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La proprietà intellettuale degli articoli è delle fonti (quotidiani o altro) specificate all'inizio degli stessi; ogni riproduzione totale o parziale del loro contenuto per fini che esulano da un utilizzo di Rassegna Stampa è compiuta sotto la responsabilità di chi la esegue; MIMESI s.r.l. declina ogni responsabilità derivante da un uso improprio dello strumento o comunque non conforme a quanto specificato nei contratti di adesione al servizio. ANIEM Rassegna Stampa del 13/07/2015

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Rassegna Stampa del 13/07/2015

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INDICE

ANIEM

Il capitolo non contiene articoli

ANIEM WEB

Il capitolo non contiene articoli

SCENARIO EDILIZIA

11/07/2015 Corriere della Sera - Milano

M4, così cambiano i cantieri11

11/07/2015 Corriere della Sera - Bergamo

L'Ance: «Il prefetto chiede aiuto, profughi nei palazzi invenduti»13

11/07/2015 Il Sole 24 Ore

L'edilizia non riparte: investimenti ancora giù14

11/07/2015 Il Sole 24 Ore

Edilizia ancora nel tunnel ora manovra per ripartire16

11/07/2015 Il Sole 24 Ore

Zoomlion, parte la corsa al business dell'ambiente17

12/07/2015 Il Sole 24 Ore

Enel Green Power, la spinta in più da fonti e mercati diversificati18

13/07/2015 Il Sole 24 Ore

Bonus ampliamenti all'ultimo traguardo21

11/07/2015 La Repubblica - Milano

Modifiche alla M4 salvati 169 alberi cambiato lo scavo24

11/07/2015 La Repubblica - Firenze

Tramvia, Nencini mette il casco ispezionerà i cantieri lumaca26

11/07/2015 La Repubblica - Napoli

Galleria Umberto, vertice Comune-imprese l'agenda dei lavori della Soprintendenza27

13/07/2015 La Repubblica - Milano

Parco Trotter, al via il piano contro il degrado28

11/07/2015 La Stampa - Biella

Piazza Duomo, decolla il cantiere29

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12/07/2015 La Stampa - Novara

Conto alla rovescia per riqualificare l'area dell'ex Coop30

11/07/2015 Il Giornale - Nazionale

Comuni esosi sulle valutazioni delle nuove aree fabbricabili31

13/07/2015 Il Fatto Quotidiano

L ' Aquila, l ' eterno cantiere32

11/07/2015 Il Gazzettino - Treviso

Cambio al vertice: va a Corazza il timone dei Costruttori edili35

11/07/2015 Il Gazzettino - Belluno

In arrivo i tiranti antisismici36

11/07/2015 Il Gazzettino - Rovigo

Morti bianche, primato polesano37

13/07/2015 Il Gazzettino - Venezia

Canal Vena, i fanghi ritardano la riapertura38

11/07/2015 QN - Il Giorno - Lodi

Via ai cantieri per la nuova pista39

11/07/2015 QN - Il Giorno - Milano

Palazzo Omodei, svolta in arrivo Comune pronto a salvare l'edificio40

11/07/2015 QN - Il Giorno - Sondrio

L'edilizia in Valle continua a soffrire Meno posti e soldi41

13/07/2015 QN - Il Giorno - Milano

Esselunga, ora si parte davvero Obiettivo: finire in tempi record42

13/07/2015 Il Mattino - Avellino

Piazza Libertà alle commissioni per l'ultimo sì43

12/07/2015 Libero - Nazionale

Renzi si vende la casa44

12/07/2015 Libero - Nazionale

Per ogni euro pagato per l'Imu spese ridotte di 50 centesimi46

12/07/2015 Libero - Nazionale

«Il governo inizi a ridurre i tributi sulle case in affitto»47

11/07/2015 ItaliaOggi

Variare i volumi, la Scia non basta48

12/07/2015 L'Unità - Nazionale

Delrio: così riparte il Cantiere Italia49

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11/07/2015 QN - La Nazione - Firenze

«Perché dopo le 18 sempre cantieri vuoti?»52

12/07/2015 QN - La Nazione - Firenze

Nuovo blitz, Giorgetti è una furia«In via di Novoli c'è il deserto»53

13/07/2015 La Repubblica - Affari Finanza

L'Etiopia rilancia il progetto dighe dopo la "pace dell'acqua" con i vicini54

13/07/2015 Corriere Economia

Da cava dimessa a gioiellino turistico55

13/07/2015 ItaliaOggi Sette

Bonus hotel ad ampio raggio L'acquisto mobili è agevolato56

13/07/2015 ItaliaOggi Sette

Ugo Cavallin arriva alla guida di Ance Venezia58

11/07/2015 Milano Finanza

Ipi guarda oltre Coppola59

11/07/2015 Milano Finanza

Feltrinelli chiama Hines per la sede della Fondazione. E tratta sul debito61

10/07/2015 L Impresa

La forza delle nostre Medie aziende62

13/07/2015 Edilizia e Territorio

Più forti i poteri di Rup e direttore lavori65

11/07/2015 In Concreto

COSTRUTTORE EDILE: i nuovi requisiti tecnico-professionali66

11/07/2015 Nuova Finestra

Un mondo in continua innovazione...67

11/07/2015 Nuova Finestra

UNI 10818: tante novità68

SCENARIO ECONOMIA

11/07/2015 Corriere della Sera - Nazionale

la lezione che non va sprecata72

11/07/2015 Corriere della Sera - Nazionale

L'industria riparte Produzione a più 3%73

11/07/2015 Corriere della Sera - Nazionale

«Le nostre banche? Esposizione sotto il miliardo»75

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11/07/2015 Corriere della Sera - Nazionale

Malacalza a un passo dal 20% in Banca Carige77

11/07/2015 Corriere della Sera - Nazionale

L'offerta Exor spiazza PartnerRe-Axis, assemblee rinviate78

12/07/2015 Corriere della Sera - Nazionale

un'agenda per crescere davvero79

12/07/2015 Corriere della Sera - Nazionale

Tajani: tagliamo il debito, ma teniamoli dentro81

12/07/2015 Corriere della Sera - Nazionale

«L'Italia non ama chi ha successo Se ti arricchisci diventi sospetto»82

12/07/2015 Corriere della Sera - Nazionale

Lo studio Confartigianato: 752 complicazioni in 2.429 giorni85

13/07/2015 Corriere della Sera - Nazionale

«Il dogma dell'austerità»86

13/07/2015 Corriere della Sera - Nazionale

Pressioni, favori La guerra segreta della Finanza88

13/07/2015 Corriere della Sera - Nazionale

USO (e abuso) DEI CONTRATTI90

13/07/2015 Corriere della Sera - Nazionale

Marcia indietro delle tasse locali, in 4 anni riscossioni giù del 38%92

13/07/2015 Corriere della Sera - Nazionale

Nucleare iraniano, pronta la bozza di accordo93

11/07/2015 Il Sole 24 Ore

Il risveglio della politica è l'inizio della cura94

11/07/2015 Il Sole 24 Ore

Basta con la caccia alle streghe Azienda o no, serve efficienza96

11/07/2015 Il Sole 24 Ore

Segnali, non è ancora svolta97

11/07/2015 Il Sole 24 Ore

Caso Uber, l'Italia è da svecchiare98

12/07/2015 Il Sole 24 Ore

L'Europa costruisca la «fase 2» della crescita100

12/07/2015 Il Sole 24 Ore

Alle banche 25 miliardi102

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12/07/2015 Il Sole 24 Ore

IL CUNEO TRA PARIGI E BERLINO104

12/07/2015 Il Sole 24 Ore

Fondo salva-Stati, per l'Italia un vantaggio105

12/07/2015 Il Sole 24 Ore

I sacrifici ripagano sempre108

12/07/2015 Il Sole 24 Ore

Da Malpensa una spinta all'export109

12/07/2015 Il Sole 24 Ore

Industria, patto governo-Regioni111

12/07/2015 Il Sole 24 Ore

«Bcc alla svolta, pronta la riforma»112

13/07/2015 Il Sole 24 Ore

I fattori anti-contagio a difesa dell'Italia114

13/07/2015 Il Sole 24 Ore

Salvare i risparmiatori greci prima di salvare le banche117

13/07/2015 Il Sole 24 Ore

Sui beni confiscati serve trasparenza119

13/07/2015 Il Sole 24 Ore

Fondi «distratti» nei Centri per l'impiego120

13/07/2015 Il Sole 24 Ore

Fondi Ue, maglia nera a Veneto e Abruzzo121

13/07/2015 Il Sole 24 Ore

«Mission impossible» a Pompei123

13/07/2015 Il Sole 24 Ore

«Made in» obbligatorio, una priorità per l'Italia124

11/07/2015 La Repubblica - Nazionale

Stiglitz: col referendum è iniziata la riscossa ora l'austerity è sconfitta126

11/07/2015 La Repubblica - Nazionale

"Una lezione agli anti-euro"128

11/07/2015 La Repubblica - Nazionale

Snam si può riprendere Italgas Potrà gareggiare per gli appalti locali del metano129

11/07/2015 La Repubblica - Nazionale

"Furlan: "Detassare il salario di produttività"130

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12/07/2015 La Repubblica - Nazionale

La Cina è vicina? Non in Borsa ma nel Pil il rischio del contagio131

13/07/2015 La Repubblica - Nazionale

L'ultimatum impossibile132

12/07/2015 La Stampa - Nazionale

SERVE RIGORE SULLE RIFORME, NON SUI CONTI134

12/07/2015 La Stampa - Nazionale

Ormai è una questione di fiducia I greci (forse) avranno i soldi Ma devono daresubito garanzie

135

13/07/2015 La Stampa - Nazionale

"Mamma, farò l'artigiano" E in Italia nasce un'impresa ogni 4 minuti137

13/07/2015 La Stampa - Nazionale

"Banca Sistema punta alla crescita con le acquisizioni" *138

13/07/2015 Corriere Economia

Modello tedesco per la nuova coppia140

13/07/2015 Corriere Economia

Electrolux -Whirlpool: un derby in bianco142

13/07/2015 Corriere Economia

Mal di debito: la cura dimenticata dell'inflazione143

13/07/2015 Corriere Economia

«Il piano del governo vada avanti I fondi europei sono a rischio»145

13/07/2015 Corriere Economia

Edf «Privatizzate, noi ci crediamo»146

13/07/2015 Corriere Economia

Fmi Cercasi economista per curare il mal di bolla148

13/07/2015 Corriere Economia

Bilanci Rinascimento italiano I buyer riscoprono il Bel Paese150

11/07/2015 Milano Finanza

CHI PAGHERÀ DA ADESSO I DISSESTI DELLE BANCHE152

11/07/2015 Milano Finanza

Finito? Gli affari da panico154

11/07/2015 Milano Finanza

ORSI & TORI156

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11/07/2015 Milano Finanza

Il fuoco di Atene che può bruciare la Ue159

11/07/2015 Milano Finanza

Shah (Etf Securities): la caduta è un'opportunità per andare lunghi161

11/07/2015 Milano Finanza

Ora il re è davvero nudo162

11/07/2015 Milano Finanza

Il lusso è un po' cinese164

SCENARIO PMI

11/07/2015 Il Sole 24 Ore

Il manifatturiero di Forlì-Cesena è in leggera ripresa167

11/07/2015 Il Sole 24 Ore

VEM Sistemi, ICT al ser vizio delle imprese168

11/07/2015 Il Sole 24 Ore

Industria, lo scatto della produzione169

11/07/2015 La Stampa - Nazionale

Segnali di ripresa nell'industria A maggio produzione su del 3%171

11/07/2015 Il Messaggero - Nazionale

Industria e lavoro, parte la ripresa172

11/07/2015 L'Unità - Nazionale

La necessità delle riforme174

12/07/2015 L'Unità - Nazionale

Una ripresa record, figlia di quei tanto contestati 80 euro175

13/07/2015 L'Unità - Nazionale

Le risorse e le sorprese industriali del nostro Sud177

13/07/2015 ItaliaOggi Sette

Voucher export solo per la rete178

10/07/2015 L Impresa

Le migliori Pmi d'Europa 2015180

10/07/2015 L Impresa

La new entry183

10/07/2015 L Impresa

La via dell'innovazione184

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10/07/2015 L Impresa

OSSERVATORIO SUL RISK MANAGEMENT186

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SCENARIO EDILIZIA

42 articoli

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La linea blu Approvata dalla giunta la maxi delibera che tiene conto delle richieste partite dai comitati M4, così cambiano i cantieri <p>Spostato il percorso per salvare più alberi. Le «talpe» saranno calate in piazza Tricolore</p> Paola D'Amico Pronta la maxi variante della linea blu. Ieri la giunta ha approvato la delibera, sintesi di sei mesi di confronto

con i comitati nati lungo la tratta, dal Forlanini a San Cristoforo. La stazione Tricolore diventa cantiere di

calaggio delle talpe. Mentre la galleria in Argonne viene spostata per salvare parte degli alberi. Ora si attende

il Cipe. a pagina 3

Pronte le varianti della linea blu. Ieri la giunta ha approvato la maxi delibera, sintesi di sei mesi di confronto

con i comitati nati lungo la tratta, dal Forlanini a San Cristoforo. Le novità sono essenzialmente due. La prima

riguarda la tratta Solari-Tricolore, il tracciato della metropolitana nel centro storico. La stazione Tricolore

diventerà cantiere di calaggio di due talpe (diametro 9,15 metri), che lavoreranno in parallelo e saranno

estratte alla stazione Solari. Ciò consentirà, invertendo il senso dello scavo rispetto al primo progetto, cioè da

Ovest ad Est, di trasportare le terre di scavo (smarino) in galleria fino al manufatto Sereni, al Forlanini, e da

qui in un'area di deposito temporanea, localizzata tra il Campo logistico di via Cavriana-Gatto e la stazione

del passante ferroviario. Salva, dunque, la via Dezza che, in base al primo progetto, avrebbe dovuto

diventare luogo di raccolta e smistamento dello smarino, trasferito poi in periferia con camion.

La seconda grande variante riguarda il tratto di linea blu Forlanini-piazza Tricolore ed è mirata alla

salvaguardia degli alberi. Si tratta della modifica delle gallerie tra Manufatto Sereni e Manufatto Argonne. Il

nuovo progetto sposta il tracciato in media di circa 10 metri rispetto al disegno originario, in alcuni tratti

addirittura di 18 metri e mezzo. Ciò consente di riposizionare in area più centrale la stazione Argonne e di

salvare i filari esterni degli alberi lungo il viale.

Infine, un terzo blocco oggetto di modifiche è quello che da Solari porta alla periferia Sud-Ovest, a San

Cristoforo. Su questo asse l'amministrazione è riuscita a confermare le promesse fatte a cittadini e

commercianti nel corso delle ripetute assemblee e, dunque, sarà garantita la circolazione veicolare (bus

inclusi) in un solo senso di marcia lungo la via Lorenteggio, nell'intero tratto tra le intersezioni Lorenteggio-

Primaticcio e Foppa-Dezza. Salvo anche l'oratorio di San Protaso, un piccolo gioiello, grazie - anche in

questo caso - all'arretramento di dieci metri del cantiere della stazione Washington-Bolivar. Sei mesi di

confronti con i comitati e di lavoro dei tecnici, di Comune, Mm, imprese. Ma ci sono ancora alcuni ostacoli.

Protestano gli ortisti, alla Barona, dove s'attesterà il deposito dei mezzi. Ci sono, poi, due ricorsi al Tar (per

Solari e Lorenteggio), il Cipe che dovrà valutare e dare il via libera alla maxi variante. Infine la

Soprintendenza che ha sul suo tavolo la richiesta di autorizzazione per gli interventi sul verde del Parco Solari

ma non ancora quello di corso Indipendenza. Infatti, sono ben tre i punti di questo tracciato che attraversa la

città per 16 chilometri (con 21 stazioni) oggetto di tutela paesaggistica. Ottimista l'assessore alla Mobilità,

Pierfrancesco Maran. Una settimana fa il Consiglio di Stato ha sminato l'altra grande incognita, respingendo il

ricorso della cordata di imprese arrivata seconda nel bando di gara di M4. «In sei mesi - spiega - abbiamo

raddrizzato un'opera utilissima ma che aveva seri e indiscutibili problemi direi 'storici'. Milano d'altronde pensa

alla linea blu dal 2001». Quanto al comitato Foppa-Dezza-Solari, che ha iniziato la battaglia un anno e mezzo

fa (spendendo 21 mila euro in ricorsi con una raccolta pubblica e consulenze ingegneristiche), per ridurre

l'impatto del cantiere che, da solo, avrebbe sopportato calaggio ed estrazione delle talpe nonché il trasporto

delle terre di scavo, rimane sul chi vive: «È stato un corretto ma lungo lavoro di confronto con l'Assessorato -

dice la portavoce Orietta Colacicco -. Attendiamo di vedere il progetto e l'approvazione del Cipe in tempi

molto rapidi; solo allora potremo valutare anche insieme ai cittadini firmatari del ricorso la composizione della

lite e i tempi sono molto stretti».

11/07/2015Pag. 1 Ed. Milano

diffusione:619980tiratura:779916

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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 13/07/2015 11

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La delibera Ieri la giunta ha approvato

la delibera sintesi di mesi di confronto con i comitati

di cittadini sulle modifiche

ai cantieri della nuova linea M4 La stazione Tricolore diventerà l'area di calaggio delle talpe (Tbm da 9,15

metri

di diametro). L'estrazione avverrà alla fermata Solari Le terre

di scavo verranno trasportate

al manufatto Sereni e da qui al deposito tra via Cavriana

e il passante ferroviario16 I chilometri

di tracciato della nuova linea 4 del metrò che collegherà

Linate a San Cristoforo 88 I mesi

di durata

dei lavori

secondo

il crono-programma: non dovranno esserci ritardi 169 Gli alberi

«salvati»

dal piano d'intervento.

Le piante abbattute per la M4 infatti saranno 573

11/07/2015Pag. 1 Ed. Milano

diffusione:619980tiratura:779916

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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 13/07/2015 12

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L'Ance: «Il prefetto chiede aiuto, profughi nei palazzi invenduti» La lettera dei costruttori, mentre a Parre una cordata acquista albergo per evitare l'accoglienza Ho vistoanche io la lettera dell'Ance, piuttosto certe case invendute vengano date ai lavoratori disoccupati dell'ediliziaSi ipotizza un affitto di 300 euro mensili a persona. Stiamo solo cercando di dare una mano. A breve le nostreconclusioni Fabio Spaterna A Parre cinque imprenditori creano una cordata per comprare un albergo, al solo scopo di evitare che la

struttura si trasformi in un alloggio per profughi. Ma in parallelo l'edilizia bergamasca prova a organizzarsi con

un'iniziativa destinata a far discutere. Sono i paradossi di un'estate caldissima sul fronte accoglienza profughi,

un'emergenza che non dà tregua e che sta scompigliando gli equilibri politici della provincia, con risvolti

sociali e, ora, economici.

La novità arriva dalla sede bergamasca dell'Ance, l'Associazione nazionale costruttori edili: il presidente,

Ottorino Bettineschi, ha preso carta e penna per scrivere una lettera agli associati sulla questione profughi,

proponendo al mondo edile bergamasco di mettere a disposizione dei rifugiati parte del (numeroso)

patrimonio immobiliare invenduto sul territorio. «Il problema dell'accoglienza degli immigrati è ben lontano

dall'essere risolto - scrive il numero uno di Ance -. L'associazione non entra nel merito delle valutazioni

politiche, ma è stata coinvolta dalle per valutare possibili soluzioni». Bettineschi entra poi nei dettagli

dell'ipotesi: «Il contratto di locazione verrebbe stipulato con la Caritas, con affitto mensile di circa 300 euro a

persona. Sono ovviamente da verificare numerosi altri problemi, quali ad esempio la durata del contratto e il

pagamento delle utenze». La lettera si conclude invitando gli associati a rispondere, segnalando un eventuale

interesse. «Stiamo cercando di capire se ci sia la possibilità di dare una mano alle istituzioni - aggiunge

Bettineschi, a commento dell'iniziativa -. Abbiamo ancora pochi elementi per trarre le prime conclusioni:

qualcuno però ha già risposto».

Se andasse in porto, l'idea avrebbe come effetto la parziale soluzione dei problemi che in questi giorni sta

affrontando il prefetto, Francesca Ferrandino, che anche ieri ha proseguito gli incontri con i sindaci riuniti negli

ambiti territoriali: molti dei primi cittadini - non solo di area leghista - hanno ribadito il loro no all'ospitalità, ma

se gli imprenditori legati ad Ance mettessero a disposizione i loro appartamenti i sindaci avrebbero le mani

legate. E arrivano già le prime reazioni: «Non ritengo un valore accogliere clandestini sul territorio - sbotta il

primo cittadino leghista di Telgate, Fabrizio Sala -. Piuttosto gli appartamenti invenduti vengano messi a

disposizione dei tanti lavoratori del settore edile che per via della crisi hanno perso il posto di lavoro».

Intanto, dopo la decisione del sindaco di Rovetta, Stefano Savoldelli, di dare ordinare lo «sfratto» ai 57

profughi ospiti dell'albergo Sant'Ambroeus per il mancato rispetto delle normative sulla sicurezza, la

prefettura ha inviato un'ispezione dei vigili del fuoco per appurare il da farsi. E si profila un clamoroso

dietrofront: una parte di richiedenti asilo sarebbe in procinto di essere trasferita nuovamente nella palestra

provinciale di Presezzo che già li aveva ospitati la scorsa settimana.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Foto: Il fronte Esauriti

gli alberghi disponibili,

i profughi

sono stati accolti

nelle palestre di Romano (a sinistra), Filago

e Presezzo. Fuori

dalle strutture

non sono mancate

le proteste

11/07/2015Pag. 2 Ed. Bergamo

diffusione:619980tiratura:779916

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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 13/07/2015 13

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Ance: subito lo sblocca­opere per la ripresa L'edilizia non riparte: investimenti ancora giù Giorgio Santilli L'edilizia ancora non riesce a uscire dal tunnel: l'associazione nazionale dei costruttori (Ance) prevede nel

suo Osservatorio congiunturale un'ulteriore caduta degli investimenti in costruzioni dell'1,3% per il 2015,

mentre il 2016 parte da un ­0,5% e potrà an­ dare in positivo solo in presenza di politiche di rilancio. A questo

proposito, Ance considera urgente ma anche realistico lo sblocca­opere da 20 miliardi: 15 miliardi ci sono giàe

vanno attivati, altri 4,5 vanno trovati. pagina 16 ROMA L'edilizia non è ancora uscita dal tunnel della crisi più

lunga del dopoguerra, nonostante non manchi qualche segnale di risveglio, come l'aumento delle ore lavorate

(+0,6%) ad aprile. Per l'Ance, l'associazione nazionale dei costruttori che lunedì presenterà l'Osservatorio

congiunturale semestrale, il 2015 segnerà un altro dato negativo dell'1,3%. Per il momento,e in attesa di

capire cosa ci sia di reale negli annunci di Matteo Renzi di voler «sbloccare opere per 20 miliardi», l'Ance

conferma una previsione negativa anche per il 2016: ­0,5 per cento. I costruttori prevedono, tuttavia, che la

ripresa potrà effettivamente arrivare nel corso del prossimo anno ­ dopo nove anni di segno negativo ­ se il

governo farà la sua parte con una politica di maggiore attenzione agli investimenti pubblici e all'incentivazione

degli investimenti privati. Per accelerare verso il bel tempo basterebbe che si trasformassero in realtà gli

annunci fatti nei giorni scorsi dal Presidente del Consiglio e dal ministro delle In­ fratsrutture, Graziano Delrio.

E su questo punto l'Ance presenterà lunedì un lavoro che "aiuta" (e al tempo stesso incalza) il governo a

trovare misure, fonti di finanziamento e progetti che possono confluire nel piano sblocca­opera. Dalla puntuale

tavola dell'Ance, che evidenzia investimenti possibili (nuovi o da sbloccare) per un totale di 19,4 miliardi, si

evince che stavolta lo sblocca­opere renziano è credibile e realistico, a condizione che si prendano alcune

misure necessarie. In sostanza, dice l'Ance, 14,9 miliardi di lavori si potrebbero sbloccare soltanto dando

attuazione a provvedimenti già approvati o in corso, mentre 4,5 miliardi di investimenti potrebbero arrivare da

progetti e proposte già all'attenzione del Mi­ nistero delle Infrastrutture, per cui però, è necessario trovare il

finanziamento. In sostanza ­ dice ancora l'Ance lo sforzo del governo in termini finanziari dovrebbe essere di

4,5 miliardi mentre per il resto le risorse ci sarebbero già o sarebbero già programmate da vecchi

provvedimenti. Vediamo il dettaglio di questi programmi finanziati e da sbloccare. La posta più cospicua è il

contratto di programma di Rfi che vale 4 miliardi di investimenti attivabili, già finanziati con legge di stabilità

2015, decreto legge sbloccaItalia di fine agosto 2014 e fondi europei. A conferma che c'è un grosso problema

di attuazione del decreto legge sblocca­Italia, a più di dieci mesi di distanza dall'approvazione, altri tre miliardi

da avviare riguarderebbero i cantieri mediograndi previsti da quel provvedimento e altri 500 milioni per le

opere medio­piccole. Anche la terza voce, per dimensione, dello studio Ance riguarda un piano che il governo

considera assolutamente prioritario da molti mesi: si tratta del piano contro il dissesto idrogeologico che

potrebbe portare a opere per tre miliardi ma che stenta a decollare noonostante lo sforzo straordinario

dell'unità di missione di Palazzo Chigi. Qui si tratta di vecchie risorse (2,4 miliardi) non utilizzate per ritardi

regionali e di 600 milioni già deliberati dal Cipe per il piano stralcio delle città metropolitane (si veda il

Quotidiano Edilizia e Territorio per l'elenco dei 35 interventi contenuti nel piano stralcio). Ci sono poi altri due

piani di media dimensione che da tempo sono pronti al decollo ma che non partono: il piano dell'edilizia

scolastica (per una prima tranche di 1,2 miliardi) e il contratto di programma Anas (1,1 miliardi) che da

quest'anno punta molto più che in passato sulle opere di manutenzione. Quanto al piano dei porti (0,9

miliardi), è stato appena approvato dal Consiglio dei minstri e punta su fondi europei 2014­2020. Infine, il

piano dell'edilizia abitativa (500 milioni), gli investimenti per il trasporto pubblico locale (300 milioni) e il piano

aeroporto (200 milioni da trovare).

Piano Renzi 4,0 0,5 3,2 3,0 1,2 1,1 0,9 0,5 0,3 0,2 4,5 Totale 19,4 Importo in mld € Piano dei Porti Contratto

di Programma Rfi Edilizia scolastica Contratti di Programma Anas Piani degli aeroporti Sblocca Italia 4

programmi di opere medio­piccole Dissesto idrogeologico Piano edilizia abitativa Sblocca Italia ­ Altri cantieri

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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 13/07/2015 14

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(medio­grandi) Trasporto Pubblico Locale Cantieri dei Provveditorati ed eventuali cantieri selezionati dal Mit

nell'ambito del Piano Ance Programmi da sbloccare secondo le indicazioni del governo Nota: gli importi

indicati sono quelli dichiarati dal Governo nella prima parte del mese di luglio. Le principali fonti di

finanziamento sono indicate da Ance Fonte: elaborazione Ance

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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 13/07/2015 15

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UNA PRIORITÀ DI POLITICA ECONOMICA Edilizia ancora nel tunnel ora manovra per ripartire (G.Sa.) L'edilizia stenta ancora e non riesce a uscire dal tunnel in cui è ferma da quasi dieci anni. Lo testimonia

l'associazione dei costruttori che lunedì presenterà le proprie previsioni congiunturali di metà anno (si veda il

servizioa pagina 16) con un taglio che resta pessimista per il 2015 e anche per il 2016. Molti i segnali che

qualcosa si sta finalmente muovendo, ma questi segnali non riescono ancora a cementare una spinta positiva

complessiva. È questo il momento, allora, per rilanciare un'azione di governo che punti a sbloccare il settore

subito. Da una parte serve chiarezza strategica di lungo periodo, per esempio stabilizzando gli incentivi fiscali

alla ristrutturazione e all'efficienza energetica (ed estendendoli al patrimonio pubblico come ha proposto il

ministro delle Infratsrutture Delrio). Dall'altra serve un'azione fortissima a breve come quella annunciata dal

premier Renzi. Le condizioni per fare questa manovra­ dice uno studio dell'Ance che parla di 15 miliardi già

disponibili e 4,5 da trovare ­ ci sono. La volontà politica sembra pure esserci. Allora si faccia, considerandola

una priorità assoluta della politica economica.

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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 13/07/2015 16

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Il caso/2. Acquisita per 75 milioni la Ladurner di Bolzano Zoomlion, parte la corsa al business dell'ambiente IMPRESA HI­TECH L'azienda altoatesina ha sviluppato tecnologie innovative per la realizzazione di impiantiper la produzione di combustibile da rifiuti Per quanto riguarda l'Italia, oltre al già citato investimento di State Grid International in Cdp Reti e alle

partecipazioni assunte da People's Bank of China in Enel ed Eni, va ricordato che nel dicembre 2014

Shanghai Electric aveva investito 400 milioni di euro per rilevare dal Fondo Strategico Italiano, braccio di

investimento della Cassa Depositi e Prestiti, il 40% di Ansaldo Energia, leader mondiale nella costruzione di

centrali elettriche; in parallelo Insigma aveva inoltre aperto una trattativa con Finmeccanica per Ansaldo

Bredae Ansaldo STS, il cui controllo stato invece poi ceduto alla giapponese Hitachi. Più recentemente, nel

giugno 2015 Zoomlion, colosso leader nei servizi ambientali, ha investito 75 milioni per acquisire il controllo

della La­ durner di Bolzano insieme al fondo di private equity Mandarin Capital Management II. In parte, il

capitale investito verrà utilizzato per un aumento di capitale finalizzato a finanziare la crescita dell'impresa

altoatesina sui mercati internazionali. L'acquisizione di Ladurner è sintomatica nel crescente interesse dei

cinesi sul settore: si tratta di una media impresa specializzata (circa 160 dipendenti e 70 milioni di ricavi), nata

come società di engineering e specializzatasi nella costruzione e gestione di impianti per lo smaltimenti dei

rifiuti e la produzione di energia; in particolare, ha sviluppato tecnologie innovative per la realizzazione

d'impianti per la produzione di combustibili da rifiuti, sostitutivi del carbone. Zoomlion, che vale ricavi per 5

miliardi di dollari e punta a diventare numero uno nelle bonifiche ambientali e nel trattamento dei rifiuti, settori

in forte crescita sul mercato cinesee nel Far East, era già presente in Italia dal 2008, quando sempre con

Mandarin ha acquistato nel 2008 il gruppo Cifa, produttore di betoniere e macchine per le costruzioni.

11/07/2015Pag. 12LA CINA IN ITALIA

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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 13/07/2015 17

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LETTERA AL RISPARMIATORE Enel Green Power, la spinta in più da fonti e mercati diversificati Vittorio Carlini Enel Green Powerè attiva nelle rinnovabili. Un business che, nel primo trimestre del 2015, ha visto ricavie

redditività dell'azienda crescere. Al di là delle voci contabili, il risparmiatore vuole però capire quali sono le

strategie societarie. In tal senso l'analisi di come il peso delle diverse tecnologie è mutato nel tempo permette

di cogliere alcune dinamiche di fondo. Così: da una parte Enel Green Power (Egp), che considera essenziali

tutti i suoi tipi di fonti energetiche , ha sostenuto la diversificazione delle stesse; dall'altra ha spinto molto

sull'eolico. E, per il futuro, fissa trai suoi focus il solare. La riprova di questi trend arriva anche dai Capex del

piano d'impresa 20152019. Gli 8,8 miliardi d'investimenti, infatti, sono indirizzati per il 57% all'energia del

ventoe per il 27% ai Watt generati dal sole. Poi: il 6% sarà usato nel geotermico. Stessa la percentuale

nell'idroelettrico con, infine, il restante 4% finalizzato ad aumentare l'energia prodotta dalle biomasse. Ma

nonè solo la tecnologia: rileva anche la diversificazione geografica. Qui, al di là dell'Europae del Nord

America che mantengono una posizione rilevante, grande parte degli investimenti è indirizzata verso il Sud

America. Al che sorge il dubbio: in stati come, ad esempio, il Brasile l'instabilità socio­economica può dare

problemi. Egp, da un lato, ribatte che la stessa diversificazione internazionale riducei rischi; e, dall'altro, che

meccanismi (quali ad esempioi contratti Power purchase agreement) permettono di rendere resiliente

l'investimento alla volatilità economica. Ciò detto, Egp punta anche sull'Africa (Sudafrica) e alla nuova

frontiera dell'Asia­Pacifico (India). pagina 18 www.ilsole24ore.com/finanza La «Lettera» online per gli abbonati

Enel Green Powerè un gruppo attivo nelle energie rinnovabili. Un business che, nel primo trimestre del 2015,

ha visto ricavi e redditività (+11,4% per l'Ebitda) crescere. Al di là delle voci contabili il risparmiatoreè però

interessato a comprendere l'andamento concreto della società. Uno dei modi per raggiungere l'obiettivo è

guardare l'evoluzione del mix di fonti energetiche sfruttate. Ebbene alla fine del 31 marzo scorso la capacità

installata netta di 9.807 MegaWatt era così divisa: il 59,8% ad appannaggio dell'eolico; seguono, poi,

l'idroelettrico (26,7%)e il geotermico (8,5%). Infine, ci sonoi Watt che arrivano dal fotovoltaico (4,6%)e quelli

più residuali(0,4%) delle biomasse. La fotografia così scattata può confrontarsi con quella, ad esempio, di fine

2011. A quel momento l'incidenza dell'energia prodotta con la forza dell'acqua era del 35,9%e quella del

calore degli strati profondi della terra al 10,8%. L'eolico si assestava al 50% mentre il solare valeva l'1,4%e le

biomasse lo 0,6%. Dal confronto delle due «istantanee» emergono alcune precise dinamiche. Quali?È presto

detto. L'eolico, già rilevante, ha proseguito nella sua crescita. E lo stesso solare, seppure con un peso ben

inferiore,è aumentato. Al contrario l'incidenza dei Watt legati all'acquae alla geotermia è, anche se con

velocità differenti, calata. Certo, rispetto agli andamenti indicati possono sollevarsi alcune obiezioni. In primis

che, in valori assoluti, la capacità netta installata dell'idroelettrico e del geotermico è comunque aumentata.

Inoltre: confrontarei semplici numeri tra due momenti, senza ricordare gli eventi intercorsi nel frattempo (ad

esempio, l'azzeramento dei Watt nella cogenerazione), narra solo parte della storia. Ciò detto, però, la

dinamica di fondo del gruppo pare delineata. Enel green power (Egp) da una parte, ritenendo tutte le

tecnologie essenziali, sostiene la diversificazione delle fonti energetiche; e,dall'altra, spinge per l'appunto nel

mondo dell'eolico. Cui, nel futuro, si accentua il focus sul solare. La riprova di quest'interpretazione? Arriva

dal business plan 2015­2019. Nel piano d'impresa, presentato di recente, sono previsti 8,8 miliardi di Capex.

Di questi il 57% sarà indirizzato sull'energia del vento; il 27% sui Watt prodotti con il sole. Poi,a seguire, le

altre tecnologie: il 6% rispettivamente per l'idroelettricoe la geotermia; il 4% per le biomasse. Ma nonè

solamente una questione di tecnologie. Il risparmiatore è interessato anche a comprendere l'articolazione

geografica di Egp. La società infatti, non da oggi, ha fatto dell'internazionalizzazione un suo focus. Alla fine

del primo trimestre dell'anno la capacità totale installata era suddivisa nel seguente modo: il 60%è

riconducibile all'Europa; il 21% al Nord Americae il restante 19% all'America Latina. Già, l'America Latina.A

ben vedere il Sud America, come indicato nell'investor day del piano d'impresa,è un'area rilevante. Circa il

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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 13/07/2015 18

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53% degli investimenti per la crescita al 2019 sono indirizzati proprio verso quel Continente. In particolare: in

Cile, Messicoe Brasile. Qui però il risparmiatore esprime un dubbio: lo Stato cariocaè attraversato da crisi

geo­politiche non indifferenti. Un'instabilità che può costituire un limite allo sviluppo del business locale. Egp

non condivide la considerazione. In generale il gruppo sottolinea l'importanza della diversificazione

internazionale: quando l'attività in uno Stato rallenta, questa può essere più che controbilanciata dalla

crescita in un altro. Ciò detto l'azienda ricorda che in Brasile, come in altri Paesi ad eccezione dell'Europa,i

contratti di fornitura energetica sono costituiti dai cosiddetti Power Purchase Agreement (Ppa). Valea dire:

accordi di lungo periodo in cui il prezzo dell'energia, insieme ad altre variabili, viene predefinitoe legato, ad

esempio, all'inflazione. Il che consente, come accade proprio nello Stato carioca, di mettere gli investimenti al

riparo dalla volatilità economica. Peraltro, conclude Egp, il Brasile ha un grande bisogno di energia: una

domanda di Watt che deve essere colta. Al di là dei tre mercati indicati, quali però gli altri Stati cui Egpè

interessata? Ricordata la presenza in Centro America (ad esempio, Panama) il gruppo sta costruendo il suo

primo impianto eolico in Uruguay. Poi, si guardaa Perùe Colombia. Dal Sud America al Nord America. Il

mercato statunitense, per indicazione stessa di Egp,è complesso seppure fondamentale. Il 15% dei Capex

nel piano d'impresaè destinato proprio in quest'area. La quale, peraltro, ha la finalità anche di «stabilizzare» il

business:a fronte dello sviluppo nei più volatili «emerging»è essenziale sfruttare un'economia avanzata, ma

in crescita, come quella statunitense. Ciò detto negli Usa Egpè attiva nell'eolico. E, poi, sull'idricoe nelle

biomasse. Meno rilevante, invece, il solare che non offre sufficienti ritorni. Al di là, però, delle singole

tecnologie negli Stati Uniti il gruppo ha concretizzato una strategia per lui inusuale. Di norma Egp o possiede

totalmente l'asset oppure lo vende in toto. Ebbene: nel marzo scorso è stato ceduto il 49% della newco

Egpna Rep, cui si riconducono un mix di fonti (soprattutto eolico) al braccio finanziario di General Electric.

L'obiettivo? Costituire una partnership in cui, da una parte, Egp mantiene la gestione operativa degli impianti;

ma, dall'altra, l'azienda italiana può fare «leva» su GE per sviluppare il business in un mercato altrimenti

competitivoe difficile. Fin quii Continenti dall'altra sponda dell'Atlantico: quali, invece, le dinamiche in Europa?

Nella presentazione del piano d'impresa Egp sottolinea che nel Vecchio continente verranno valorizzate, tra

le altre cose, due strategie applicabili, però, a tutte le aree. La massimizzazione degli asset attraverso la loro

efficiente amministrazione (oltre al target di ridurre l'esposizione alle fluttuazioni dei prezzi di mercato). E, poi,

la gestione del portafo­ glio degli stessi asset. Su quest'ultimo fronte il gruppo è pronto a cogliere opportunità

nello shopping ma anchea realizzare dismissioni. Così, ad esempio,è confermata l'opzione della cessione

degli asset in Portogallo. Rispetto al primo tema invece il gruppo, tra le altre cose, ricorda la sua

manutenzione preventiva. Così, ad esempio, attraverso il controllo in remoto Egp riesce ad individuare il

surriscaldamento anomalo di un componente di una turbina in un parco eolico. E, quindi, sostituire il pezzo

prima che si rompa. Il meccanismo di prevenzione, indica la società, tra il 2012e il 2014 ha permesso un

risparmio sui costi di circa 120 milioni.E nel futuro? L'obiettivoè di passare dagli attuali 76mila euro nominali di

Opex in media per Mega Watta quota 70mila nel 2019. Detto dei targete di alcuni aspetti della strategia il

risparmiatore però si interroga su di un altro aspetto. Quale? È presto detto. L'esposizione al mercato

europeo è elevata. In particolare l'Italia, per ovvie ragioni storiche, ha la sua rilevanza. Ebbene qui,

nonostante il Belpaese sia fuori dalla recessione, da una parte la congiuntura resta debole. E dall'altra il

listino dei Watt si mantiene basso: il Prezzo unico energia (Pun) è intorno a 50. Il che pone dei dubbi sulla

possibilità di sviluppo del business. Egp non condivide l'analisi. In primis, rispetto all'Europa, le opportunità

nei diversi Paesi ci sonoe vanno colte. Al di là di ciò, con riferimento all'Italiaè vero chei prezzi restano

piuttosto bassi. Ma la rilevanza del mercato domestico sull'intero business nonè elevata. Per ogni calo di un

euro del Pun si assiste ad un impatto di circa 10 milioni sull'Ebitda del gruppo. A fronte di un Mol che, nel

2014, siè assestatoa 1,9 miliardi le cifre indicate non destano preoccupazione. Inoltre, nel 2015 circa l'85%

dei volumi nel Belpaeseè coperto con contratti forward. Insomma, il tema non è motivo di

preoccupazione.Anche perchè l'internazionalizzazione è destinata ad aumentare grazie ad aree attualmente

meno rilevanti. Un esempio? Oltre al recente sbarco in Turchia, va ricordata l'Africa. Nel Continente «nero»

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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 13/07/2015 19

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Egp ha una forte presenza in Sud Africae guarda ai Paesi sub sahariani. Senza dimenticarsi poi la nuova

frontiera dell'Asia­Pacifico. Qui un focusè l'India. Il Governo indiano miraa raggiungere 100 Giga Watt nel

solare e 60 nell'eolico entro il 2022. Egp vuole essere della partita. Alcuni rumor hanno prospettato la

possibilità di un'acquisizione. Egp non commenta l'indiscrezione. E, però, indica che tra lo sbarco in India a

piccoli passi e l'eventuale shopping quest'ultima opzione potrebbe essere preferibile. Al di là delle singole

strategie, si tratta comunque di mosse per raggiungere (anche) gli obiettivi del piano. Su questo fronte quelli

finanziari sono confermati(tra gli altri, il targeta fine anno di circa 1,8 miliardi di Mol). Riguardo a quelli

operativi (intornoa 7,1 Giga Watt di nuova capacità al 2019)può invece domandarsi se l'asticella non sia

posta troppo in alto. Per gli esperti la rispostaè no. Al 30 aprile 2015, compresi il consolidamento dei progetti

già realizzati, del Portogallo, dei contratti cantierizzati (o che stanno per esserlo)e di quelli contrattualizzati

circa il 60% della capacità aggiuntiva previstaè già in via di concretizzazione.

