui proprio quando tu devi aver biso-

gno di riposare, Comandante del Weyr,» disse Sebell. «Ma se il Nobile Groghe ha pensato a quelle terre deserte al Sud, ci hanno pensato anche

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altri. Lui ha detto che era meglio avvertirti.» «Avvertirmi, eh?» F'lar si scostò una ciocca di capelli dalla fronte e si

versò cupamente una coppa di vino. Poi, ricordando il galateo, versò anche per N'ton e Sebell.

«Signore, la situazione non ci è ancora sfuggita di mano.» «Orde di uomini senza terra che vogliono sciamare al Sud, e la situazio-

ne non è sfuggita di mano?» «Prima dovranno chiedere l'autorizzazione a Benden!» F'lar, che stava trangugiando un sorso di vino, quasi si strozzò per lo

stupore. «Chiedere l'autorizzazione a Benden? E come mai?» «Merito del Maestro Robinton,» fece N'ton, con un sorriso che gli anda-

va da un orecchio all'altro. «Scusa, ma ho l'impressione di non capirti,» disse F'lar, sedendo. Si a-

sciugò il vino dalle labbra. «Cosa c'entra il Maestro Robinton, che ora a quanto mi auguro sta navigando tranquillamente, con Groghe, Corman e chissà quanti altri che vogliono terre del Continente Meridionale per i loro innumerevoli figli?»

«Signore, tu sai che il Maestro Arpista mi ha incaricato di girare Pern, a Nord ed a Sud. Recentemente, ho avuto due compiti importanti da adem-piere, al di sopra e al di là dei miei normali doveri. Innanzi tutto, dovevo sondare l'umore di tutti i piccoli proprietari nei confronti delle Fortezze e dei Weyr. In secondo luogo, dovevo rafforzare la convinzione che su Pern tutti devono tenere nel debito conto il Weyr di Benden.»

F'lar sbatté le palpebre, scrollò la testa come per schiarirsi le idee, poi si tese verso Sebell.

«Continua. È molto interessante.» «Solo il Weyr di Benden poteva comprendere i cambiamenti avvenuti

nelle Fortezze e nelle Sedi durante il lungo Intervallo, perché soltanto Benden era cambiato con il passare dei Giri. Tu. quale comandante del Weyr di Benden, hai salvato Pern dai Fili quando nessun altro pensava che i Fili sarebbero caduti ancora. Hai protetto Pern dagli eccessi di quegli Antichi che non volevano accettare i graduali cambiamenti delle Fortezze e delle Arti. Hai sostenuto i diritti di Fortezze ed Arti contro i tuoi colleghi, e hai esiliato quelli che non volevano accettare la tua supremazia.»

«Uhm. Non l'avevo mai sentito esporre in questo modo,» disse F'lar. Con grande divertimento di N'ton, il Comandante del Weyr di Benden si

scosse, un po' imbarazzato ma soprattutto lusingato da quel riepilogo.

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«E quindi il Sud è stato chiuso!» «Non chiuso, esattamente,» ribatté F'lar. «La gente di Toric ha continua-

to ad andare e venire.» E fece una smorfia, pensando alle ripercussioni di quella libertà.

«Veniva al Nord, è vero; ma i commercianti e tutti gli altri andavano a Sud soltanto con l'autorizzazione del Weyr di Benden.»

«Non ricordo di aver detto una cosa del genere alla Fortezza di Telgar, il giorno in cui mi sono battuto con T'ron!» F'lar si sforzò di ricordare con chiarezza ciò che era accaduto in quel giorno lontano, oltre a un matrimo-nio, un duello e una Caduta di Fili.

«In realtà non l'avevi detto esplicitamente,» rispose Sebeli. «Ma avevi chiesto e ottenuto l'appoggio di altri tre Comandanti dei Weyr, e di tutti i Signori delle Fortezze e i Maestri delle Arti...»

«E il Maestro Robinton l'ha interpretato nel senso che è Benden a dare gli ordini, per quanto riguarda il Continente Meridionale?»

«Più o meno.» Sebell fece con cautela quell'ammissione. «Ma non in modo esplicito, eh, Sebell?» chiese F'lar, ammirando la

mentalità tortuosa dell'Arpista. «Sì, signore. Sembrava la cosa migliore da fare, considerando il tuo de-

siderio di assicurare una parte del Continente Meridionale ai dragonieri durante il prossimo Intervallo.»

«Non immaginavo che il Maestro Robinton si fosse preso tanto a cuore una mia osservazione casuale.»

«Il Maestro Robinton si è sempre preoccupato degli interessi dei Weyr.» Cupamente, F'lar pensò al doloroso straniamento, quando l'Arpista era

intervenuto il giorno del furto dell'uovo di regina. Ma anche allora, sebbe-ne sul momento non sembrasse, l'Arpista aveva agito nell'interesse di Pern. Se Lessa avesse posto in atto la sua intenzione di scagliare i draghi del Nord contro le povere, vecchie bestie del Weyr Meridionale...

«Noi dobbiamo molto al Maestro Arpista.» «Senza i Weyr...» Sebell allargò le braccia, per indicare che non c'era al-

tra scelta. «Non tutte le Fortezze saranno d'accordo,» disse F'lar. «È ancora diffusa

la convinzione che i Weyr non distruggano la Stella Rossa perché la fine dei Fili significherebbe la fine della loro supremazia su Pern. O forse il Maestro Robinton è riuscito, con la sua abilità, a cambiare anche questa impressione?»

«Il Maestro Robinton non ha avuto bisogno di farlo,» rispose Sebell con

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un gran sorriso, «dopo che F'nor e Canth hanno tentato di raggiungere la Stella Rossa. L'idea predominante è: I dragonieri devono volare - quando i Fili sono nel cielo.»

«Ma ormai non è di dominio pubblico,» disse F'lar, cercando di reprime-re una sfumatura di disprezzo, «che i meridionali si degnano raramente di combattere i Fili?»

«Come immagini giustamente, ormai lo sanno tutti. Ma, signore, mi sembra che tu non afferri una distinzione: una cosa è pensare di affrontare una Caduta dei Fili senza le Fortezze, ed un conto è provarsi a farlo.»

«E tu hai provato?» chiese F'lar. «Sì.» Sebell aveva un'espressione solenne. «Preferirei trovarmi in una

Fortezza.» E scrollò le spalle. «So che è tutta questione di cambiare le abi-tudini acquisite nell'infanzia, ma decisamente preferisco essere protetto, durante la Caduta. E per me, questo vorrà sempre dire essere protetto dai draghi!»

«Quindi, in ultima analisi, mi ritrovo per le mani il problema del Conti-nente Meridionale?»

«E quale è il problema, adesso?» chiese Lessa, che entrava in quel mo-mento nel weyr. «Mi sembra fosse chiaro che noi avevamo il diritto di precedenza nel Continente Meridionale!»

«Sembra che questo non sia in discussione,» rise F'lar. «Per nulla. Gra-zie al buon Maestro Robinton.»

«Ed allora qual è il problema?» Lessa rivolse un cenno di saluto a Sebell e N'ton, poi guardò severamente il suo compagno, in attesa della risposta.

«Si tratta soltanto di decidere quale parte del Continente Meridionale a-priremo ai cadetti senzaterra del Nord, prima che comincino a diventarlo loro, un problema. Corman ha parlato con me, dopo la Caduta.»

«Vi ho visto confabulare. Sinceramente, mi stavo chiedendo quando sa-rebbe venuto a galla questo argomento, adesso che abbiamo dovuto immi-schiarci di nuovo con gli Antichi.» Lessa si allentò la cintura della tenuta di volo e sospirò. «Vorrei saperne di più. Jaxom ha fatto qualcosa, giù alla baia?»

Sebell estrasse dalla tunica un pacchetto voluminoso. «Si è dato da fare, insieme ad altri. Forse questo ti tranquillizzerà, Lessa.» Con aria di tran-quillo trionfo, Sebell spiegò i fogli scrupolosamente incollati di una grande mappa, che aveva ancora alcune parti in bianco. La linea della costa, chia-ramente definita, in certi punti era integrata dall'entroterra, con aree colora-te e tratteggiate. Ai margini c'erano le date e i nomi di coloro che avevano

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effettuato i vari rilevamenti. La penisola che si protendeva verso la Punta di Nerat era completamente dettagliata: lì c'erano il Weyr e la Fortezza. Ai due lati si estendeva l'ampiezza incredibile del continente, delimitato ad Est da un grande deserto sabbioso, sulle due rive di un'immensa baia. Ad oriente, ancora più lontano dalla penisola del Weyr, si estendeva una linea costiera ancora più lunga, che scendeva bruscamente verso Sud, contrasse-gnata all'estremità orientale dal disegno di un'alta montagna simmetrica e di una piccola baia.

«Questo è quanto sappiamo del Continente Meridionale,» disse Sebell dopo una lunga pausa, durante la quale i dragonieri avevano studiato la carta. «Come vedete, non siamo ancora riusciti ad effettuare i rilevamenti di tutta la costa, per non parlare poi dell'interno. E per riuscirci, sono stati necessari tre interi Giri di esplorazioni effettuate con la massima discre-zione.»

«Effettuate da chi?» domandò Lessa, profondamente interessata. «Da molte persone, inclusi il sottoscritto, N'ton, e gli uomini di Toric;

ma soprattutto da un giovane arpista, Piemur.» «Dunque è là che è andato, dopo aver cambiato la voce,» notò stupita

Lessa. «A giudicare da questa mappa,» disse lentamente F'lar, «il Continente

Nord di Pern potrebbe entrare tutto nella metà occidentale della Baia Grande.»

Sebell posò il pollice sinistro sulla penisola del Weyr Meridionale ed e-stese la mano, a dita aperte, sulla sezione occidentale dalla mappa. «Questa zona potrebbe bastare ai Signori delle Fortezze.» Sentì l'esclamazione sof-focata di Lessa e le sorrise, allargando la mano destra sulla parte orientale. «Ma questa, dice Piemur, è la parte più bella del Continente!»

«Vicino a quella montagna?» chiese Lessa. «Vicino a quella montagna!» Piemur, conducendo per la cavezza Stupido, mentre Farli gli volteggiava

sulla testa, uscì dalla foresta quando sulla baia stava già calando la notte. Gettò ai piedi di Sharra una treccia di frutti maturi.

«Ecco! Per farmi perdonare di essermela battuta stamattina,» disse con un sorriso, mentre si accosciava a terra. «Stupido non è stato il solo a spa-ventarsi nel vedere tutta quella folla.» Si asciugò vistosamente la fronte. «Non avevo mai visto tanta gente da... dall'ultima riunione cui ho parteci-pato nel Boll Meridionale. Ed è stato due Giri fa! Temevo che non se ne

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sarebbero mai andati. Domani torneranno?» Jaxom sorrise del tono lamentoso di quella domanda e annuì. «Non mi

sono comportato molto meglio di te, Piemur. Me ne sono andato con la scusa della caccia. Poi ho rintracciato la covata e ho passato il pomeriggio a preparare le reti da pesca.» Indicò la baia vicina.

Piemur annuì. «Strano, eh, non aver voglia di trovarsi in mezzo alla gen-te? Mi sembrava di non poter respirare, perché erano tanti a sfruttare l'aria. Ed è assurdo.» Girò lo sguardo sui neri mucchi del materiale accatastato lungo la spiaggia. «In una Fortezza non dà questa impressione, con i venti-latori in funzione!» Scosse il capo. «E dire che io sono un Arpista ed un tipo socievole! Eppure sono scappato via per sfuggire alla gente... più svel-to di Stupido!» E scoppiò a ridere.

«Se questo può farvi sentire meglio, tutti e due, anch'io ero letteralmente sopraffatta,» disse Sbarra. «Grazie per la frutta, Piemur. Quel... quell'orda ha mangiato tutto quello che c'era. Credo che sia rimasto un po' di wherry arrosto, e qualche costoletta di corridore.»

«Mangerei anche Stupido, ma è troppo segaligno.» Piemur trasse un so-spiro di sollievo e si stese sulla sabbia.

Sharra ridacchiò e andò a prendergli qualcosa da mangiare. «Non mi fa piacere pensare a tanta gente, qui,» fece Jaxom rivolto a

Piemur. «Ti capisco.» Il giovane Arpista sogghignò. «Jaxom, ti rendi conto che

sono stato in luoghi dove nessun uomo aveva mai messo piede? Ho visto posti che mi mettevano addosso una paura tremenda, e altri che mi dispia-ceva lasciare perché erano troppo belli.» Sospirò, rassegnato. «Oh, beh, comunque ci sono arrivato per primo.» All'improvviso si sollevò a sedere, indicando il cielo. «Eccole! Ah, se avessi un telescopio!»

«Chi è?» Jaxom si girò per guardare nella direzione indicata da Piemur, aspettandosi di vedere apparire qualche drago.

«Le cosiddette Sorelle dell'Alba. Quaggiù si possono vedere solo al cre-puscolo e all'alba, e molto più in alto nel cielo. Vedi quei tre punti lumino-sissimi? Me ne sono servito tante volte per orientarmi!»

Jaxom non poteva non notare le tre stelle, che brillavano d'una luce qua-si costante. Si chiese perché non le avesse notate prima.

«Fra poco si spegneranno,» disse Piemur. «A meno che si alzi una delle lune. Poi le rivedrai poco prima dell'alba. Devo parlarne a Wansor quando lo vedrò. Non si comportano come veri astri. Il Fabbro delle Stelle, per caso, non deve venire qui per collaborare alla costruzione della casa del-

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l'Arpista?» «È l'unico che non deve venire, o quasi,» rispose Jaxom. «Consolati,

Piemur. A giudicare dall'impegno con cui hanno lavorato oggi, non ci vor-rà molto perché la sede sia finita. E cosa volevi dire, a proposito delle So-relle dell'Alba?»

«Non si comportano come vere stelle. Non l'hai mai notato?» «No. Ma noi eravamo al coperto, quasi tutte le sere e tutte le mattine al-

l'alba.» Piemur indicò le Sorelle dell'Alba, tendendo il braccio destro. «Quasi

tutte le stelle cambiano posizione. Quelle mai.» «Sicuro che cambiano. A Ruatha sono quasi invisibili, sull'orizzonte...» Piemur scosse il capo. «Sono costanti. Ecco cosa intendo. In tutte le sta-

gioni che sono stato qui, le ho sempre viste allo stesso posto.» «Non è possibile! Non può essere! Wansor dice che gli astri seguono le

loro rotte in cielo, come...» «E questi restano immobili! Sono sempre nella stessa posizione.» «E io ti dico che è impossibile.» «Che cos'è impossibile? E smettetela di ringhiare,» fece Sharra, che tor-

nava con un vassoio carico ed un piccolo otre di vino appeso alla spalla. Porse la cena a Piemur e riempi le coppe.

Piemur sghignazzò, mentre allungava le mani verso una costoletta. «Be-ne, manderò un messaggio a Wansor. Io dico che è un comportamento maledettamente strano, per tre stelle!»

Il cambiamento della brezza svegliò il Maestro Arpista. Zair pigolò sot-

tovoce, raggomitolato sui cuscini, sopra l'orecchio di Robinton. Era stato montato uno schermo per proteggere dal sole la testa dell'arpista, ma era stato il caldo afoso a destarlo.

Una volta tanto, non c'era nessuno seduto accanto a lui per vegliarlo. Quella tregua gli faceva piacere. Le premure dimostrategli da tutti l'aveva-no commosso, anche se qualche volta c'era stato il rischio di soffocarlo. Aveva represso la sua impazienza. Non aveva scelta: era troppo debole e stanco per opporsi. Quel giorno, c'era un altro piccolo indizio del suo mi-glioramento: l'avevano lasciato solo. Si godette quella solitudine. Davanti a lui, il fiocco sbatteva pigramente, e poteva sentire la vela maestra, dietro - a poppa, si corresse - che frusciava senza vento. Sembrava che solo le onde dolci spingessero avanti la nave. Le onde, crestate di riccioli di spu-ma, avevano un ritmo ipnotico, e dovette scuotere bruscamente la testa per

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sottrarsi al loro fascino. Alzò lo sguardo e non vide altro che acqua da ogni parte, come al solito. Non avrebbero avvistato la terraferma ancora per molti giorni, lo sapeva, sebbene il Maestro Idarolan dicesse che stavano viaggiando veloci, sulla rotta verso Sud-Est, adesso che si erano inseriti nella Grande Corrente Meridionale.

Il Maestro Pescatore era soddisfatto della spedizione non meno di tutti gli altri partecipanti. Robinton sbuffò fra sé, divertito. Tutti, evidentemen-te, approfittavano della sua malattia.

Su, su, si rimproverò: non essere acido. Perché avevi impiegato tanto tempo a preparare Sebell, se non perché prendesse il tuo posto quando sa-rebbe divenuto necessario? Però, si chiese sfuggevolmente se Menolly gli riferiva in modo esatto i messaggi di Sebell. Poteva darsi che lei e Brekke cospirassero per tenergli nascosti i problemi che gli avrebbero causato pre-occupazioni.

Zair gli strusciò la testolina morbida contro la guancia. Era il miglior se-gnalatore di umori che un uomo potesse desiderare. La lucertola di fuoco conosceva, con un istinto superiore persino alla percezione del suo padro-ne, l'atmosfera emotiva che circondava Robinton.

Gli sarebbe piaciuto liberarsi da quel languore e utilizzare i giorni del viaggio... aggiornarsi sugli affari dell'Arte, occuparsi dei canti che aveva intenzione di scrivere, dei progetti continuamente rimandati che le esigen-ze immediate gli avevano impedito di portare a termine. Ma Robinton non aveva più ambizioni: si accontentava di stare sdraiato sul ponte della nave del Maestro Idarolan, senza far niente. La Sorella dell'Alba: così l'aveva chiamata Idarolan. E questo gli ricordò che doveva farsi prestare il can-nocchiale del Maestro Pescatore, quella sera. Le Sorelle dell'Alba avevano qualcosa di strano. Erano visibili, più in alto di quanto avrebbero dovuto trovarsi, nel cielo, al crepuscolo e all'alba. Certo, non gli avrebbero per-messo di alzarsi all'alba per osservarle. Ma erano visibili soprattutto al tramonto. Secondo lui, le stelle non dovevano comportarsi in quel modo. Doveva ricordarsi di mandare un biglietto a Wansor.

Sentì Zair muoversi e trillare un affettuoso saluto, prima di udire un pas-so lieve, dietro di lui. Zair trasmise l'immagine di Menolly.

«Non avvicinarti così furtivamente,» le disse, in tono più infastidito di quanto intendesse.

«Credevo che dormissi.» «Dormivo, infatti. Cos'altro ho fatto tutto il giorno?» Le sorrise, per at-

tenuare la petulanza delle sue parole.

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Sorprendentemente, anche lei sorrise e gli offrì una tazza di succo di frutta corretto con il vino. Adesso nessuno osava più offrirgli succo di frut-ta liscio.

«Mi sembra che tu stia meglio.» «Ti sembra? Sono stizzoso come un vecchio zio! Ormai devi essere stu-

fa dei miei bronci!» Menolly si lasciò cadere accanto a lui, posandogli la mano sull'avam-

braccio. «Sono così felice che tu possa fare ancora il broncio,» disse. Robinton si

stupì nel vedere che gli occhi le brillavano di lacrime. «Mia cara ragazza,» cominciò, posando la sua mano su quella di lei. Menolly appoggiò la testa sul basso giaciglio, volgendo il viso dall'altra

parte. Zair pigolò preoccupato e cominciò a roteare gli occhi. Bella appar-ve nell'aria sopra la testa di Menolly, trillando di preoccupazione riflessa. Robinton posò la tazza e si sollevò sul gomito, tendendosi premuroso ver-so la ragazza.

«Menolly, sto benissimo. Brekke dice che fra qualche giorno potrò al-zarmi.» L'Arpista le accarezzò i capelli. «Non piangere!»

«Sono una sciocca, lo so. Perché tu migliori, e noi faremo in modo che non ti affatichi mai più...» Menolly si asciugò gli occhi, impaziente, con il dorso della mano, e tirò su col naso.

Era un adorabile gesto da bambina. Il suo viso, chiazzato dal pianto, ap-parve all'improvviso così vulnerabile che Robinton provò un tuffo al cuo-re. Le sorrise teneramente, scostandole dalla faccia le ciocche di capelli. Le sollevò il mento e le baciò la guancia. Sentì la mano di Menolly strin-gersi convulsamente sul suo braccio, la sentì tendersi con un fare suppli-chevole che fece ronzare le due lucertole di fuoco.

Forse fu la reazione dei loro piccoli amici o forse fu lo sbalordimento che l'indussero a irrigidirsi, ma Menolly si scostò.

«Mi dispiace,» fece, a testa bassa. «Dispiace anche a me, cara Menolly, anche a me,» disse l'Arpista, più

dolcemente che poté. In quell'istante, pensò con rammarico alla sua vec-chiaia, alla giovinezza di Menolly, all'amore che provava per lei - al fatto che non avrebbe mai potuto amarla - e alla debolezza che lo costringeva ad ammetterlo. Menolly si volse di nuovo, gli occhi accesi d'emozione.

Robinton alzò la mano, vide l'angoscia balenare negli occhi della ragaz-za, mentre con quel cenno le impediva di parlare. Sospirò, e chiuse le pal-pebre per non vedere la sofferenza negli occhi di lei. All'improvviso si

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sentì esausto da quella comunicazione durata pochi momenti. Pochi istanti, come all'impressione dello Schema dell'apprendimento, pensò: e altrettan-to eterni. Pensava di aver sempre conosciuto la pericolosa ambivalenza dei suoi sentimenti per la ragazza cresciuta nella Tenuta Marina e dotata di un eccezionale talento che lui aveva perfezionato. Era un'ironia che lui fosse così debole da ammetterlo, di fronte a se stesso ed a lei, in un momento tanto inopportuno. Era stato ottuso a non riconoscere l'intensità ed il vero significato dei sentimenti di Menolly. Eppure, sembrava che lei fosse ab-bastanza felice con Sebell. Senza dubbio, tra i due c'era un profondo lega-me emotivo e fisico. Robinton aveva fatto tutto il possibile, sottilmente, per fomentarlo. Sebell era per lui come il figlio che non aveva mai avuto.

«Sebell...» incominciò, e s'interruppe quando sentì che Menolly gli stringeva incerta la mano.

«Ho amato te per primo, Maestro.» «Sei stata una figlia carissima, per me,» disse lui, imponendosi di cre-

derlo. Le strinse la mano, per un attimo, poi la lasciò: riprese la tazza che aveva posato e bevve una lunga sorsata.

Poi riuscì a sorriderle, nonostante il groppo in gola per quello che non avrebbe mai potuto essere. Menolly ricambiò il sorriso con uno sforzo.

Zair si sollevò in volo oltre il parasole, sebbene Robinton non capisse perché mai si sgomentasse all'arrivo del Maestro Pescatore.

«Sei sveglio, eh? Hai riposato, mio buon amico?» chiese Idarolan. «Sei proprio l'uomo che volevo vedere, Maestro Idarolan. Hai notato le

Sorelle dell'Alba, al crepuscolo? Oppure la mia vista è peggiorata come il resto?»

«Ohoh, i tuoi occhi non si sono affatto offuscati, buon Maestro Robin-ton. Ho già informato il Maestro Wansor. Confesso di non aver mai navi-gato tanto ad Est in queste acque meridionali, e di non aver avuto mai oc-casione di osservare il fenomeno, ma credo che ci sia qualcosa di strano nella posizione di quelle tre stelle.»

«Se mi sarà permesso di restare alzato dopo il crepuscolo, questa sera,» disse l'Arpista, lanciando un'occhiataccia a Menolly, «potrò avere in presti-to il tuo cannocchiale?»

«Ma certamente, Maestro Robinton. Ti sarò grato delle tue osservazioni. So che hai avuto più tempo di studiare le equazioni del Maestro Wansor. Forse potremo capire la causa di quello strano comportamento.»

«Mi farebbe molto piacere. Nell'attesa, finiamo la partita che abbiamo cominciato stamattina. Menolly, hai qui la scacchiera?»

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XVIII

Alla Fortezza della Baia, il giorno dell'arrivo del Maestro Robinton 15.10.14. Grazie a tutti quegli artigiani esperti ed a tutte quelle mani premurose,

furono necessari solo undici giorni per completare la Fortezza della Baia, sebbene gli scalpellini scuotessero la testa nel vedere che il lavoro veniva un po' affrettato. Altri tre giorni furono dedicati all'interno. Lessa, Manora, Silvina e Sharra si consultarono a lungo, ed a furia di continui spostamenti riuscirono a ottenere quella che consideravano una sistemazione efficace - non efficiente, disse Sharra a Jaxom con un sorriso malizioso, ma efficace - dei mobili e degli arredi che continuavano ad affluire, donati dalle For-tezze e dalle Arti e dalle Tenute.

La voce di Sharra cominciò ad assumere un tono che sapeva di sofferen-za e insieme d'orgoglio. Aveva trascorso la giornata a spacchettare, lavare e disporre la roba arrivata. «Dove sei cascato?» chiese a Piemur, notando che aveva graffi recentissimi sulla faccia e sulle mani.

«Ha fatto le cose a modo suo,» rispose Jaxom, sebbene avesse anche lui graffi sul collo e sulla fronte.

Dato che c'era tanta gente per costruire la Fortezza, N'ton, F'nor e F'lar, appena era possibile, avevano collaborato con Piemur e Jaxom per esplora-re il territorio adiacente alla Baia.

In tono piuttosto arrogante, Piemur disse che i draghi dovevano andare in un posto, prima di poterci tornare passando in mezzo... o almeno aveva-no bisogno di una visualizzazione abbastanza precisa, trasmessa da qual-cuno che c'era stato. Ma lui, con le sue gambe e le quattro zampe di Stupi-do, doveva essere il primo, in modo che i dragonieri potessero seguirlo. I dragonieri non badavano a quel commenti un po' sprezzanti, ma l'atteg-giamento di Piemur cominciava a dare sui nervi a Jaxom.

Comunque, vennero creati accampamenti temporanei ad un giorno di volo dalla Fortezza della Baia, lungo un arco amplissimo. Ogni accampa-mento consisteva di un piccolo rifugio dal tetto di tegole e di una casamat-ta di pietra per conservarvi le provviste d'emergenza e le coperte di pellic-cia. Per tacito accordo, si erano spinti per una distanza di due giorni di volo in linea retta verso la montagna, e avevano eretto un accampamento

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secondario. Tra poco, a Jaxom non sarebbe più stato vietato di volare in mezzo. A-

desso, gli aveva detto F'lar, doveva solo attendere che il Maestro Oldive gli facesse un'ultima visita. Poiché il Maestro Oldive sarebbe giunto presto alla Fortezza della Baia per controllare i progressi di Robinton, l'attesa di Jaxom non sarebbe stata lunga.

«E se posso andare in mezzo, potrà andarci anche Menolly,» disse il gio-vane.

«E perché vorresti aspettare fino a quando Menolly potrà andare in mez-zo?» chiese Sharra con un tono tagliente nella voce, che Jaxom si augurò fosse dovuto alla gelosia.

«Sono stati lei e il Maestro Robinton a scoprire questa Baia, lo sai.» Ja-xom non guardava la Baia, mentre parlava, ma l'onnipresente montagna.

«Per mare,» disse Piemur, con un certo disprezzo per quel sistema di viaggiare.

«Devo ammettere, Piemur,» rispose Sharra dopo averlo fissato per un lungo attimo, «che le gambe venivano usate prima delle ali e delle vele. Per quanto mi riguarda, sono ben lieta che ci siano altri mezzi per andare da un posto all'altro. E non è un disonore servirsene.» Poi si girò e si allon-tanò, mentre Piemur, sbalordito, la seguiva con lo sguardo.

L'incidente rasserenò l'atmosfera e Jaxom notò, con sollievo, che Piemur aveva smesso di fare osservazioni pungenti sui dragonieri.

L'esattezza delle carte di Piemur fu confermata dal fatto che, quando la Grande Corrente Meridionale deviò verso terraferma, il Maestro Idarolan riuscì a identificare la sua posizione dai contorni della costa ormai visibile e ad annunciare l'imminente arrivo della Sorella dell'Alba alla Fortezza della Baia. Ventidue giorni dopo la partenza da Ista, la nave doppiò la pun-ta occidentale della Baia, in una mattina luminosa, e l'evento fu celebrato da uno speciale, selezionatissimo comitato dei festeggiamenti.

Oldive e Brekke si erano opposti ad un'accoglienza da parte di una gran-de folla. Era assurdo rovinare gli effetti benefici del viaggio lungo e ripo-sante con le tensioni e le fatiche d'una festa. Perciò il Maestro Fandarel rappresentava le centinaia di maestri e di artigiani che avevano realizzato la bellissima Fortezza della Baia. Lessa rappresentava tutti i Weyr che con i loro draghi avevano trasportato uomini e materiale, e Jaxom era il porta-voce più indicato dei Signori delle Fortezze che avevano fornito la mano-dopera e le provviste.

Quegli ultimi momenti, mentre l'elegante tre alberi avanzava nella Baia

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per attraccare al tozzo molo di pietra, parvero i più insopportabili. Jaxom aguzzò gli occhi mentre la nave veleggiava sempre più vicina sulle acque calme, e lanciò un grido di giubilo che fece squittire di sorpresa le lucerto-le di fuoco, quando scorse la figura del Maestro Arpista, ritto a prua e in-tento ad agitare le braccia in segno di saluto. Le lucertole di fuoco esegui-vano complesse danze aeree sopra la nave.

«Guarda com'è nero per il sole!» esclamò Lessa, stringendo il braccio di Jaxom.

«Non preoccuparti, deve aver riposato a lungo,» disse Fandarel con un sorriso che gli arrivava da un orecchio all'altro, pregustando la gioia del-l'amico quando avrebbe visto la sua nuova Sede, che dal molo non si scor-geva.

La nave virò, quando il Maestro Idarolan girò il timone a tribordo, per accostarla di fianco al molo. I marinai balzarono sul pontile, assicurando le gomene alle bitte. Jaxom accorse per dar loro una mano. La nave scric-chiolò, mentre il fasciame opponeva resistenza a quell'arresto improvviso. Furono calati respingenti imbottiti per impedire che la fiancata strusciasse contro la pietra. Poi da un'apertura del parapetto della nave venne calata una passerella.

«Ve l'ho portato sano e salvo, Benden, Maestro Fabbro, Signore di Rua-tha,» tuonò la voce del Maestro Pescatore.

Un grido di gioia spontanea eruppe dalla gola di Jaxom: gli fece eco il ruggito di Fandarel e l'esclamazione di Lessa. Jaxom e Fandarel si piazza-rono ai lati della passerella per afferrare le mani di Robinton che si precipi-tava a terra.

Ramoth e Ruth lanciarono grida squillanti dal cielo, e le lucertole di fuo-co compirono caroselli aerei ancora più stravaganti. Lessa abbracciò l'Ar-pista alzandosi in punta di piedi e abbassandogli imperiosamente la testa per baciarlo. Le lacrime le brillavano sulle guance; e con suo grande stupo-re, anche Jaxom si accorse di avere gli occhi umidi. Si scostò educatamen-te, mentre Fandarel, con una pacca sulle spalle, faceva perdere l'equilibrio al suo amico e gli tendeva la mano gigantesca per aiutarlo a restare in pie-di. Poi si voltò per assistere Brekke e Menolly che scendevano la passerel-la. Cominciarono a parlare tutti insieme. Brekke guardò ansiosa Jaxom, chiedendogli se aveva più avuto mal di testa o se aveva visto le macchie, e poi esortò l'Arpista ad allontanarsi dal sole ardente, come se non fosse ri-masto a rosolarsi per giorni e giorni sulla tolda della nave.

Tutti cominciarono allegramente a prendere i bagagli che i marinai sta-

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vano scaricando... tutti eccettuato Robinton, che fa autorizzato a portare soltanto il suo gitar.

Brekke si avviò lungo la riva, in direzione del vecchio rifugio, quando Fandarel, con una risata tonante, le posò la mano enorme sulla spalla e la sospinse gentilmente verso il sentiero di sabbia che portava alla nuova For-tezza. Quando Brekke cominciò a protestare, Lessa la zittì e indicò decisa il sentiero, prendendola per il braccio e trascinandola con sé.

«Sono sicura che il rifugio è da quella parte...» «C'era,» rispose il Maestro Fandarel, camminando a fianco di Robinton.

«Abbiamo trovato un posto migliore, più adatto al nostro Arpista.» «Più efficiente, amico mio?» chiese Robinton ridendo e battendo la ma-

no sulla spalla muscolosa del Fabbro. «Molto più efficiente. Molto!» Fandarel era quasi soffocato dalle risa. Brekke era arrivata alla curva del sentiero e guardava incredula la nuova

fortezza. «Non ci credo!» Guardò uno dopo l'altro il Fabbro, Lessa e Ja-xom. «Cosa avete fatto? Come avete fatto? Non è possibile!»

Robinton e Fandarel avevano raggiunto le due donne: il Fabbro era così raggiante che metteva in mostra tutti i denti, mentre gli occhi erano semi-sepolti nelle grinze delle guance sorridenti.

«Mi pareva che Brekke avesse detto che il rifugio era piccolo,» disse Robinton, scrutando l'edificio con un sorriso esitante. «Altrimenti avrei chiesto...»

Lessa e Fandarel, non sopportando più l'attesa, presero l'Arpista per le braccia e lo sospinsero verso i gradini del portico.

«Aspetta di aver visto l'interno,» disse Lessa, con un grido represso di soddisfazione.

«Tutti, su Pern, hanno collaborato, mandando artigiani o materiale,» spiegò Jaxom a Brekke, prendendola per il braccio e scortandola. Fece segno a Menolly di affrettarsi a raggiungerli.

Menolly si guardò intorno e vide soltanto la baia tranquilla, la sabbia scrupolosamente rastrellata, gli alberi e i cespugli fioriti che orlavano la spiaggia e sembravano intatti, come il giorno in cui erano arrivati lì lei e Jaxom. Solo la mole della Fortezza, con il sentiero di sabbia e di conchi-glie, testimoniava il cambiamento. «Non ci credo.»

«Lo so, Menolly. Si sono dati da fare perché tutto restasse incantevole come prima. E aspetta di vedere l'interno della Fortezza della Baia...»

«Ha già un nome?» Questo parve irritarla: ma Jaxom poteva capire la sua reazione.

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«Beh, è una fortezza in una baia, quindi...» «È tutto così bello,» disse Brekke, girando la testa qua e là per vedere

ogni cosa. «Menolly, non arrabbiarti. È una sorpresa meravigliosa. Quando penso quel che credevo di trovare...» Rise, felice. «Devo dire che questo è molto più adatto!»

Raggiunsero i gradini di rocce nere, legate con cemento bianco che li rendeva più solidi ed eleganti. Il tetto di tegole color arancione chiaro si estendeva sopra il portico intorno alla Fortezza, fin quasi a toccare gli albe-ri circostanti che con i loro fiori arricchivano l'aria di un profumo di spe-zie. Le imposte metalliche erano aperte sulle grandi finestre, e tutti potero-no scorgere l'interno e intravedere l'arredamento. L'Arpista lanciò escla-mazioni di stupore e di gioia, mentre si aggirava nella sala principale. Quando entrarono Jaxom, Brekke e Menolly, Robinton era già andato a sbirciare nella stanza che doveva essere il suo studio, ed era rimasto sba-lordito, quando aveva scoperto che Silvina aveva mandato laggiù tutto il materiale del suo laboratorio. Zair fece eco alla sua confusione, lanciando acuti pigolii eccitati dalla trave su cui si era posato. Bella e Berd lo rag-giunsero in volo, e all'improvviso apparvero Meer, Talk e Farli. Sembrava che si stessero scambiando giudizi, pensò Jaxom.

«Quella è Farli! Mi pareva di aver sentito dire che anche Piemur era qui. Ma dov'è?» L'Arpista sembrava sorpreso ed un po' rammaricato.

«Aiuta Sharra a badare agli spiedi,» rispose Jaxom. «Non volevamo che avessi intorno troppa gente; ti avrebbe stancato...»

aggiunse Lessa in tono accattivante. «Stancarmi? Stancarmi! Ho bisogno di stancarmi un po'! PIEMUR!» Se il viso abbronzato e disteso non fosse stato una prova sufficiente della

sua guarigione, l'urlo vigoroso e assordante che lanciò non avrebbe lascia-to dubbi sulla sua vitalità.

La risposta risuonò da lontano, sbigottita: «Maestro?» «A RAPPORTO, PIEMUR!» «Grazie al cielo l'abbiamo caricato su una nave perché riposasse,» disse

Brekke, rivolgendosi con un sorriso alla Dama del Weyr. «Immagini quel-lo che ci avrebbe fatto passare se fossimo stati sulla terraferma?»

«Voi due non potete rendervi conto che la mia momentanea invalidità ha causato gravi ritardi in alcune importanti...»

«Momentanea invalidità?» Fandarel sbarrò gli occhi, sbalordito. «Mio caro Robinton...»

«Maestro Robinton?» Menolly prese una coppa da uno stipo strapieno:

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un bellissimo calice di vetro, con la base colorata dell'azzurro degli Arpisti e la coppa che recava intagliati il nome del Maestro ed un'arpa. «L'hai vi-sta?» Gliela porse, con gli occhi spalancati per l'entusiasmo.

«Parola mia, l'azzurro degli Arpisti!» Robinton prese ed esaminò lo splendido oggetto.

«È uscita dal mio opificio,» disse Fandarel, raggiante. «Mermal aveva pensato di colorare d'azzurro tutto il vetro, ma io ho obiettato che tu avresti preferito vedere il rosso del vino di Benden in una coppa trasparente.»

A Robinton brillavano gli occhi di gioia e di gratitudine mentre esami-nava attento il calice. Poi il suo volto magro si atteggiò in un'espressione dolente.

«Ma è vuota,» disse in tono lamentoso. In quel momento, si sentì un rumore che proveniva dalla cucina. La ten-

da venne scostata bruscamente e Piemur si precipitò nella sala, perdendo l'equilibrio per non urtare Brekke.