VARIABILI GEO­POLITICHE

GreciaSvalutati gli asset nel 2014 Egp non si dice preoccupata

ANALISI TECNICA

1,65­1,95euroIl «canale» in cui il titolo si è mosso di recente

I numeri del gruppo Enel Green Power8,8 miliardi €~1,8~2,0~2,18,8 miliardi € 0,2 811 0,5 3,1 6% 321 0,5 Ebit 2,8 170 7,1 175 6% 15% 19% 2015 2016 2017 Eneop 60%

53% Europa 13% Solare 348 Target residuo Eolico Dati in Giga Watt OBIETTIVI FINANZIARI 2015­2017

Nord America Resto del mondo Cod I tr im. 2015 America latina Progetti "contracted" 4% Biomasse Capacità

aggiuntiva 2015-2019 CAPACITÀ AGGIUNTIVA PIANIFICATA Fonte: Società Dati in milioni di euro I

TRIMESTRI DEL GRUPPO A CONFRONTO Dati in miliardi di euro INVESTIMENTI PREVISTI TRA

2015­2019 I tr imestre 2014 I tr imestre 2015 Progetti in "execution"

Risultato netto Ricavi Ebitda 720 536 481 Idroelettrico Geotermico 27% 57% CAPEX PER AREE CAPEX

PER TECNOLOGIA

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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 13/07/2015 20

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EDILIZIA E AMBIENTE www.ediliziaeterritorio.ilsole24ore.com Urbanistica. Tranne che in Lombardia edEmilia Romagna è ancora possibile ovunque aumentare la volumetria con bonus che arrivano fino al 75%della superficie Bonus ampliamenti all'ultimo traguardo In nove Regioni termina il 31 dicembre la validità dei piani casa per ingrandire o ricostruire gli edifici Raffaele Lungarella pUltimi mesi di tempo per gli ampliamenti degli immobili con bonus di cubatura e in deroga ai piani urbanistici

in molte Regioni. Tranne che in Lombardia ed Emilia Romagna dove questa possibilità è scaduta, sono nove

le leggi regionali che hanno previsto come data ultima per gli ampliamenti il prossimo 31 dicembre. Le leggi

regionali sui piani casa sono figlie di un'intesa, siglata nel 2009, tra lo Stato, le Regionie gli enti locali, che in

origine prevedeva questa possibilità per 18 mesi. Eccetto la Valle d'Aosta, che decise da subito di non

stabilire scadenze (seguita poi dalla provincia di Bolzano e dall'Umbria) e il Friuli Venezia Giulia, che fissò un

termine di cinque anni, le altre regioni definirono in 18­24 mesi la durata dei propri piani, poi di volta in volta

prorogati. Ammesso che le attuali date non subiscano ulteriori slittamenti, alla loro scadenza dieci piani

avranno avuto almeno sei anni per produrre i propri effetti e tutti gli altri almeno un anno in più. Se la loro vita

sarà allungata ulteriormente lo si vedrà solo a fine anno, con l'approvazione delle leggi finanziarie regionali,

che in genere sono il veicolo delle proroghe. Nei primi sei mesi di quest'anno hanno già spostato in avanti la

scadenza Sardegna, Liguria, Calabria, e Molise. Ma già da ora dispongono di più tempo per beneficiare dei

premi di volumetria cittadini e imprese proprietarie di immobili del Friuli Venezia Giulia: qui l'ultimo giorno è il

19 novembre 2017. Alcune proroghe sono state accompagnate da modifiche anche di contenuto, spesso con

l'intenzione di accrescere l'attrattività dei piani, aumentando i premi di volumetria, estendendo la tipologia

degli immobili che ne possono usufruire. Altre volte gli aggiornamenti legislativi hanno riguardato le procedure

attuative. Con una legge di marzo, ad esempio, il Piemonte è intervenuto sulla norma relativa alla sicurezza

da garantire nelle fasi di ampliamento e di ricostruzione degli edifici demoliti. Le misure di protezione e di

garanzia per gli operatori che accedono ai tetti degli immobili oltre che nei casi di interventi di manutenzione

ordinaria devono essere applicati, con l'entrata in vigore della Lr 11 marzo 2015, n. 3, anche per gli interventi

di manutenzione straordinaria non strutturale che riguardano la copertura. Anche la regione Molise è

intervenuta di recente sull'architettura originaria del suo piano casa. Ora sono possibili anche interventi di

recupero dei centri storici. Persalvaguardare il patrimonio edilizio esistente in quelle zone al 31 dicembre

2014 gli edifici ad uso residenziale possono essere ampliati (in deroga alle previsioni dei piani regolatori) fino

al 10% del loro volume esistente, con l'abbuono totale del contributo relativo al costo di costruzione e degli

oneri di urbanizzazione. Alla fine del 2014 anche il Lazio ha fatto un tagliando alla propria legge sul piano

casa. Rispetto all'impostazione iniziale alcune novità di rilievo riguardano la sistemazione delle periferie. I

programmi integrati per migliorare il loro assetto urbano possono prevedere interventi di sostituzione edilizia e

anche modifiche di destinazione d'uso di aree e di immobili con un incremento fino ad un massimo del 75%

della volumetria o superficie demolita a condizione di destinare almeno il 25% della nuova superficie costruita

a edilizia residenziale sociale.

La situazione Regione per Regione Dal 2009, da quando il Governo Berlusconi ha lanciato il piano casa, in

tutte le Regioni italianeè possibile ampliare abitazioni (e in alcuni casi anche immobili ad uso non

residenziale) con un premio di volumetria (di solito pari al 20%). Il piano casaè scaduto in sole due Regioni,

Lombardia ed Emilia Romagna, mentre nelle altreè ancora aperto. In nove realtà, al momento, il termine

ultimoè fissato al 31 dicembre di quest'anno (ma sono sempre possibili proroghe dell'ultim'ora). Ogni Regione

ha diverse particolarità, segnalate nelle schedea fianco in cui sono riportate anche le leggi di riferimentoe

l'attuale data di scadenza del piano. In Umbria, Valle d'Aostae Bolzanoi premi volumetrici sono permanenti

ABRUZZO Gli immobili residenziali demoliti possono essere ricostruiti con un aumento del 35% della

superficie utile e di un altro 30% se, in caso di rilocalizzazione, l'area dell'edificio abbattuto è ceduta al

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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 13/07/2015 21

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Comune

LR 19 AGOSTO 2009, N. 16

dicembre 201531BASILICATA Per le abitazioni monofamiliari l'ampliamento non può superare i 200 metri quadri, che

diventano 400 per quelle plurifamigliari. In ogni caso non si può mai andare oltre il limite del 20%

dell'esistente

LR 7 AGOSTO 2009, N. 25

dicembre 2015

31CALABRIA Il premio di superficie del 35% per gli interventi di demolizione e ricostruzione è riconosciuto

anche agli edifici in corso di ricostruzione e non ancora ultimati alla data di approvazione della legge

LR 11 AGOSTO 2010, N. 21

31dicembre 2016CAMPANIA Interventi di ampliamento consentiti su edifici residenziali uni­bifamiliari o con volumetria fino a

1.500 mc oppure di massimo tre piani fuori terra. Premio del 20% della volumetria

LR 28 DICEMBRE 2009, N. 19

dicembre 2016

31FRIULI VENEZIA GIULIA Premi elevati sia per gli ampliamenti che per le demolizioni e ricostruzioni:

rispettivamente +35% e +50%. Possibile l'aumento del numero di unità immobiliari

LR 11 NOVEMBRE 2009, N. 9

novembre 2017

19LAZIO La destinazione d'uso degli edifici ampliati (max 20%) non può cambiare per 10 anni. Se destinati a

prima casa i Comuni possono ridurre gli oneri di urbanizzazione fino al 30 per cento.

LR 11 AGOSTO 2009, N. 21

gennaio 2017

31LIGURIA La Regione concede la possibilità di accorpare, mediante demolizioni e ampliamenti, più unità

immobiliari appartenenti ad un unico proprietario e situate nello stesso lotto

LR 3 NOVEMBRE 2009, N. 49

dicembre 2015

31MARCHE Gli ampliamenti possono anche essere realizzati in aggiunta agli incrementi volumetrici

eventualmente previsti dagli strumenti urbanistici generali comunali non ancora utilizzati

LR 8 OTTOBRE 2009, N. 22

dicembre 2016

31MOLISE Premio del 20% del volume esistente per ampliamenti anche in costruzioni che abbiano completato

le strutture portanti con miglioramento energetico del 30% per cento

LR 14 APRILE 2015, N. 7

dicembre 2015

31PROVINCIA DI BOLZANO Interventi vietati nelle zone boscate e a verde alpino. Ampliamenti anche nei

centri storici e sugli edifici con vincolo storico, artistico e paesaggistico con tutele delle leggi provinciali

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LP 9 APRILE 2009, N. 1

Nessuna scadenzaPROVINCIA DI TRENTO Incremento fino al 15% del volume per demolizione e ricostruzione. Possono

cambiare forma e sagoma dell'edificio e l'area di sedime. L'edificio può essere realizzato anche su un lotto

diverso

LP 3 MARZO 2010, N. 4

dicembre 2015

31PIEMONTE Per interventi di demolizione e ricostruzione incremento di volume del 25 per cento elevabile di

10 punti con aumento della qualità ambientale ed energetica degli edifici

LR 14 LUGLIO 2009, N. 20

31dicembre 2015

PUGLIA Interventi esclusi nelle zone A (centri storici), in quelle nelle quali il Prg permette solo opere di

manutenzione ordinaria e sugli immobili definiti di valore storico

LR 30 LUGLIO 2009, N. 14

31dicembre 2015

SARDEGNA Per gli interventi di demolizione e demolizione (con incremento di volumetria del 30%) non è

obbligatorio il rispetto dell'aspetto, della forma e dell'orientamento dell'edificio originario

LR 23 OTTOBRE 2009, N. 4

31dicembre 2016

SICILIA Per demolizione e ricostruzione con edifici adibiti a prima abitazione per giovani coppie di età non

superiore a trentacinque anni gli oneri concessori sono scontati del 75 per cento

LR 6 DEL 23 MARZO 2010

31dicembre 2015

TOSCANA Gli interventi di demolizione e ricostruzione sono vincolati al rispetto delle distanze minime e delle

altezze massime previste dai regolamenti urbanistici o edilizi comunali

LR 8 MAGGIO 2009, N. 24

dicembre 2015

31UMBRIA Se gli interventi di demolizione e ricostruzione riguardano almeno tre edifici e sono finalizzati alla

riqualificazione urbanistica il premio di superficie passa dal 35% al 45 per cento

LR 21 GENNAIO 2015, N. 1

Nessuna scadenzaVALLE D'AOSTA Nell'ambito dei programmi integrati gli incrementi dei volumi esistenti sono possibili fino al

45% (+ 10% rispetto alla norma) per la realizzazione di interventi di demolizione e ricostruzione

LR 4 AGOSTO 2009, N. 24

Nessuna scadenzaVENETO La demolizione e ricostruzione è premiata con un incremento di volumetria fino all'80% con l'utilizzo

di tecniche ad elevata efficienza energetica e di tecniche di edilizia sostenibile

LR 8 LUGLIO 2009, N. 14

maggio 2017

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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 13/07/2015 23

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La mobilità Modifiche alla M4 salvati 169 alberi cambiato lo scavo Aggiornato il progetto: variante per viale Argonne due "talpe" in piazza Tricolore per ridurre i disagi Nessuncosto aggiuntivo e confermata la consegna nell'aprile del 2022. Maran: "Pronti a possibili altri interventi" IlComune ribadisce l'impegno a ripiantare il 20 per cento in più degli alberi tagliati. Oggi un presidio delMovimento 5 Stelle ORIANA LISO Uno spostamento di alcuni metri del cantiere su viale Argonne per salvare i due filari di alberi destinati al

taglio. E una modifica al cantiere tra via Solari e piazza Tricolore, con due talpe che scaveranno le gallerie e

un nastro trasportatore sotterraneo per la terra di scavo. La giunta ha firmato la variante ai cantieri della M4,

dopo le proteste dei residenti: salvi così 169 alberi sui 700 tagli previsti. A PAGINA V

UNA battaglia fatta giorno per giorno dai residenti dei quartieri che saranno attraversati dalla linea Blu della

metropolitana. Comitati, presidi, incontri tecnici e, adesso, una prima vittoria: il Comune ha firmato le

modifiche di progetto del cantiere della M4 che serviranno a salvare dal taglio 169 alberi - sui circa 700

previsti - e che eviteranno il via vai sulle strade di camion pieni di terra di scavo. La variante, approvata ieri

dalla giunta, passerà ora al Cipe, il comitato per la programmazione economica del governo, per il sigillo

definitivo, che non dovrebbe essere in discussione. Nessun costo aggiuntivo rispetto al progetto originario e -

assicura Palazzo Marino - nessun allungamento dei tempi di realizzazione: 88 mesi, con consegna definitiva

nell'aprile 2022.

La modifica salva-alberi riguarda soprattutto viale Argonne: il cantiere per la realizzazione delle gallerie

sotterranee verrà spostato di alcuni metri (18,50 nel punto massimo, 10 di media) per salvare i due filari di

poderosi alberi, che altrimenti sarebbero stati tagliati. Riposizionando il cantiere più al centro del viale, si

riuscirà a diminuire l'impatto sul verde circostante. L'altro capitolo della variante riguarda invece la galleria tra

piazza Tricolore e la futura stazione Solari: inizialmente era prevista una sola talpa, con partenza a Solari,

che avrebbe scavato prima in un senso di marcia e poi nell'altro. Adesso, invece, ci saranno due talpe che,

calate in piazza Tricolore, arriveranno di pari passo a Solari. In questo modo non sarà necessario portare via

la terra degli scavi con i camion fino al cantiere di deposito a Forlanini, ma si potrà fare con un nastro

trasportatore, utilizzando le gallerie di collegamento tra i cantieri stessi. Ci sono voluti mesi per arrivare a

definire queste modifiche: mesi non sempre sereni, con i comitati preoccupati dell'impatto dei lavori e le azioni

dimostrative del MoVimento 5 Stelle, con tanto di intervento diretto, una settimana fa, di Beppe Grillo. «Ci

siamo confrontati per sei mesi, per ridurre i disagi legati ai cantieri e gli impatti su traffico, smog, commercio e

verde, ma il lavoro proseguirà per cercare di mitigare ulteriormente i disagi, in particolare in via Foppa»,

spiega l'assessore alla Mobilità Pierfrancesco Maran. Le possibili revisioni, infatti, non finiscono qui, perchè

rispetto al progetto approvato alla fine del 2014, le reali esigenze dei quartieri e l'impatto sull'ambiente si

stanno definendo via via che si mette mano ad una nuova tranche di lavori. Modifiche che saranno man mano

segnalate sul sito metro4milano.it, dove si può vedere lo stato di avanzamento dei lavori e le planimetrie dei

cantieri.

È stato così per viale Argonne e corso Indipendenza, dove i comitati di residenti hanno capito per tempo - e

quindi hanno potuto chiedere la modifica - quanto del verde del loro quartiere sarebbe andato perso con i

cantieri. Perso non per sempre, visto che il Comune si è impegnato a ripiantare un numero maggiore di

alberi, il 20 per cento in più di quelli conteggiati oggi in tutta Milano, con 700 nuovi alberi soltanto in

prossimità della stazione di San Cristoforo, futuro capolinea - assieme a Linate - della linea Blu. Ma la

differenza è ovvia, ed è quella su cui hanno battuto i cittadini delle varie zone coinvolte: piante giovani ci

metteranno anni prima di diventare come quelle che oggi ombreggiano queste strade. Il conto, finora, è di

quasi un quarto di alberi salvati rispetto al progetto inziale: 169 su 700, concentrate soprattutto nella parte est

della città. Oggi, in ogni caso, il MoVimento 5 Stelle annuncia un presidio in viale Argonne.

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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 13/07/2015 24

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I PUNTI LA VIABILITÀ Per aprire i cantieri di M4 alcune strade vengono chiuse al traffico o si cambia il senso

di marcia 4LA SALUTE Proteste anche per la scelta di trasportare le terre di scavo (lo smarino) con i camion

3IL VERDE Molte critiche arrivano per il grande numero di alberi che verranno abbattuti I NEGOZI Si cercano

soluzioni per mitigare i disagi dei cantieri per i commercianti delle strade coinvolte www.metro4milano.it

www.car2go.com/it/milano PER SAPERNE DI PIÙ

Foto: LE GALLERIE

Foto: Per salvare i 169 alberi di viale Argonne sarà spostato di alcuni metri (18,50 nel punto maggiore , 10 in

quello medio) il cantiere per realizzare le gallerie. In questo modo saranno salvati i due filari alberi del viale

mitigando anche l'impatto dei lavori

11/07/2015Pag. 1.5 Ed. Milano

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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 13/07/2015 25

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La mobilità Tramvia, Nencini mette il casco ispezionerà i cantieri lumaca Il viceministro lunedì sarà a Firenze per controllare di persona lo stato dei lavori Il cda deciderà se prendereprovvedimenti per imporre il rispetto degli impegni presi ILARIA CIUTI SHOW down lunedì per la tramvia dopo le polemiche sui ritardi dei cantieri della linea 2. Verrà a ispezionare i

cantieri il fiorentino viceministro ai trasporti Riccardo Nencini. E il cda della Tram di Firenze (l'ati realizzatrice

in project delle due linee) deciderà se e quali provvedimenti prendere per costringere Gfl (Grandi Lavori

Fincosit) a rispettare gli impegni. Come chiede il socio di maggioranza relativa della Tram, Ratp Dev Italia che

parla di penali fino a perfino alla rescissione del contrato. Tanto sembra decisivo questo cda che è stato

rimandato a lunedì solo perché ieri non tutti i membri avrebbero potuto essere presenti mentre Ratp sostiene

che chi non collaborerà si prenderà sulle proprie spalle la responsabilità della debacle della tramvia e

dunque, si arguisce, anche delle spese in sovrappiù per i ritardi su cui ha protestato anche l'assessore alla

mobilità in Palazzo Vecchio, Stefano Giorgetti.

Nencini parteciperà alle 17 a un incontro all'Sms sulla tramvia insieme a Giorgetti ma già prima andrà con il

sindaco Nardella a ispezionare i cantieri. Fin troppa sollecitudine del governo per le vicende fiorentine? «Si

tratta di vigilanza dovuta per un'opera in parte finanziata con fondi pubblici. E prevista, in pratica d'ufficio,

dall'accordo tra ministero e Comune che proprio io ho siglato un anno fa con il sindaco», spiega Nencini. E

mentre sui binari che ancora non ci sono è in arrivo il governo, scoppia la polemica sindacato - Giorgetti. Il

segretario della Fillea Cgil di Firenze, Marco Benati, scrive una lettera aperta all'assessore ricordandogli

come i sindacati avessero proposto all'amministrazione e alle imprese un accordo «per organizzare doppi

turni giornalieri che avrebbero procurato più squadre di operai occupati, ci sarebbe stata una maggiore

trasparenza sulla gestione di subappalti e manodopera, ci sarebbe stato il rappresentante dei lavoratori per la

sicurezza e l'ispettore di cantiere». E non come oggi, dice Benati, che « gli operai devono lavorare anche 10

ore a 40 gradi per pochi euro in più, mancando un meccanismo premiale legato allo stato di avanzamento dei

lavori».

Giorgetti risponde a Benati che a 40 gradi sotto il sole nei cantieri c'era solo lui e che «la questione dei ritardi

non è sollevata contro gli operai: sono le ditte che si devono organizzare per rispettare tempi e cittadini».

L'assessore nega di aver ricevuto proposte dai sindacati, dice che l'accordo sta per essere firmato e che «è

già stato emesso un ordine di servizio per doppi turni sei giorni su 7, ma dopo le 18 nei cantieri non c'è

nessuno. Devono essere le ditte a organizzare il lavoro. Mi stupisce che Benati non si preoccupi dei tempi e

dei comuni cittadini. Con i sindacati si può collaborare perché vengano rispettati».

www.firenze.repubblica.it PER SAPERNE DI PIÙ

Foto: IL VICEMINISTRO Riccardo Nencini (sopra) lunedì verrà a ispezionare i cantieri tramvia

11/07/2015Pag. 11 Ed. Firenze

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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 13/07/2015 26

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IL CANTIERE Galleria Umberto, vertice Comune-imprese l'agenda dei lavori dellaSoprintendenza (b.d.f.) VELOCIZZARE i lavori e, soprattutto, dare una linea comune alle imprese impegnate nei cantieri in Galleria

Umberto I. Una galassia di aziende edili. Undici almeno quelle chiamate dai singoli condominii. Più altre

affidatarie dei lavori in capo al Comune. Perché i loro interventi non siano estemporanei, perché i restauri

statici siano coerenti e filologicamente corretti, ieri, in Galleria, un sopralluogo ha visto a confronto tutti i

responsabili dei singoli lavori, il Comune e la Soprintendenza, con l'architetto Cosimo Tarì. «Abbiamo

convocato tutte le imprese - racconta l'assessore comunale all'Urbanistica Carmine Piscopo - per garantire

organicità ai lavori. Dalla Soprintendenza le indicazioni per rendere i lavori rispettosi del pregio artistico di

ogni parte della Galleria». L'assessore è andato all'incontro affidando la supervisione all'ingegnere del

Comune Andrea Esposito, che sin dall'indomani della tragedia del 5 luglio 2014, quando un fregio uccise

Salvatore Giordano, fu nominato direttore dei lavori. Secondo una stima approssimativa, l'ammontare dei

lavori di restauro è pari a 4 milioni di euro.

Foto: ASSESSORE Carmine Piscopo assessore comunale all'Urbanistica. Vertice con le imprese e la

Soprintendenza

11/07/2015Pag. 3 Ed. Napoli

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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 13/07/2015 27

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IL PROGETTO/ TRANSENNATO IL COMPLESSO DEI SETTE PADIGLIONI Parco Trotter, al via il piano contro il degrado Parte degli edifici restaurati grazie alla Fondazione Cariplo saranno assegnati alla scuola media che fa i doppiturni (l.d.v.) SONO arrivate le transenne al Parco Trotter e a breve partiranno i lavori. Si tratta della prima parte del

restauro conservativo dell'ex convitto, quella che riguarda la ristrutturazione della porzione di edificio che sarà

destinata alla scuola media, a cui mancano aule. Il progetto era stato approvato dalla giunta comunale a

gennaio, adesso si sta montando il cantiere che sarà attivo a settembre (dopo le ferie d'agosto dell'impresa).

«Si tratterà di un cantiere intensivo - spiega l'assessore ai lavori pubblici Carmela Rozza - dove si lavorerà a

doppi turni.

Ci sono stati un po' di ritardi nell'assegnazione perché abbiamo tribolato con le imprese che ribassavano

troppo, addirittura c'era chi aveva proposto il 64 per cento in meno. Siamo riusciti a tenerle fuori e ad evitare

che facessero ricorso». L'opera era stata inserita nel piano triennale delle opere pubbliche già nel 2013 per

un importo previsto di 12 milioni di euro, di cui 8 finanziati dalla Fondazione Cariplo. L'ex convitto situato

all'interno del parco Trotter si trova ridosso di viale Padova ed è composto da sette padiglioni collegati tra

loro. Il progetto di riqualificazione, elaborato dai tecnici del Comune in collaborazione con il Politecnico di

Milano, prevede il recupero dei locali e dell'ex centrale termica conservando le caratteristiche originarie

dell'ex convitto.

La nuova struttura ospiterà, oltre alle attività didattiche per la scuola, anche spazi per le associazioni. In

questo modo sarà recuperata anche la funzione storica dell'ex convitto che, a partire dagli anni 20, è stato un

centro educativo che ospitava scuole elementari e medie. Prima di arrivare a questo via ai lavori, non sono

mancate le polemiche da parte dell'associazione Amici del parco Trotter che ne chiedono da tempo la

ristrutturazione in tempi rapidi, considerato che il cantiere sarebbe dovuto partire nel marzo 2013. Da

trent'anni l'ex convitto è in uno stato di abbandono totale, con porte e finestre murate e soffitti e pavimenti

sfondati.

Foto: IL CANTIERE Da alcuni giorni è stata transennata l'area dell'ex convitto. I lavori di recupero inizieranno

a settembre

13/07/2015Pag. 2 Ed. Milano

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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 13/07/2015 28

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il progetto da 2 milioni di euro Piazza Duomo, decolla il cantiere stefania zorio Il 2015 per Biella sarà ricordato come l'anno dei cantieri: a quelli del Pisu, che riguardano la super-biblioteca

civica, l'autosilo nell'area ex Boglietti e la Palazzina Piacenza, a giorni se ne aggiungerà un altro nel cuore del

capoluogo, proprio di fronte alla cattedrale. Palazzo Oropa ha assegnato i lavori per una prima parte del

mega progetto da 2 milioni 200 mila di euro che riguarda il rifacimento di piazza Duomo, molto contestato fin

dall'inizio della legislatura. Ad aggiudicarsi il bando è stata una ditta di Milano, la Trivella srl, con un ribasso

del 29,2 per cento. Seconda classificata un'azienda di Verbania, la Frua Mario Spa, con un ribasso del 29,1

per cento. Tempi stretti

Gli uffici comunali hanno consegnato l'intervento da 1 milione 300 mila, identificato come il secondo lotto, per

il rifacimento della parte Nord della piazza, dalla fontana del Mosé a via Duomo. Ma ora i tempi sono stretti:

l'amministrazione Cavicchioli deve far marciare il cantiere in fretta per non perdere 800 mila euro di contributi

ministeriali, pena la cancellazione degli stessi. Il lavoro dovrà essere terminato entro la fine dell'anno, e non a

caso sul bando di gara è prevista la consegna dell'opera entro il 10 dicembre. In dirittura di arrivo anche la

seconda parte del bando, che formalmente sarebbe il primo lotto dell'opera. In questo caso il progetto vale

900 mila euro (dei quali 772 mila euro di contributo ministeriale), ma in questo caso il Comune può

prendersela con più calma, perché ha tempo di finire i lavori entro la fine di ottobre 2016. L'intervento prevede

il rifacimento del sagrato, dunque il segmento di piazza davanti alla cattedrale di Santo Stefano. La firma sugli

elaborati è dell'architetto Paolo Sorrenti. Il restyling della piazza prevede il rifacimento della pavimentazione di

fronte al sagrato della cattedrale, una piantumazione di alberi, l'installazione di panchine e nuove luci.

11/07/2015Pag. 40 Ed. Biella

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dietro il municipio di gravellona toce Conto alla rovescia per riqualificare l'area dell'ex Coop LUCA ZIROTTI Comincerà in autunno a Gravellona l'abbattimento della vecchia Coop dietro al municipio, nell'area che verrà

riqualificata con la costruzione del nuovo asilo nido. «Se non ci saranno intoppi e riusciremo a procedere

secondo i piani per ottobre dovremmo essere in grado di iniziare con lo smantellamento del vecchio edificio e

la realizzazione della nuova struttura - dice l'assessore di Gravellona all'Istruzione Cristina Franchi - il tempo

previsto per la costruzione è di diciotto mesi dalla partenza del cantiere, se riuscissimo ad arrivare pronti alla

primavera del 2017 con il nuovo asilo utilizzabile avremo centrato tutti gli obiettivi che ci siamo prefissati».

Verrà realizzato sulla base del progetto ridefinito e concordato con la Fondazione Cariplo, che contribuisce

con 900 mila euro su un progetto totale di 1 milione 600 mila euro. La parte restante la metterà il Comune,

che ha dovuto quindi rivedere alcuni aspetti e ridurne la capienza da 45 a 35 bambini. Nuovo progetto

«La realizzazione del nuovo asilo è anche l'occasione per lavorare ad un nuovo progetto educativo, che

coinvolga tutto il mondo scolastico della città - aggiunge l'assessore Cristina Franchi - un dato molto forte per

Gravellona Toce è e resta l'integrazione con le comunità straniere, è un aspetto sul quale occorre lavorare

sempre meglio e di più anche in età scolare e per questo stiamo pensando a qualche iniziativa con il supporto

dell'università di Torino, ne dobbiamo cominciare a discutere. Non appena sarà una proposta più articolata la

potremo presentare alla gente». Cantieri alle elementari

In attesa del nuovo asilo intanto sul fronte dell'edilizia scolastica sono in corso in queste settimane i lavori di

messa in sicurezza e miglioramento per le scuole elementari, che dovranno essere completati per fine agosto

con un investimento complessivo di 261 mila euro.

Lavori che toccano vari aspetti, dalla sostituzione di pavimentazioni per l'edificio centrale e l'edificio verso via

Gramsci, la tinteggiatura di aule, corridoi e scale ma anche il superamento delle barriere architettoniche con

l'attuale rampa che non garantisce l'accesso ai locali della palestra agli alunni con disabilità.

Per il risparmio energetico invece sono previsti interventi per isolamento termico ma anche acustico, oltre a

lavori per gli impianti sanitari, realizzazione di nuovi box per i servizi igienici e il rifacimento dei servizi per

disabili.

12/07/2015Pag. 45 Ed. Novara

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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 13/07/2015 30

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»La lente sulla casa Comuni esosi sulle valutazioni delle nuove aree fabbricabili Corrado Sforza Fogliani* IComuni hanno allargato, e alcuni di essi continuano ancora ad allargare a dismisura, negli strumenti

urbanistici, le aree qualificabili come fabbricabili e, in più, stabiliscono valori assolutamente inadeguati rispetto

all'attuale inesistente mercato di tali aree. E anche se i valori attribuiti a queste ultime non sono vincolanti,

avendo come scopo quello di limitare il potere di accertamento delle amministrazioni locali, ciò innesca,

comunque, contenziosi infiniti. Ma gli adeguamenti (a scopo di cassa) non giustificati da aumento di

popolazione possono essere impugnati al Tar o anche solo evitati con questa minaccia (a volte, basta).

Confedilizia ha condotto un'indagine su un campione di Comuni da cui è emerso che questi ultimi, pur

ammettendo nelle loro determinazioni che il mercato è fermo e il Paese è in crisi, non riducono i valori in

questione, limitandosi al massimo a non aumentarli, come se non aumentare fosse di per sé un

adeguamento all'attuale situazione di mercato: ma, ovviamente, così non è. Il che genera un'evidente

ingiustizia con ciò che i proprietari delle aree fabbricabili sono chiamati a versare, a titolo di Imu e Tasi. Tanto

più se si considera che mantenere fermi da più anni i valori delle aree edificabili significa ancorarli a livelli pre-

crisi e, quindi, fuori mercato, tali da essere solo un ricordo. Va ricordato, in proposito, che, ai sensi

dell'articolo 5 del '92, la base imponibile dell'Ici, e ora dell'Imu e della Tasi, è costituita dal valore degli

immobili. Tale valore, con riferimento alle aree fabbricabili, è rappresentato da quello «venale in comune

commercio al 1 gennaio dell'anno di imposizione», avuto riguardo a una serie di condizioni come, a esempio,

la «zona territoriale di ubicazione», l'«indice di edificabilità», i «prezzi medi rilevati sul mercato dalla vendita di

aree aventi analoghe caratteristiche». *Presidente Centro studi Confedilizia

11/07/2015Pag. 19

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STORIA DI COPERTINA Il sindaco Cialente: " Il ministro Franceschini si muova " L ' Aquila, l ' eterno cantiere SALVATORE CANNAVÒ A PAG. 4 - 5 Fondi che arrivano alla spicciolata, imprese che falliscono, ponteggi abbandonati e posti di

lavoro che saltano. La Cgil denuncia la paralisi della ricostruzione: tutto fermo da un anno bruzzo, lo

chiamarono) di Laura Pausini, Fiorella Mannoia, Gianna Nannini e Giorgia, tra le altre. Solo pochi giorni fa l ' i

mpresa Mgm Spa che ha la sua sede a Latina - il cui amministratore è stato rimosso dopo l ' arresto per

frode, corruzione e turbativa d ' asta - ha recintato il cantiere e strappato le erbacce sapendo della

manifestazione di sabato. Gli edili della Cgil, infatti, hanno rispolverato l ' idea eretica di Danilo Dolci, "lo

sciopero alla rovescia", per attirare l ' a ttenzione di stampa e istituzioni. E così, davanti alla scuola dai

ponteggi più eleganti del capoluogo - immancabilmente by Gruppo Marcegaglia - si sono radunati gli operai,

con il caschetto giallo e gli attrezzi in vista per esibilire la voglia di lavoro. In mano cartelli a ostentare

l'incredibile: " Sono stato licenziato due anni fa, non riesco a trovare un'altra occupazione. Chiediamo lavoro!

" . Buffo, il lavoro edile qui non dovrebbe mancare, eppure non è così. " Dal 2008 al 2014, spiega Silvio

Amicucci, segretario regionale Fillea, gli iscritti alla Cassa edile - l ' e nte di solidarietà e assistenza degli edili,

ndr . - nella regione sono passati dal circa 23 mila a 18.500 " . Lo stesso per il numero di ore lavorate sceso

da 21,7 milioni del 2008 ai 14,7 del 2014. L ' agonia riguarda anche le imprese che sono passate da 4.642 a

3.434. Un tonfo clamoroso fatto di fallimenti, chiusure e lavoratori disoccupati. " Nei nostri uffici - spiegano il

segretario aquilano, Emanuele Varrocchi - abbiamo calcolato una media di 5 vertenze alla settimana.

Vertenze che si concludono con una conciliazione, quindi fondate " . Dal 2009 sono più di un migliaio. Con

questi dati si entra nel vivo del problema sollevato dallo sciopero ispirato a Danilo Dolci. "Le aziende

prendono gli appalti spiega Cristina Santelli, anch ' essa della Fillea - ma spesso non hanno la forza e la

solidità per sostenere il ritardo dei pagamenti pubblici. E così, dopo i primi ritardi, chiudono e i lavori si

fermano". Ad alimentare questo circolo perverso sono state finora grandi aziende, alcune molto rilevanti. La

Mazzi di Verona, ad esempio, ha lasciato ferma la ristrutturazione del Convitto, la Taddei, che ocAquila giace

ancora in sala operatoria. Intubata da ogni parte, sorretta da ponti di acciaio, fili, pannelli di calcestruzzo e

polvere. Fratturata non più dal terremoto, lontano ormai, in quel drammatico aprile del 2009, ma dalle sue

stesse ricuciture. Ci sono stradine, come via del Falco, equamente divise a metà: da una parte, facciate belle

e lisce, appena levigate e rimesse a nuovo, dall'altro lato della strada palazzi dimessi, puntellati come alberi

morenti. In via Roma è lo stesso: scendendo lungo uno degli assi che formano la croce centrale della città - l '

altro è corso Vittorio Emanuele - sulla destra si staglia il colore arancione e lindo del palazzo fresco di nuovo.

A sinistra, invece, solo lo spigolo del Rettorato, che sembrava stesse per gettarsi sulla strada e ora è come

incollato al resto dell'edificio, offre la sensazione di un intervento. Per il resto è una linea continua di sassi

vecchi accartocciati sulle porte, di insegne divelte e di ponteggi, tanti ponteggi. Addobbat a dai tubi innocenti

L ' Aquila è la città più transennata d'Italia. I tubi innocenti, quasi tutti costruiti dalla Marcegaglia - ogni giunto

costa 30 euro e ce ne sono a centinaia di migliaia costituiscono l'arredo urbano che si staglia sotto il sole di

luglio. Avvolgono il Convitto, opera rimasta sospesa e immobile, al centro del quadrivio, subito dietro la

grande e bella piazza inagibile, risparmiano il palazzo comunale che è puntellato da ponteggi in legno,

sbarrano l ' a ccesso alle vie laterali dove il tempo sembra sospeso. Addobbano la chiesa dei Gesuiti e

sovrastano via San Martino, all'imbocco del quartiere, solo e silenzioso, di San Pietro, abbandonata da un ' i

m pr es a che è fallita. L ' ennesimo paradosso dell ' Aquila, il più grande cantiere d ' Europa che incuba

perdita di posti di lavoro, chiusura e fallimenti di imprese, vertenze giudiziarie che vengono via come le

ciliegie. La scuola elementare De Amicis, subito accanto alla bella basilica di San Bernardino, tirata a lucido e

nuova, a dimostrazione che si può ricostruire, è l'emblema scelto dalla Fillea-Cgil, il sindacato degli edili, per

denunciare la situazione del capoluogo abruzzese. Il cantiere è fermo da un anno, nonostante l'appalto da 10

milioni di euro e i 900 mila euro raccolti dal concerto (Amiche per l ' Acupa circa cento dipendenti, è fallita

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abandonando buona parte del quartiere dietro via Roma. La stessa Taddei figura tra le imprese che hanno

vinto l ' appalto da 150 milioni per la costruzione della Smart City, la città intelligente, dove i servizi idrici,

elettrici e del gas passeranno sotto il tunnel. Solo che anche in questo caso sono già scattati i primi avvisi di

garanzia per turbativa d'asta recapitati al presidente dell'Ance aquilana (l'associazione dei costruttori), Gianni

Frattale, a Danilo Taddei dell'impresa omonima ma anche al presidente dell'altra società appaltante, la

ravennate Amcar, Alfredo Zaccaria. Tornano i pilastri del sistema degli appalti in Italia, il malaffare, la

corruzione e il relativo spreco da essi prodotto. Il problema resta la mancanza di fondi Il meccanismo della

ricostruzione sembra sia un affare imponente per l'esile struttura burocratica italiana. Il sindaco (vedi

intervista a fianco), accusa i Beni culturali e le lungaggini degli uffici di passaggio. Nel sindacato non vengono

però sottaciute le responsabilità del Comune quando si tratta di facilitare i pagamenti alle imprese. Ma,

soprattutto, e a monte, c'è un problema di soldi. L'Ufficio speciale per la ricostruzione dei comuni del cratere

(Usrc) voluto dall'allora ministro Fabrizio Barca - che ha rimesso in ordine la legislazione ordina ria dopo la

fase emergenziale gestita dal governo Berlusconi - monitora e coordina la ricostruzione privata, assegnando i

fondi ai cittadini, o ai consorzi che si vanno formando, per poi effettuare i lavori. L ' Usrc va molto fiero della

propria efficienza vantando velocità e precisione nell ' assegnazione dei contributi alle opere. È appena uscito

l ' undicesimo elenco (la lista in cui sono dettagliati gli interventi da fare) con un finanziamento, deliberato dal

Cipe, di circa 800 milioni. Ma il decimo elenco, uscito nell ' agosto del 2014, ha visto l'attribuzione dei fondi

solo venti giorni fa. Il caso delle scuole è emblematico: come riporta l'Usrc, su 136 milioni di risorse

complessive, da maggio 2014 sono stati approvati interventi per 52 milioni di euro, immediatamente

cantierabili, trasferendo contributi agli enti attuatori per 18 milioni, il 15% del totale. In ogni caso, si sta

parlando di una quota ancora molto marginale di interventi di ristrutturazione. Una fetta rilevantissima di

risorse se n ' è a n d a t a p e r l e f a m o s e C.A.S.E. costruite da Silvio Berlusconi di cui però si inizia a

parlare seriamente di demolizione, almeno parziale, perché sono fatiscenti e in alcuni casi sono state anche

evacuate. Si sono spesi 4 miliardi, come ricorda lo stesso sindaco Cialente, ma non si è nemmeno a un

quarto degli interventi. Da dove dovrebbero venire i nuovi fondi? E fino a quando ci saranno i cantieri in città?

Il sindaco punta a riaprire i portici entro il 2017 contando proprio sull'undicesimo elenco. Però la ricostruzione

" p ub b l ica " è quella messa peggio con fondi assegnati solo per un decimo delle risorse deliberate e con le

lentezze, e le perversioni, burocratiche. E così succede che la struttura edile muoia un po ' alla volta. La

Taddei è fallita e così anche la Rdb che in Abruzzo ha cinque insediamenti e occupa 445 dipendenti. E ora

sperare nei nuovi acquirenti, un fondo di investimento dell'Oman. Chi controlla le imprese? " Qui si vede il

nodo della qualificazione delle aziende che cerchiamo di sollevare " commenta il segretario della Fillea-Cgil,

Walter Schiavella, che approfitta di questa occasione per sottolineare l'importanza della manifestazione

unitaria con Cisl e Uil del 18 luglio a Roma per chiedere misure come il " s uperamento del massimo ribasso,

la riforma del contraente generale, il cui ruolo è stato ben evidenziato dal caso Lupi, e poi un sistema di

certificazione delle imprese che dia garanzie sui loro requisiti tecnici, patrimoniali e professionali " . Un modo

per dare valenza nazionale alla crisi che l'edilizia continua ad attraversare e di cui il governo sta accorgendosi

solo ora. Nel frattempo, il centro dell ' Aquila si fa più silenzioso per la calura pomeridiana. Da oggi le vie

attorno a Corso Vittorio saranno nuovamente " abi tate " da migliaia di operai, dalle lingue più diverse - il 40%

è straniero - e dalle provenienze italiane più disparate. Per cinque giorni alla settimana il centro diventa " la

città degli edili " . Lo sarà ancora per molto tempo. Il cantiere dell ' Aquila rischia di essere eterno.

La scheda LA CITTÀ F E R I TA Dopo il terremoto del 6 aprile 2 0 0 9, l ' Aquila ha visto la co s t r u z i o n e

delle new town, interi quartieri ex novo in cui trasferire gli abitanti del ce n t ro storico e delle varie f ra z i o n i

. Secondo il Comune, si sono spesi 4,3 miliardi per ricostruire la p e r i fe r i a della città e le opere già

effettuate in centro. Ma molto resta da fare, troppo. Il s i n d a co stima in almeno 6-7 miliardi i fondi ancora

necessari. Il s e g re t a r i o della Cgil parla di almeno 15 m i l i a rd i

Foto: I segni del sisma Age nt i d ava nt i al Palazzo de l l a P re fettura della città, in una i m m ag i ne

scattata nel 2009 a pochi giorni dalla scossa di terre moto Ansa La città del futuro L ' accesso alla Smart City

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in piena costruzione. Ma le ditta appaltanti sono fallite o indagate per turbativa d ' a st a

Foto: Pontegg i e recinzioni Una delle tante viste della città sorretta dai ponteggi. A destra, la rete che

impedisce l ' acce sso all ' area in cost r u z ione S opra, il sindaco de l l ' Aq u i l a , C i a le nte B a nd ie re e

lavoro S a b ato s cors o, il centro stor ico della città ha ospitato la prima prote sta della Cgil Responsabilità C

' è l ' azienda che ha venduto all ' Oman, quella chiusa che lascia a casa i dipendenti e i ponteggi in

abbandono. Sabato prossimo manifestazione nazionale a Roma

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ANCE TREVISO Cambio al vertice: va a Corazza il timone dei Costruttori edili TREVISO - (zan) Cambio della guardia per Ance Treviso, la sezione provinciale dell'Associazione nazionale

dei costruttori edili. Il nuovo presidente dell'organizzazione è Fiorenzo Corazza (nella foto), geometra

cinquantenne, dell'impresa Ralc Costruzioni Snc, di Levada di Ponte di Piave. L'azienda, fondata nel 1970 dal

padre Antonio e dai suoi fratelli Remigio e Lino, è attiva nel campo dell'edilizia residenziale, restauri e

manutenzioni, operando prevalentemente nel Veneto orientale e nel vicino Friuli. Corazza succede a Claudio

Cunial, da otto anni alla guida dell'associazione che rappresenta le imprese industriali del settore costruzioni.

Alla vicepresidenza sono stati chiamati Paolo Comarella, dell'omonima impresa di Valdobbiadene, e Giovanni

Marcon della Costruzioni Edili Marcon Vittorio. Tesoriere sarà Silvano Armellin dell'impresa Armellin

Costruzioni di Conegliano.

11/07/2015Pag. 40 Ed. Treviso

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Eleonora Scarton In arrivo i tiranti antisismici Quarto cantiere di edilizia scolastica del 2015: al via nel mese di settembre i lavori di adeguamento sismico e

restauro conservativo della scuola elementare Vittorino da Feltre. «Abbiamo approvato il progetto esecutivo

del primo stralcio del Vittorino - spiega l'assessore ai lavori pubblici Adis Zatta - che prevede il

controventamento sismico mediante struttura esterna in acciaio e il restauro conservativo di porzione delle

facciate a nord. Nel concreto, si procederà con la realizzazione ex novo all'esterno di una struttura metallica,

fondata su plinti in calcestruzzo, a loro volta ancorati su micropali, che sarà una sorta di "tirante" per le mura

dell'edificio. Inoltre, faremo delle iniezioni sui muri perimetrali».

Qualche modifica è stata fatta rispetto al progetto definitivo. «In questo periodo abbiamo elaborato diverse

analisi - dichiara Zatta - e abbiamo quindi portato in essere alcune modifiche tecniche.

In particolare, pensavamo di trovare la roccia a 10 metri di profondità, invece è a 23 metri, per cui sono

lievitati un po' i costi, perché bisognerà andare più in profondità».

La soluzione adottata sembra essere poco invasiva, anche perché, in futuro, questa struttura in acciaio potrà

essere smantellata. «L'obiettivo che ci eravamo dati quest'anno era di far partire tre cantieri scolastici -

prosegue l'assessore - e con i lavori alle scuole dell'infanzia di Tomo, Vellai e all'asilo nido Pasquer ci siamo.

Con questo intervento, che partirà a inizio settembre e durerà circa 6 mesi, diamo un'accelerata in più».

L'edificio, oggi sede della scuola elementare di Feltre ma anche del centro di integrazione scolastica dell'Usl

2, è una struttura a 4 piani realizzato nel 1910. «Più di un secolo dopo - conclude Zatta - abbiamo il dovere di

andare a mettere mano a una struttura di tale importanza». Il costo di questo primo stralcio è di 500mila euro.

Successivamente verranno realizzati un secondo stralcio di ulteriori 500mila euro e un terzo di 100mila euro.

Il tutto finanziato con 300mila euro della Fondazione Cariverona, 180mila euro da un contributo regionale e il

resto derivante da fondi di bilancio comunale. (((scartone)))

11/07/2015Pag. 41 Ed. Belluno

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OCCUPAZIONE È la provincia del Veneto con il maggior numero di infortuni mortali nei cantieri Morti bianche, primato polesano Chi credeva che il 2014 fosse stato l'anno nero da cui ci si poteva solamente sollevare, si sbagliava di

grosso. Il primo trimestre del 2015 è andato anche peggio e conferma il triste primato: di lavoro si muore, in

Polesine più che nel resto del Veneto. E Rovigo passa dall'11.mo al quinto posto nella classifica nazionale.

Lo si evince dai dati elaborati dall'Osservatorio sulla sicurezza Vega Engineering, su base Inail, e riportati da

Mauro Baldi, segretario provinciale Fillea Cgil, che evidenzia come le cose da aprile a oggi siano anche

peggiorate, con un ulteriore morte bianca, quella di Roberto Rolfin, 57 anni, di Gavello, deceduto la settimana

scorsa cadendo dal tetto di una casa, colpito probabilmente da un colpo di calore.

«La situazione è preoccupante - commenta -, specialmente nell'edilizia. A Rovigo si sono persi il 50 per

cento dei posti di lavoro. Molte di queste persone nel frattempo hanno esaurito anche gli ammortizzatori

sociali e buona parte ora lavora in nero dove la sicurezza è pari a zero». Ma Baldi punta il dito anche contro

«il metodo di appalto al ribasso. Per risparmiare e aggiudicarsi il bando spesso si va a tagliare sui costi per la

sicurezza. Tanto per fare un esempio: nessuna ditta polesana ha provveduto all'asseverazione, ovvero una

scelta volontaria dell'impresa che attesta l'adozione di un modello di organizzazione e gestione della salute e

sicurezza sul lavoro, a fronte di una diminuzione del premio Inail».

In Polesine gli impiegati in edilizia siano circa 250 con «un'età media molto alta - osservano alla Cgil - I

giovani mancano e chi lavora ha un'età compresa tra i 40 e i 60 anni. Discorso a parte merita, poi, la

questione dell'aumento degli infortuni per gli over 65, costretti a lavorare perchè non possono andare in

pensione. Di certo persone di questa età non possono mettersi a lavorare su tetti o impalcature a 40 gradi. Le

nostre due Ulss, diversamente da quelle padovane, non hanno fatto informazione sul colpo di calore,

rivolgendosi ai lavoratori».

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11/07/2015Pag. 35 Ed. Rovigo

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LAVORI PUBBLICI Cantieri in dirittura ma non si trovano depositi per il trattamento dei terreni Canal Vena, i fanghi ritardano la riapertura Con una decina d'anni di ritardo, finalmente volgono alla conclusione i grandi lavori di bonifica e risanamento

del Canal Vena. Nel contesto, è stato realizzato anche il baby Mose. L'impresa incaricata della posa delle

condotte fognarie che ora imbrigliano tutte le acque nere ha esaurito il lavoro, nel pieno rispetto dei tempi

relativi al lotto. Sino a tre anni or sono, finivano direttamente nel rio. Difficilmente, però, il canale tornerà ad

essere navigabile entro fine luglio, così come sperava l'assessore ai Lavori pubblici Riccardo Rossi, benché

le paratie e le transenne risultino già state rimosse.

«Purtroppo - spiega - i responsabili del cantiere del Consorzio Venezia nuova, in questi giorni, non

saprebbero proprio a chi rivolgersi, per poter smaltire in sicurezza il terriccio utilizzato per l'imbonimento

provvisorio compreso fra Ponte Scarpa e Ponte San Giacomo. C'è di mezzo la chiusura per ferie delle

discariche certificate, autorizzate a ricevere il terriccio». Com'è noto, la colmata s'era resa necessaria per la

movimentazione delle ruspe e consentire agli operai di intervenire ad un livello inferiore rispetto a quello del

mare.

Va da sè che, salvo improbabili contrordini, la tradizionale passeggiata turistica lungo l'intera fondamenta,

anche quest'anno, non potrà essere proposta. L'ultimo lotto della grande opera s'era reso necessario perché,

nel corso dei precedenti, era risultato letteralmente impossibile intercettare ed allacciare al collettore tutti gli

scarichi inquinanti fognari privati e pubblici che sboccavano direttamente nel rio. Si trattava di una miriade di

canalizzazioni vecchie di almeno un secolo, perlopiù non riportate dalle mappe ufficiali. A Chioggia, fino agli

anni '50, le tubazioni venivano, infatti, fatte posare dai privati, col consenso tacito delle amministrazioni

cittadine le quali vedevano di buon occhio la pur caotica, graduale eliminazione, senza costi per la collettività,

delle precedenti fogne a cielo aperto che deturpavano le calli.

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13/07/2015Pag. 37 Ed. Venezia

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Via ai cantieri per la nuova pista CASALPUSTERLENGO DECOLLERÀ da lunedì il cantiere sul Brembiolo, premessa per la costruzione della

ciclabile nella zona delle lanche che collegherà Borasca a Zorlesco. «Un intervento rapidissimo imposto dai

tempi più che stretti dettati dalla Regione Lombardia che finanzia le opere relative alla sicurezza idraulica del

colatore» ha detto l'assessore ai Lavori pubblici Luca Canova. La settimana prossima la ditta appaltatrice

aprirà il cantiere sulle rive del corso d'acqua, entrando dall'area dell'ex Mulino Zucchi e da lì si attesterà sulla

riva sinistra del corso d'acqua provvedendo a rimuovere i sedimenti dal fondale, a tagliare una parte della

vegetazione sulla riva ed infine ad aprire la pista di servizio che arriverà fino alle porte di Zorlesco. La strada

servirà per il movimento macchine e, al termine dei lavori, diventerà il sedime della ciclabile che collegherà

finalmente Casale alla sua frazione. «I tempi di questo intervento sono stati veloci: solo un mese

dall'assegnazione dei fondi all'apertura del cantiere. La pista ciclabile sarà pronta prima di metà autunno: i

tempi più lunghi saranno quelli per la messa in opera del ponte che valicherà il Brembiolo all'altezza del

Mulino Zucchi, permettendo ai ciclisti di passare dalla sponda sinistra a quella destra e raggiungere cosi

Zorlesco. Si tratta di una struttura con una campata di 15 metri che ha bisogno di tempo per essere ordinata

e assemblata. Tutto sarà pronto per la prossima primavera. M.B.

11/07/2015Pag. 5 Ed. Lodi

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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 13/07/2015 39

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CUSANO IL 27 LUGLIO L'INCONTRO FRA GIUNTA E CITTADINI Palazzo Omodei, svolta in arrivo Comune pronto a salvare l'edificio CUSANO MILANINO QUALE FUTURO per Palazzo Omodei? E soprattutto, cosa devono aspettarsi quei

cittadini che vivono in via Omodei e nelle zone adiacenti e che da molti anni sono assediati da cantieri ormai

in stato di abbandono? Sul futuro di uno degli interventi più discussi di Cusano Milanino pare essere arrivato il

momento di fare chiarezza. Il sindaco Lorenzo Gaiani e la sua giunta hanno convocato per lunedì 27 luglio

un'assemblea con l'obiettivo di spiegare ai cittadini i passi che intendono compiere per «salvare» il palazzo e

tutte le aree circostanti dal degrado e dall'abbandono determinati in seguito al fallimento dell'impresa che si

stava occupando della riqualificazione dell'edifico. L'incontro è previsto alle 21 in aula consiliare. DOPO quasi

un anno di tentennamenti, a primavera la giunta Gaiani ha rotto gli indugi e ha deciso di procedere

all'escussione delle fideiussioni per oltre un milione di euro che servirebbero a finanziare il completamento

delle opere. In giugno una delegazione di consiglieri ha visitato i cantieri constatando che i lavori sono

completi all'80%. Rimane da ultimare la parte impiantistica e soprattutto da realizzare la cabina elettrica.

Deve essere anche completata e arredata sia la piazza che vicolo Omodei. Un vero azzardo per la giunta: se

il valore delle fideiussioni non dovesse essere sufficiente a completare le opere, il Comune si troverebbe

costretto a rimettere mano al portafogli. L'intervento su palazzo Omodei ha un valore di originario 5,3 milioni

di euro. È naufragato dopo quasi 7 anni di cantieri proseguiti a rilento fino allo stop dello scorso anno. La sua

ristrutturazione era parte del più ampio progetto di trasformazione dell'ex area industriale Cia, dove oggi

sorge un quartiere residenziale. Critico il Movimento 5 Stelle, che proprio pochi giorni fa aveva chiesto un

consiglio comunale aperto su questo tema: «Il 27 luglio è una data infelice per discutere questo tema», ha

affermato il consigliere grillino Marco Fais. Rosario Palazzolo

11/07/2015Pag. 3 Ed. Milano

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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 13/07/2015 40

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L'edilizia in Valle continua a soffrire Meno posti e soldi La denuncia dei confederali di CAMILLA MARTINA SONDRIO NON TUTTI i lavori sono uguali. Quello delle costruzioni ha delle

caratteristiche che lo rendono particolarmente bisognoso di riforme: «Gli occupati sono sempre più anziani.

Esperti, sì, ma anche usurati e quindi più esposti al pericolo infortuni esordisce Daniele Tavasci, Cisl .

Bisogna fare in modo che possano accedere alla pensione in età non troppo avanzata e senza penalizzazioni

economiche di sorta». Per and are incontro al settore servono iniziative ad hoc, come trasformare in

strutturale i bonus ristrutturazioni. «Sapere che diminuirà dall'anno prossimo certo non aiuta aggiunge

Tavasci . Anche sulla questione della legalità e della sicurezza vogliamo si faccia di più: che si crei una

patente a punti che dia alle imprese sane vantaggi sugli appalti. E chiediamo che venga vietato il sistema dei

voucher per il settore». QUESTI ARGOMENTI saranno portati in piazza Santi apostoli a Roma, nella

manifestazione nazionale del 18 luglio: «L'edile continua è più in difficoltà rispetto agli altri settori». I numeri

provinciali lo dimostrano. A maggio 2015, in provincia, gli occupati erano 2193, in diminuzione rispetto al

2011 quando, nel medesimo periodo, erano 3mila e, ancor più, rispetto al 2007, quando la media annua

segnava 3793. Le imprese, invece, dalle 759 nel 2007 (media annua), sono passate alle 475 dell'aprile 2015.

In calo inesorabile anche la massa salari, passata dai 50 milioni annui del 2011, ai 37 milioni del 2014, per

poi ridursi ulteriormente a 19 milioni nel primo semestre 2015 (che va da ottobre 2014 a marzo-aprile 2015).

L'edilizia, pur continuando a soffrire, rimarrà un settore cruciale, solo con una faccia diversa. Tanti sono i

fenomeni che l'attraversano. OLTRE a una maggior attenzione alla qualità più che ai metri cubi, «c'è il calo

delle figure a bassa manovalanza e professionalità e degli apprendisti. Si ricercano solo persone già formate

spiegano Roberto Caruso Cgil e Luca Callina, Uil . Questo ha comportato una netta riduzione di lavoratori e

imprese straniere. Gli stranieri impiegati in edilizia in provincia sono passati dai 564 (media annua) del 2007,

ai 316 nel 2014. Quanto alla sicurezza, visto che la maggior parte degli infortuni avviene utilizzando mezzi

meccanici, usati da personale non qualificato, crediamo che ci debbano essere più controlli e garanzie sui

diplomi». Affidarsi alla Cassa edile e non ad agenzie che rilasciano fogli privi di valore, senza aver fatto

neanche un'ora di formazione. Condizioni di lavoro, pensioni, sicurezza, sono tutti questi i nodi da sciogliere

che la piazza, anche provinciale, porterà all'attenzione del Governo.

11/07/2015Pag. 7 Ed. Sondrio

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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 13/07/2015 41

Page 42: ANIEM · 2015. 7. 21. · 11/07/2015 La Repubblica - Napoli Galleria Umberto, vertice Comune-imprese l'agenda dei lavori della Soprintendenza 27 13/07/2015 La Repubblica - Milano

Esselunga, ora si parte davvero Obiettivo: finire in tempi record Il piano dell'operatore prevede di aprire a Cusano per Natale 2016 di ROSARIO PALAZZOLO CUSANO MILANINO ESSELUNGA, ora si parte davvero. Questa settimana la

direzione del colosso della grande distribuzione ha ritirato il permesso di inizio lavori all'ufficio tecnico del

Comune di Cusano Milanino. Da questo momento, il cantiere vero e proprio per la costruzione del nuovo e

atteso supermercato di via Unione potrà prendere davvero il via. Obiettivo dichiarato dall'operatore

commerciale è quello di riuscire ad inaugurare la nuova struttura di vendita entro il Natale del 2016,

probabilmente già dall'autunno. Dinanzi ai tecnici ci sono almeno 16 o 18 mesi di lavori per trasformare l'area

ex Pirelli, rimasta abbandonata per 23 anni, in una moderna struttura commerciale. Il supermercato, con

magazzini e parcheggi, occuperà circa 15mila dei 30mila metri quadrati della superficie complessiva. L'altra

metà delle aree sarà bonificata per ospitare un parco pubblico oltre alle nuove infrastrutture viabilistiche

necessarie ad accogliere le auto. Nella zona tra via Unione e via Sormani si attende un incremento del

traffico. Oltre a quello che già quotidianamente attraversa la via Sormani, la nuova viabilità dovrà essere in

grado di accogliere le auto dirette al centro commerciale. DALL'ESTATE scorsa, Esselunga aveva cominciato

a compiere le opere di abbattimento dei vecchi stabilimenti abbandonati e di bonifica dei suoli ex industriali.

Per molti mesi i cittadini hanno atteso l'avvio dei cantieri edili. E qualcuno, visti i ritardi e le incertezze del

passato, ancora oggi fatica a credere che partano davvero. Ad annunciare gli ultimi passi autorizzativi per

questa che rappresenta l'opera più attesa di Cusano Milanino, è stato lo stesso sindaco Lorenzo Gaiani che

ha seguito passo passo le ultime procedure, pur non avendo mai nascosto la sua contrarietà al progetto. Fin

dal giorno successivo alla sua elezione, un anno fa, ha tentato di modificare la convenzione con Esselunga

che il Comune aveva siglato dopo 23 anni di lungaggini burocratiche, ma soprattutto di scelte politiche

sempre tese a non far decollare il progetto. «DOPO LA FIRMA della convenzione avvenuta con il precedente

sindaco, si è potuto fare ben poco ha commentato il sindaco Lorenzo Gaini -. Possiamo dire di aver ottenuto

da Esselunga alcune modifiche che rendono l'opera meno impattante e più vicina alle caratteristiche degli

abitati circostanti». Il Comune di Cusano Milanino ha già incassato 3,5 milioni di euro a titolo di oneri di

urbazzazione e di «premi» per la concessione del progetto. Soldi in parte destinati alla riqualificazione di

giardini pubblici e di altre vie cittadine. [email protected]

13/07/2015Pag. 4 Ed. Milano

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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 13/07/2015 42

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I lavori Piazza Libertà alle commissioni per l'ultimo sì Gerardo De Fabrizio

L'appuntamento è per oggi alle 11. Le commissione consiliari Urbanistica e Lavori pubblici, in seduta

congiunta, hanno in programma la discussione sui lavori di riqualificazione in Piazza Libertà. Dopo il flop di

qualche giorno fa, quando a causa delle numerose assenze dei consiglieri fu impossibile la discussione, ora

si punta ad affrontare la questione e a fare il punto e capire, ad esempio, quale potrà essere il disegno del

tratto che da corso Garibaldi, incrocio con via Partenio, arriva davanti Palazzo Sarchiola. Dopo la palla

passerà di nuovo alla Soprintendenza che dovrà dare il suo parere.

Dalla Soprintendenza è stato già incassato il sì per realizzare il tracciato carrabile in pietra lavica che

collegherà via De Sanctis con via Nappi per la pietra di Bisaccia che dovrà pavimentare il cuore di Piazza

Libertà. Saranno tre le lavorazioni della pietra di Bisaccia che verranno utilizzate. La prima, bocciardata con

effetto naturale e pezzature piccole, rivestirà l'area più riservata della piazza, quella dedicata alla sosta che

dalla fontana esterna arriva fino all'area dove un tempo sorgeva maestoso il cedro del Libano. La seconda,

bocciardata grossa e con pezzature più grandi e regolari, andrà ad evidenziare l'asse storico ottocentesco

che da corso Vittorio Emanuele arriverà fino a via Nappi. Infine, la terza rifinitura sarà quella bocciardata fine

con lastre più piccole e lineari che andrà ad impreziosire la cortina nobile composta dai palazzi storici

Caracciolo, Testa e Carpentieri.

Il Comune ha di fatto trovato l'accordo con il raggruppamento temporaneo d'impresa guidato da «La Palma

73 - Leuconoe» per imprimere la necessaria accelerata all'intervento di riqualificazione della piazza. È stato

firmato l'ordine di servizio che istituirà i doppi turni di lavoro nell'area centrale del cantiere. Gli operai della

cooperativa puteolana saranno chiamata ad un tour de force non indifferente che li vedrà impiegati, in pratica,

dall'alba al tramonto. L'obiettivo dichiarato dalle parti in campo è quello di completare la piazza nei tempi

fissati dal Programma integrato urbano Europa e di sfruttare a pieno i mesi estivi per non avere brutte

sorprese con l'arrivo dell'autunno. I doppi turni, tuttavia, inizieranno non appena arriverà in cantiere il primo

carico consistente di pietra di Bisaccia.

Piazza Castello

Tutto ancora fermo, invece, sul cantiere ch cinge d'assedio l'antico maniero feudale di piazza Castello. Dopo

il decreto di devoluzione da 1,6 milioni di euro disposto dalla Cassa Depositi e Prestiti per la messa in

sicurezza ambientale del piazzale, si attende l'approvazione del bilancio di previsione per far rientrare

ufficialmente le somme maturate dalle economie dei residui attivi dei vecchi mutui accesi per la realizzazione

delle opere pubbliche in città negli ultimi 30 anni. Nell'attesa che l'assise comunale si pronunci sul

previsionale dell'ente di piazza del Popolo, l'amministrazione comunale ha già chiuso l'accordo con la

«Costruzioni Generali Passarelli» per lo smaltimento in discarica dei 500 metri cubi di materiali di risulta

scavati in questi anni. Non appena la Procura di Avellino dissequestrerà l'area di cantiere potranno partire le

operazioni di trasferimento del terreno contaminato in discarica e in 4-5 giorni l'intero piazzale sarà

sgomberato.

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13/07/2015Pag. 22 Ed. Avellino

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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 13/07/2015 43

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Contrordine compagni Renzi si vende la casa Precipitato nei sondaggi, il premier medita di recuperare consensi abolendo la tassa sulla prima abitazioneFinalmente ne farebbe una giusta: la scellerata gabella di Monti ci è costata centinaia di miliardi di euro MAURIZIO BELPIETRO Forse Matteo Renzi ne fa una giusta. Meglio sarebbe dire ne farà, perché finora siamo alle intenzioni, per di

più rigorosamente smentite per non svegliare il can che dorme, che sarebbe poi Bruxelles con i suoi burocrati

tutti casa e conti. Di che si tratta? Dell'abolizione dell'Imu sulla prima abitazione, cancellata da Silvio

Berlusconi nel 2008 e reintrodotta da Mario Monti nel 2011. Nonostante le promesse di abrogazione fatte

all'epoca del governo Letta, la tassa sull'immobile in cui si vive non è stata mai di fatto eliminata. Le si è

cambiato nome, si è spostata l'imposizione per farla apparire non più statale ma comunale, si è annunciata

anche una rivoluzione per unificarla con altre gabelle che pesano su chiunque abbia un tetto, al fine di

rendere il prelievo più agevole. Risultato, i contribuenti continuano a pagare in barba ai programmi elettorali

che avevano annunciato la fine di ogni estorsione sul mattone. E che si tratti di estorsione, (...) segue a

pagina 3 segue dalla prima (...) per di più dannosa per l'intero sistema economico, è dimostrato. Infatti, se da

un lato è vero che il modo più semplice e sicuro per fare cassa è tassare la casa, dall'altro alzare le imposte

sugli immobili è anche il sistema perfetto per deprimere il Pil. Non soltanto l'introduzione dell'Imu ha bloccato

il mercato immobiliare, facendo crollare i prezzi degli alloggi e dunque arrecando un danno patrimoniale alle

famiglie che faticosamente ne erano divenute proprietarie, ma si è anche fermato il mercato dell'edilizia, ossia

un settore che dà (dava) lavoro a centinaia di migliaia di persone. A ciò si aggiunga che, sentendosi più

poveri per l'impossibilità di realizzare dalla vendita della casa di proprietà la quotazione raggiunta dall'alloggio

prima dell'Imu, in molti hanno accentuato la propensione al risparmio, decidendo di non spendere e dunque

di non alimentare i consumi, rallentando ancora di più il ciclo economico. Se si facessero i conti con

precisione si scoprirebbe dunque che la decisione del professor Monti di reintrodurre la tassa sugli immobili,

compresi quelli in cui si abita, è stata a dir poco disastrosa. Per recuperare una trentina di miliardi, l'ex rettore

della Bocconi ne ha buttati al vento centinaia, se non migliaia. Tra imposte di registro andate in fumo per

assenza di compravendite, contributi e Irpef dei lavoratori dell'edilizia, Irap sulle imprese del settore, prelievo

sugli incassi di mediatori e notai - senza contare l'indotto dei produttori di mobili e di arredatori e architetti - si

arriva con rapidità a cifre che sono dieci volte superiori all'incasso immediato raggiunto dall'economista in

loden. Se poi a ciò si somma il deprezzamento del mercato immobiliare, che secondo recenti stime si aggira

sui 1.300 miliardi, si capisce il danno provocato dal gruppetto di signori che, grazie a Napolitano e alla

Merkel, sono saliti in cattedra per darci lezioni. Grazie a loro siamo nel pantano e non sappiamo ancora se e

quando ne usciremo. Un incentivo per guadagnare l'uscita dal vicolo cieco in cui ci hanno infilato i

professoroni potrebbe essere proprio rappresentato dall'abolizione dell'Imu. L'idea è circolata in questi giorni

ed anticipata da alcuni giornali, tra cui Il Tempo e Il Foglio , secondo i quali Renzi starebbe facendo pressioni

su Piercarlo Padoan per trovare i fondi necessari. Il ministro dell'Economia sarebbe recalcitrante, ma il

presidente del consiglio vedrebbe nell'abolizione dell'imposta sulla casa un modo per risalire nei sondaggi

che oggi lo vedono in precipitosa discesa. Riuscirà il premier a superare le resistenze del numero uno di via

XX Settembre soprattutto degli euro burocrati da sempre contrari all'abolizione della tassa? Difficile dirlo, per

ora ci tocca registrare una smentita di Palazzo Chigi che nega di avere allo studio niente di simile. Ma come

ci ha abituato il capo del governo, ciò che si nega oggi può essere varato domani. Volesse il cielo che almeno

sulla casa Renzi imbroccasse la volta giusta. [email protected] @BelpietroTweet

::: TARTASSATI COS'È L'IMU L'imposta municipale unica (Imu) si paga su tutti gli immobili con l'esclusione

dell'abitazione principale. A modificare la natura originaria dell'imposta è stato Monti. LA TASI È l'imposta

sulla casa che copre i "servizi comunali indivisibili" e viene calcolata sulla base imponibile della rendita

catastale di fabbricati (rurali ed urbani), compresa l'abitazione principale, e aree edificabili, ad eccezione dei

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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 13/07/2015 44

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terreni agricoli. IL GETTITO Dal 2011 al 2015, tra Ici, Imu e Tasi il gettito complessivo per il Tesoro è stato di

102,7 miliardi di euro. Una patrimoniale sugli immobili che colpisce 25,8 milioni di contribuenti, con una media

di pagamento pari a 357 euro sulla prima casa e 905 euro sulle altre tipologie di proprietà. Rispetto all'Ici, nel

2011, le entrate derivanti dai tributi sugli immobili sono cresciute del 182%.

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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 13/07/2015 45

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Gli effetti della stangata Per ogni euro pagato per l'Imu spese ridotte di 50 centesimi T.M. ROMA La prova sta nei numeri: le tasse sulla casa hanno affossato l'economia. Provocando il blocco

pressoché totale degli investimenti da parte delle famiglie. Dal 2011 al 2015, tra Ici, Imu e Tasi il gettito

complessivo per il Tesoro è stato di 102,7 miliardi di euro. Una patrimoniale sugli immobili che colpisce 25,8

milioni di contribuenti, con una media di pagamento pari a 357 euro sulla prima casa e 905 euro sulle altre

tipologie di proprietà. Rispetto all'Ici, nel 2011, le entrate derivanti dai tributi sugli immobili sono cresciute del

182%. Gli italiani hanno pagato, insomma. Peccato che per onorare i loro obblighi nei confronti del Fisco

abbiano smesso di fare acquisti. E le più colpite sono state le fasce più deboli, quelle composte dai giovani

appena sposati, alle prese con il mutuo da pagare sulla casa appena acquistata. Uno studio pubblicato da

una coppia di economisti italiani residenti all'estero illustra bene l'incidenza che ha avuto sulla crisi la morsa

fiscale sugli immobili. Paolo Surico e Riccardo Trezzi, rispettivamente in forza alla London Business School e

alla Federal Reserve americana, nel loro lavoro «Consumer spending and property taxes: evidence from the

2011 Italian Imu», hanno calcolato il peso delle tasse killer sui consumi. Il risultato è che per ogni euro

sborsato per l'Imu, le famiglie italiane hanno tagliato di cinque centesimi la spesa per i beni di prima

necessità, e di ben 43 centesimi quella per i cosiddetti beni durevoli (automobili ed elettrodomestici). I due

studiosi, in particolare, si sono concentrati sull'andamento delle immatricolazioni delle auto, incrociando i dati

con gli anni dell'Imu. La conclusione è che per quattro miliardi di euro incassati grazie alle leva fiscale, ci sono

state 428mila immatricolazioni in meno rispetto alla media - comunque in calo - degli anni precedenti. In

questo modo è stato bruciato un introito di circa tre miliardi di euro per il settore automobilistico. Da qui la

sentenza: l'Imu, introdotta dal governo di Mario Monti nel 2011, è stata una «tassa altamente recessiva» per

l'economia. Un giudizio condiviso da Confedilizia per quanto riguarda il mercato immobiliare, diventato ormai

poco remunerativo per effetto della giungla fiscale sulla casa. Ad esempio: per un appartamento a Roma con

rendita catastale di 1.000 euro, dato in affitto con canone libero, si è passati da un pagamento Ici di 735 euro

nel 2011 a un totale di 1.889 euro del 2014 (Imu più Tasi). L'aumento, quindi, è stato del 157%. Il

differenziale sale addirittura al 291%, invece, se il canone di affitto è calmierato. La musica non cambia se

l'immobile è affittato come negozio. Secondo i calcoli di Confedilizia, infatti, a fronte di un canone annuo di

12mila euro, per effetto delle varie imposte si può arrivare a versare al Fisco fino a 7.295 euro. Ovvero il 60%

di quanto percepito grazie all'affitto. La conseguenza, sentenzia l'associazione dei proprietari di immobili, è

che non solo è diventato oggettivamente svantaggioso l'investimento sul mattone, «forma di risparmio

tradizionale degli italiani», ma questo ha comportato anche l'avvio di un «effetto sfiducia» che sarà difficile da

sanare nel medio periodo. P&G/L

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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 13/07/2015 46

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CONFEDILIZIA «Il governo inizi a ridurre i tributi sulle case in affitto» «Le indiscrezioni giornalistiche sulla volontà del presidente del consiglio di ridurre la tassazione sulla casa,

non possono che farci piacere». Lo afferma in una nota il presidente di Confedilizia, Giorgio Spaziani Testa,

secondo il quale «la triplicazione dell'imposizione patrimoniale sugli immobili (dai 9 miliardi dell'Ici ai 25 di Imu

e Tasi) ha prodotto impoverimento, riduzione dei consumi, chiusura di imprese e perdita di posti di lavoro».

«Ma c'è un settore, che ha sofferto più di altri, dal quale bisognerebbe partire: quello degli immobili locati.

L'affitto è stato letteralmente annientato dall'aumento di tassazione: per farlo rinascere, l'unica strada è quella

di liberarlo dalla morsa dell'imposizione locale», dichiara ancora Spaziani Testa. «Lo richiedono ragioni di

equità e di tutela della funzione sociale da sempre svolta dalla proprietà diffusa in questo settore», conclude.

Sulla riforma del fisco è intervenuto anche il numero uno di Confindustria Giorgio Squinzi: «La riforma del

fisco è una delle tante riforme da fare, ma per far ripartire il Paese sono più importanti la semplificazione

normativo-burocratica e una seria spending review della Pubblica amministrazione. Queste sono le vere

riforme necessarie per far ripartire questo Paese». Squinzi ha parlato a margine del suo intervento all'incontro

"Innovation and Substainibility in Food, Water and Environment", che si è tenuto ieri nel sito di Expo.

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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 13/07/2015 47

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La Cassazione sulle ristrutturazioni Variare i volumi, la Scia non basta MARCO OTTAVIANO Necessita del permesso a costruire, e non di sola Dia (oggi Scia) la ricostruzione di un immobile demolito con

modificazioni tipologiche, variazione di destinazione d'uso e con parziale incremento volumetrico. In seguito

all'innovazione legislativa (dl n. 69/2013, convertito nella legge n. 98/2013) costituita dalla modifi cazione

introdotta nel dpr n. 380/2001 (testo unico edilizia) «il requisito del rispetto della identità di sagoma non è più

elemento indefettibile onde operare la diagnosi differenziale fra gli interventi di ristrutturazione edilizia

necessitanti di preventivo permesso a costruire e gli altri interventi minori di risanamento conservativo

assentibili anche tramite la presentazione, allora, della Dia, ora, della Scia». Tutto questo lo sostiene la Corte

di cassazione penale, Sez. III, con la sentenza depositata il 25 giugno 2015 n. 26713. Sottolineano i giudici di

piazza Cavour proprio con riferimento alla sopravvenuta innovazione legislativa (decreto fare) integra il reato

di cui all'articolo 44 del dpr n. 380 del 2001 la ricostruzione di un edifi cio demolito senza il preventivo rilascio

del permesso di costruire. Sia perché trattasi di intervento di nuova costruzione e o di ristrutturazione, di un

edifi cio preesistente, dovendo intendersi per quest'ultimo un organismo edilizio dotato di mura perimetrali,

strutture orizzontali e copertura, sia perché non è applicabile l'articolo 30 del decreto del fare che, per

assoggettare gli interventi di ripristino o di ricostruzione di edifi ci o parti di essi, eventualmente crollati o

demoliti, al regime semplifi cato della Scia, o in passato della Dia, richiede l'accertamento della preesistente

consistenza dell'immobile in base a riscontri documentali, alla verifi ca dimensionale del sito o ad altri

elementi certi e verifi cabili. Ricordiamo dal 21 agosto 2013, sono compresi tra gli interventi di ristrutturazione

edilizia anche quelli che consistono nella demolizione e ricostruzione di un immobile con la stessa volumetria

di quello precedente, senza che sia necessario rispettarne la sagoma.

Foto: La sentenza sul sito www.italiaoggi.it/documenti

11/07/2015Pag. 22

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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 13/07/2015 48

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Delrio: così riparte il Cantiere Italia II ministro delle Infrastrutture: subito pronti 20 miliardi P. 14 Sul lungo tavolo rettangolare di Graziano Delrio

sono ben in vista tutti i dossier del Cantiere Italia. Un mezzo metro buono di cartelline con i titoli dell'Italia che

sta ferma da quarant'anni nonostante i clamorosi finanziamenti piovuti ma incastrati da burocrazie e

incapacità e tangentopoli locali e grandi truffe, con i titoli del Paese che non può più star fermo perché o

ripartono le infrastrutture e i sistemi logistici e di connessione oppure si rischiano collassi, e con la terza serie

di titoli della penisola che sta finalmente ripartendo con decine di accordi locali con sblocco di

risorseeanchecommissariamentiperspenderle. Si passa dagli oltre 600cantieri lumaca o fermi, gran bel regalo

della politica che prometteva e rinviava sempre, alle riforme dei vari settori della mobilità che Delrio vuole

"integrata" con la logistica e anche queste erano in sala d'attesa da decenni. E anche qui si tratta di risorse

per piste ciclabili, metropolitane, bus, ferrovie, porti, aeroporti, interponi e nodi urbani. Non più uno

spezzatino, insomma, ma la mobilità più moderna ed efficiente sulla quale siamo in ritardo di un paio di

decenni buoni con il resto d'Europa. E ci sono poi i dossier sull'edilizia e sulle infrastrutture fondamentali

come acquedotti e depuratori e fognature, sulle opere pubbliche che da grandi e medie sono oggi diventate

semplicemente 'opere utili'. Una rivoluzione. Supportata da un lavoro full time che sta producendo effetti e

che vale circa 20 miliardi di investimenti complessivi con ottima occupazione, e che il ministro dei cantieri

racconta cosi. Dopo tre mesi a Porta Pia, da ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, a che punto è la

riorganizzazione profonda del "ministero dei cantieri", da sempre chiacchieratissimo e finito sotto inchiesta

con l'arresto di Ercole Incalza? «E'finita quella stagione. La Struttura di Missione della Legge Obiettivo è stata

azzerata, i ruoli apicali li stiamo ridisegnando, la trasparenza oggi è un dogma. Abbiamo trovato tanti

problemi, ma alcuni sono già stati trasformati in progetti e in lavori per creare opportunità di crescita, qualità

dei territori, qualità dei servizi fondamentali ai cittadini, e tantaoccupazione.il mio primo vero lavoro è stato

fare chiarezza nella programmazione. Oggi, per la prima volta forse, abbiamo una pianificazione ordinaria e

non più deroghe inemegenzao per fìnte emergenze, fatte con leggi speciali o straordinarie. Le opere, tutte,

sono leggibili e questa è la rivoluzione della normalità. Non abbiamo più né grandi né piccole né medie opere

ma tantissime opere utili, e quindi non più procedure oscure». Erano solo oscure le grandi opere o anche

inefficace la loro realizzazione? «Totalmente inefficace se solo l'8% delle oltre 400 opere programmate dalla

legge obiettivo è stato realizzato. Una enormità, e poi ci chiediamo perché abbiamo tutto questo ritardo da

recuperare. Noi, con un approccio pragmatico e normale abbiamo portato il numero delle opere da diverse

centinaia a sole 25. Abbiamo scelto solo le infrastrutture strategiche cornei grandi valichi, i nodi metropolitani,

la rigenerazione urbana e poche strade». Vuol dire che si è chiusa anche la stagione delle nuove autostrade?

«La rete stradale e autostradale è già sufficiente, e oggi servono piuttosto cure e manutenzioni per evitare

collassi come in Sicilia, e non nuove arterie stradali. La priorità va a questo». Si tratta di un cambio radicale di

marcia e di filosofìa delle opere pubbliche che si collega anche alla riforma degli appalti. Possiamo dire che è

un altro tassello di un solo puzzle, che è una vera svolta, una nuova strategia? «E' così. Il Pd ha svolto un

lavoro eccezionale al Senatocon altri gruppi, e non solo di maggioranza- E' stato approvato i 1 nuovo Codice

degli appalti che ha una importanza fondamentale. Supera tutte le storture che hanno paralizzato e

influenzatola realizzazione di opere in Italia, penso all'eccesso di burocrazia e di legislazione che andava

anche oltre le norme europe. Oggi abbiamo il divieto di regolamentare oltre le norme Ue. Penso alla lotta alla

corruzione, con la forte collaborazione del mio ministero con l'Anac di Raffaele Cantone per la repressione e

per la costruzione di meccanismi seri di prevenzione della corruzione. Lo facciamo grazie anche ai nuovi

bandi tipo, ai nuovi albi delle ditte o dei collaudatori. E' stato finalmente regolato il rapporto con privati, il

projet financing 10 abbiamo rivisitato e potenziato, sono state cancellate le gare al massimo ribasso che

hanno alimentato anche molte truffe e affidamenti strani. I rapporti con i concessionari sono trasparenti, e la

12/07/2015Pag. 1 L'Unità

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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 13/07/2015 49

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messa a gara di una concessione non devono vederla come una condanna ma come una opportunità di

modernizzazione e di tutela del bene pubblico». C'è chi critica l'eccessiva enfasi sull'anticorruzione: troppi

controlli, dicono, possono ancora rallentare i cantieri... «Criticassero pure. In questo lavoro collettivo, sotto gli

indirizzi del premier, abbiamo voluto fortemente un notevole cambio di passo e anche di percezione della

legalità nelle opere pubbliche. La Legge Obiettivo archiviata e la linea diretta con l'Anac non rallentano un bel

nulla, anzi accelerano tutto. Penso al Mose e all'Expo che sono ripartiti ben issi mo dopo aver srad icato la

corruzione e il malaffare. E' la criminalità che rallenta 11 lavoro e toglie lavoro agli italiani. Questa è una

scelta voluta fortemente dal Governo, ho lavora per questo anche da Sottosegretario a Palazzo Chigi, perché

dobbiamo curare le malattie gravi del nostro Paese». L'edilizia resta ancora nel tunnel della crisi più lunga del

dopoguerra, nove anni piatti e di arretramento con segni negativi. Quali sono le cure per questo settore che

può trainare la ripresa? «E' stata durissima per l'edilizia. Abbiamo diversi grandi malati da curate e l'edilizia è

uno di questi. Ma i primi segnali di risveglio, con u n seppu r t i m ido au mento del le ore lavo rate, ci sono.

L'Ance, l'associazione nazionale dei costruttori, prevede che la ripresa arriverà soprattutto nel corso del 2016

e noi spi ngiamo da mesi, facciamo la nostra parte con una politica di maggiore attenzione rispetto al passato

agli investimenti pubblici e all'incentivazione degli investimenti privati». Gli investimenti nuovi o da sbloccare

sono un totale di 19,4 miliardi. Dice l'Ance che 14,9 miliardi possono diventare cantieri accelerando

provvedimenti prigrammati e già approvati o in corso, mentre 4,5 miliardi sono in pancia del Ministero. E'

cosi? «E' così. L'edilizia intanto ha diversi sostegni, dagli ecobonus per le ristrutturazioni anche antisismiche

e per la riqualificazione energetica. Ma ha bisogno di un sitema di committenza - Stato, Regioni e Comuni -

che funzioni. Abbiamo dei ritardi cronici ma intanto noi abbiamo aumentato del 44% i bandi pubblici dopo anni

di segni negativi. Quei 20 miliardi di infrastrutture e di opere programmate ridaranno fiato all'edilizia, come

pure lo ridarà l'allargamento del sistema degli incentivi ai quali stiamo pensando per la prossima legge di

stabilità. Ad esempio, ecobonus per la riqualificazione degli edifici residenziali pubblici, perchè trovo assurdo

che il patrimonio pubblico e popolare non possa accedere agi i ecobonus. In legge di stabilità allargheremo

anche il perimetro degli incentivi fiscali in altri settori come la bonifica dall'amianto. La messa in totale

sicurezza degli edifici da ogni rischio continueremo a stimolarla fiscalmente perché questo ha funzionanto ed

ha tenuto i n vita e terrà in vita tante ditte locali. Serve moltissimo alla nostra ripresa. E' decisivo il lavoro che

stiamo facendo di riportare normalità e semplificazione in settori dove la dittatura del caos non faceva tornare

un numero. Dare certezza sui tempi, programmareseriamente come abbiamo fatto per il contrasto al dissesto

e l'edilizia scolastica promuovendo, per la prima volta dopo quarant'anni, investimenti complessivi per molti

miliardi, occuparsi della rigenerazione e della riqualifazione urbana sono le medicine giuste per rianimare

anche la nostra preziosissima rete di piccola e media imrpesa. Abbiamo impedito al malato di andare in coma

irreversibile. Ora stiamo lavorando per farlo crescere bene». Altro grande malato è il trasporto pubblico

locale, più o meno 400 aziende comunali, la metà delle quali fallite, possono anche portare libri in tribunale...

«Il trasporto pubblico locale lo riformiamo, e ci siamo. Ma il tema più generale è che in un grande pontile sul

mare come è l'Italia, trovo ridicolo che le merci non viaggino via mare. E' incredibile. Ecco anche su cosa

investiremo forte: sui collegamenti via mare per una Italia che ha il sistema produttivo manufatturiero secondo

in Europa. La Fiat porta le sue auto a Civitavecchia e da quel molo le imbarca verso gli Usa. Dobbiamo

imparare a collegare le autostrade ai porti e i porti alle aree logistiche e poi alla ferrovia, e la ferrovia al tram.

Non possiamo più vedere la concorrenza tra due porti nello spazio di cinque chilometri uno dall'altro.

Collegamenti e integrazione e basta con questa competizione. Negli ultimi 8 anni è esplosa la domanda di

trasporto merci e passeggeri via mare e bisogna smettere di vedere guerre da municipalismo portuale. Oggi

ci sono 23 soggetti publici responsabili dei controlli portuali e 113 dei procedimenti amministrativi. L'obiettivo

è portare ad un solo sportello amministrativo e ad una sola autorità doganale che abbia sotto di sé tutto il

tema dei controlli, delle autorizzazioni al dragaggio o altro e allo sdoganamento. L'inefficienza logistica ci fa

perdere 50-60 miliardi di euro l'anno, molto più di una finanziaria. Specie al sud il sistema mare è la vera

risposta alla crisi». Cura del ferro, cura dell'acqua come autostrade del mare, cura della nuova mobilità, cura

12/07/2015Pag. 1 L'Unità

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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 13/07/2015 50

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del territorio... «Lo so, è una rivoluzione soprattutto culturale, e lo vedremo nella riforma del trasporto pubblico

locale. Al centro ci mettiamo il cittadino, finalmente. Gli oltre 40 milioni di persone che ogni anno si muovono

sulla Circumvesuviana sono il nostro problema numero uno. Ci occupiamo, purtroppo solo da oggi e con

questo Governo, di integrarare i sistemi, di metropolitane , di nodi ferroviari, di efficienza dei servizi con

l'accelerazione delle gare per ferro e gomma. Dei 12 miliardi previsti per il potenziamento delle metrò, ne

sono già a dispozione 10. Pianificare trasporto urbano e ferroviario regionale è la chiave. Investiremo molto

sul rinnovo del parco mezzi, e arriveranno 700 nuovi treni regionali, già 300 sono sulle rotaie. Per me, i diritti

dei pendolari sono uguali a quelli dei viaggiatori dell'alta velocità. Non è più accettabile un caso Atac con la

vergogna mondiale della biglietteria parallela».

Foto: Graziano Delrio incontra i lavoratori a margine della presentazione dei lavori di restyling al terminal 1

dell'areoporto diMalpensa FOTO: ANSA Dal fallimento della Legge Obiettivo alla pianificazione di opere utili

al Paese

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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 13/07/2015 51

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«Perché dopo le 18 sempre cantieri vuoti?» «RECENTEMENTE è stato emesso un ordine di servizio dalla direzione lavori che 'ordina' di aumentare le

produzioni tramite l'incremento della forza lavoro potenziando le squadre nei cantieri, operando il doppio

turno di lavorazioni sei giorni su sette. Eppure anche questa settimana nella maggior parte dei cantieri dopo

le 18 non ho visto operai». Con queste parole l'assessore alla mobilità di Palazzo Vecchio, Stefano Giorgetti,

torna a denunciare i ritardi nei cantieri della tramvia. Lo fa replicando alla lettera del segretario della Fillea

Cgil fiorentina, Marco Benati, che ha più volte ha sollecitato assunzioni per velocizzare i lavori. «Egregio

signor Benati, sabato a 40 gradi sotto il sole c'era il sottoscritto nei cantieri senza lavoratori prosegue

Giorgetti Comunque la questione non riguarda gli operai, che giustamente devono avere i propri turni con

relativi riposi e recuperi. Il punto è che le ditte che realizzano questa opera si devono organizzare meglio.

Devono essere strutturate per rispettare i tempi e soprattutto i cittadini che subiscono i disagi causati dai

cantieri. Lei sa benissimo che si possono pianificare turni e lavorazioni tutelando la manodopera e la dignità

dei lavoratori. Non è compito mio continua Giorgetti organizzare il lavoro e il sindacato non mi ha fatto

proposte in merito. È stato istituito un tavolo tecnico per sottoscrivere un protocollo con quanto da Lei

richiamato. E mi risulta che il testo sia stato approvato da tutte le componenti e che sia in fase di

sottoscrizione. Non entro nel merito delle premialità, un tema che non mi compete, ma insisto sulla necessità

di rispettare i tempi dei lavori e di dare certezze ai cittadini. Avere più forze lavoro sui cantieri vuole dire

assunzioni e opportunità di lavoro, e questo dovrebbe interessare al sindacato. Come mai nella sua lettera

non entra nel merito del rispetto di tempi di esecuzione delle opere? osserva Giorgetti Non tiene in

considerazione il disagio dei cittadini e dei commercianti? Sembra che tutto si risolva con l'adozione di un

cartellino di cantiere o con un ispettore di cantiere, anche se operazioni necessarie. Occorre, ripeto, una

diversa organizzazione da parte delle imprese con una maggior produzione, più occupazione e il rispetto dei

tempi. Sono convinto che anche il suo sindacato possa essere parte attiva e possa collaborare con

l'Amministrazione a realizzare questa grande opera attesa dalla città». Benati (Cgil) risponde: «Ci fosse stato

davvero un confronto anticipato anche col sindacato su organici, turni, eventuali necessità di assunzioni,

magari di disoccupati, forse non saremmo in questa situazione. Comunque diciamo questo con spirito

costruttivo e come Cgil accolgo ben volentieri l'invito di Giorgetti ad essere parte attiva».