«Maestro?» ansimò. «Ah, sì, Piemur,» fece l'Arpista in tono strascicato, guardando il giovane

come se avesse dimenticato perché l'aveva chiamato. I due si guardarono fissi: l'arpista aveva l'aria perplessa, mentre Piemur ansimava e batteva le palpebre per liberarsi gli occhi dal sudore. «Piemur, tu sei qui da un po' di tempo, dovresti sapere dove tengono il vino! Mi hanno regalato questo magnifico calice, ed è vuoto!»

Piemur batté di nuovo le palpebre e scosse il capo lentamente, poi disse, a tutti i presenti: «Non ha più niente! E se l'arrosto di wherry brucia...» Rivolse all'Arpista un'occhiata infastidita, girò sui tacchi, scostò la tenda e se ne andò. Lo sentirono aprire rumorosamente vari sportelli.

Jaxom incontrò lo sguardo di Menolly e lei ammiccò. I modi burberi e il tono sferzante di Piemur non erano serviti a nascondere la sua commozio-ne a quelli che lo conoscevano bene. Poco dopo il giovane Arpista tornò, facendo dondolare un otre con il sigillo di Benden sul tappo.

«Non farlo dondolare, ragazzo,» gridò l'Arpista, tendendo la mano per protestare contro quel comportamento sacrilego. «Il vino va trattato con rispetto...» Prese l'otre dalle mani di Piemur e scrutò il sigillo. «Uhm. Una delle armate migliori! Ts, ts, Piemur, non ti ho insegnato come si tratta il vino?» Fece una smorfia, spezzando il sigillo con una mossa esperta e so-spirando di sollievo nel vedere le condizioni dell'estremità del tappo. Se lo passò sotto il naso, fiutando delicatamente. «Ah! Sì! Delizioso! Non ha sofferto per il viaggio. Sii gentile, Piemur, versa per tutti, ti spiace? Vedo

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che la Fortezza è ammirevolmente fornita di coppe.» Jaxom e Menolly le stavano già distribuendo quando Piemur cominciò a

versare, con il rispetto dovuto alle migliori annate di Benden. L'Arpista, tenendo alto il suo calice, seguì la cerimonia con impazienza crescente.

«Alla tua salute ritrovata, amico mio,» brindò Fandarel, e tutti gli fecero eco.

«Sono sinceramente commosso,» disse l'Arpista, e corroborò quell'af-fermazione bevendo solo un sorsetto del vino eccellente. Guardò uno dopo l'altro gli amici, annuì e poi scrollò il capo.' «Sinceramente commosso!»

«E non hai ancora visto tutto, Robinton,» fece Lessa, prendendolo per mano. «Brekke, vieni a vedere anche tu. Piemur, Jaxom, portate i bagagli.»

«Calma, Lessa, o rovescerò il vino!» L'Arpista sorvegliò la coppa, men-tre Lessa se lo tirava dietro.

Fu condotto oltre il pannello scorrevole, nel piccolo corridoio che sepa-rava la Sala dagli alloggi. Brekke gli seguì, con il viso animato dalla curio-sità.

La camera da letto dell'Arpista era la più grande, e occupava l'angolo opposto al laboratorio. C'erano altre due stanze, arredate per accogliere due persone ciascuna ma, come fece notare Lessa, il portico poteva offrire una sistemazione per numerosissimi ospiti, anche se Robinton non sarebbe stato autorizzato ad averne tanti. L'Arpista si mostrò entusiasta della stanza da bagno e debitamente impressionato nel vedere la grande cucina, poi andò a dare un'occhiata al camino ausiliario esterno. Fiutò il profumo del-l'arrosto portato dalla brezza marina.

«Dov'è che sta cuocendo, se posso chiederlo?» «Abbiamo preparato le fosse per cucinare sulla spiaggia,» disse Jaxom.

«Le usiamo quando qui c'è un'orda.» L'Arpista rise, ammettendo che «orda» era probabilmente il termine e-

satto. «Prova la tua sedia,» disse Fandarel, avvicinandosi al seggiolone, quan-

do ritornarono nella sala. La girò perché l'Arpista potesse vederla bene. «Bendarek l'ha fatta sulla tua misura. Guarda se ti va. Bendarek ci tiene molto a saperlo.»

L'Arpista impiegò qualche minuto ad esaminare il seggiolone splendi-damente scolpito, coperto di pelle di wher tinta dell'azzurro carico degli Arpisti. Sedette, appoggiò le mani sui braccioli, constatò che erano esatta-mente della lunghezza del suo avambraccio, e che il sedile si adattava alla perfezione alle sue gambe e al torso.

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«È bellissima, dillo al Maestro Bendarek. E le proporzioni sono perfette. Bendarek è stato di una premura squisita. Sono commosso, da tutto quello che vedo in questa Fortezza. È... magnifica. Non saprei trovare un'altra parola. Sono ammutolito. Completamente ammutolito. Mai, neppur nei voli più arditi della mia fantasia, ho sognato un simile lusso in queste terre inesplorate, una simile bellezza, una simile premura e tante comodità.»

«Se sei ammutolito, Robinton, risparmiaci la tua eloquenza,» disse una voce asciutta. Tutti si voltarono e videro il Maestro Pescatore ritto sulla soglia.

Risero, accennarono al Maestro Idarolan di venire avanti e gli offrirono una coppa di vino.

«Ci sono altri pacchi per te, Maestro Robinton,» disse il Marinaio, indi-cando il portico.

«Tu e la tua ciurma siete invitati a pranzare con noi, Maestro Idarolan,» annunciò Lessa.

«Lo speravo. Non dirlo in giro, ma qualche volta ho proprio voglia di mangiare carne rossa, non bianca.»

«Maestro Robinton! Guarda qui!» La voce di Menolly risuonò acuta per la sorpresa. Stava guardando in uno degli armadi a muro, tra le finestre. «Giurerei che questa è la mano di Dermently! Tutti i canti e le ballate tra-dizionali, trascritti su fogli e rilegati in pelle di wher azzurra! È proprio quel che volevi che facesse Arnor.»

L'Arpista lanciò un'esclamazione di stupore e andò ad aprire ogni volu-me, ammirando la collezione. Poi cominciò a frugare in tutti gli armadi e gli stipi della Fortezza della Baia fino a quando il caldo, a metà pomerig-gio, indusse tutti a scendere sulla spiaggia per fare il bagno e rinfrescarsi. Brekke insisteva che l'Arpista doveva riposare tranquillo, ma Fandarel le indicò Robinton che sguazzava allegramente nell'acqua insieme agli altri.

«In questo momento si riposa in un altro modo. Lascialo fare. Fra poco verrà notte e potrà dormire!»

Si alzarono le brezze della sera, quando il sole scese verso l'orizzonte. Furono portati all'aperto tappeti e stuoie, in modo che tutti gli ospiti potes-sero mettersi comodi. Quando arrivarono F'lar e F'nor, vennero accolti entusiasticamente dall'Arpista, che si offrì di mostrare loro la sua bellissi-ma Fortezza, e rimase un po' deluso quando seppe che la conoscevano già.

«Hai dimenticato quanta gente ha collaborato per costruirla, Robinton,» disse F'lar. «Probabilmente è la Fortezza più conosciuta di questo mondo.»

In quel momento Sharra ed il cuoco della nave - un ometto magro che, le

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disse, era l'unico capace di muoversi nella piccolissima cambusa della So-rella dell'Alba - annunciarono che il pranzo era pronto, e per poco non furono travolti dagli ospiti affamati.

Quando nessuno fu più in grado di mandar giù un boccone e persino l'Arpista si ridusse a sorseggiare lentamente il vino, cominciarono a for-marsi piccoli gruppi: Jaxom, Piemur, Menolly e Sharra da una parte, i ma-rinai per conto loro, e i dragonieri e gli artigiani dall'altra.

«Chissà cosa stanno complottando di farci fare, adesso,» borbottò Pie-mur in tono acido, dopo aver scrutato le espressioni intense di quelli del terzo gruppo.

Menolly rise. «Sempre le stesse cose, immagino. Robinton ha esaminato i tuoi rapporti e le tue carte, a bordo, fino a quando ho temuto che consu-masse l'inchiostro a furia di guardare.» Appoggiò il mento sulle ginocchia, con un sorriso timido. «Sebell verrà domani con N'ton e il Maestro Oldi-ve.» Poi proseguì in fretta, prima che qualcuno potesse fare commenti: «A quanto ho saputo, Sebell, N'ton e F'lar stanno occupandosi della gente di Toric e del branco dei figli dei proprietari terrieri e dei Signori che arriva-no dal Nord. Esploreranno la parte occidentale del continente... la linea divisoria è quel tuo fiume dalle rocce nere, Piemur!»

Piemur gemette, contorcendosi drammaticamente sulla sabbia. «Che po-sto! Spero di non vederlo mai più!» Alzò un pugno al cielo per sottolineare la sua decisione. «Ho impiegato giorni per trovare una breccia nelle pareti a picco sull'altra riva, per poterne uscire. E ho dovuto spingere Stupido nell'acqua e farlo traversare a nuoto. È mancato poco che servissimo da pranzo ai pesci.»

«E noi,» continuò Menolly, «insieme a F'nor e all'Arpista, esploreremo questa parte.»

«Nell'entroterra, spero?» chiese brusco Piemur. Menolly annuì. «Ho saputo,» disse, girando la testa verso i Comandanti

e dei Maestri delle Arti, «che forse Idarolan navigherà lungo la costa...» «Buon pro gli faccia. Io ho camminato abbastanza.» «Oh, zitto, Piemur. Nessuno ti ha costretto a...» «Oh?» «Basta, Piemur,» fece spazientito Jaxom. «Dunque dobbiamo spingerci

nell'entroterra?» Menolly annuì di nuovo. Come ad un segnale, si voltarono in direzione della montagna, sebbene

da quel punto non fosse visibile. Jaxom sorrise a Menolly. «E domani sarà qui il Maestro Oldive, quindi

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potrò andare di nuovo in mezzo!» «Ti servirà a molto,» sbuffò Piemur. «Prima dovrai volare direttamente,

in ogni caso.» «Questo non mi sconcerta affatto.» Un litigio tra le lucertole di fuoco, in mezzo agli alberi, li fece trasalire,

distogliendo Piemur da quella che, secondo Jaxom, era una replica dei suoi soliti sfoghi acidi. Contro il verde scuro del fogliame si scorgevano due lampi dorati.

«Bella e Farli che stanno litigando!» esclamò Menolly, poi si guardò in-torno incuriosita. «Adesso ci sono solo le nostre lucertole di fuoco, Jaxom. Tutto quel trambusto ha fatto scappare le meridionali?»

«Ne dubito. Vanno e vengono. Immagino che alcune siano sugli alberi, e si disperino perché non osano avvicinarsi a Ruth.»

«Hai mai scoperto altro sul conto dei loro uomini?» Jaxom dovette ammettere che non aveva neppure tentato. «Sono succes-

se tante cose.» «Speravo che avresti cercato di scoprire qualcosa di più.» Menolly sem-

brava irritata. «Che? Per toglierti la soddisfazione di farlo tu?» Jaxom si finse offeso.

«Non me lo sognerei mai...» S'interruppe bruscamente, ricordando gli stra-ni sogni in cui gli era parso di vedere qualcosa attraverso centinaia di oc-chi. E rammentò anche quello che gli aveva detto Brekke, il primo giorno che Ruth aveva combattuto i Fili: «È difficile vedere la stessa scena attra-verso tre paia d'occhi». Forse, nei suoi sogni, aveva visto la scena con gli occhi di molte lucertole di fuoco?

«Cosa c'è, Jaxom?» «Forse l'ho sognato, dopotutto,» disse lui, con una risata esitante. «Senti,

Menolly, se questa notte fai un sogno ricordalo, eh?» «Un sogno?» chiese Sharra, incuriosita. «Che specie di sogno?» «Perché, tu ne hai fatti?» Jaxom si girò verso di lei. Sharra aveva incro-

ciato le gambe, come al solito, in quel suo modo complicato che affascina-va e sconcertava Menolly.

«Certamente. Ma... come te, non li ricordo: so solo che non potevo vede-re chiaramente. Come se il mio occhio del sogno fosse sfuocato.»

«Bellissimo concetto,» disse Menolly. «Un occhio del sogno sfuocato.» Piemur gemette e batté il pugno sulla sabbia. «Ecco, c'è in arrivo un'altra

canzone!» «Oh, sta' zitto!» Menolly lo guardò spazientita. «Tutti quei viaggi da so-

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lo ti hanno cambiato, Piemur; e non in meglio, secondo me.» «Nessuno pretende che il cambiamento debba piacerti,» scattò Piemur.

Con un movimento fluido, si alzò e si addentrò nella foresta, scostando rabbiosamente i rami dei cespugli.

«Da quando è diventato così suscettibile?» chiese Menolly a Jaxom ed a Sharra.

«Da quando è arrivato qui,» rispose Jaxom, scrollando le spalle per indi-care che non erano riusciti a farlo cambiare.

«Ricorda che era molto preoccupato per il Maestro Robinton,» disse a-dagio Sharra.

«Eravamo tutti preoccupati per il Maestro Robinton,» ribatté Menolly, «ma non è una buona ragione per cambiare carattere!»

Vi fu un silenzio imbarazzato. Sharra disincrociò le gambe e si alzò di scatto.

«Chissà se qualcuno si è ricordato di dar da mangiare a Stupido, stase-ra!» Si allontanò, e non nella stessa direzione di Piemur.

Menolly la seguì con lo sguardo. I suoi occhi erano oscurati dalla preoc-cupazione, quando si volse di nuovo verso Jaxom; poi uno scintillio mali-zioso li fece tornare del solito azzurro-mare.

«Adesso che non possono sentirà, Jaxom,» disse la ragazza, guardandosi intorno per assicurarsi che nessuno le fosse venuto alle spalle, «devo dirti che è stato accertato che nessuno del Weyr Meridionale ha restituito l'uovo di Ramoth.»

«Oh? Davvero?» «Oh! Davvero!» Poi Menolly si alzò, con la coppa in mano, e andò a prendere l'otre appe-

so al ramo di un albero. Lo stava mettendo in guardia? Ma non faceva nessuna differenza. La sua

avventura era servita allo scopo. Adesso che il Weyr Meridionale era stato integrato con gli altri, era meno necessario che mai ammettere la parte che lui aveva avuto in quell'episodio.

Menolly andò a prendere il suo gitar dal tavolo e sedette (sulla panca, strimpellando in sordina. Una canzone nuova, sugli occhi del sogno, pensò Jaxom. Poi guardò nella direzione in cui era andata Sharra. Aveva qualche ragione lecita per seguirla? Sospirò. Trovava simpatico Piemur, nonostante la sua lingua acida. Aveva rivisto con piacere il giovane Arpista, gli era grato per la sua compagnia ed il suo aiuto. Ma avrebbe desiderato che Piemur avesse impiegato un giorno di più, o almeno mezza giornata, per

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arrivare alla Baia. Dopo la sua venuta, Jaxom non aveva più potuto restare solo con Sbarra. Lei lo evitava? Oppure era tutta colpa delle circostanze, dei lavori per costruire e preparare la Fortezza della Baia per il Maestro Robinton? Doveva trovare un modo per prendere in disparte Sbarra! Oppu-re, doveva andare a far visita a Corana!

XIX

Mattina alla Fortezza della Baia Osservazioni astronomiche a tarda sera Mattina seguente, scoperta alla Montagna 15.10.15 - 15.10.16. Quando Jaxom e Piemur si furono alzati a malincuore, la mattina dopo,

Sharra disse loro che l'Arpista s'era levato alle prime luci del giorno, aveva fatto una nuotata, s'era preparato la colazione e poi si era chiuso nel suo studio a rimuginare sulle carte ed a prendere appunti. Adesso voleva parla-re con loro due, se non avevano nulla in contrario.

Il Maestro Robinton li accolse con un sorriso di comprensione per i loro movimenti pesanti, conseguenza di una serata molto conviviale. Poi co-minciò a chiedere spiegazioni sulle ultime aggiunte che avevano apportato sulla grande carta. Quando ne seppe abbastanza, chiese come fossero giun-ti a quelle conclusioni. Poi si scostò dalla scrivania, giocherellando con il carboncino. Aveva un'espressione così indecifrabile che Jaxom cominciò a preoccuparsi delle sue intenzioni.

«Uno di voi ha notato, per caso, le tre stelle che noi chiamiamo - errone-amente, potrei aggiungere - le Sorelle dell'Alba?»

Jaxom e Piemur si scambiarono un'occhiata. «Hai con te un cannocchiale, signore?» chiese Jaxom. L'Arpista annui. «Il Maestro Idarolan ne ha uno a bordo. La tua doman-

da significa che hai notato che appaiono anche al crepuscolo?» «E quando il chiaro di luna è abbastanza intenso...» aggiunse Piemur. «E sempre nello stesso punto!» «Vedo che avete seguito attentamente le lezioni,» disse l'Arpista, rag-

giante. «Ora, ho chiesto al Maestro Fandarel se potremmo convincere il Maestro Wansor a venire qui per qualche giorno. E posso domandarvi per-ché voi due sogghignate come se aveste mangiato tutte le torte preparate per una festa?»

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Il sogghigno di Piemur si accentuò a quell'allusione al suo prediletto passatempo d'apprendista.

«Non credo che nessuno, in tutto Pern, rifiuterebbe di venire qui, se ve-nisse invitato,» disse.

«Il Maestro Wansor ha finito il suo nuovo telescopio?» chiese Jaxom. «Spero di sì...» «Maestro Robinton...» Brekke era sulla soglia, e aveva una strana e-

spressione in viso. «Brekke,» fece l'Arpista, alzando una mano in segno di avvertimento,

«se sei venuta a dirmi che devo riposare o a farmi ingurgitare una delle tue pozioni, ti supplico di non farlo! Sono troppo occupato.»

«Ho solo un messaggio che ha appena portato Kim, da parte di Sebell,» disse lei, consegnandogli l'astuccio.

«Oh!» «In quanto al tuo riposo, mi basta tener d'occhio Zair per sapere quando

è necessario!» Mentre si voltava per uscire, il suo sguardo si posò su Ja-xom e Piemur. Jaxom non dubitava che quello fosse un tacito ordine, per lui e il giovane Arpista, di non affaticare Robinton.

Il Maestro Arpista inarcò sorpreso le sopracciglia, quando lesse il mes-saggio. «Oh, bella! Toric è stato invaso da un'orda di figli dei Signori sbar-cati da una nave, ieri sera. Sebell ritiene di dover aspettare almeno fino a quando saranno sistemati in alloggi temporanei.» Ridacchiò e, quando vide le espressioni dei due giovani, aggiunse: «Immagino che non sia andato tutto liscio come speravano quei ragazzi.»

Piemur sbuffò, con il disprezzo nato dalle sue lunghe esplorazioni e dal-la conoscenza di Toric e della capacità ricettiva della sua Fortezza.

«Quando potrai andare in mezzo, Jaxom,» continuò Robinton, «le nostre indagini procederanno più rapidamente. Ho intenzione di mandare voi e le ragazze.»

«Arpista e Signore?» chiese Jaxom, afferrando l'occasione che aspettava. «Arpista e Signore? Oh, sì, certo. Piemur, tu e Menolly avete lavorato

ottimamente insieme, lo so. Quindi Sharra può andare con Jaxom. Ora...» Senza badare all'occhiata acuta che Piemur lanciò a Jaxom, Robinton con-tinuò. «Dall'alto si vedono le cose in una prospettiva che dal suolo non è sempre possibile. E naturalmente è vero anche il contrario. Quindi le e-splorazioni dovranno utilizzare entrambi i metodi. Jaxom, Piemur sa quel che sto cercando...»

«Signore?»

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«Tracce dei primi insediamenti sul continente. Non riesco a immaginare perché i nostri remoti antenati lasciassero queste terre bellissime e fertili per il Nord più freddo e triste; ma penso che avessero ottime ragioni per farlo. La più vecchia delle nostre Cronache afferma: "Quando l'uomo ven-ne a Pern, creò una buona Fortezza nel Sud." Noi eravamo convinti,» e l'Arpista sorrise con aria di scusarsi per quell'errore, «che intendesse la Fortezza di Fort, poiché si trova nel Sud del Continente Settentrionale. Ma il documento continua senza ambiguità: "Tuttavia ritenne necessario tra-sferirsi a Nord per proteggersi." Non si è mai capito bene cosa significas-se, ma tante Antiche Cronache sono così malridotte che è difficile decifrar-le, e ancor più ricavarne qualcosa di coerente.

«Bene, poi Toric ha scoperto una miniera di ferro, una miniera a cielo aperto. E io e N'ton abbiamo avvistato formazioni assai poco naturali sul fianco di una montagna e, quando siamo arrivati sul posto a piedi, abbiamo constatato che erano pozzi di miniere.

«Se i nostri antenati erano rimasti sul Continente Meridionale abbastan-za a lungo per scoprire minerali e aprire miniere, devono esserci altre trac-ce della loro presenza.»

«Con il clima caldo ed in una foresta pluviale, niente può sopravvivere a lungo,» disse Jaxom. «D'ram ha costruito un rifugio, qui, appena venticin-que Giri fa, e non ne resta molto. E quello che io e F'lesan abbiamo trovato per caso nel Weyr di Benden era sigillato, protetto dalle intemperie.»

«Niente,» disse energicamente Piemur, «può ammaccare, graffare o scal-fire i sostegni che abbiamo trovato in quella miniera. E neppure il miglior scalpellino potrebbe tagliare quella roccia come fosse formaggio. Eppure i nostri antenati lo facevano.»

«Abbiamo trovato alcune tracce. Ce ne devono essere altre.» Jaxom non aveva mai sentito l'Arpista parlare in tono così sicuro, ma

non seppe reprimere un sospiro quando guardò le dimensioni della mappa che aveva davanti.

«Lo so, Jaxom, è una ricerca scoraggiante: ma pensa al trionfo, quando scopriremo quel posto. O quei posti!» Gli occhi del Maestro Robinton bril-lavano. «Ora,» continuò, «quando Jaxom verrà riconosciuto idoneo a vola-re in mezzo, procederemo verso Sud, usando come guida quella montagna simmetrica. Qualche obiezione?» Non attese neppure una risposta. «Pie-mur andrà a piedi, con Stupido. Menolly potrà accompagnarlo, se vuole, oppure può aspettare che Jaxom porti lei e Sharra, su Ruth, al campo se-condario. Mentre le ragazze esploreranno i dintorni immediati, cosa che a

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quanto mi risulta non è stato fatto, tu, Jaxom, potrai proseguire in volo su Ruth per preparare un altro campo, dove ti recherai il giorno dopo, andan-do in mezzo. E via di seguito.

«Mi pare che al Weyr di Fort,» disse l'Arpista, fissando Jaxom, «ti ab-biamo insegnato a osservare e a distinguere dall'alto le formazioni del ter-reno. Comunque, voglio ricordare a entrambi che, sebbene si tratti di un lavoro di gruppo, Piemur è molto più esperto, Jaxom, e farai bene a tenerlo presente, se insorgeranno problemi. E mandatemi ogni sera i rapporti per questa...» disse, battendo la mano sulla carta. «Adesso andate, e organizza-tevi per l'equipaggiamento ed i viveri. E avvertite le vostre compagne!»

Sebbene spiegare la situazione a Sharra e a Menolly e organizzare tutto richiedesse poco tempo, quel giorno gli esploratori non lasciarono la For-tezza della Baia.

Il Maestro Oldive arrivò con N'ton sul dorso di Lioth, e venne accolto entusiasticamente dall'Arpista, con più calma da Brekke e Sharra, e con qualche riserva da Jaxom. Robinton insistette immediatamente per mostra-re al Guaritore la sua nuova, bellissima Sede, prima che - come disse lui stesso - Oldive desse un'occhiata alla sua vecchia carcassa.

«Non può imbrogliare il Maestro Oldive,» fece Sharra all'orecchio di Ja-xom, mentre guardavano l'Arpista che si aggirava a passo energico, seguito da Oldive che mormorava elogi. «Non ci riuscirà mai.»

«È un sollievo,» disse Jaxom. «Altrimenti l'Arpista verrà con noi.» «Non in mezzo!» «No, verrebbe in groppa a Stupido.» Sbarra rise, ma la sua gaiezza si spense quando videro il Guaritore con-

durre con fermezza l'Arpista nella sua camera e chiudere la porta. «No,» disse Sharra, scuotendo lentamente il capo. «Il Maestro Robinton

non ce l'ha fatta a imbrogliare il Maestro Oldive!» Jaxom fu molto lieto di non dover cercare d'imbrogliare il Maestro Gua-

ritore quando toccò a lui farsi visitare. Fu una cosa breve: qualche doman-da, poi Oldive gli esaminò gli occhi, gli batté sul petto, gli auscultò il cuo-re, e il sorriso compiaciuto bastò a dare a Jaxom il verdetto favorevole.

«Anche il Maestro Robinton si riprenderà perfettamente, no, Maestro Oldive?» Jaxom non seppe trattenersi dal chiederlo.

Quando l'Arpista era uscito dalla sua stanza era apparso troppo taciturno e pensoso, ed il suo passo non era più tanto elastico. Menolly gli aveva versato una coppa di vino, e lui l'aveva accettata con un sorriso mesto e un profondo sospiro.

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«Certo, il Maestro Robinton si riprenderà,» disse Oldive. «È molto mi-gliorato. Ma,» e il Guaritore alzò l'indice sottile, «deve imparare a calmar-si, a conservare le energie ed a misurare gli sforzi, o si farà venire un altro attacco. Voi giovani potrete aiutarlo, con le vostre gambe robuste e i vostri cuori più forti, senza aver l'aria di limitare la sua attività.»

«Lo faremo. Anzi, lo facciamo già!» «Bene. Continuate così e presto sarà guarito completamente. Se non di-

menticherà la lezione che ha imparato con quell'attacco.» Il Maestro Oldi-ve guardò dalla finestra aperta, asciugandosi la fronte. «Questo posto bel-lissimo è stato un'idea grandiosa.» Rivolse a Jaxom un sorriso di complici-tà. «Il caldo fa venire sonno all'Arpista a metà della giornata e lo costringe a riposare. Il panorama allieta gli occhi, e il profumo dell'aria rallegra l'ol-fatto. Come t'invidio questo posto, Nobile Jaxom!»

La bellezza della Fortezza della Baia aveva operato il suo incanto anche sul Maestro Arpista, perché aveva ritrovato il buon umore prima che Fan-darel e Wansor arrivassero da Telgar. La gioia di Robinton raddoppiò quando Fandarel e Wansor gli mostrarono orgogliosamente il nuovo tele-scopio che per mezzo Giro aveva tenuto occupato il Fabbro delle Stelle. Lo strumento, un tubo lungo quanto il braccio di Fandarel, e così grosso che doveva usare entrambe le mani per cingerlo, era prudentemente chiuso in una custodia di cuoio, e aveva un bizzarro oculare, che non era situato dove Jaxom pensava dovesse essere, ma da un lato.

Anche il Maestro Robinton notò la variante, e Wansor mormorò qualco-sa a proposito di riflessione e rifrazione, di oculari e obiettivi, e aggiunse che secondo lui quello era il sistema migliore per vedere gli oggetti lonta-ni. Sebbene lo strumento trovato nel Weyr di Benden ingrandisse le cose piccole, i principi fondamentali erano abbastanza simili.

«Devo dire che siamo molto soddisfatti di usare il nuovo telescopio alla Fortezza della Baia,» continuò Wansor, asciugandosi la fronte: era così occupato a spiegare il suo nuovo strumento che non si era neppure ricorda-to di togliersi gli indumenti da volo in cuoio di wher.

Il Maestro Robinton strizzò l'occhio a Menolly e a Sharra; le due ragazze tolsero al Fabbro delle Stelle quegli indumenti pesanti, mentre lui, quasi ignaro del loro aiuto, spiegava che quella era la sua prima visita al Conti-nente Meridionale e che, sì, naturalmente aveva sentito parlare del com-portamento aberrante delle tre stelle chiamate Sorelle dell'Alba. Fino a tempi recenti aveva attribuito l'anomalia all'inesperienza degli osservatori, ma adesso che lo stesso Maestro Robinton aveva notato quelle stranezze,

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Wansor aveva ritenuto opportuno portare il suo prezioso strumento al Sud per indagare di persona. Le stelle non mantenevano una posizione fissa nel cielo. Tutte le sue equazioni, nonché gli osservatori esperti come N'ton e il Nobile Larad, avevano confermato quella caratteristica. Inoltre, le Crona-che tramandate dagli antenati, sebbene fossero in condizioni tremende, confermavano che le stelle seguivano innegabilmente un certo schema di movimento. Le stelle obbedivano a leggi precise. Perciò, dato che tre di esse sfidavano tali leggi naturali, doveva esserci una spiegazione. E lui sperava di trovarla quella sera.

Dopo varie discussioni, venne deciso di piazzare il telescopio sul piccolo rilievo, alla punta orientale della baia, oltre il luogo dove erano state scava-te le fosse per cucinare. Il Maestro Fandarel si fece aiutare da Piemur e Jaxom a montare una struttura, su cui sistemò un congegno snodato per sostenere il nuovo telescopio. Wansor, naturalmente, volle sovrintendere alle operazioni, e finì per infastidire il Fabbro che lo spedì al limitare del promontorio, vicino agli alberi, dove poteva eseguire i lavori senza stargli fra i piedi. Quando la struttura venne ultimata, Wansor era ormai addor-mentato, con la testa sulle mani giunte, e russava sommessamente.

Portandosi il dito alle labbra per indicare che non si doveva disturbare il Fabbro delle Stelle, Fandarel ricondusse Jaxom e Piemur alla spiaggia più grande, e tutti fecero una nuotata, prima di sdraiarsi come gli altri per il riposo pomeridiano. Per non perdere neppure un istante dell'apparizione serotina delle Sorelle, mangiarono tutti sul promontorio. Il Maestro Idaro-lan portò il cannocchiale della sua nave, e il Fabbro costruì in fretta un secondo supporto con il materiale avanzato.

Il tramonto, che era sempre venuto troppo presto, questa volta sembrava indugiare. Jaxom pensò che, se Wansor avesse spostato ancora una volta il telescopio o la sua panca, o se stesso, probabilmente anche lui avrebbe dato prova di comportamento aberrante. Persino i draghi, che avevano sempre giocato nell'acqua come se avessero appena scoperto quello spasso, stavano sdraiati tranquilli sulla spiaggia, mentre le lucertole di fuoco dor-mivano intorno a Ruth o sulle spalle dei loro amici.

Finalmente il sole tramontò, spandendo i suoi colori brillanti sull'oriz-zonte occidentale. Quando il cielo a oriente si oscurò, Wansor accostò l'occhio al suo strumento, lanciò un grido sbalordito, e per poco non cadde dalla panca.

«Non può essere. Non ci sono spiegazioni logiche per una disposizione simile.» Si raddrizzò e tornò a guardare, regolando scrupolosamente la

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messa a fuoco. Idarolan stava osservando con il suo cannocchiale. «Io vedo solo le So-

relle dell'Alba, allineate come al solito. Come sono sempre state.» «Ma non è possibile. Sono vicine. Le stelle non sono mai così vicine.

Sono sempre distanti.» «Su, fai dare un'occhiata a me.» Il Fabbro quasi saltellava per l'impa-

zienza. Riluttante, Wansor gli cedette il posto, continuando a confermare l'impossibilità di ciò che aveva appena visto.

«N'ton, tu sei più giovane e hai gli occhi più acuti!» Il Pescatore lasciò il cannocchiale al cavaliere bronzeo, che si affrettò a sostituirlo.

«Io vedo tre oggetti rotondi!» annunciò Fandarel con voce tonante. «Oggetti metallici rotondi. Artificiali. Non sono stelle, Wansor,» disse, guardando l'angosciato Fabbro delle Stelle. «Sono oggetti artificiali!»

Robinton spinse da parte il gigantesco Fabbro e guardò nell'oculare, sof-focando un'esclamazione.

«Sono rotonde. Luccicano. Come il metallo. Non come le stelle.» «Una cosa è sicura,» fece in tono irriverente Piemur, nell'improvviso si-

lenzio. «Adesso hai trovato le tracce dei nostri antenati nel Sud, Maestro Robinton.»

«La tua osservazione è esatta,» disse l'Arpista, in un tono stranamente soffocato, così che Jaxom non capì se cercava di reprimere l'ilarità o la collera. «Ma non è questo che avevo in mente io, e lo sai benissimo!»

Tutti ebbero la possibilità di guardare con lo strumento di Wansor, per-ché quello del Maestro Idarolan non era abbastanza potente. Tutti concor-darono con il giudizio di Fandarel: le cosiddette Sorelle dell'Alba non era-no stelle. Era egualmente indiscutibile che si trattava di oggetti metallici rotondi, apparentemente librati nel cielo in posizione stazionaria. Persino le lune volgevano facce diverse verso Pern, durante i loro cicli regolari.

F'lar, Lessa e F'nor furono invitati ad accorrere prima che finisse l'appa-rizione serale delle Sorelle dell'Alba. L'irritazione di Lessa per quella con-vocazione precipitosa svanì appena vide il fenomeno. F'lar e F'nor mono-polizzarono lo strumento per tutto il breve tempo durante il quale gli strani oggetti rimasero visibili nel cielo che si oscurava lentamente.

Quando notarono che Wansor stava tracciando equazioni sulla sabbia, Jaxom e Piemur si affrettarono a portargli una tavola e il necessario per scrivere. Il Fabbro delle Stelle scribacchiò furiosamente per qualche minu-to, poi studiò il risultato ottenuto come se presentasse un enigma ancora più sconcertante. Frastornato, chiese a Fandarel e a N'ton di controllare i

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suoi calcoli, per scoprire se c'erano errori. «Se non ci sono errori, qual è la tua conclusione, Maestro Wansor?» gli

chiese F'lar. «Quelle... quegli oggetti sono stazionari. Restano sempre nella stessa

posizione rispetto a Pern. Come se seguissero il pianeta.» «E questo dimostrerebbe,» disse Robinton, imperturbabile, «che sono ar-

tificiali, no?» «È esattamente la mia conclusione.» Ma Wansor non sembrava per nulla

rassicurato. «Sono stati fatti per restare sempre dove stanno.» «E noi non possiamo raggiungerle,» disse F'nor, con un mormorio di

rammarico. «Non ti ci provare, F'nor,» disse Brekke con tanta fermezza che F'lar e

l'Arpista ridacchiarono. «Sono state fatte per star là,» cominciò Piemur. «Ma non potevano esse-

re state costruite qui, Maestro Fandarel?» «Ne dubito. Le Cronache accennano a molte cose meravigliose costruite

dagli uomini, ma non parlano mai di stelle stazionarie.» «Ma le Cronache dicono che gli uomini vennero su Pern...» Piemur

guardò l'Arpista per chiedergli conferma. «Forse usarono quegli oggetti per viaggiare da qualche altro posto, da un altro mondo, e per arrivare qui, su Pern!»

«Con tutti i mondi del cielo a disposizione,» cominciò Brekke, spezzan-do il silenzio seguito alla conclusione di Piemur, «non potevano scegliere un posto migliore di Pern?»

«Se l'avessi visitato in lungo e in largo come ho fatto io ultimamente,» ribatté Piemur, riprendendosi subito, «sapresti che Pern non è affatto un brutto mondo... se escludi il pericolo rappresentato dai Fili.»

«Alcuni di noi non possono mai dimenticarlo,» rispose F'lar in tono iro-nico.

Menolly diede una gomitata nelle costole a Piemur, ma F'lar si limitò a ridere, quando il giovane Arpista si rese conto di colpo dell'indelicatezza del suo commento.

«È uno sviluppo sorprendente,» disse Robinton, scrutando il cielo not-turno come se attendesse la rivelazione di altri misteri. «Vedere i veicoli che portarono su questo mondo i nostri antenati.»

«Un argomento adattissimo ad una tranquilla riflessione, eh, Maestro Robinton?» chiese Oldive, con un sorriso sarcastico, accentuando la parola tranquilla.

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L'Arpista respinse l'allusione con un gesto brusco. «Beh, tanto, difficilmente potresti andare lassù,» disse il Guaritore. «Non posso,» riconobbe Robinton. Poi, con immenso stupore di tutti, te-

se il braccio destro in direzione delle Tre Sorelle. «Zair, gli oggetti rotondi nel cielo... tu puoi andarci?»

Jaxom trattenne il respiro, sentì Menolly irrigidirsi al suo fianco e si ac-corse che anche lei non respirava. Udì il grido soffocato di Brekke. Tutti fissavano Zair.

Il piccolo bronzeo tese il capo verso le labbra di Robinton ed emise un sommesso suono gutturale.

«Zair? Le Sorelle dell'Alba?» Robinton ripeté le sue parole. «Ci andre-sti?»

Zair inclinò la testa verso il suo amico: era chiaro che non capiva. «Zair? La Stella Rossa?» L'effetto di quella domanda fu immediato. Zair svanì con uno strido di

collera e di paura, e le lucertole di fuoco raggomitolate intorno a Ruth si svegliarono di colpo e l'imitarono.

«Mi pare che questo risponda a tutte e due le domande.» disse F'lar. «Cosa ne dice Ruth?» mormorò Menolly all'orecchio di Jaxom. «Delle Sorelle dell'Alba? o di Zair?» «Delle une e dell'altro.» «Stava dormendo,» rispose Jaxom, dopo aver consultato il suo drago. «C'era da aspettarselo!» «E allora? Che cosa ha trasmesso Bella prima di sparire? «Niente!» «Nonostante una serata di discussioni accanite, anche gli umani non ri-

solsero nulla. Robinton e Wansor, probabilmente, avrebbero continuato a parlare per tutta la notte, se il Maestro Oldive non avesse versato qualcosa nel vino dell'Arpista. In effetti, nessuno l'aveva visto, ma Robinton, che un attimo prima stava discutendo energicamente con il Fabbro delle Stelle, all'improvviso si abbandonò sul tavolo e cominciò a russare.

«Non può trascurare la sua salute in questo modo,» osservò Oldive, fa-cendo segno ai dragonieri di aiutarlo a portare a letto l'Arpista.