11/07/2015Pag. 4 Ed. Firenze

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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 13/07/2015 52

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Nuovo blitz, Giorgetti è una furia«In via di Novoli c'è il deserto» L'assessore fotografa e accusa. E domani arriva Nencini di CLAUDIO CAPANNI CASCHETTO, casacca arancione e sindaco Nardella sottobraccio. Il blitz fiorentino

del viceministro alle Infrastrutture Riccardo Nencini è fissato per domani all'ora di pranzo. Il bersaglio sono i

cantieri-telenovela della tramvia, finiti anche ieri anche nel mirino dell'assessore alla Mobilità Stefano

Giorgetti, reduce da un'altra ispezione improvvisa in viale Morgagni e Novoli. Il flop è stato qui. «Il cantiere di

via di Novoli si è imbufalito ieri su Facebook l'assessore è ancora una volta deserto. In molti cantieri c'è stato

un cambio di passo e di questo sono lieto, ma su via di Novoli ancora non ci siamo. Così non va bene». Due

sabati fa stesso copione Giorgetti che posta le foto dei cantieri deserti su Facebook che ha causato la

risposta al vetriolo del segretario Filea Cgil Marco Benati. «SE COMUNE e imprese esecutrici ha attaccato

Benati avessero accettato le nostre proposte, si sarebbe potuto organizzare il lavoro in doppi turni

giornalieri». Pomo della discordia l'accordo a tre fra Tram Spa (concessionaria per la costruzione delle linee 2

e 3), Palazzo Vecchio e sindacati per migliorare le condizioni di sicurezza nei cantieri e riorganizzare la

distribuzione del lavoro. La bozza del documento, presentata in autunno dai sindacati, è rimasta finora nei

cassetti di Tram ed entro fine mese dovrebbe essere sottoscritta. A pestare sul freno, finora, l'iter di

discussione dell'accordo nel Cda del consorzio. I contenuti: istituzione dell'ispettore di cantiere e adozione del

cartellino marcatempo per controllare gli orari reali degli operai. Ma soprattutto possibilità (non vincolante) di

aprire trattative fra capofila e sindacati per la realizzazione di doppi turni reali con due squadre che si

alternino sulla stessa porzione di cantiere da mattina a sera «mentre adesso spiegano dalla Filea Cgil lo

stesso operaio si trova a fare anche turni di 10 ore con ricorso agli straordinari». E la matassa si è

aggrovigliata. Troppo per il viceministro che sulla partita tramvia ha messo la faccia, seguendo in prima linea

l'istruttoria di sblocco dei 121 milioni di euro per l'avvio dei lavori. A chiamarlo a Firenze anche la sfilza di mail

spedite a Roma negli ultimi 60 giorni da cittadini e commercianti terrorizzati dai lavori al rallentatore. E alla

fine la pazienza che se ne va: «Verificheremo ha dichiarato Nencini le responsabilità dei ritardi». Il giorno

della verifica è domani. In testa all'agenda del vicemininstro c'è anche il nodo Foster, la stazione Av legata a

doppio filo con la realizzazione della linea 2 Peretola-Smn che dovrà entrare nell'area ferroviaria Belfiore. Il

passaggio della strada ferrata qui è vincolato ad opere del cantiere Tav come il manufatto di sbocco del

bypass sul Mugnone che oggi non c'è e che avrebbe dovuto essere realizzato da Nodavia. L'altra criticità

riguarda Palazzo Mazzoni dove infilerà il tram proveniente da via Gordigiani che doveva essere stato già

consegnato da Rfi: è ancora occupato e sarà disponibile dopo l'estate. Ma senza «manufatto» addio tramvia

in zona Foster. L'OBIETTIVO di Nencini è lubrificare la firma dell'accordo fra Tram Spa e Rfi con il quale il

consorzio si incarica dei lavori necessari a far spazio alla tramvia e di riprogettare le opere (farlo, per il

manufatto di sbocco, costerà 42mila euro in più), scongiurando l'alt. Nonostante la bozza di accordo sia

pronta da 60 giorni la firma di Rfi ancora non c'è. Compito di Nencini: tagliare i tempi e far entrare gli operai

della Tram nell'area Belfiore a partire da settembre.

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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 13/07/2015 53

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L'Etiopia rilancia il progetto dighe dopo la "pace dell'acqua" con i vicini CONOSCONO UN'ACCELERAZIONE I DUE MAXI-PROGETTI, REALIZZATI DALL'ITALIANA SALINI, CHEERANO MINACCIATI DI BLOCCO DALLA SCOPPIO DELLA TENSIONE DIPLOMATICA CON SUDAN EDEGITTO SULL'UTILIZZO DELLA PREZIOSA RISORSA Laura Serloni Una delle dighe delia Salini in Etiopia Una potenza installata complessiva di 6000 MW, 155 metri d'altezza,

una larghezza di 1800 metri, un bacino di 10 milioni di metri cubi: basterebbero i numeri a raccontare

l'immane impresa ingegneristica in Etiopia, sul Nilo Azzurro, della Salini Impregilo. La Grand Ethiopian

Renaissance Dam è l'opera del rinascimento etiopico, un paese che cavalca l'onda dello sviluppo con un

tasso di crescita annuale del Pil intorno al 10%. Una costruzione faraonica per il più grande dispensatore di

energia rinnovabile del continente. Oggi il premier Renzi, in visita in Etiopia, visiterà il cantiere della stessa

Salini, che è presente nel Paese da più di sessantanni, il Gibe 3, già finito all'80%. Nel frattempo proseguono

i lavori anche per il progetto "Gerd" di cui si parlava, che realizzerà la diga più grande d'Africa, la decima al

mondo. Il progetto è a metà dell'avanzamento. Il percorso per arrivare all'accordo - tra Etiopia, Sudan ed

Egitto - che ha dato il definitivo via libera alla super diga da 3,37 miliardi di euro è stata una vera e propria

operazione di raffinata diplomazia. Il progetto, inviso a Sudan ed Egitto, ha rischiato di scatenare una guerra

proprio per i timori del Cairo di una riduzione del proprio approvvigionamento idrico garantito dal fiume. Ora,

però, marcia dritto verso il taglio del nastro di un'opera che avrà una potenza di 6mila megawatt e riuscirà a

produrre 15mila gigawatt/ora all'anno. La quantità di energia generata dalle 16 turbine è pari a quella di 6

centrali nucleari di media potenza e sarà il triplo di quella attualmente consumata in Etiopia, servirà a rifornire

tutto il continente, dal Sud Africa al Marocco, ma sarà anche un canale per l'irrigazione e l'acqua potabile

dell'Egitto. È la più grande, ma non l'unica diga che la Salini sta costruendo in Etiopia: l'altra, a circa 300

chilometri a sud ovest di Addis Abeba, è del valore di 1,47 miliardi di euro, nulla rispetto alla grande

Renaissance ma questo porta a quasi 5 miliardi il totale delle commesse per il gruppo italiano nei due

progetti. Grandi opere, manovre miliardiarie: l'Etiopia vuole ridurre la dipendenza dal settore agricolo, oggi è

uno dei più grandi produttori di caffè, per il grande salto nel campo dell'energia. E sul Nilo quest'ambizione si

sta trasformando in realtà.

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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 13/07/2015 54

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La storia/Immobiliare Da cava dimessa a gioiellino turistico Portopiccolo Sistiana, nuovo borgo di lusso nell'Alto Adriatico michele avitabile Ci sono operazioni imprenditoriali complesse che richiedono non solo elevate risorse finanziarie, ma anche

un progetto particolarmente articolato. Rientra in queste caratteristiche l'investimento da 350 milioni di euro

promosso dalla società Rilke, del gruppo de Eccher, per costruire e commercializzare Portopiccolo Sistiana,

borgo turistico di lusso sorto in provincia di Trieste, nel cuore dell'Alto Adriatico.

Trasformare una cava dismessa in un complesso di respiro mitteleuropeo non era un obiettivo facile da

raggiungere. Perché bisognava riqualificare una superficie di 35 ettari in riva al mare, garantendo il minor

impatto ambientale sul territorio.

Il risultato di questo impegno? La costruzione di 465 unità residenziali dotate d'impianti geotermici (dal

monolocale alla villa di 400 metri quadrati con piscina), la nascita del Falisia Resort, con annessa Spa, della

catena Starwood, (verrà inaugurato il 18 luglio), beach club, porto con 121 posti barca, 30 botteghe e 1.220

parcheggi interrati.

«Il nostro intento era sanare una ferita che deturpava la natura del territorio - racconta l'ingegnere Matteo Di

Biagi, direttore generale di Portopiccolo Sistiana -. Così abbiamo fatto sorgere un gioiello turistico d'alto

target. Inoltre, per operare nella maniera meno invasiva possibile sull'ambiente, è stato prodotto sul posto, a

chilometro zero, tutto il cemento utilizzato per le costruzioni».

Lavori complessi, partiti nel marzo 2011, che hanno visto in media l'impiego di 650 operai, con picchi fino a

800 unità. Ma chi sono i clienti interessati a vivere o trascorrere le vacanze nel borgo friulano? «Ci scelgono

soprattutto imprenditori e professionisti di prestigio - spiega Di Biagi -. Persone che preferiscono una meta

esclusiva che garantisca totale relax e sicurezza. In molti sono italiani ma è forte la presenza degli stranieri.

In particolare austriaci, svizzeri, tedeschi, russi e nordeuropei».

Clienti che non apprezzano solo lo scenario particolare ma desiderano ricevere servizi d'elevata qualità. «La

cucina è uno dei fiori all'occhiello del resort - dice Marco Milocco, general manager hospitality di Portopiccolo

Sistiana -. Usiamo materie prime italiane d'eccellenza. Una scelta fondamentale per offrire agli ospiti alimenti

sempre freschi e naturali».

Intanto, per completare i progetti legati al borgo triestino, si lavora anche alla costruzione di altre strutture.

«Entro l'estate dell'anno prossimo - conclude Di Biagi - sarà pronto un centro benessere di 3.000 metri

quadrati e un'area congressi dove svolgere conferenze e cerimonie».

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350 milioni L'investimento effettuato da Rilke, controllato dal gruppo de Eccher, per costruire e

commercializzare Portopiccolo Sistiana, borgo turistico di lusso in provincia di Trieste

Foto: Relax Matteo Di Biagi, direttore generale di Portopiccolo Sistiana

13/07/2015Pag. 18 N.26 - 13 luglio 2015

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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 13/07/2015 55

Page 56: ANIEM · 2015. 7. 21. · 11/07/2015 La Repubblica - Napoli Galleria Umberto, vertice Comune-imprese l'agenda dei lavori della Soprintendenza 27 13/07/2015 La Repubblica - Milano

Le modalità per usufruire del credito d'imposta per la ristrutturazione degli alberghi Bonus hotel ad ampio raggio L'acquisto mobili è agevolato BRUNO PAGAMICI Via libera al credito d'imposta per la ristrutturazione degli alberghi. Gli operatori che effettueranno interventi

edili e di manutenzione straordinaria, restauro e risanamento conservativo e incremento dell'effi cienza

energetica potranno ottenere un bonus fi scale del 30% a valere sulle spese sostenute. Sarà agevolabile

anche l'acquisto di mobili e componenti d'arredo, purché destinati alle strutture alberghiere. Il credito

d'imposta (concedibile fi no a un massimo di 200 mila euro) spetta alle imprese alberghiere esistenti dalla

data del 1° gennaio 2012, a fronte delle spese sostenute dal 1° gennaio 2014 al 31 dicembre 2016, per

interventi di riqualifi cazione e l'accessibilità delle strutture ricettive. Risorse disponibili pari a 20 milioni di euro

per il 2015 e 50 milioni di euro per ciascuno degli anni dal 2016 al 2019. L'intervento è disciplinato dal decreto

7 maggio 2015 del ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo (in G.U. n. 138 del 17 giugno 2015),

con cui sono state defi nite le regole per la fruizione del credito d'imposta previsto dall'art. 10 del dl 83/2014

(decreto Cultura e turismo). Le strutture agevolabili. Il credito d'imposta spetta alle strutture alberghiere,

esistenti alla data del 1° gennaio 2012, vale a dire: strutture aperte al pubblico, a gestione unitaria, con servizi

centralizzati che forniscono alloggio, eventualmente vitto e altri servizi accessori, in camere situate in uno o

più edifi ci, composte da non meno di 7 camere per il pernottamento degli ospiti. In pratica, si tratta di

alberghi, villaggi albergo, residenze turistico-alberghiere, alberghi diffusi, nonché le strutture alberghiere

individuate come tali dalle specifi che normative regionali. Gli interventi ritenuti ammissibili. Il credito

d'imposta potrà essere concesso per interventi di: 1) ristrutturazione edilizia, quali: - interventi di

manutenzione straordinaria ex art. 3, comma 1, lettera b), dpr n. 380/01, e successive modifi cazioni; -

interventi di restauro e di risanamento conservativo ex art. 3, comma 1, lettera c), dpr n. 380/01; - interventi di

ristrutturazione edilizia ex art. 3, comma 1, lettera d), dpr n. 380/01; 2) eliminazione delle barriere

architettoniche; 3) incremento dell'effi cienza energetica (interventi di riqualificazione energetica, interventi

sull'involucro edilizio, interventi di sostituzione, integrale o parziale, di impianti di climatizzazione); 4) acquisto

di mobili e componenti d'arredo destinati esclusivamente alle strutture alberghiere. Risorse disponibili e limiti

di spesa. Le risorse disponibili ammontano a 20 milioni di euro per il 2015 e 50 milioni di euro per ciascuno

degli anni dal 2016 al 2019. Del totale del plafond disponibile per ciascun anno, una quota pari al 10% è

destinata per il credito di imposta concesso per l'acquisto di mobili e componenti di arredo (quindi 2 milioni di

euro per il 2015 e 5 milioni di euro per gli anni 2016-2019). Acquisto di beni mobili e componenti d'arredo. Il

decreto del ministero prevede che il bonus del 30% possa essere concesso anche per l'acquisto di mobili,

purché le spese siano relative a: - rifacimento o sostituzione di cucine e attrezzature professionali per la

ristorazione, con altri aventi caratteristiche migliorative rispetto a quelle esistenti in termini di sicurezza, effi

cienza energetica, prestazioni; - acquisto di mobili e complementi d'arredo da interno e da esterno, quali, tra

gli altri, tavoli, scrivanie, sedute imbottite e non, mobili contenitori, letti e materassi, gazebo, pergole,

ombrelloni, tende da sole, zanzariere; - mobili fissi, quali tra gli altri, arredi fi ssi per il bagno, pareti e cabine

doccia, cucine, boiserie, pareti interne mobili, apparecchi di illuminazione; - pavimentazioni di sicurezza,

arredi e strumentazioni per la convegnistica, attrezzature per parchi giochi e attrezzature pertinenziali; - arredi

e strumentazioni per la realizzazione di centri benessere ubicati all'interno delle strutture ricettive. Il bonus fi

scale. Il credito di imposta, concedibile in «de minimis» ai sensi del Regolamento Ue n. 1407/2013, è pari al

30% dei costi delle spese sostenute nel 2014, 2015 e 2016, fi no un massimo di 200 mila euro (il totale delle

spese agevolabili, pertanto, non può essere superiore a 666.667). L'agevolazione è alternativa e non

cumulabile con altre, eventualmente ricevute in relazione alle stesse voci di spesa. Le modalità di utilizzo. Il

credito di imposta riconosciuto deve essere ripartito in 3 quote annuali di pari importo ed è utilizzabile

esclusivamente in compensazione mediante F24. Il bonus deve essere indicato nella dichiarazione dei redditi

relativa al periodo d'imposta per il quale è concesso e non concorre alla formazione del reddito ai fini delle

13/07/2015Pag. 14 N.164 - 13 luglio 2015

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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 13/07/2015 56

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imposte sui redditi e del valore della produzione ai fini dell'Irap, non rileva ai fi ni della determinazione della

percentuale di deducibilità degli interessi passivi né rispetto ai criteri di inerenza per la deducibilità delle

spese. Le domande. Per accedere all'agevolazione, le strutture alberghiere interessate devono presentare al

ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo apposita domanda telematica, secondo modalità che

dovranno essere definite dello stesso ministero. Per le spese sostenute nel 2014, l'istanza deve essere

inviata entro 60 giorni dalla definizione delle suddette modalità telematiche. Per le spese sostenute nel 2015,

l'istanza dovrà essere trasmessa dal 1° gennaio al 28° febbraio 2016, mentre per quelle sostenute nel 2016,

l'istanza dovrà essere inoltrata dal 1° gennaio al 28° febbraio 2017. La domanda deve essere corredata

dell'attestato di effettività delle spese sostenute, fi rmato, alternativamente, da: presidente del collegio

sindacale; revisore legale; professionista iscritto nell'albo dei dottori commercialisti e degli esperti contabili, o

nell'albo dei periti commerciali o in quello dei consulenti del lavoro; responsabile Caf.

Le voci di spesa ammissibili per singolo interventoVoci di spesa ammissibili

Interventi agevolabili

Ristrutturazione edilizia

Eliminazione delle barriere architettoniche

Incremento dell'effi cienza energetica Sono ammessi, tra gli altri, i costi sostenuti per: costruzione dei servizi

igienici in ampliamento dei volumi di quelli esistenti; • demolizione e ricostruzione o ripristino di edifi ci (o parti

di essi); • miglioramento e adeguamento sismico; • realizzazione di balconi e logge; • recupero dei locali

sottotetto, trasformazione di balconi in veranda; • sostituzione di serramenti esterni e interni con altri aventi

caratteristiche miglio• rative rispetto a quelle esistenti (in termini di sicurezza, isolamento acustico); nuova

pavimentazione o sostituzione della preesistente con modifi ca della super• fi cie e dei materiali; impianti di

comunicazione, allarme e prevenzione incendi • Sono ammesse le spese relative a: sostituzione di fi niture

(pavimenti, porte, infi ssi esterni, terminali degli impianti), • il rifacimento o l'adeguamento di impianti

tecnologici (servizi igienici, impianti elettrici, citofonici, impianti di ascensori, demotica); rifacimento di scale e

ascensori, inserimento di rampe interne ed esterne agli • edifi ci e di servoscala o piattaforme elevatrici;

realizzazione ex novo (inclusa la rubinetteria) o sostituzione di impianti sanitari • dedicati alle persone

portatrici di handicap; installazione di sistemi demotici atti a controllare in remoto l'apertura e chiusura • di infi

ssi o schermature solari; sistemi e tecnologie volte alla facilitazione della comunicazione ai fi ni dell'acces•

sibilità Le spese ammissibili riguardano: installazione di impianti fotovoltaici per la produzione di energia

elettrica; • installazione di schermature solari esterne mobili fi nalizzate alla riduzione dei • consumi per

condizionamento estivo; coibentazione degli immobili ai fi ni della riduzione della dispersione termica; •

installazione di pannelli solari termici per produzione di acqua; • realizzazione di impianti elettrici, termici e

idraulici fi nalizzati alla riduzione del • consumo energetico (impianti di riscaldamento ad alta effi cienza,

sensori termici, illuminazione led, attrezzature a classe energetica A, A+, A++, A+++)

13/07/2015Pag. 14 N.164 - 13 luglio 2015

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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 13/07/2015 57

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PROFESSIONISTI IN CRESCITA Ugo Cavallin arriva alla guida di Ance Venezia Ugo Cavallin, è stato riconfermato presidente di Ance Venezia. L'Associazione provinciale dei costruttori edili

ed affini, cui aderiscono più di 200 imprese del settore, lo ha rieletto per il triennio 2015-2017 al termine

dell'Assemblea generale. Nel corso dell'Assemblea si è discusso delle azioni portate avanti da Ance Venezia

nell'ultimo periodo, tra cui il protocollo d'intesa con il comune di Venezia e la soprintendenza alle belle arti per

la pulitura delle facciate degli edifici da graffiti e scritte ingiuriose. Un' iniziativa per la quale è stata chiesta la

collaborazione delle imprese associate. I primi saranno avviati subito dopo l'estate. La giornata si è conclusa

con la premiazione di otto imprese, quattro quelle iscritte all'associazione fin dalla fondazione e quattro

aderenti da più di 60 anni.

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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 13/07/2015 58

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REAL ESTATE Ipi guarda oltre Coppola Manuel Follis Il 2014 per Ipi è stato un anno di transizione e adesso la società guarda al futuro, in uno scenario ancora

complesso per il mercato immobiliare, con gli occhi di chi sa di avere ormai sistemato la gestione ordinaria

del business preparandosi a un aumento di capitale e riponendo grande fiducia nell'ipo di Sorgente Res.

Restano da sistemare le questioni legate al passato, «che hanno un nome e un cognome», commenta con

Milano Finanza l'amministratore delegato di Ipi, Vittorio Moscatelli, riferendosi ai debiti che Porta Vittoria (il

complesso immobiliare di Milano Est che fa capo all'immobiliarista Danilo Coppola) deve saldare al gruppo

guidato dalla famiglia Segre. Un passato e un debito che hanno pesato anche sui conti 2014 di Ipi. «Il bilancio

ha mostrato una serie di piccoli miglioramenti in termini sia di ricavi sia di margini sull'attività ordinaria; il tutto

nonostante la crisi», fa notare Moscatelli. «Certo, subiamo l'effetto degli oneri finanziari sul patrimonio,a

causa dei quali è venuto a determinarsi un risultato netto in perdita». Grazie all'incremento delle vendite e dei

ricavi derivanti dai servizi immobiliari la società ha chiuso l'ultimo esercizio con un fatturato di 37,3 milioni

(+6% rispetto al 2013) a fronte di un ebitda di 5,2 milioni (da 4,4 milioni). Al netto della svalutazione da 10

milioni del credito relativo a Porta Vittoria il risultato operativo (ebit) sarebbe cresciuto del 15,9%. Il bilancio si

è quindi chiuso con un risultato consolidato negativo di 22,9 milioni (nel 2013 la perdita era stata di 3,4

milioni), a causa sia della citata svalutazione sia dei derivati contrattualizzati negli anni precedenti (per

copertura tassi d'interesse). «Al netto di questi due elementi e in assenza di plusvalenze il conto economico

della gestione corrente del 2014 avrebbe evidenziato un risultato migliore rispetto a quello del 2013»,

sottolinea l'amministratore delegato di Ipi. La questione riguardante l'esposizione nei confronti di Porta Vittoria

in ogni caso resta aperta. «Vantiamo un credito di 53 milioni che risale al 2010», spiega Moscatelli. Il termine

per il rimborso da parte di Porta Vittoria è scaduto lo scorso 31 marzo e «siccome non siamo stati pagati,

prudenzialmente abbiamo dovuto attualizzare questo credito svalutandolo». Il fatto è che adesso anche gli

altri creditori di Coppola, ovvero il Banco Popolare e la Colombo Costruzioni, avrebbero deciso di agire per

accelerare i pagamenti. «Il progetto di sviluppo di Porta Vittoria è sostanzialmente finito», spiega il manager,

«Mancano giusto 5 o 6 milioni di euro di lavori, ma tutti gli appartamenti e gli uffici sono stati realizzati e sono

pronti. A questo punto si tratta solo di vendere, ma finora tutte le offerte sono state rifiutate perché ritenute

troppo basse». L'ultima proposta ufficiale è stata presentata da Prelios, che lo scorso gennaio aveva offerto

più di 300 milioni di euro, ma una perizia di Praxi valuta l'area più di 500 milioni. «In totale Porta Vittoria è

esposta per 290 milioni e Ipi si sta muovendo coordinandosi con il Banco Popolare e con la Colombo

Costruzioni per spingere Coppola a vendere in tempi brevi». In pratica, sono in corso operazioni per

modificare la governance della società; si tratta di una sorta di «commissariamento» che dovrebbe portare al

rientro dei crediti vantati. Ciò però riguarda il passato della società immobiliare, mentre il futuro è legato al

miglioramento della situazione patrimoniale. «Stiamo attraversando una fase anomala dal punto di vista

finanziario», spiega Moscatelli. «In un panorama di persistente difficoltà del settore siamo riconosciuti dal

sistema bancario come un soggetto affidabile, perché alle spalle abbiamo un azionariato forte. Per questo gli

istituti di credito non vantano grandi crediti nei confronti di Ipi e le banche esposte sono garantite. In

sostanza, non necessitiamo di alcuna operazione di ristrutturazione finanziaria, eppure non riusciamo ad

attingere facilmente a risorse per operazioni straordinarie». Proprio per disintermediare il ruolo del sistema

bancario Ipi nel 2014 ha emesso bond per circa 20 milioni (sottoscritti a un tasso del 7%) e adesso si prepara

a un aumento di capitale da 10 milioni di euro «che è stato già garantito dall'azionista di maggioranza»,

precisa l'amministratore delegato. Oggi il gruppo, che ha sede a Torino, è controllato al 93,5% dai Segre e

per la parte restante da circa 400 azionisti minori, che però probabilmente diluiranno ulteriormente la loro

quota in seguito alla ricapitalizzazione. L'altra novità in cantiere riguarda l'operazione di quotazione di

Sorgente Res, con la quale a fronte dell'immissione di parte del patrimonio immobiliare di Ipi è stato siglato un

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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 13/07/2015 59

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patto parasociale proprio in vista dello sbarco in borsa. In base all'accordo Ipi diventerebbe azionista della

società anche se la tempistica dell'ipo è stata di nuovo messa in dubbio dalle recenti tensioni che hanno

scosso le borse (legate anche a Grecia e Cina). «Il prospetto è stato già esaminato parecchie volte in

istruttoria e attendiamo l'ok Consob nel giro di qualche giorno», spiega Moscatelli. È vero però, ammette,

«che le banche collocatrici stanno cercando di sondare il mercato per capire quale tipo di apprezzamento

potrebbe esprimere il mercato in questo momento». L'operazione è riservata sostanzialmente agli operatori

istituzionali «e stiamo spingendo perché si vada avanti anche a fronte di un mercato in fase di contrazione»,

assicura Moscatelli. La società dei Segre ha apportato immobili in Sorgente per un valore di 190 milioni e non

farà cassa nell'ambito dell'ipo. «Non vogliamo collocare le nostre azioni di Sorgente Res sul mercato», spiega

Moscatelli. «Contiamo molto su questa quotazione per lo sviluppo di Ipi, che grazie all'operazione

deconsoliderà circa 130 milioni di debito in modo di arrivare a un indebitamento netto complessivo inferiore a

100 milioni. A quel punto, considerando anche l'aumento di capitale, avremmo un rapporto patrimonio-debito

di 1». (riproduzione riservata)

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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 13/07/2015 60

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Feltrinelli chiama Hines per la sede della Fondazione. E tratta sul debito Manuel Follis e Andrea Montanari Editoria e immobiliare sono due settori che più di altri hanno risentito della crisi che ha colpito i mercati, e in

particolare quello italiano. Nel 2008, l'anno del crack Lehman Brothers, per sfidare la congiuntura negativa il

gruppo Feltrinelli, quinto player sul mercato librario italiano con una quota del 4,6% (dato di fine 2014), aveva

concepito il progetto per la realizzazione della nuova sede, in zona Porta Volta a Milano, della Fondazione

Giangiacomo Feltrinelli. L'idea è stata cullata a lungo ed è divenuta realtà nel novembre del 2012 con l'avvio

ufficiale del cantiere, curato dagli studi Herzog & de Meuron di Basilea e SD Partners di Milano. Un'opera

imponente e avveniristica (l'area complessiva dell'intervento era di 17.268 metri quadrati, con 15 mila metri

quadrati destinati a parco e spazi pubblici) commissionata dalla Finaval, il braccio immobiliare della storica

casa editrice. Solo che ora l'intervento, del valore di 60-80 milioni di euro, ha prodotto un impatto diretto sulla

gestione finanziaria e patrimoniale dell'intero gruppo Feltrinelli. E così la famiglia, a partire da Inge e Carlo

Feltrinelli, ha deciso di cercare un partner solido per arrivare al completamento dell'opera. Anche perché al

contempo i vertici e il management della casa editrice, che ha chiuso il bilancio 2014 con un giro d'affari di

400 milioni (nel 2015 ci sarà un sensibile calo, a 330 milioni, perché si definirà il progetto di conferimento

della filiera di distribuzione nella joint venture con il gruppo Mauri Spagnol) e un ebitda vicino ai 30 milioni,

stanno portando avanti una trattativa con le banche creditrici (Unicredit, Intesa Sanpaolo, Bnl, Mps, Creval e

Bpm) per il rifinanziamento dell'indebitamento (140 milioni a fine 2014). Per questa ragione, secondo quanto

riferito da una fonte a Milano Finanza, la Finaval del gruppo Feltrinelli ha chiamato in causa il gruppo Hines,

guidato in Italia da Manfredi Catella. Il piano prevede la creazione di un nuovo fondo immobiliare chiuso nel

quale far confluire il progetto di Porta Volta. Il veicolo sarà partecipato pariteticamente da Hines e Finaval, ma

non è escluso che in futuro venga aperto ad altri investitori istituzionali. L'ufficializzazione dell'accordo

dovrebbe arrivare a breve, anche perché il cantiere sta procedendo a ritmo serrato (la fase di costruzione è

iniziata nell'autunno 2013 e si è conclusa da poco). Oltre alla sede della Fondazione Giangiacomo Feltrinelli

(biblioteca, archivi, sala polifunzionale, libreria e altri servizi) il progetto architettonico prevede la realizzazione

di altri due edifici destinati prevalentemente a uso ufficio e di molti spazi verdi e aree all'aperto per la

cittadinanza. Non è da escludere che l'intesa su Porta Volta possa preludere ad altre operazioni sinergiche

tra Hines e Feltrinelli sul patrimonio immobiliare del gruppo editoriale. (riproduzione riservata)

Foto: Il rendering del progetto realizzato dallo studio Herzog & de Meuron per la nuova sede della

Fondazione Giangiacomo Feltrinelli

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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 13/07/2015 61

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RIFLESSIONI LIBERALI. A colloquio con Nicola Marzaro, presidente di Assofoodtec / INTERVISTA La forza delle nostre Medie aziende II mondo ha bisogno di attrezzature e di tecnologie per l'alimentare, in modo da combattere la fame delmondo in linea con la programmazione 2015-2030 dell'Orili. La nostra industria meccanica è ancora lamigliore al mondo, peccato non essere stati coinvolti in Expo... Giovanna Guercilena Sara banale dirlo, ma prima di arrivare sugli scaffali del supermercato il cibo passa per le numerose fasi che

compongono il cosiddetto food processing, cioè lavorazione e trasformazione del cibo: un segmento della

filiera agroalimentare su cui l'Italia ha molto da insegnare, essendo quello degli impianti e delle attrezzature

dedicati un fiore all'occhiello del Made in Italy, un ambito d'eccellenza della nostra industria meccanica. Tra

l'altro, dalle tecnologie per il cibo può venire un contributo fondamentale, proprio come leva strategica, per lo

sviluppo delle economie locali delle zone del mondo che più devono fronteggiare problemi di povertà e di

fame. Tanto per fare un esempio, il mercato dell'Africa dell'Est è considerato ad alto potenziale riguardo alle

tecnologie per il trattamento dei cereali e per la produzione della pasta, cioè per l'industrializzazione di alcuni

processi di produzione alimentare, e nel 2016 si terrà a Nairobi, Kenya, la seconda edizione della fiera East

Afripack, dopo che la prima edizione del 2014 ha registrato la presenza di sessanta aziende italiane, Gruppo

Pavan in testa. Di tutto ciò parliamo con Nicola Marzaro, 45 anni, responsabile amministrativo dell'azienda di

famiglia, la Sirman di Padova, settore produzione macchine per la ristorazione e la distribuzione organizzata,

e presidente di Assofoodtec. Partiamo dall'evento di questi mesi, cioè a dire Expo. Insomma all'Expo il lato

tech dell'alimentare l'hanno un po' snobbato? Perché? Avremmo gradito essere più coinvolti, sì, e avremmo

portato un contributo importante. Ma non è successo, perché la gestione dell'evento è stata delegata a un

gruppo circoscritto. Noi pensiamo che il mondo abbia bisogno di attrezzature e di tecnologie per l'alimentare

esattamente come ne ha di cibo. Tra l'altro ricercare l'homo economicus fra le emozioni da stimolare nel

visitatore, sarebbe stato non solo edificante ma vantaggioso per il "sistema Italia". Vorrei anche ricordare che

le risorse spese per l'Expo provengono dai settori industriali che producono valore aggiunto e rimpolpano la

bilancia dei pagamenti, senza mai ricevere un grazie. Settori che inoltre possono contribuire davvero, non

solo con le buone intenzioni, ad affrontare il problema della fame nel mondo. Non doveva essere questo il

tema conduttore dell'Expo? Proprio così. Secondo i dati dell'Onu già ora ci sono 850 milioni di esseri umani,

tra cui 100 milioni di bambini, che soffrono la fame e nel 2050 la popolazione mondiale raggiungerà quota

nove miliardi. La cooperazione internazionale sul tema si sta tutta per ridisegnare, è un argomento

attualissimo. A settembre, l'assemblea dell'Onu definirà la programmazione 2015-2030 e, ancor prima, la

conferenza di Addis Abeba si concentrerà sugli strumenti finanziari per raggiungere i nuovi obiettivi. Questo

doveva essere il filo rosso che avrebbe dovuto farci entrare a pieno titolo all'Expo. I valori della nuova

cooperazione, così come le problematiche attuali sulle migrazioni transcontinentali, ci ricordano che decenni

di politiche assistenzialistiche hanno portato solo fallimenti. Quello delle tecnologie per il cibo è anche uno dei

vanti del Made in Italy. È sempre stato un comparto così forte? II settore è il frutto dell'industrializzazione del

dopoguerra e della ricchezza che l'Italia ha sempre generato nell'agroalimentare. Ci sono esempi frequenti di

aziende di seconda o terza generazione, così come ci sono realtà manageriali frutto dell'accorpamento fra

chi, nei passaggi generazionali, ha ceduto il passo. Anche per noi l'impatto della crisi è stato violento, in

particolare per il comparto delle attrezzature, che annovera società di minori dimensioni. Le aziende che

erano già in difficoltà han dovuto procedere a ristrutturazioni, da cui poi è sempre difficile tornare indietro. Chi,

invece, non presentava problemi di sostenibilità o di stanchezza imprenditoriale è riuscito a mettere a segno

incrementi importanti e ininterrotti dal 2009 in poi, cioè dall'anno di minima per i fatturati. Nell'ultimo anno e

mezzo abbiamo ripreso i livelli pre-crisi, con prospettive ancora più rosee. Diciamo che questi anni hanno

anche consentito di fare pulizia e che ci si sta rafforzando per la prossima crisi, che ci auguriamo, sarà meno

forte. Il segreto del successo qual è? Per una volta, si può dire che esista un sistema paese funzionante,

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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 13/07/2015 62

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dalle imprese, che sono naturalmente il soggetto protagonista, ai trasporti e alle fiere. j Da quarantanni i nostri

distretti industriali lavorano bene e anche la principale fiera di settore, cioè Host, è italiana, si tiene a Milano.

Significa che tutto il mondo arriva da noi. Poi, c'è la qualità della nostra manodopera. Non a caso Svizzera,

Austria e Germania si rivolgono a noi per farsi produrre le cose, continuiamo ad avere commesse da quei

paesi. E un dato che la Pianura Padana, su cui insiste la specializzazione della meccanica, è ancora la

miglior area industriale del mondo, e vi si trovano professionalità e tecnologie a costi competitivi. Ma come,

non ci dicono che siamo poco produttivi? In questo tipo di statistiche incidono molto le aziende di grandi

dimensioni, che all'estero sono più diffuse che da noi, anzi di solito, tranne pochi e blasonati casi, in quelle

aziende gli italiani non hanno espresso grandi capacità manageriali. In dieci anni di rilevazioni e studi, le

statistiche di Mediobanca con Unioncamere hanno dimostrato, però, che le medie aziende italiane sono

ancora insuperabili per reattività alle crisi, generazione di valore e innovazione. Nessun punto debole per il

settore? In generale, ce la vediamo con i mali comuni di questo paese: tasse esagerate, carico burocratico

eccessivo, norme approvate ma poi dimenticate, magari perché mancano i decreti attuativi, regole che

cambiano troppo velocemente. C'è poi un problema che riguarda le dimensioni delle nostre aziende. La mia

opinione è che il governo non dovrebbe dissipare le poche risorse disponibili né per salvare le grandissime

aziende, né per mantenere in vita le troppo piccole. Si stabilisca, non esclusivamente con parametri legati al

fatturato, cosa possa significare per l'Italia azienda di medie dimensioni e si pensi a un qualcosa per

disincentivarne la chiusura o per farne crescere la dimensione. Saranno poi queste medie aziende a dar

lavoro alle più piccole, com'è sempre stato prima della crisi, prima cioè che queste medie aziende, per

salvare se stesse, dovessero internalizzare tutto quello che prima commissionavano ai terzisti, di fatto

condannandoli a chiudere. Non ci dica, per favore, che anche voi chiedete sussidi. Proprio no, semmai serve

un significativo abbassamento delle tasse, un tema su cui, però, persino Confìndustria sembra essere tornata

indietro. Riguardo ai sussidi in generale, voglio anche dire che dei 30 miliardi alle imprese che aveva

calcolato Cottarelli, qualcosa come 27 erano indirizzati alle grandi imprese nazionali. Una specie di partita di

giro. Non c'è niente di peggio che l'intervento in economia da parte di uno Stato incompetente. Torniamo alle

imprese del settore. Ce le racconta? Nell'insieme fatturano 5 miliardi e mezzo, di cui il 74% riporta ai mercati

esteri. Assofoodtec riunisce sette associazioni di costruttori di attrezzature e impianti per il foodprocessing,

per un totale di 4,2 miliardi fatturati, cifre che non tengono conto dei fatturati delle filiali estere delle aziende

associate. Ogni sottosettore è fatto di poche multinazionali, con brand a valenza planetaria, leader di mercato

e di innovazione, pensiamo al Gruppo Pavan o al Gruppo Fava nel settore degli impianti per pastifici, a Epta

e Arneg nel settore del freddo, a Sottoriva o Imaforni per la panificazione, a Pieralisi per l'industria olearia, a

Carpigiam o Ifi per la gelateria. Poi ci sono tante medie e piccole imprese che, come dicevamo, sono

impegnate le prime a migliorare la già buona penetrazione nei mercati mondiali, le seconde a ripensarsi. La

dimensione estera è dunque importante? Tutte le nostre aziende lavorano tantissimo con l'estero, con un

ventaglio di configurazioni. Chi produce impianti tiene in Italia l'ingegnerizzazione e anche la produzione,

mentre mediante accordi di outsourcing ottiene dai mercati esteri la fornitura di componenti a minor contenuto

tecnologico e a maggior ingombro, anche perché nella catena del valore la logistica è fondamentale. Le

aziende che producono beni di grande ingombro, non necessariamente impianti integrati, sono invece spesso

internazionalizzate con sedi produttive all'estero che rimangono del tutto autonome sulla catena del valore e

attingono a subfornitura e terzismo locali. Infine, le aziende produttrici di attrezzature di minor ingombro, in

sostanza quelli paragonabili come peso e ingombro al settore domestico su cui sono tarati tutti i trasporti

internazionali, quasi mai hanno sedi produttive all'estero, ma si avvalgono esclusivamente di una rete, talvolta

anche molto capillare, di importatori e rivenditori. Riguardo all'export, quali sono i mercati più interessanti? Al

momento, senz'altro, quelli dollaro centrici, quindi Nord e Centro America, e anche il Medio e l'Estremo

Oriente. Chi è andato nel Far East si sta trovando molto bene. Storicamente è stata molto rilevante la crescita

della Russia, ma adesso non più, il paese è in crisi. Incidono le sanzioni Uè, che hanno sicuramente toccato il

settore dell'agroalimentare, e anche la svalutazione del rublo. Poi, c'è la questione del petrolio a prezzo

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basso. Insomma, è un paese in austerity. Fra quelli che rappresentate, c'è un settore in difficoltà? Fra i settori

con qualche problema, forse non tanto per ragioni di mercato ma per la difficoltà a esprimere significative

espressioni manageriali, c'è il settore degli impianti per la carne, che si rivela debole neh"acquisire posizioni,

sia nel campo industriale che in quello dei servizi. NICOLA MARZARO

Chi è Assofoodtec Assofoodtec è il gruppo che riunisce le associazioni dei costruttori di attrezzature e di

impianti per il food processing. Fa parte di Anima, la federazione delle industrie meccaniche, e aderisce a

Confindustria. Ad Assofoodtec riportano sette associazioni, di cui due - Ucma e Comaca, rispettivamente

settore molitorio e della lavorazione delle carni - coprono il settore degli impianti, mentre altre quattro

rappresentano i costruttori di attrezzature. Si tratta di Acomag per le attrezzature rivolte alle gelaterie, Ucimac

per le macchine da caffè, Ahrca per il catering, e il Gruppo Costruttori Affettatrici Tritacarne. Infine, c'è anche

un'associazione trasversale, quella dei costruttori del freddo, che rappresentano le specializzazioni banchi

frigoriferi rivolti al commercio e celle frigorifere e impianti refrigerati rivolti all'industria. L'insieme delle aziende

iscritte fattura 4,2 miliardi di euro su un settore complessivo che in Italia ne vale 5,5. Ben il 74% è destinato ai

mercati esteri.

Buono a sapersi • Per le aziende del food processing, non ha tanto senso parlare di dati medi di fatturato,

perché ordini di grandezza dai 20 ai 50 milioni di euro sono notevolissimi per i costruttori di attrezzature, ma

ordinari per i costruttori di impianti • A fronte dei ritrovati volumi d'affari, la forza lavoro complessivamente

impiegata dal settore non ha raggiunto i valori pre-crisi, anche per le ristrutturazioni che molte aziende hanno

posto in essere e che hanno comportato la soppressione di alcune divisioni e la meccanizzazione invece di

quelle più promettenti.

II private equity che crede nel settore Per crescere, a volte bisogna trovare il partner giusto. Come ha fatto

il Gruppo Pavan, fondato nel 1946 in provincia di Padova, e leader mondiale nella costruzione di impianti per

la lavorazione dei cereali e della pasta, che a marzo scorso ha perfezionato un'operazione di vendita al fondo

di private equity Alpha, attraverso la controllata New Food Technologies. Dapprima, Alpha ha acquisito da Imi

Investimenti e da Idea Cinquanta, quest'ultima facente capo al top management di Pavan, il 100% delle

quote, ma mentre Imi Investimenti è uscita completamente dall'azionariato, Idea Cinquanta ha poi reinvestito

il capitale comprando il 40% delle quote Pavan e permettendo al vecchio management di continuare a

guidare l'azienda. L'idea di fondo dell'operazione è difatti garantire al Gruppo la forza finanziaria per

supportare le strategie di sviluppo a livello internazionale, rafforzando ulteriormente una vocazione all'export

che già conta qualcosa come novanta paesi in portafoglio, e sostenendo acquisizioni in business collaterali.

Alpha è un fondo di private equity che gestisce un miliardo e mezzo di euro ed è specializzato nel segmento

mid-cap, privilegiando gli investimenti in aziende fra i 50 e i 500 milioni di valore. Il Gruppo Pavan ha chiuso il

2014 con un fatturato consolidato di circa 158 milioni di euro, con una crescita del 17% rispetto all'esercizio

precedente.