La serata finì in quel modo. I dragonieri tornarono ai loro Weyr, Oldive e Fandarel alle rispettive Sedi. Wansor rimase. Neppure una squadriglia di draghi al gran completo sarebbe riuscita a strapparlo dalla Fortezza della Baia.

Era stato prudentemente deciso di non rendere di dominio pubblico la

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vera natura delle Sorelle dell'Alba, almeno sino a quando Wansor e gli altri esperti non avessero avuto la possibilità di studiare il fenomeno e di perve-nire ad una conclusione che non allarmasse la gente. C'erano già stati ab-bastanza traumi negli ultimi tempi, aveva commentato F'lar. Qualcuno poteva vedere un pericolo in quegli innocui oggetti celesti, qualcosa di simile alla Stella Rossa.

«Pericolo?» aveva esclamato Fandarel. «Se quelle fossero pericolose, ce ne saremmo accorti da parecchi Giri.»

F'lar si era dichiarato d'accordo ma, poiché tutti erano condizionati a credere che le catastrofi venivano dagli oggetti celesti, era meglio essere prudenti.

F'lar s'era detto disposto a inviare altri uomini da Benden, per collabora-re alle ricerche. Secondo il Comandante del Weyr, era più importante che mai scoprire che cosa nascondeva quella terra.

Mentre Jaxom si stendeva sulla coperta, cercò di non irritarsi troppo al pensiero di un'altra invasione nella Fortezza della Baia, proprio quando aveva cominciato a sperare che lui e Sharra avrebbero potuto restare un po' soli.

Sharra l'aveva evitato? Oppure la colpa era delle circostanze? Per esem-pio, l'arrivo prematuro di Piemur alla Fortezza della Baia? Le preoccupa-zioni per la salute del Maestro Robinton, la necessità di esplorare che li aveva lasciati esausti, l'arrivo di mezzo Pern per completare la Sede per l'Arpista, poi la sua venuta, e adesso questo! No, Sharra non l'aveva evita-to. Sembrava... ecco. La bella, ricca risata, d'un tono più bassa di quella di Menolly, il viso spesso nascosto dalle ciocche dei capelli scuri che conti-nuavano a sfuggire al nastro ed ai fermagli...

Jaxom si augurò, fervidamente, che la Fortezza della Baia non venisse di nuovo invasa... un desiderio che non poteva realizzarsi perché lui non ave-va alcun potere su ciò che doveva accadere in quel luogo. Lui era il Signo-re di Ruatha, non della Baia. Se quel posto apparteneva a qualcuno, appar-teneva al Maestro Robinton ed a Menolly, che l'avevano scoperto grazie alla tempesta.

Jaxom sospirò: gli rimordeva la coscienza. Il Maestro Oldive l'aveva di-chiarato completamente guarito dai postumi della testa-di-fuoco. Quindi poteva andare in mezzo. Lui e Ruth potevano tornare alla Fortezza di Rua-tha. E avrebbe dovuto tornarci, a Ruatha. Ma non voleva... e non soltanto per Sharra.

Non c'era bisogno di lui, a casa. Lytol continuava a governare la Fortez-

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za come aveva sempre fatto. Ruth non era necessario per combattere i Fili, né a Ruatha né al Weyr di Fort. Benden s'era mostrato conciliante, ma F'lar aveva fatto capire chiaramente che il drago bianco ed. il giovane Signore di Ruatha non dovevano correre rischi.

Ma, e Jaxom se ne rese conto all'improvviso, nessuno gli aveva vietato di partecipare alle esplorazioni. Anzi, nessuno gli aveva detto di ritornare a Ruatha.

Si consolò un po' a quel pensiero, anche se non era per nulla piacevole l'idea che l'indomani F'lar avrebbe mandato altri cavalieri... cavalieri dai draghi in grado di volare più lontano e più velocemente del suo Ruth, ca-valieri che avrebbero potuto raggiungere la montagna prima di lui. Forse avrebbero scoperto le tracce che Robinton sperava esistessero nell'interno del Continente Meridionale. E forse avrebbero visto anche loro, in Sharra, la bellezza e il dolce calore umano che attraevano lui.

Si rigirò di nuovo sul letto, cercando una posizione più comoda per ad-dormentarsi. Forse il programma stabilito da Robinton per lui, Sharra, Me-nolly e Piemur non avrebbe subito modificazioni. Come Piemur ricordava continuamente a tutti, i draghi andavano benissimo per i sorvoli, ma per conoscere davvero un territorio bisognava percorrerlo a piedi. F'lar e Ro-binton, forse, avrebbero incaricato i dragonieri di esplorare, coprendo un territorio il più possibile vasto e lasciando che loro quattro proseguissero fino alla montagna.

E poi, finalmente, Jaxom ammise di fronte a se stesso che voleva essere il primo a raggiungere quella montagna! Il cono perfettamente geometrico l'aveva attratto alla baia quando era malato e febbricitante, aveva dominato le sue ore di veglia e s'era insinuato drammaticamente nei suoi sogni. Vo-leva essere il primo ad arrivarci, anche se quell'aspirazione era irrazionale.

Si addormentò, ancora perduto in quelle riflessioni. E nei suoi sogni riapparvero le scene sfocate e sovrapposte: la montagna eruttò di nuovo, e un intero fianco si schiantò, vomitando rocce fiammeggianti rosso-arancioni e fiumi di lava ardente. Ancora una volta, Jaxom fu un fuggitivo impaurito ed un osservatore spassionato. Poi la muraglia rossa prese ad avvicinarsi, e lui ne sentì sui piedi l'alito rovente...

Si svegliò. Il sole sorgente gettava i raggi obliqui fra gli alberi, accarez-zandogli il piede destro che spuntava dalla coperta leggera. Il sole sorgen-te!

Jaxom cercò mentalmente Ruth. Il drago riposava ancora nella radura del vecchio rifugio, dove era stata scavata una conca nella sabbia apposta

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per lui. Jaxom guardò Piemur che dormiva raggomitolato, con le mani sotto la

guancia destra. Si alzò, aprì la porta senza far rumore e, tenendo i sandali in mano, andò in cucina in punta di piedi. Ruth si mosse, scomodando un paio di lucertole di fuoco che gli dormivano sulla schiena, quando lui gli passò davanti. Jaxom si fermò, colpito. Fissò Ruth, poi le lucertole di fuo-co. Nessuna di quelle che stavano annidate addosso al suo amico portava i contrassegni colorati. Doveva chiedere a Ruth, quando si fosse svegliato, se le lucertole di fuoco meridionali dormivano sempre con lui. Se era così, allora i sogni potevano essere quelli delle lucertole... antichi ricordi riesu-mati dalla presenza degli uomini. La montagna! No, da quella parte si scorgeva ad occhio nudo un cono perfetto, non deturpato dall'eruzione.

Appena fu sceso sulla spiaggia, Jaxom alzò gli occhi per vedere se riu-sciva a scorgere le Sorelle dell'Alba. Ma era già troppo tardi per assistere alla loro apparizione mattutina.

I due telescopi - quello di Wansor scrupolosamente coperto di pelli di wher per proteggerlo dalla rugiada, e quello di Idarolan nella custodia di pelle - erano ancora montati sui supporti. Sorridendo dell'inutilità della sua azione, Jaxom non seppe resistere alla tentazione di scoprire il telescopio di Wansor e di scrutare il cielo. Maneggiò con delicatezza lo strumento e guardò verso Sud-Est, in direzione della montagna.

Nei suoi sogni, il cono era esploso. E la montagna aveva due versanti. Decidendosi all'improvviso, tolse il cannocchiale del Pescatore dalla cu-stodia. Sebbene quello di Wansor desse una definizione maggiore, non poteva azzardarsi a regolarne il fuoco. E poi, quello di Idarolan offriva un ingrandimento sufficiente per i suoi scopi, anche se non poteva mostrare i guasti che Jaxom quasi sperava di poter vedere. Pensosamente, abbassò lo strumento. Adesso lui poteva andare in mezzo. E poi, il Maestro Robinton gli aveva ordinato di esplorare la terra del Sud. E soprattutto, lui voleva arrivare per primo a quella montagna!

Rise. Quell'impresa non era pericolosa quanto la restituzione dell'uovo. Lui e Ruth potevano andare in mezzo e tornare prima che qualcuno, alla Fortezza della Baia, si accorgesse delle sue intenzioni. Staccò il cannoc-chiale dal supporto. Ne avrebbe avuto bisogno. Quando lui e Ruth fossero stati in volo, avrebbe dovuto scrutare attentamente la montagna per trovare un punto dove Ruth potesse trasferirsi passando in mezzo.

Si girò di scatto, arretrando per lo stupore. Piemur, Sharra e Menolly e-rano lì, e l'osservavano.

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«Di', Nobile Jaxom, che cosa hai guardato con il cannocchiale del Pesca-tore? Una montagna, forse?» chiese Piemur, mostrando tutti i denti in un gran sorriso soddisfatto.

Sulla spalla di Menolly, Bella pigolò. «Ha visto abbastanza?» chiese Menolly a Piemur, senza badare a Jaxom. «Direi!» «Non poteva avere intenzione di andarci senza di noi, vero?» chiese

Sharra. Lo guardavano tutti con espressioni ironiche. «Ruth non può portare quattro persone.» Siete tutti magri. Potrei farcela, disse Ruth. Sharra rise, si coprì la bocca e gli puntò contro un indice accusatore. «Scommetto che hai ragione.» Menolly non distolse gli occhi dalla fac-

cia di Jaxom. «Credo sia meglio che tu abbia un aiuto in questa impresa.» Sottolineò le ultime due parole in tono significativo.

«Questa impresa?» fece eco Piemur, attento come al solito a tutte le sfumature.

Jaxom strinse i denti, guardando severamente la giovane Arpista. «Sei sicuro di poter portare quattro persone?» chiese a Ruth.

Il drago arrivò sulla spiaggia, con gli occhi che brillavano per l'eccita-zione.

Ho dovuto volare normalmente per molti giorni. Quindi sono diventato fortissimo. Nessuno di voi è pesante. La distanza non è grande. Andiamo a vedere la montagna?

«Ruth, evidentemente, è ben disposto,» disse Menolly. «Ma se non ci sbrighiamo a muoverci...» Indicò la Fortezza. «Vieni, Sharra, andiamo a prendere le tenute di volo.»

«Dovrò montare le cinghie di sicurezza per quattro.» «E allora fallo.» Menolly e Sharra corsero via. C'erano corde da caccia a portata di mano, e Jaxom e Piemur avevano

finito di sistemarle quando le ragazze tornarono con le giubbe ed i caschi. Jaxom prese il cannocchiale del Pescatore e si ripromise mentalmente che sarebbero tornati così presto che Idarolan non avrebbe avuto il tempo di accorgersi della sparizione.

Ruth dovette fare un sforzo per sollevarsi dalla spiaggia, ma una volta in aria, assicurò a Jaxom che volava senza fatica. Girò verso Sud-Est, mentre Jaxom metteva a fuoco il picco lontano. Neppure dall'alto riusciva a notare squarci nel cono. Abbassò poco a poco il cannocchiale fino a quando scor-

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se, chiaramente, una cresta riconoscibile davanti alla montagna. Chiese a Ruth se visualizzava l'obiettivo, e Ruth lo rassicurò. E li portò

in mezzo prima che Jaxom potesse avere un ripensamento. All'improvviso, si trovarono ansanti al di sopra della cresta. Ansimavano per l'incredibile trauma del freddo in mezzo dopo quei mesi di sole tropicale, e per il pano-rama spettacolare che si offriva al loro sguardo.

Come aveva detto una volta Piemur, la distanza ingannava, la Montagna sorgeva su un pianoro già parecchie migliaia di lunghezze di drago più alto del livello del mare. Sotto di loro, un'ampia insenatura scintillante s'insi-nuava tra le pare ti di roccia, erbose sul fianco della montagna, coperte di fitte foreste dalla loro parte. Verso Sud, una torreggiante catena di monti incappucciati di neve e offuscati dalla lontananza, si ergeva come una bar-riera, da Est ad Ovest.

La montagna, che era ancora piuttosto distante, dominava la scena. «Guardate!» Sharra indicò sulla sinistra, in direzione del mare. «Altri

vulcani! E alcuni fumano!» Una lunga catena di vette costellava il mare aperto, piegandosi verso

Nord-Est: alcune sorgevano da isole piuttosto grandi, altre erano semplici coni che spuntavano dall'acqua.

«Mi presti il cannocchiale, Jaxom?» Piemur prese lo strumento e guardò. «Sì,» disse dopo una lunga occhiata. «Qualcuno è attivo. Ma sono lontani. Non c'è pericolo.» Poi puntò lo strumento verso la catena, e dopo un mo-mento scosse il capo. «Potrebbe essere la stessa barriera che io ho visto all'Ovest.» Sembrava dubbioso. «Ho impiegato mesi per arrivarci. E che freddo!» Girò il cannocchiale in un breve arco. «Molto utile, questo ag-geggio. L'acqua penetra per un buon tratto nell'interno. Idarolan potrebbe arrivarci con la nave, se volesse.» Rese il cannocchiale a Jaxom e fissò la montagna.

«È un panorama meraviglioso,» disse Sharra, con un lungo sospiro. «L'eruzione deve essere avvenuta sull'altro versante,» disse Jaxom, par-

lando più a se stesso che agli altri. «L'altro versante?» Sharra e Menolly parlarono contemporaneamente. E

Jaxom sentì Piemur irrigidirsi dietro di lui. «Avete sognato anche voi, stanotte?» chiese Jaxom. «E che cosa credi che ci abbia svegliato in tempo per sentirti sgattaiolare

fuori?» chiese Menolly, un po' risentita. «Bene, andiamo a vedere dall'altra parte,» disse Piemur, come se propo-

nesse una nuotata.

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«Perché no?» rispose Sharra con la stessa disinvoltura. Mi piacerebbe vedere il posto del mio sogno, disse Ruth e, senza preav-

viso, si lanciò verso il basso. Jaxom sentì Menolly e Sharra gettare esclamazioni di sgomento, e si ral-

legrò di aver provveduto a sistemare le corde di sicurezza. Ruth presentò le sue scuse, che Jaxom non ebbe il tempo di comunicare, perché il drago bianco si tuffò in una corrente d'aria calda che li portò in alto, sopra l'am-pia insenatura Quando ebbe stabilizzato la linea di volo, Jaxom usò il can-nocchiale e trovò un'inconfondibile formazione rocciosa sul dosso setten-trionale, e trasmise a Ruth la visualizzazione.

Passarono in mezzo e si trovarono librati sopra la formazione rocciosa. La montagna parve inclinarsi spaventosamente verso di loro, per la durata di parecchi respiri. Ruth riacquistò la velocità di volo e girò verso Nord, descrivendo un ampio arco in direzione del versante orientale della monta-gna.

Per un attimo, furono tutti abbacinati dal fulgore del sole sorgente, che prima era occultato dalla massa della montagna. Ruth virò a Sud. Davanti a loro si estendeva il territorio più incredibile che Jaxom avesse mai vi-sto... più ampio dei bassopiani di Telgar o del deserto di Jgen. Il suo sguardo deviò rapidamente, da quel paesaggio spettacoloso alla montagna.

Era una vista che Jaxom riconobbe all'improvviso: il risultato di tante notti inquiete e di tanti sogni confusi. Il versante orientale della montagna non c'era più. La bocca squarciata sembrava ringhiare con l'angolo sinistro piegato verso il basso. Gli occhi di Jaxom seguirono quella linea e scorse-ro, sul fianco di Sud Est, altri tre crateri vulcanici che sembravano la prole maligna della bocca più grande. La lava scorreva verso sud, verso la pianu-ra ondulata.

Ruth continuò a planare, allontanandosi istintivamente dalla montagna, verso la valle più ospitale.

Sebbene Jaxom avesse ammirato con gioia il versante settentrionale del vulcano, distolse gli occhi dalle zanne maligne del fianco esploso, il ver-sante dei suoi incubi.

Jaxom aveva quasi previsto le parole di Ruth. Conoscono questo posto! Dicono che i loro uomini erano qui!

Sciami di lucertole di fuoco apparvero dalla direzione del sole e virarono per scostarsi dalla linea di volo del drago bianco. Bella, Meer, Talla e Far-li, che avevano viaggiato sulle spalle dei loro amici fino a quel posto in-credibile, si lanciarono per andare incontro alle nuove venute.

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«Guarda, Jaxom! Guarda giù!» gli gridò Piemur all'orecchio, tirandolo per la spalla e indicando freneticamente un punto sotto la zampa anteriore sinistra di Ruth. Il primo sole faceva spiccare i contorni in altorilievo. Era-no contorni regolari, tondeggianti, e linee rette li intersecavano, creando strani riquadri dove non potevano esistere formazioni tanto regolari.

«È quello che cercava il Maestro Robinton!» Jaxom girò la testa per ri-volgere un sorriso a Piemur, che si era voltato per richiamare l'attenzione delle ragazze.

Poi Jaxom represse un grido, e sospinse Ruth con le ginocchia per farlo virare a Nord-Est. Sentì Piemur aggrapparsi alle sue spalle, quando anche il giovane Arpista scorse quello che aveva visto lui. La foschia dei lontani vulcani fumanti sul mare si confondeva con una nebbia grigia che scende-va dal cielo... Fili!

«Fili!» Fili! Prima che Jaxom potesse dirgli qualcosa, Ruth li aveva portati

prontamente in mezzo. Dopo un istante erano librati sopra la baia, sulla cui spiaggia stavano cinque draghi. I pescatori del Maestro Idarolan correvano dalla riva alla nave, sistemando lastre di ardesia su un'intelaiatura montata per proteggere i ponti lignei dalla Caduta dei Fili.

Canth chiede dove siamo stati. Devo masticare immediatamente le pie-tre focaie. Le lucertole di fuoco devono contribuire a proteggere la nave. Tutti sono irritati con noi. Perché?

Jaxom disse a Ruth di farli scendere vicino al mucchio delle pietre fo-caie e di cominciare a masticare.

«Devo trovare Stupido!» Piemur balzò sulla sabbia e corse verso la fore-sta.

«Dammi il cannocchiale del Maestro Idarolan,» disse Menolly a Jaxom. «L'ho visto in faccia, e anche se non posso dire che è infuriato per il suo strumento...»

«Sono pronta a sfidare l'uragano della Fortezza della Baia,» disse Sharra, sorridendo a Jaxom e stringendogli il braccio. «Non fare quella faccia av-vilita! Io non avrei voluto perdermi questa gita mattutina per niente al mondo. A costo di sopportare i rimbotti di Lessa.»

Siamo stati a esplorare a Sud come ci aveva detto l'Arpista! annunciò all'improvviso Ruth, levando la testa verso gli altri draghi. E siamo tornati in tempo per combattere i Fili. Non abbiamo fatto niente di male!

Jaxom rabbrividì, stupito del tono deciso di Ruth, soprattutto perché era certo che il drago bianco stesse rispondendo a Canth: il drago marrone,

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infatti, guardava nella loro direzione con occhi turbinanti. Jaxom vide, insieme a Canth, Lioth, Monarth e atri due bronzei di Benden che a prima vista non riconosceva.

Sì, volerò attraverso la vostra formazione, disse Ruth, rispondendo alle parole che Jaxom non poteva udire. Come ho sempre fatto. Ho masticato abbastanza pietre per fiammeggiare. I Fili sono vicini alla Baia.

Protese la testa verso Jaxom che gli balzò sul collo, sollevato al pensiero che l'imminenza della Caduta dei Fili procrastinasse lo sconto con F'nor o N'ton. Eppure, pensò Jaxom, lui non era in torto.

Abbiamo fatto quello che ci ha detto di fare l'Arpista, commentò Ruth prendendo il volo. Nessuno ci ha detto di non volare alla montagna, oggi. Sono contento che l'abbiamo fatto. Non sarò più turbato dai sogni, adesso che ho visto quel posto. Poi aggiunse, un po' stupito: Brekke pensa che tu non sia abbastanza forte per combattere i Fili il primo giorno che sei stato autorizzato ad andare in mezzo. Devi dirmelo, se ti stanchi!

Dopo quelle parole, niente avrebbe potuto indurre Jaxom a confessarsi stanco, anche se avessero dovuto volare per tutte le quattro ore della Cadu-ta. Incontrarono i Fili tre baie più ad Est. Li incontrarono e li distrussero. Ruth e Jaxom volteggiavano al di sopra, al di sotto e in mezzo agli altri cinque che procedevano in formazione triangolare. Jaxom si augurò che Piemur avesse messo al sicuro Stupido. Dopo un momento, Ruth riferì che Farli diceva che il corridore era sotto il portico, e lei era pronta a bruciare i Fili che si avvicinassero alla Fortezza.

Mentre volteggiavano sulla Baia, Jaxom notò che gli alti alberi della So-rella dell'Alba parevano sprizzare fiamme, e poi capì che dovevano essere le altre lucertole di fuoco, impegnate a proteggere la nave. E sembrava che fossero parecchie. Le lucertole meridionali erano accorse in aiuto di quelle contrassegnate? Avevano deciso, per qualche loro ragione, di aiutare gli uomini?

Non ebbe tempo di porsi altre domande, nell'attività frenetica del com-battimento. Era stanchissimo, quando la pioggia argentea si dissolse e Canth lanciò l'ordine del ritorno, Ruth girò verso Est, e Jaxom vide F'nor segnalare Ben fatto. Poi tornarono planando alla Baia.

Jaxom fece atterrare Ruth nella parte più stretta della spiaggia occidenta-le, per lasciare spazio ai draghi più grandi. Scivolò dal dorso del bianco, battendogli la mano sul collo sudato, e starnuti quando il puzzo della pietra focaia lo investì. Ruth diede un colpetto di tosse.

Divento sempre più bravo a masticare. Non mi è rimasta più fiamma.

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Poi alzò la testa, guardando Canth che era atterrato vicino a loro. Perché F'nor è irritato? Abbiamo volato bene. Non ci è sfuggito neppure un Filo. Girò la testa verso il suo cavaliere e cominciò a roteare gli occhi in cui apparivano guizzi gialli. Non capisco. Sbuffò, ed i fumi della pietra focaia fecero tossire Jaxom.

«Jaxom! Voglio parlarti!» F'nor si avvicinò a grandi passi, slacciandosi la giubba e togliendosi il casco con gesti bruschi e rabbiosi.

«Sì?» «Dov'eravate andati, tutti quanti, stamattina? Perché siete scomparsi

senza informare nessuno? E tu, perché sei arrivato quando mancava poco alla Caduta dei Fili? Avevi dimenticato che era prevista per oggi?»

Jaxom fissò F'nor. Aveva la faccia soffusa di collera e di stanchezza. Lo stesso freddo furore che era esploso in Jaxom quel lontano giorno, nella sua Fortezza, cominciò a invaderlo. Raddrizzò le spalle e alzò la testa. Po-teva guardare F'nor negli occhi, un particolare di cui non si era mai accor-to. Non doveva permettersi di perdere la calma come aveva fatto quella mattina a Ruatha.

«Eravamo pronti ad affrontare i Fili quando sono caduti, cavaliere mar-rone,» rispose con calma. «Il mio dovere, come dragoniere, era proteggere la Fortezza della Baia. L'ho fatto. È stato un piacere e un onore volare con Benden.» S'inchinò, leggermente, ed ebbe la soddisfazione di vedere che la collera di F'nor cedeva il posto allo stupore. «Sono sicuro che gli altri, nel frattempo, avranno già riferito al Maestro Robinton quello che abbiamo scoperto stamattina. Tu vai in acqua, Ruth. Sarò lieto di rispondere a tutte le tue domande, F'nor, dopo che avrò pulito il mio drago.» Rivolse a F'nor, che lo fissava con sincero sbalordimento, un secondo inchino, poi si tolse i pesanti indumenti da volo, tenendo solo i calzoni corti, più adatti a quel clima.

F'nor lo stava ancora fissando quando lui corse a tuffarsi in acqua, emer-gendo accanto al suo amico bianco che sguazzava allegramente.

Ruth si girò, lanciando un getto d'acqua: gli occhi velati da un paio di palpebre brillavano verdi, appena al di sotto della superficie.

Canth dice che F'nor è confuso. Cos'hai detto, per confondere un cava-liere marrone?

«Quello che non si aspettava di sentire da un cavaliere bianco. Non pos-so lavarti, se continui a rigirarti così.»

Sei arrabbiato. Mi strapperai la pelle se strofini così forte. «Sono arrabbiato, ma non con te.»

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Dobbiamo andare al nostro lago? La domanda di Ruth era incerta: girò la testa verso il suo cavaliere con aria ansiosa.

«A cosa ci serve un lago gelato quando abbiamo a disposizione un ocea-no caldo? Sono irritato con F'nor. Mi tratta come se fossi ancora malato, o come fossi un bambino che ha bisogno di un tutore. Ho combattuto i Fili con te, e senza di te. Se sono abbastanza adulto per far questo, non sono tenuto a rendere conto a nessuno dei miei movimenti, e per nessuna ragio-ne.»

Avevo dimenticato che oggi sarebbero caduti i Fili! Jaxom non seppe trattenere una risata di fronte all'umile ammissione di

Ruth. «Anch'io. Ma non farlo mai sapere a nessuno.» Le lucertole di fuoco scesero per aiutare: anche loro avevano bisogno di

una ripulita, a giudicare dal puzzo che emanavano. Rimproveravano Ruth molto più bruscamente di Jaxom, se s'immergeva troppo nelle onde quan-do volevano sciacquarlo. Nello sciame c'erano Meer, Talla e Farli. Jaxom si mise all'opera. Era stanco; ma decise che, se non si fosse fermato, ce l'avrebbe fatta a finire di lavare Ruth. Poi avrebbe avuto tutto il pomerig-gio per riposare.

Ma non lo ebbe. E non dovette neppure lavare Ruth da solo, perché Sharra venne ad aiutarlo.

«Vuoi che pulisca l'altra metà?» chiese, avanzando a guado verso di lui. «Te ne sarei riconoscente,» rispose Jaxom, con un gran sorriso ed un so-

spiro. Sharra gli buttò una spazzola. «Le ha portate Brekke. Immaginava che

sarebbero servite per pulire i draghi. Le setole sono robuste. Ti farà piace-re, vero, Ruth?»

Raccolse manciate di sabbia dal fondale e la fece sgocciolare sul collo del drago, spazzolando energicamente. Ruth sbuffò di piacere attraverso l'acqua.

«Che cosa avete fatto mentre io combattevo i Fili?» le chiese Jaxom, soffermandosi prima di attaccare i quarti posteriori di Ruth.

«Menolly sta ancora rispondendo alle domande.» Sharra lo guardò al di sopra del corpo disteso di Ruth: gli occhi le brillavano e sorrideva malizio-samente. «Parlava così in fretta che lui non riusciva a interromperla, e sta-va ancora continuando quando me ne sono andata. Non immaginavo che qualcuno fosse capace di parlare più del Maestro Arpista. Comunque, lui ha smesso quasi subito di lanciare fiamme. E tu, sei stato scottato da

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F'nor?» «Abbiamo avuto uno scambio... di opinioni.» «Ci credo, a giudicare dal modo in cui protestava Brekke Le ho detto

che ti eri ripreso perfettamente, mentre lei era via. Si comportava come se ti fossi alzato dal letto di morte per andare a combattere i Fili!» Sharra sbuffò, sprezzante.

Jaxom si sporse sopra la schiena di Ruth, sorridendole, pensando quanto era graziosa, con quegli occhi maliziosi ed il viso imperlato dalle gocce d'acqua spruzzate dai movimenti di Ruth. Sharra alzò gli occhi verso di lui, con aria interrogativa.

«Abbiamo visto davvero quello che ho creduto di vedere stamattina, Sharra?»

«Sicuro!» Lei gli puntò contro la spazzola, con aria severa. «Ed è una fortuna per te che ti abbiamo accompagnato e possiamo testimoniare, per-ché non penso che nessuno l'avrebbe creduto, se fossi stato tu solo a rac-contarlo.» S'interruppe, ed i suoi occhi ripresero a brillare. «Non sono del tutto sicura che ci credano, del resto.»

«Chi è che non ci crede?» «Il Maestro Robinton, il Maestro Wansor e Brekke. Non mi stavi ascol-

tando?» «No,» fece lui, con un sorriso. «Ti stavo guardando.» «Jaxom!» Il giovane rise nel vederla arrossire. Ho un prurito tremendo dove tu mi stai appoggiato addosso, Jaxom. «Ecco, vedi?» disse Sharra, battendogli le setole della spazzola sulla

mano. «Stai trascurando Ruth in modo vergognoso.» «Come fai a sapere che Ruth mi parlava?» «Ti si legge sempre in faccia.» «Ehi, dove va la Sorella dell'Alba?» chiese Jaxom, notando la nave che

puntava al largo a vele spiegate. «A pesca, naturalmente. Le Cadute dei Fili attirano sempre branchi di

pesci. E la nostra scappata di questa mattina farà accorrere qui orde di gen-te. Ce ne vorrà, di pesce, per sfamare tutti.»

Jaxom gemette, chiuse gli occhi e scosse il capo, sgomento. «Questa..» Sharra fece una pausa, per conferire maggiore enfasi alle sue

parole, «è la punizione per la gita non autorizzata di stamane.» Finirono entrambi in acqua, quando Ruth schizzò fuori inaspettatamente. «Ruth!»

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Arrivano i miei amici! Il drago bianco lanciò grida di gioia e Jaxom, con gli occhi che bruciavano per il tuffo nell'acqua salmastra, vide una mezza squadriglia di draghi apparire nel cielo.

Ci sono Ramoth e Mnementh, Tiroth, Gyamath, Branth, Orth... «Tutti i Comandanti dei Weyr, Sharra!» Lei stava sputando l'acqua che aveva inghiottito. «Magnifico!» Non sembrava per nulla soddisfatta. «La naia spazzola!»

E cominciò a guardarsi intorno per cercarla. E Path, Golanth, Drenth e lui è sul nostro drago da guardia! «Anche Lytol! Stai fermo, Ruth. Dobbiamo ancora finire di pulirti la co-

da.» Devo andare a salutare i miei amici, ribatté Ruth, sottraendo la coda alla

stretta di Jaxom per sollevarsi a sedere e modulare un saluto al secondo gruppo di dragonieri apparsi sopra la Baia.

«Lui non sarà pulito,» disse Sharra con una certa asprezza, cominciando a torcersi i lunghi capelli per asciugarli. «Ma io sì!»

Anch'io sono abbastanza pulito. E poi, anche i miei amici vorranno fare il bagno.

«Non sperare in un'altra nuotata, Ruth. Sarà una giornata piena!» «Jaxom, sei riuscito almeno a mangiare qualcosa?» chiese Sharra.

Quando lui scosse il capo, lo prese per mano. «Vieni, presto, prima che qualcuno ci blocchi.»

Jaxom si soffermò sulla spiaggia appena il tempo sufficiente per recupe-rare la tenuta di volo, poi corsero entrambi su per il vecchio sentiero, verso la cucina della Fortezza della Baia. Sharra lanciò un esagerato sospiro di sollievo, vedendo che la cucina era deserta. Gli ordinò di sedersi, portò una tazza di klah e gli servì frutta affettata e crema di cereali, versandola dalla pentola che stava in caldo in un angolo del focolare.

Udirono i richiami e le esclamazioni dei nuovi arrivati, e la voce barito-nale di Robinton che dominava il frastuono, lanciando saluti dal portico.

Jaxom fece per alzarsi dalla panca, inghiottendo un altro boccone, ma Sharra lo trattenne.

«Ti troveranno anche troppo presto. Mangia!» «Ruth è sulla spiaggia.» All'improvviso si sentì la voce di Lytol. «Ma

non vedo Jaxom...» «So che è qui in giro...» cominciò Robinton. Una saetta bronzea sfrecciò nella cucina, cinguettò e schizzò via. «È là dentro, Lytol, in cucina,» disse Robinton con una risata.

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«Quasi quasi do ragione a Lessa,» fece Jaxom con un borbottio disgusta-to. Pescò una cucchiaiata dalla ciotola e se la cacciò in bocca. Dovette al-zarsi e asciugarsi le labbra in fretta, mentre Lytol entrava a grandi passi.

«Chiedo scusa, signore,» mormorò il giovane a bocca piena. «Non ave-vo fatto colazione!»

Lytol si fermò, scrutandolo con tanta intensità che Jaxom sorrise d'imba-razzo. Si chiese se il suo tutore sapeva già della sua escursione mattutina.

«Stai molto meglio di quando ti ho visto l'ultima volta, ragazzo. Buon-giorno a te, Sharra.» La salutò con distratta cortesia, poi venne avanti e strinse con forza il braccio di Jaxom. Si scostò con un sorriso. «Sei ab-bronzato, e in ottima forma. Dunque, che guaio hai combinato oggi?»

«Combinato? Io? No, signore.» Jaxom non seppe trattenere un sogghi-gno. Lytol era soddisfatto, non irritato. «Quella montagna era là da un pez-zo. Non l'ho combinata io. Ma volevo vederla per primo da vicino.»

«Jaxom!» Era impossibile ignorare il muggito dell'Arpista. «Signore?» «Vieni qui, Jaxom!» Nelle ore seguenti, Jaxom si rallegrò che Sharra avesse pensato a fargli

fare colazione. Non ebbe più tempo per mangiare. Dal momento in cui entrò nella grande Sala, i Comandanti dei Weyr ed i Maestri delle Arti cominciarono a tempestarlo di domande. Piemur s'era dato parecchio da fare, durante la Caduta, perché il Maestro Robinton aveva già completato uno schizzo del versante sudorientale della montagna per mostrarlo ai visi-tatori increduli, ed una mappa approssimativa, su scala ridotta, di quella zona del Continente Meridionale. Dal modo quasi ritmico con cui Menolly descriveva la loro escursione, Jaxom comprese che aveva già ripetuto mol-te volte quel racconto.

Della seduta, Jaxom ricordò soprattutto il suo rammarico per il Maestro Arpista che non poteva andare a vedere personalmente la montagna. Ma, se Jaxom avesse atteso fino a quando Oldive avesse autorizzato Robinton a volare in mezzo...

«So che bai appena finito di combattere i Fili, Jaxom, ma se potessi tra-smettere la visualizzazione a Mnementh...»

N'ton scoppiò a ridere, additando Jaxom. «Guarda la sua espressione, F'lar: ha intenzione di guidarci lui. Lascialo fare!»

E così, Jaxom tornò a indossare la tenuta di volo ancora umida di sudore e svegliò Ruth che si rosolava al sole. Il drago bianco si dichiarò piuttosto

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soddisfatto dell'onore di guidale i bronzei di Pern, ma Jaxom stentava a nascondere, dietro un'espressione composta, l'emozione che lo invadeva. Jaxom di Ruatha e il drago bianco che facevano da guida ai personaggi più importanti di Pern...

Avrebbe potuto chiedere a Ruth di balzare direttamente sul versante su-dorientale della Montagna Bifronte, come la chiamava lui. Ma voleva che tutti provassero in pieno l'emozione di quelle due facce... la maligna e la bellissima.

Dall'espressione dei cavalieri quando si posarono per qualche istante sul-la cresta, comprese di aver ottenuto l'effetto desiderato. Lasciò loro il tem-po di scrutare la Catena della Barriera, scintillante nel sole, come una serie di irregolari denti bianchi all'orizzonte. Indicò il mare, dove le nebbie del mattino ed i Fili non nascondevano più la fila dei vulcani che serpeggiava a Nord-Est, verso il largo, con il fumo che saliva all'orizzonte.

Poi, su sua richiesta, Ruth attraversò in volo l'insenatura come aveva fat-to la prima volta, acquistando quota prima di dare le coordinate del succes-sivo balzo in mezzo. Uscirono sopra l'ampia distesa del versante sudorien-tale della Bifronte, sullo scenario più drammatico che si potesse desidera-re.

Mnementh si lanciò avanti all'improvviso e, come Ruth comunicò a Ja-xom, disse che dovevano atterrare. Educatamente, Ruth e Jaxom volteggia-rono in aria mentre il grande bronzeo si posava presso l'intersezione di alcune linee regolari, lontano il più possibile dai tre crateri secondari. Uno ad uno, i grandi draghi di Pern si posarono sul prato, e i cavalieri e i pas-seggeri scesero e si avviarono tra l'erba alta e ondeggiante per raggiungere F'lar, che si era chinato e scavava con il coltello intorno all'orlo d'una di quelle strane linee.

«La terra portata dal vento e l'erba l'hanno coperta da chissà quanti Gi-ri,» disse il Comandante del Weyr di Benden, rinunciando al tentativo.

«I vulcani eruttano spesso grandi quantità di cenere,» disse T'bor delle Terre Alte. Lo sapeva bene, perché c'erano diversi vecchi vulcani a Tillek, che era legata al suo Weyr. «Se tutte quelle montagne hanno eruttato in-sieme, ci sarà da scavare uno strato di cenere della lunghezza di mezzo drago, prima di arrivare a qualcosa.»

Per un secondo, Jaxom pensò che la cenere li minacciasse. Il sole si o-scurò, e scese una massa cinguettante e svolazzante che quasi sfiorò la testa di Mnementh, prima che le lucertole di fuoco tornassero a sollevarsi.

Fra le grida di costernazione e di sorpresa, Jaxom udì l'annuncio di Ruth.

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Sono felici. Gli uomini sono tornati da loro! «Chiedi delle tre montagne, Ruth. Ricordano le montagne in eruzione?» Lo ricordavano, senza il minimo dubbio. All'improvviso, in cielo non ci

fu più nemmeno una lucertola di fuoco non contrassegnata. Ricordano le montagne, disse Ruth. Ricordano il fuoco nell'aria e il fuo-

co serpeggiante sul terreno. Hanno paura delle montagne. Gli uomini ave-vano paura delle montagne.

Menolly si avvicinò correndo a Jaxom, con il viso alterato dalla preoc-cupazione. «È stato Ruth a chiedere delle montagne alle lucertole di fuo-co? Bella e gli altri hanno avuto una crisi. Per via di quelle stramaledette montagne.»

F'lar li raggiunse, a grandi passi. «Menolly, cos'era tutta quella confu-sione delle lucertole di fuoco? Non ne ho vista neppure una contrassegna-ta. Erano tutte meridionali?»