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CANTIERI 2.0 Più forti i poteri di Rup e direttore lavori ANTONIO ORTENZI Nel disegno di legge sugli appalti approvato dal senato, sono rafforzati i poteri del Rup e della direzione lavori

con particolare riguardo ai lavori e alle forniture: ee) rafforzamento della funzione di controllo della stazione

appaltante sull'esecuzione delle prestazioni, attraverso verifiche effettive e non meramente documentali, con

particolare riguardo ai poteri di verifica e intervento del responsabile del procedimento, del direttore dei lavori

nei contratti di lavori e del direttore dell'esecuzione del contratto nei contratti di servizi e forniture ... Quali

potrebbero essere le verifiche effettive non documentali? Questa è un'altra sfida che la nuova legge dovrà

affrontare e che riguarda contemporaneamente progettisti, committenti e imprese. Mandando in gara un

progetto esecutivo sarebbe auspicabile avere tra gli elaborati un documento che possa rappresentare,

attraverso il Gantt e la curva a S, la baseline dei costi. In pratica un budget di cantiere che aiuterà il Rup e la

Direzione lavori in tutta la fase esecutiva e che servirà da riscontro nel monitoraggio dei tempi e dei costi. Per

ottenere un elaborato simile, in fase di progettazione, si dovrebbe andare oltre al Gantt come s'intende oggi,

ovvero una normale sequenzializzazione dei tempi, ma la programmazione dovrebbe tenere conto di una

corretta spesa da parte delle stazioni appaltanti e soprattutto di un'analisi del famoso percorso critico (Critical

Path Mode) che ci aiuterà in fase di realizzazione a capire quali sono nelle varie fasi del cantiere le

lavorazioni che potrebbero portare a un aumento dei tempi previsti. In fase di progettazione fare questo tipo

di valutazioni rappresenta da un lato un aggravio di tempo ma dall'altro è sicuramente un elemento distintivo

sotto un profilo qualitativo che potrebbe fare la differenza in fase di esecuzione. Abbandonare la logica della

progettazione in house da parte delle stazioni appaltanti risparmiando così il 2% su un lavoro e destinare

queste risorse magari ai progettisti e ai Rup potrebbe essere una soluzione. Altra soluzione potrebbe essere

quella di una migliore razionalizzazione della spesa sui lavori tramite l'adozione dei costi standard creando un

meccanismo virtuoso volto a valorizzare sia il lavoro dei progettisti e sia l'economia generale nel comparto. In

una logica di spendig review il disegno di legge è chiaro : Art. 9 Dall'attuazione della presente legge non

devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, Gli sforzi dei Rup dovranno rivolgersi

sicuramente, in fase di gara di progettazione, verso l'indicazione di una WBS (fasi di lavoro divise per zone)

che consenta ai progettisti di progettare e computare dividendo il costo che dovrà sostenere la stazione

appaltante in pacchetti di lavoro (work package) e facendone un analisi di tipo bottom up cioè dalla

lavorazione più semplice verso l'aggregatore più alto che ne identifica la fase. Tutto questo ci consentirà di

dare dei tempi alle lavorazioni con un Gantt che oltre alla durata ne identifica i costi per ogni (pacchetto di

lavoro). Solo a questo punto le stazioni appaltanti potranno avere tra gli elaborati di progetto un documento

che consenta un reale monitoraggio e controllo. I documenti contabili da produrre, in fase di esecuzione sono

gli stessi indicati dall'attuale legge che però dovranno avere un solo dato in più, il centro di costo, ovvero

l'identificazione del work package di dove si è svolta la lavorazione. Redigere un libretto delle misure, un

giornale lavori o un verbale di costatazione (per i lavori a corpo), che abbia in se una logica temporale e

quantitativa piuttosto che economica aiuterebbe la direzione lavori a fare quel che indica la nuova legge.:

verifiche effettive e non meramente documentali. Fare un monitoraggio di questo tipo significa avere sotto

controllo tempi e costi che, raffrontandosi con il budget di cantiere, possono indicarci gli eventuali scostamenti

rispetto a quanto si era preventivato e darci le proiezioni a finire EVM (Earned Value Metod). Questo tipo di

elaborati potrebbero tornare utili anche al soggetto economico che appalta il lavoro. Infatti, rappresenterebbe

la base per studiare meglio i costi e i tempi da sostenere, per realizzare l'appalto. L'impresa, infatti, si

troverebbe a gestire più agevolmente due dati economici, i ricavi (che sono i costi per la stazione appaltante)

e i costi (risultanti dall'offerta di gara) e a governare meglio i tempi soprattutto per quanto riguarda il work

package dei costi indiretti. © RIPRODUZIONE RISERVATA

13/07/2015Pag. 5 N.28 - 13 luglio 2015 tiratura:25000

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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 13/07/2015 65

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PRIMO PIANO COSTRUTTORE EDILE: i nuovi requisiti tecnico-professionali Secondo un disegno di legge allo studio delle Commissioni Lavori Pubblici e Industria, del Senato, sarannonecessari dei nuovi requisiti minimi di carattere tecnico professionale per fare il costruttore e operare nelsettore edile. I requisiti verranno valutati al momento dell'iscrizione dell'impresa nella sezione speciale per l'edilizia, e

andranno a valutare tre ambiti dell'organizzazione aziendale: l'idoneità del costruttore (ovvero del titolare

dell'attività), la figura indicata come responsabile tecnico e le caratteristiche dell'impresa. Riguardo a

quest'ultimo punto si andrà a verificare la disponibilità di attrezzature conformi al Testo unico sulla sicurezza

sul lavoro (D.lgs. 81/2008) il cui valore non potrà essere inferiore a 15 mila euro o 7.500 euro per le imprese

che operano nel settore dei lavori di completamento, delle manutenzioni ordinarie e delle finiture. Riguardo ai

requisiti del costruttore, il titolare dell'impresa dovrà risultare libero da procedimenti -pendenti per la

violazione delle leggi antimafia o condanne per ricettazione, riciclaggio, emissione di assegni a vuoto,

insolvenza fraudolenta e bancarotta. Infine il punto più interessante, ovvero l'obbligo di indicare un

responsabile tecnico che risponda a precise caratteristiche professionali e morali. La persona indicata

dall'azienda non dovrà infatti essere mai stata condannata per la violazione delle norme in materia di lavoro,

previdenza, prevenzione e sicurezza sui luoghi di lavoro, rifiuti, ricerche archeologiche, autorizzazioni per gli

interventi sui beni paesaggistici, permesso di costruire e lottizzazione abusiva. A questo si aggiungono

precise caratteristiche di competenza professionale che il decreto in esame in questi giorni mira a rendere

definitive. In particolare si ricorda la necessità a rispondere ad almeno uno dei seguenti requisiti: • iscrizione

all'ordine professionale degli ingegneri o degli architetti o al collegio dei periti industriali e dei periti industriali

laureati con specializzazione edilizia o al collegio dei geometri con esercizio della professione da almeno due

anni; ... ...continua

11/07/2015Pag. 3 N.129 - luglio 2015 In Concreto

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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 13/07/2015 66

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Editoriale / Ennio Braicovich Un mondo in continua innovazione... Quello dell'edilizia ma anche quello del serramento è un mondo in continua evoluzione. Non cito il caso del

robot USA che costruisce i muri di mattoni con impressionante rapidità e efficacia (notizia di febbraio) e

neanche il caso del grattacielo di 57 piani che a fine aprile sarebbe stato costruito in Cina in soli 19 giorni. La

notizia più interessante delle ultime settimane è quella del grande mobiliere brianzolo - sessant'anni di vita,

undici stabilimenti industriali in giro per il mondo, oltre 300 punti vendita - che ha lanciato una sua idea di

edificio residenziale. Da specialista nella produzione industrializzata degli arredi vuole trasformarsi in

specialista della produzione industriale di immobili residenziali. Dietro tutto v'è il brevetto di un sistema

costruttivo unico costituito da lastre di EPS, polistirene autoestinguente, che ingloba la parte strutturale in

cemento armato. L'obiettivo è realizzare abitazioni ad alta efficienza energetica certificate Passivhaus da

realizzare in meno della metà del tempo attualmente necessario e da collocare sul mercato a 1.200 €/m serio

lo dimostrano la decina di immobili già realizzati in gran silenzio negli ultimi due anni in provincia di Milano.

Quello della prefabbricazione edilizia è un tema che sta ri-emergendo molto seriamente nell'ultimo decennio.

Che, poi, un mobiliere entri a gamba tesa sul mercato edilizio dimostra solo gli ampi margini di migliorabilità

che possiede la nostra edilizia, ancora legata alle tecniche tradizionali di produzione, oramai troppo costose

ed inefficienti. Le case ad alta efficienza energetica non vanno viste come qualcosa di spaziale. Sono

sostanzialmente gli edifici a energia quasi nulla, NZEB-Near Zero Energy Building che impone la direttiva

europea 2010/31/EU. Ovvero, in grande sintesi: entro il 31 dicembre 2018 gli edifici pubblici ed in generale

dal 1° gennaio 2021 tutti gli edifici di nuova costruzione dovranno essere edifici a consumi di energia quasi

zero. È bene prepararsi per tempo al nuovo che è già arrivato. I prodotti giusti oramai ci sono Mancano al

solito conoscenze ed esperienze.

Foto: [email protected]

11/07/2015Pag. 13 N.415 - lug/ago 2015 Nuova Finestra

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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 13/07/2015 67

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Normativa/ Posa in opera UNI 10818: tante novità La norma italiana UNI 10818 che definisce i rapporti reciproci tra gli attori che intervengono nel processo diposa in opera dei serramenti, è una delle normative meno conosciute in assoluto dagli operatori del settore.Saranno due righe a cambiare il modo di rapportarsi col cliente? ing. Giovanni Tisi, CTU Basta una qualsiasi domandina su quali siano le responsabilità del serramentista, del progettista o del

committente in merito alla corretta esecuzione del lavoro, per capire che, nella vita reale di cantiere, i ruoli e

le responsabilità vengono spesso confusi. La norma in oggetto, d'altro canto, non è mai stata richiamata in

nessun provvedimento legislativo, ed ha quindi trascorso la sua sin qui tranquilla esistenza in qualche

faldone, tra mille altre norme non cogenti di uguale destino. Solo di tanto in tanto, in qualche contenzioso, un

solerte CTU ne rammentava l'esistenza, ne sfogliava le tabelle e, a volte anche a sproposito, provava a farla

valere come regola dell'arte. Vi è da dire, peraltro, che sul tema generale della Posa in opera dei serramenti,

mai come in questi anni si è assistito a un fiorire di iniziative di certificazione, di qualificazione, di formazione

di 'Albi di posatori qualificati' di primo e di secondo livello, ed era pertanto inevitabile che si giungesse a una

revisione della norma in oggetto: è italico costume, infatti, fare norme nuove ben prima di aver applicato

quelle esistenti. La nuova revisione si presenta come una radicale riscrittura della vecchia norma: tutti i temi

strettamente operativi e prestazionali (il 'comÈ fare la posa e il 'comÈ misurarne la qualità), che, nella vecchia

versione venivano trattati poco e male, vengono completamente accantonati, per confluire in una normativa

specifica che tratterà esclusivamente questi aspetti. In questo senso, l'attuale stesura che, passato il vaglio

dell'inchiesta pubblica, sta per essere rilasciata, risponde pienamente al suo titolo e solo a quello: "Finestre,

portefinestre, porte e chiusure oscuranti: ruoli responsabilità e indicazioni progettuali nel processo di posa" .

Fatta questa premessa, e cioè ribadito che nella nuova versione non troveremo più nulla che riguardi

specificamente l'esecuzione materiale della posa in opera, il resto dell'impianto della nuova versione

approfondisce e chiarisce con maggior dettaglio le responsabilità di tutti gli attori che intervengono nel

processo di posa in opera e che già erano presenti nella precedente. Va chiarito subito che, trattandosi di

norma non cogente, qualsiasi disposizione o indicazione in essa contenuta può essere soggetta a diversa

allocazione, per chiara ed esplicita pattuizione contrattuale; in altri termini, posto che la norma prevede che

certi compiti siano assegnati a certi soggetti, è facoltà delle parti pattuire una diversa distribuzione dei lavori e

delle relative responsabilità. Proprio per questo motivo, la norma dedica un intera appendice informativa per

illustrare quali debbano essere le informazioni minime che andrebbero specificate nel contratto di fornitura,

cosi che non restino aspetti non chiari, compiti non assegnati, responsabilità non definite. 12 figure coinvolte

Chiarite queste premesse, la norma individua che nel processo di installazione e posa in opera, possano

essere coinvolte fino a 12 figure professionali distinte, cioè il doppio di quelle previste nella precedente

versione, che erano: • Il progettista (dell'opera edile) • Il direttore dei lavori • Il produttore (degli infissi) •

L'installatore • Il costruttore edile • L'appaltatore Di rilevante, è stata introdotta la figura di

'Fornitore/installatore delle vetrazioni', mentre la figura di 'AppaltatorÈ è stata meglio precisata in due figure

distinte di 'CommittentÈ, cioè colui che commissiona l'installazione e ne sostiene l'onere e di 'UtentÈ cioè

colui che frui sce o fruirà dell'opera realizzata. Altre figure specificate sono più di natura commerciale quali

quelle di Importatore, Mandatario ecc. Per ciascuna figura la norma fissa i criteri di qualificazione e viene

specificato che alcune figure possono essere accorpate da operatori aventi le necessarie competenze, come

nel caso dei produttori che siano anche installatori. Più di mille parole, per fissare le singole responsabilità,

valga la ta bella allegata, che riporta, con alcune semplificazioni, il riassunto delle attribuzioni. Rispetto alla

versione precedente, non vi sono significative modifiche nell'attribuzione delle responsabilità, ma i compiti

sono me glio dettagliati. Il progettista progetti e scelga le soluzioni più idonee al contesto, il serramentista

garantisca che il suo prodotto abbia i prescritti requisiti qualitativi e indichi quali materiali e quali soluzioni

11/07/2015Pag. 72 N.415 - lug/ago 2015 Nuova Finestra

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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 13/07/2015 68

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siano più idonee al mantenimento in opera delle prestazioni dichiarate, l'in stallatore esegua materialmente la

posa seguendo le istruzioni ricevute e sotto il controllo del Direttore Lavori, chiamato a garantire che tutte le

opere previste siano realizzate come disposto. Se davvero dobbiamo cercare le novità, queste risiedono in un

paio di capoversi non presenti nella precedente formulazione. È specificato che il serramentista o l'installatore

POSSONO , se lo ritengono, installare direttamente anche il controtelaio, laddove previsto. Ovviamente,

questa possibilità non era esclusa a priori nemmeno nella formulazione precedente, poiché, trattandosi di

norma non cogente, era comunque facoltà degli attori, in sede contrattuale, attribuire queste competenze al

posatore piuttosto che al Costruttore dell'opera edile. Diciamo che averlo ribadito, mettendo nero su bianco

che la norma CONSENTE questo cambio di responsabilità, offre alle parti una sollecitazione a decidere nel

merito, cosi da poter offrire al cliente finale o al committente, un lavoro migliore. Infatti, i recenti sviluppi del

controtelaio come opera funzionalmente importante ai fini del mantenimento delle prestazioni, porta a

preferire una posa in opera dello stesso componente sotto il diretto controllo del serramentista, piuttosto che

a cura di maestranze edili di formazione generica. La novità più importante riguarda però le funzioni di

Progettista e di Direzione Lavori: è esplicitamente richiesto che, laddove queste figure non siano già

chiaramente presenti in cantiere, per esempio per piccoli cantieri di sola sostituzione dei serramenti, sia

contrattualmente indicato chi, tra serramentista e utente finale, sia in grado di svolgere queste funzioni e si

assuma pertanto le relative responsabilità. Cioè, in altri termini, non è più ammesso che vi sia una lacuna nel

processo di scelta, fornitura e installazione, come quella che inve ce si viene regolarmente a creare oggi, nei

casi di semplice sostituzione. Tra i due contraenti, è ovvio che solo il serramentista può assumere le funzioni

di Progettista e di Direttore Lavori, perché è il solo che può avere le competenze tecniche necessarie. Può

sembrare una sottigliezza da azzeccagarbugli, ma non lo è. Sinora, nella maggioranza dei casi, il

serramentista che andava ad assumere l'onere di sostituire i serramenti, presentava o sottoscriveva un

contratto di fornitura con posa in opera di un bene, le cui caratteristiche erano chiaramente indicate nel

contratto stesso; era cioè responsabile della qualità del prodotto venduto e installato e della sua conformità a

norma. In ogni caso, ben difficilmente egli poteva essere chiamato a rispondere del fatto che il prodotto fosse

rispondente alle aspettative del cliente, a meno che queste non fossero chiaramente espresse nel contratto, il

che, di norma, non avveniva mai. Quello che è imposto La nuova stesura della norma IMPONE invece che,

dal contratto, risulti chiaramente chi svolgerà i compiti progettuali e chi dirigerà i lavori. In particolare, il

serramentista è chiamato a una funzione progettuale di scelta del serramento che meglio soddisfa le

esigenze del cliente. Per capire chiaramente la differenza tra le due impostazioni, facciamo l'esempio di un

cliente interessato ad avere un buon comfort acustico. Con ogni probabilità, dopo aver discusso con vari

fornitori, avrà richiesto serramenti con certe specifiche prestazioni di abbattimento acustico, diciamo, ad

esempio 40 dB. Il fatto che questo abbattimento acustico risolva o meno il suo problema, valutazione che

richiede l'analisi acustica della partizione nel suo insieme, non è OGGI responsabilità del serramentista; la

presenza di un foro di aerazione esageratamente dimensionato può facilmente vanificare le prestazioni del

serramento, rendendo del tutto inutile l'aggravio di spesa. Di questo fatto, OGGI , il serramentista è solo

marginalmente responsabile: dal punto di vista prettamente formale, egli è impegnato solo a fornire un

serramento con le prestazioni indicate sul contratto. Al contrario, nel momento in cui il serramentista si deve

assumere l'onere di progettazione, questa impostazione non è più cosi scontata. Se assume le funzioni di

progettista, tocca al serramentista indicare quale sia il manufatto migliore per raggiungere L'OBIETTIVO DEL

CLIENTE , e indicare, ad esempio nel caso specifico, che qualunque aggravio di spesa per vetrazioni ad alto

abbattimento acustico è sostanzialmente inutile in assenza di interventi sulle altre fonti di rumore. Per fare un

esempio differente, non sarà più possibile sottacere al cliente che la mancata correzione dei ponti termici del

davanzale, del controtelaio in ferro preesistente, del cassonetto ecc ecc. porteranno sicuramente a problemi

di formazione di muffa; come progettista dell'intervento, questi controlli e queste verifiche dovranno essere

fatti e le relative conclusioni dovranno essere comunicate al cliente, insieme a tutte le possibili ipotesi di

correzione del problema. Ancora un esempio differente; alcuni serramenti correggono la cattiva prestazione

11/07/2015Pag. 72 N.415 - lug/ago 2015 Nuova Finestra

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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 13/07/2015 69

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termica del telaio con l'utilizzo di vetri con prestazioni sovrabbondanti; la norma parla di trasmittanza

complessiva media Uw, e di trasmittanza della parte centrale del vetro Ug; fornire un serramento che rispetti

solo questi due parametri è pertanto oggi lecito e consentito. Come progettista però il serramentista non potrà

più sottacere che la performance termica complessiva del serramento, ottenuta mediando ottimi valori delle

parti vetrate con pessimi valori relativi ai telai, porta in realtà a situazioni pericolosamente vicine al punto di

rugiada sul telaio del serramento, con conseguente rischio di gocciolamenti. Questo tema, questa assunzione

di prerogative progettuali, è tutt'altro che banale. Anzitutto obbligherà i serramentisti a dotarsi di migliori

conoscenze tecniche (e ve ne sono alcune per nulla facili da padroneggiare), e poi perché costringerà gli

operatori più seri a farsi carico di istruzioni, avvertimenti e consigli generalmente poco graditi al cliente finale,

a tutto vantaggio degli operatori meno seri, che continueranno a rassicurare il cliente che il loro 'bel prodotto',

non ha certo tutti questi problemi.

In questo senso, l'attuale stesura della UNI 10818 che, passato il vaglio dell'inchiesta pubblica, sta peressere rilasciata, risponde pienamente al suo titolo e solo a quello: "Finestre, portefinestre, porte echiusure oscuranti: ruoli responsabilità e indicazioni progettuali nel processo di posa"La nuova stesura della norma impone che, dal contratto, risulti chiaramente chi svolgerà i compitiprogettuali e chi dirigerà i lavori. In particolare, il serramentista è chiamato a una funzione progettualedi scelta del serramento che meglio soddisfa le esigenze del clienteStudi preliminari e progetto

esecutivo dei serramenti 2 Studi e disegni esecutivi di produzione 3 Invio disegni al progettista 4 Invio disegni

al committente per approvazione 5 Fornitura controtelai 6 Scarico e immagazzinamento controtelai

Esecuzione dei vani murari; predisposizione delle soglie 8 Sigillatura del giunto primario (tra opera edile e

controtelaio) 9 Posa controtelai secondo quanto indicato dal fabbricante 10 Posa supporti e cardini 11

Riquadratura dei vani Sigillatura tra vano e telaio in assenza di controtelaio 13 Informare la DL delle

variazioni in corso d'opera 14 Imballo degli infissi 15 Fornitura delle vetrazioni 16 Fornitura materiali e

accessori Scarico, immagazzinamento e sollevamento al piano 18 Custodia dei materiali 19 Attrezzature

speciali di stoccaggio 20 Controllo di conformità e documentazione 21 Controllo di congruità e integrità

Verifica e segnalazione di non conformità nei materiali consegnati 23 Ponteggi 24 Pulizia del vano 25

Attrezzature antiinfortunistiche per il montaggio 26 Attrezzature specifiche per il montaggio 27 Esecuzione

della installazione dei serramenti Esecuzione del giunto tra controtelaio e serramento 29 Installazione e

sigillatura degli elementi vetrati 30 Applicazione di maniglieria e accessori 31 Eventuali sostituzione materiali

difettosi Eventuale sostituzione di materiali danneggiati durante il montaggio 33 Protezione delle opere fino

alla consegna 34 Pulizia dei serramenti 35 Raccolta di imballi e sfridi 36 Trasporto in discarica Raccolta e

consegna della documentazione d i prodotto al committente 38 Consegna della documentazione al cliente

finale 39 Collaudo 40 Presa in consegna (*) Tabella in parte desunta dalla versione di norma in inchiesta

pubblica. Vale la versione definitiva della norma all'atto della sua pubblicazione.

Tabella 1 - I ruoli di 7 delle figure coinvolte: delle 12 complessive abbiamo tolto quelle di natura commerciale.

11/07/2015Pag. 72 N.415 - lug/ago 2015 Nuova Finestra

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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 13/07/2015 70

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SCENARIO ECONOMIA

57 articoli

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la lezione che non va sprecata Danilo Taino L a tentazione sarebbe sostenere che il referendum di domenica scorsa in Grecia è stato irrilevante. La

vittoria è stata schiacciante per i No ma ha prodotto il risultato per il quale hanno votato i Sì: Alexis Tsipras ha

presentato ai creditori una proposta quasi identica a quella che aveva invitato gli elettori a rifiutare. Sarebbe

però parziale fermarsi a questo. Il referendum e la successiva kolotoumba di Tsipras - così chiamano i greci

la capriola - sono stati devastanti dal punto di vista economico e potrebbero rivelarsi un errore fatale dal

punto di vista politico.

Sui mercati si fanno calcoli di ogni genere, in queste ore. Uno - sviluppato per esempio da Hugo Dixon di

BreakingViews - stima che le scorse due settimane abbiano distrutto il 4% del Prodotto interno lordo greco e

peggiorato il deficit pubblico del 2% del Pil: la chiusura delle banche, decisa in conseguenza della

convocazione del referendum, ha congelato l'economia. Visti su tempi un po' più lunghi, gli effetti della

stagione di Syriza al governo sono questi: a novembre, prima delle elezioni del 25 gennaio, il Fondo

monetario internazionale prevedeva che la Grecia sarebbe cresciuta quest'anno del 2,9%; ora, i calcoli che

vanno per la maggiore indicano una caduta del Pil nel 2015 del 3%; sei punti percentuali in meno.

A tene è tornata alla casella di partenza, ma con un'economia che a fine anno scorso dava segni di ripresa e

oggi è in netta recessione. Sul piano politico, la convocazione e la gestione del referendum hanno avuto due

effetti. Innanzitutto, hanno molto irritato gli altri 18 Paesi dell'eurozona: se nel mezzo di una trattativa cerchi la

prova di forza, significa che non vuoi più essere un partner ma un avversario - è stato il ragionamento di

molti, in Germania ma non solo. Sul piano interno, l'inutilità della mobilitazione di domenica scorsa presenterà

il conto, piuttosto prima che poi probabilmente.

Il referendum e lo scontro che ne è seguito hanno reso tutto più difficile. Riaprire le banche sarà un'impresa,

in qualsiasi modo vadano i vertici dei prossimi giorni per decidere un nuovo piano di aiuti ad Atene o la sua

uscita dalla moneta unica: anche nel caso di un accordo, avrebbero bisogno di un'immediata e massiccia

immissione di liquidità da parte della Banca centrale europea per rispondere alla domanda dei cittadini tenuti

a 60 euro al giorno per due settimane. I controlli sui movimenti di capitale resteranno probabilmente a lungo,

fino a che la situazione non si sarà stabilizzata. Il costo di rimettere sulle proprie gambe l'economia ellenica e

di riportare i conti pubblici sotto controllo è a questo punto molto maggiore di quello che era anche solo tre

settimane fa. Infine, la sfiducia dei membri dell'eurozona nei confronti del governo greco è così alta che,

anche di fronte al programma più rigido immaginabile, molti politici, soprattutto nel partito di Angela Merkel,

sono convinti che comunque Tsipras non rispetterà gli impegni: ragione per la quale non sarà facile

convincerli a sostenere un accordo e un alleggerimento del debito ellenico.

Niente, dunque, in questo weekend di vertici è scontato. Niente, però, è perduto, qualsiasi esito si profili.

Anzi. «Mai permettere che una buona crisi vada sprecata» - dicono gli anglosassoni. Per quanto il

referendum greco sia stato una sventura, è ormai storia passata: l'Europa ha vissuto una grande lezione, in

qualsiasi caso non la può sprecare .

Danilo Taino

@danilotaino

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11/07/2015Pag. 1

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/07/2015 72

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padoan: direzione giusta L'industria riparte Produzione a più 3% Melania Di Giacomo a pagina 41 ROMA Maggio porta numeri positivi per l'economia, sia per il risveglio dell'attività industriale, dopo mesi in cui

il segno «più» aveva caratterizzato le aspettative ma non sempre i dati effettivi, sia per l'occupazione. Ma se

la produzione, come rilevato dall'Istat, segna un svolta (+3%) rispetto allo stesso mese dello scorso anno, con

il massimo dal 2011, i numeri sul lavoro si prestano ad un'analisi più articolata sugli effetti del Jobs Act: c'è un

saldo attivo di quasi 185mila nuovi contratti, in gran parte però dovuto ai rapporti a tempo determinato e a un

certo aumento delle stabilizzazioni .

Il commento del premier Matteo Renzi è prudente, ma pone l'accento sull'«inversione» di tendenza: «I dati di

oggi sull'occupazione, la produzione industriale e la crescita sono ancora molto bassi rispetto a quello che

possiamo fare - ammette - ma molto più alti del recente passato, perché quando si fanno le riforme poi le

cose cambiano». Sulla stessa linea il ministro dell'Economia, Pier Carlo Padoan, che affida il suo commento

ad un tweet: «Ancora molta strada da fare ma stiamo andando nella direzione giusta».

Dai dati sui contratti del ministero del Lavoro emerge un modesto saldo attivo di soli 271 rapporti a tempo

indeterminato a maggio, tra nuove assunzioni (179.643) e cessazioni (179.372), a fronte di una crescita ben

più consistente (184.812) dei contratti a tempo determinato. C'è inoltre un forte incremento delle

stabilizzazioni(+43% rispetto a maggio 2014): le trasformazioni da tempo determinato a tempo indeterminato

sono state oltre 30mila contro le 21mila di aprile. Segno che le aziende stanno approfittando degli sgravi e del

Jobs Act per stabilizzare i vecchi rapporti di lavoro, mentre manca ancora l'auspicata inversione di tendenza

sull'occupazione. In un arco di tempo più ampio, i primi cinque mesi dell'anno, l'Inps col suo osservatorio sul

precariato rileva un incremento del 25,1% delle nuove assunzioni a tempo indeterminato (che sono state 760

mila), e delle stabilizzazioni, quasi 262mila, con un incremento del 20,5% rispetto alla stesso periodo dello

scorso anno. Ma in maggio è in leggero calo la quota dei nuovi rapporti a tempo indeterminato, passati al

41,5% dal 44,1%.

Il titolare del Lavoro, Giuliano Poletti, sottolinea il dato sulle stabilizzazioni come segnale «molto positivo»

anche per la qualità dell'impresa. «Non si registra una crescita stabile di nuova occupazione: è questo il

prodotto del Jobs Act», afferma invece la Cgil. Secondo la Uil l'aumento dei contratti andrà depurato dalla

«stagionalità», che infatti incide sull'aumento dei contratti a termine. E per il segretario Carmelo Barbagallo la

«produzione industriale migliora? Bene, ci sono tutte le condizioni per fare subito i contratti».

La produzione industriale riparte, calcola l'Istat, con un aumento dello 0,9% rispetto ad aprile e un tendenziale

di +3% sull'anno. Fa da traino il dato positivo del settore auto, +55,6%. Anche se Confindustria stima già un

calo dello 0,2% in giugno su maggio.

Melania DI Giacomo

© RIPRODUZIONE RISERVATA

IndustriaLa produzione industriale

ha evidenziato un aumento dello 0,9%

su aprile e un tendenziale di +3% sull'anno. Fa da traino il dato positivo delle auto, +55,6%. Ma Confindustria

stima già un calo dello 0,2% in giugno

LavoroDai dati sui contratti del ministero del Lavoro emerge un saldo attivo di soli 271 rapporti

a tempo indeterminato a maggio

a fronte di una crescita ben più consistente (184.812)

dei contratti

11/07/2015Pag. 1

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/07/2015 73

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/07/2015 74

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Intervista «Le nostre banche? Esposizione sotto il miliardo» Patuelli (Abi): ci sono ragioni geopolitiche per mantenere intatti i confini dell'euro Stefania Tamburello ROMA Sull'evoluzione della crisi greca, Antonio Patuelli ( foto ), presidente dell'Abi, l'associazione delle

banche italiane, ha dato forse la lettura più originale. Il referendum di Atene di domenica scorsa, e le

incitazioni a votare No del premier Alexis Tsipras, «mi hanno riportato alla mente i fatti della Conferenza di

pace di Parigi del 1919, dopo la Prima guerra mondiale, quando l'allora presidente del Consiglio Vittorio

Emanuele Orlando si alzò dal tavolo delle trattative per difendere Fiume italiana. Tornò in Italia da eroe ma

dopo due settimane tornò di nuovo a sedersi e il destino di Fiume lo conosciamo tutti».

Questo cosa vuole dire, che la Grecia sta per chiudere con l'Europa un accordo non dissimile da quello che

ha rifiutato per indire il referendum?

«Si, ma anche che tutta la vicenda non avrebbe potuto avere un esito diverso da quello che io ho sempre

pensato, cioè l'intesa e la permanenza della Grecia nell'euro. E questo non tanto per una questione

economica o di stabilità finanziaria - il bilancio della Grecia è poca cosa nell'eurozona - ma per una questione

geopolitica. Che è quella di mantenere intatti la solidarietà e i valori dell'Occidente. Rispetto per esempio alla

sfera di azione della Russia o alle minacce dell'Isis. Cosa che spiega pure l'interesse degli Usa e della Gran

Bretagna a mantenere intatti i confini della moneta unica. Ci sono in sostanza tre livelli di lettura: un livello

economico, uno istituzionale europeo, e uno di alleanze e relazioni internazionali».

Negli ultimi 5 mesi i negoziati con Atene hanno tenuto in tensione gli investitori e i mercati. Non ha mai

temuto e non teme possibili contagi?

«Anche dopo la vittoria del No all'Europa, nel referendum, i mercati non sono impazziti, il cambio euro-dollaro

si è anzi stabilizzato e - cosa ancora più importante - non si è interrotto il positivo andamento dell'export

italiano. Lo spread è stato tenuto sotto controllo dalla Banca centrale europea e la Borsa, dopo i primi due

giorni di calo, è tornata a crescere con i titoli bancari che sono ancora quotati circa ai massimi del 2015. Il

fatto è che in Italia la ripresa non si è fermata, gli indicatori positivi sono molti, e ora può solo dispiegarsi».

Parliamo delle banche. Il Financial Times ha sostenuto che gli istituti italiani abbiano incrementato negli ultimi

5 anni la loro esposizione verso la Grecia, a differenza per esempio di quelli francesi, ed è per questo che il

governo italiano, a differenza di quello di Parigi, è stato più severo nei negoziati con Atene. Che cosa

risponde?

«Attualmente le banche italiane, tutte, hanno un'esposizione complessiva inferiore al miliardo di euro, poco

più di 800 milioni. Cosa avevano prima, 500 mila euro? La cifra è talmente contenuta da far cadere ogni

ipotesi diversa».

Lei chiede un'Europa più forte, ma come presidente dell'Abi critica il governo europeo delle banche. Non c'è

contraddizione?

«Sono critico, perché occorre che ci siano regole uguali per tutti. Regole bancarie, finanziarie, di diritto

tributario e penale. E occorre che ci sia certezza nelle prospettive dei requisiti patrimoniali, e non il terremoto

continuo che c'è ora, con richieste continue, da parte dei diversi regolatori europei, di normative sempre più

stringenti e requisiti patrimoniali sempre più severi. E guardi che su questo punto siamo tutti d'accordo in

Italia, procediamo in parallelismo, governo, Banca d'Italia e banche».

E per l'Europa politica che cosa suggerisce?

«Un salto di qualità. I cinque anni di crisi greca non devono potersi ripetere. Bisogna dotare l'Europa di una

Costituzione per rafforzarla politicamente ed economicamente».

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Chi è

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Antonio Patuelli, 64 anni, è presidente dell'Associa-zione bancaria italiana dal 2013 Patuelli

è anche presidente della Cassa

di risparmio

di Ravenna

dal 1995

Foto: Non ho mai temuto il contagio Dopo il referendum il cambio euro dollaro si è stabilizzato e continua la

crescita dell'export italiano

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/07/2015 76

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La Lente Malacalza a un passo dal 20% in Banca Carige Fabrizio Massaro Che avesse incrementato la sua già pesante quota del 14,9% dentro Banca Carige era considerato un fatto

scontato: ieri Vittorio Malacalza ha anche svelato l'ammontare dell'ulteriore incremento, realizzato durante

l'aumento di capitale da 850 milioni di euro. Adesso la famiglia dell'imprenditore genovese è arrivata al 17%

consolidando così ulteriormente il ruolo di azionista di Carige. In più le azioni di Malacalza sono legate in un

patto di sindacato con la Fondazione Carige, attualmente all'1,96%, e così l'influenza complessiva sull'istituto

guidato da Piero Luigi Montani arriva al 18,96%. Il peso sulla banca si è già visto sulla decisione dell'istituto di

non cedere più la controllata del private banking Cesare Ponti, piano cui anche Malacalza era contrario.

L'istituto ligure vede comunque altri due poli importanti nell'azionariato: da un lato il patto tra Coop liguria,

Talea, Fondazione Cr Savona e Cr Carrara, che raccoglie il 4,17% del capitale e punta a conquistare alcuni

dei posti nel board; dall'altro l'imprenditore italo-nigeriano Gabriele Volpi che sarebbe salito a poco sotto il

6%. Al primo luglio, data di deposito nel registro delle imprese dell'attestazione della ricapitalizzazione, risulta

invece scesa allo 0,66% la quota di Generali Investments Sicav, che poco prima dell'aumento aveva

dichiarato di possedere il 5,1% di Carige.

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/07/2015 77

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Sussurri & Grida L'offerta Exor spiazza PartnerRe-Axis, assemblee rinviate (f.mas.) Di fronte al rialzo dell'offerta da parte di Exor - la holding degli Agnelli guidata da John Elkann (foto) -

il colosso della riassicurazione PartnerRe cerca di guadagnare tempo per migliorare a sua volta i termini

dell'ipotizzata fusione con Axis Capital con l'obiettivo di conquistare la maggioranza in assemblea e

respingere la proposta di Exor. Ieri PartnerRe e Axis hanno comunicato di stare «congiuntamente esplorando

il miglioramento dei termini della loro aggregazione» e per questo le assemblee straordinarie, già fissate per il

24 luglio, sono state posticipate al 7 agosto. Per Exor è un ostacolo in più ma anche un assist da sfruttare:

«PartnerRe ha riconosciuto la superiorità della proposta vincolante di Exor mettendo in dubbio le condizioni

contrattuali del proprio accordo di fusione con Axis», ha subito replicato la holding torinese, ribadendo di

«restare impegnata nel portare a compimento la proposta a beneficio di tutti i soci di PartnerRe» - quelli

ordinari ma soprattutto questi privilegiati - e per questo li «esorta a votare nella scheda di delega contro tutte

e tre le proposte legate alla transazione con Axis» .

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Per Mingrone dopo Siena c'è Unicredit

(f.mas.) Da tre anni fa la spola tra Siena, Bruxelles e Francoforte per tirare le fila dell'intricatissimo

salvataggio del Montepaschi. E non è stato un compito facile quello di Bernardo Mingrone, 41 anni, cfo e

vicedirettore generale dell'istituto, di fatto il numero due del ceo Fabrizio Viola. Ha seguito i due aumenti di

capitale da 8 miliardi totali, la negoziazione con la Ue sugli aiuti di Stato, il braccio di ferro sui derivati

Santorini (con Deutsche Bank, poi chiuso) e Alexandria (con Nomura, ancora aperto). L'integrazione con

un'altra banca sarà il tassello finale del salvataggio di Mps, e a quel punto i manager avranno portato a

termine la missione. Il presidente Alessandro Profumo ha già detto che lascerà nelle prossime settimane. Ma

anche Mingrone, secondo fonti finanziarie, potrebbe fare ritorno nella banca dalla quale era partito alla volta

di Siena: Unicredit, dove era cfo e capo della strategia di Pioneer, nell'ambito del team del capo della finanza

Marina Natale. Non ci sono date fissate, ma in piazza Aulenti non escludono il rientro .

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Carife, chiesti 100 milioni

agli ex vertici

(f.ch.) Dopo la richiesta di risarcimento danni da quasi 300 milioni per gli amministratori di Banca Marche, ora

è la volta della Cassa di risparmio di Ferrara: un'azione di responsabilità con una richiesta di risarcimento da

309 milioni è stata notificata a 31 persone tra ex amministratori, sindaci, direttori generali e società di

revisione, da parte dei commissari straordinari della Banca d'Italia. Al tribunale di Bologna, sono stati chiesti,

però, soltanto 100 milioni di risarcimento «per ragioni di opportunità - spiegano - tenuto conto delle cifre

assolutamente rilevanti in gioco e del rischio connesso alla possibile infruttuosità dell'eventuale azione di

recupero» .

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/07/2015 78

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Il Jobs act non basta un'agenda per crescere davvero Angelo Panebianco L a cosiddetta «austerità», quell'ordine teutonico che secondo i critici più accesi la Germania avrebbe

imposto a tutta l'Europa, è fin qui andata incontro a due diverse obiezioni. La prima è quella di tipo greco

(almeno fino all'attuale, apparente, rinsavimento di Tsipras) e si sostanzia nella rivendicazione del diritto di

espandere ad libitum la spesa pubblica. È il senso, l'unico possibile, delle polemiche contro l'austerità dei vari

ammiratori europei (italiani inclusi) dell'attuale governo greco. La seconda obiezione è quella di chi chiede più

margini allo scopo di fare politiche pro sviluppo (che significa, prima di tutto, tagliare le tasse là dove sia

vigente un regime di tasse alte). È sperabile che sia questo, e non altro, ciò che intende il primo ministro

italiano quando, come ha ripetutamente fatto in queste settimane, dichiara la sua insoddisfazione per la

politica di austerità. In realtà, non ci sarebbe nemmeno bisogno di chiedere una revisione delle politiche

europee per innestare la marcia dello sviluppo se si avesse la forza per ridurre significativamente la spesa

pubblica, al fine di ricavarne le risorse necessarie per diminuire la pressione fiscale. Ma poiché quella forza il

governo italiano non la possiede (abbiamo visto che fine ha fatto la spending review) non resta che cercare a

Bruxelles l'allentamento dei vincoli che è necessario per tagliare le tasse. Renzi è in difficoltà. I segnali di

ripresa economica ci sono ma sono ancora troppo timidi. Egli rischia, tra pochi mesi, di concludere il suo

secondo anno come capo di governo senza che ci sia stato un serio rilancio economico.

Il Jobs act è stato un ottimo provvedimento ma da solo non basta. Possiamo immaginare una specie di

«triangolo delle Bermude»: i Paesi che si trovano al suo interno, che non riescono a uscirne, non hanno

possibilità di sperimentare un forte sviluppo. Il primo lato del triangolo è costituito da un regime di tasse alte; il

secondo lato, da una estesissima area di intermediazione pubblica; il terzo lato, infine, da una cultura anti-

impresa che permea l'amministrazione e la giurisdizione. Se così è, agire soltanto sul primo lato del triangolo

(abbassare le tasse), ancorché necessario, non è sufficiente per rimettere in moto lo sviluppo. Bisogna anche

agire sugli altri due lati, e qui le resistenze, sia politiche che culturali, possono essere fortissime: così forti da

far considerare, al confronto, le proteste sindacali per la riforma della scuola come una timida, composta, e

solo accennata, manifestazione di dissenso.

Ridurre l'area dell'intermediazione pubblica, abnormemente cresciuta nell'ultimo trentennio, è difficilissimo (e

difatti, fino ad ora, non si sono visti segnali significativi che vadano in quella direzione). Ridurre la «presa»

dello Stato centrale, nonché dei poteri locali, sull'economia non è soltanto una questione di contrazione della

spesa. Implica anche un cambiamento nei meccanismi di regolazione pubblica, significa mettere le mani su

un sistema normativo soffocante i cui controlli sulle attività dei cittadini, non soltanto economiche in senso

stretto, hanno portato zero vantaggi in termini di lotta alla devianza (ogni giorno nascono nuove inchieste

giudiziarie, come e più di prima) ma anche costi economici, palesi e occulti, assai alti. Si noti che se non si

agisce su questo versante, se non si riduce la presenza dello Stato nella vita economica e sociale, allora

anche ogni eventuale contrazione del peso fiscale non potrà che essere temporanea: presto o tardi, le

necessità di finanziamento di un vorace sistema pubblico, centrale e locale, torneranno a imporsi esigendo, di

nuovo, più tasse.

Il terzo lato del triangolo riguarda la cultura anti-impresa prevalente nell'amministrazione e nella giurisdizione.

Qui le cose sono ancora più difficili: una mentalità anti-impresa e, al fondo, anticapitalistica, si è incistata nel

corso degli anni in gangli vitali degli apparati dello Stato ed è difficile contrastarla anche perché essa può

contare sul sostegno di parti importanti dell'opinione pubblica. Prendendo lo spunto dal sequestro giudiziario

degli impianti di Fincantieri a Monfalcone e ricordando il grande pasticcio dell'Ilva di Taranto, Dario Di Vico (

Corriere , 1° luglio) ha innescato un salutare dibattito, che fortunatamente continua, sui rapporti fra

magistratura e impresa. Di Vico ricordava che nei casi di sequestro si manifesta sempre un «asse culturale»

tra la magistratura e le anime più radicali del sindacalismo. Per fortuna, il dibattito ha mostrato che ci sono

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magistrati consapevoli dei danni colossali per l'economia nazionale che certe azioni delle procure (ma anche,

possiamo aggiungere, certe sentenze dei Tar) possono comportare. E tuttavia non è facile rimediare. Non è

facile fare in modo che i rischi di impresa siano in Italia uguali a quelli che si corrono negli altri Paesi

occidentali. Non è facile impedire che, dalla sera alla mattina, azioni di sequestro mandino a gambe all'aria

imprese che, senza quell'intervento, continuerebbero a competere con successo nel mercato. Difficile far

nascere imprese, e anche attrarre investitori, dove la burocrazia esercita le sue consuete, tradizionali,

angherie e dove, soprattutto, la libertà di impresa non è affatto garantita, dove un improvviso provvedimento

di sequestro (per via giudiziaria come per via amministrativa) può condurre facilmente al fallimento.

Siamo al centro del triangolo ed è per questo che non possiamo crescere più di tanto. Chiunque riuscisse a

trascinarci fuori di lì meriterebbe eterna gratitudine.

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/07/2015 80

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L'intervista Tajani: tagliamo il debito, ma teniamoli dentro La Germania, con tutta l'Europa, deve fare uno sforzo per impedire il fallimento e un pericoloso contagio Mariolina Iossa ROMA «Ha ragione l'ambasciatore statunitense a Bruxelles, Anthony Gardner, il posto della Grecia è

nell'euro, non possiamo permetterci di far uscire la Grecia dall'Europa, per ragioni geoeconomiche e

geostrategiche».

Non ha dubbi Antonio Tajani, vicepresidente del Parlamento europeo, Forza Italia, fino allo scorso anno

commissario europeo per l'Industria e l'Imprenditoria, con Barroso: «Il negoziato deve andare a buon fine, la

Grecia va tenuta dentro».

Il ministro delle Finanze tedesco Dijsselbloem sostiene, però, che ancora non ci siamo. Eppure il nuovo

piano, proposto da Tsipras all'Ue, è parecchio oneroso.

«Vedremo, io sarò al summit a Bruxelles. Diciamo tutta la verità: la Grecia è entrata in Europa con i conti

truccati, hanno cercato di tirare avanti ma non ci sono riusciti. Detto questo, adesso l'Europa deve fare uno

sforzo».

Ma la Germania sembra inflessibile.

«La Germania ha fatto molti sacrifici e risanato i suoi conti. I conti vanno risanati, su questo non si discute.