«Naturalmente qui c'erano uomini. Non ci hanno detto nulla che non sa-pessimo già. Ma affermare che lo ricordano?» fece sprezzante F'lar, quan-do ebbe ascoltato la risposta. «Potevo accettare che tu abbia trovato D'ram alla Baia con il loro aiuto... ma lui era soltanto venticinque Giri nel passa-to. Invece...» Incapace di esprimere in modo adeguato il suo scetticismo, F'lar si limitò a indicare con un gesto i vulcani spenti ed i resti sepolti della colonia.

«Due precisazioni, F'lar,» disse Menolly, contraddicendo in tono deciso il Comandante del Weyr di Benden. «Nessuna lucertola di fuoco, in questo tempo, conosceva la Stella Rossa: ma tutte ne avevano paura. Inoltre...» Menolly s'interruppe, e Jaxom ebbe la certezza che stava per parlare dei sogni delle lucertole di fuoco a proposito dell'uovo di Ramoth. Si affrettò a intervenire.

«Le lucertole di fuoco sono capaci di ricordare, F'lar. Fin da quando so-no arrivato alla Baia, sono stato perseguitato dai sogni. All'inizio pensavo che fossero le conseguenze della febbre. L'altra notte ho scoperto che an-che Sharra e Piemur avevano gli stessi incubi... sognavano la montagna. Questo versante, non l'altro rivolto verso la Baia.»

«Ruth dorme sempre in compagnia delle lucertole di fuoco. F'lar,» disse Menolly, incalzante. «Forse è lui che trasmette i sogni a Jaxom. E le nostre lucertole di fuoco li trasmettono a noi!»

F'lar annuì, come per riconoscere quella possibilità. «E la scorsa notte i vostri sogni erano più vividi che mai?» «Sì, signore!»

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F'lar cominciò a ridacchiare, guardando un po' Menolly e un po' Jaxom. «Dunque stamattina avete deciso di controllare se i vostri sogni avevano un fondamento nella realtà?»

«Sì, signore!» «Sta bene, Jaxom.» F'lar gli batté bonariamente la mano sulla spalla.

«Immagino di non poterti biasimare. Avrei fatto lo stesso anch'io, se ne avessi avuto la possibilità. Dunque, adesso cosa ci proponete di fare, voi... e le vostre preziose lucertole di fuoco?»

«Io non sono una lucertola di fuoco, F'lar, ma scaverei,» disse il Maestro Fabbro, avvicinandosi. Aveva il volto madido di sudore, le mani sporche d'erba e di terriccio. «Dobbiamo scavare. Dobbiamo scoprire come riusci-vano a fare linee rette come règoli e capaci di durare per Giri e Giri. Per-ché costruivano tumuli, se quelli sono tumuli per davvero. Scavare: ecco quel che dobbiamo fare.» Girò lentamente su se stesso, osservando gli sforzi vani di alcuni dragonieri. «Affascinante! Affascinante!» Il Fabbro era entusiasta. «Con il tuo permesso, chiederò al maestro Minatore Nicat di prestarmi alcuni dei suoi uomini. Avremo bisogno di specialisti. E poi, ho promesso a Robinton di tornare immediatamente a riferirgli quello che ho visto.»

«Anch'io vorrei tornare, F'lar,» disse Menolly. «Il Maestro Robinton sta friggendo. Zair è già venuto qui due volte. Deve essere molto impaziente.»

«Li riporterò io, F'lar,» disse Jaxom. All'improvviso, provava il deside-rio irrazionale di andarsene, così come quella mattina era stato ansioso di arrivare li.

F'lar non volle permettere a Ruth di caricarsi troppo, dopo l'escursione e la Caduta dei Fili. Rimandò Fandarel e Menolly alla Fortezza della Baia insieme a F'lessan e Golanth, con l'ordine, per il giovane cavaliere bronze-o, di condurre il Maestro Fabbro dovunque volesse andare. Se anche era sorpreso del desiderio di tornare espresso da Jaxom, non lo lasciò capire.

Jaxom e Ruth avevano già preso il volo prima che il Fabbro e Menolly fossero saliti su Golanth. Ritornarono ad una Baia deliziosamente spopola-ta. L'aria calda e afosa, dopo l'atmosfera più fresca e limpida del Pianoro, era come una coltre soffocante, e Jaxom si sentì snervato. Approfittò del fatto che nessuno s'era accorto del suo ritorno e lasciò che Ruth scendesse nella sua radura. Lì era più fresco, e quando Ruth si fu posato, Jaxom si raggomitolò tra le sue zampe anteriori. Dopo due respiri s'era già addor-mentato.

Lo svegliò un tocco sulla spalla. La giubba da volo gli era scivolata da

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dosso e sentiva freddo. «Ho detto che l'avrei svegliato io, Mirrim,» disse la voce di Sharra, in

tono irritato. «Che importanza ha? Ecco, Jaxom. Ti ho portato un po' di klah. Il Mae-

stro Robinton ti vuol parlare. Hai dormito tutto il pomeriggio. Non riusci-vamo a immaginare dove fossi andato a cacciarti.»

Jaxom borbottò sottovoce, augurandosi con tutto il cuore che Mirrim se ne andasse. Lo infastidiva l'allusione sottintesa al fatto che lui non avrebbe avuto il diritto di dormire per tutto il pomeriggio.

«Su, Jaxom. Lo so che sei sveglio.» «Ti sbagli. Sono mezzo addormentato.» Jaxom sbadigliò rumorosamente

prima di aprire gli occhi. «Vattene, Mirrim. Di' al Maestro Robinton che arriverò presto.»

«Ti vuole subito!» «Mi vedrà molto prima, se tu vai a dirgli che sto arrivando. E adesso vat-

tene!» Mirrim gli lanciò una lunga occhiata severa, passò accanto a Sharra e sa-

lì indignata la scala della cucina. «Tu sei la mia vera amica, Sharra,» disse Jaxom. «Mirrim mi irrita! Una

volta Menolly mi ha detto che quando Patii avesse compiuto il volo nuzia-le, lei sarebbe migliorata. Non me ne sono accorto.»

Sharra stava guardando Ruth, che continuava a dormire senza sollevare neppure una palpebra.

«So quello che stai per chiedermi...» disse Jaxom ridendo e alzando una mano per bloccare la domanda. «No, neppure un sogno.»

«E neppure una lucertola di fuoco.» Sharra gli sorrise, scuotendo il capo e legandosi il nastro che le tratteneva i capelli. «Hai fatto bene a venir qui a riposare. Non c'è nessuno, su alla Sala. Le lucertole di fuoco continuano ad andare e venire dalla Baia al Pianoro: sembrano quasi isteriche. Nessu-no riesce a capire quello che dicono le nostre né quello che riferiscono loro le meridionali. E sì che molte delle meridionali sanno benissimo che era-vamo qui.»

«E il Maestro Robinton crede che Ruth possa capirci qualcosa?» «Potrebbe riuscirci.» Sharra guardò pensosa il drago bianco addormenta-

to. «Povero tesoro, è sfinito, con tutto quello che ha fatto oggi.» La voce bellissima era intenerita, e Jaxom avrebbe desiderato che quelle parole includessero anche lui. Sharra vide che la stava guardando e arrossì leg-germente. «Sono così felice che siamo arrivati là per primi!»

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«Anch'io!» «Jaxom!» Al grido di Mirrim, Sharra si affrettò a ritrarsi. Jaxom la prese per mano e corse insieme a lei verso la Fortezza, e non la

lasciò quando entrarono nella grande Sala. «Ho dormito un pomeriggio o un giorno intero?» le chiese sottovoce

quando vide mappe, carte, schizzi e diagrammi fissati alle pareti e appog-giati sui tavoli.

L'Arpista, che voltava loro le spalle, stava curvo sul lungo tavolo da pranzo. Piemur era occupato a disegnare qualcosa; Menolly guardava l'og-getto che assorbiva l'attenzione dell'Arpista, e Mirrim stava in disparte, irritata. Numerose lucertole di fuoco curiosavano dall'alto delle travi. Di tanto in tanto, una sfrecciava fuori dalla stanza e un'altra entrava dalla fi-nestra a prenderne il posto. Il profumo del pesce arrostito riempiva l'aria, portato dalla brezza marina che cominciava ad alleviare il caldo.

«Brekke s'infurierà con noi,» disse Jaxom a Sharra. «Con noi? Perché? Lo stiamo tenendo occupato con un compito sedenta-

rio.» «Finiscila di borbottare, Sharra. Jaxom, vieni qui e aggiungi la tua parte

a quello che mi hanno detto gli altri,» fece Robinton, girandosi per guar-darli, accigliato.

«Signore, Piemur, Menolly e Sharra hanno esplorato molto più di me.» «Sì, ma loro non hanno Ruth che comunica con le lucertole di fuoco.

Credi che possa aiutarci a districare la confusione delle loro immagini con-trastanti?»

«Sarò ben lieto di aiutarti, Maestro Robinton,» disse Jaxom. «Ma temo che tu domandi a Ruth e alle lucertole di fuoco più di quanto possano fa-re.»

Robinton si raddrizzò. «Vuoi spiegarti?» «È chiaro che le lucertole di fuoco sembrano condividere tutte le espe-

rienze violente come...» Jaxom tese il braccio in direzione della Stella Rossa, senza nominarla, «e la caduta di Canth; e adesso, naturalmente, la montagna. Ma sono tutti avvenimenti eccezionali... non la normalità quoti-diana.»

«Eppure hai trovato D'ram qui, nella Baia, grazie a loro,» disse l'Arpista. «È stata una fortuna. Se avessi chiesto per prima cosa se avevano visto

uomini, non avremmo mai ottenuto una risposta,» ribatté Jaxom con un sorriso un po' ironico.

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«Sicuramente, avevi a disposizione un numero di dettagli molto minore nella tua prima impresa.»

«Signore?» Jaxom spalancò gli occhi, sbalordito, mentre il tono dell'Ar-pista era stato ingannevolmente blando, con una lievissima enfasi su «pri-ma»: eppure il sottinteso era inequivocabile. Robinton sapeva che era stato lui a recuperare l'uovo. Jaxom lanciò un'occhiata d'accusa a Menolly, che sembrava perplessa, come se la sottile allusione dell'Arpista sconcertasse anche lei.

«Ora che ci penso, ho avuto più o meno le stesse informazioni da Zair,» continuò tranquillamente Robinton. «Ma non ho avuto la prontezza d'in-terpretarle esattamente come hai fatto tu. I miei complimenti, anche se in ritardo.» Chinò la testa e continuò in fretta, come se si trattasse d'una cosa di poco conto. «Per il modo in cui hai risolto la cosa. Ora, se tu e Ruth poteste dedicare la vostra percezione al problema attuale, ci risparmie-remmo chissà quante ore di sforzi vani. Come l'altra volta, Jaxom, il tempo lavora contro di noi. Questo Pianoro,» e Robinton batté la mano sui dise-gni che aveva davanti, «non può restare un segreto. È l'eredità di tutti gli abitanti di Pern...»

«Ma è all'Est, Maestro Robinton, cioè nella terra destinata ai dragonie-ri,» disse Mirrim, in tono quasi bellicoso.

«Certo, mia cara figliola, rispose in tono blando l'Arpista. «Ora, se Ruth riuscisse a indurre le lucertole di fuoco a chiarire i loro ricordi...»

«Tenterò, Maestro Robinton,» disse Jaxom, quando l'Arpista lo guardò con aria d'attesa. «Ma sai come si comportano nei confronti della...» E indicò il cielo. «E sono quasi altrettanto incoerenti per quanto riguarda l'eruzione.»

«Come ha detto Sharra, l'occhio del sogno è sfuocato,» disse Menolly con un sorriso.

«È appunto quel che volevo dire,» fece l'Arpista, battendo la mano sul tavolo. «Se Jaxom, per mezzo di Ruth, riesce a migliorare la messa a fuo-co, forse quelli di noi che hanno lucertole potranno ottenere dalle loro menti immagini chiare e utili, invece di questa confusione.»

«Perché?» chiese Jaxom. «Sappiamo che ci fu l'eruzione. Sappiamo che la colonia dovette essere abbandonata, che i superstiti si trasferirono al Nord...»

«Ci sono molte cose che non sappiamo, e forse potremmo trovare qual-che spiegazione, o addirittura qualche strumento abbandonato, come l'in-granditore rimasto nelle stanze dimenticate del Weyr di Benden. Pensa a

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quanto è servito a migliorare la comprensione del nostro mondo e dei cieli che ci sovrastano. Forse potrebbero esserci anche alcuni modelli delle macchine affascinanti ricordate nelle Antiche Cronache.» Robinton mise gli schizzi sopra la mappa. «Ci sono moltissimi tumuli, grandi e piccoli, lunghi e corti. Alcuni dovevano servire per viverci, dormire, immagazzina-re le scorte: altri erano probabilmente laboratori e opifici...»

«E come possiamo sapere se i nostri antenati facevano le cose come le facciamo noi?» chiese Mirrim. «I magazzini e gli opifici e tutto il resto.»

«Perché, mia cara figliola, né la natura umana né le umane esigenze so-no cambiate fin dai tempi delle Cronache più vecchie giunte sino a noi.»

«Questo non significa che abbiano lasciato qualcosa in quei tumuli, quando hanno abbandonato il Pianoro,» commentò Mirrim, apertamente dubbiosa.

«I sogni erano coerenti, in certi particolari,» disse Robinton, mostrandosi più paziente verso le obiezioni di Mirrim di quanto avesse immaginato Jaxom. «La montagna fiammeggiante, le rocce incandescenti ed i fiumi di lava. La gente in fuga...» S'interruppe, guardando gli altri, in attesa.

«La gente era in preda al panico!» esclamò Sharra. «Non potevano avere avuto il tempo di portar via molta roba!»

«Potrebbero essere tornati quando il peggio dell'eruzione era passato,» fece Menolly. «Ricordate quella volta, nel Tillek occidentale...»

«È appunto quel che pensavo io,» disse l'Arpista, con un cenno d'appro-vazione.

«Ma, Maestro,» continuò Menolly, confusa, «il vulcano continuò a erut-tare cenere per settimane. Alla fine, colmò la valle.» Fece un gesto descrit-tivo con la mano. «Ed i detriti impedirebbero di vedere quello che c'era prima.»

«Il vento prevalente su questo pianoro è di Sud-Est, e molto forte,» notò Piemur, facendo a sua volta un gesto, come per spazzar via qualcosa. «Non hai notato quant'è forte?»

«Ed è appunto per questo che è rimasto qualcosa di visibile dall'alto,» osservò l'Arpista. «So che è soltanto una vaga possibilità, Jaxom, ma ho la sensazione che l'eruzione cogliesse alla sprovvista i nostri antenati. Perché, non riesco a capirlo. Senza dubbio, gente capace di mantenere le Sorelle dell'Alba in posizione stazionaria nel cielo per chissà quanti Giri doveva essere in grado d'identificare un vulcano attivo. Secondo me, l'eruzione fu spontanea, del tutto inaspettata. La gente venne sorpresa mentre svolgeva le sue attività quotidiane, nelle Fortezze, nelle Tenute e nelle Sedi delle

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Arti. Se riuscirai a ottenere che Ruth metta a fuoco quelle visioni disparate, forse potremo identificare quali tumuli erano importanti, basandoci sul numero delle persone che ne uscivano.

«Io non posso recarmi sul Pianoro per esplorare personalmente, ma niente impedisce al mio cervello di suggerire quello che farei, se potessi andarci.»

«Noi saremo le tue mani e le tue gambe,» promise Jaxom. «E loro saranno i tuoi occhi,» aggiunse Menolly, indicando le lucertole

di fuoco posate sulle travi. «Sapevo che l'avreste pensata come me,» disse l'Arpista, sorridendo con

affetto. «Quando vuoi che proviamo?» chiese Jaxom. «Domani è troppo presto?» chiese Robinton in tono lamentoso. «Per me va benissimo. Piemur, Menolly, Sharra, avrò bisogno di voi e

delle vostre lucertole di fuoco!» «Potrei venire anch'io,» disse Mirrim. Jaxom notò l'espressione chiusa di Sharra e comprese che neppure lei

avrebbe gradito la presenza di Mirrim. «Non credo che andrebbe bene, Mirrim. Path spaventerebbe le lucertole

meridionali.» «Oh, non dire sciocchezze, Jaxom,» ribatté Mirrim, rifiutando quell'ar-

gomentazione. «Ha ragione lui, Mirrim. Guarda nella Baia, adesso. Non c'è una sola lu-

certola di fuoco che non sia contrassegnata,» fece Menolly. «Sparirebbero tutte appena vedessero un drago che non fosse Ruth.»

«È ridicolo. Io ho tre delle lucertole di fuoco meglio addestrate di Pern...»

«Devo dichiararmi d'accordo con Jaxom,» disse l'Arpista, sorridendo con aria di scusa alla dragoniera di Benden. «E anche se devo ammettere che le tue sono senza dubbio le lucertole di fuoco meglio addestrate di Pern, non abbiamo il tempo necessario per lasciare che le meridionali si abituino a Path.»

«Non c'è bisogno che Path si faccia vedere...» «Mirrim, ormai è deciso,» disse con fermezza Robinton, senza più sorri-

dere. «Bene, allora è chiaro. Poiché qui non c'è bisogno di me...» Mirrim uscì. Jaxom notò che l'Arpista la seguiva con lo sguardo, e si sentì imbarazza-

to da quella scena. Si accorse che anche Menolly era turbata.

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«La sua Path è nervosa, oggi?» chiese sottovoce Robinton a Menolly. «Non credo, Maestro Robinton.» Zair cinguettò sulla spalla dell'Arpista, che assunse un'espressione di

rammarico. «Brekke è tornata. E io dovevo riposare.» Uscì quasi di corsa, voltandosi un istante per portarsi l'indice alle labbra,

prima di sparire nella sua stanza. Piemur, con aria indifferente, si spostò di un passo per occupare lo spazio rimasto libero. Alcune lucertole di fuoco entrarono sfrecciando. Jaxom riconobbe Berd e Grall.

«Il Maestro Robinton avrebbe dovuto riposare davvero,» disse Menolly, spostando nervosamente gli schizzi sul tavolo.

«Non si è affaticato troppo,» commentò Piemur. «Queste cose sono il suo pane. Era fuori di sé per la noia, e Brekke lo soffocava di premure quando non eri tu a farlo. Non è come se fosse su al Pianoro, a scavare...»

«Te lo dicevo, Brekke,» giunse dal portico la voce di F'nor. «Ti preoc-cupavi senza motivo.»

«Menolly, da quanto tempo sta riposando il Maestro Robinton?» chiese Brekke, entrando e avvicinandosi alla tavola.

«Mezzo otre,» rispose Piemur con un gran sorriso, indicando il vino. «Ed è andato a letto senza protestare.»

Brekke rivolse al giovane Arpista un lungo sguardo indagatore. «Non mi fido di te, Arpista Piemur,» disse. Poi guardò Jaxom. «Anche tu sei stato qui tutto il pomeriggio?»

«Io? Proprio no. Io e Ruth abbiamo dormito fino a quando ci ha svegliati Mirrim.»

«Dov'è Mirrim? chiese F'nor, guardandosi intorno. «Fuori, da qualche parte,» rispose Menolly con voce così incolore che

Brekke la sbirciò con apprensione. «Mirrim ha...» Brekke strinse le labbra in una smorfia di disapprovazio-

ne. «Accidenti a quella ragazza!» Alzò gli occhi verso Berd, che uscì sfrecciando dalla Sala.

F'nor s'era chinato sulle mappe e scuoteva il capo, sorpreso e compiaciu-to.

«Voialtri lavorate per venti, no?» chiese rivolgendo a tutti un gran sorri-so.

«Beh, questa parte dei venti ha fatto abbastanza lavoro,» disse Piemur, stiracchiandosi le braccia fino a far scricchiolare le giunture. «Voglio fare una nuotata per togliermi il sudore dalla fronte e l'inchiostro dalle dita. C'è qualcuno che viene con me?»

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Jaxom accettò con entusiasmo, imitato dalle due ragazze, e mentre F'nor si lagnava scherzosamente di essere stato abbandonato, corsero verso la spiaggia. Jaxom riuscì ad afferrare la mano di Menolly mentre Sharra e Piemur si precipitavano oltre la curva.

«Menolly, come ha fatto il Maestro Robinton a saperlo?» La giovane Arpista smise di ridere, ed i suoi occhi si oscurarono. «Non gliel'ho detto io, Jaxom. Non è stato necessario. Non so quando

l'abbia capito. Ma tutto indicava te.» «E come?» Menolly enumerò le ragioni sulla punta delle dita. «Tanto per comincia-

re, doveva essere stato un drago a riportare l'uovo. Era l'unico modo. Pre-feribilmente un drago che conoscesse benissimo il Terreno della Schiusa di Benden. Il drago doveva essere guidato da qualcuno che desiderava arden-temente recuperare l'uovo, e che era in grado di trovarlo.» Quell'ultima precisazione sembrava la più importante. «Molti altri capiranno che sei stato tu, adesso.»

«Perché proprio adesso?» «Non è stato qualcuno del Weyr Meridionale a restituire l'uovo di Ra-

moth.» Menolly sorrise a Jaxom e gli diede uno schiaffetto affettuoso sulla guancia. «Mi sono sentita così fiera di te, quando ho capito che eravate stati tu e Ruth! E ancora più fiera perché non avete fatto chiasso. Ed era così importante che in quel momento Benden credesse che un cavaliere del Weyr Meridionale si fosse pentito e avesse restituito l'uovo di Ruth...»

«Ehi, Jaxom, Menolly, venite!» Il ruggito di Piemur li distrasse. «Facciamo a chi arriva prima?» chiese Menolly, voltandosi e correndo

verso la spiaggia. Non poterono nuotare molto a lungo. Riapparve la nave del Maestro Ida-

rolan, con il vessillo azzurro annunciante un'ottima pesca che sventolava sull'albero maestro. Brekke li chiamò per aiutarla a sbuzzare un numero di pesci sufficiente per il pasto serale. Non sapeva con esattezza quanti di coloro che adesso si trovavano sul Pianoro sarebbero tornati alla Fortezza della Baia per cena, ma il pesce già cotto poteva servire per gli involtini del giorno dopo, annunciò, ignorando allegramente le proteste. Mandò Mirrim a portare le provviste a N'ton ed al Maestro Wansor, che intende-vano effettuare osservazioni serali di quelle che Piemur chiamava con scherzosa irriverenza le Sorelle dell'Alba, del Crepuscolo e della Mezza-notte.

«E cosa scommetti che Mirrim cercherà di restar là tutta notte, per sco-

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prire se Path fa scappare davvero le lucertole di fuoco meridionali?» chiese Piemur, con un sorriso malizioso.

«Mirrim ha lucertole di fuoco ben addestrate,» disse Menolly. «E strillano esattamente come lei, quando rimbrottano gli amici di tutti

gli altri,» aggiunse Piemur. «Questo non è giusto,» ribatté Menolly. «Mirrim è una mia cara ami-

ca...» «In questo caso dovresti farle capire che non può dar ordini a tutti gli a-

bitanti di Pern!» Mentre Menolly cominciava ad adombrarsi, i draghi presero ad apparire

nell'aria sopra la Baia, facendo tanto chiasso che non era possibile sentire altro.

I draghi non erano i soli a mostrarsi d'ottimo umore. La serata fu caratte-rizzata da un'atmosfera d'eccitazione e d'attesa.

Jaxom si rallegrò di aver dormito nel pomeriggio, perché gli sarebbe spiaciuto perdersi quell'occasione. C'erano tutti i sette Comandanti dei Weyr; D'ram aveva notizie riservate per F'lar a proposito del Weyr Meri-dionale, e N'ton restò soltanto per una parte della sera perché doveva anda-re a scrutare il cielo insieme a Wansor. C'erano anche i Maestri Nicat, Fandarel, Idarolan e Robinton, e il Nobile Lytol.

Con grande sorpresa di Jaxom, i tre Comandanti Antichi, G'narish di I-gen, R'mart di Telgar, e D'ram, che adesso era responsabile del Weyr Me-ridionale, s'interessavano a quello che poteva essere nascosto nella colonia sepolta molto meno di N'ton, T'bor, G'dened e F'lar. Gli Antichi erano molto più desiderosi di esplorare le vaste terre e la lontana catena montuo-sa che di scavare per disseppellire il loro passato.

«È il passato,» disse R'mart di Telgar. «Il passato è morto è sepolto. Noi dobbiamo vivere nel presente; e questo sei stato tu a insegnarcelo, F'lar, ricordalo.» Sorrise, per attenuare quel rimprovero. «E poi, non sei stato tu, F'lar, a dire che è inutile confonderci le idee pensando a come facevano le cose i nostri antenati... che è meglio costruire da soli quello che è utile per il nostro tempo?»

F'lar sorrise, nel sentirsi rinfacciare le sue parole. «Spero di trovare da qualche parte Cronache indenni, che colmino le lacune di quelle pervenute fino a noi. E magari qualche altro oggetto utile come l'ingranditore che abbiamo scoperto nel Weyr di Benden.»

«E guarda a che cosa ci ha portato!» esclamò R'mart, scoppiando in una risata.

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«Gli strumenti intatti avrebbero un valore inestimabile,» disse in tono solenne Fandarel.

«Forse riusciremo a trovartene qualcuno, Maestro Robinton,» disse pen-sieroso Nicat, «perché soltanto una zona dell'abitato ha subito danni gra-vissimi.» Subito, divenne il centro dell'attenzione generale. «Vedete,» ag-giunse, tirando fuori uno schizzo, «il fiume di lava è a Sud. Qui, qui e qui, è stato interrotto dai crateri secondari, e la lava ha seguito il pendio, ri-sparmiando quasi tutto l'abitato. Il vento prevalente, poi, ha portato lontano la cenere. Ho scavato un po', oggi, ed ho trovato solo uno strato sottile di detriti vulcanici.»

«C'è soltanto quell'abitato? Avevano a disposizione tutto il mondo,» commentò R'mart.

«Domani troveremo gli altri,» gli assicurò l'Arpista. «No, Jaxom?» «Signore?» Jaxom si alzò, sconcertato nel sentirsi chiamare in causa. «No, davvero, R'mart, può darsi che abbia ragione tu,» disse F'lar, ten-

dendosi verso il tavolo. «E in realtà non sappiamo se l'eruzione indusse i nostri antenati ad abbandonare il Pianoro in tempi immediatamente suc-cessivi.»

«Non sapremo niente se prima non entreremo in quei tumuli e non sco-priremo quello che abbandonarono, se pure abbandonarono qualcosa,» disse N'ton.

«Sii prudente, Comandante del Weyr,» fece il Maestro Nicat a N'ton, ma il suo sguardo includeva tutti. «Meglio ancora, manderò un maestro e qualche minatore specializzato per dirigere gli scavi.»

«Insegnaci i trucchi del mestiere, Maestro Nicat,» disse R'mart. «Ab-biamo qualcosa da imparare sull'Arte dei minatori, no?»

Jaxom represse una risata nel vedere l'espressione dapprima perplessa e poi indignata sul volto del Maestro Minatore.

«I dragonieri che scavano?» «Perché no?» ribatté F'lar. «I Fili passeranno. Anche troppo presto, arri-

verà un altro Intervallo. Ti assicuro una cosa: una volta aperte le terre del Continente Meridionale, i Weyr non dovranno più dipendere da nessuno durante gli Intervalli.»

«Ah, sì, un'idea sensata, Comandante del Weyr, molto sensata,» ammise prudentemente Maestro Nicat, sebbene fosse chiaro che avrebbe avuto bisogno di tempo per assimilare una concezione tanto rivoluzionaria.

I draghi che oziavano sulla spiaggia cantilenarono un benvenuto. N'ton si affrettò ad alzarsi. «Devo raggiungere Wansor per osservare le

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stelle. Queste devono essere Path e Mirtini che ritornano. Omaggi a tutti.» «T'illuminerò la strada, N'ton,» si offrì Jaxom, prendendo una lampada-

cesto e togliendo lo schermo. Quando furono piuttosto lontani dagli altri, N'ton si girò verso Jaxom.

«Questo è di tuo gradimento, eh, Jaxom? Più che volare docilmente con la squadriglia delle regine.»

«Non l'ho fatto apposta, N'ton,» disse Jaxom, ridendo. «Volevo solo ve-dere la montagna prima che lo facesse qualcun altro.»

«Non è stata un'ispirazione, questa volta?» «Un'ispirazione?» N'ton gli passò amichevolmente un braccio intorno alle spalle, ridac-

chiando. «No, immagino che l'ispirazione sia venuta dalle immagini delle lucertole di fuoco.»

«La montagna?» N'ton gli batté la mano sulla spalla. «Bravo!» Videro la massa scura di un drago posarsi sulla spiaggia, poi due dischi

fosforescenti, quando Lioth girò la testa verso di loro. «Un drago bianco è avvantaggiato, di notte,» disse N'ton, indicando

Ruth, visibile a poca distanza dal bronzeo. Sono contento che tu sia venuto. Ho prurito in un punto dove non riesco

a grattarmi, disse Ruth. «Vuole che mi occupi di lui, N'ton.» «Allora lasciami il cesto; poi lo darò a Mirrim, in modo che possa arri-

vare fino alla punta.» Si separarono e Jaxom andò a occuparsi di Ruth. Sentì N'ton salutare

Mirrim: le loro voci giungevano lontane, nel silenzio della notte. «Certo che Wansor sta benone,» disse Mirrim, in tono stizzito. «Tiene

gli occhi incollati a quel suo cilindro. Non ha notato il mio arrivo, non ha mangiato quello che gli ho portato, non si è accorto che sono ripartita. E inoltre,» fece una pausa e trasse un profondo respiro, «Path non ha fatto scappare per la paura le lucertole meridionali.»

«E perché avrebbe dovuto farle scappare?» «Non mi è permesso di andare sul Pianoro, quando Jaxom e gli altri cer-

cheranno di convincere le lucertole meridionali a spiegarsi in modo sensa-to.»

«In modo sensato? Oh, sì: per vedere se Ruth riesce a chiarire le imma-gini delle lucertole di fuoco. Beh, io non me la prenderei, Mirrim. Ci sono tante altre cose che puoi fare.»

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«Almeno il mio drago non è un nano asessuato, buono solo a far comu-nella con le lucertole di fuoco!»

«Mirrim!» Jaxom sentì la freddezza del tono di N'ton; sembrava echeggiare il gelo

che lui sentiva nelle viscere. Il commento petulante di Mirrim gli risuonò all'infinito nelle orecchie.

«Sai benissimo quello che voglio dire, N'ton...» Era tipico di Mirrim, pensò Jaxom, non far caso all'avvertimento del to-

no di N'ton. «Dovresti saperlo,» continuò lei, con la foga dell'irritazione. «Non sei

stato tu a dire a F'nor e a Brekke che dubitavi che Ruth si sarebbe mai ac-coppiato? Dove vai, N'ton? Credevo che andassi...»

«Tu non pensi mai, Mirrim!» «Cosa c'è, N'ton?» L'improvviso panico di Mirrim servì a consolare un

po' Jaxom. Non smettere, disse Ruth. Mi fa ancora prurito. «Jaxom?» Il richiamo di N'ton era sommesso, rassicurante, ma giungeva

da lontano. «Jaxom?» gridò Mirrim. «Oh, no!» Poi Jaxom la sentì correre via, vide

il movimento sussultante della lampada-cesto, la udì piangere. Era tipico di quella ragazza: prima parlava, poi rifletteva, e piangeva per giornate intere. Adesso gli avrebbe ronzato intorno pentita, facendogli venir voglia di an-dare in mezzo per l'insistenza con cui avrebbe cercato di farsi perdonare.

«Jaxom!» N'ton era ansioso. «Sì, N'ton?» Jaxom continuò a grattare diligentemente la spina dorsale

di Ruth, chiedendosi perché il crudele commento di Mirrim non gli brucia-va come sarebbe stato logico. Nano asessuato! Quando vide N'ton avvici-narsi a grandi passi, provò uno strano senso di sollievo. Il ricordo dei cava-lieri in attesa che la verde di Fort si accoppiasse gli balenò nella mente. Sì, aveva creduto, allora, che Ruth si mostrasse disinteressato. Rimpiangeva un po' che Ruth fosse defraudato di quell'esperienza; ma era un sollievo pensare che lui non sarebbe mai stato costretto a sopportarla.

«Devi averla sentita.» C'era una sfumatura di speranza, nella voce di N'ton: probabilmente si augurava che lui non avesse sentito niente.

«Sì. I suoni giungono lontani, in riva all'acqua.» «Accidenti a lei! Brucialo! Stavamo per dirtelo... e poi tu hai preso la te-

sta-di-fuoco, e adesso questo. Non si è mai presentata l'occasione...» Le spiegazioni di N'ton erano precipitose.

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«Posso sopravvivere, Come Path e Mirrim, ci sono altre cose che pos-siamo fare.»

N'ton emise un gemito che gli saliva dalle viscere. «Jaxom!» Gli strinse la spalla, cercando di esprimere con quel gesto il suo rammarico.

«Non è colpa tua, N'ton.» «Ruth capisce quello che abbiamo detto?» «Ruth capisce che gli prude la schiena.» E mentre rispondeva, Jaxom si

stupì che Ruth non si mostrasse minimamente turbato. Ecco, hai trovato il punto esatto. Più forte, adesso. Jaxom sentì sotto le dita il tratto arido e un po' scaglioso sulla pelle mor-

bida. «Credo di averlo intuito, N'ton,» continuò Jaxom, «quella volta al Weyr

di Fort, che c'era qualcosa che non andava. So che K'nebel si aspettava che Ruth si levasse in volo per inseguire quella femmina verde. Io pensavo che Ruth, essendo nato così piccolo, forse sarebbe maturato più tardi degli altri draghi.»

«Non maturerà mai più di così, Jaxom!» Jaxom si sentì commosso dal sincero rammarico del dragoniere bronzeo. «E allora? Lui è il mio drago ed io sono il suo cavaliere. Siamo insie-

me!» «Ruth è unico!» Il verdetto di N'ton era fervido; accarezzò Ruth con af-

fettuoso rispetto. «E anche tu, mio giovane amico!» Strinse di nuovo la spalla di Jaxom, esprimendo con il gesto quello che non riusciva a dire con le parole. Lioth emise un verso nell'oscurità, e Ruth, girando la testa verso il drago bronzeo, rispose cortesemente.

Lioth è un gran bravo drago. Il suo cavaliere è un uomo generoso. Sono buoni amici.

«Siamo sempre tuoi amici,» disse N'ton, stringendo ancora una volta la spalla di Jaxom. «Devo andare da Wansor Sei sicuro che sia tutto a po-sto?»

«Vai pure, N'ton. Io devo far passare il prurito a Ruth.» Il Comandante del Weyr di Fort esitò ancora un istante, prima di girare

sui tacchi e di avviarsi verso il suo bronzeo. «Forse farò meglio a oliare questa chiazza, Ruth,» disse Jaxom. «Da un

po' di tempo ti sto trascurando.» Ruth girò la testa, e i suoi occhi brillarono azzurri nell'oscurità. Tu non

mi trascuri mai. «E invece sì, altrimenti non avresti queste chiazze ruvide.»

Page 323: Anne McCaffrey - Il Drago Bianco

Avevi tanto da fare! «C'è una pentola d'olio fresco in cucina. Aspettami!» Con gli occhi abituati all'oscurità dei tropici, Jaxom andò alla Fortezza,

trovò la pentola nella credenza della cucina e ritornò. Si sentiva stanco, fisicamente e mentalmente. Mirrim era così indiscreta! Se avesse lasciato che venissero anche lei e Path... Beh, prima o poi avrebbe saputo comun-que la verità sul conto di Ruth. Perché Ruth non era sconvolto? Forse, se lui fosse stato completamente pronto ad accettare che il suo drago facesse quell'esperienza, Ruth sarebbe maturato. Jaxom ricordò che non avevano mai potuto comportarsi veramente da drago e cavaliere: erano cresciuti nella Fortezza, anziché nel Weyr dove gli accoppiamenti dei draghi erano un fatto normale. E Ruth non era immune alle esperienze sessuali. Era sempre presente quando Jaxom aveva rapporti di quel tipo.

Io amo con te e ti amo. Ma ho un prurito tremendo alla schiena. Questo era abbastanza chiaro, pensò Jaxom, mentre si affrettava ad at-

traversare la foresta per tornare dal drago. C'era qualcuno con Ruth, e gli stava grattando la schiena. Se era Mir-

rim... Jaxom si avvicinò, incollerito. C'è Sharra, con me, gli disse tranquillamente Ruth. «Sharra?» Trangugiando un'ondata irrazionale di rabbia, accettò la sua

presenza. «Ho preso l'olio. Ruth ha una chiazza che si spella. L'ho trascu-rato troppo.»

«Tu non hai mai trascurato Ruth,» ribatté lei con tanta enfasi che Jaxom sorrise stupito.

«Mirrim ha...» cominciò, tendendo la pentola perché Sharra potesse im-mergervi la mano.

«Sì, e non ha trovato comprensione presso nessuno di noi, ti assicuro.» La collera di Sharra si tradusse in un massaggio troppo brusco, e Ruth si lagnò. «Scusami, Ruth. Hanno rimandato Mirrim a Benden!»

Jaxom alzò gli occhi verso il punto dov'era atterrata Path. Il drago verde non c'era più.

«E ti hanno mandata da me?» Si accorse che Sharra non gli dava fasti-dio: anzi, la sua presenza era una consolazione.

«Non mandata...» Lei s'interruppe. «Sono stata... sono stata chiamata!» concluse precipitosamente.

«Chiamata?» Jaxom smise di massaggiare il dorso di Ruth e la guardò. Il suo viso era un ovale pallido, con le macchie scure degli occhi e della boc-ca.

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«Sì, chiamata. È stato Ruth. Ha detto che Mirrim...» «Lui ha detto?» l'interruppe Jaxom, quando finalmente capì. «Tu puoi

sentire Ruth?» Doveva sentirmi quando tu eri malato, Jaxom, disse il drago nello stesso

istante in cui Sharra rispondeva: «Posso sentirlo da quando tu eri malato.» «Ruth, perché hai chiamato Sharra?» Lei va bene per te. Hai bisogno di lei. Quello che ha detto Mirrim, e

quello che ha detto N'ton, anche se lui è stato più gentile, ti ha spinto a chiuderti. Non mi piace quando non posso udire la tua mente. Sharra la riaprirà.

«Lo farai, Sharra?» Questa volta, Jaxom non esitò. Prese le mani di Sharra, unte d'olio

com'erano, e l'attirò a sé, assurdamente felice perché era alta quasi quanto lui, perché la sua bocca era così vicina. Dovette solo inclinare leggermente la testa.

«Farei qualunque cosa per te, Jaxom, qualunque cosa, per te e per Ruth!» Le labbra di Sharra si mossero deliziosamente sulle sue, fino a quando parlare divenne impossibile.

Jaxom sentì un calore diffondersi nel suo ventre, scacciare il gelo che angosciava lui e il suo drago... il calore del corpo snello di Sharra, e il pro-fumo dei lunghi capelli che gli saliva alle nari mentre la baciava, la pres-sione delle braccia contro il suo dorso. E le mani di lei, adesso, non erano quelle d'una guaritrice, ma le mani di un'amante.

Fecero all'amore nell'oscurità calda e dolce, trovando la felicità l'uno nell'altra, rispondendo insieme al momento dell'estasi, perfettamente con-sci che Ruth amava con loro.

XX

Alla Montagna e alla Fortezza di Ruatha 15.10.18 - 15.10.20. Jaxom non riusciva a sentirsi a suo agio quando guardava il versante o-

rientale della montagna. Sistemò se stesso, Sharra e Ruth in modo che non dovessero vederlo. Gli altri cinque si piazzarono in un semicerchio irrego-lare intorno a lui.

Le diciassette lucertole di fuoco contrassegnate - perché all'ultimo mo-

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mento anche Sebell e Brekke avevano chiesto di far parte del gruppo - si posarono sul dorso di Ruth. Era meglio che le lucertole di fuoco addestrate fossero numerose, aveva detto il Maestro Robinton: e questo, aveva ag-giunto, gli dava la possibilità di includere Zair.

La notizia del ritrovamento dell'abitato degli antenati sul Pianoro s'era diffusa in tutto Pern con una rapidità che aveva sbalordito persino l'Arpi-sta. Tutti insistevano per venirlo a vedere. F'lar aveva mandato a dire che se Jaxom e Ruth dovevano sondare le memorie delle lucertole di fuoco, avrebbero fatto meglio a decidersi subito, altrimenti non ne avrebbero più avuto la possibilità.

Quando Ruth si era posato, le lucertole meridionali avevano incomincia-to ad arrivare a sciami, guidate dalle regine, tuffandosi verso Ruth che lan-ciava mugolii di saluto come gli aveva suggerito Jaxom.

Sono contente di vedermi, disse Ruth a Jaxom. E felici che gli uomini tornino in questo posto.

«Chiedi loro della prima volta che hanno visto gli uomini.» Jaxom captò da Ruth un'immagine remota di molti draghi che arrivavano

oltre il dosso della montagna. Lo so, riconobbe in tono drammatico. Lo chiederò ancora. Non la volta

con i draghi, ma tanto tempo fa, prima che la montagna esplodesse. La reazione delle lucertole di fuoco fu prevedibile e scoraggiante. Prese-

ro il volo ed eseguirono in cielo danze frenetiche, trillando e gridando di sgomento.

Deluso, Jaxom si voltò e vide che Brekke aveva alzato la mano, con u-n'espressione d'intensa concentrazione sul volto. Si appoggiò a Ruth, chie-dendosi che cosa aveva attratto l'attenzione di Brekke. Anche Menolly alzò la mano. Era seduta abbastanza vicina a Jaxom, e lui poté vedere che aveva lo sguardo completamente sfuocato. Sulla sua spalla, Bella aveva assunto una posizione rigida, e roteava vertiginosamente gli occhi arrossati. Sopra di loro, le lucertole di fuoco ciangottavano e continuavano a girare all'im-pazzata.

Vedono la montagna in fiamme, disse Ruth. Vedono gente che fugge, in-seguita dal fuoco. Hanno paura, come ebbero paura tanto tempo fa. È lo stesso sogno che facevamo noi.

«Puoi vedere i tumuli? Prima che venissero coperti?» Preso dall'eccita-zione, Jaxom parlò a voce alta.

Vedo solo gente che fugge di qua e di là. No, tutti stanno correndo ver-so... verso di noi? Ruth si guardò intorno, come se si aspettasse di venire

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travolto: le immagini trasmesse dalle lucertole di fuoco erano estremamen-te vivide.

«Verso di noi, e poi dove?» Già all'acqua? Nemmeno Ruth era sicuro; si voltò a guardare verso il

mare lontano, invisibile. Hanno di nuovo paura. Non amano ricordare la montagna. «Come non amano ricordare la Stella Rossa,» disse imprudentemente

Jaxom. Tutte le lucertole di fuoco sparirono, comprese quelle contrasse-gnate.

«L'hai fatta grossa, Jaxom,» fece Piemur in tono di profondo disgusto. «Non si può parlare di quella stramaledetta Stella Rossa davanti alle lucer-tole di fuoco. Di montagne fiammeggianti, sì, ma non di stelle rosse.»

«Innegabilmente,» disse Sebell, con quella sua voce profonda e tranquil-la, «vi sono momenti che si sono impressi nella mente dei nostri piccoli amici. Quando incominciano a ricordarli, tutto il resto resta escluso.»

«È associazione,» fece Brekke. «Allora,» disse Piemur, «abbiamo bisogno di un altro posto che susciti

in loro ricordi meno angosciosi. Ricordi... utili... a noi...» «Non si tratta di questo,» precisò Menolly, scegliendo con cura le paro-

le. «Questione d'interpretazione. Io ho visto qualcosa. Credo di non sba-gliarmi. Non fu la grande montagna a eruttare, fu...» Si voltò e indicò il più piccolo dei tre crateri. «È quello che esplodeva nei nostri sogni!»

«No, era quello grande!» la contraddisse Piemur, indicandolo. «Ti sbagli, Piemur,» disse Brekke, con tranquilla certezza. «Era il più

piccolo... nelle mie immagini è tutto sulla sinistra. La montagna grande è molto più in alto di quella che sono sicura di aver visto.»

«Sì, sì!» esclamò Menolly, emozionata. «L'angolo è importante. Le lu-certole di fuoco non potevano vedere così in alto! Ricorda che sono molto, molto più piccole. E guarda l'angolo. È esatto!» Balzò in piedi, gesticolan-do. «La gente veniva da là, e correva da questa parte, allontanandosi dal vulcano più piccolo. Veniva dai tumuli. Dai tumuli più grandi!»

«È quel che ho visto io,» confermò Brekke. «Quei tumuli laggiù.» «Dunque cominciamo da questi?» chiese F'lar, la mattina dopo, sospi-

rando alla prospettiva di sbancare una collinetta. Lessa gli stava accanto e scrutava i monticelli silenziosi, insieme al Maestro Fabbro, al Maestro Minatore Nicart, a F'nor e N'ton. Jaxom, Piemur, Sbarra e Menolly si tene-vano discretamente in disparte. «Quello grande» chiese, ma il suo sguardo

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passò sulle file parallele, con un'espressione rassegnata. «Qui rischiamo di scavare fino al termine del Passaggio,» disse Lessa

battendosi contro la coscia i guanti da volo, scrutando pensierosa a sua volta quella distesa di anonimi mucchi di terra.

«Un'area immensa,» disse Fandarel. «Immensa! Un abitato più grande delle Fortezze di Fort e Telgar messe insieme.» Alzò gli occhi nella dire-zione delle Sorelle dell'Alba. «Erano venuti tutti da quelle?» Scosse il ca-po, abbagliato dall'idea. «Da dove bisogna cominciare?»

«Ma tutti gli abitanti di Pern vengono qui, oggi?» chiese Lessa, quando un drago bronzeo irruppe nell'aria sopra le loro teste. «Tiroth di D'ram! Con Toric?»

«Non credo che potremmo escluderlo, anche se volessimo, e non sareb-be prudente cercare di farlo,» osservò F'lar in tono ironico.

«È vero,» rispose lei, poi sorrise al compagno. «Mi è piuttosto simpati-co,» aggiunse, quasi stupita del proprio giudizio.

«Mio fratello sa rendersi simpatico,» disse sottovoce Sharra a Jaxom, con uno strano sorriso. «Ma fidarsi di lui?» Scosse la testa, lentamente, scrutando il volto del giovane. «È molto ambizioso.»

«Se la prende comoda per dare un'occhiata, no?» commentò N'ton, guar-dando la pigra planata del drago.

«È un panorama che merita di essere guardato,» rispose F'nor, scrutando la distesa costellata di tumuli.

«È Toric, quello lassù?» chiese il Maestro Nicat, piantando la punta del-lo stivale in terra. «Sono contento che sia venuto. Mi ha mandato a chia-mare, quando ha trovato quelle miniere nella Catena Occidentale.»

«Avevo dimenticato che aveva già una certa esperienza delle opere dei nostri antenati,» disse F'lar.

«E dispone anche di uomini esperti che possono aiutarci, senza che sia-mo costretti a rivolgerci ai Signori delle Fortezze,» disse N'ton con un sor-riso saputo.

«Che io preferisco non s'interessino troppo di questi territori orientali,» disse in tono fermo Lessa.

Quando D'ram e Toric smontarono, Tiroth planò sulla pianura erbosa per raggiungere gli altri draghi che oziavano su una sporgenza di roccia riscal-data dal sole. Mentre Toric e il cavaliere bronzeo si dirigevano verso di loro, Jaxom scrutò il meridionale pensando ai commenti di Sharra. Toric era un uomo imponente, alto e massiccio come il Maestro Fandarel. Aveva i capelli decolorati dal sole, la carnagione abbronzata e, sebbene il suo

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sorriso fosse cordiale, c'era una sicurezza arrogante nel modo in cui si muoveva: evidentemente, si sentiva un eguale di coloro che lo attendeva-no. Jaxom si chiese che effetto poteva fare quel contegno sui Comandanti del Weyr di Benden.

«Avete scoperto il Continente Meridionale, no, Benden?» chiese, strin-gendo il braccio di F'lar in atto di saluto e inchinandosi a Lessa con un sorriso. Rivolse cenni del capo agli altri Comandanti e agli altri Maestri, mormorando i loro nomi, e nello stesso tempo lanciò un'occhiata ai giovani che stavano più indietro. Quando lo sguardo di Toric si posò per un attimo sul suo viso, Jaxom comprese che l'aveva identificato. Irritato per il modo in cui quello sguardo lo abbandonava, come se lui fosse un essere trascu-rabile, s'irrigidì. Poi sentì la mano di Sharra posarsi leggera sul suo brac-cio.

«Lo fa apposta per irritare,» disse lei, con voce sommessa in cui fremeva l'eco di una risata. «Molto spesso ci riesce.»

«Mi ricorda il modo in cui il mio fratello di latte mi provocava davanti a Lytol, quando sapeva che non potevo reagire,» fece Jaxom, stupito di quel paragone inaspettato. Lesse l'approvazione negli occhi ridenti di Sharra.

«Il guaio è,» stava dicendo Toric, ad alta voce, «che gli antenati non la-sciarono molta roba; appena potevano, la portavano via per usarla ancora. Erano tipi parsimoniosi!»

«Oh?» L'esclamazione di F'lar era un invito a spiegarsi meglio. Il meridionale alzò le spalle. «Abbiamo esplorato i pozzi della [miniera

che ci hanno lasciato. Hanno portato via persino i binari per i carrelli dei minerali, e i sostegni dove appendevano le lampade. In un posto c'era un rifugio abbastanza grande, all'imboccatura. Grande all'incirca come quel-lo.» Indicò il più piccolo dei tumuli vicini. «Accuratamente chiuso per proteggerlo dalle intemperie, e vuoto. Anche lì si vedeva dove c'era stato qualcosa imbullonato sul pavimento. Avevano recuperato persino i bullo-ni.»

«Se anche qui furono altrettanto meticolosi,» disse Fandarel, «possiamo sperare di trovar qualcosa soltanto in quei tumuli.» Additò un gruppo di monticelli al limitare dell'abitato, presso al fiume di lava. «Dovevano esse-re troppo caldi e troppo pericolosi perché fosse possibile avvicinarsi molto presto.»

«E se erano troppo caldi, cosa ti fa pensare che possa essere rimasto qualcosa?» chiese Toric.

«Perché il tumulo ha resistito fino ad oggi,» rispose Fandarel, come se

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fosse la cosa più logica. Toric lo guardò per un momento, poi gli batté la mano sulla spalla. Non

badò all'occhiata sbalordita rivoltagli da Fandarel, che era abituato a venir trattato con maggior rispetto.

«Un punto a tuo favore, Maestro Fabbro,» disse Toric. «Sarò lieto di scavare insieme a te, e mi auguro che tu abbia ragione.»

«Mi piacerebbe vedere cosa c'è nei monticelli più piccoli,» disse Lessa, voltandosi per indicarne uno. «Ce ne sono tanti. Forse venivano usati come piccole fortezze. Senza dubbio ci sarà rimasto qualcosa, se fuggirono tutti a precipizio.»

«E cosa poteva esserci, nei posti più grandi?» chiese F'lar, sferrando un calcio all'erba del monticello più vicino.

«Ci sono abbastanza mani e...» Toric avanzò di tre passi verso il muc-chio di utensili, «e badili e picconi in abbondanza perché ognuno possa scavare il monticello che preferisce.» Raccolse un badile dal lungo manico e lo gettò al Maestro Fabbro, il quale lo afferrò istintivamente, fissando sbalordito il meridionale. Toric si caricò sulle spalle un altro badile, scelse due picconi e, senza aggiungere altro, si diresse verso il gruppo dei tumuli scelti da Fandarel.

«Se la teoria di Toric è giusta, val la pena di scavare qui?» chiese F'lar alla sua compagna.

«Quello che abbiamo trovato nella stanza dimenticata al Weyr di Ben-den era stato evidentemente abbandonato dai nostri antenati. E dopotutto, le attrezzature minerarie possono essere riutilizzate altrove. E poi, voglio vedere quel che c'è dentro.» Lessa lo annunciò in tono così deciso che F'lar scoppiò a ridere.

«Voglio vederlo anch'io. E mi domando cosa ci facevano, in un posto tanto grande. È abbastanza ampio per ospitare un paio di draghi.»

«Ti aiuteremo noi, Lessa,» fece Sharra, indicando a Jaxom di prendere un utensile.

«Menolly, noi aiutiamo F'lar?» chiese F'nor. N'ton scosse il capo, soppesando una vanga e un piccone. «Maestro Ni-

cat, tu cosa preferisci?» Il Maestro Minatore si guardò intorno dubbioso, ma i suoi occhi torna-

vano a posarsi sui tumuli più vicini alla montagna, verso i quali si stavano dirigendo Toric e Fandarel. «Penso che il nostro buon Maestro Fabbro potrebbe aver ragione. Ma dividiamoci i compiti. Proviamo con quelli.» Con decisione improvvisa indicò il lato verso il mare, dove sei monticelli

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piuttosto piccoli formavano un cerchio irregolare. Nessuno era abituato a quel lavoro, sebbene il Maestro Nicat avesse co-

minciato come apprendista minatore, ed il Maestro Fandarel facesse anco-ra lunghi turni alle forge, quando fabbricava qualcosa di particolarmente complicato.

Jaxom, coperto di sudore, aveva la netta sensazione che qualcuno lo te-nesse d'occhio. Ma quando si appoggiava sul piccone per riprendere fiato, o deponeva delicatamente da parte colonie di bruchi, non vedeva nessuno che guardasse nella sua direzione. Era una sensazione fastidiosa.

Il grosso ti osserva, disse all'improvviso Ruth. Jaxom lanciò un'occhiata verso il tumulo dove stavano lavorando Toric e

Fandarel: e infatti Toric guardava dalla sua parte. Accanto a lui, Lessa ge-mette, piantando la pala tra le robuste radici dell'erba che copriva il tumu-lo. Si guardò le mani arrossate, che cominciavano a coprirsi di vesciche.

«È da molto tempo che non lavoravo così duramente,» disse. «Perché non usi i guanti da volo?» chiese Sharra. «Dopo pochi secondi, le mie mani nuoterebbero nel sudore,» rispose

Lessa con una smorfia. Guardò gli altri gruppi al lavoro e, ridacchiando, si lasciò cadere elegantemente a terra. «Anche se non mi entusiasma rivelare questo posto a troppa gente, credo che avremo bisogno di reclutare braccia e schiene robuste.» Catturò con destrezza un mucchietto di bruchi e li de-positò da una parte, guardandoli scavare nella terra grassa, nerogrigiastra. Sbriciolò qualche particella tra pollice e indice. «Sembra cenere. Sabbiosa. Non avrei mai pensato di dover guazzare di nuovo nella cenere. Ti ho mai detto, Jaxom, che stavo pulendo il camino della Fortezza di Ruatha, il giorno in cui arrivò tua madre?»

«No,» rispose Jaxom, stupito di quell'inattesa confidenza. «Ma del resto, capita di rado che qualcuno mi parli dei miei genitori.»

L'espressione di Lessa divenne severa. «Chissà perché mi è tornato in mente Fax...» disse, guardando Toric. Poi aggiunse, parlando a se stessa più che a Jaxom e Sharra: «Solo, anche lui era ambizioso. Ma Fax commi-se troppi errori.»

«Come togliere la Fortezza di Ruatha alla legittima Linea del Sangue,» continuò Jaxom, sbuffando, mentre brandiva il piccone.

«Quello fu il suo errore più grave,» fece Lessa con intensa soddisfazio-ne. Poi si accorse che Sharra la fissava e sorrise. «Io vi rimediai. Oh, Ja-xom, lascia stare un momento. Il tuo entusiasmo mi sfinisce.» Si asciugò il sudore dalla fronte. «Sì, credo che dovremo arruolare braccia robuste. Al-

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meno per il mio tumulo!» Vi batté la mano, quasi affettuosamente. «È im-possibile sapere quanto sia profondo lo strato che lo riveste. Forse,» e quel pensiero parve divertirla, «i tumuli non sono affatto grandi: sono solo so-vraccarichi di sabbia. Forse alla fine, dopo aver scavato, non troveremo niente di più grande d'una tana di wher.»

Jaxom, conscio dell'attenzione di Toric, continuò a scavare, sebbene gli dolessero le spalle e avesse le mani piene di vesciche.

In quel momento le due lucertole di fuoco di Sharra apparvero nell'aria, cinguettando tra loro come se non capissero cosa stava facendo la loro amica. Si posarono leggere sul punto dove Sharra aveva appena piantato la pala e, con grande energia, cominciarono a scavare. Le robuste zampe an-teriori sollevavano zampilli di terra, quelle posteriori la scostavano. Scava-rono una galleria profonda un braccio mentre Lessa, Sharra e Jaxom le guardavano sbalorditi.

«Ruth? Ci daresti il tuo aiuto?» chiamò Jaxom. Obbediente, il drago bianco si levò in volo e si posò accanto al suo ami-

co, cominciando a roteare gli occhi per la curiosità. «Ti piacerebbe scavare qualche buca per noi, Ruth?» Dove? Qui? Ruth indicò un punto alla sinistra delle lucertole di fuoco,

che non si erano fermate. «Non credo abbia importanza dove scavi: vogliamo vedere che cosa co-

pre l'erba!» Appena gli altri dragonieri videro quello che stava facendo Ruth, chia-

marono le loro bestie. Persino Ramoth si mostrò disposta ad aiutare, men-tre Lessa continuava ad incoraggiarla.

«Non l'avrei mai creduto,» disse Sharra a Jaxom. «I draghi che scava-no?»

«Lessa non si è mostrata troppo orgogliosa per scavare, no?» «Noi siamo umani, ma loro sono draghi!» Jaxom non seppe trattenere una risata di fronte a quella incredulità. «Ti

sei fatta un'idea sbagliata dei draghi, a forza di vivere fra le bestie neghit-tose degli Antichi.» Le cinse la vita e l'attirò a sé, ma poi la sentì irrigidirsi. Guardò in direzione di Toric. «Lui non sta guardando, se è questo che ti. preoccupa.»

«Lui forse no,» disse Sharra, indicando il cielo. «Ma le sue lucertole di fuoco sì. Mi chiedevo appunto dov'erano.»

Tre lucertole di fuoco, una regina e due bronzei, volteggiavano pigra-mente sopra di loro.

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«E con questo? Pregherò il Maestro Robinton di negoziare...» «Toric ha altri progetti per me...» «Ed io non sono incluso nei tuoi?» chiese Jaxom, turbato. «Lo sai benissimo, ed è per questo che... ci siamo amati. Ti volevo, fin-

ché era possibile.» Gli occhi di Sharra si erano offuscati. «E allora perché lui dovrebbe intromettersi? Il mio rango è...» Jaxom le

prese le mani e le tenne strette, quando lei cercò di svincolarsi. «Toric non ha una grande opinione dei giovani del Nord, Jaxom. Soprat-

tutto dopo aver avuto a che fare con le orde dei cadetti, durante gli ultimi tre Giri. Sono veramente qualcosa...» Sharra parlava in tono esasperato. «Qualcosa da mettere alla prova la pazienza di un Arpista. Io so che tu non sei come loro, ma Toric...»

«Dimostrerò a Toric quello che valgo, non temere.» Jaxom si portò le mani di Sharra alle labbra, guardandola negli occhi, deciso a scacciarne l'infelicità con la sua forza di volontà. «E lo farò nel modo dovuto, tramite Lytol e il Maestro Robinton. Tu vuoi essere la mia dama, no, Sharra?»

«Lo sai, Jaxom. Finché potrò...» «Finché vivremo,» la corresse lui, stringendole le mani così forte da far-

la rabbrividire. «Jaxom! Sharra!» chiamò Lessa, che fino a quel momento era stata trop-

po occupata a seguire l'attività di Ramoth per notare il loro colloquio. Jaxom sentì che Sharra cercava di svincolare le mani, ma poiché aveva

deciso di affrontare Toric e tutta la sua arroganza, non era disposto a com-portarsi diversamente di fronte a Lessa. Tenne stretta Sharra, mentre si voltavano entrambi verso la Dama del Weyr.

«Venite a vedere! Ramoth ha trovato qualcosa di solido. E non sembra roccia...»

Jaxom trascinò Sharia su per il lieve pendio. Ramoth. s'era seduta sulle zampe posteriori, e sbirciava oltre le spalle di Lessa la trincea che aveva appena scavato.

«Sposta un po' la testa, Ramoth. Mi togli la luce,» fece Lessa. «Ecco, prendi la mia pala, Jaxom, e guarda. Togli ancora un po' di terra.»

Jaxom balzò nella fossa che gli arrivava fino a metà coscia. «Sembra davvero solido,» disse, battendo i piedi prima di sondare con il badile. «Si direbbe pietra.» Ma non era pietra. La pala emise un tonfo echeggiante. Jaxom raschiò per un lungo tratto, poi si scostò perché gli altri vedessero.

«F'lar, vieni qui! Abbiamo trovato qualcosa!» «Anche noi!» fu la risposta trionfante del Comandante del Weyr.

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Si scambiarono visite, da una trincea all'altra: il materiale portato alla lu-ce era eguale. Ma nella buca di F'lar la sostanza simile alla roccia presen-tava un pannello ambrato, inserito nella curva del monticello. Finalmente il Maestro Fabbro alzò le braccia enormi e ruggì per imporre silenzio.

«Questo non è un modo efficiente di usare tempo ed energia,» fece. To-ric proruppe in una sghignazzata sprezzante. «Non c'è niente da ridere,» ribatté serissimo il Fabbro. «Ci occuperemo del tumulo di Lessa, perché è il più piccolo. Poi lavoreremo su quello del Maestro Nicat e poi...» Indicò il suo, mentre Toric l'interrompeva.

«Tutto in un giorno?» chiese quello, con lo stesso tono d'altezzosa deri-sione che esasperava Jaxom.

«Faremo quel che potremo, quindi lasciaci cominciare!» Jaxom notò che il Fabbro aveva deciso d'ignorare il contegno di Toric, e

si disse che doveva imitare quell'esempio. Si accorsero che era inutile mettere più di due draghi al lavoro intorno al

monticello di Lessa, poiché era poco più lungo di un drago. Perciò F'lar e N'ton mandarono i loro bronzei ad aiutare il Maestro Nicat.

A metà pomeriggio, i fianchi curvilinei del tumulo di Lessa erano stati dissotterrati sino al fondovalle originario. Sei pannelli, tre disposti ad arco sul tetto curvo, attiravano l'interesse di tutti: ma la loro superficie, un tem-po indubbiamente trasparente, era scalfita e offuscata. I tentativi di guarda-re nell'interno furono vani. Sui due lati lunghi non vennero trovate apertu-re, e perciò fu prontamente disseppellita un'estremità. I draghi, nonostante la polvere nerogrigia che adesso li copriva, non davano segno di stanchez-za e si mostravano interessati al loro lavoro. Poco dopo, venne dissotterra-to l'accesso.

Una porta, costruita in una versione opaca del materiale usato per i pan-nelli del tetto, scorreva su guide attraverso l'apertura. Fu necessario libera-re i binari intasati dalla terra e versare olio per draghi sui rulli, prima che si potesse forzare la porta e aprirla quanto bastava per passare. Lessa, decisa a entrare per prima, venne trattenuta dal Fabbro.

«Aspetta! All'interno l'aria è diventata malsana, in tutto questo tempo. Senti l'odore! Prima lascia entrare l'aria pura. Questo posto è rimasto chiu-so per chissà quanti Giri.»

Il Fabbro, Toric e N'ton si appoggiarono con le spalle alla porta e l'apri-rono completamente. L'aria che ne defluiva era fetida, e Lessa indietreg-giò, starnutendo e tossendo. Fiochi rettangoli di luce cadevano sul pavi-mento polveroso, sfioravano le pareti screpolate e macchiate dall'acqua.

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Quando Lessa e F'lar, seguiti dagli altri, entrarono nel piccolo edificio, la polvere si sollevò turbinando sotto i loro piedi.

«A cosa serviva?» chiese Lessa, sottovoce. Toric, chinando la testa anche se non era necessario, perché la porta era

più alta di lui almeno di una spanna, indicò l'angolo in fondo, dove si scor-gevano i resti di una struttura lignea.

«Qualcuno potrebbe averci dormito!» Si girò verso l'altro angolo e poi, con un movimento improvviso che strappò un grido soffocato a Lessa, sì chinò e raccolse un oggetto, e glielo presentò cerimoniosamente. «Un teso-ro del passato!»

«È un cucchiaio!» Lessa lo sollevò perché lo vedessero tutti, poi lo rigi-rò fra le dita. «Ma di cos'è fatto? Non è di un metallo che conosco. Di certo non è legno. Sembra piuttosto... come i pannelli, e la porta: ma è trasparen-te. Ed è forte.» Cercò di piegarlo.

Il Fabbro chiese di poter esaminare il cucchiaio. «Sembra di un materia-le simile. Cucchiai e finestre, eh? Uhm!»

Vincendo la soggezione che ispirava il pensiero di trovarsi in un luogo così antico, cominciarono tutti a esplorare l'interno. Un tempo c'erano stati scaffali e armadietti appesi alle pareti, perché c'erano tracce sulla vernice. L'edificio era suddiviso in diverse parti, e nel robusto materiale del pavi-mento, i fori nettissimi indicavano che qua e là erano stati fissati grossi oggetti. In un angolo, Fandarel scoprì scarichi circolari. Quando controllò all'esterno, dovette dedurre che le tubature attraversavano la parete e fini-vano sottoterra. Una, sostenne, era senza dubbio per l'acqua. Ma le altre quattro gli sembravano in comprensibili.

«Non possono essere tutti vuoti!» esclamò Lessa in tono di rammarico, cercando di nascondere una delusione condivisa, pensò Jaxom, anche da tutti gli altri.

«Possiamo supporre,» disse vivacemente Fandarel, quando furono usciti dall'edificio di Lessa, «che molte altre costruzioni della stessa forma fosse-ro egualmente alloggi dei nostri antenati. Ritengo logico che si portassero via tutti gli oggetti personali. Credo che dovremo dedicare i nostri sforzi ai posti più grandi, oppure molto più piccoli.»

Poi, senza attendere di scoprire se qualcuno era d'accordo con lui, il Fabbro marciò verso gli scavi interrotti nel monticello di Nicat. Quell'edi-ficio era quadrato, e quando ne ebbero messo allo scoperto la parte supe-riore quanto bastava per notare gli stessi pannelli del tetto, concentrarono i loro sforzi sull'estremità interna. La notte tropicale stava scendendo rapida

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quando riuscirono finalmente a dissotterrare l'entrata, ma non poterono sgombrare le guide della porta per aprirla più che tanto. Furono appena in grado di intravedere una specie di decorazione sulle pareti. Nessuno aveva pensato di portare lampade-cesto, e quella seconda delusione esaurì del tutto le loro energie: nessuno propose di mandare le lucertole di fuoco a prendere le lampade.

Appoggiata ai pannello semiaperto, Lessa proruppe in una fiacca risata, mentre guardava come si era ridotta.

«Ramoth dice che è stanca e sporca e vuol fare il bagno.» «Non è sola,» convenne subito F'lar. Tentò invano di chiudere la porta,

poi rise. «Credo che non succederà niente durante la notte. Torniamo alla Fortezza della Baia.»

«Vieni con noi, Toric?» chiese Lessa, alzando la testa per guardare il massiccio meridionale.

«Questa sera no, Lessa. Ho una Fortezza da dirigere e non posso sempre fare quello che vorrei,» rispose Toric. Jaxom si accorse che stava fissando lui, e afferrò il sottinteso. «Se tutto andrà bene, tornerò domani per vedere se il monticello di Fandarel risulterà più promettente. Devo portare qual-che aiutante, per risparmiare i draghi?»

«Risparmiare i draghi? Si divertono immensamente,» rispose Lessa. «Sono io che ho bisogno di farmi sostituire. Che ne pensi, F'lar? Oppure dovremo arruolare qualcuno dei cavalieri di Benden?»

«Posso capire perché vi piacerebbe tenere questo territorio per voi,» con-tinuò imperturbabile Toric, fissando F'lar.

«Questo Pianoro dovrà restare accessibile a tutti,» disse F'lar, senza rac-cogliere l'allusione di Toric. «E poiché i draghi si divertono a scavare la terra...»

«Domani vorrei portare con me Benelek, F'lar,» disse il Maestro Fabbro, fregandosi le mani impolverate e ripulendosi alla meglio gli abiti. «E altri due ragazzi dall'immaginazione sveglia..»

«Immaginazione? Sì, ne avrete bisogno, per cercare di capire quello che vi hanno lasciato i nostri antenati,» disse Toric, con una sfumatura di di-sprezzo nella voce. «Quando sei pronto, D'ram?»

Il contegno di Toric nei confronti del vecchio Comandante del Weyr era più rispettoso, almeno alle orecchie sensibili di Jaxom. Ribolliva per l'allu-sione di Toric, il quale gli aveva fatto capire che lui stava lì a divertirsi invece di occuparsi della sua Fortezza. Ribolliva perché l'accusa era fonda-ta. Eppure, pensò, cercando di consolarsi, perché qualcuno doveva pensare

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che lui tornasse docilmente a Ruatha. che prosperava sotto la guida esperta di Lytol, quando lì accadevano tutte le cose importanti del mondo? Sentì le dita di Sharra stringergli il braccio, e ricordò l'analogia fra Toric e Dorse.

«Avrò il mio daffare a ripulire Ruth,» disse con un sospiro malinconico, staccando la mano di Sbarra dal suo braccio e stringendola, mentre la gui-dava verso Ruth.

Quando i draghi eruppero sopra la Baia, videro l'Arpista sulla spiaggia. Le lucertole di fuoco facevano eco alla sua impazienza di ascoltare i risul-tati delle esplorazioni, volteggiando intorno a lui in spirali vertiginose. Quando Robinton vide com'erano ridotti tutti quanti, e quanto erano ansio-si di fare un bagno per ripulirsi, si spogliò e passò a nuoto dall'uno all'altro, per sentire quel che avevano da raccontargli.

Il gruppo che si riunì intorno al fuoco, la sera, era piuttosto depresso. «Niente ci assicura,» disse l'Arpista, «che anche se avessimo l'energia

per scavare tutte quelle centinaia di tumuli, troveremmo qualcosa di valo-re.»

Lessa alzò il suo cucchiaio, ridendo. «Di valore intrinseco no: ma è e-mozionante stringere qualcosa che potrebbe avere usato una mia lontanis-sima antenata!»

«Ed è fatto con molta efficienza, anche,» disse Fandarel, prendendo edu-catamente il piccolo oggetto per riesaminarlo. «Questo materiale mi affa-scina.» Si piegò verso le fiamme, per vedere meglio. «Se potessi...» E fece per estrarre il coltello dalla cintura. «Oh, no, Fandarel!» esclamò allarmata Lessa, riprendendosi il cucchiaio. «C'erano altri frammenti dello stesso materiale sparsi nel mio edificio. Fai gli esperimenti con quelli.»

«È tutto quel che ci resta dei nostri antenati? Frammenti?» «Ti ricordo, F'lar,» disse Fandarel, «che i loro scarti si sono già rivelati

preziosi.» Il Fabbro indicò il punto dov'era piazzato il telescopio di Wan-sor. «Si può imparare di nuovo quello che gli uomini sapevano fare una volta. Saranno necessari tempo ed esperimenti, ma...»

«Abbiamo appena cominciato, amici miei,» fece Nicat, che non aveva perduto l'entusiasmo. «Come dice il nostro buon Fabbro, possiamo impara-re anche dagli scarti. Con il vostro permesso, Comandanti del Weyr, vorrei portare qualche squadra di specialisti, e proseguire metodicamente gli Sca-vi. Forse la disposizione in fila ha le sue buone ragioni. Ogni fila potrebbe appartenere ad un'Arte diversa, oppure...»

«Tu non credi, come ha detto Torio, che si fossero portati via tutto?» chiese F'lar.

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«Questo non conta,» rispose Nicat, rifiutando le affermazioni di Toric. «Il letto, per esempio, non era necessario, perché loro sapevano che avreb-bero potuto procurarsi il legno dovunque andassero. E anche il cucchiaio, perché potevano fabbricarne altri. Forse ci sono altri oggetti, inutili per loro, che potrebbero formare gli elementi mancanti delle Cronache perve-nute fino a noi, anche in condizioni frammentarie. Pensate, amici miei!» Nicat si accostò un dito ai naso, chiudendo un occhio con fare da cospira-tore. «Pensate a tutte le cose che dovettero portar via da quegli edifici dopo l'eruzione, Oh, ne troveremo di roba, non temete!»

«Sì, dovettero portar via carichi enormi da quegli edifici, dopo l'eruzio-ne,» borbottò Fandarel, aggrottando la fronte e affondando pensosamente il mento sul petto. «Dove li portarono? Non andarono certo subito a fonda-re la Fortezza di Fort!»

«Già, dove andarono?» chiese F'lar, sconcertato. «A quanto abbiamo potuto capire dalle immagini trasmesse dalle lucer-

tole di fuoco, si diressero verso il mare,» disse Jaxom. «Ma il mare non sarebbe stato sicuro,» osservò Menolly. «Il mare no,» prosegui F'lar. «Ma tra il Pianoro e l'oceano c'è un territo-

rio vastissimo.» Fissò Jaxom per un momento. «Non puoi indurre Ruth a farsi spiegare dalle lucertole di fuoco dove andarono?»

«Questo significa che non posso continuare gli scavi?» chiese irritato Nicat.

«Ma no: potrai scavare quanto vuoi, se hai abbastanza uomini disponibi-li.»

«Li ho,» rispose Nicat, in tono amareggiato. «Con tre miniere ormai e-saurite...»

«Mi pareva che avessi incominciato a riaprire i pozzi scoperti da Toric nella Catena Occidentale.»

«Li abbiamo esaminati, sicuro, ma la mia Sede non ha ancora concluso un accordo con Toric per lo sfruttamento.»

«Con Toric? Quelle terre sono sue? Si trovano lontano, a Sud-Ovest, ben oltre la Fortezza Meridionale,» replicò F'lar, attentissimo.

«È stata una squadra di esploratori di Toric a scoprire i pozzi,» rispose Nicat, deviando lo sguardo dal Comandante del Weyr di Benden all'Arpi-sta, e poi al Fabbro.

«Te l'avevo detto che mio fratello era ambizioso,» mormorò Sharra a Ja-xom.

«Una squadra di esploratori?» F'lar parve rilassarsi di nuovo. «Allora

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Toric non ha il diritto di disporne. Comunque, le miniere rientrano nella tua giurisdizione, Maestro Nicat. Benden appoggia la tua decisione. Parle-rò con Toric, domani.»

«Credo che dovremo farlo,» fece Lessa, tendendo la mano perché F'lar l'aiutasse ad alzarsi dalla sabbia.

«Speravo proprio che avreste sostenuto la mia Sede,» disse il Minatore con un inchino riconoscente. I suoi occhi acuti brillavano nella luce del fuoco.

«Direi che è tempo di parlarne,» osservò l'Arpista. I dragonieri si congedarono in fretta; N'ton riportò il Maestro Nicat alla

Fortezza di Crom, dove sarebbero andati a riprenderlo al mattino dopo. Robinton condusse con sé Fandarel nella Sala della Fortezza della Baia. Piemur portò via Menolly per andare a dare un'occhiata a Stupido, lascian-do a Jaxom e Sharra il compito di spegnere il fuoco e ripulire la spiaggia.

«Tuo fratello non ha intenzione di impadronirsi di tutto il Sud-Ovest, ve-ro?» chiese Jaxom, quando gli altri si furono allontanati.

«Beh, se non proprio tutto, almeno quello che può,» rispose Sharra con una risata. «Non tradisco un suo segreto se ti dico questo, Jaxom. Tu hai la tua Fortezza. Non vuoi terre del Continente Meridionale. Oppure sì?»