Ma se vuole mantenere la leadership in Europa, la Germania, con tutta l'Europa, deve fare uno sforzo per

permettere alla Grecia di pagare i suoi debiti, meglio avere 9 su 10 che non prendere nulla. Se c'è da fare

qualche taglio al debito dei greci conviene farlo, per impedire il fallimento, e un pericoloso contagio,

Portogallo, Spagna, Italia...».

È sempre lo stesso braccio di ferro tra i difensori inflessibili della Troika e i sostenitori di interventi di sviluppo

e crescita. Lei da che parte sta?

«Sono sempre stato convinto che il risanamento non basta, ci vogliono azioni per rimettere in moto

l'economia reale. Altrimenti è come il caso del padre di famiglia che vuole pagare i suoi debiti ma sa già che

lunedì non andrà a lavorare, perché non ha lavoro».

Tutto questo vale per la Grecia ma vale anche per l'Italia?

«La Grecia deve essere credibile e affidabile ma non va messa con le spalle al muro. Vale per tutti.

Purtroppo, il sistema Italia è debole in Europa, c'è una scarsa abitudine a considerare Bruxelles come un'altra

capitale».

Anche in Italia c'è chi vorrebbe uscire dall'euro.

«La soluzione non è lasciare l'Europa ma ridare slancio all'economia. E qui sta l'importanza del rapporto

privilegiato con l'America. Va bene dialogare con Putin ma sono gli Usa il nostro partner privilegiato. E anche

su questo ha ragione l'ambasciatore Gardner: le regole del mercato nella globalizzazione, al quale non si può

sfuggire, o le facciamo noi o le fanno gli asiatici, la globalizzazione va governata, dobbiamo essere in prima

fila. Domani sarò a Washington per una serie di incontri ufficiali, si parlerà di tutto, dalla sicurezza alla lotta al

terrorismo, dalla situazione economica mondiale ai rapporti Russia-Ucraina. E si parlerà anche di Grecia».

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Foto: Antonio Tajani, 61 anni, vicepresidente del Parlamento europeo. È stato commissario Ue per l'industria

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/07/2015 81

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L'intervista «L'Italia non ama chi ha successo Se ti arricchisci diventi sospetto» Brian Cohen, finanziatore di start up: in Europa tanti talenti ma troppa paura di sbagliare I governi nonc'entrano con le start up: non servono, non vanno coinvolti In Europa vogliono esserlo Qui manca la culturadel rischio Quando un giovane vuole iniziare i genitori dicono: meglio un posto sicuro Puntare su chi ha ilpotenziale per sviluppare un progetto Un'idea brillante sfruttata male non vale nulla dal nostro inviato Massimo Gaggi NEW YORK «I l problema dell'Europa, rimasta indietro nelle tecnologie digitali, non è la mancanza di talenti.

È un problema culturale: vi manca la cultura del fallimento. Pochi provano. Troppa paura di sbagliare: da voi

chi fallisce è marchiato a vita. Qui, invece, riparte subito: riprova, mette a frutto la lezione appresa con

l'insuccesso. Ma, più ancora di questo, a voi manca la cultura del successo: se vinci la tua sfida e guadagni

parecchio non vieni celebrato, vieni avvolto dal sospetto: chi sta soffrendo per colpa tua? A chi hai fatto del

male mettendoti in tasca tutti quei soldi? Pensi di meritarli? Non dovresti darli a chi ne ha bisogno? Un

giovane imprenditore che ha successo deve quasi nasconderlo. È terribile».

Nell'universo dei talent scout e dei finanziatori delle imprese della Internet economy , Brian Cohen è un

personaggio molto particolare: dopo vent'anni passati tra giornalismo scientifico, comunicazione delle grandi

imprese (sua la celebre campagna dell'Ibm, quando il computer «Deep Blue» sfidò a scacchi il campione del

mondo, Kasparov), marketing e pubblicità, Cohen è diventato uno dei più attivi finanziatori di start up. Ed è il

presidente dei «New York Angels», una costellazione di 120 investitori, i più attivi della East Coast

americana. Celebre soprattutto come scopritore di Pinterest, del quale è stato il primo finanziatore, Cohen,

sempre in giro per il mondo a caccia di nuove idee e di imprese promettenti, vede nubi all'orizzonte per

l'Europa e anche per le grandi corporation che considera un modello di organizzazione della produzione

ormai superato.

Lo incontro negli uffici che ha a WeWork, un incubatore che ospita decine di start up in micro-uffici a basso

costo divisi da vetrate nel cuore del Meatpaking District , a un passo dal nuovo Whitney Museum di Renzo

Piano e dalla sede di Google a New York. Ha 55 anni, ma gira in maglietta con l'aria scanzonata e la curiosità

di un ragazzino, tra i giovani imprenditori che sono lì, in corsa contro il tempo, per sviluppare idee più o meno

brillanti.

Molti qui sono europei, come l'italiano Alberto Pepe. Lei è un finanziatore della sua Authorea. Cosa li porta

qui? Non è soprattutto la disponibilità dell'infrastruttura finanziaria Usa?

«Vengono perché qui c'è un grande mercato delle imprese e gente che sa valutarle: ho appena finito un

incontro con le start up svizzere. Domani tocca a quelle francesi. La settimana scorsa ho visto quelle

spagnole. E seguo con attenzione anche quelle italiane. L'Italia, poi, la amo per mille altre cose: cultura,

luoghi, modo di vivere. Ci vado spesso, appena posso. Vado ovunque, dalle Marche alla Sicilia. Ma non si

può essere accecati dall'amore. Il disprezzo per il capitalismo che è diffuso da voi non è soltanto un dato

politico. È anche un freno alla crescita. Manca la cultura del rischio, del fare impresa. Un ragazzo che vuole

iniziare una sua attività spesso si sente dire dai genitori che è meglio trovare un impiego sicuro in un'azienda

o nel settore pubblico».

Niente garage come quelli di Bill Gates o Steve Jobs, in Europa, certo, ma...

«Guardi, pensavo che questo della scarsa cultura del successo fosse uno stereotipo. Poi, viaggiando,

visitando, parlando, mi sono reso conto che non è così. Sono appena tornato dalla Corea, ma prima avevo

fatto un giro in Europa. A Bruxelles mi hanno organizzato un incontro con gli ambasciatori dei Paesi della Ue.

Mi chiedevano come si fa ad avere successo con le start up. Ma anch'io avevo molto da chiedere loro e ho

avuto conferma dei miei sospetti. I governi non c'entrano nulla con le start up: non servono, non vanno

coinvolti. Invece in Europa vogliono essere coinvolti. A due livelli. Quello delle regolamentazioni, certo, ma poi

c'è quella visione sociale o socialista - l'impresa o il governo che si devono prendere cura di te - che crea un

ambiente ostile alla cultura delle start up. Che, però, sono destinate a giocare un ruolo sempre più rilevante in

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/07/2015 82

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tutte le economie. Chi non lo capisce resta indietro».

Noi le start up siamo abituati a considerarle una nicchia. Dinamica, ma pur sempre nicchia. Che crea servizi

innovativi ma poco lavoro.

«La corporation è un'invenzione. Mica esisteva in natura. Tanta gente messa insieme a lavorare con uno

scopo: realizzare un prodotto in anni in cui queste attività richiedevano infrastrutture molto pesanti. Oggi in

molti settori non è più così. Anni fa uscì un libro: "Me Inc". La società individuale, i brand personali:

sembravano idee stravaganti. È successo: ci sono start up come Smart Toothbrush e Toothwitz che

producono spazzolini da denti migliori e meno costosi di quelli di Colgate. I giganti assaliti dalle microimprese.

Hai presente "Morte per mille tagli"? Sta succedendo, e non è una storia cinese».

La crisi della grande impresa la vediamo già. Ma un mondo fatto di piccole aziende, una specie di artigianato

digitale, è difficile da immaginare.

«I "big" hanno solo un modo per sopravvivere. Hanno ancora molti soldi: possono usarli per comprare start

up che, così, diventano un loro centro ricerche. Molti lo stanno già facendo. Bisogna cambiare in fretta. Anche

l'Europa ne avrebbe bisogno, ma temo che non ce la farà. Pesano vecchi sistemi difficili da abbandonare

come quello delle pensioni. In America un sistema pensionistico privato quasi non esiste più. Da voi gli

anziani si aspettano di incassare il loro assegno a vita. I giovani capiscono che non è più così, che è un

vecchio modello, ma non possono cambiare le cose, almeno per ora».

Torniamo tra gli angeli. Come sceglie le aziende sulle quali puntare?

Prima di rispondere, Cohen indica con un gesto il naso e le braccia. «Fiuto e abbracci. Se fai questo lavoro di

ricerca con intensità, sviluppi un fiuto per le buone idee. E, instaurando un rapporto umano con quelli che le

propongono, capisci se sono in grado di trasformare l'intuizione in un'impresa che funziona. La possono far

crescere? La sapranno guidare? Noi non investiamo in idee, investiamo nella loro esecuzione. Un'idea

brillante sfruttata male non vale niente».

La «next big thing»? Il business del futuro?

«Non c'è una risposta secca: io dico i servizi per la salute in un mondo che invecchia e nel quale tutti vogliono

restare giovani. Il cervello e l'estensione delle capacità sensoriali. E poi la mobilità, ma è banale: sono già tutti

sull'auto che si guida da sola. Cinque anni fa sembrava il sogno di gente ingenua, adesso c'è. Molte cose

vecchie torneranno a essere nuove perché dovranno essere reinventate per il nuovo mondo delle

comunicazioni mobili».

E i suoi figli in questo nuovo mondo che fanno?

«Ne ho tre: 25, 26 e 29 anni. Hanno tutti già creato le loro prime start up. Il più grande ne ha anche venduta

qualcuna».

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Chi èBrian Cohen, 55 anni,

è il presidente di «New York Angels», una costellazione di più di 120 investitori

tra i più attivi della East Coast americana.

Per vent'anni ha lavorato

nel mondo del giornalismo, della comunica-zione per grandi imprese e del marketing pubblicitario. Oggi

Cohen è uno dei

più attivi finanziatori

di start up È stato

il regista

della famosa

sfida

tra un computer dell'Ibm,

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/07/2015 83

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Deep Blue,

e il campione di scacchi Kasparov La sua «New York Angels»

ha sede a New York. Fornisce capitali alle imprese nelle fasi iniziali. I suoi membri investono fra 250.000 e

1.000.000

di dollari.

Dal 2003

ha elargito circa cinquanta milioni di dollari

a più di sessanta aziende

La parola

start upCon questo termine si indicano aziende fondate da poco tempo che generalmente lavorano sul web o nel

settore delle tecnologie dell'informazione. Guidate e fondate (spesso) da giovani imprenditori, sono finanziate

da investitori o «venture capitalist» che credono nel progetto e decidono di puntare somme di denaro che

vanno dalle poche migliaia sino alle decine di milioni di euro. Alcune capitali europee, come Berlino e Londra,

hanno creato dei veri e propri «hub», attirando giovani imprenditori e creativi. © RIPRODUZIONE

RISERVATA

Foto: Imprenditore Brian Cohen fondatore di «New York Angels»

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/07/2015 84

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La Lente Lo studio Confartigianato: 752 complicazioni in 2.429 giorni Sergio Rizzo s

i continuano a promettere semplificazioni ma la realtà italiana, almeno in campo fiscale, va purtroppo in

direzione esattamente contraria. La Confartigianato ha calcolato che nei 2.429 giorni intercorsi fra l'inizio della

scorsa legislatura e il 31 dicembre 2014 sono state emanate 752 nuove norme, ben 468 delle quali hanno

complicato ancora di più la vita alle imprese e ai cittadini. Al ritmo di una complicazione ogni 6,6 giorni. Tutti

gli sforzi sembrano scontrarsi con una burocrazia infernale, la cui unica missione, fa capire l'organizzazione

degli artigiani, sembra proprio quella di produrre ostacoli. La delega fiscale, per esempio. Gli esperti della

Confartigianato hanno stimato che per rendere applicativi tutti i principi in essa contenuti servirebbero almeno

20 decreti legislativi, rispetto agli 11 già varati dal governo o che sono in preparazione. Dal che si deduce che

il grado di attuazione della delega, a oltre un anno dall'approvazione della legge e a pochi giorni dalla

scadenza della stessa delega, si attesta a poco più della metà. Ma se si considerano i provvedimenti di

interesse delle piccole imprese, ecco che allora non si arriva nemmeno al 50%. Esattamente al 47,9%. Il fatto

è che il nostro sistema è precipitato da troppo tempo in un gorgo normativo apparentemente senza uscita,

tale per cui a ogni norma fiscale eliminata corrisponde la produzione di 4,7 nuove disposizioni. Sempre

secondo i calcoli della Confartigianato la pressione fiscale nel nostro Paese supera di 1,8 punti il valore

medio della zona euro. Paghiamo ogni anno qualcosa come 29 miliardi e 62 milioni più di quella media, il che

significa un carico di tasse supplementare di 476 euro per ogni cittadino italiano, neonati compresi.

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6,6 giorni , il tempo passato in quest'ultima legislatura tra una norma varata e la successiva. Per la

Confartigianato il risultato è troppa burocrazia

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/07/2015 85

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INTERVISTA A COHN-BENDIT «Il dogma dell'austerità» Stefano Montefiori D aniel Cohn-Bendit, dalle barricate del '68 alla leadership ecologista, parla al Corriere della Germania: «Fa

una politica contabile ispirata a un'ideologia rigida». a pagina 9

PARIGI «Coscienti o meno, stiamo andando verso un'Europa delle Nazioni, orientata dagli egoismi nazionali.

La migliore prova di questa tendenza è stata il comportamento degli Stati europei di fronte al problema dei

rifugiati. Not in my backyard , non nel mio cortile, questa è la posizione di molti Paesi membri, Francia

compresa, riguardo ai migranti. La nozione di solidarietà è estranea al dibattito di questi giorni. Questa è

l'Europa delle Nazioni».

Apolide alla nascita in Francia nel 1945, tedesco a 14 anni, francese a 70 (dal 22 maggio scorso), Daniel

Cohn-Bendit è uno di quegli europei che l'Europa ha davvero provato a farla, sulle barricate nel maggio '68 e

da leader ecologista sui banchi del Parlamento di Strasburgo. In «Per l'Europa! Manifesto per una rivoluzione

unitaria» (Mondadori), scritto assieme al liberale belga Guy Verhofstadt, Cohn-Bendit tre anni fa cercava di

dare una scossa federalista. Oggi guarda deluso le sue capitali, Parigi e Berlino, dividersi sulla Grecia e

quindi sul futuro del continente.

Come spiega la rigidità della Germania verso la Grecia? Cosa c'è nella storia tedesca che porta a questa

chiusura?

«Oggi la politica tedesca è tutta rivolta all'opinione pubblica, che è a sua volta concentrata sugli interessi della

Germania. Una politica contabile ispirata a una ideologia rigida: solo risanando i conti pubblici l'economia può

funzionare, e il prezzo di questo risanamento va pagato».

Ma perché accade questo?

«Ci sono sicuramente delle ragioni storiche, la Germania del dopoguerra si è costruita sul Deutsche Mark, su

una moneta forte, simbolo della sua rinascita. Ma se siamo arrivati fino a questo punto credo ci siano anche

banalmente delle ragioni psicologiche, personali. I politici si comportano come dei bambini. "Ha cominciato

lui, no lui, tu mi hai insultato, no sei stato tu". Quel che i responsabili greci non hanno capito è che attaccando

il ministro delle Finanze Schäuble hanno ottenuto l'effetto di mobilitare una parte dell'opinione pubblica

tedesca contro di loro. C'è una parte di voglia di rivincita, il desiderio di dare una lezione, nella durezza e

nella cattiveria della posizione del ministro Schäuble. "C'è un problema di fiducia", dice, ma che vuol dire? Chi

deve avere fiducia in chi? I francesi non hanno fiducia nei tedeschi quando si tratta, per esempio, di battersi

contro l'integralismo islamico o contro l'Isis o quando si inviano truppe in Mali. Ogni Paese può dire ormai

"non ho fiducia" in un altro Paese su un dato argomento».

Perché la Francia è così vicina alla Grecia in questo momento, a costo di mettere alla prova l'asse franco-

tedesco?

«Anche François Hollande ha delle ragioni di politica interna. L'opinione pubblica francese è molto più filo-

ellenica di quella tedesca».

Da cosa dipende questa differenza nelle opinioni pubbliche di Francia e Germania?

«Intanto prendere in contropiede la Germania piace molto a una parte dell'opinione pubblica francese, poi c'è

da sempre in Francia questo lato di solidarietà con il più debole. La questione che si pone oggi è: Hollande,

Renzi, Rajoy, Merkel e gli altri possono avere una visione storica, o una visione contabile? Se prevarrà una

visione puramente contabile siamo perduti».

Renzi ha appena ripetuto appunto che l'Europa non può ridursi a una questione di conti e burocrazia.

«Ma allora Renzi si batta assieme a Hollande e Juncker, lotti duramente durante le riunioni. Negli incontri dei

ministri delle Finanze l'Italia finora non ha fatto sentire abbastanza la sua voce».

Se la Germania è così severa, è perché punendo la Grecia vuole educare Francia e Italia?

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/07/2015 86

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«È quel che sostiene Varoufakis nell'intervento che ha scritto per il Guardian . Il tono è sbagliato ma l'analisi

giusta: Schäuble vuole dare un esempio a tutti, perché i mercati sappiano che l'euro è una moneta forte, che

l'Europa non ha paura di amputare un dito andato in cancrena affinché la mano resista».

Così com'è l'Europa non funziona, è ormai evidente. Questa crisi potrà essere trasformata in un'occasione di

rilancio?

«Mi pare molto difficile. Guardiamo per esempio ai finlandesi, che hanno nel governo il partito dei "veri

finlandesi", l'equivalente della Lega italiana. Come possiamo fare una nuova Europa se al governo ci sono

partiti simili alla Lega? In momenti storici di questa gravità ci servirebbero uno Schumann, un de Gasperi, dei

politici che in nome di un'idea e una visione dell'Europa fossero capaci di guidare i loro popoli. Ma se

restiamo al rimorchio dei popoli... Queste occasioni dimostrano che la vecchia teoria della sinistra, cioè che

sono le masse a fare la Storia, non regge. Sono le personalità che fanno la Storia, e se queste non sono

all'altezza, i popoli sono destinati a mancare l'appuntamento».

Anche i capi di Stato che denunciano regolarmente i pericoli del populismo ne sono ormai condizionati?

«Esattamente. Hanno paura, vogliono guadagnare due punti nei sondaggi, Merkel non vuole irritare i

contribuenti tedeschi, Hollande vuole posizionarsi per le prossime elezioni. Tutti hanno un'agenda nazionale.

Solo questo conta».

@Stef_Montefiori

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ProfiloDaniel Cohn-Bendit, 70 anni, è uno scrittore e politico. Nato apolide da padre tedesco e madre francese,

scelse la cittadinanza tedesca per evitare il militare in Francia. Si definisce «cittadino europeo»

Coscienti o meno, stiamo andando verso un'Europa delle Nazioni, orientata dagli egoismi nazionaliOggi la politica tedesca è tutta rivolta all'opinione pubblica, che è a sua volta concentrata sugli interessi della

Germania

C'è una parte di voglia di rivincita, il desiderio di dare una lezione, nella durezza e nella cattiveria del ministro

Schäuble

Merkel non vuole irritare i contribuen-ti tedeschi, Hollande vuole posizionarsi per le prossime elezioni. Tutti

hanno un'agenda nazionale

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/07/2015 87

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retroscena IL CASO DEL Comando Generale Pressioni, favori La guerra segreta della Finanza Fiorenza Sarzanini «N on è che sto lì a fare il comandante in seconda. Io mi vado a incatenare davanti a Via XX Settembre»:

così parlava il 28 gennaio 2014 il generale Michele Adinolfi. E invece un anno e mezzo dopo, esattamente

lunedì 6 luglio, è diventato comandante in seconda, vice di Saverio Capolupo. Cioè l'uomo che aveva cercato

in ogni modo di ostacolare rivolgendosi a politici e ministri - come lui stesso racconta - per impedire che

rimanesse al vertice della Guardia di Finanza. È l'effetto paradossale di una legge che impone la nomina

automatica del generale più anziano. E tanto basta per comprendere quale sia il clima che si respira in

queste ore all'interno delle Fiamme gialle .

Quanto alto sia il livello di tensione che segna le decisioni di un comandante consapevole di potersi ormai

fidare di pochissime persone. Alla scadenza del suo mandato mancano nove mesi, ma quel che potrà

accadere sino ad allora nessuno è in grado di prevederlo. Perché i giochi si sono riaperti, le rivalità interne

appaiono ora più che mai evidenti e il rischio forte è quello di una lacerazione dei rapporti tra i vertici che può

avere effetti negativi sull'intero Corpo.

Svariate nomine sono state decise nelle ultime settimane, ma per comprendere davvero che cosa stia

accadendo bisogna tornare a tre mesi fa, e sviluppare la trama emersa in un'inchiesta penale che

coinvolgeva Adinolfi soltanto marginalmente e invece l'ha fatto tornare, suo malgrado, protagonista.

La visita al Pd

È il 3 aprile quando i giornali pubblicano stralci dell'informativa dei carabinieri del Noe depositata dai

magistrati di Napoli dopo gli arresti dei responsabili della Cpl Concordia. Nel documento si evidenzia «la

reazione del generale Michele Adinolfi rispetto alla proposta di proroga del generale Saverio Capolupo come

comandante della Finanza, manifestando il proposito di non rassegnarsi così facilmente». Ma anche «il fatto

che, alla vigilia della proposta di nomina in Consiglio dei ministri del comandante generale della Finanza,

Adinolfi si sia recato nella sede di un partito politico (il Pd, ndr ) entrando, peraltro, volutamente dalla porta

laterale e secondaria». Si fa cenno a «conversazioni del generale con Matteo Renzi e con Luca Lotti» -

compreso l'invio di numerosi sms - ma i colloqui sono coperti da omissis e dunque non se ne conosce il

dettaglio.

Ufficialmente Capolupo non ha alcuna reazione, Adinolfi invece smentisce pubblicamente di aver ordito

qualsiasi manovra. Non basta. I rapporti già tesi tra i due diventano gelidi, ai vertici di via XX Settembre

appare chiaro quel che fino ad allora si era soltanto sospettato. La «manovra» che qualcuno aveva ipotizzato

per evitare che Capolupo ottenesse una proroga del suo mandato adesso si mostra nella sua evidenza,

anche se mancano dettagli e non si sa con precisione chi abbia aiutato Adinolfi a tessere la tela dei rapporti

politici. C'è soddisfazione per il fatto che Renzi non abbia comunque ceduto alle «pressioni», rimane il

problema per il comandante di individuare di chi potersi davvero fidare.

Il capo di stato maggiore

La tensione si riverbera anche in altri settori. Capolupo conta su alcuni fedelissimi, ma appare indebolito. Ci

sono numerosi dossier aperti, la squadra che lo affianca talvolta non sembra assecondare pienamente le sue

direttive. Il generale capisce che forse è arrivato il momento di effettuare alcuni avvicendamenti. Il capo di

stato maggiore Fabrizio Cuneo, viene destinato al comando aeronavale centrale - dove intanto era andato

Adinolfi - e lascia il posto a Giancarlo Pezzuto che con Capolupo ha già collaborato a Milano ai tempi di Mani

Pulite. La nomina a vicecapo dell'Aisi, una delle due agenzie dei servizi segreti, di Vincenzo Delle Femmine

consente invece di far tornare a Roma in un ruolo strategico come la guida dei Reparti speciali, Luciano

Carta, generale apprezzato e stimato da tutti. Altri incarichi ritenuti importanti per la tenuta e la stabilità della

Guardia di finanza - ad esempio il comando Regionale del Lazio affidato a Bruno Buratti - sono stati già

decisi. Ma la partita non è chiusa, come del resto dimostra quanto emerso proprio dalle carte processuali di

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/07/2015 88

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Napoli.

La scorsa settimana, quando il Fatto Quotidiano pubblica l'intercettazione di Adinolfi che parla con Renzi del

governo guidato all'epoca da Enrico Letta e quelle in cui si raccomanda agli uomini del suo entourage per

diventare comandante generale, si svela che cosa è accaduto un anno fa. E si conferma la solidità di rapporti

e amicizie consolidati nel corso degli anni sul quale il generale continua a contare. Le nuove carte depositate

a Napoli, questa volta senza omissis delineano i contorni della trama e i suoi protagonisti.

«Ci vediamo all'ispettorato»

Ci sono dettagli che spiegano più di mille parole. E sono in molti tra gli ufficiali di vertice ad aver notato

quanto si sia impegnato per Adinolfi, il generale ora in pensione Vito Bardi, finito due volte sotto inchiesta a

Napoli e poi uscito indenne dalle accuse. Ma anche la familiarità con il generale Giorgio Toschi, il

comandante dell'ispettorato istituti di istruzione, fratello di Andrea Toschi, l'ex presidente della banca Arner

arrestato nell'ambito dell'inchiesta sulla holding di partecipazione finanziaria Sopaf. Il 17 gennaio, proprio nei

giorni di massima agitazione per l'imminente proroga di Capolupo, i carabinieri intercettano una telefonata e

annotano: «Bardi chiama Adinolfi e gli dice: "mi diceva coso che alle 6 sei lì all'ispettorato... poi alle 8

andiamo a prendere le signore". Dicono che andranno ala Taverna Flavia "tanto per stare un po' insieme".

Adinolfi dice che sarà "all'ispettorato alle 5.30"». Gli investigatori accertano che la riunione all'ispettorato

avviene proprio nell'ufficio di Toschi e la sera i tre vanno a cena con le mogli. Nel ristorante viene piazzata

una microspia, l'argomento affrontato è sempre lo stesso: la rimozione di Capolupo.

Del resto appena qualche giorno prima Adinolfi lo aveva detto chiaramente anche a Dario Nardella, uno degli

uomini più vicini a Renzi e all'ex capo di gabinetto del ministero dell'Economia Vincenzo Fortunato. E se l'era

presa con l'allora ministro Fabrizio Saccomanni: «Io non ci vado più, voglio che il ministro lo ascolti, mi sono

fatto sentire da ben altri ministri e lui lo sa». Ancor più esplicito era stato in un sms inviato a Luca Lotti:

«Siamo tutti senza parole, un ministro che non si sa se resta, che sei mesi prima porta in consiglio una

nomina di questa portata».

Adinolfi e Capolupo ora convivono sullo stesso piano al comando generale. I loro uffici sono divisi da un

lungo corridoio. La partita per la successione appare ancora tutta da giocare.

Fiorenza Sarzanini

[email protected]

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Saverio Capolupo, 64 anni, irpino, da giugno 2012 è comandante generale della GdF. Confermato a gennaio

2014 Michele Adinolfi, 62 anni, di Afragola (Na), da luglio è comandante

in seconda delle Fiamme gialle Giancarlo Pezzuto, 52 anni, nato

a Squinzano (Le), è il nuovo capo di

stato maggiore delle Fiamme gialle Fabrizio Cuneo, nato a Novara

nel 1961, ex capo di stato maggiore,

è a capo del comando aeronavale Giorgio Toschi, 60 anni, di Chieti, generale, è ispettore per gli istituti

di istruzione della Finanza Vito Bardi, 63 anni, di Potenza,

è stato comandante in seconda

della Guardia di Finanza

Il ruoloIl corpo della Guardia di Finanza si avvale di una struttura composta da un Comando generale, che ha il

compito di definire gli indirizzi strategici, e Reparti speciali, unità

istituite per l'investigazione Ci sono anche un Comando aeronavale centrale e una serie di Unità territoriali

distribuite in ogni realtà locale con il compito di mantenere la sicurezza economico-finanziaria I presidi

territoriali delle Fiamme gialle sono 63, i Nuclei di polizia tributaria 103, 210 le Tenenze e 52 le Brigate

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/07/2015 89

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crescono quelli nazionali USO (e abuso) DEI CONTRATTI Dario Di Vico Negli anni 2008-2014, in piena Grande Crisi, c'è qualcosa che è cresciuto moltissimo: il numero dei contratti

nazionali. Passati da 398 a 707, e piegati a un uso distorto. a pagina 15

MILANO L'acronimo è Ccnl e sta per contratto collettivo nazionale di lavoro e da sempre nelle relazioni

industriali svolge una funzione unificante. Almeno nelle intenzioni dovrebbe pareggiare le condizioni tra chi

lavora in un ambito fortemente sindacalizzato e chi no, tra chi è dipendente di una grande impresa e chi di

una piccolissima. Ma se i Ccnl continuano a moltiplicarsi la funzione resta sempre la stessa? O in realtà

siamo in presenza di un uso distorto dei contratti, stipulati addirittura con altri fini?

Ad aprire la polemica è un'indagine, ultimata in questi giorni dall'ufficio studi della Cisl, secondo la quale

basandosi sui dati Cnel negli anni tra il 2008 e il 2014 il numero dei contratti nazionali che era già robusto

(398 all'inizio del periodo) è esploso a quota 707 e ciò nonostante il periodo coincida con la Grande Crisi e

quindi con un ciclo di relazioni industriali basse. In virtù di questi numeri sorprendenti se prima c'era un Ccnl

ogni 47 mila occupati oggi siamo arrivati a un rapporto 1 a 26.000.

Ma come si è prodotta questa proliferazione? La prima causa sta nell'attività delle sigle sindacati non

confederali come Ugl, Confasal, Cisal, Ciu, Usae, Cse, Fismic o Cub. Queste organizzazioni di fatto

duplicano i contratti firmati dai confederali, molto spesso senza variazioni sostanziali ma in sede separata. In

questo modo senza quasi mai farsi carico del negoziato, della mediazione e tantomeno del confronto con i

lavoratori firmano i contratti come obiettivo intermedio che serve ad avere accesso ad altri istituti e risorse

come quelle riservate ai patronati, ai centri di assistenza fiscale o dispensate dagli enti bilaterali. È chiaro

come i Ccnl siano di fatto strumentali alla perpetuazione di sigle sindacali residuali e favoriscano la nascita di

nuove. Anche sul versante dei datori di lavori succede qualcosa del genere: la rappresentanza invece di

andare verso logiche di unificazione si spezzetta ed emergono una serie di associazioni new entry che

puntano (e ci riescono) a firmare un Ccnl per legittimarsi. Le sigle sono sconosciute ai più e più di una

trentina fanno capo alla Esaarco, una galassia datoriale guidata da Giovanni Centrella, ex leader del

sindacato Ugl.

Fin qui siamo rimasti in piena giungla contrattuale alla mercé di soggetti improvvisati, la proliferazione dei

contratti però riguarda anche Cgil-Cisl-Uil ovvero il cuore della rappresentanza del lavoro dipendente.

Spiega Gabriele Olini dell'ufficio studi Cisl: «Nonostante il tentativo di operare in senso opposto (e virtuoso)

ovvero cancellare alcuni Ccnl - per la precisione 29 - nel periodo 2008-14 le tre centrali sindacali hanno

stipulato 58 nuovi contratti. Addirittura solo 14 per i dipendenti della pubblica amministrazione, 8 in più per le

attività finanziarie e assicurative, altri 8 nel settore dei trasporti e persino 2 nuovi contratti nel settore

metalmeccanico, già presidiato da 5 contratti».

L'aumento dei Ccnl riguarda soprattutto la piccola impresa, le costruzioni, l'agricoltura ma anche settori

industriali consolidati come la gomma-plastica. Tanto per capirci i lavoratori dell'ippica hanno 4 Ccnl e quelli

della Banca d'Italia addirittura 7. «È evidente che si pone un problema di rappresentanza da ambo i lati del

tavolo - commenta Gigi Petteni, segretario confederale della Cisl - Le imprese stanno cambiando e noi che

facciamo? Moltiplichiamo i vecchi contratti? Non è così che il sistema diventa più efficiente».

Anzi, si privilegiano le esigenze delle rappresentanze a scapito delle imprese, pur di tenere assieme apparti e

sigle si firmano documenti inutili. Solo carta. «La ricetta che proponiamo noi - insiste Petteni - è opposta.

Pochi contratti nazionali e tanto negoziato decentrato in azienda. Mettiamo l'economia reale davanti alle

burocrazie, anche perché è l'unico modo per rispondere alle esigenze di maggior reddito che vengono dai

lavoratori».

dariodivico

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Foto: Dall'alto, Susanna Camusso, Annamaria Furlan e Carmelo Barbagallo (rispettivamente leader di Cgil,

Cisl e Uil) che oggi si incontreranno sul nodo della rappresentanza 220 in percentuale , l'esplosione dei

contratti nel settore delle costruzioni

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Marcia indietro delle tasse locali, in 4 anni riscossioni giù del 38% Sono 4 mila i Comuni che già si affidano a società private e non più a Equitalia. La riforma del settore attesadal 2011 Andrea Ducci ROMA La riscossione dei tributi locali ha imboccato una discesa senza ritorno. L'andamento dei ruoli

incassati da Equitalia per conto dei comuni, nel periodo tra il 2011 e il 2014, ha segnato una flessione del

38%. Un passo mantenuto anche nel corso del primo semestre 2015: archiviato con un calo del 6,4%. Il ritmo

della caduta della riscossione viaggia ormai costantemente oltre il 10% all'anno. Tradotto vuol dire che

Equitalia quattro anni fa, su mandato degli enti locali, incassava tributi, multe e sanzioni per un valore pari a

1,43 miliardi di euro. Nell'ultimo bilancio della società, controllata dall'Agenzia delle Entrate e dall'Inps, il

valore è attestato a 1,06 miliardi. Un'emorragia solo in parte spiegabile con il fatto che, nel frattempo, molti

comuni si sono sganciati da Equitalia, affidando la riscossione coattiva a società private. A scegliere questa

soluzione negli ultimi quattro anni sono stati 1.682 municipi. Con Equitalia, dove da poche settimane è

arrivato il nuovo amministratore delegato, Ernesto Maria Ruffini, ne sono rimasti circa 4 mila. La metà dei

sindaci italiani, insomma, è già fuori dall'orbita della società e si affida ai privati o a società in house. Ma il

tasso di abbandono in quattro anni, per quanto alto, è stato del 30%. Otto punti in meno rispetto al calo dei

ruoli riscossi. Le maglie si sono allargate anche a causa di un quadro normativo incerto, a dispetto dei

proclami governativi contro l'evasione.

Dal 2011 si trascina la riforma della riscossione locale. Suona perciò beffardo il testo del decreto del 2013,

che impone «inderogabilmente» a Equitalia, entro il dicembre di quell'anno, di sospendere l'attività di gestione

e riscossione delle entrate dei comuni «al fine di favorire un riordino compiuto, ordinato ed efficace» del

settore esattoriale. In tutto si sono susseguite sei proroghe per congelare il trasferimento del ruolo di

gabelliere ai comuni. L'ultimo rinvio risale a tre settimane fa, quando dalla delega fiscale è stata tolta la

riscossione locale, prorogando Equitalia fino al prossimo 31 dicembre. Un contesto di precarietà che, oltre a

disorientare gli enti locali, ha finito per rendere meno efficace il ruolo stesso di Equitalia (nell'ultimo bilancio il

totale degli incassi complessivi da ruoli è in crescita, con l'eccezione dei ruoli comunali).

L'incertezza alimenta in Rossella Orlandi, direttore dell'Agenzia delle Entrate, il timore di un consistente

«esubero di personale» alla luce del passaggio di consegne nella riscossione. La soluzione sembra un

rompicapo: quattro anni di proroghe non sono serviti a scegliere tra un progetto dell'Associazione dei comuni,

ribattezzato AnciRiscossioni, o un consorzio tra l'Anci e la stessa Equitalia. Certo è che, intanto, il ruolo dei

privati in questo settore è stato contrassegnato da bancarotte per centinaia di milioni, come quello di Tributi

Italia (gestiva la riscossione per centinaia di comuni), e arresti per avere distratto i soldi della riscossione,

destinandoli all'acquisto di fuoriserie e allevamenti di cavalli come capitato a Daniele Santucci, presidente di

Aipa, società che opera in consorzio con Poste Tributi (controllata da Poste Italiane).

In questo quadro di difficoltà generale per l'Agenzia delle Entrate resta irrisolto il problema aperto dalla

sentenza della Corte costituzionale che ha dichiarato illegittime le nomine di 767 dirigenti, così decaduti dal

ruolo. La soluzione del governo è un nuovo concorso per esami, per il quale ci vorranno molti mesi. Nel

frattempo gli atti predisposti dai dirigenti illegittimi sono nulli. A ribadirlo è stata anche una sentenza della

Commissione tributaria della Lombardia del 25 giugno. Tanto che i giudici tributari hanno trasmesso alla

Corte dei conti un rapporto per verificare eventuali responsabilità per danno erariale. L'Agenzia delle Entrate

farà ricorso.

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Foto: -6,4% La flessione delle riscossioni da parte di Equitalia delle tasse locali nel primo semestre del 2015

conferma il trend più generale degli ultimi 4 anni, dal 2011 al 2014.

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/07/2015 92

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Il negoziato Nucleare iraniano, pronta la bozza di accordo Il testo di 100 pagine inviato ieri sera alle capitali. Il nodo dell'embargo sulle armi Paolo Valentino VIENNA Esauriti i negoziati tecnici, il segretario di Stato americano, John Kerry, dice che è l'ora «delle vere

decisioni». La bozza d'intesa, lunga ben 100 pagine, è stata trasmessa a tarda sera alle rispettive capitali.

Anche se dotati di mandati pieni, troppo grande la posta in gioco e vaste le conseguenze immediate e

potenziali, perché i ministri degli Esteri dei 5+1 (USA, Russia, Cina, Francia, Gran Bretagna, Germania) e

dell'Iran licenziassero da soli un accordo che potrebbe cambiare il corso della Storia. E a meno di un coup de

théâtre dell'ultima ora, che tutti esorcizzano ma non si può mai escludere, dovrebbe essere annunciato

ufficialmente stamane il grande compromesso, che neutralizza per quasi 15 anni il programma nucleare di

Teheran, mettendolo sotto il severo controllo delle autorità internazionali, in cambio dello smantellamento

delle sanzioni che hanno devastato l'economia persiana.

Coordinata da Federica Mogherini, Alto rappresentante per la politica estera della Ue, la maratona negoziale

di Vienna è stata la terza e anche la più lunga e difficile di una vicenda iniziata 18 mesi fa, quando dopo

l'elezione di Hassan Rohuani alla presidenza della Repubblica, Teheran aveva riannodato il filo del dialogo

con Washington. Chiusi per 15 giorni nell'antico palazzo Coburg, costruito proprio sopra i bastioni che

difesero Vienna dall'ultimo assalto dell'impero ottomano nel 1683, i capi delle diplomazie e le loro squadre di

esperti hanno negoziato con durezza, senza risparmiarsi urla, battute al vetriolo e scatti d'ira.

Perfino Mogherini, di solito fin troppo prudente, una sera ha perso la pazienza dicendo alla delegazione sciita:

«Se è così, tanto vale che andiamo tutti a casa». «Non si minacci mai un iraniano», è stata la risposta pronta

e irritata di Mohammad Javad Zarif, il ministro degli Esteri di Teheran. «E neppure un russo», ha detto a quel

punto Sergei Lavrov, sciogliendo la tensione. La sera dopo, in un gesto distensivo, Zarif ha invitato Mogherini

a una cena persiana, preparata dal cuoco dell'ambasciata iraniana.

Tre scadenze sono state bruciate senza un nulla di fatto. La più problematica è quella sfumata il 9 luglio,

ultima data utile perché il Congresso Usa, ricevuto il testo, si esprimesse entro un mese. Ora invece,

ammesso che l'accordo venga chiuso, Camera e Senato, complice la pausa estiva, di mesi ne hanno due: più

tempo cioè, per il composito fronte degli oppositori per tentare di far deragliare l'intesa. Già ieri il capo della

maggioranza repubblicana al Senato, Mitch McConnell, ha annunciato una risoluzione contraria.

Gli ultimi metri sono stati i più densi di ostacoli. Snodi delicati sul piano tecnico e politico, come l'accesso ai

siti militari persiani per gli ispettori dell'Aiea, l'Agenzia per l'Energia atomica che avrà l'incarico di monitorare

l'accordo; la simultaneità della fine delle sanzioni con l'entrata in vigore dell'accordo, pretesa dagli iraniani; il

definitivo chiarimento delle passate attività atomiche di Teheran, che non ha mai voluto ammetterne la

dimensione militare. Ma soprattutto, a frenare la maratona viennese è stato l'embargo sull'esportazione e

importazione di armi e missili balistici, che data dal 2006 e l'Iran vorrebbe tolto con le altre sanzioni,

invocando piena libertà di movimento sulla scena internazionale. Sul tema il regime sciita ha trovato sponda

in Cina e Russia, questa pronta a vendere a Teheran il sistema difensivo S-300. Ma gli occidentali intendono

mantenerlo, preoccupati di non aggiungere un altro elemento di instabilità nella regione medio-orientale.