Jaxom rifletté. «Non le vuoi, vero?» chiese ansiosa Sharra, posandogli la mano sul

braccio. «No, non le voglio,» rispose lui. «No: per quanto ami questa Baia, non

la voglio. Oggi, sul Pianoro, avrei dato qualunque cosa per una brezza fre-sca delle montagne di Ruatha o per un tuffo nel mio lago. Io e Ruth ti ci porteremo... è un posto bellissimo. Solo un drago può arrivarci facilmen-te.» Raccattò un sasso piatto e lo lanciò sulle onde tranquille che lambiva-no le sabbie bianche della spiaggia. «No, non voglio una Fortezza nel Sud, Sharra. Sono nato e cresciuto a Ruatha. Lessa me l'ha ricordato indiretta-mente questo pomeriggio. E mi ha ricordato anche il prezzo del mio domi-nio, e tutto quello che lei ha fatto per assicurarsi che io rimanga Signore di Ruatha. Ti rendi conto, vero?, che suo figlio F'lessan è per metà del San-gue ruathano. Io non sono neppure quello.»

«Ma lui è un dragoniere!» «Sì, è cresciuto nel Weyr, in seguito alla scelta di Lessa, perché io rima-

nessi l'incontestato Signore di Ruatha. E sarebbe ora che cominciassi a comportarmi come tale!» Si alzò e fece alzare Sharra.

«Jaxom?» Il tono di lei era sospettoso. «Che cos'hai intenzione di fare?»

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Jaxom le posò le mani sulle braccia e le guardò negli occhi. «Anch'io ho una fortezza da dirigere, come mi ha ricordato tuo fratello...»

«Ma tu sei necessario qui, con Ruth. Lui è l'unico che possa ricavare un senso dalle immagini delle lucertole di fuoco...»

«E con Ruth, io posso affrontare entrambe le responsabilità. Dirigere la mia Fortezza e fare quello che voglio. Vedrai!» L'attirò più vicina per ba-ciarla, ma all'improvviso lei si svincolò, indicando oltre la sua spalla, con un'espressione di dolore e di collera. «Cosa succede? Che cos'ho fatto, Sharra?»

Lei indicò l'albero dove tre lucertole di fuoco stavano osservando atten-te.

«Sono di Toric. Lui mi sta spiando. Ci sta spiando!» «Magnifico! Facciamo in modo che non abbia dubbi sulle mie intenzioni

nei tuoi confronti.» La baciò fino a quando sentì il suo corpo teso reagire, fino a quando la piega incollerita delle labbra si dissolse nella disponibili-tà. «Gli farei vedere qualcosa d'altro, ma voglio tornare alla Fortezza di Ruatha questa sera!» Indossò rapidamente la tenuta di volo e chiamò Ruth. «Tornerò domattina, Sharra. Avverti gli altri, ti spiace?»

Dobbiamo andare? chiese Ruth, mentre piegava la zampa anteriore per far salire Jaxom.

«Torneremo prestissimo, Ruth!» Jaxom agitò il braccio per salutare Sharra, e pensò che appariva così desolata, sola sotto le stelle.

Meer e Talla volteggiarono insieme a Ruth, zufolando allegramente, e Jaxom comprese che Sharra aveva accettato la sua partenza.

L'improvviso impulso di tornare a Ruatha e di avviare le formalità per la sua conferma a Signore della Fortezza non era dovuto interamente ai commenti velenosi di Toric. Il suo senso di responsabilità, per quanto re-presso, era stato acuito dalla strana nostalgia manifestata da Lessa durante gli scavi. Ma. accanto al fuoco, gli era venuto in mente che un uomo dota-to della vitalità e dell'esperienza di Lytol poteva trovare nei misteri del Pianoro un interesse sufficiente per surrogare Ruatha. Il suo ritorno a casa aveva lo stesso carattere inesorabile della decisione di recuperare l'uovo di Ramoth.

Chiese a Ruth di portarlo a Ruatha. Il gelo tagliente in mezzo venne subi-to sostituito da un freddo umido, quando entrarono nei cieli plumbei della Fortezza, da cui cadeva un leggero nevischio: doveva continuare da un po', perché negli angoli dei cortili s'era ammucchiata un po' di neve.

La neve mi piaceva, disse Ruth, come per convincersi che gradiva il ri-

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torno. Wilth gridò dalle alture dei fuochi, lanciando uno stupito benvenuto.

Metà delle lucertole di fuoco della Fortezza apparvero nell'aria intorno a loro, lanciando rauchi saluti e strilletti di rammarico per la neve.

«Non ci fermeremo molto, amico mio,» assicurò Jaxom a Ruth, e rab-brividì per il freddo umido, nonostante la calda tenuta di volo. Aveva di-menticato il clima di Ruatha?

Ruth atterrò nel cortile mentre si apriva la porta della Grande Sala. Lytol, Brand e Finder si precipitarono sulla scalinata.

«È successo qualcosa, Jaxom?» gridò Lytol. «Niente, Lytol, niente. Puoi far accendere il fuoco nel mio alloggio? A-

vevo dimenticato che qui era inverno. Ruth sentirà la differenza nonostante la sua pelle di drago.»

«Sì, sì,» disse Brand, attraversando il cortile per correre in cucina, gri-dando agli sguatteri di portare i bracieri, mentre Lytol e Finder si affretta-vano a far salire Jaxom. Obbediente, Ruth seguì il maggiordomo.

«Ti prenderai un accidente, a cambiar clima in questo modo,» stava di-cendo Lytol. «Perché sei tornato?»

«Non era tempo che tornassi?» chiese Jaxom, avviandosi verso il cami-no e togliendosi i guanti per scaldarsi le mani alla fiamma. Poi scoppiò a ridere quando gli altri lo raggiunsero. «Sì, a questo camino!»

«Cosa? A questo camino?» chiese Lytol, versando vino per il suo pupil-lo.

«Stamattina, sotto il sole caldo del Pianoro, mentre stavamo scavando uno dei tumuli che i nostri antenati hanno lasciato per sconcertarci, Lessa mi ha detto che stava togliendo le ceneri da questo camino il giorno in cui il mio compianto genitore, Fax, condusse mia madre, Dama Gemma, a questa Fortezza!». Levò la coppa in un brindisi alla memoria della madre che non aveva mai conosciuta.

E questo ti ha ricordato indirettamente che adesso tu sei Signore di Rua-tha?» chiese Lytol, inarcando lievemente gli angoli della bocca. I suoi oc-chi, che prima erano parsi a Jaxom così inespressivi, scintillavano nella luce del fuoco.

«Sì, e mi ha mostrato dove ora potrebbe essere più utile un uomo delle tue capacità, Nobile Lytol.»

«Oh, dimmi tutto,» fece Lytol, indicando la pesante sedia scolpita piaz-zata accanto al fuoco.

«Non voglio prendere la tua sedia,» rispose cortesemente Jaxom, notan-

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do che i cuscini recavano impronte recenti. «Sospetto che tu stia per prenderti ben altro, Nobile Jaxom.» «Ma con la dovuta cortesia,» disse Jaxom, prendendo per sé uno sgabel-

lo e accostandolo alla sedia. «E con una sfida a tempo debito.» La reazione placida di Lytol era per lui un sollievo. «Signore, sono pronto a diventare il Signore della Fortezza di Ruatha, adesso?»

«Vuoi sapere se sei preparato?» «Anche questo: ma pensavo soprattutto alle circostanze che rendevano

più prudente lasciare Ruatha alle tue cure.» «Sì.» Jaxom scrutò attentamente Lytol, per capire se c'era qualche forzatura

nelle sue risposte. «Le circostanze sono mutate nelle ultime due stagioni.» Lytol aveva l'a-

ria divertita. «In gran parte grazie a te.» «A me? Oh, quella sciagurata malattia. Dunque adesso non ci sono osta-

coli alla mia conferma come Signore della Fortezza?» «Io non ne vedo.» Jaxom sentì l'esclamazione soffocata dell'Arpista, ma continuò a fissare

Lytol. «Dunque,» fece Lytol, quasi sorridendo, «posso sapere che cosa ti ha in-

dotto a deciderti? Senza dubbio, non è stata solo la scoperta che nel nord la pressione si è attenuata. Oppure è stata quella graziosa ragazza... Sharra, mi pare che si chiami?»

Jaxom rise. «Lei è la causa principale della mia fretta,» spiegò, sottoli-neando leggermente l'ultima parola: e con la coda dell'occhio scorse il sogghigno di Finder.

«È sorella di Toric della Fortezza Meridionale, no?» insistette Lytol, soppesando la convenienza di quel matrimonio.

«Sì. E dimmi, Lytol, è stata fatta qualche manovra per confermare Toric come Signore della Fortezza?»

«No, e non risulta che lui l'abbia chiesto.» Lytol fece una smorfia, pen-sieroso.

«Cosa pensi di Toric, Nobile Lytol?» «Perché me lo chiedi? Certamente il matrimonio è accettabile, anche se

Toric non ha un rango pari al tuo.» «Lui non ha bisogno del rango. Ha l'ambizione,» disse Jaxom, con suffi-

ciente rancore per attirare l'attenzione del suo tutore e dell'Arpista. «Da quando D'ram è diventato Comandante del Weyr Meridionale,» os-

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servò Finder nel silenzio che seguì, «ho sentito dire che non è stato respin-to nessun uomo privo di terra.»

«D'ram promette il diritto di proprietà su quello che riescono a procurar-si?» chiese Jaxom, e si girò verso Finder così in fretta che l'Arpista sbatté le palpebre per la sorpresa.

«Non ne sono sicuro...» «Due dei figli del Nobile Groghe sono andati al Sud,» disse Lytol, tor-

mentandosi il labbro inferiore. «Ed a quanto ho saputo da lui, saranno pro-prietari terrieri. Certo, hanno conservato il rango di Signori. Brand, che cosa è stato promesso a Dolse?» chiese al maggiordomo che tornava in quel momento.

«Dorse? È andato al Sud a cercare una Tenuta?» Jaxom ridacchiò per il sollievo e la sorpresa.

«Non avevo motivo di rifiutargli quell'occasione,» rispose calmo Lytol. «Non immaginavo che avresti obiettato. Brand? Cosa gli è stato promes-so?»

«Mi pare che gli abbiano detto che poteva prendersi tutta la terra che vo-leva. Non credo che si possa usare il termine governare. Ma del resto, la proposta è stata fatta tramite uno dei commercianti del Sud, non diretta-mente da Toric.»

«Tuttavia, se un uomo ti offrisse terre, gli saresti riconoscente, e lo so-sterresti contro quelli che la terra te l'avevano negata, no?» chiese Jaxom.

«Sì: la gratitudine si esprimerebbe logicamente per mezzo della lealtà.» Lytol si agitò, inquieto, considerando quell'aspetto della situazione. «Co-munque, è stato precisato chiaramente che le terre migliori erano troppo lontane dalla protezione del Weyr. Ho dato a Dorse uno dei nostri lancia-fiamme più vecchi, in perfette condizioni, naturalmente, con canne e tubi di ricambio,» aggiunse Lytol.

«Darei qualunque cosa per vedere Dorse all'aperto durante una Caduta dei Fili, senza un dragoniere in vista,» disse Jaxom.

«Se Toric è furbo come sembra,» continuò Lytol, «questo può essere il fattore di discriminazione.»

«Signore,» fece Jaxom, e si alzò, finendo il vino, «tornerò stanotte. Il nostro sangue non è ancora pronto ad affrontare una nevicata alla Fortezza di Ruatha. E io e Ruth abbiamo un impegno per domani. Potresti tornare al Sud? Se Brand può occuparsi di tutto in nostra assenza?»

«In questa stagione, sarei felice di vedere il sole,» rispose Lytol. Brand mormorò che avrebbe provveduto lui a tutto.

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Quando Jaxom e Ruth tornarono alla Fortezza della Baia, lieti del calore balsamico della notte stellata, Jaxom era ancora più sicuro che Lytol non avrebbe faticato ad accettare il cambiamento. Mentre Ruth volteggiava per atterrare, Jaxom si rilassò in quel tepore. Si era sentito molto teso, a Rua-tha... perché non voleva far fretta a Lytol e nello stesso tempo desiderava realizzare i suoi scopi, e le astute macchinazioni di Toric l'avevano preoc-cupato.

Scivolò dalla spalla di Ruth sulla sabbia soffice, nello stesso punto dove poco prima aveva baciato Sharra. Pensare a lei era un conforto. Attese che Ruth si fosse acciambellato sulla rena ancora calda, e poi si diresse verso la Fortezza, entrò in punta di piedi, sorpreso di vedere che persino la stanza dell'Arpista era buia. Doveva essere più tardi di quanto avesse pensato, in quella parte del mondo.

S'infilò nel suo letto, e sentì Piemur borbottare nel sonno. Farli, raggo-mitolata accanto al suo amico, aprì una palpebra per sbirciarlo prima di riaddormentarsi. Jaxom si tirò sulle spalle la coperta leggera, pensando alla neve di Ruatha, e si addormentò soddisfatto.

Si svegliò all'improvviso, convinto che qualcuno l'avesse chiamato per nome. Piemur e Farli erano immobili nel fioco chiarore che precedeva l'al-ba. Jaxom restò sdraiato, teso, aspettando di sentirsi chiamare di nuovo, e non sentì nulla. L'Arpista? Ne dubitava, perché Menolly era abituata a svegliarsi quando lui chiamava. Sfiorò la mente di Ruth e capì che il drago si stava destando in quel momento.

Jaxom si sentiva indolenzito. Forse era questo che l'aveva svegliato, per-ché aveva le spalle piene di crampi, i muscoli delle braccia e del torace dolevano per tutto lo scavare del giorno precedente. La schiena gli scottava per il troppo sole preso sul Pianoro. Era presto per alzarsi. Cercò di riad-dormentarsi, ma il disagio causato dai muscoli e dalle scottature lo tenne sveglio. Si alzò senza far rumore per non disturbare Piemur e non farsi sentire da Sharra. Una nuotata poteva sciogliergli i muscoli e calmare il bruciore. Si fermò accanto a Ruth, e vide che il drago bianco si stava sve-gliando, impaziente di accompagnarlo, perché era convinto che la sera prima gli fosse rimasto ancora un po' di fango sulla pelle.

Le Sorelle dell'Alba scintillavano nel sole che non era ancora visibile. Era possibile che gli antenati fossero tornati lassù, per trovare rifugio, do-po l'eruzione? E come?

Jaxom s'immerse fino alla cintola nella Baia tranquilla, poi si tuffò e nuotò sotto l'acqua, misteriosamente scura senza il sole che ne illuminava

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le profondità. Poi risalì alla superficie. No, doveva esserci stato qualche altro rifugio, tra l'abitato e il mare. La fuga si era incanalata in una direzio-ne precisa.

Chiamò Ruth, e quando il drago bianco brontolò, gli ricordò che il sole doveva essere molto più caldo sul Pianoro. Prese la tenuta di volo e prele-vò qualche involtino freddo dalla dispensa, ascoltando durante un lungo attimo per scoprire se aveva svegliato qualcun altro. Preferiva controllare la sua teoria, e fare una bella sorpresa agli altri, al loro risveglio. Almeno, era quel che sperava.

Si levarono in volo proprio mentre il sole spuntava all'orizzonte, colo-rando di giallo il cielo sereno e indorando la faccia benigna della lontana montagna conica.

Ruth andò in mezzo e poi, su suggerimento di Jaxom, volò in cerchio pi-gramente sopra il Pianoro. Avevano creato nuovi monticelli, notò divertito Jaxom, con la terra e i detriti che i draghi avevano rimosso dai due antichi edifici. Poi disse a Ruth di mettersi in linea con la direzione del mare. Quella meta doveva avere richiesto una lunga giornata di marcia per i pro-fughi terrorizzati. Decise di non chiamare le lucertole di fuoco, per il mo-mento: sarebbero riuscite soltanto a sovreccitarsi, ripetendo i ricordi dell'e-ruzione. Doveva condurle in un luogo dove le loro memorie associative rievocassero momenti meno frenetici. Senza dubbio, ricordavano qualcosa dei loro uomini, nel rifugio raggiunto dai profughi.

Forse c'erano state stalle per le bestie ed i wherry, a qualche distanza dall'abitato? Considerando la scala su cui avevano costruito gli antenati, una stalla del genere doveva essere stata abbastanza grande per riparare centinaia di persone dalla pioggia ardente di un vulcano.

Chiese a Ruth di planare verso il mare, nella direzione di massima segui-ta dai fuggiaschi. Dopo la prateria, nel suolo cinereo cominciavano a spun-tare arbusti che via via lasciavano il posto agli alberi e ad una vegetazione più folta. Sarebbe stato un colpo di fortuna scorgere qualcosa in quella fitta massa verde. Jaxom stava per chiedere a Ruth di tornare indietro per ri-prendere il sorvolo su un altro tratto, quando notò una breccia nella giun-gla. Planarono su una lunga fascia erbosa, larga parecchie decine di lun-ghezze di drago, ed estesa per diverse centinaia. Gli alberi e gli arbusti erano radi, ai lati, come se stentassero a trovare terra dove mettere radici. Nastri d'acqua luccicavano all'estremità opposta di quella strana cicatrice, come polle comunicanti e poco profonde.

In quel momento, il sole si affacciò oltre il ciglio del Pianoro, e girando

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la testa verso sinistra per non farsi abbagliare, Jaxom vide tre ombre allun-garsi attraverso l'estremità della fascia erbosa. Disse a Ruth di andare là, e lo fece volare in cerchio fino a quando fu sicuro che quelle colline non potevano essere colline; e certamente erano diverse dagli altri edifici degli antenati. Innanzi tutto, l'ubicazione era innaturale quanto la loro forma. Una era più avanti delle altre due di sette lunghezze di drago, e quelle era-no distanti dieci lunghezze di drago o anche più.

Disse a Ruth di sorvolarle e notò la strana conformazione; una massa più grande era visibile ad una estremità, mentre l'altra era affusolata: la diffe-renza si notava nonostante l'erba, la terra e i cespugli che coprivano quelle cosiddette colline.

Emozionato quanto Jaxom, Ruth andò a posarsi tra le prime due. Viste dal suolo, le colline sembravano meno innaturali di quanto fossero apparse dall'alto: ma sarebbero sembrate strane anche a chi si fosse avvicinato a piedi.

Appena Jaxom ebbe chiesto a Ruth di atterrare, innumerevoli lucertole di fuoco eruppero intorno a loro, cinguettando d'eccitazione frenetica e d'incredibile piacere.

«Cosa stanno dicendo, Ruth? Cerca di mantenerle calme quanto basta per poterle capire. Hanno qualche immagine riguardante queste colline?»

Troppe. Ruth alzò la testa, rivolgendo crocidii cantilenanti alle lucertole di fuoco; sfrecciavano intorno a loro così turbinosamente che Jaxom ri-nunciò a cercare di vedere se qualcuna era contrassegnata. Sono felici. Son liete che tu sia tornato. È passato tanto tempo.

«E quando mai sono stato qui?» chiese Jaxom a Ruth: aveva imparato a non confondere le lucertole di fuoco. «Riescono a ricordarlo?»

Quando sei arrivato dal cielo dentro a lunghe cose grigie? Ruth sem-brava frastornato, mentre trasmetteva la risposta.

Jaxom si appoggiò al suo drago, incapace di credere a quella spiegazio-ne. «Mostramelo!»

Immagini brillanti e contrastanti lo stordirono: le visioni, dapprima sfo-cate, si risolsero in immagini chiare via via che Ruth componeva le miriadi di impressioni in un unico quadro coerente.

I cilindri erano grigiastri, e avevano ali tozze, mediocri imitazioni delle eleganti ali dei draghi. Quei cilindri avevano cerchi di tubi più piccoli a una estremità, mentre l'altra era tozza. All'improvviso apparve un'apertura, a un terzo della lunghezza della prima nave. Uomini e donne scesero da una rampa. Una progressione d'immagini balenò nella mente di Jaxom:

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gente che correva qua e là, si scambiavano abbracci, saltava su e giù. Poi le immagini che Ruth otteneva dalle lucertole cinguettanti si dissolsero nel caos... come se ogni lucertola di fuoco avesse seguito una persona, ed o-gnuna cercasse di trasmettere a Ruth la sua immagine individuale, anziché una visione collettiva dell'atterraggio e degli eventi successivi.

Jaxom non dubitava che gli antenati si fossero rifugiati lì dopo l'eruzione vulcanica: e quelle dovevano essere le navi che li avevano portati dalle Sorelle dell'Alba a Pern. E le navi erano ancora lì perché, chissà per quale motivo, non avevano potuto tornare alle tre stelle.

L'apertura della nave era ad un terzo della lunghezza, partendo dall'e-stremità dei tubi? Mentre le lucertole di fuoco, in estasi, compivano acro-bazie intorno alla sua testa, Jaxom si avviò sull'erba che ricopriva il cilin-dro, fino a quando pensò di essere arrivato al punto giusto.

Loro dicono che l'hai trovata, comunicò Ruth, sospingendo Jaxom. I suoi grandi occhi turbinavano di fuoco giallo.

Per confermare il verdetto, dozzine di lucertole di fuoco si posarono su quel punto coperto di cespugli, e cominciarono a strappare la vegetazione.

«Dovrei tornare alla Fortezza ad avvertire gli altri,» mormorò tra sé Ja-xom.

Dormono. Benden dorme. Noi siamo i soli svegli al mondo! Era abbastanza probabile, dovette ammettere Jaxom. Ho scavato ieri. Posso scavare anche oggi. Posso scavare fino a quando

si sveglieranno e potranno venire ad aiutarci. «Tu bai gli artigli. Io no. Andiamo a prendere qualche utensile al Piano-

ro.» All'andata e al ritorno furono accompagnati dalle lucertole di fuoco ecci-

tate e felici. Con una pala, Jaxom delimitò l'area approssimativa che vole-va far scavare, per raggiungere la porta della nave. Poi dovette limitarsi a fornire indicazioni a Ruth e alle lucertole di fuoco, che qualche volta, nel loro entusiasmo, finivano per essere d'impaccio. Prima strapparono dalla terra l'erba dura, e le lucertole andarono a depositarla fra i cespugli. Per fortuna, lo strato di terra portato sul sito dell'atterraggio dal vento, durante migliaia di Giri, era compatto. La pioggia e il sole, comunque, l'avevano indurito. Quando cominciò a sentirsi le spalle doloranti, Jaxom rallentò il ritmo. Mangiucchiò un panino, interrompendosi di tanto in tanto per ri-mandare al lavoro le lucertole di fuoco quando si mettevano a litigare.

Gli artigli di Ruth graffiarono qualcosa di solido. Non è roccia! Jaxom si accostò con un balzo, piantando il badile nella terra smossa. La punta colpì

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una superficie dura. Jaxom lanciò un urlo che fece volteggiare all'impazza-ta nell'aria tutte le lucertole di fuoco.

Rimuovendo con le mani l'ultimo strato di terriccio, guardò ciò che ave-va scoperto. Cautamente, toccò la strana superficie. Non era metallo, e neppure il materiale degli edifici. Sembrava piuttosto, per quanto fosse assurdo, vetro opaco. Ma il vetro non poteva essere così duro!

«Ruth, Canth si è svegliato?» No. Sono svegli Menolly e Piemur. E si chiedono dove siamo. Jaxom lanciò un grido di trionfo. «Credo che andremo a dirglielo!» Stavano aspettando lui e Ruth, quando apparvero sopra la fortezza della

Baia: l'Arpista, Menolly e Piemur. Sebbene lo tempestassero di domande per la sua fuga a Ruatha della notte precedente, Jaxom tentò di spiegare quello che aveva scoperto. L'Arpista dovette zittire gli altri con un urlaccio che fece sparire in mezzo tutte le lucertole di fuoco. Poi, ottenuto il silen-zio, Robinton trasse un profondo respiro.

«Chi può ascoltare o pensare con questo chiasso? Avanti, Menolly, por-taci qualcosa da mangiare. Piemur, vai a prendere il necessario per dise-gnare. Zair, vieni qui, mio bellissimo briccone. Devi portare un messaggio a Benden. Se è necessario, mordi il naso di Mnementh per svegliarlo. Sì, lo so che sei abbastanza coraggioso per combattere quel grosso drago. Ma non litigare: sveglialo! E ora che quei fannulloni di Benden si alzino!» L'Arpista era d'ottimo umore: teneva la testa alta e gesticolava, con gli occhi che scintillavano. «Per i Gusci, Jaxom, tu hai fatto incominciare con una promessa luminosa una giornata che si preannunciava tetra. Stavo o-ziando a letto perché non me la sentivo di alzarmi ad affrontare altre delu-sioni.»

«Può darsi che siano vuote...» «Hai detto che le lucertole di fuoco hanno trasmesso le immagini dell'at-

terraggio? E di gente che scendeva? Quei cilindri potrebbero anche essere vuoti come un perdono concesso malvolentieri, ma vale comunque la pena di vederli. Le navi che portano i nostri antenati dalle Sorelle dell'Alba a Pern!» L'Arpista espirò lentamente e gli occhi gli brillavano per l'emozio-ne.

«Non sei troppo agitato, vero, Maestro Robinton?» chiese Jaxom, guar-dandosi intorno per cercare Sharra. «Dov'è Sharra?» Vide Menolly e Pie-mur che si davano da fare. Senza dubbio Sharra dormiva ancora. Guardò le lucertole di fuoco, cercando Meer e Talla.

«Ieri sera è venuto un dragoniere a prendere Sharra. Ci sono casi di ma-

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lattie, al Weyr Meridionale, e c'era bisogno di lei. Mi sono comportato da egoista, credo, a tenervi tutti intorno a me, adesso che non è più necessa-rio. Anzi,» disse l'Arpista, «mi stupisce di trovarti qui. Credevo fossi anco-ra a Ruatha.» Inarcò le sopracciglia, come per chiedere una spiegazione.

«Avrei dovuto tornare alla mia Fortezza già da qualche tempo, Maestro Robinton,» ammise Jaxom in tono contrito, poi scrollò le spalle.«Del resto, quando sono arrivato stava nevicando. Ho avuto una lunga conversazione con il Nobile Lytol...»

«Nessuno si opporrà alla tua Conferma quale Signore di Ruatha, ormai,» disse l'Arpista con una risata. «E non ci saranno più discussioni per le terre e per il fatto che sei anche un dragoniere.» L'Arpista socchiuse gli occhi, imitando i toni stizziti del Nobile Sangel. Poi cambiò espressione e posò una mano sulla spalla di Jaxom. «Come ha reagito Lytol?»

«Non era stupito,» rispose Jaxom, in tono di sollievo. «E pensavo, si-gnore, che se Nicat continuerà a scavare gli edifici del Pianoro, Lytol, con le sue capacità organizzative...»

«È esattamente quel che penso anch'io, Jaxom,» disse l'Arpista, batten-dogli di nuovo sulla spalla. «Il passato è un'occupazione adatta a due vec-chi...»

«Signore!» esclamò scandalizzato Jaxom. «Tu non sarai mai vecchio! E neppure Lytol!»

«Sei molto gentile, Jaxom: ma io ho già avuto il mio avvertimento. Ah, sta arrivando un drago... Canth, se non mi sbaglio, con questo sole!» Ro-binton si schermò gli occhi con la mano.

Il riflesso del sole poteva spiegare anche il cipiglio con cui F'nor avanzò verso di loro dalla spiaggia. Zair gli aveva trasmesso immagini molto con-fuse, che avevano eccitato Berd, Grall e le lucertole di fuoco del Weyr di Benden al punto che Lessa aveva detto a Ramoth di mandarle via tutte. E infatti il cielo, sopra la Baia, brulicava di sciami di lucertole che facevano un baccano tremendo.

«Ruth, falle scendere,» chiese Jaxom al suo drago. «Non potremo vedere e sentire niente, se continuano a comportatisi così.»

Ruth lanciò un muggito che sbalordì lui stesso e fece turbinare di sgo-mento gli occhi di Canth. Il silenzio che seguì fu spezzato da un pigolio spaventato. Il cielo si liberò dalle lucertole di fuoco, che si affrettarono a posarsi sugli alberi.

Mi hanno obbedito. Il tono di Ruth era stupito e orgoglioso. Quella prova di forza migliorò considerevolmente l'umore di F'nor.

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«E adesso vuoi dirmi che cos'hai combinato a quest'ora, Jaxom?» chiese, slacciandosi la cintura e il casco. «Sembra che Benden non possa più far niente senza l'assistenza di Ruatha.»

Jaxom lo scrutò sorpreso, ma il cavaliere marrone gli rivolse un'occhiata enigmatica. Possibile che si riferisse a quello stramaledetto uovo? Brekke gli aveva detto qualcosa?

«Perché no?» ribatté. «Benden e Ruatha hanno legami fortissimi, F'nor. Il sangue e i comuni interessi.»

F'nor assunse un'espressione divertita. Batté la mano sulla spalla di Ja-xom così forte da fargli perdere l'equilibrio.

«Ben detto, Ruatha, ben detto! Dunque, cos'hai scoperto oggi?» Con immensa soddisfazione, Jaxom riferì la sua impresa di quel mattino,

e F'nor spalancò gli occhi. «Le navi con cui atterrarono? Andiamo!» Si strinse la cintura, allacciò il

casco e accennò a Jaxom di rivestirsi in fretta. «Domani a Benden cadran-no i Fili, ma se è come hai detto...»

«Vengo pure io,» annunciò l'Arpista. Neppure la più ardimentosa delle lucertole di fuoco trillò nel silenzio che

seguì quelle parole. «Vengo pure io,» ripeté Robinton, in tono deciso e ragionevole, per

bloccare la protesta che leggeva su tutte le facce intorno a sé. «Mi sono perso troppe cose. E la tensione dell'attesa mi fa male.» Si posò drammati-camente la mano sul petto. «Il mio cuore batte sempre più forte ad ogni istante, quando sono costretto ad aspettare che voi vi decidiate a mandarmi qualche informazione.» Levò la mano, quando Menolly ritrovò la sua pre-senza di spirito e aprì la bocca per obiettare. «Non scaverò. Starò soltanto a vedere. Ma vi assicuro che l'esasperazione, per non parlare della solitudine e dell'attesa mentre voi siete in giro ad esplorare, causano una tensione inutile e pericolosa per il mio povero cuore. E se avessi un collasso quando qui non c'è nessuno?»

«Maestro Robinton, se lo sapesse Brekke...» La protesta di Menolly era molto fiacca.

F'nor si coprì gli occhi con una mano e scosse il capo, di fronte alla sub-dola tattica dell'Arpista. «Dategli un dito e lui si prende il braccio.» Poi alzò la testa e agitò minacciosamente il pugno sotto il naso di Robinton. «Se muovi un muscolo, o raccogli un pizzico di terra, io... io...»

«Io gli siederò addosso,» finì Menolly, lanciando al suo Maestro un'oc-chiataccia così rabbiosa che lui si finse spaventato.

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«Dammi i miei indumenti da volo, Menolly, sii buona.» Con un'espres-sione accattivante, la spinse dolcemente verso la Fortezza. «E il mio astuc-cio con il necessario per scrivere: è sul tavolo da lavoro del mio studio. Mi comporterò bene, F'nor, e sono sicuro che un breve viaggio in mezzo non mi danneggerà. Menolly,» aggiunse, alzando la voce in un sonoro ruggito, «non dimenticare il mezzo otre di vino appeso alla mia sedia. È stato terri-bile, ieri, non poter vedere gli edifici del Pianoro!»

Appena Menolly tornò, con l'otre di vino appeso alla spalla, non ci furo-no altre discussioni. F'nor fece salire l'Arpista e Piemur su Canth, mentre Jaxom faceva montare Menolly su Ruth. Jaxom si rammaricò fuggevol-mente che Sharr non fosse lì. Si chiese se Ruth poteva comunicare con lei, al Weyr Meridionale, poi si trattenne. Ad Ovest non era ancora spuntato il giorno. I due draghi ascesero, con una scorta brulicante di lucertole di fuo-co. Ruth fornì a Canth le coordinate e, mentre Jaxom si preoccupava per l'iniziativa avventata dell'Arpista, andarono in mezzo ed emersero, planan-do verso le tre strane collinette.

Jaxom sorrise felice, vedendo le reazioni alla sua scoperta. Menolly si aggrappò più forte e lanciò un grido arpeggiante. Vide Robinton che gesti-colava come un pazzo, e si augurò che si tenesse ben stretto alla cintura di F'nor. Canth, senza mai distogliere gli occhi dalla buca nella collina, virò per atterrare il più possibile vicino. Fecero scendere l'Arpista e lo sistema-rono all'ombra; poi dissero a Jaxom di chiedere l'intervento di Ruth, per indurre le lucertole locali a trasmettere immagini a Robinton ed a Zair, mentre assistevano al lavoro.

Fra le conversazioni cinguettanti delle lucertole di fuoco, cominciarono a scavare. Ruth si tenne in disparte, perché Canth poteva rimuovere una maggiore quantità di terra, e c'era spazio per un drago solo. Jaxom sentiva un'eccitazione interiore che non aveva provato sul Pianoro.

Adesso scavavano perpendicolarmente, perché Jaxom aveva dissotterra-to la parte superiore del veicolo. Canth, nel suo entusiasmo, spesso faceva piovere zolle di terra addosso all'Arpista, mentre scavavano nella zona della porta. Ma poco dopo misero allo scoperto l'orlo del portello, una fen-ditura sottilissima nella superficie liscia. F'nor disse a Canth di cambiare l'angolazione dello scavo, un po' sulla destra, e poco dopo apparve tutto il bordo superiore dell'apertura.

Incoraggiate, le lucertole di fuoco si unirono a Canth ed ai cavalieri, fa-cendo volare il terriccio dappertutto. Quando ebbero finito di sgombrare l'apertura, avevano scoperto anche il bordo arrotondato di una delle tozze

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ali, e l'Arpista osservò prontamente che le lucertole rammentavano in mo-do esatto quel che avevano visto le loro antenate. Purché si riuscisse a in-durle a ricordare, naturalmente.

Quando ebbero messo allo scoperto tutta la porta, si scostarono per la-sciare che l'Arpista venisse ad esaminarla.

«Credo che ora faremmo bene a metterci in contatto con Lessa e F'lar. E sarebbe una scortesia gravissima escludere il Maestro Fandarel. Forse lui potrà dirci di che cosa è fatta questa nave.»

«Basta così,» disse F'nor, prima che l'Arpista potesse aggiungere altri nomi. «Andrò a prendere il Maestro Fabbro. Così risparmieremo tempo ed eviteremo i pettegolezzi. Canth avvertirà Ramoth.» Si terse il sudore dalla faccia e dal collo e si ripulì le mani alla meglio, prima di indossare la tenu-ta di volo. «E voi non fate niente durante la mia assenza!» aggiunse, guar-dando severamente tutti quanti, e soprattutto l'Arpista.

«Non saprei cosa fare,» disse Robinton, in tono di rimprovero. «Ci da-remo ai rinfreschi,» aggiunse, prendendo l'otre di vino, e indicando agli altri di sederglisi intorno.

Gli scavatori accolsero con gioia la pausa e la possibilità di contemplare la meraviglia che stavano disseppellendo.

«Se volavano con queste cose...» «Se, mio caro Piemur? Non ci sono dubbi. Lo facevano. Le lucertole di

fuoco hanno visto atterrare questi veicoli,» disse Robinton. «Stavo dicendo che se volavano con queste cose, perché non si allonta-

narono dal Pianoro dopo l'eruzione?» «Già, è vero.» «Ebbene?» «Forse potrà rispondere Fandarel: io certamente no,» confessò Robinton,

guardando la porta con aria di rammarico. «Forse dovevano decollare da un luogo elevato, come un drago pigro,»

disse Menolly, lanciando un'occhiata ironica a Jaxom. «Quanto tempo ci mette F'nor ad andare in mezzo?» chiese l'Arpista con

un sospiro malinconico, guardando il cielo luminoso in attesa di veder ri-comparire il drago.

«Occorre più tempo per decollare e atterrare.» Arrivarono prima i Comandanti del Weyr di Benden; Canth, con F'nor e

Fandarel, giunse dopo pochi secondi, e i tre draghi atterrarono insieme. Il Fabbro fu il primo a balzare dal dorso di Canth, e si precipitò sulla nuova meraviglia, passando con reverenza le mani sulla strana superficie e bor-

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bottando sottovoce. F'lar e Lessa arrivarono a grandi passi, tra l'erba alta, aggirando i mucchi di terra lanciata dai draghi: e nessuno dei due sembra-va capace di distogliere gli occhi da quella porta lucente.

«Aha!» gridò all'improvviso il Fabbro in tono di trionfo, facendo trasali-re tutti. Stava esaminando meticolosamente l'orlo della porta. «Forse que-sto si muove!» S'inginocchiò, davanti all'angolo destro. «Sì: se si dissep-pellisse completamente la nave, probabilmente questo sarebbe ad altezza d'uomo. Credo che dovrei premere.» Fece seguire l'azione alle parole ed un piccolo pannello si aprì, a lato della porta principale: c'era un'intercapedine occupata da diversi dischi colorati.

Tutti gli si affollarono intorno, mentre Fandarel agitava le grosse dita e le accostava alla fila superiore di dischi verdi. Quelli della fila inferiore erano rossi.

«Il rosso ha sempre indicato pericolo: è una convenzione che abbiamo ereditato senza dubbio dai nostri antenati,» disse. «Quindi proveremo pri-ma il verde!» Il grosso indice esitò ancora per un momento, poi premette il pulsante verde.

In un primo momento non accadde nulla. Jaxom sentì una stretta gelida nelle viscere, il preludio di un'immensa delusione.

«No, guardate, si apre!» Gli occhi acuti di Piemur scorsero il primo, ap-pena percettibile allargarsi della fessura.

«È vecchio,» disse in tono reverente il Fabbro. «Un meccanismo vec-chissimo,» aggiunse, mentre tutti udivano il lieve cigolio.

Pian piano, la porta si spostò verso l'interno e poi, sorprendentemente, si spostò lateralmente, rientrando nello scafo della nave. Una zaffata d'aria fetida li fece arretrare ansimando. Quando tornarono a guardare, la porta era rientrata del tutto, ed il sole illuminava il pavimento, più scuro dello scafo. Ma quando il Fabbro batté con le nocche delle dita, emise lo stesso suono: sembrava dello stesso materiale.

«Aspettate!» Fandarel trattenne gli altri che volevano entrare. «Lasciate circolare l'aria pura. Qualcuno ha pensato a portare qualche lampada?»

«Ce ne sono alla Baia,» disse Jaxom, raccogliendo la giubba e calzando il casco, mentre correva verso Ruth. Non si allacciò la cintura e il momen-to di gelo in mezzo lo agghiacciò, dopo la fatica di scavare. Prese tutte le lampade-cesto che poteva portare. Quando tornò, si accorse che nessuno si era mosso durante la sua assenza. Il timore dell'ignoto li aveva trattenuti. Il timore e forse, pensò Jaxom, la preoccupazione di trovarsi di fronte alla stessa delusione dei Pianoro.

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«Beh, non sapremo mai niente se ce ne restiamo qui come tanti idioti,» disse Robinton, prendendo una lampada dalie mani di Jaxom e togliendo lo schermo, mentre si dirigeva verso la nave.

Era giusto, pensò Jaxom mentre distribuiva le altre lampade, che il Mae-stro Arpista avesse l'onore di entrare per primo. Fandarel, F'lar, F'nor e Lessa varcarono insieme la soglia. Jaxom rivolse un sorriso a Piemur e Menolly, mentre si accodavano.

Un'altra grande porta, con una ruota che serviva a bloccare le grosse sbarre nel pavimento e nel soffitto, era aperta, invitante. Il Maestro Fanda-rel emetteva suoni inarticolati di ammirazione e di riverenza, mentre toc-cava le pareti e scrutava le leve di comando e gli altri dischi colorati. Quando proseguirono nell'interno della nave, incontrarono altre due porte, una aperta sulla sinistra e una chiusa sulla destra, che doveva portare, di-chiarò Fandarel, all'estremità del veicolo, alla parte circondata dai tubi. Com'era possibile che i tubi riuscissero a far volare un veicolo così ingom-brante e con le ali così tozze? Decisamente, doveva portare lì almeno Be-nelek, se proprio nessun altro doveva vederlo.

Svoltarono tutti a sinistra ed entrarono in un corridoio lungo e stretto; i loro stivali traevano suoni smorzati sul pavimento non metallico.

«È lo stesso materiale che adoperavano per i supporti delle miniere., credo,» disse Fandarel, inginocchiandosi e premendo le dita sul pavimento. «Ah, cosa c'era qui dentro?» chiese, tastando intercapedini che adesso era-no vuote. «Affascinante. E niente polvere.»

«Non c'era aria né vento che la potesse portare qui dentro, per chissà quando tempo,» commentò F'lar. «Come nelle stanze che abbiamo scoper-to nel Weyr di Benden.»

Percorsero un corridoio fiancheggiato da porte, alcune aperte, altre chiu-se. Nessuna era chiusa a chiave, e Piemur e Jaxom poterono affacciarsi nei locali vuoti. I fori nel pavimento e sulle pareti indicavano che lì un tempo c'erano vari infissi.

«Ehi, venite tutti qua!» risuonò la voce eccitata dell'Arpista, che era an-dato avanti a esplorare.

«No, qui!» chiamò F'nor, che era ancora più avanti di Robinton. «È da qui che dovevano guidare la nave!»

«No, F'nor, questo è più importante per noi!» F'lar assecondò il richiamo vibrante dell'Arpista. Quando tutti si radunarono intorno a loro, aggiungendo all'illuminazione

il chiarore delle loro lampade, videro cosa aveva attirato l'attenzione dei

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due. Le pareti erano coperte di mappe. I contorni noti del Continente Set-tentrionale e quelli assai meno conosciuti del Meridionale, riprodotto in tutta la sua immensità, erano stati tracciati dettagliatamente e indelebil-mente sulle pareti.

Con un'esclamazione che era per metà gemito e per metà grido, Piemur toccò la mappa, seguendo con l'indice il tratto che aveva faticosamente esplorato a piedi, e che tuttavia era soltanto una piccola parte della costa.

«Guardate, il Maestro Idarolan può navigare fin quasi alla Catena della Barriera Orientale... e non è la stessa catena che io ho visto dall'Ovest. E poi...»

«E questa mappa cosa rappresenta?» chiese F'nor, interrompendo i commenti eccitati di Piemur. Stava da una parte, e illuminava con la lam-pada-canestro un'altra carta di Pera. I contorni erano identici, ma c'erano fasce di colori diversi che formavano configurazioni incomprensibili. I mari erano rappresentati in varie sfumature di azzurro.

«Questo potrebbe indicare la profondità dei fondali,» disse Menolly, passando le dita su quella che conosceva come la Fossa di Nerat, e che lì era colorata in blu carico. «Guardate, ci sono frecce che indicano la Gran-de Corrente Meridionale. E questa è la Corrente Occidentale.»

«Se è così,» disse adagio l'Arpista, «questo dovrèbbe indicare l'altitudine dei rilievi sulla terraferma? No. Perché dove ci dovrebbero essere le mon-tagne, a Crom, Fort, Benden e Telga il colore è uguale a questa parte delle Pianure di Telgar. Sconcertante. Che cosa poteva significare per i nostri antenati?» Passò lo sguardo dal Nord al Sud. «E non c'è niente dello stesso colore, tranne questo piccolo tratto, in fondo al Continente Meridionale. Molto enigmatico. Dovrò studiarlo!» Toccò i bordi della mappa, ma era evidente che era tracciata sulla parete.

«Ecco qualcosa che interesserà il Maestro Wansor,» disse Fandarel, così assorto nelle sue osservazioni da non aver badato alle parole di Robinton.

Piemur e Jaxom girarono le lampade verso il Fabbro. «Una carta stellare!» esclamò il giovane Arpista. «Non proprio,» disse il Fabbro. «È una carta delle nostre stelle?» chiese Jaxom. Il dito massiccio del Fabbro toccò il disco più grande, arancione vivo, da

cui si irraggiavano fiamme irregolari. «Questo è il nostro sole. E questa deve essere la Stella Rossa.» Il dito

seguì l'orbita tracciata intorno al sole. Poi toccò un terzo mondo, molto piccolo. «Questo è il nostro Pern!» Fandarel rivolse un gran sorriso agli

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altri, divertito dalle umili dimensioni del loro pianeta. «E questo cos'è, allora?» chiese Piemur, posando l'indice su un mondo

colorato di scuro dall'altra parte del sole, lontano dagli altri pianeti e dalle loro orbite.

«Non lo so. Dovrebbe essere da questa parte del sole, come gli altri mondi!»

«E queste linee cosa significano?» domandò Jaxom, seguendo le frecce che partivano dalia base della mappa, raggiungevano la Stella Rossa e poi toccavano l'orlo della carta, sulla destra.

«Affascinante,» si limitò ad ammettere il Maestro Fabbro, massaggiando il mento mentre fissava quei disegni misteriosi.

«Preferisco questa mappa,» disse Lessa, sorridendo soddisfatta ai due continenti.

«Davvero?» chiese F'lar, voltandosi dopo aver esaminato la carta stella-re. «Ah, sì, capisco,» disse, quando la vide coprire con la mano la parte Ovest del Continente Meridionale. «Sì, sono d'accordo con te, Lessa. Mol-to istruttiva.»

«Com'è possibile?» chiese Piemur, quasi con disprezzo. «Non è esatta. Guardate,» aggiunse, tendendo la mano. «Non ci sono vulcani in mare, oltre le scogliere del Pianoro. E in questo tratto c'è troppa terraferma. E manca la Baia Grande. Non è affatto così. Lo so. L'ho esplorata a piedi.»

«No, la mappa non è più esatta,» disse l'Arpista, prima che Lessa inco-minciasse a criticare Piemur. «Guardate Tillek. La penisola a nord è molto più grande di quanto dovrebbe essere. E non c'è traccia del vulcano sulla costa a Sud.» Poi aggiunse, con un sorriso: «Ma sospetto che la carta fosse esatta. quando venne disegnata.»

«Ma certo!» disse Lessa con un'esclamazione di trionfo. «Tutti i Passag-gi hanno sconvolto il nostro povero mondo, causando sovvertimenti e di-struzione...»

«Vedete quello sperone di terra, dove adesso ci sono le Pietre dei Dra-ghi?» gridò Menolly. «Il mio bisnonno ricorda che là la terra franò in ma-re!»

«Anche se c'è stato qualche cambiamento,» sentenziò Fandarel, «queste mappe rappresentano una meravigliosa scoperta.» Poi aggrottò la fronte, esaminando quella con la strana colorazione. «Quel tono marrone indica i nostri primi insediamenti al Nord. Vedete? La Fortezza di Fort, poi Rua-tha, Benden, Telgar.» Guardò F'lar e Lessa. «E i Weyr. Sono collocati tutti quanti in fasce con la stessa colorazione. Forse è ciò che significa. Luoghi

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dove la gente poteva andare a vivere?» «Ma all'inizio si erano stabiliti sul Pianoro, e non è dello stesso colore,»

obiettò Piemur. «Dobbiamo chiedere l'opinione del Maestro Wansor. E del Maestro Ni-

cat.» «Vorrei proprio che Benelek desse un'occhiata ai comandi delle porte e

magari esaminasse la parte posteriore della nave,» disse F'nor. «Mio caro cavaliere marrone,» disse il Fabbro, «Benelek è bravissimo in

fatto di meccanica, ma questo...» Il suo ampio gesto indicava che la tecno-logia avanzata della nave trascendeva le capacità del suo apprendista.

«Forse un giorno ne sapremo abbastanza per capire tutti i misteri delle navi,» disse F'lar, sorridendo soddisfatto e battendo la mano sulle mappe. «Ma queste... sono utili immediatamente, per noi e per Pern.» S'interruppe per rivolgere un gran sorriso al Maestro Robinton, che annui, ed a Lessa che continuò a sorridere, con gli occhi accesi da una malizia che soltanto quei tre sembravano condividere. «E per il momento, non dobbiamo par-larne!» Aveva assunto un tono severo, e alzò la mano quando Fandarel fece per protestare. «Solo per poco tempo, Fandarel. Ho le mie buone ra-gioni. Wansor deve vedere senza dubbio queste equazioni e questi disegni. E Benelek potrà studiarsi i meccanismi. Poiché lui parla soltanto con gli oggetti inanimati, non rappresenterà un rischio per la segretezza che, riten-go, dovremo imporre per quanto riguarda queste navi. Menolly e Piemur sono vincolati dagli impegni degli Arpisti, e tu, Jaxom, hai dato già prova di discrezione e di capacità.» Lo sguardo di F'lar, diretto e intenso, causò a Jaxom un brivido interiore: era certo che il Comandante del Weyr di Ben-den sapeva la verità circa la faccenda dello stramaledetto uovo. «C'è già abbastanza, sul Pianoro, per confondere le Fortezze, le Arti ed i Weyr, senza bisogno di aggiungere altri enigmi.» I suoi occhi tornarono a posarsi sul grande Continente Meridionale; scosse lentamente il capo, e il suo sor-riso ed i sorrisi di Lessa e dell'Arpista si accentuarono. All'improvviso, un'espressione turbata gli passò sul volto. Alzò la testa. «Toric! Ha detto che oggi sarebbe venuto qui, per aiutarci a scavare.»

«Sì, e N'ton doveva venire a prendere me,» disse Fandarel. «Ma solo tra un'ora. F'nor mi ha trascinato giù dal letto...»

«E la Fortezza Meridionale si trova nella stessa zona oraria di Telgar. Bene! Comunque, voglio una copia di questa mappa. Di quale dei tre pos-siamo fare a meno, oggi?» chiese.

«Jaxom!» rispose prontamente l'Arpista. «È un buon copista, e quando il

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cavaliere è venuto a prendere Sharra, ieri sera, lui era andato a Ruatha. Inoltre, è opportuno tenere isolato Ruth. Le lucertole di fuoco locali gli terranno compagnia qui e non spettegoleranno con le tre di Toric.»

La decisione fu presa in fretta e Jaxom venne lasciato lì con il materiale per preparare le copie e tutte le lampade. Venne eretto uno schermo di ra-mi per nascondere l'apertura agli eventuali curiosi. Ruth venne pregato di attirare intorno a sé le lucertole locali e d'indurle a sonnecchiare, se era possibile. Poiché il drago bianco era stanco per le fatiche di quel mattino, era dispostissimo ad acciambellarsi al sole per dormire. Gli altri andarono alla Fortezza della Baia e Jaxom cominciò a copiare quella carta così stra-namente significativa.

Mentre lavorava, cercò di capire perché aveva rallegrato tanto i Coman-danti del Weyr e il Maestro Robinton. Certo, era una fortuna poter cono-scere l'estensione del Continente Meridionale senza doverlo percorrere tutto a piedi.

Era quella, la ragione? Naturalmente. Toric non sapeva quant'era grande il Continente Meridionale! E adesso i Comandanti del Weyr lo sapevano. Jaxom scrutò la penisola della Fortezza, calcolando quello che erano riu-sciti ad esplorare Toric ed i suoi senzaterra. Toric, anche con la sua Fortez-za piena zeppa dei cadetti di tutte le Fortezze del Nord di Pern, non sareb-be mai riuscito ad esplorare quell'immenso continente. Oh, anche se avesse cercato d'impadronirsi del territorio fino alla Catena Occidentale al Sud, e alla Baia Grande all'Ovest... Jaxom sorrise, così soddisfatto della sua de-duzione che per poco non fece uno sgorbio sulla linea che stava tracciando. Doveva raffigurare la Baia Grande come la conoscevano adesso, oppure ricopiare fedelmente la vecchia mappa? Sì, era quella che contava. E quando Toric l'avrebbe vista... Jaxom ridacchiò, immaginando con intenso piacere la delusione che l'altro avrebbe provato

XXI

Il giorno seguente alla Montagna, alla Fortezza della Baia e al Terreno della Schiusa del Weyr Meridionale 15.10.21. «Io so quello che è stato concesso originariamente a Toric,» stava dicen-

do Robinton al Comandante del Weyr di Benden, mentre bevevano klah

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nella Fortezza della Baia. «La proprietà di quello che aveva acquisito, quando gli Antichi avessero

lasciato il Weyr Meridionale,» lo corresse F'lar. «Un purista sosterebbe che, dato che gli Antichi non sono andati tutti in mezzo, Toric può continu-are ad estendere i suoi possedimenti.»

«O ad assicurarsi la lealtà di altri, assegnando terre anche a loro?» fece Robinton.

Lessa lo scrutò, assorbendo il significato di quelle parole. «È per questo che si è dimostrato così ben disposto a sistemare tanti uomini senza terra?» Per un momento assunse un'espressione indignata, poi rise. «Dovremo tener d'occhio Toric, nei prossimi Giri. Non immaginavo che si sarebbe dimostrato così ambizioso.»

«Ed anche lungimirante,» disse Robinton in tono asciutto. «Ottiene pa-recchio, sia per gratitudine che per possesso.»

«La gratitudine tende a inacidire,» osservò F'lar. «Non è così sciocco da contare soltanto su quella,» fece Lessa con aria

malinconica, poi si guardò intorno, perplessa. «Non ho visto Sharra, sta-mattina.»

«No. Ieri sera è venuto a prenderla un cavaliere. Ci sono casi di malattia a... oh!» L'Arpista spalancò gli occhi, per sottolineare la sorpresa e lo sbi-gottimento. «Nessuno è sciocco quanto un vecchio. Non ho pensato neppu-re di dubitare di quel messaggio. Sì, Toric è capace di servirsi di Sharra e delle altre sue sorelle. E ha anche parecchie figlie, per stringere legami con gli uomini che gli interessano. Jaxom reagirà a questa situazione, immagi-no.»

«Lo spero,» fece Lessa in tono aspro. «Approvo la scelta di Sharra come consorte. Se non si tratta semplicemente di gratitudine perché lei lo ha cu-rato...» Schioccò la lingua, nel nominare la gratitudine.

Robinton rise. «Brekke e Menolly pensano che si tratti di un affetto sin-cero da parte di entrambi. Son lieto che tu approvi. Speravo che da un giorno all'altro lui si decidesse a chiedermi di fare da mediatore. Soprattut-to in vista delle riflessioni di oggi. A proposito, ieri sera Jaxom è tornato a Ruatha. Ha parlato con Lytol della sua Conferma come Signore della For-tezza.»

«Davvero?» F'lar era compiaciuto quanto la sua compagna. «Glielo ha suggerito Sharra? O l'allusione indelicata di Toric, ieri?»

«Mi sono perso molte cose, dato che non ero stato autorizzato ad andare al Pianoro,» disse irritato l'Arpista. «Che allusione?»

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Il grido di Ramonth e Mnementh interruppe la discussione. «È arrivato N'ton, con il Maestro Nicat e Wansor,» spiegò F'lar. Si alzò,

rivolgendosi a Robinton ed a Lessa. «Dobbiamo lasciare che le cose pro-cedano in modo naturale?»

«Di solito è meglio,» disse Robinton. Lessa sorrise misteriosamente e si avviò verso la porta. N'ton aveva portato tre minatori specializzati, oltre al loro Maestro. F'nor

arrivò subito dopo insieme a Wansor, Benelek e due giovani apprendisti, scelti evidentemente per la loro taglia robusta. Senza attendere che D'ram arrivasse con Toric, si trasferirono in mezzo fino al Pianoro, atterrando il più possibile vicino al monticello di Nicat. Alla luce del giorno fu possibi-le scoprirne la funzione: le decorazioni erano formate da numeri e lettere, e animali interessantissimi, grandi e piccoli, che non somigliavano a nessun esemplare della fauna di Pern.

«Una Sede di Arpisti, per i giovanissimi che dovevano imparare i primi Canti dell'Insegnamento e le prime Ballate,» disse Robinton, meno deluso degli altri, perché quell'edificio aveva un legame con la sua Arte.

«Bene, allora,» disse Benelek, girando sui tacchi e indicando il tumulo sulla sinistra, «li dovevano raccogliersi gli studenti avanzati. Se, natural-mente,» commentò in tono dubbioso, «i nostri antenati seguivano una se-quenza logica e procedevano verso destra in formazione circolare.» Rivol-se un inchino ai Comandanti dei Weyr e ai tre Maestri e, facendo un cenno ad un apprendista, uscì a passo deciso, prese un badile dal mucchio e co-minciò a scavare tra l'erba intorno al tumulo prescelto.

Lessa attese che Benelek non potesse più sentirla, poi rise. «E se gli an-tenati lo deluderanno, continuerà a interessarsi ad altri misteri?»

«Oggi dobbiamo disseppellite il mio monticello,» disse F'lar, tentando di imitare il tono decisa di Benelek, mentre accennava agli altri di prendere gli utensili e di seguirlo.

Poiché avevano scoperto che le entrate erano quasi sempre sui lati più corti, abbandonarono la trincea che F'lar aveva scavato sul tetto. Ramoth e Mnementh rimossero diligentemente enormi mucchi di quello strano ter-riccio nerogrigio. Poco dopo misero allo scoperto una porta, abbastanza ampia per lasciai passare un drago verde, e montata su guide. In un angolo c'era un'apertura più piccola. «A grandezza d'uomo,» disse F'lar. Si apriva su cardini che non erano di metallo, e questo entusiasmò e sconcertò Nicat e Fandarel. Mentre stavano aprendo la porticina, arrivarono Jaxom e Ruth. Si erano appena posati sulla sommità del monticello quando altri tre draghi

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emersero nell'aria. «D'ram,» fece Lessa. «E i due bronzei di Benden che l'hanno accompa-

gnato al Sud per aiutarlo.» «Mi dispiace di aver impiegato tanto, Maestro Robinton,» disse Jaxom,

porgendo all'Arpista un rotolo come se si trattasse d'una cosa di scarsa im-portanza. «Buongiorno, Lessa. Cosa c'era nell'edificio di Nicat?»

L'Arpista ripose scrupolosamente il rotolo nella borsa, compiaciuto del-l'abile dissimulazione del giovane. «Una sala per bambini. Vai a dare u-n'occhiata.»

«Potrei dirti una parola, Maestro Robinton? A meno che...» Jaxom indi-cò il tumulo e la porticina aperta.

«Posso aspettare che sia cambiata l'aria,» rispose Robinton, che aveva notato l'espressione tesa di Jaxom e il suo atteggiamento quasi suppliche-vole. Si appartò insieme al giovane. «Sì?»

«Sharra viene trattenuta alla Fortezza Meridionale da suo fratello,» spie-gò Jaxom, a voce bassa, senza tradire la propria agitazione.

«Come l'hai scoperto?» chiese Robinton, alzando gli occhi verso il bron-zeo che portava il meridionale.

«Lo ha detto lei a Ruth. Toric intende farle sposare uno dei nuovi pro-prietari terrieri. Giudica inutili i signorotti del Nord!» C'era una luce mi-nacciosa negli occhi di Jaxom, una durezza che, per la prima volta da quando Robinton lo conosceva, lo faceva somigliare a suo padre Fax, una somiglianza che in quel momento fece quasi piacere all'Arpista.

«Alcuni di quei signorotti lo sono, senza dubbio,» rispose Robinton di-vertito. «Che cosa intendi fare, Jaxom?» aggiunse, perché il giovane non aveva reagito alla sua battuta scherzosa. Forse non aveva capito quanto fosse cambiato il Signore di Ruatha in quelle due ultime stagioni.

«Intendo riprendermela,» disse Jaxom, in tono calmo e fermo, e indicò il drago banco. «Toric ha fatto i conti senza Ruth.»

«Hai intenzione di entrare nel Weyr Meridionale e di portarla via?» chiese Robinton, cercando di conservare un'espressione imperturbabile, sebbene lo slancio romantico di Jaxom glielo rendesse difficile.

«Perché no?» All'improvviso, un bagliore ironico riapparve negli occhi del giovane. «Non credo che Toric si aspetti da me un'azione diretta. Sono uno di quegli inutili signorotti del Nord!»

«Già, ma non prima di aver ricevuto anche tu un'azione diretta, immagi-no,» disse sottovoce Robinton.

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Toric ed i suoi compagni erano smontati nello spazio sgombro fra due fi-le di monticelli. Lasciò i suoi e, togliendosi la tenuta di volo, avanzò a grandi passi verso Lessa e gli altri raccolti intorno alla porta del tumulo. Ma dopo averla salutata, cambiò direzione, e puntò deciso verso Jaxom.

«Arpista!» disse, fermandosi con un cortese cenno per Robinton, prima di guardare Jaxom.

Con grande soddisfazione del Maestro, il Signore di Ruatha non raddriz-zò le spalle e non si voltò verso Toric.

«Proprietario Toric,» disse Jaxom, girando appena la testa, in un saluto indifferente. Il titolo, che era senza dubbio appropriato, perché Toric non era stato mai invitato ad assumere il rango degli altri Signori delle Fortezze di Pern, gelò il meridionale. Socchiuse gli occhi e fissò Jaxom.

«Nobile Jaxom,» la risposta strascicata di Toric trasformò un insulto il titolo, sottintendendo che non spettava ancora a Jaxom.

Jaxom si voltò lentamente. «Sharra mi riferisce,» disse, notando, mentre lo notava anche Robinton, che Toric socchiudeva un poco gli occhi per la sorpresa e lanciava un'occhiata frettolosa alle lucertole di fuoco che cir-condavano Ruth, «che tu non approvi un'alleanza con Ruatha.»

«No, signorotto, non l'approvo!» Toric guardò l'Arpista, con un gran sor-riso. «Mia sorella può trovare qualcosa di meglio di una Fortezza del Nord, grande come un fazzoletto.» Il tono era apertamente sprezzante.

«Che cosa ho sentito, Toric?» chiese Lessa, in tono leggero, ma con un bagliore d'acciaio negli occhi, piazzandosi a fianco di Jaxom.

«Il Proprietario Toric ha altri progetti per Sharra,» disse Jaxom, in tono più divertito che irritato. «Sembra che possa trovare qualcosa di meglio di una Fortezza grande come un fazzoletto.

«Non intendo offendere Ruatha,» disse prontamente Toric, cogliendo il guizzo di collera sul volto di Lessa, sebbene la Dama del Weyr continuas-se a sorridere.

«Infatti sarebbe molto imprudente, poiché sono molto fiera del mio San-gue e dell'attuale Signore che porta quel titolo,» rispose lei, in tono quasi distratto.

«Senza dubbio potresti ritornare sulla tua decisione, Toric,» disse Robin-ton, affabile come sempre, sebbene il suo tono gli indicasse chiaramente che si muoveva su un terreno pericoloso. «Un'alleanza del genere, tanto desiderata da quei due giovani, ti arrecherebbe vantaggi considerevoli, e ti porterebbe sullo stesso piano di una delle Fortezze più prestigiose di Pern.»

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«E ti assicurerebbe il favore di Benden,» fece Lessa, con un sorriso così soave che per poco Robinton non scoppiò a ridere pensando alla situazione in cui veniva a trovarsi il meridionale.

Toric restò lì a massaggiarsi distrattamente la nuca: il suo sorriso si era un po' attenuato.

«Dovremmo discutere questa faccenda. Abbastanza a lungo, credo.» Lessa prese a braccio Toric, e lo fece voltare. «Maestro Robinton, vuoi farci compagnia? Credo che il mio piccolo edificio sia un posto ideale per parlare indisturbati.»

«Pensavo che fossimo qui per dissotterrare il glorioso passato di Pero,» disse Toric, con una risata bonaria. Ma non liberò il braccio.

«Senza dubbio questo momento è il più adatto,» continuò Lessa con il suo tono più dolce, «per discutere il futuro. Il tuo futuro.»

F'lar li aveva raggiunti; s'incamminò alla sinistra di Lessa. Evidentemen-te il collegamento tra Mnementh e Lessa l'aveva avvertito di quanto stava succedendo. L'Arpista si voltò a lanciare un'occhiata rassicurante a Jaxom, ma il giovane stava fissando il suo drago.

«Sì, con tanti uomini senza terra e pieni di ambizioni che affluiscono nel Continente Meridionale,» disse serenamente F'lar, «dobbiamo assicurarci che tu abbia le terre che l'interessano, Toric. Non voglio faide di sangue, nel Sud. E per giunta sarebbero inutili, dato che qui c'è spazio a sufficienza per questa generazione e per parecchie altre.»

La risposta di Toric fu una risata scrosciante; sebbene avesse adattato il suo passo a quello di Lessa, continuava a dare a Robinton un'impressione di sicurezza invulnerabile.

«E se c'è tanto spazio, perché non dovrei avere ambizioni per mia sorel-la?»

«Ne hai più d'una, e adesso non stiamo parlando di Jaxom e Sharra,» ri-batté Lessa con una sfumatura d'irritazione. «Io e F'lar avevamo intenzione di organizzare una cerimonia ufficiale per consacrare la tua Tenuta,» con-tinuò poi, indicando l'antico edificio vuoto in cui erano entrati. «Ma c'è il Maestro Nicat che desidera formalizzare le attività della Sede dell'Arte dei Minatori, e il Nobile Groghe tiene molto che i suoi due figli non abbiano terre adiacenti, e vi sono altri problemi sorti recentemente che richiedono soluzioni.»

«Soluzioni?» chiese cortesemente Toric, appoggiandosi ad! una parete e incrociando le braccia sul petto.

Robinton cominciò a chiedersi fino a che punto quella posa indolente

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fosse simulata. Le ambizioni di Toric avrebbero avuto il sopravvento sul buon senso?

«Per esempio: quanta terra potrà possedere ciascuno, al Sud?» chiese F'lar, ripulendosi indolentemente l'unghia del pollice con la punta del col-tello. Aveva sottolineato quel ciascuno.

«E allora? Il nostro accordo stabiliva che io potevo tenere tutte le terre che avrei acquistato al momento in cui non ci sarebbero più stati gli Anti-chi.»

«E per la verità ci sono ancora,» disse Robinton. Toric annuì. «Non insisto per attendere,» ammise, chinando leggermente

la testa. «Dato che la situazione è cambiata. E da quando la mia Fortezza è stata completamente disorganizzata dall'arrivo di quei signorotti indigenti e speranzosi, e di uomini senza terre e di ragazzi, ho saputo da fonti attendi-bili che altri hanno fatto a meno del nostro aiuto e sono sbarcati dovunque era possibile tirare a terra le loro navi.»

«Una ragione di più per assicurarci che tu non venga privato d'una sola spanna della proprietà che ti spetta,» disse F'lar. «So che hai mandato in giro squadre di esploratori. Fin dove sono penetrati, esattamente?»

«Con l'aiuto dei dragonieri di D'ram,» rispose Toric, mentre Robinton notava l'intensità con cui scrutava F'lar per scoprire se quell'aiuto imprevi-sto era già noto a Benden, «abbiamo ampliato la nostra conoscenza del territorio ai piedi della Catena Occidentale.»

«Così lontano?» Il cavaliere bronzeo si mostrò sorpreso, forse anche un po' allarmato.

Robinton sapeva, grazie alla mappa scoperta sulla nave che, sebbene il territorio dal mare alla Catena Occidentale fosse immenso, era solo una piccola parte dell'area totale del Continente Meridionale.

«E naturalmente Piemur ha raggiunto la Grande Baia del Deserto ad O-vest,» stava dicendo Toric.

«Mio caro Toric, come potrai governare tutto quanto?» F'lar sembrava sinceramente preoccupato.

«Ho molti piccoli proprietari con famiglie numerose lungo gran parte della costa abitabile, e in punti strategici nell'interno. Gli uomini che mi avete mandato durante gli ultimi Giri si sono dimostrati molto industriosi.» Il sorriso di Toric era diventato più sicuro.

«Immagino che ti abbiano promesso fedeltà in cambio della tua genero-sità iniziale,» disse F'lar con un sospiro.

«Naturalmente.»

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Lessa rise. «Quando ci siamo incontrati a Benden avevo avuto l'impres-sione che fossi un uomo astuto e indipendente.»

«Mia cara Dama del Weyr, c'è più terra per ogni uomo in grado di pos-sederla. Certe piccole Tenute potrebbero rivelarsi più preziose di altre più grandi, agli occhi di coloro che ne sanno apprezzare il vero valore.»

«Direi,» continuò Lessa, ignorando di proposito quell'allusione alle di-mensioni di Ruatha, «che avrai più di quanto occorra per tenerti occupato, dal mare alla Catena Occidentale fino alla Grande Baia...»

Toric si raddrizzò di scatto. Lessa stava guardando F'lar, chiedendo indi-rettamente a sua approvazione per ciò che stava concedendo al meridiona-le; e soltanto Robinton scorse la vigile, intensa sorpresa e l'irritazione che balenò negli occhi di Toric. Ma quello si riprese prontamente.

«Fino alla Baia Grande all'Ovest, sì: è quello che spero. Ho le mappe. Sono nella mia Fortezza, ma se mi permettete...»

Aveva mosso un passo verso la porta, quando il grido di Ramoth lo fer-mò. E quando Mnementh le fece eco, F'lar si affrettò a bloccare la strada.

«È troppo tardi, Toric.» Mentre guardava i Comandanti del Weyr di Benden e l'Arpista dirigersi

insieme a Toric verso il piccolo edificio dissepolto, Jaxom espulse, con un profondo respiro, la collera che aveva trattenuto a fatica per i modi sprez-zanti di Toric.

«Ruatha è grande come un fazzoletto?» Proprio! Ruatha, la seconda For-tezza di Pern in ordine di antichità, ed una delle più prospere. Se non fosse sopraggiunta Lessa, gliel'avrebbe fatto vedere lui, a quel...

Jaxom trasse un altro profondo respiro. Toric era più alto e più forte di lui. Il meridionale l'avrebbe massacrato, se Lessa non fosse intervenuta ad impedirgli di commettere una sciocchezza. Jaxom non aveva mai pensato che Toric potesse non sentirsi onorato da un'alleanza con Ruatha. Era ri-masto sbalordito quando Ruth gli aveva riferito che Sharra era stata attirata con l'inganno nel Weyr Meridionale, e che Toric non avrebbe accettato per lei un matrimonio al Nord. E Toric non aveva voluto ascoltare Sharra, quando gli aveva confessato di essere sinceramente legata a Jaxom: aveva incaricato la sua reimpedirle d'inviare messaggi al giovane. Non sapeva che Sharra poteva parlare con Ruth, ed era ciò che lei aveva fatto appena s'era svegliata quel mattino. Il tono di Ruth era quasi divertito, per quella comunicazione segreta.

Jaxom attese che i quattro si fossero diretti verso il piccolo edificio, pri-

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ma di avvicinarsi al drago. «Vola nel Weyr Meridionale e portala via,» aveva detto scherzando l'Arpista: ma era appunto ciò che Jaxom aveva intenzione di fare.

«Ruth,» chiese mentalmente, accostandosi, «ci sono lucertole di Toric attorno a te?»

No! Andiamo a prendere Sbarra? Dove devo dirle di aspettarci? Noi siamo stati soltanto al Terreno della Schiusa, nel Weyr Meridionale. Devo chiederlo a Ramoth?

«Preferirei non coinvolgere i draghi di Benden. Andremo al Terreno del-la Schiusa. Quell'uovo ci sta tornando utile, dopotutto,» aggiunse, valutan-do l'ironia della situazione mentre balzava sul dorso di Ruth. «Trasmettile l'immagine, Ruth. Chiedile se può andarci.»

Lei dice di sì. «Allora andiamo!» Jaxom cominciò a ridere apertamente, quando Ruth andò in mezzo. Si avvicinarono a bassa quota dall'Est, come avevano fatto meno di un

Giro prima. Ma adesso, il cerchio di sabbia calda era deserto. Restò così solo per un attimo, perché le lucertole di fuoco scesero in picchiata, acco-gliendoli allegramente.

«Sono di Toric?» fece Jaxom, mentre si chiedeva se doveva smontare e cercare Sharra.

Lei sta arrivando! La regina di Toric è con lei. Vattene! non mi piace che tu spii i miei amici!

Jaxom non ebbe il tempo di stupirsi del tono feroce del suo drago. Shar-ra, trascinandosi dietro una coperta che cercava di drappeggiarsi sopra gli abiti succinti, arrivò correndo attraverso il Terreno della Schiusa. Si preci-pitò verso di lui con aria ansiosa, e per poco non inciampò nella coperta quando si voltò per guardarsi alle spalle.

Lei dice che due uomini di Toric la inseguono. Ruth spiccò un balzo e planò verso Sharra, mentre Jaxom si sporgeva, tendendo le braccia per afferrarla e issarla sul collo del drago. Due uomini con le spade sguainate si precipitarono sul Terreno della Schiusa.Ma Ruth si lanciò,lasciandoli a imprecare impotenti. Il drago di guardia del Weyr Meridionale saluto a gran voce Ruth, che ricambiò mentre s'innalzava nell'aria calda a forti col-pi d'ala.

«Credo che tuo fratello abbia sbagliato i calcoli, Sharra.» «Portami via, Jaxom. Portami a Ruatha! Non voglio più rivedere mio

fratello. È subdolo, sciagurato...»

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«Dovremo rivedere tuo fratello: non ho intenzione di nascondermi. Oggi dobbiamo mettere tutto in chiaro.»

«Jaxom!» C'era un'autentica preoccupazione nel tono di Sharra. Gli strinse forte le braccia intorno alla cintura. «Ti ucciderà.»

«Non ci sarà nessun duello, Sharra,» disse Jaxom, ridendo. «Infagottati bene nella coperta. Ruth ci porterà in mezzo al più presto!»

«Jaxom, spero che tu sappia quel che stai facendo!» Ruth li riportò al Pianoro, cantilenando un saluto mentre atterrava. «Oh, sono congelata, ma mi avevano portato via la tenuta da volo,» gri-

dò Sharra. Le sue gambe nude, sul collo di Ruth, erano bluastre per il fred-do. Jaxom si sporse per massaggiarle. «Ed ecco là Toric. Con Lessa, F'lar e Robinton!»

«E i più grossi draghi di Benden!» «Jaxom!» «Tuo fratello fa le cose a modo suo, e io le faccio a modo mio. A modo

mio!» «Jaxom!» C'era stupore e rispetto nella voce di Sharra, mentre si strin-

geva di nuovo a lui. Ruth si posò e, quando smontarono, s'incamminò alla sinistra di Jaxom,

mentre i due giovani andavano incontro agli altri. Toric non sfoggiava più il solito sorriso.

«Toric, non potrai tenere prigioniera Sharra in nessun luogo di Pern do-ve io e Ruth non possiamo trovarla!» disse Jaxom, dopo aver rivolto un lievissimo cenno di saluto ai Comandanti del Weyr di Benden e all'Arpista. Nell'espressione dura di Toric non c'era ombra di compromesso; del resto, lui non se l'aspettava. «Lo spazio e il tempo non costituiscono una barriera per Ruth. Sharra ed io possiamo andare in qualunque luogo e in qualunque tempo, su Pern.»

Una lucertola regina, gridando pietosamente, tentò di posarsi sulla spalla di Toric, ma l'uomo la scacciò.

«E le lucertole di fuoco obbediscono a Ruth. Non è vero, amico mio?» Jaxom posò la mano sulla cresta del drago bianco. «Di' a tutte le lucertole presenti sul Pianoro di andar via!»

Ruth obbedì, poi, mentre l'immenso prato si vuotava di colpo, aggiunse che non avrebbero voluto andarsene.

A quella dimostrazione, Toric socchiuse leggermente gli occhi. Poi le lucertole di fuoco ricomparvero. Questa volta permise alla sua piccola re-gina di posarglisi sulla spalla, ma continuò a guardare Jaxom negli occhi.

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«Come facevi a conoscere il Weyr Meridionale? Mi avevano detto che non c'eri mai stato.» Si voltò a mezzo, come per accusare F'lar e Lessa di complicità.

«Il tuo informatore si sbagliava,» rispose Jaxom, chiedendosi se era stato Dorse. «Oggi non è stata la prima volta che ho ripreso nel Weyr Meridio-nale qualcosa che appartiene al Nord.» E passò il braccio intorno alle spal-le di Sharra con un gesto possessivo.