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I nodiNei colloqui sul nucleare iraniano (12 anni di crisi) due questioni stanno mettendo a dura prova i negoziatori

La richiesta iraniana di revocare l'embargo del 2006 su missili balistici e armi convenzionali La possibilità di

accesso, per gli ispettori internazionali, ai siti militari su cui vi siano sospetti di precedenti attività nucleari

Foto: Alla finestra Il ministro degli Esteri iraniano Mohammed Javad Zarif, al centro, con altri membri della

delegazione di Teheran al balcone del loro albergo, a Vienna

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/07/2015 93

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CRISI E MERCATI Il risveglio della politica è l'inizio della cura Alessandro Plateroti Chi vuol esser lieto, sia, del doman non c'è certezza... Per i mercati finanziari, ormai dai tempi di Lehman

Brothers, domani è sempre un altro giorno. Una pessima giornata può culminare in una splendida seduta di

rialzi e di euforia: da più di sette anni si naviga a vista tra bancarotte bancarie, scandali finanziari, crisi del

debito, dell'euroe recessioni, tensioni geopolitiche globali e accesi confronti tra Stati sovrani in cui rancori mai

sopiti si confondono ai tavoli negoziali con polemiche personali, ideologichee politiche che tendono sempre

più spesso a sfiorare il loro punto di rottura. Con la Grecia ne abbiamo viste molte. Se poi le cose vanno bene

e le Borse salgono, allora i mercati sono «seri, maturie consapevoli»: ma se vanno male, e gli indici cadono,

la parola investitore diventa «speculatore» e i mercati diventano una «giungla popolata di locuste». Ma i

mercati, come i capitali, non sono né buoni né cattivi, né di destra né di sinistra: vanno sempre dove trovano

le migliori condizioni. Ebbene la crisi greca, che si trascina ormai da cinque anni, è stata lo specchio di tutte

queste contraddizioni, tanto per la comunità finanziaria globale quanto per le decine, se non le centinaia, di

milioni di europei che ogni giorno si sono posti la stessa domanda: come finirà la crisi greca, o meglio:

riuscirà l'Europa a rispondere alle sfide della crisi del debito, in Grecia come negli altri Paesi periferici

dell'eurozona, scongiurando così il rischio di un drammatico e traumatico ritorno al passato di cui nessuno

conosce realmente sia il prezzo politico che quello finanziario? L'incapacità di trovare una risposta o una

soluzione concreta a queste domande non è mai stata immaginabile. Ma allo stesso tempo, con il passare dei

mesi e degli anni, tra tentennamenti e mezze aperture, è diventato sempre più difficile intravedere una

soluzione in grado di funzionare. Così, se in questo contesto è stato difficile per la classe politica europea

trovare delle risposte e assumere comportamenti responsabili, lo è stato ancora di più per chi deve gestire,

proteggere e far crescere le centinaia di migliaia di miliardi che rappresentano il risparmio delle famigliee la

liquidità delle imprese. Continua pagina 4 Continua da pagina 1 Senza riferimenti politici affidabili, l'unico faro

è stato quello finanziario. La creazione in seno alla Bce di potenti strumenti di protezione dell'euro e dei titoli

di Stato dell'eurozona ha rappresentato una straordinaria polizza di protezione non solo per l'Europa, ma

anche per chi ha investito i capitali propri e altrui tra Londra, Milano, Parigi e Francoforte. Ma sempre una

situazione di emergenza è rimasta: in assenza di soluzioni politiche concrete e permanenti alle sfide del

debito e della crescita economica, la scelta inevitabile dei mercati è stata quella di entrare in «protezione»,

alternando momenti di coraggio ed euforia a fasi di grande prudenza e pessimismo: per chi investe si chiama

volatilità, per chi risparmia è stato un lento logoramento. Come definire, dunque, la reazione euforica dei

mercati agli eventi delle ultime ore? E qui non si parla più solo della crisi della Grecia o di quella

dell'eurozona, ma anche dell'impatto psicologico generato dal crollo drammatico e improvviso delle Borse

cinesi: in poche ore, si è passati dalla paura di un contagio globale delle diverse crisi nazionali a un'euforia

collettiva a trasmissione aerea. Si può forse dire ora, dopo la mossa di Tsipras, che tutto è cambiato? Le

esperienze del recente passato invitano alla prudenza: il rimbalzo delle Borse cinesi potrebbe fermarsi se le

autorità di Pechino dovessero mollare troppo presto la presa sui comportamenti più spregiudicati o

irresponsabili delle banche e degli investitori, così come il recupero dei listini europei e la caduta dei tassi

dell'eurozona potrebbero invertire direzione se il nuovo piano di riforme presentato da Alexis Tsipras non

dovesse sorprendentemente a questo punto accontentare i creditori o essere bocciato dal Parlamento di

Atene. Il quadro delle crisi con cui ha a che fare il mercato è talmente complesso e articolato che, per tornare

alla normalità o quanto meno alla stabilità, ogni tassello deve andare al suo posto senza ulteriori forzature o

strappi. Escludere nuove delusioni è impossibile, ma i segnali, almeno per ora, o speriamo finalmente,

cominciano ad essere positivi: la percezione che timidamente emerge dai mercati è quella di un ritorno della

politica e dei governi ad assumersi le proprie responsabilità non solo nei confronti dei rispettivi elettorati, ma

anche rispetto alla fiducia che si è chiesta ai risparmiatori e alla comunità finanziaria globale. Lo abbiamo

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/07/2015 94

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visto in Cina nelle ultime ore, con un'azione decisa del governo per rimettere ordine su un mercato che ha

paradossalmente oggi più conti individuali di trading in Borsa che cittadini iscritti al partito comunista ­ 92

milioni di investitori contro 82 milioni di tessere del partito ­ e lo abbiamo visto in Europa con un nuovo piano di

salvataggio in cui Tsipras promette riforme quasi più dure di quelle che erano state respinte dal popolo greco

nel referendum di domenica scorsa. Per i mercati, questo piano ha un solo significato: la ricerca da parte del

premier greco dei voti di una nuova maggioranza in Parlamento in cui l'ala morbida di Syriza venga

supportata dalle forze moderate e proeuro che si trovano ora all'opposizione: se così avverrà, le riforme

riprenderanno il passo, la Grecia sarà salvata e l'Europa avrà il tempo e la forza per avviare quel più vasto

processo di riforma dei Trattati che è ormai necessario per alleviare i Paesi più fragili dal carico del debito e

liberare risorse per una crescita più armonica e sostenibile di tutte le economie nazionali. Al contempo, i

mercati hanno brindato ieri al risveglio delle voci che erano state finora messe all'angolo o inibite

dall'intransigenza rigorista tedesca. Ora non sono più solo la Grecia o l'Italia a invocare una riforma dei

Trattati che renda possibile una riduzione o ristrutturazione del debito se questo è insostenibile rispetto alla

capacità di crescita di un Paese, ma sono anche Paesi più forti come l'Austria, l'Irlanda o la Finlandia: persino

un falco come il ministro delle finanze tedesco Schäuble ha finalmente ammesso che un debito eccessivo

rende inattuabili o insostenibili le riforme. Così, separando il salvataggio greco dalla questione del debito

dell'eurozona, tutto sembra essere diventato più facile: se una soluzione si troverà, sarà a beneficio di tutti,

non solo di Atene. Ed è interessante, in questo senso, come il ritorno della politica nella gestione della crisi

abbia coinciso con un palese ridimensionamento della visibilità di Draghi e della Bce, a cui fin troppo a lungo

è stato delegato il ruologuida nella gestione della crisi greca. Salvare la Grecia, come sosteneva Draghi, è un

problema politico, non finanziario. I tasselli, insomma, sembrano pian piano trovare la loro giusta collocazione

nel mosaico. All'accordo finale mancano ancora molte firme, ma il mercato ha finalmente davanti un sistema

politico e finanziario che torna a muoversi nella giusta direzione e con lo stesso passo. Forse la volatilità non

finirà da un giorno all'altro, e molto dipenderà anche dal passo della ripresa economica nelle aree più fragili

dell'Europa. L'importante, ora, è che non si trascuri un fattorechiave: ai mercati, come a centinaia di milioni di

europei, non interessa affatto un ritorno alla «normalità»: oggi c'è voglia di «cambiamento».

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/07/2015 95

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LE REPLICHE Basta con la caccia alle streghe Azienda o no, serve efficienza Stefano Simontacchi Michel de Montaigne scrive «non vergogniamoci di dire ciò che non ci vergogniamo di pensare». Faccio infatti

molta fatica a comprendere perché dovrei vergognarmi di quello che penso. Ancor più se chi mi invita a farlo

condivide analisi e soluzioni proposte da Maurizio Leo nell'articolo del 9 luglio, in quanto entrambe sono

coincidenti con quelle da me espresse. Il senso del mio pensiero è che, a differenza di altri popoli, noi italiani

siamo incapaci di fare sistema. Continua pagina 19 Continua da pagina 1 Eabbiamo una innata capacità di

perderci in personalismi e in perenni conflitti interni da cui è il Paese a uscire sconfitto. Come già detto,

ritengo che non sia il momento di cercare i colpevoli, bensì di interrompere un circolo vizioso che allontana

cittadini e investimenti dall'Italia. Qual è il problema sistemico da affrontare? Che, dato il contesto, non ci

possiamo permettere un'agenzia delle Entrate di colpo privata dell'intera classe dirigente e ­ soprattutto ­ delle

competenze accumulate. Questo prescinde da giudizi di merito pro o contro l'Agenzia stessa, che non sono il

punto in discussione. Non ho mai affermato che le agenzie fiscali siano aziende in senso astratto. Si è

utilizzato un parallelismo per valutare una situazione di fatto che, piaccia o meno, esiste e con la quale

bisogna confrontarsi. L'Agenzia è paralizzata da mesi e questo danneggia, da un lato l'attività di verifica

(69mila i controlli effettuati contro i 151mila previsti) e, dall'altro, gli investimenti e le imprese. Si ha contezza

del fatto che molte imprese italiane e straniere si lamentano dell'assenza di interlocuzione formale? Se non si

ripristina il funzionamento dell'Agenzia con effetto quasi immediato, si compromette, tra l'altro, la voluntary

disclosure con la conseguenza di dovere individuare coperture che si tradurranno in aggravi fiscali. Per

fronteggiare la gravità della situazione, Enrico Zanetti ritiene che vada fatto un concorso che non consideri

titoli ed esperienze. Al contrario, Maurizio Leo ed io riteniamo che anche di questi fattori vada tenuto conto,

perché solo così troverebbe compiuta attuazione il principio della meritocrazia. Questo non significa certo

garantire agli 800 ex incaricati il posto, bensì garantire ai cittadini e alle imprese un'agenzia delle Entrate con

competenze adeguate. Se ci saranno candidati con esperienze e titoli più validi, sarà naturale che i posti

vengano assegnati a loro. Per quanto riguarda la gestione della fase transitoria, non ho mai affermato che

debba avvenire con criteri meno che trasparenti, bensì ho sollevato l'urgenza di una presa di posizione che

purtroppo da mesi non c'è. In proposito, ho menzionato possibili soluzioni in linea con la successiva proposta

di Maurizio Leo circa l'opportunità dell'utilizzo di incarichi a tempo anche a chiamata diretta per le posizioni

che richiedono competenze fortemente specifiche (ruling internazionale, cooperative compliance e simili).

Infine, credo non sia utile al Paese un clima da caccia alle streghe, non c'è più tempo per questo modus

operandi, abbiamo bisogno di fare squadra per giocare un ruolo nella competizione globale. L'Italia necessita

in tempi strettissimi di un'agenzia delle Entrate legittimata non solo in relazione alle procedure, ma soprattutto

alle competenze (che devono essere adeguate al contesto economico) e adeguata a completare il

cambiamento in atto nel rapporto fisco­contribuente. Spetta alla politica individuare le soluzioni migliori per

perseguire questo obiettivo e ai cittadini giudicare se sarà adeguatamente perseguito o meno.

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/07/2015 96

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Segnali, non è ancora svolta Paolo Bricco Adelante, Pedro, con juicio. Si puedes. L'economia italiana assomiglia alla carrozza del Cancelliere Ferrer nel

tredicesimo capitolo dei "Promessi Sposi": a lungo è rimasta ferma, imprigionata dalle cir­ costanze; adesso si

muove, ma con lentezza. Sono confermate le linee di fondo della transizione italiana: visibili a occhio nudo,

ma altrettanto facilmente percepibili nella loro fragilità. Continua pagina 15 Continua da pagina1 Con degli

elementi nuovi, ma non ancora decisivi, che riguardano il lavoro. L'Istat sancisce con la produzione industriale

di maggio un certo dinamismo industriale, senza però che questa vivacità riescaa trasformarsi in vera- ossia

strutturatae organica- spinta propulsiva, come evidenzia con il dato di giugno il Centro Studi di Confindustria.

Le statistiche dell'Anfia mostrano una buona rivitalizzazione dell'automotive, anche se il benefico impatto

dell'incremento della produzione del numero di automobili nei primi cinque mesi dell'anno va ponderato con

un livello che negli ultimi dieci anniè stato frai più bassi d'Europa. L'accumularsi dei dati sul primo semestre

restituisce il profilo di un Paese industriale che gradualmente sta ricostruendo una fisiologia produttiva

intaccata dalla perdita- dall'inizio della recessione- di un quarto della sua potenzialità manifatturiera. Questa

ricostituzione avviene su sentieri che hanno segnato, negli ultimi cento anni, le mappe dell'industrializzazione

del nostro Paese: fabbricazione di macchinari, componentisticae automotive. Per quanto l'indice della

produzione industriale sia il più instabilee vischioso, spesso soggettoa fluttuazioni poco comprensibili, appare

evidente come il combinato disposto di beni strumentalie di automotive industry stia anche adesso

funzionando.È sempre stato così. Se da qualche parte del mondo c'è industrializzazioneo

reindustrializzazione,i beni strumentalie le macchine che si trovano in quelle lontane fabbriche le abbiamo

fornite noi. Allo stesso tempo, l'auto resta centrale nel nostro modello di sviluppo. Con la nuova fase di FCA.E

con la fornitura di componenti alle case tedesche (per Oecd­Wto, l'8% del loro valore aggiuntoè di origine

italiana). Su tutto questo, siè inserita la flessibilizzazione del mercato del lavoro. Il Jobs Act ha influito sulla

tipologia dei contratti, con una maggiore concentrazione relativa- nell'ordine di quattro punti percentuali- su

quellia tempo indeterminato. Meno sulla "creazione" di lavoro.A maggio di quest'anno il saldo complessivo fra

attivazionee cessazioni di contrattiè stato paria 184.707 nuovi contratti. Nello stesso mese del 2014, il saldo

era stato di 181.163.A maggio, rispettoa un anno prima, sono stati creati 3.544 nuovi posti di lavoro effettivi in

più. Dunque, per continuare con il linguaggio manzoniano la consistenza del materiale con cuiè composta la

transizione italiana nonè ancora così solida da permettere alla nostra economia di risultare un vaso di ferro.

Magari- magari- non è più di coccio. Ma certo nonè ancora di ferro.

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INTERVISTA PARLA BENEDETTA ARESE LUCINI Caso Uber, l'Italia è da svecchiare Sara Monaci pagina 16 Caso Uber, l'Italia è da svecchiare MILANO «Ce l'aspettavamo, ma rimane il problema che il paese

deve essere svecchiato». Il general manager italiano di Uber, Benedetta Arese Lucini, commenta così la

sentenza del tribunale di Milano che due giorni fa ha sospeso il segmento "UberPop", ovvero il taxi "fai da te",

con conducenti di auto di proprietà che lavorano per poche ore al giorno, con tariffe molto più basse rispetto

al servizio tradizionale. La manager, 32 anni, una laurea alla Bocconi e una specializzazionea New York,

prima di ricoprire un ruolo apicale nella multinazionale americana ha girato il mondo: da Dublino a Londra a

Parigi, passando poi all'Asia. Forte di quest'esperienza parla dell'Italia come di un paese «con grandi

potenzialità, ma con un sistema politicoe culturale che deve sapersi rinnovare, altrimenti sarà sempre

condannato ad una crescita bassa». Di chi è la responsabilità della decisione del tribunale? I giudici in fondo

applicano le leggi... Diciamo subito che la legge sui trasporti è del 1992, quando molti utenti di Uber

nemmeno erano nati. Questo per dire che si tratta di una norma vecchia, che andrebbe riletta alla luce

dell'innovazione tecnologicae delle nuove esigenze sociali. Peròè anche vero chei ricorsi approfittano

soprattutto di un vuoto normativo, poi interpretato dai giudici in modo molto conservatore. Nella sentenza si

parla di sicurezza e trasparenza a rischio, ma anche di pericolosità peri giovani e di scarso contributo alla

fluidità dei trasporti. Che ne pensa? Non si capisce che la tecnologia in realtà aiuta. Esempi pratici: con una

app come la nostra il servizioè tracciato, dalla mappa ai pagamenti,e se un utente perde qualcosa può

ritrovare facilmente la macchina e chiedere aiuto. Circolano le informazioni: basti pensare che sia il

conducente che l'utente alla fine del viaggio danno una valutazione reciproca. La trasparenzaè valorizzata.

Evidentemente i nostri utenti hanno un'idea diversa da quella del tribunale. Quanto ai giovani, nostri grandi

utenti, evitiamo che la notte usino la propria auto, quindi aiutiamo la sicurezza. Cosa ne pensa del tema

ambientale, legato all'uso dell'auto, chei giudici sollevano? Rispondo con i numeri: in Italia ci sono 40 milioni

di auto. Cominciare a pensare a servizi con auto condivise potrebbe aiutare. La società spontaneamente si

sta organizzando in questo modo, come appunto UperPop e come il servizio Bla­Bla Car, che ha una filosofia

simile alla nostra. Forse però esiste un problema legato alle assicurazioni, che dovreste affrontare.E dovreste

forse dare maggiori garanzie sul conducente "fai­da­te". Anche UberPop, come UberBlack e come il resto dei

taxi, ha un'assicurazione aggiuntiva in tutta Europa, che copre finoa5 milioni di dollari di danni. Probabilmente

non siamo stati abbastanza bravi a comunicarlo. Certo che dovremmo interrogarci su come migliorare e

garantire le credenziali, tuttoè migliorabile, ma la sospensione del servizio è un'altra cosa.È resistenza

culturale. Non crede che più che altro UberPop vadaa fare concorrenza ai taxi, che si oppongono per tutelare

i propri interessi garantiti? Sì, ma senza capire che c'è spazio per tutti. Molti studi dimostrano che ad usarei

taxi sono una fetta pari al 3% della società, oltre ai turisti. Con noi si allarga la torta, non si restringe la fetta.

C'è una parte di popolazione che staa metà trai mezzi pubbliciei taxi. La veritàè che l'innovazione deve

sempre affrontare molte resistenze. Basti vedere cosa accade in questi giorni: persino i siti di vendite online

dovranno rimanere chiusi per 12 giorni all'anno.È chiaro che non può accadere. Quindi il problema non è solo

Uber, è proprio un modo di vedere il mondo? Sì,e noi siamo l'esempio di come la libertàe la concorrenza non

vengano tutelate. Ma questo ricorso è anche la prova del fatto che l'innovazione funziona: se non fosse così,

non avremmo avuto nemici. In questo però l'Italia non è l'unico paese. Voi avete avuto problemi anche in

Francia e in Spagna. Lì cosa state pensando di fare? La Spagnaè effettivamente simile all'Italia, con tanto di

intervento del tribunale. In Francia ci sono stati problemi di ordine pubblico, con scioperi e dimostrazioni molto

aggressive, però per ora i giudici ci hanno dato ragione. In entrambi i paesi stiamo valutando cosa fare. E in

Italia cosa farete? Continuiamo a lavorare con UberBlack, cioè il segmento di noleggio con conducente

professionale,e valuteremo altre soluzioni.E magari altri prodotti. Vi aspettate qualche aiuto da parte della

politica? Può darsi che qualcosa si muova. Sicuramente alcune associazioni come Altroconsumo ci hanno

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/07/2015 98

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sostenuto. Per ora posso dire che sono intenzionataa continuarea lavorare in Italia perché credo che il paese

possa crescere, edè per questo che io e molti altri miei coetanei siamo tornati qui a lavorare. Crediamo nelle

potenzialità italiane. Nella politicae nella società vedo questa voglia di cambiare. Sfruttiamola.

Foto: IMAGOECONOMICA Uber. Benedetta Arese Lucini

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/07/2015 99

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IL RUOLO DI PADOAN L'Europa costruisca la «fase 2» della crescita Alberto Quadrio Curzio Se oggi l'Europa divisa troverà (come speriamo) una nuova convergenza verso una sistemazione finanziaria

della Grecia responsabilmente equa anche verso gli altri Stati europei, per la Ue e la Uem si dovrà aprire una

fase nuova. Quella nella quale il rispetto del Patto di stabilitàe di crescita andrà unitoa dei controlli più

sostanziali sui singoli Paesi membri da parte delle istituzioni europee troppo distratte sui temi di economia

reale. Lo sviluppo deve avere la stessa dignità del rigore, senza il primo la virtù del secondo è destinata ad

aggravare la situazione.Il caso greco dovrebbe infatti darci due (tra i tanti) insegnamenti. Il primo riguarda le

istituzioni Ue "vigilanti" che hanno ammesso la Grecia nell'eurozona con valutazioni puramente formali sui

conti pubblici (poi rivelatesi truccati) e che nei 10 anni prima della crisi non hanno saputo incalzarei governi di

quel Paesea riforme strutturali per costruire un'economia reale vera. Il secondo insegnamento riguarda la

Grecia che non ha fatto nulla per essere un Paese dell'eurozona(diversamente dai Paesi ex comunisti)

ritenendo che la storia greca fosse bastante per stare in una unione economica e monetaria. Aspetto

quest'ultimo esasperato da Tsipras con una retorica sovranistae passatista che mal si concilia con la filosofia

della solidarietà responsabile su cui sono state fondate la Uee la Uem. Questa vicenda ci spinge ad alcuni

commenti sull'Italia che taluno ha spesso indicato come l'altro "anello debole" dell'eurozona. Il ruolo dell'Italia.

Tra coloro che si sono spesi per evitare che si arrivasse al Grexit, il governo italiano ha svolto un ruolo

soprattutto nell'Eurogruppo anche senza partecipare ai mini­vertici Hollande­Merkel. Il ministro Padoan ha

contato molto. La sua posizione è sempre stata chiara per trovare una soluzione equa e razionale che

evitasse il Grexit. A questo problema urgente ha sempre unito (a partire dalla presidenza dell'Ecofin durante il

semestre europeo a guida italiana) una valutazione strutturale sul futuro dell'eurozona. Ovvero

un'interpretazione flessibile delle regole del fiscal compact non per evitare le riforme nei singoli Paesi (la cui

sovranità economica era ed è da considerarsi limitata in quanto aderenti ad una Unione) ma per il rilancio

degli investimentie della crescita. Continua pagina 2 Continua da pagina 1 Quindi per avere una sostenibilità

delle finanze pubbliche anche in forza di un Pil in espansione. E qui l'Italia ha già ottenuto per il 2015 delle

flessibilità che speriamo possa avere anche per il 2016. Quanto all'opinione che Grexit avrebbe potuto

provocare effetti drammatici per l'Italia, è sempre stata sempre seccamente contrastata dal Governo italiano,

e lo stesso moderato aumento dello spread lo ha comprovato. Non siamo più nel 2012 e non solo perché la

Bce ha poteri maggiori ma anche perché da allora ad oggi l'Italia ha dimostrato in molti modi di essere forte.

Infatti non ha chiesto aiuti ai fondi salvaStati europei, ha usato risorse pubbliche limitatissime per il settore

bancario, ha posto in essere misure di finanza pubblica molto pesanti per mantenere avanzi primari, ha

addirittura impegnato circa 36 miliardi per sostenere la Grecia. Forse abbiamo esagerato (rispetto agli

spagnoli) nel fare da soli ma visto che è andata così dobbiamo valorizzare gli sforzi fatti (anche dai governi

Monti e Letta) nel nostro interesse e per l'Europa. L'Fmi e l'Italia. Che l'Italia sia un Paese complesso e pieno

di dualismi non c'è dubbio. Non è vero però che sia un Paese scassato che non conta nulla in Europa e nel

contesto internazionale. Così come non è vero che in Italia non si stiano facendo delle riforme anche se forte

è la nostra capacità di resistere alle stesse, di considerarle sempre sbagliate e comunque di rappresentare

all'estero un Paese peggiore di quello che è. Questa nostra affermazione prende lo spunto dallo statement

che Carlo Cottarelli ha presentato pochi giorni fa alla riunione dell' Executive board dell'Fmi commentando la

valutazione annuale fatta dalla staff del Fondo sull'Italia. Si tratta di un magistrale statement di un direttore

esecutivo prestigioso che nella neutralità del suo ruolo (rappresenta al Fondo l'Italia e altri 6 Paesi), esprime

erga omnes una presa di posizione la cui ufficialità pesa. Ed è strano che in Italia non si sia dato a questo

statement l'attenzione che merita.Sia pure brevemente lo facciamo qui . Cottarelli critica l'analisi degli ispettori

Fmi sia con riferimento agli indicatori utilizzati (Doing business e Wef) sulla cui base si configura il giudizio

complessivo sull'Italia, collocandola nella coda dei Paesi Ocse sia perché essi considerano come progettate

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molte riforme che sono già state attuate sia perché non tiene conto dei punti di forza dell'Italia. Egli sintetizza

10 riforme fatte segnalando che le stesse hanno avuto una forte accelerazione nell'ultimo anno e che sono in

linea con quelle raccomandate dall'Fmi (e, aggiungiamo noi, dalla Commissione europea). In forza dei noti

fattori esterni e dei primi effetti di queste riforme, in Italia il ciclo economico ha svoltato come rivela anche il

miglioramento delle previsioni di crescita dell'Fmi (rispetto a quelle di gennaio) che diventano dello 0,8% per il

2015 e del 1,2% per 2016. Si dirà che è poco ma noi osserviamo che stiamo recuperando terreno rispetto sia

alla Uem che alla Francia, che nella crisi e anche adesso gode di una particolare "protezione" tedesca.

Cottarelli segnala anche altre 6 riforme progettate o in corso.Tra tutte quelle progettate scegliamone due che

dovrebbero migliorare la dinamica della produttività italiana, la cui debolezza molto dipende dalle inefficienze

del settore pubblico. La prima (dando atto che c'è già stato un marcato smaltimento dei decreti attuativi

giacenti) è il Ddl di riforma della Pubblica amministrazione, i cui decreti attuativi sono già pronti. A ciò

aggiungiamo l'agenda per la semplificazione 201517. Si tratta di riforme fondamentali per aumentare la

produttività del sistema Italia. La seconda riguarda le privatizzazioni e le riorganizzazioni con riferimento alle

quali noi riteniamo prioritarie quelle delle aziende partecipate dagli enti locali e quelle del patrimonio

immobiliare pubblico. Una conclusione. Ci fa molto piacere che Cottarelli segnali come principale forza

economica dell'Italia quella del suo manifatturiero (secondo in Europa e settimo al mondo) con primati di

esportazione in vari prodotti che hanno retto e addirittura guadagnato terreno anche nella crisi. Concordiamo

con lui nella consapevolezza però che tutto il sistema Paese dovrebbe ammodernarsi a questi livelli di

efficienza internazionali.

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/07/2015 101

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VERSO MAXIFUSIONI IN GRECIA Alle banche 25 miliardi Vittorio Da Rold Su 74 miliardi di euro di prestiti del terzo piano per la Grecia, oggi si parla di 25 miliardi di euro dedicati a

ricapitalizzare le quattro banche maggiori del Paese. Fusioni in vista per i quattro maggiori istituti. con l'analisi

di Riccardo Sorrentino Servizio pagina 4, ATENE. Su 74 miliardi di euro di prestiti del terzo piano per la

Grecia oggi si parla di 25 miliardi di euro dedicati a ricapitalizzare le quattro banche maggiori del paese, 7

miliardi di euro per pagare gli arretrati del governo e 42 miliardi per fronteggiare le scadenze del servizio del

debito. Prendendo le cifre per la ricapitalizzazione delle banche greche con cautela perché non c'è stato

molto tempo per fare studi approfonditi. Si parla ad Atene della possibilità che arrivi appena possibile la

società di consulenza americana Blackrock, già chiamata in passato, per verificare i conti delle banche

greche in loco. Per ora quindi solo stime ma la convinzione generale che quello sarà il nodo da sciogliere il

più in fretta possibile. Già nel secondo piano di salvataggio del 2012 su 130 miliardi di euro, complessivi 50

miliardi di euro vennero destinati alla ricapitalizzazione delle banche. Oggi la situazione è ancora più

compromessa dopo due settimane di chiusura,i crediti inesigibili al 40% e un'economia che da un Pil previsto

in crescita del 2,5% è ora stimata dal governo in recessione del 3 per cento. Nel secondo piano inoltre i 50

miliardi destinati alle banche vennero depositati presso il Fondo di stabilità bancario ellenico, un ente che ha

l'obbligo di usare i soldi solo per lo scopo a cui era stato destinato, sotto stretta sorveglianza della troika. Oggi

sarà ancora così? È possibile, per evitare che il governo greco di Syriza dirotti i fondi verso altre destinazioni.

Le banche greche sono quasi sul punto di non ritorno. Appese come sono da mesi al filo dei prestiti di

emergenza (Ela) della Bce, ora congelato a 89 miliardi di euro, dopo essere state escluse dai canali di

finanziamenti normali presso l'Eurotower. Il limite di 60 euro giornalieri ai prelievi ai bancomat non ha

migliorato la situazione perché, anche ieri, ad Atene davanti a tutti gli sportelli auto­ matici e ai mille e

duecento sportelli speciali aperti peri numerosi pensionati senza bancomat, c'erano lunghe code (anche se

ordinate) di persone in attesa di prelevare. Secondo fonti bancarie di norma il paese ha 10 miliardi di euro di

liquidità, in questi mesi la cifraè esplosa a 50 miliardi di euro, una massa di contante spesso nascosta sotto il

materasso o in casseforti domestiche o cassette di sicurezza delle banche. Anche le cassette di sicurezza

sono "bloccate" dalla legge che ha imposto i controlli di capitale. L'ipotesi del governo è che molti greci

abbiamo messo dei contanti nelle cassette per cer­ care di evitare un prelievo forzoso dei conti correnti o per

cautelarsi nel caso del passaggio alla dracma. Intanto il governo ellenico ha deciso di far restare chiuse le

banche greche fino a lunedì compreso ma fonti di funzionari europei hanno fatto trapelare che la maggior

parte delle grandi banche della Grecia dovranno affrontare rischi di chiusura o di fusione con altri concorrenti

nel tentativo di ristrutturare il settore vacillante in mezzo della crisi finanziaria del paese. Una fonte anonima

di Bruxelles ha fatto trapelare l'ipotesi che le quattro maggiori banche del paese si dovranno concentrare in

due soli istituti: la Banca Nazionale di Grecia con Alpha, la Piraeus con Eurobank. Una mossa della

disperazione per far stare a galla il sistema creditizio unendo le poche forze rimastea livello di capitaliei molti

debiti inesigibili. Le banche greche hanno liquidità nei bancomat sufficiente fino a lunedì, ha dichiarato il

presidente dell'associazione bancaria del Paese, Louka Katseli. «Sappiamo che tutto è garantito fino a

lunedì», ha dichiarato ieri Katseli alla tv greca Skai. Le autorità di Atene hanno esteso la chiusura degli

sportelli bancari del paese, in corso dallo scorso 29 giugno, fino a lunedì 13 luglio, con una restrizione ai

prelievi giornalieri di contanti fino a 60 euro, ma spesso il limite si riduce a 50 a causa del fatto che i biglietti

da 20 euro sono esauriti.

Bomba a orologeria 40 30 20 10 6,3 2005 2006 2014 2007 2008 2009 2010 Marzo 2011 2015 Apr ile 2012

Maggio 2013 34,3 2014 Settembre Note: * stime Dicembre Gennaio Febbraio Giugno * Fonte: Banca

mondiale Non performing loans. LA FUGA DAI DEPOSITI Novembre Ottobre In % del totale lordo I CREDITI

IN SOFFERENZA Fonte: Banca centrale greca e Moody's

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Depositi di famiglie e imprese presso le banche greche. In miliardi di euro 120,0 129,9 133,6 138,6 140,5

148,0 160,3 164,3 164,5 164,7

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IL CUNEO TRA PARIGI E BERLINO Adriana Cerretelli Era nell'angolo la Grecia di Alexis Tsiprasea un passo dall'uscita dall'euro: il vertice dei capi di Stato e di

Governo dell'Unione era stato convocato per oggi a Bruxelles per prenderne attoe organizzarla. Invece con

una capriola politicamente spericolata, incassando prima il fragoroso no referendario (61,3%) all'offerta

rigorista dei creditorie poi il sì parlamentare (251 su 300 voti) ancora più sonoro paradossalmente quasi sulla

stessa proposta, il premier ellenico pur capitolando davanti ai creditori ha rilanciato la palla nel campo

avversario. «La nostraè una scelta difficile ma vogliamo evitare Grexit, che è una decisione politica sotto

pretesto economico», aveva detto arringando i deputati. Continua pagina 3 Continua da pagina1 Eriuscendo

alla finea limitare a 17 le defezioni da Syriza, il suo partito, e a far nascere di fatto una grande coalizione con i

partiti­antagonisti: popolare, socialistae liberale. Se con due mosse spregiudicate nella loro palese

contraddittorietà, il premier ha sparigliato rimettendo in gioco se stesso e il suo Paese europeista, la

trattativaè tutta in salita: promette riforme e sacrifici ben superiori a quelli contenuti nel piano Tsipras e per

ora senza certezze. Perché manca la fiducia. «Il Governo Tsipras nelle ultime settimane ha fatto di tutto per

distruggerla», ha dichiarato Wolfgang Schäuble all'Eurogruppo. Parlando di un gap finanziario da coprire che

va ben oltre quello ipotizzato da Atene. Arrivando ad evocare la sospensione della Grecia dall'eurozona per5

annio proposte migliori su rigore e riforme insieme alla costituzione di un fondo, dove far confluire 50 miliardi

di patrimonio dello Stato, per ripagare il debito. Lo scontro tra lo scetticismo dei falchi guidati dalla Germaniae

il volontarismo delle colombe capeggiate dalla Francia è violento e brutale. I problemi da risolvere prima di

avviare un negoziato difficilissimo sono enormi: perché dopo 10 giorni di controlli sui capitali le banche sono

al default, vanno ricapitalizzate per 25 miliardi, l'economia è al disastro, il deficit in netta ascesa. Dunque i

conti vanno aggiornati alla luce del nuovo fabbisognoe delle imminenti scadenze. Si discute di un terzo

salvataggio da 74 miliardi tra finanziamenti Esm e Fmi per3 anni. La cifra non potrà che aggravare il teorema

già pesantissimo dell'insostenibilità del debito greco, quindi l'urgenza della sua ristrutturazione. Su questo

fronte, tabù dichiarato a Berlino, la contrapposizione tra Schaeuble e Christine Lagarde ieri ha fatto scintille. Il

direttore del Fondo propone di raddoppiarne, da 30a 60 anni, la maturità media. Il nein del ministro tedesco

resta netto. Il destino della Grecia nell'euro resta appeso a un filo sottile. Con la certezza che questa volta

non le verranno fatte concessioni se prima non avrà attuato almeno in parte le promesse. Il piano delle

riforme non solo è una base buona ma insufficiente ma deve ottenere l'imprimatur parlamentare su alcune

riforme per sbloccare l'avvio dei negoziati. Questo il messaggio dei ministri dell'Eurogruppo che però

rimettono al vertice dei leader dell'euro e dell'Unione, oggi a Bruxelles, la responsabilità della decisione finale

sulla Grecia. Neanche per la politica il verdetto sarà facile. Nessuno è più disposto a firmare cambiali in

bianco perché tutti devono rispondere in casa di decisioni costosee impopolari. Soprattutto nei Paesi dove i

parlamenti devono autorizzare il via alla trattativa. Ieri dalla Finlandia è partito un no e il governo di coalizione

con gli euroscettici potrebbe saltare sulla Grecia. Potrebbe essere solo il primo: il salvataggio va deciso per

consenso. Come finirà? Dopo una serie di errori, Tsipras è riuscito ad allontanare Grexit (non a scongiurarlo),

anche sfruttando le divisioni trai creditori sulla ristrutturazione del debito, suo principale obiettivo. E

spaccando il fronte franco­tedesco.A questo punto, se non vorrà essere ricordata come il cancelliere che ha

eretto il primo muro europeo dopo il crollo di quello di Berlino, Angela Merkel dovrà scegliere se salvare l'euro

con la Grecia ­ perché questa è la vera sfida­e quindi l'interesse primario dell'economia tedesca oppure

arrendersi ai mal di pancia del suo partito e del Bundestag. Dovrà scegliere tra gli interessi di breveo lungo

termine della Germania. Un vero leader non avrebbe esitazioni. Ma l'incidente Helsinki complica il gioco.

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EFFETTI SUI CONTI Fondo salva-Stati, per l'Italia un vantaggio Isabella Bufacchi Il passaggio delle consegne tra Efsf ed Esm per la risoluzione della questione greca è un vantaggio per i conti

pubblici dell'Italia: il debito pubblico italiano non aumenterà in via automatica quando l'Esm erogherà gli aiuti

alla Grecia, contrariamente a quanto è avvenuto finora con i prestiti dell'Efsf. Continua pagina 7 Continua da

pagina 1 Se ad esempio l'assistenza richiesta dal Governo Tsipras dovesse essere confermata con un

impegno dell'Esm per 50 miliardi, questi esborsi quando fatti non saranno mai contabilizzati pro quota nel

debito pubblico degli Stati azionisti del meccanismo di stabilità. Il debito pubblico dell'Italia non lieviterà in

quel caso: è aumentato ma solo una tantum di 14,3 miliardi per versamento nel capitale Esm. Se questi

stessi finanziamenti alla Grecia invece fossero rimasti a carico dell'Efsf, estendendo il vecchio programma, la

formula delle garanzie avrebbe fatto salire il debito pubblico italiano di 9,6 miliardi circa, pari al 19,2233% dei

50 miliardi di Efsf­bond collocati per raccogliere i nuovi fondi da destinare ad Atene. La chiusura del secondo

programma di aiuti sotto il cappello dell'Efsf, che non lascia alternative se non la stipula di un nuovo accordo

con controparte Esm, è destinato però ad avere un risvolto negativo per il mercato dei titoli di Stato italiani, in

quanto allunga e di molto i tempi del raggiungimento di un'intesa. E l'incertezza come noto non piace ai

mercati: il disco verde di questo week­end serve soltanto a tranquillizzare la Bce per il sostegno alle banche

greche. Ma non va oltre: da domani inizierà una trattativa molto complessa tra Greciae creditori "official".

Basti ricordare che il Portogallo presentò la sua richiesta formale di aiuti il7 aprile 2011, l'accordo sul

programma fu raggiunto il 17 maggio con esborsi successivi non immediati. Questi tempi lunghi

alimenteranno la speculazione e potrebbero riaccendere i focolai della Grexit. Standoa fonti bene informate

vicine alla trattativa di ieri, il passaggio dall'Efsf all'Esm comporta in effetti l'adozione di "regole diverse" che si

riveleranno più stringenti per la Grecia. Sotto un profilo meramente procedurale, sarebbe stato più facile

estendere il vecchio programma Efsf per aiutare la Grecia a superare il picco dei rimborsi di titoli di stato e

prestiti Fmi in scadenza nelle prossime settimane. Il nuovo programma sotto il cappello dell'Esm, invece,

parte in salita a causa delle inadempienze della Grecia relativamente agli impegni assunti e non rispettati nel

Memorandum of Understanding firmato con l'Efsf. Se da un lato l'annuncio del disco verde dei capi di Stato,

atteso oggi, è uno sviluppo positivo per l'euro, l'Italia e per tutti i titoli di Stato nell'area periferica, dall'altro lato

da domani i mercati inizieranno a chiedersi se e come la Grecia riuscirà a far fronte al pagamento dei 3,5

miliardi di titoli di Stato in scadenza il 20 luglio e detenuti dalla Bce. L'Esm non può concedere anticipazioni

sulle somme da erogare in un nuovo programma di aiuti. L'Efsf invece probabilmente avrebbe potuto

estendere una facility già aperta e in corso. La turbolenza della crisi greca, quindi, potrebbe continuare per

settimane: la volatilità sul mercato dei titoli di Stato non si placherà. Se il negoziato per il terzo programma di

aiuti della Grecia dovesse essere confermato in avvio da domani, infine, il contagio dalla Grecia al quale

l'Italia continua ad essere esposta potrebbe attenuarsi nel caso in cui la formula del sostegno finanziario

riuscisse a garantire la sostenibilità del debito pubblico greco con una nuova rimodulazione di interessi e

scadenze senza haircut. Anche se circoscritti ai creditori "official", tanto il default sui titoli di Stato in scadenza

quanto l'haircut sul vecchio debito sarebbero due eventi negativi per i mercati, almeno sul breve termine. Se

default e haircut dovessero divenire due passaggi inevitabili per rimettere la crescita e il debito della Grecia

sulla strada della sostenibilità, ed evitare Grexit, c'è da aspettarsi che i mercati pian piano se ne faranno

lentamente una ragione. Uno scenario incerto e prolungato sul fronte greco sarebbe infine dannoso per le

prospettive di crescita già magre per l'Italia e l'Eurozona. Un'Europa perennemente litigiosa non può attrarre

investimenti dai privatie dall'estero, dei quali non si può più farea meno per rilanciare la crescita.

700 VALORE COMPLESSIVO IN MILIARDI DELL'ESM E DELL'EFSF

IN CIFRE

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14,33mld Il capitale paid­in Esm Il valore del capitale paidin versato dall'Italia per l'Esm (Mes ­ Meccanismo europeo

di stabilità). Il debito pubblico è aumentato in via permanente dell'intero importo

125,40mld Quota Esm italiana La quota italiana nell'Esm è pari al 17,8643% del capitale totale sottoscritto (704,8

miliardi di euro). Il debito pubblico non è aumentato per gli aiuti a Spagna e Cipro

mld139,267 Garanzie Efsf L'importo delle garanzie con impegno dell'Italia ammonta a oltre 139 miliardi pari al

19,2233% su un totale di 724,247 miliardi di euro. Il debito pubblico è aumentato in via temporanea per la

quota italiana sugli Efsf bond emessi per gli aiuti a Irlanda, Portogallo, Grecia

700mld Il valore di Esm+Efsf A tanto ammonta la potenza di fuoco congiunta del Meccansmo europeo di stabilità

(Esm) e del Fondo europeo di stabilità finanziaria (Efsf)

Tutti i fronti della crisi greca

TITOLI DI STATO n n n n n I rischi che restano

Se si conclude l'accordo Positivo anche un accordo­lampo su un prestito ponte nel caso di tempi molto lunghi

per arrivare alla firma del nuovo accordo. La firma di un terzo pacchetto di aiuti alla Grecia, con rimodulazione

del debito pubblico senza haircut, può avere un impatto molto positivo sull'andamento dei BTp sul breve

termine, perchè sgombra il campo per il momento dal rischio di uscita della Grecia dall'euro. Nel lungo

termine,i mercati valuteranno se la Grecia torneràa cresceree avrà così riconquistato la sostenibilità del

debito pubblicoe l'accesso ai mercati per rifinanziare il debito in scadenza;a questo si aggiungerà la

scomparsa del rischio Grexite del pericolo di reversibilità dell'euroe tutto questo avrà un impatto duraturo

positivo sui BTp perchè confermerà che vi sono più vantaggi che svantaggi nell'euro per un Paese europeo

periferico. Se il terzo pacchetto di aiuti alla Grecia dovesse comunque fallire, non garantendo il

raggiungimento della sostenibilità del debito pubblico greco senza ulteriore haircut (questa volta sui creditori

istituzionali official),i BTp ne risentirebbero negativamente, con aumento dei rendimentie dello spread per

effettocontagio:i mercati puniranno gli Stati dell'euro con debiti troppo altie crescita troppo bassa in quanto

non assistiti adeguatamente ed efficacemente dai Partners nella zona dell'euroe dalle istituzionie dagli

strumenti d'intervento europei su debitoe crescita. Il default sui titoli di Stato greci, sia pur temporaneo,

sarebbe un evento negativo peri BTp. Sei tempi della firma del nuovo piano di salvataggio ESM dovessero

sforare la data del 20 luglio (giorno in cui la Greca deve ripagare titoli di Stato in scadenza detenuti dalla Bce

per 3,5 mld), solo un prestito­ponte potrà evitare il default.

PRESTITI n n n n n n n I rischi che restano

Se si conclude l'accordo Altro fattore positivo: il terzo pacchetto di aiuti accordato tramite Esm non aumenterà

in prospettiva il debito pubblico dell'Italia, diversamente da quanto accaduto con gli Efsf­bond. Lo scenario

miglioreè dato dal raggiungimento della sostenibilità del debito pubblico greco grazie al terzo pacchetto di

aiuti senza haircute il ritorno della solidità piena del sistema bancario greco. La rimodulazione del debito

pubblico greco (differimento delle scadenze del rimborso del capitalee periodi di grazia per ritardare il

pagamento degli interessi)è positiva per l'Italia: allevia il peso del debito pubblico in un momento in cui la

Grecia ha bisogno di risorse per la crescita, senza il trauma dell'haircut. L'Italia ha assistito finora

finanziariamente la Grecia in via direttae indiretta. Direttamente con prestiti bilateralie principalmente in via

indiretta come garante dell'Efsf, come azionista della Beie dell'Fmie azionista tramite Banca d'Italia della Bce.

Se la sostenibilità del debito pubblico greco dovesse essere ottenuta soltanto con la riduzione dello stocke

l'haircut peri creditori istituzionali, allora l'Italia incorrerà in una perditaei mercati ne saranno scossi. Per l'Italia

come creditore "official" della Grecia, lo scenario peggioreè dato dal fallimento di un terzo pacchetto di aiuti

senza haircut sul debito. Un default della Grecia, senza uscita dall'euro, può comportare un perdita sul

bilancio di Beie Fmie un esborso possibilea carico dell'Italia per sanare il buco. Altro evento negativoè il

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default della Grecia sui titoli di Stato detenuti dalla Bce perchè può provocare il collasso del sistema bancario

greco: come conseguenza, è prevedibile che le perdite definitive sul bilancio della Bce, non sanabili

attraversoi profitti dei bilanci delle banche centrali, debbano poi essere ripianate dagli Stati membri

dell'Eurozona.

ECONOMIA REALE n n n n n n I rischi che restano

Se si conclude l'accordo Al momento restiamo inchiodati nell'anno in corso a un modesto 0,7%, che dovrebbe

consolidarsi nel prossimo anno per raggiungere quota 1,3­1,4 per cento. L'intesa rassicura i mercati, che per

definizione reagiscono in modo negativo quando a prevalere è l'incertezza. Per la fragile ripresa della nostra

economia, l'accordo trai creditorie il governo Tsipras equivalea un potenziale impatto positivo (e non solo via

spread) per affrontarei restanti mesi del 2015e soprattutto il 2016 con prospettive di crescita sulla carta più

incoraggianti. Una minore pressione sul fronte della spesa per interessi rende meno impegnativo il percorso

di rientro dal deficite dal debito, aprendo con ciò spazi potenziali per sostenere la crescita. Margini che

potrebbero ampliarsi qualorai governi europei marciassero finalmente compatti in direzione del sostegno agli

investimenti produttivi. La variabile greca compare tra le principali "variabili esogene" in grado di condizionare

pesantemente l'andamento dell'economia italiana. La lunghissima maratona negoziale trai creditorie il

governo Tsipras ha già di fatto contribuitoa vanificare parte delle aspettative del governo di conseguire un

tasso di crescita per l'anno in corso nei dintorni dell'1%, contro lo 0,7% stimato ("in via prudenziale" dal Def di

aprile). Ora l'impatto sulle principali variabili macroeconomiche, dopo l'esito dell'Eurogruppo di ieri a

Bruxelles,è condizionato dall'effettiva possibilità da parte della Grecia di rispettare gli impegni assunti, in

cambio di un terzo piano di salvataggio che comunque imporrà una strettissima sorveglianza da parte di Bce,

Fmie Commissione europea. Per l'Italiaè in gioco la possibilità di centrare nel 2016 una target di crescita più

sostenuto rispetto all'1,3­1,4% stimato in aprile.