Toric perse la calma. «Tu!» Tese il braccio verso Jaxom: il suo viso e-sprimeva collera, indignazione, delusione, frustrazione e, infine, uno scon-troso rispetto. «Tu hai riportato l'uovo a Benden.' Tu e quel... ma le imma-gini trasmesse dalle lucertole di fuoco erano nere!»

«Sarei stato stupido se non avessi scurito la pelle di un drago bianco per muovermi di notte, no?» chiese Jaxom in tono sprezzante.

«Sapevo che non era stato uno dei cavalieri di T'ron,» gridò Toric, ser-rando e disserrando i pugni. «Ma se fossi stato tu a... Bene.» Cambiò radi-calmente atteggiamento. Ricominciò a sorridere, dapprima un po' acido, guardando i Comandanti del Weyr di Benden e l'Arpista Poi scoppiò a ridete, sfogando collera e frustrazione in quella risata. «Se sapessi, signo-rotto...» E tese di nuovo il braccio verso Jaxom. «Se sapessi i piani che hai rovinato, i... Quanti sapevano che eri stato tu?» Si girò verso i dragonieri con aria accusatrice.

«Io lo sapevo,» disse Sharra. «E anche Brekke. Jaxom non faceva altro che preoccuparsi per quell'uovo, quand'era in delirio.» E si voltò a guardar-lo con orgoglio.

«Non che abbia importanza, ormai,» disse Jaxom. «Quello che importa... Adesso ho il tuo permesso di sposare Sharra e di farne la Dama della For-tezza di Ruatha?»

«Non vedo come potrei impedirtelo.» Il gesto di frustrazione di Toric in-cludeva umani e draghi.

«Non potresti, perché quel che Jaxom ha detto delle capacità di Ruth è vero,» disse F'lar. «Non bisogna mai sottovalutare un dragoniere, Toric.» Poi sorrise, senza addolcire quell'avvertimento implicito. «Soprattutto un dragoniere del Nord.»

«Non lo dimenticherò,» rispose Toric, in tono di inequivocabile ramma-rico. Il sogghigno affabile gli rispuntò sulla faccia. «Soprattutto nell'attuale discussione. Prima che questi giovani impetuosi ci interrompessero, sta-vamo parlando dell'estensione delle mie terre, no?»

Voltò le spalle a Sharra e Jaxom, e indicò agli altri di ritornare nel picco-

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lo edificio.

EPILOGO La primavera era tornata nel Nord di Pern e alla Fortezza di Ruatha.

Quando vennero riparati i danni causati dall'inverno e le prime semine furono ultimate, ci fu un gran daffare alla Fortezza, per abbellirla in vista di quel mattino di primavera in cui, secondo le equazioni di Wansor, i Fili sarebbero caduti soltanto sul mare, lontano a occidente, dove non potevano causare danni.

I muri erano stati lavati e raschiati, i pavimenti tirati a lucido, e quel giorno le bandiere pendevano da tutte le finestre spalancate, festoni di fiori ornavano ogni angolo dei cortili della Sala. Durante la notte erano stati portati rampicanti fioriti dal Sud per inghirlandare le alture dei fuochi. I prati ai piedi della Fortezza erano coperti dalle tende, e pieni di recinti per i corridori degli ospiti. Cominciarono ad arrivare i draghi, salutati dal vec-chio drago da guardia, il marrone Wilth, che senza dubbio sarebbe diventa-to rauco a forza di lanciare grida di benvenuto, prima dell'inizio delle ce-rimonie.

Dovunque c'erano lucertole di fuoco, e draghi e umani dovevano richia-marle continuamente all'ordine. Ma l'atmosfera era così serena e gaia che tutte le loro allegre pazzie venivano tollerate amichevolmente.

Per provvedere a tutti gli ospiti - sembrava che metà di Pern si fosse data convegno lì, dal Nord e dal Sud - la Fortezza ed il Weyr di Fort, oltre a Benden, avevano prestato a Ruatha il personale delle cucine. Toric aveva cortesemente spedito dal Continente Meridionale carichi di frutta fresca, pesce, wherry e corridori selvatici, la cui carne era molto apprezzata per il delicato sapore di selvaggina tanto diverso da quello della carne del Nord. Fin dalla sera prima erano in funzione le fosse per arrostire e bollire, e gli aromi facevano venire a tutti l'acquolina in bocca.

C'erano state feste, a notte, danze e canti fin quasi all'alba, perché i commercianti erano arrivati in anticipo, e nessuno si scandalizzava per i modi diversi in cui veniva sfruttata quell'occasione. Altra gente, adesso, arrivava lungo le strade, scendeva in volo dal cielo all'avvicinarsi dell'ora della cerimonia con cui sarebbe stato confermato ufficialmente il giovane Signore della Fortezza di Ruatha.

Arriva l'Arpista, disse Ruth a Jaxom e Sharra, aprendo le porte del suo weyr per uscire nel cortile.

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Jaxom e Sharra, nella stanza principale del loro appartamento al pianter-reno, lo udirono lanciare il suo grido di benvenuto, come se non avesse dato la buonanotte a Robinton nelle prime ore di quella mattina.

Lioth dice di aspettare qui. L'Arpista e N'ton vogliono parlarvi senza che nessuno altro ascolti.

Jaxom si girò stupito verso Sharra. «Oh, non può essere niente di spiacevole, Jaxom,» disse lei, sorridendo.

«Il Maestro Robinton ce l'avrebbe detto questa notte. Sono sempre convin-ta che quella tunica ti stia un po' stretta sul petto.»

«Tutti gli scavi di primavera al Prato della Nave, amor mio,» disse Ja-xom, inspirando, e la stoffa della tunica marrone si tese alle cuciture.

«Se strappi quella stoffa nuova, dovrai portarla rammendata!» Sharra sorrise ancora mentre lo rimproverava, poi lo baciò.

I baci di Sharra meritavano di essere goduti appena possibile, e Jaxom l'abbracciò stretta.

«Jaxom! Non voglio presentarmi tutta spettinata alla tua Conferma!» Sono arrivati Ramoth e Mnementh! Ruth si sollevò sulle zampe posterio-

ri per lanciare un saluto adeguatamente onorevole. «Si direbbe che sia lui, a venire confermato come Signore di Ruatha,»

fece Sharra, gaiamente. «È stata un'impresa congiunta,» rispose Jaxom, con un gran sorriso.

L'abbracciò di nuovo, lieto che l'incertezza dell'inverno avesse lasciato posto alla primavera.

Non era mai stato tanto indaffarato: doveva dirigere la Fortezza e frugare negli antichi misteri del Pianoro e del Prato della Nave appena aveva qual-che ora di libertà. Lytol, come lui aveva sperato, s'era impegnato nella di-rezione degli scavi, e passava quasi tutto suo il tempo insieme all'Arpista alla Fortezza della Baia. Ora che la sua Conferma era sicura, Jaxom era stato ammesso a partecipare ai Consigli dei Signori delle Fortezze, grazie alla sua parentela con Toric non meno che per il suo rango. Jaxom dubita-va che Toric potesse tollerare ancora a lungo la mentalità conservatrice che dominava l'atteggiamento dei Signori delle Fortezze. Larad della Fortezza di Telgar, Asgenar di Lemos, Begamon e Sigomel sembravano concordare con Toric, e Jaxom era disposto più a schierarsi con loro che dalla parte di Groghe, Sangel e certuni dei Nobili più anziani. Alcuni dei vecchi Signori delle Fortezze non capivano le esigenze moderne... e non sentivano il ri-chiamo delle immense terre meridionali, con la loro varietà infinita e le infinite sfide.

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Le formalità di quel giorno servivano anche come pretesto per una gran-de riunione dei Weyr, delle Arti e delle Fortezze, una festa alla conclusio-ne dei mesi freddi, in un giorno lieto in cui nessun Filo sarebbe caduto sui continenti di Pern.

Lioth atterrò nel cortile della cucina, e Ruth arretrò nel suo alloggio per lasciare spazio al grande bronzeo. L'Arpista scese a terra agitando un gros-so rotolo, ed il sogghigno soddisfatto di N'ton indicava che c'erano novità importanti.

«Anche Lessa e F'lar devono ascoltare le buone notizie,» dichiarò N'ton, raggiungendo la giovane coppia in compagnia dell'Arpista. «Stanno arri-vando.» Segnalò a Lioth di trasferirsi sulle alture dei fuochi.

I due uomini si tolsero le giubbe da volo, ma Robinton non mollò il roto-lo neppure per un istante. Attesero con impazienza crescente mentre l'au-rea Ramoth e poi il bronzeo Mnementh facevano scendere i loro passegge-ri e volavano verso le alture dei fuochi per raggiungere Lioth.

«Bene, Arpista, Mnementh dice che hai molte cose da dirci,» esclamò F'lar, consegnando a Jaxom i suoi indumenti da volo, mentre Sharra aiuta-va Lessa.

«Proprio così, Benden,» rispose l'Arpista, calcando bene ogni sillaba e brandendo il rotolo.

«Che cos'è?» chiese Lessa. «La chiave della mappa colorata che abbiamo trovato nella nave,» disse

Robinton, sorridendo della loro reazione. «Piemur l'ha interpretata, in col-laborazione con Nicat, perché avevamo l'impressione che riguardasse le caratteristiche del suolo. Ed è vero! Gli strati di roccia, per essere precisi.» Stava srotolando la mappa, e Lessa e F'lar lo aiutarono tenendo gli angoli. «Le chiazze marrone scuro indicano rocce antichissime, nei luoghi dove non ci sono mai stati terremoti né attività vulcaniche. Non sono mai cam-biati, dal tempo in cui venne disegnata la mappa fino ai giorni. Il Pianoro, che qui è colorato di giallo, dovette venire abbandonato in seguito all'eru-zione. Vedete, qui e qui, al Sud e a Tillek, abbiamo la stessa colorazione. Miei cari amici, i nostri antenati vennero al Nord, a Fort, Ruatha, Benden, Telgar, perché questa terra è più protetta contro i disastri naturali.»

«E i Fili sarebbero un disastro innaturale?» chiese Lessa in tono ironico. «Preferisco affrontare i disastri uno alla volta,» disse F'lar. «Essere at-

taccati dal suolo e dall'aria sarebbe troppo.» «Poi Piemur e Nicat hanno dedotto anche dove i nostri antenati avevano

scoperto giacimenti di metalli, di olio nero e di pietra nera. I depositi sono

Page 371: Anne McCaffrey - Il Drago Bianco

indicati chiaramente, sia al Nord che al Sud. Abbiamo già scoperto molte delle miniere settentrionali.»

«E ce ne sono altre nel Sud?» chiese F'lar, interessato. «Fammi vedere!» Robinton indicò una mezza dozzina di minuscoli segni. «Ancora non si

sa quanto siano ricchi questi giacimenti, ma sono sicuro che presto Nicat sarà in grado di riferircelo. Lui e Piemur stanno svolgendo un ottimo lavo-ro.»

«Quante miniere ci sono nel territorio di Toric?» chiese F'lar. N'ton ridacchiò. «Non più di quelle che lui ha già scoperto e rimesso in

attività. Ce ne sono molte di più nel territorio dei dragonieri,» disse, bat-tendo la mano sulla parte Sud-Est del continente. «Quando sarà finito que-sto Passaggio, credo che diventerò minatore.»

«Quando sarà finito questo passaggio...» gli fece eco F'lar. Il suo sguar-do incontrò quello dell'Arpista: e all'improvviso ricordò che probabilmente nessuno dei due avrebbe visto quel momento.

«Quando sarà finito questo Passaggio,» disse impaziente Jaxom, scru-tando la mappa, «la gente potrà cominciare a dedicarsi anche a quello che abbiamo scoperto sul Pianoro, e alle navi. Potremo riscoprire il Sud! E forse risolveremo anche il mistero delle navi... e troveremo un modo per portare i draghi attraverso il vuoto fino alle Sorelle dell'Alba...» Lo sguar-do di Jaxom si volse verso Sud-Est, verso quei fari che adesso erano invi-sibili.

«E scopriremo il modo di eliminare per sempre la minaccia dei Fili,» aggiunse Sharra in un sussurro.

F'lar rise, malinconicamente, scostandosi dalla fronte la ciocca di capelli, ormai striata di grigio, che gli ricadeva sugli occhi. «Una volta pensavo di raggiungere la Stella Rossa. Forse per voi giovani non sarà un'impresa impossibile, quando avremo riscoperto quel che gli uomini sapevano un tempo.»

«Non sminuire le tue imprese, F'lar» disse severamente Robinton. «Tu hai mantenuto Pern libero dai Fili ed unito... nonostante tutto.»

«E se non fosse stato per te,» fece Lessa, guardandosi intorno con gli occhi lampeggianti di collera per l'autodenigrazione di F'lar, «non sarebbe accaduto nulla di tutto questo!» Il suo gesto indicava Ruatha imbandierata a festa, nella certezza che quel giorno i Fili non avrebbero potuto rovinare la celebrazione.

«NOBILE JAXOM!» Il grido tonante di Lytol echeggiò da una finestra della Fortezza.

Page 372: Anne McCaffrey - Il Drago Bianco

«Signore?» «Benden? Fort? Gli altri Comandanti dei Weyr e tutti i Signori delle

Fortezze di Pern, Nord e Sud, si sono già radunati!» Jaxom agitò la mano per segnalare che avevano sentito. F'lar arrotolò la

mappa e la riconsegnò a Robinton con un inchino. «L'esamineremo meglio più tardi, Arpista.» Jaxom offrì il braccio a Sharra, e accennò al Maestro Robinton e ai dra-

gonieri di precederli. «Neppure per idea: oggi è il tuo gran giorno, Nobile Jaxom della Fortez-

za di Ruatha,» disse l'Arpista, con un profondo inchino, tendendo il brac-cio per indicargli l'onore della precedenza.

Ridendo, Jaxom e Sharra uscirono nel cortile, seguiti da N'ton e Robin-ton. F'lar offrì il braccio a Lessa, ma lei aveva girato gli occhi sul cortiletto della cucina, e il cavaliere bronzeo non faticò a leggere i suoi pensieri.

«È anche il tuo gran giorno, Lessa,» fece, portandosi alle labbra la mano di lei. «Un giorno reso possibile dalla tua decisione e dal tuo spirito.» La strinse fra le braccia, facendola voltare perché lo guardasse in faccia. «Og-gi il Sangue Ruathano governa le terre di Ruatha!»

«E questo dimostra,» disse lei, fingendosi altezzosa mentre si abbando-nava contro F'lar, «che se t'impegni con volontà sufficiente, e se lavori abbastanza a lungo, puoi ottenere tutto quello che desideri.»

«Mi auguro che tu abbia ragione,» disse F'lar, volgendo gli occhi verso la Stella Rossa. «Un giorno i dragonieri sconfiggeranno quella Stella!»

«BENDEN!» Il ruggito dell'Arpista spezzò quel loro momento di perso-nale trionfo.

Sorridendo come due bambini dopo una scappatella, Lessa e F'lar attra-versarono il cortiletto della cucina e salirono correndo la scalinata della Grande Sala. I draghi, sulle alture dei fuochi, si alzarono sulle zampe po-steriori, gridando il loro giubilo in quel giorno felice, mentre le lucertole di fuoco eseguivano caroselli vertiginosi nel cielo senza Fili.

FINE

DRAGHINDICE

a cura di Wendy Glasser

I WEYR IN ORDINE DI FONDAZIONE

Page 373: Anne McCaffrey - Il Drago Bianco

Weyr di Fort Weyr di Benden Weyr delle Terre Alte Weyr di Igen Weyr di Ista Weyr di Telgar Weyr Meridionale LE PRINCIPALI FORTEZZE VINCOLATE AI WEYR Weyr di Fort

Fortezza di Fort (la più antica), Nobile Groghe Fortezza di Ruatha (seconda in ordine di antichità), Nobile Jaxom,

Nobile Reggente Lytol Fortezza del Boll Meridionale, Nobile Sangel

Weyr di Benden

Fortezza di Benden, Nobile Raid e Nobile Toronas Fortezza di Bitra, Nobile Sifer e Nobile Sigomal Fortezza di Lemas, Nobile Asgenar

Weyr delle Terre Alte

Fortezza delle Terre Alte, Nobile Bargen Fortezza di Nabol, Nobile Fax, Nobile Meron, Nobile Deckter Fortezza di Tillek, Nobile Oterel

Weyr di Igen

Fortezza di Keroon, Nobile Corman Parti dell'Igen Superiore Telgar Meridionale

Weyr di Ista Fortezza di Ista, Nobile Warbret Fortezza di Igen, Nobile Laudey Fortezza di Nerat, Nobile Vincet e Nobile Begamon

Weyr di Telgar

Fortezza di Telgar, Nobile Larad Fortezza di Crom, Nobile Nessel

Weyr Meridionale

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Fortezza Meridionale, Proprietario Toric

I PRINCIPALI SIGNORI E LE LORO FORTEZZE Asgenar (Lemos) Banger (Pianure di Igen) Bargen (Terre Alte) Begamon (Nerat, 2) Corman (Keroon) Deckter (Nabol, 3) Fax (Nabol, 1) Groghe (Fort) Jaxom (Ruatha) Larad (Telgar) Laudey (Igen) Lytol (Reggente di Ruatha)

Meron (Nabol, 2) Nessel (Crom) Oterel (Tillek) Raid (Benden) Sangel (Boll) Sifer (Bitta, 1) Sigomal (Bitra, 2) Toric (Meridionale) Toronas (Benden, 2) Vincet (Nerat, 1) Warbret (Ista)

ARTIGIANI E MAESTRI DELLE ARTI

Artigiano Andemon Amor Baldor Belesdan

Rango-Arte Maestro Agricoltore Maestro Artigiano,

scrivano Arpista del Weyr Maestro Conciatore

Ubicazione Fortezza di Nerat Sede dell'Arte degli

Arpisti, Fortezza di Fort

Weyr di Ista Fortezza di Igen

Artigiano Rango-Arte Ubicazione

Bendarek Maestro Artigiano, legnaiolo

Fortezza di Lemos

Benelek Artigiano, meccanico Sede dei Fabbri Briaret Maestro Allevatore Fortezza di Keroon Brudegan Artigiano, arpista Sede dell'Arte

degli Arpisti, Fortezza di Fort

Chad Arpista Weyr di Telgar Domick Mastro Artigiano,

compositore Sede dell'Arte

degli Arpisti,

Page 375: Anne McCaffrey - Il Drago Bianco

Fortezza di Fort

Elgin Arpista Tenuta Marina del Semicerchio

Facenden Mastro Artigiano, fabbro

Sede dell'Arte dei Fabbri. Fortezza di Telgar

Fandarel Maestro Fabbro Sede dell'Arte dei Fabbri, Fortezza di Telgar

Idarolan Maestro Pescatore Fortezza di Tillek Jerint Maestro Artigiano,

strumenti Sede dell'Arte

degli Arpisti, Fortezza di Fort

Ligand Artigiano conciatore Fortezza di Fort Menolly Artigiana arpista Sede dell'Arte

degli Arpisti, Fortezza di Fort

Morshall Maestro Artigiano, teoria Sede dell'Arte degli Arpisti, Fortezza di Fort

Nicat Maestro Minatore Fortezza di Crom Oharan Arpista del Weyr Weyr di Benden Oldive Maestro Guaritore Sede dell'Arte

degli Arpisti, Fortezza di Fort

Artigiano Rango-Arte Ubicazione Palim Artigiano fornaio Sede del Fabbro Petiron Arpista Tenuta Marina del

Semicerchio Piemur Apprendista-artigiano Sede dell'Arte degli Arpisti,

Fortezza di Fort Robinton Maestro Arpista Sede dell'Arte

degli Arpisti, Fortezza di Fort

Sebell Artigiano-Maestro Arpi-sta

Sede dell'Arte degli Arpisti, Fortezza di Fort

Sharra Artigiana guaritrice Fortezza Meridionale Shonegar Maestro Artigiano, voce Sede dell'Arte degli Arpisti,

Fortezza di Fort

Page 376: Anne McCaffrey - Il Drago Bianco

Sograny Maestro Allevatore Fortezza di Keroon Tagetarl Artigiano arpista Sede dell'Arte degli Arpisti,

Fortezza di Fort Talmor Artigiano arpista Sede dell'Arte degli Arpisti,

Fortezza di Fort Terry Mastro Artigiano, fabbro Sede dell'Arte dei Fabbri.

Fortezza di Telgar Timareen Mastro Artigiano, tessito-

re Fortezza di Telgar

Wansor Mastro Artigiano, vetraio Sede dell'Arte dei Fabbri, Fortezza di Telgar

Yanis Mastro Artigiano Tenuta Marina del Semicerchio

Zurg Maestro Tessitore Fortezza del Boll Meridionale

PROPRIETARI DI LUCERTOLE DI FUOCO

Proprietario Lucertole Asgenar marrone Rial Banger — Bargen — Brand azzurra Brekke bronzeo Berd Corman — Deelan verde Famira verde F'nor aurea Grall Groghe aurea Merga G'sel bronzeo Kylara aurea Larad verde Menolly aurea Bella; bronzei Sassetto, Tuffolo, Poll; marroni Pigro, Mimic, Bruno; verdi Zia Uno, Zia Due; azzurro Zio Meron bronzeo Mirrim verdi Reppa, Lok; marrone Tolly Nessel —

Page 377: Anne McCaffrey - Il Drago Bianco

Nicat — N'ton marrone Tris Oterel — Piemur aurea Farli Robinton bronzeo Zair Sangel — Sebell aurea Kimi Sharra bronzeo Meer, marrone Talla Sifer — Toric una aurea; due bronzei Vincet — GLOSSARIO

Agenothree: sostanza chimica comune su Pern, HNO3. Antico: membro di uno dei cinque Weyr che Lessa condusse avanti nel

tempo di quattrocento Giri. Usato come termine spregiativo per indi-care chi si è trasferito nel Weyr Meridionale.

Cantore del Weyr: l'Arpista dei dragonieri, di solito dragoniere lui stes-

so. Fellis: albero che produce fiori e frutti. Il succo ricavato dai suoi frutti è

soporifero. Fili: spore fungoidi provenienti dalla Stella Rossa che ca-dono su Pern e si rintanano sottoterra, divorando tutte le sostanze or-ganiche che incontrano. Fortezza: luogo dove vive la gente comune; originariamente erano scavate nelle montagne e nelle colline.

Giro: un anno pernese. Gitar: strumento musicale simile all'arpa. Giunchi: piante acquatiche simili alle canne terrestri. Impressione dello Schema d'Apprendimento: unione delle menti di un

drago e del suo futuro cavaliere al momento della Schiusa dell'uovo. In mezzo: area di nulla e di privazione sensoriale in cui possono trasfe-

rirsi i draghi per passare da un luogo all'altro. Intervallo: il periodo di tempo tra due Passaggi, corrispondente in genere

a 200 Giri. Intorpidaria: unguento medicinale che, spalmato sulle ferite, annulla la

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sensibilità; usato come anestetico. Klah: bevanda calda stimolante fatta con corteccia d'albero, dal lieve sa-

pore di cannella. Lampada-cesto: sorgente luminosa che può venire portata in un cesto a

mano. Lampada spenta: sciocco, stupido. Lungo Intervallo: periodo di tempo, generalmente lungo il doppio di un

Intervallo normale, durante il quale non cadono i Fili e diminuisce il numero dei Dragonieri. L'ultimo Lungo Intervallo venne considerato come segno della fine della Caduta dei Fili.

Mese: quattro settedì. Passaggio: periodo di tempo durante il quale la Stella Rossa è abbastan-

za vicina perché i Fili cadano su Pern. Pern: terzo dei cinque pianeti della stella Rukbat. Ha due satelliti natura-

li. Pietra focaia: minerale contente fosfina che i draghi masticano per pro-

durre fiamme. Roccia nera: analoga al carbone. Rukbat: stella gialla nel Settore del Centauro. Rukbat ha cinque pianeti e

due fasce di asteroidi. Settedì: equivalente a una settimana. Sorelle dell'Alba: tre stelle fisse visibili da Pern, dette anche Sorelle del

Giorno. Stella Rossa: pianeta fratellastro di Pern, dall'orbita irregolare. Terre Alte: montagne situate sul Continente Settentrionale di Pern (ve-

dasi cartina). Weyr: sede dei draghi e dei loro cavalieri. weyr: alloggio di un drago, o alloggio privato di un personaggio. Wher da guardia: rettile notturno, lontanamente imparentato con i dra-

ghi. Wherry: uccelli vagamente simili al tacchino domestico terrestre, ma

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delle dimensioni di uno struzzo. IMPRECAZIONI PERNESI Per l'Uovo! Per il primo Uovo! Per l'Uovo di Faranth! Per le schegge dell'uovo del mio drago! Per i Gusci! Per il Primo Guscio! Grandi Gusci! Gusci e Schegge! Schegge e Gusci! Nonostante i Fili, la Nebbia e il Fuoco! Brucialo! LA GENTE DI PERN Abuna: capocucina, Sede dell'Arte degli Arpisti, Fortezza di Fort. Alemi: Terzo dei sei figli del Proprietario della Tenuta Marina del Semi-

cerchio. Andemon: Maestro Allevatore, Fortezza di Nerat. Amor: Mastro Artigiano, scrivano, Sede dell'Arte degli Arpisti. Balden: Arpista, Weyr di Ista B'dor: Cavaliere, Weyr di Ista. Bedella: Dama del Weyr degli Antichi, Weyr di Telgar, drago regina

Solth. Belesdan: Maestro Conciatore, Fortezza di Igen. Bendarek: Mastro Artigiano Legnaiolo, Fortezza di Lemos. Benelek: Artigiano meccanico, Sede dell'Arte dei Fabbri. Benis: uno dei 17 figli del Nobile Groghe, Fortezza di Fort. B'fol: cavaliere, Weyr di Benden, drago verde Gereth. B'irto: cavaliere, Weyr di Benden, drago bronzeo Cabenth. B'naj: cavaliere, Weyr di Fort, drago verde Beth. Brand: maggiordomo della Fortezza di Ruatha, lucertola di fuoco azzur-

ra. B'rant: cavaliere, Weyr di Benden, drago marrone Fanth.

Page 380: Anne McCaffrey - Il Drago Bianco

B'refli: cavaliere, Weyr di Benden, drago marrone Joruth. Brekke: Dama del Weyr, Weyr Meridionale, drago regina Wirenth, lu-

certola di fuoco bronzeo Berd. Briala: studente, Sede degli Arpisti. Briaret: Maestro Allevatore (sostituisce Sograny), Fortezza di Keroon. Brudegen: Artigiano del coro, Sede dell'Arte degli Arpisti, Fortezza di

Fort. Camo: idiota, Sede dell'Arte degli Arpisti, Fortezza di Fort. Celina: compagna di una regina, Weyr di Benden, drago regina La-

manth. C'gan: cantore del Weyr, Weyr di Benden, drago azzurro Tegath. Corana: Sorella di Fidello (proprietario della Tenuta del Pianoro), For-

tezza di Ruatha. Corman: Signore della Fortezza di Keroon. Cosida: Dama del Weyr, Weyr di Ista, drago regina Caylith. Deelan: balia di Jaxom, Fortezza di Ruatha. Dorse: fratello di latte di Jaxom, fortezza di Ruatha. D'nek: cavaliere, Weyr di Fort, drago bronzeo Zagenth. D'nol: cavaliere, Weyr di Benden, drago bronzeo Valenth. Domick: Mastro Artigiano Compositore, Sede dell'Arte degli Arpisti,

Fortezza di Fort. D'ram: Antico Comandante dei Weyr, Weyr di Ista, drago bronzeo Ti-

roth. Dunca: ragazza, Sede dell'Arte degli Arpisti, Fortezza di Fort. D'wer: cavaliere, Weyr di Benden, drago azzurro Trebeth. Elgion: nuovo arpista della Tenuta Marina del Semicerchio. Fandarel: Maestro Fabbro, Sede dell'Arte dei Fabbri, Fortezza di Telgar. Fanna: Antica Dama del Weyr, Weyr di Ista, drago regina Miranth. Fax: Signore delle Sette Fortezze, padre di Jaxom. Felena: vice della Sovrintendente Manora, Weyr di Benden. Fidello: proprietario terriero della Tenuta del Pianoro, Fortezza di Rua-

tha. Finder: Arpista, Fortezza di Ruatha. F'lar: Comandante del Weyr di Benden, drago bronzeo Mnementh. F'lessan: cavaliere, Weyr di Benden, figlio di F'lar e Lessa, drago bron-

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zeo Golanth. F'lon: Comandante del Weyr di Benden, padre di F'nor e F'lar. F'nor: vicecomandante del Weyr di Benden, drago marrone Canth, lucer-

tola di fuoco aurea Grall. F'rad: cavaliere, Weyr di Benden, drago verde Telorth. Gandidan: Bambino, Weyr di Benden. Gemma: Prima Dama di Fax (Signore delle Sette Fortezze) e madre di

Jaxom. G'dened: Comandante del Weyr di Ista, figlio dell'Antico Comandante

del Weyr D'ram, drago bronzeo Baranth. G'nag: cavaliere, Weyr Meridionale, drago azzurro Nelanth. G'narish: Antico Comandante del Weyr di Igen, drago bronzeo Gya-

math. G'sel: cavaliere, Weyr Meridionale, lucertola di fuoco bronzea, drago

verde Roth. Groghe: Signore della Fortezza di Fort, lucertola di fuoco regina Merga. H'ages: Vicecomandante del Weyr di Telgar, drago bronzeo Kerth. Horon: figlio del Nobile Groghe, Fortezza di Fort. Idarolan: Maestro Pescatore, Fortezza di Tillek. Jaxom: Signore della Fortezza di Ruatha, drago bianco Ruth. Jerint: Maestro Artigiano degli strumenti, Sede dell'Arte degli Arpisti,

Fortezza di Fort. Jora: Dama del Weyr prima di Lessa, Weyr di Benden, drago regina

Nemorth. J'ralt: cavaliere, Weyr di Benden, drago verde Palanth. Kayla: sguattera, Sede dell'Arte degli Arpisti, Fortezza di Fort. K'der: cavaliere, Weyr di Ista, drago azzurro Warth. Kenelas: donna delle Caverne Inferiori, Weyr di Benden. Kern: figlio maggiore del Nobile Nessel, Signore della Fortezza di

Crom. Kirnety: ragazzo, Fortezza di Telgar; imprime lo Schema dell'Appren-

dimento al bronzeo Fidirth. K'nebel: Istruttore degli Allievi, Weyr di Fort, drago bronzeo Firth.

Page 382: Anne McCaffrey - Il Drago Bianco

K'net: cavaliere, Weyr di Benden, drago bronzeo Pianth. K'van: cavaliere, Weyr di Benden, drago bronzeo Heth. Kylara: sorella del Nobile Larad e Dama del Weyr Meridionale, trasferi-

tasi al Weyr delle Terre Aite dopo l'esilio degli Antichi; drago regina Prideth.

Lessa: Dama del Weyr di Benden: drago regina Ramoth. Lidith: drago regina prima di Nemorth, compagna sconosciuta. Ligand: artigiano conciatore, Fortezza di Fort. L'tol: cavaliere, Weyr di Benden e, con il nome di Lytol, Reggente della

Fortezza di Ruatha: drago marrone Lardi (morto). L'trel: padre di Mirrim, Weyr Meridionale, drago azzurro Falgrenth. Lytol: Nobile Reggente della Fortezza di Ruatha per il minorenne Ja-

xom, drago marrone Larth (morto). Manora: sovrintendente, Weyr di Benden. Mardra: Antica Dama del Weyr di Fort, esiliata nel Weyr Meridionale,

drago regina Loranth. Margatta: Dama del Weyr di Fort, drago regina Ludeth. Mavi: Dama del Proprietario della Tenuta Marina del Semicerchio. Menolly: Artigiana arpista, Sede dell'Arte degli Arpisti, Fortezza di Fort,

lucertole di fuoco (10): aurea Bella, bronzei Sassetto, Tuffolo, Poll; marroni Pigro, Mimic, Bruno; verdi Zia Uno e Zia Due: azzurra Zio.

Menolly: figlia minore di Yanis, Proprietario della Tenuta Marina del Semicerchio.

Merelan: madre di Robinton (Maestro Arpista di Pern). Merika: Antica Dama del Weyr delle Terre Alte, esiliata nel Weyr Meri-

dionale, drago regina. Mirrim: compagna di un drago verde, figlia adottiva di Brekke,. Weyr di

Benden, drago verde Path, lucertole di fuoco: verde Reppa, verde Lok, marrone Tolly.

Moreta: anticamente Dama del Weyr di Benden, drago regina Orlith. Morshall: Maestro Artigiano per la teoria, Sede dell'Arte degli Arpisti,

Fortezza di Fort. M'rek: vicecomandante del Weyr di Telgar, drago bronzeo Zigith. M'tok: cavaliere, Weyr di Benden, drago bronzeo Litorth. Nadira: Dama del Weyr di Ista.

Page 383: Anne McCaffrey - Il Drago Bianco

Nanira: vedi Varena. Nicat: Maestro Minatore, Fortezza di Crom. N'ton: comandante di squadriglia, Weyr di Benden, drago bronzeo

Lioth; poi Comandante del Weyr di Fort (dopo T'ron); lucertola di fuoco marrone Tris.

Oharan: Artigiano arpista, Weyr di Benden. Oldive: Maestro Guaritore, Sede dell'Arte degli Arpisti, Fortezza di Fort. Palim: Artigiano Fornaio, Fortezza di Fort. Petiron: il vecchio Arpista della Tenuta Marina del Semicerchio. Piemur: apprendista-artigiano, Sede dell'Arte degli Arpisti, Fortezza di

Fort; lucertola di fuoco regina Farli; animale corridore Stupido. Pilgra: Dama del Weyr delle Terre Alte, drago regina Selgrith. P'illomar: cavaliere, Weyr di Benden, drago verde Ladranth. Pona: nipote del Nobile Sangel, Fortezza del Boll Meridionale. P'ratan: cavaliere, Weyr di Benden, drago verde Poranth. Prilla: la più

giovane Dama del Weyr di Fort, drago regina Selianth. Rannelly: nutrice e serva di Kylara. R'gul: Comandante del Weyr di Benden prima di F'lar, drago bronzeo

Hath. R'mart: Antico Comandante del Weyr di Telgar, drago bronzeo Branth. R'mel: cavaliere, Weyr di Benden, drago Sorenth. R'nor: cavaliere, Weyr di Benden, drago marrone Virianth. Robinton: Maestro Arpista, Sede dell'Arte degli Arpisti, Fortezza di

Fort, lucertola di fuoco bronzeo Zair. Saura: sovrintendente dei bambini, Weyr di Benden. Sebell: Artigiano-Maestro Arpista, vice di Robinton, Sede dell'Arte degli

Arpisti, Fortezza di Fort; lucertola di fuoco regina Kimi. Sella: sorella di Menolly, Tenuta Marina del Semicerchio. S'goral: cavaliere, Weyr Meridionale, drago verde Betunth. Sbarra: Artigiana guaritrice, Fortezza Meridionale, lucertole di fuoco:

bronzeo Meer e marrone Talla. Shonagar: Maestro Artigiano per la voce, Sede dell'Arte degli Arpisti,

Fortezza di Fort. Silon: bambino, Weyr di Benden.

Page 384: Anne McCaffrey - Il Drago Bianco

Silvina: sovrintendente della Sede dell'Arte degli Arpisti, Fortezza di Fort.

S'lan: cavaliere, Weyr di Benden, drago bronzeo Binth. S'lel: cavaliere, Weyr di Benden, drago bronzeo Tuenth. Sograny: Maestro Allevatore, Fortezza di Keroon. Soreel: moglie del Primo Proprietario della Tenuta Marina del Semicer-

chio. Tagetarl: Artigiano, Sede dell'Arte degli Arpisti, Fortezza di Fort. Talina: Dama del Weyr di Benden, drago regina. Talmor: Artigiano in-

segnante, Sede dell'Arte degli Arpisti, Fortezza di Fort. T'bor: Comandante del Weyr Meridionale, trasferitosi al Weyr delle Ter-

re Alte dopo l'esilio degli Antichi, drago bronzeo Orth. Tegger: proprietario terriero, Ruatha. Tela: una delle mogli di Fax. Terry: Mastro Artigiano fabbro, Sede dell'Arte dei Fabbri, Fortezza di

Telgar. T'gran: cavaliere, Weyr di Benden, drago marrone Brandi. T'gellan; comandante di squadriglia, Weyr di Benden, drago bronzeo

Monarth. T'gor: cavaliere, Weyr di Benden, drago azzurro Relth. T'kul: Antico cavaliere, Weyr delle Terre Alte, esiliato nel Weyr Meri-

dionale, drago bronzeo Salth. T'ledon, cavaliere del drago da guardia, Fortezza di Fort, drago azzurro

Serith. Tordril, figlio adottivo, Fortezza di Ruatha, erede presunto della Fortez-

za di Igen. Torene: Antica Dama del Weyr di Benden. Toric: Signore della Fortezza Meridionale. T'ran: cavaliere, Weyr di Igen, drago bronzeo Redreth. T'reb: cavaliere, Weyr di Fort, drago verde Beth. T'ron: Antico Comandante del Weyr di Fort, esiliato nel Weyr Meridio-

nale, drago bronzeo Fidranth, chiamato anche T'ton. T'sel: cavaliere, Weyr di Benden, drago verde Trenth, lucertola di fuoco

bronzeo Rill. T'ton: vedi T'ron. Vanira: vedi Varena.

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Varena: compagna d'una regina, Weyr Meridionale, drago regina Ra-lenth; (chiamata anche Vanira).

Vecchio Zio: bisnonno di Menolly, Tenuta Marina del Semi' cerchio. Viderian: figlio adottivo, alla Fortezza di Fort (figlio del Proprietario

della Tenuta Marina). Wansor: Mastro Artigiano Vetraio, Sede dell'Arte dei Fabbri, Fortezza

di Telgar; chiamato anche Fabbro delle Stelle. Yanis: Mastro Artigiano e Proprietario della Tenuta Marina del Semi-

cerchio. Zurg: Maestro Tessitore, Fortezza del Boll Meridionale.

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FINE