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MEMORANDUM I sacrifici ripagano sempre Roberto Napoletano I sacrifici ripagano sempre Manuel Palmiero mi fa il regalo più bello: «Ho la prova che quello che mi diceva

direttore era giusto, a prescindere da tutto i sacrifici ripagano sempre, sapesse quante cose sono cambiate,

tutte in meglio». Ricordo le parole di Manuel di un anno fa, cito a mente: «Sono uno studente specializzando

di economia della Seconda Università degli Studi di Napoli, mi sono inventato con Skype una scuola di lezioni

private e le garantisco che sono tanti, davvero tanti, gli studenti delle università private, quelle con il blasone

e che io non mi posso permettere per motivi economici, a seguire i miei corsi, eppure alla fine la mia laurea

varrà meno della loro. Che dobbiamo fare? Ce ne ne dobbiamo andare e basta!». Avevo detto: «Puoi uscire

dall'Italia, certo, ma per tornare poi più forte, vedrai però che anche in casa troverai la tua strada, la fatica e i

sacrifici ripagano sempre». È stato così, nella terra dei fuochi, grazie a un'azienda che vive di mercato e ha

dimostrato di saper scegliere e di investire sulla risorsa umana giusta, è successo alla «Laminazione Sottile»

a Pignataro Maggiore, in provincia di Caserta. «Direttore, il mondo del lavoro mi ha rubato all'università, è

accaduto per due volte in meno di un anno a casa mia, adesso ne sono sicuro, qui e fuori abbiamo il capitale

umano per far ripartire questo Paese, dobbiamo credere di più in noi stessi». Manuel si è rifatto vivo perché è

uscito «nuovo Viaggio in Italia» edizioni best BUR (raccoglie i memorandum di questa rubrica dell'ultimo anno

insieme a quelli di Viaggio in Italia dei due anni precedenti) e vuole farmi sapere che è felice per essersi

ritrovato in questo racconto e, soprattutto, perché si sente «parte di questa comunità». Mi sono accorto così,

quasi d'incanto, che il dialogo che si è aperto con i lettori della «Domenica» del Sole, attraverso questa

rubrica, è forse qualcosa di più speciale di quanto pensassi e che, solo grazie a voi, posso provare con umiltà

a restituire umori, pensieri nascosti, testa e sentimenti di un popolo di giovani e meno giovani che ha

combattuto e continua a combattere una specie di terza guerra mondiale, non si rassegna a perderla, mette

insieme ferite aperte e risveglio civile, paura e speranza, ma soprattutto voglia di riscatto, desiderio di ripartire

nonostante tutto e contro tutto e tutti, capacità di fare e di non arrendersi mai. Capisco quanto è forte il

cemento che lega questa specialissima comunità da un epistolario così fitto e numeroso (colgo l'occasione

per scusarmi se non riesco sempre a rispondere tempestivamente) e dalla testimonianza diretta di storie belle

e tormenti veri di donne e uomini in carne e ossa: l'uscita del libro è stata l'occasione per risentirne tanti,

rendersi conto di quanta strada si è fatta e di quanta ne resta da fare, per farmi capire che noi italiani

abbiamo milioni di difetti, il peggiore dei quali è un cedimento, a tratti strutturale, a logiche corruttive e

collusive dalle quali dobbiamo assolutamente liberarci in fretta, ma siamo gente tosta, abbiamo una

generazione di imprenditori­eroi che vivono di mercato e hanno scelto il mondo per misurarsi con la

concorrenza più spietata, abbiamo giovani dalle Dolomiti a Pantelleria che non li può fermare nessuno,

perché sono bravi, continuano a credere in questo Paese, hanno "fame" e hanno dentro una voglia di fare

che spiana la strada, permette di aggirare muri e macigni. «I sacrifici ripagano sempre, a prescindere da

t u t t o » , b r a v o M a n u e l , p e r a v e r c i c r e d u t o e p e r a v e r m i d i m o s t r a t o c h e è c o s ì .

r o b e r t o . n a p o l e t a n o @ i l s o l e 2 4 o r e . c o m

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/07/2015 108

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Aeroporti & industria. Lo scalo è il più grande hub merci per via aerea del Sud Europa con oltre 100 voli allcargo la settimana LOMBARDIA Da Malpensa una spinta all'export Nel primo semestre traffici in crescita del 9% - E la Sea raddoppia la cargo city ROTTA PER L'ORIENTECargolux Italia introduce un nuovo collegamento con Zhengzhou (Cina), con fermata intermedia aNovosibirsk (Russia) Marco Morino MILANO Malpensa infrastruttura strategica per l'export italiano. Per molte imprese del Nord, l'hub lombardo è

il corridoio privilegiato per raggiungere i mercati del Far East, del Nord America e del Sud America, tra i più

dinamici del pianeta. Gli ultimi dati elaborati dalla Sea, la società che gestisce l'aeroporto, confermano che

Malpensa, di recente premiato come miglior aeroporto europeo nella categoria trai 10e 25 milioni di

passeggeri l'anno, è anche il più grande hub merci per via aerea del Sud Europa. Nel primo semestre del

2015 il traffico merci (cargo) di Malpensa ha raggiunto le 246mila tonnellate, con una crescita del 9% rispetto

allo stesso periodo dell'anno precedente. Se il trend verrà confermato nel secondo semestre, è molto

probabile che quest'anno Malpensa superi il record storico del 2007, che registrò 471mila tonnellate di merci

movimentate. Il 2014 si era chiuso per Malpensa con un volume di merci trasportare superiore alle 460mila

tonnellate (50% del totale Italia), confrontate alle 421mila dell'anno precedente (+9%). Malpensa è

nettamente il primo scalo cargo in Italia. Il secondo, Roma Fiumicino, è lontanissimo dai volumi di traffico

movientati ogni anno da Malpensa (si veda la tabella a fianco). Malpensa ospita attualmente oltre 100 voli all

car­ go alla settimana. Ma soprattutto può contare su un bacino di utenza vastissimo e di prim'ordine, formato

dalle imprese della Lombardia e più in generale del Nord Italia, zoccolo duro della manifattura italiana,

desiderose di conquistare nuovi spazi sui mercati di tutto il mondo. Malpensa è la porta naturale del made in

Italy sul mondo e anche la porta d'ingresso privilegiata per le merci di qualità. Lo sa bene una compagnia del

calibro di FedEx, che nei mesi scorsi ha annunciano un investimento da 15 milioni di euro per realizzare una

nuova base logistica a Malpensa. E lo sa una compagnia come Cargolux Italia, che dal mese di mese di

giugno ha introdotto un nuovo collegamento su Zhengzhou, nuovo hub cinese di Cargolux, e da qui può

servire numerose città con una vasta rete di collegamenti via terra. Il volo fa scalo a Novosibirsk, in Siberia,

altra destinazione mai servita prima da Malpensa con un collegamento commerciale che sarà presentato il

prossimo 22 luglio. Le merci su questa rotta includono i beni della moda italiani italiani, macchinarie parti di

ricambio meccaniche. Cargolux Italia oltre al nuovo volo per Zhengzhou (con scalo a Novosibirsk) effettua

attual­ mente i seguenti voli da Milano: quattro voli sul Far East (Osaka, Hong Kong), due voli sul Nord

America (New York, Los Angeles, Chicago). Tra le altre compagnie cargo attive a Malpensa ricordiamo lo

start upa inizio anno di Silk Way Italia, nuovo vettore italiano consociato dell'azera Silk Way West, che vola su

Baku e in prosecuzione su Seoul (previsti per l'anno prossimo nuovi voli su Hong Kong, Vietnam e Stati

Uniti). Gli latri vettori cargo già presenti hanno aumentato la capacità offerta: Saudia Cargo (ha introdotto tre

voli diretti non più combinati con Bruxelles), Nippon Cargo opera una sesta frequenza e utilizza quasi sempre

un B747­800 (invece che B747­400), Air Bridge Cargo, che annuncia un volo aggiuntivo entro fine anno.

Presente anche Qatar che effettuta un volo giornaliero su Doha e due voli settimanali su Chicago con diritti di

quinta libertà. Di fronte a questo dinamismo, la Sea risponde potenziando la cargo city, che è l'aerostazione

merci di Malpensa. «Malpensa Cargo diventa più grande per accogliere nuovi operatori» annuncia la Sea. Gli

investimenti previsti da Sea per cargo city consentiranno un raddoppio della capacità dalle 600mila tonnellate

attuali a circa un milione. L'ampliamento del piazzale è stato realizzato lo scorso anno e sette nuove piazzole

sono già utilizzabili. Entro il 2016 verranno realizzati tre nuovi magazzini di 15mila metri quadrati ciascuno

che si aggiungono agli attuali 40mila metri quadrati.

Malpensa La top ten degli scali cargo 405 471 404 440 406 421 460 369 334 422 2011 2012 2013 2005

2006 2007 2008 2009 2010 2014 Napoli Brescia Venezia Taranto Fonte: Sea Bologna Bergamo Fonte: Enac

Totale cargo (tonnellate) Milano Linate Roma Fiumicino Roma Ciampino Milano Malpensa Variazione %

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/07/2015 109

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2014/2013 Merci trasportate. In migliaia di tonnellate 36.384 8,2 32.167 -4,1 19.158 71,0 17.458 -11,0 15.668

-4,7 7.773 40,3 7.373 29,6 460.657 9,1 122.488 5,6 143.090 0,8 Graduatoria degli scali italiani 2014 in base

al totale cargo trasportato sui servizi aerei commerciali

Foto: Compagnia di riferimento. Cargolux Italia è tra i vettori cargo più attivi a Malpensa

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/07/2015 110

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Sviluppo. Guidi (Mise): concentrare le risorse centrali e locali su obiettivi condivisi di politica industriale Industria, patto governo-Regioni Verso accordi di programma su ricerca, nuove imprese e made in Italy Carmine Fotina ROMA La domanda di strumenti per la competitività da parte delle imprese è sempre più alta, ma non è

soddisfatta né dal volume delle risorse disponibili né dalla coerenza di misure gestite a livello centrale e

locale. È questo l'assunto alla base dell'accordo tra governo e Regioni maturato nell'ambito della Sede stabile

di concertazione presieduta dal ministro dello Sviluppo economico Federica Guidi. Fissato l'impegno a

definire Accordi di programma in comune, destinati a tre grandi priorità: sostegno a progetti di investimento in

ricerca e sviluppo; politiche per favorire la nuova imprenditorialità innovativa; interventi a sostegno

dell'internazionalizzazione nel quadro del piano straordinario per il made in Italy. L'incontro dei giorni scorsi ­

al quale oltre allo Sviluppoe alle Regioni hanno partecipato anche ministero dell'Istruzione e della ricerca,

Dipartimento per la coesione territoriale e Agenzia per la Coesione ­ segna l'avvio di una nuova stagione di

concertazione della politica industriale, per mettere a fattor comune risorse, inferiori alle richieste di policy, e

buone pratiche, troppo spesso offuscate da mancate sinergie e dannose sovrapposizioni. Un nuovo verticea

settembre metterà a punto le iniziative. Il principale (ma non unico) veicolo normativo dovrà essere il decreto

Mise del 1° aprile 2015 che ha definito le procedure per agevolare,a valere sul Fondo crescita sostenibile,

progetti di R&S di rilevanza strategica per il sistema produttivo realizzati con accordi tra il ministero, le

Regioni e altre amministrazioni pubbliche. Il Dm, che ha già consentito di stipulare l'accordo Electrolux con

Friuli Venezia Giulia, Emilia Romagnae Veneto,è la cornice utile per supportare imprese di rilevanti

dimensioni in ristrutturazione o specifici territori caratterizzati da situazioni di crisi industriali: a disposizione ci

sono per ora 80 milioni, da integrare di volta in volta con il finanziamento delle regioni interessate che deve

essere almeno pari al 10% del costo complessivo a carico della finanza pubblica. Il ministro Guidi,

nell'elencare i risultati di alcune misure scattate negli ultimi mesi, non ha nascosto la necessità di andare

comunque oltre gli strumenti già operativi e le risorse già a disposizione. Questo al momento il quadro. Al3

luglio, la misura Smart&Start per la nascita di startup innovative ha raccolto 813 domande, di cui 282 dal Sud

dove sono stati assegnati finora 14 milioni. Lo strumento potrebbe però non essere in grado nei prossimi

mesi di far fronte alle richiesti provenienti da Centro­Nord. Alla stessa data, la nuova tornata dei contratti di

sviluppo registrava 91 domande per 3,5 miliardi di investimenti proposti. Per il Mezzogiorno sono stati

stanziati 200 milioni mentre l'accordo di programma Lamborghini ha azzerato la riserva di 50 milioni per il

Centro­Nord. Riscontro elevato anche per i bandi riservati a progetti di ricerca sui temi dell'Agenda digitale

(fabbisogno per agevolazioni 186 milioni e risorse per 147 milioni) e dell'Industria sostenibile (rispettivamente

720 e 245 milioni). «In tutti questi casi ­ rileva Guidi ­ il governo è impegnato ad acquisire ulteriori risorse». In

quest'ottica si punta alla sinergia con le Regioni, per sommare anche risorse regionali, e ad altri strumenti

nazionali: il Fondo sviluppo e coesione, il Pon competitivitàe innovazione, il Fondo rotativo della Cassa

depositi e prestiti.

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/07/2015 111

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Banche. Il presidente di Federcasse illustra i principi dell'autoriforma e preannuncia un passo indietro:«Spazio alle nuove generazioni» «Bcc alla svolta, pronta la riforma» Azzi: «Opportuno che la holding sia unica, opzione Borsa ma mantenendo la maggioranza» GLI ASSETTIFUTURI «Con la riforma ogni Bcc potrà restare tale integrandosi in un sistema e aderendo a un gruppobancario cooperativo» Marco Ferrando Per il decreto che dovrebbe in larga parte recepirla ci sarà da pazientare ancora fino a settembre. Mai

contenuti essenziali della proposta di autoriforma avanzata dal Credito cooperativo ormai sono nero su

bianco da quando ­ l'8 giugno ­ il Consiglio nazionale di Federcasse l'ha approvata.È così che il presidente

Alessandro Azzi decide di illustrarne alcuni dei contenuti più rilevanti in questo colloquio con Il Sole 24 Ore,

per chiarirei principi cardine su cui siè registrata la convergenza del Credito cooperativo ma anchei tempie le

modalità che l'attuazione della riforma, qualunque sia il suo dettame finale, richiederà. Impossibile non partire

dall'agenda. Quella che sarà e quella che avrebbe potuto essere, quando a inizio giugno sembrava che

l'approvazione fosse questione di ore. «Forse si è capito che i tempi per la conversione del decreto sarebbero

stati troppo stretti», ragiona Azzi. «Con l'estate alle portee il consueto, fisiologico, ingorgo di questo periodo il

percorso del decreto di riforma non sarebbe stato facile. Probabilmente è per questo che il Governo ha

preferito rinviare alla ripresa». Certo lo stallo non aiuta: incertezza, fughe in avanti, rischi di correzioni

dell'ultima ora. «L'importante - dice Azzi­ era mettersi d'accordo sui principi fondamentali, e che questi

venissero coltie riconosciuti da chi deve riscrivere le norme. Fatto questo, tutto il resto verrà di

conseguenza». Al riguardo, sulla scrivania di Azzi ci sono le Considerazioni finali di Ignazio Visco, che il 26

maggio ha dedicato un passaggio non scontato al credito cooperativo: «Affinché le Bcc possano continuarea

sostenere territori e comunità locali preservando lo spirito mutualistico che le contraddistingue vanno

perseguite forme di integrazione basate sull'appartenenza a gruppi bancari» aveva dichiarato il governatore

di Banca d'Italia, specificando che «l'associazione di categoriaè impegnataa formulare proposte concrete, che

saranno valutate alla luce della loro capacità di rimuovere gli ostacoli alla ricapitalizzazione e di risolvere i

problemi di questi inter­ mediari». Parole, con tanto di endorsement, che suonano come una «svolta» per il

presidente di Federcasse, reduce ­ il 27 giugno - dalla conferma alla presidenza della Federazione lombarda

delle Bcc. Biodiversità del Credito cooperativo, autonomia responsabile di ogni singola banca, esaltazione

della mutualitàe della dimensione territoriale, maggiore integrazione dentro al sistema per rispondere a

quanto chiede l'Europa, soprattutto in termini di capitale: il cuore della riforma sta qui, e nei fatti verrà

formalizzato nel patto di coesione che ogni singola Bcc firmerà con la capogruppo. «Abbiamo proposto con

forte convinzione di modularlo sulla meritevolezza. Quanto più una banca è solida, efficiente e trasparente,

tanto maggiori saranno gli spazi di autonomia. D'altro canto, la capogruppo avrà poteri di controllo e

d'intervento per evitare, anche in via preventiva, qualunque tipo di sbandamento». Altro tema, il capitale: chi

patrimonializzerà la capogruppo,o le capogruppo? «I primi sottoscrittori potranno essere i soci stessi delle

singole banche, ma certo la sfida è quella di attrarre capitali, che da tempo definiamo "non impazienti":

l'importante è che le Bcc conservino i due terzi, o almeno la maggioranza del capitale della capogruppo. Che

un domani potrebbe anche quotarsi». Fin qui la teoria. Ma in pratica, la capogruppo sarà una sola? In

settimana, all'Abi, Visco è tornato a esprimersi al plurale, il ministro Padoan anche al singolare... «Si vedrà

nel periodo transitorio che la riforma, com'è accaduto per le popolari, dovrà prevedere», dice Azzi.

Sottolineando che la scelta, prima ancora che alle aspiranti capogruppo, toccherà alle banche: «Con la

riforma, ciascuna Bcc potrà restare tale integrandosi in un sistema e aderendoa un gruppo bancario

cooperativo. Cederà una parte di autonomia ma acquisirà maggiore stabilità e maggiore capacità competitiva.

L'obiettivo è fare meglio banca mutualistica. Riducendo gli attuali svantaggi e incrementando i vantaggi

sempre più riconosciuti anche dai supervisori del fare banca di relazione». E chi non vorrà restare banca

mutualistica? «Potrà sce­ gliere la liquidazione oppure la trasformazione in spa o in popolare, sapendo che in

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/07/2015 112

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questi due ultimi casi il patrimonio indivisibile andrà devoluto come prevedono le norme». Determinante sarà

il quadro normativo (i requisiti fissati dalla legge e dalle disposizioni di Bankitalia), ma al riguardo Azzi ha le

idee chiare: «Se la ratio della riforma è quella di integrare il sistema per irrobustirlo, è opportuno che la

capogruppo sia una sola, con la sola eccezione per le Raiffeisen altoatesine, con una loro holding comunque

legata al sistema». Sarà Iccrea la capogruppo? «Lo si deciderà nella fase attuativa. In ogni caso la

capogruppo dovrà avere requisiti di solidità e di capacità organizzativa all'altezza del compito. Un compito

nuovo nell'industria bancaria: la capogruppo dovrà portare con sé il meglio delle esperienze industriali del

Movimento e agire nell'ottica del servizioe non del comando». Sul territorio, però, c'è chi pensaa più

capogruppo: il sistemaè compatto? «Con più di 370 cdaè fisiologico che ci siano opinioni diverse. Quello che

contaè che gli organi della Federazione abbiano saputo fare sintesie abbiano messoa punto una proposta di

autoriforma, un unicum assoluto in Europa per il credito cooperativo, anche sotto il profilo del metodo

partecipativo. Una soluzione che non intacchi l'autonomia delle singole banche purché meritevoli ed eviti

quella deriva dirigista che si rischiava con la primissima stesura del decreto che circolavaa gennaio.

Aspettiamo di vedere i paletti fissati dalla normativa,e poi ci si cimenterà». La riforma è destinata anche a

modificare alla radice il ruolo di Federcasse, che per Azzi «potrà diventare un soggetto garante, una sorta di

punto di sorveglianza interna sul corretto funzionamento del sistema, del rispetto dei ruoli e del patto di

coesione». In ogni caso, conclude Azzi, il cui mandato scadrà a fine novembre, «lavoriamo con uno sguardo

di lungo periodo: vogliamo creare una cornice normativa capace di consentire un ulteriore sviluppo alle Bcc.

E al riguardo, è ora che le nuove generazioni si facciano avanti».

Il quadro del settore 1993 2014 Var. % Numero soci +243% +101% 18.429 37.000 17,5 135,3 +673% 33,4

163,2 +389% 6,7 20,2 +202% 350.000 1.200.485 Dipendenti Impieghi in miliardi Raccolta diretta in miliardi in

miliardi Patrimonio IL CREDITO COOPERATIVO Tutti i numeri del settore

Foto: IMAGOECONOMICA

Foto: Il presidente Alessandro Azzi

Foto: .@marcoferrando77

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/07/2015 113

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DEBITO PUBBLICO I fattori anti-contagio a difesa dell'Italia Isabella Bufacchi Il Paese con il più alto debito pubblico nell'Eurozona, in termini del valore dello stock rilevato da Eurostat per

l'anno 2014, è la Germania con 2.170 miliardi seguita dall'Italia con 2.134 miliardi. Eppure sui mercati la

Germania non rientra nel gruppo dei Paesi maggiormente indebitati dell'Eurozona ma, al contrario, i titoli di

Stato tedeschi sono il bene rifugio per eccellenza denominato in euro. L'indicatore che pesa di più sulle scelte

degli investitori del fixed­income è infatti il rapporto debito/Pil, con quello tedesco in calo dal 2012 e sceso al

74,7% nel 2014 (sia pur ben al di sopra dello steccato del 60% di Maastricht e del fiscal compact). Continua u

pagina 8 u Continua da pagina 1 IBTp sono stati a lungo penalizzati e contagiati dal rischio­Grecia proprio per

il fatto che il debito/ Pil dell'Italia, al 132,1% nel 2014 secondo Eurostat, è secondo solo a quello altissimo

greco che orbita oramai in area 180%: la catena invisibile che ha legato l'Italia alla Grecia soprattutto agli inizi

della crisi del debito sovrano europeo si è però ora spezzata. Gli operatori finanziari e gli investitori

riconoscono al debito pubblico italiano quella solidità e sostenibilità che i greci hanno perso, sulla base di

numerosi fattori e soprattutto di alcuni trend chiave: andamento del Pil (che implica i progressi sulle riforme

strutturali, la stabilità politica e la capacità futura di rimborsare i debiti puntualmente e integralmente),

modalità di rifinanziamento del debito, accesso ai mercati, richiesta o meno di aiuti esterni, tenuta del sistema

bancario, collocamento di titoli di debito sul mercato domestico, rating. Il divario tra Italia e Grecia si sta

ampliando enormemente sul fronte della crescita economica. L'Italia cresce poco e male ma cresce: il Pil

salirà quest'anno dello 0,6%­0,7% ed è previsto in netto miglioramento nei prossimi anni. La Grecia invece è

in piena conversione ad "U": inizialmente il Pil greco era dato a +2,5% quest'anno, poi ritoccato a +0,5%

mentre le ultime previsioni della Troika oscillano dram­ maticamente tra ­2% e ­4%. Il debito/Pil dell'Italia è in

area 133% ed è previsto in calo dopo un picco che dovrebbe registrarsi proprio quest'anno. Lo stock del

debito pubblico italiano è tuttavia aumentato di una sessantina di miliardi per l'attività dell'Italia svolta come

Paese creditore nella crisi: il contributo italiano agli aiuti esterni a Grecia, Irlanda, Portogallo, Spagna e Cipro

ha fatto salire il debito di 35 miliardi circa (Efsf­bond), 10,2 miliardi (prestito bilaterale ad Atene) e 14,33

miliardi (capitale paid­in Esm). Il debito/Pil greco per contro lievita ed è indomabile nonostante aiuti finanziari

esterni eccezionali (Efsf, prestiti, Fmi e sostegno alle banche tramite Bce per un totale di 380 miliardi) e un

haircut che ha tagliato il debito pubblico di 107 miliardi nel 2012. Un altro fattore che ha contribuito a

spezzare la catena che lega Italia e Grecia per via del numerone del de­ bito/Pil è il rifinanziamento del debito.

L'Italia ha accesso ai mercati e non lo ha mai perso, tutte le aste sono andate sempre coperte durante tutta la

crisi: la Grecia non ha accesso ai mercati. I titoli di Stato italiani sono molto liquidi, i rendimenti e lo spread

rispetto alla Germania non sono smisurati. BoT, BTp CcTeu e CTz sono detenuti per la gran parte da

investitori privati, istituzionali e operatori finanziari italiani: questo riduce l'esposizione dei titoli italiani agli

umori altalenanti degli investitori esteri. In risposta alle vendite massicce di BTp da parte degli stranieri tra la

fine del 2011 e l'estate del 2012 l'Italia ha risposto con la creazione di un nuovo titolo di Stato, il BTp Italia,

mirato al risparmiatore italiano: lo strumento ha avuto un successo indiscutibile, con un flottante che è

arrivato quest'anno a quota 103 miliardi, dimostrando che l'Italia ha un serbatoio molto profondo di risparmio

degli italiani dal quale attingere. La Grecia invece si è macchiata con l'onta indelebile del "PSI", private sector

involvement, la perdita di capitale circoscritta agli investitori privati sottoscrittori di titoli di Stato. I titoli di Stato

greci in circolazione hanno importi risibili, non hanno liquidità e non vengono scambiati sul mercato

secondario. I titoli di Stato italiani hanno una marcia, vengono acquistati dalla Bce nell'ambito nel programma

Pspp (il quantitative easing europeo). I titoli di Stato greci ne sono esclusi per due motivi: hanno un rating a

livello speculativo (non­investment grade) senza che il Paese sia assistito da un programma di aiuti esterni

con condizionalità. Inoltre la Bce ha già raggiunto per la Grecia il limite massimo consentito dal Pspp del 33%

del debito pubblico del Paese emittente. Anche i rating sovrani dei due Paesi sono andati negli ultimi mesi in

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/07/2015 114

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direzioni opposte. Moody's, Fitch e DBRS hanno migliorato l'outlook da negativo a stabile del loro rating

sull'Italia (rispettivamente Baa2, BBB+, A low cioè A­). La più severa agenzia di rating S&P's ha declassato

l'Italia alla BBBlo scorso dicembre ma al tempo stesso ha modificato le prospettive da negative a stabili. La

Grecia invece è stata pesantemente retrocessa di recente: S&P's e Fitch a fine giugno (rispettivamente dalla

CCC a CCC­ e dalla CCC alla CC) mentre Moody's e DBRS sono intervenute con i loro tagli nei primi giorni di

luglio (rispettivamente da Caa2 a Caa3 e da CCC a CC). Non da ultimo, il sistema bancario italiano è risultato

tra i più solidi durante la crisi dell'euro e del debito sovrano: ora deve risolvere in via definitiva il problema

dell'elevato stock dei prestiti in sofferenza. La Grecia per contro ha già ottenuto dall'Efsf 38 miliardi per

ricapitalizzare le banche e adesso il governo Tsipras ne ha indicati altri 25 all'interno della richiesta di un terzo

programma di aiuti.

inizialmente previsto in crescita del 2,5%, ha subito prima un ritocco verso il basso al +0,5%e ora è tra ­2% e

­4%

Cosa protegge l'Italia+0,6/0,7%Dopo alcuni anni in cui il segno negativo ha dominato l'indicatore che segnala la crescita del Paese, il

prodotto interno lordo italiano e previsto per quest'anno attorno a un +0,6/+0,7%, con possibilità di ulteriore

ascesa. Ben diverso il discorso della Grecia, dove il Pil,

attorno al 26%, cheè il più alto d'Europa. Comeè la più alta d'Europa anche la disoccupazione giovanile, che

sfiora il 50%

DISOCCUPAZIONE2%Il lavoroè uno dei principali problemi che assillano sia l'economia italiana che quella greca, ma anche quii

termini sono molto diversi: in Italia la disoccupazioneèa quota 12%, in Grecia la percentualeè più che

raddoppiata, attestandosi

finanziari esterni per 380 miliardie un haircut di 100 miliardi. Inoltre il Tesoro italiano ha accesso ai mercati

per rifinanziare il debito pubblico

DEBITO/PIL133%Il vero problema dell'Italia nel suo rapporto con l'Unione europeaè rappresentato soprattutto dal debito.Il

rapporto debito/Pil italiano siè attestato al 133%, in discesae senza sostegno finanziario esterno. In Grecia il

debito/Pilè al 180%, in ascesae dopo aiuti

situazione è enormemente più drammatica: tra i titoli a due anni greci e tedeschi c'è un differenziale di 5.000

punti

SPREAD124punti baseIl differenziale tra i rendimenti dei titoli di Stato italiani e tedeschi a 10 anni è attorno ai 125 punti. Non è mai

stata superata quota 600, e l'escalation si è svolta tra il 2011 e il 2012, nei momenti più caldi della crisi. Per la

Grecia la

invece, la percentuale è del 22,3%, per cui gran parte dei titoli di debito non è negoziabile ed è illiquida

COMPOSIZIONE DEL DEBITO

83,9%Proprio sul debito pubblico l'Italia può contare, rispetto alla Grecia, su un margine consistente di manovra in

caso di difficoltà. Nel nostro Paese, infatti, l'83,9% dei titoli di debito pubblico è negoziabile. Per quanto

riguarda la Grecia,

la Grecia, dove il 90% del debito pubblico consiste in prestiti con istituzioni non residenti

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/07/2015 115

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TITOLI DI STATO DETENUTI DA NON RESIDENTI

33,6%Sotto il profilo del debito, la dipendenza dell'Italia dall'estero è relativamente ridotta; ammonta infatti al33,6%

la quota di debito pubblico detenuta da non residenti. Esattamente il contrario di quanto avviene per

stabile. La Grecia ha invece subito il declassamento di S&Pe di Fitch (giugno 2015), di Moody'se di DBRS

(negli scorsi giorni)

RATINGBaa2Sotto il profilo delle valutazioni da parte delle agenzie di rating, la posizione dell'Italia risulta essere

sostanzialmente in ascesa: prima Moody's (febbraio 2014) poi Fitch (aprile 2014)e infine DBRS (marzo 2015)

hanno modificato l'outlook del nostro Paese da negativoa

come quantitative easing.A fine giugno la Bce aveva acquisito oltre 31 miliardi di titoli italiani. La Grecia non

ha questa opportunità

TITOLI ACQUISTABILI NEL PSPP

31miliardiUn altro elemento importante che mette l'Italia al riparo dall'effetto contagioè il fatto chei titoli di debito del

nostro Paese sono acquistabili all'interno del Pspp (Public sector purchase programme) previsto dalla Banca

centrale europea, meglio noto

RICHIESTA DI SOSTEGNO FINANZIARIO ESTERNOL'Italia ha un ulteriore indicatore che mette in luce una consistente differenza rispetto al caso greco: il nostro

Paese non ha infatti mai fatto nessuna richiesta di sostegno finanziario esterno. La Grecia ha invece fatto

questa richiesta per ben tre volte, ricevendo aiuti per una somma di 380 miliardi con un haircut di 100 miliardi

aiuto esterno per eventuali ricapitalizzazioni; quello grecoè poco solido, con due richieste di aiuti per oltre 60

miliardi

SISTEMA BANCARIOSolidoEsiste un elemento di contesto che marca la differenza tra Italiae Grecia, edè quello dell'affidabilità del

sistema bancario. Quello italiano, che ha anche superato le difficili prove degli stress test della Banca

centrale europea,è solidoe non ha usufruito di nessun

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/07/2015 116

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LE ANALISI DEL SOLE Salvare i risparmiatori greci prima di salvare le banche di Donato Masciandaro La zavorra che può affondare la Grecia e l'area euro è lasciare che le banche greche falliscano. I negoziati

sul debito devono essere subito affiancati da una staffetta tra la Bce ­ che deve tornare ad essere solo un

prestatore ultimo di liquidità ­ e l'Esm, che deve diventarne invece l'azionista, sottraendolo al controllo non

solo degli attuali soci, ma anche di banca centralee governo greco. Continua IL COMPITO DEI GOVERNI u

Continua da pagina 1 Solo con una "europeizzazione" delle banche greche la ricapitalizzazione sarebbe

credibile, con vantaggi per tutti, a partire dai risparmiatori greci. I negoziati tra l'Unione europea e la Grecia

sulla rinegoziazione degli aiuti statali continuano, ondeggiando tra annunci e condotte che sono di minuto in

minuto ora cooperative, ora ostili. È facile prevedere che anche se si raggiungerà l'auspicato accordo, esso

sarà tutto fuorché stabile; occorre tempo per mettere in atto comportamenti credibili, da entrambe le parti. Ma

la tutela del risparmio greco, finora assicurata dall'azione della Bce, non può aspettare. Oggi la situazione è

drammaticamente semplice: in assenza di una ipotesi di accordo sugli aiuti statali, i conti pubblici greci sono

in bancarotta; se i titoli del debito greco diventano carta, le banche greche che li hanno in portafoglio e

soprattutto che li utilizzano per ottenere il credito dalla banca centrale sono anche esse insolventi. La loro

illiquidità dipende dalla loro insolvenza, non il contrario. Un passaggio banale, ma che occorre continuare a

chiarire, viste le molte sciocchezze che sul tema si leggono in queste ore. La prima sciocchezza è che in

realtà il debito pubblico greco non è affatto insostenibile; ma se il debito pubblico non è insostenibile, le

banche greche sono solvibili, quindi sbaglia la Bce a non erogare liquidità. La presunta sostenibilità

dell'attuale debito pubblico greco - pari al 180% del prodotto interno lordo - si poggia su due assunti: presunte

simulazioni su scenari pluridecennali che porterebbero il valore attuale del debito a dimezzare il suo rapporto

con il prodotto; la capacità della Grecia di crescere d'ora in avanti ad un ritmo stabile di almeno il 2% annuo.

Occorre spendere commenti sulla robustezza di tali assunti? La seconda sciocchezza, sovente intrecciata

con la prima, è che la crisi bancaria sia figlia dell'emorragia di depositi, a sua volta causata dalla politica della

Bce di controllo della liquidità. Anche qui, si finge di non vedere che l'emorragia di depositi è figlia di un parto

gemellare, dove l'altro nascituro è stata la vittoria elettorale di Siryza. Il cambio di governo ha coinciso con un

peggioramento delle prospettive di finanza pubblica in Grecia: la conflittualità con i creditori si è intrecciata

con una caduta delle entrate, della crescita economica, una aumento delle insolvenze bancarie, in una

completa assenza di riforme strutturali. Il peggioramento delle finanze pubbliche si è riflesso, attraverso più di

un canale, sul peggioramento della salute delle banche greche: peggioramento dell'attivo, causa bassa

qualità dei titoli di stato e dei prestiti alle imprese, peggioramento della capacità di raccogliere risparmio,

segnalata dalla fuga dei depositi. È il dissesto delle finanze pubbliche che provoca il dissesto bancario, non il

contrario. È questa la terza sciocchezza: correlare la necessità di ricorrere ai creditori con l'urgenza di salvare

le banche. È uno slogan che il premier greco sta utilizzando, ma non è per niente originale. È lo stesso

slogan che ha utilizzato il governo cipriota, quando è dovuto ricorrere anch'esso all'aiuto della troika. La storia

di Cipro è emblematica. Nel 2008 una nuova coalizione - solo per inciso, comunista - vince le elezioni, in un

contesto di finanza pubblica in ordine e di stabilità del sistema bancario. Inizia una politica di spesa pubblica

fuori controllo, che provoca prima le attenzioni dell'Unione che vengono sistematicamente disattese - poi le

difficoltà di accesso sul mercato dei capitali, infine l'instabilità bancaria. Un prestito ponte dalla Russia non fu

sufficiente; occorreva rivolgersi alla troika, e la ragione fu che "occorreva salvare le banche". La quarta

(possibile) sciocchezza è che gli interventi straordinari servano a salvare i banchieri. Questo è invece un

rischio che occorre evitare, ed oggi, nel caso della Grecia, è ancora possibile. Occorre tutelare il risparmio

greco, non i banchieri, ed in generale i possibili corresponsabili: gli azionisti, la vigilanza, i politici. Perciò è

necessario che l'Unione si faccia carico della ricapitalizzazione, tramite il Fondo europeo, d'accordo con il

governo greco. Lo scambio è ricapitalizzazione bancaria in cambio di perdita di ogni canale di ingerenza sulle

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/07/2015 117

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banche stesse. L'intervento del Fondo deve anche servire a sanare una anomalia che diventa di giorno in

giorno più vistosa: la Bce non può essere un creditore, che rischia di diventare un azionista di lungo termine.

È stato un errore dell'Unione includere la Bce nella troika, che pone a rischio la capacità della banca centrale

di rispettare il suo mandato, e nel contempo continuare a fornire liquidità a chi è solvibile. Il prestatore

temporaneo di liquidità non può divenire un paziente creditore stabile. L'alternativa? Continuare a lasciare

intrecciati il problema del debito sovrano greco con quello della solvibilità delle sue banche, rischiando che

l'uno contribuisca alla degenerazione dell'altro. A quel punto, l'instabilità rischia di essere pagata da chi non

dovrebbe; innanzitutto, i risparmiatori greci. Sarebbe un tanto peggio; speriamo che nessuna delle parti in

causa pensi che sia anche un tanto meglio.

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/07/2015 118

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IMPRESE & LEGALITÀ Sui beni confiscati serve trasparenza Lionello Mancini Il sequestro di beni da 1,6 miliardi che pochi giorni fa ha colpito la famiglia siciliana dei Virga, è meritevole di

grande attenzione, perché numerosi sono i problemi che squaderna sui tavoli del governo, del Parlamento e

della magistratura. Prima di entrare nel labirinto dei problemi, però, va detto che alla Direzione investigativa

antimafia e al Tribunale di Palermo va dato atto di aver assestato un nuovo, durissimo colpo all'area del

malaffare che ancora oggi non molla la presa sull'economia isolana. La misura di prevenzione promossa dalla

Dia riguarda beni immobili e mobili, rapporti bancari, trust e imprese che fanno capo ai cinque fratelli Virga,

originari di Marineo (Pa), imprenditori ritenuti (troppo) vicini al mandamento di Corleone. L'elenco dei beni è

impressionante: 33 imprese, per lo più del settore del calcestruzzo; 700 tra case, ville, immobili vari e terreni;

80 rapporti bancari, 40 assicurativi, oltre 40 mezzi meccanici. I collaboratori di giustizia raccontano che fino

agli anni 80, i Virga erano una famiglia di agricoltori, allevatori e casalinghe, fino a che la loro attività si era

concentrata sul calcestruzzo e dintorni, espandendosi all'ombra dei Corleonesi, grazie ai quali potevano

sedere al "tavolino degli appalti" gestito, per Cosa Nostra, da Angelo Siino. In questa storia classicamente

siciliana, non poteva mancare - insieme allo strepitoso arricchimento disvelato dal sequestro - il rapporto dei

Virga con il racket delle estorsioni: dopo averlo subìto/foraggiato per decenni, nel 2010 denunciano un noto

"esattore" della zona. Testimonianza confermata in Tribunale, che porta a diverse condanne e persino allo

scioglimento per mafia del Comune di Misilmeri; una denuncia talmente vera che ottiene l'appoggio

dell'associazione Addiopizzo la quale, a seguito della retata dei beni, in un comunicato precisa: «Da anni

avevamo ritenuto non opportuno includere nella rete di consumo critico antiracket anche quelle società. Una

scelta compiuta in tempi non sospetti e nonostante gli operatori (i Virga, ndr) avessero sporto denunce per

episodi estorsivi». In questa vicenda c'è tutta la complessità che deve gestire il fronte della legalità, dalla

massa dei beni tolti alle mafie che cresce senza sosta, alla qualificazione etica di chi intende schierarsi e

denunciare il pizzo; dai rapporti tra istituzioni e società civile nelle sue varie rappresentazioni, allo stato brado

in cui ancora oggi versa il mercato del calcestruzzo, tra i più a rischio per la sua frammentazione e

nonostante i ripetuti allarmi degli operatori sani del settore. A chi andrà in gestione l'impero dei Virga? A un

solo amministratore? A un board di professionisti che accetteranno di farsi affiancare da manager esperti dei

vari settori? E con quale roadmap? Si tenterà di salvare il salvabile, senza raddoppiare il danno ai concorrenti

(prima emarginati dalle relazioni mafiose, poi dall'intervento dello Stato)o si potranno azzerarei beni che di

impresa avevano solo la facciata? E gli immobili? Si potranno persino vendere o - assecondando teorie assai

in voga - vanno tenuti lì fino alla decomposizione, per non scalfire il loro intrinseco valore simbolico di bottino

di guerra alla mafia? E l'Agenzia che li prenderà in carico, ha intanto ricevuto il personale di rinforzo per

quantità e competenze? Non sono interrogativi ridondanti, perché le risposte ancora non ci sono. Ci sono, al

contrario lobby potenti che dell'assegnazione dei beni confiscati hanno fatto ormai la propria ragione di

esistenza e sussistenza, così come si sono creati imperi economici fatti di decine di beni in gestione, il che

nega in radice ogni possibilità di buona amministrazione, a meno di non essere dotati di superpoteri. Ci sono

leggi che stentano a vedere la luce ed errori da correggere in quelle che la luce potrebbero, alla fine, vederla.

Tutto questo silenzioso, vano e a volte feroce sgomitare, avviene su una montagna di soldi (tra gli 8 e i 20

miliardi) che nemmeno il recupero dell'evasione fiscale ci consente. Ma che la consueta assenza della politica

riesce a non utilizzare, a non far fruttare e, in definitiva, a sprecare.

Foto: [email protected]

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/07/2015 119

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Sostegni all'occupazione Fondi «distratti» nei Centri per l'impiego Gabriele Fava La Commissione Bilancio del Senato sta proseguendo la discussione per la conversione in legge del Dl 78

del 19 giugno 2015 (in scadenza il 18 agosto, recante disposizioni urgenti in materia di enti territoriali) e, tra le

altre modifiche al comparto normativo sulla materia, il governo inserisce una disposizione all'apparenza

innocua, ma che in realtà dissimula l'intenzione di continuare ad utilizzare fondi europei per finanziare i

rapporti di lavoro degli addetti ai Centri per l'Impiego. Andiamo per gradi. Con l'ultima Finanziaria era prevista

la possibilità "temporanea" per le province e le città metropolitane di finanziare attraverso l'intervento del

ministero del Lavoro i rapporti di lavoro a tempo indeterminato, nonché di prorogare i contratti di lavoro a

tempo determinato e i contratti di collaborazione coordinata e continuativa, finalizzati all'erogazione di servizi

per l'impiego e politiche attive del lavoro. Questo finanziamento "temporaneo" veniva realizzato con

anticipazioni da parte del ministero del Lavoro a valere sul Fondo Sociale Europeo. Semplificando, il

ministero del Lavoro finanziava l'assunzionee il mantenimento in servizio degli addetti ai Centri per l'Impiego

attraverso le risorse europee destinante al sostegno all'occupazione e alla mobilità e questo appare, se non

come abuso, comunque come una stortura. Infatti il Fondo Sociale avrebbe come finalità, tra le altre, quella di

realizzare progettie programmi per aiutarei giovania ottenere il know­howe le opportunità necessarie per

entrare nel mondo del lavoro; ciò soprattutto attraverso la formazione.I Centri per l'Impiego svolgono

frammentariamente e con pessimi risultati queste attività e dunque destinare ad essi le risorse europee pare

incongruo. Oggi le modifiche al decreto legge (all'articolo 15, comma 6, nel disegno di legge di conversione n.

1977) sembrano abrogare questo utilizzo improprio, ma una lettura attenta della norma avvalora l'ipotesi che

l'abrogazione sia solo formale. L'articolo 15 prevede infatti che, per finanziare I Centri per l'Impiego, le

Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano realizzino con il ministero una convenzione finalizzata a

regolare i relativi rapporti e obblighi in relazione alla gestione dei servizi per l'impiego e delle politiche attive

del lavoro nel territorio della Re­ gione o Provincia autonoma. Nell'ambito di questa convenzione

ministero­Regioni, il primo finanzia le seconde, utilizzando il Fondo sociale europeo per coprire gli oneri di

funzionamento dei servizi per l'impiego, per gli anni 2015 e 2016, nei limiti di 70 milioni di euro annui. In

sostanza, il Fondo sociale continua finanziarei Centri per l'impiego. La cosa che inoltre stupisce sono le

modalità di assegnazione delle risorse ai singoli enti territoriali. Questa distrazione di fondi dal loro corretto

alveo di destinazione prevede l'erogazione del finanziamento da parte del ministero del Lavoro in misura

proporzionale al numero di lavoratori dipendenti a tempo indeterminato direttamente impiegati in compiti di

erogazione di servizi per l'impiego e non proporzionalmente ai risultati raggiunti. Vengono premiate così le

organizzazioni meno dinamiche e numericamente ridondanti, in luogo di quelle che hanno ottenuto

performance di altro livello. Il provvedimento dunque deve essere letto in maniera decisamente negativa ed

andrebbe riformato nella direzione di premiare gli enti territoriali più virtuosi.

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/07/2015 120

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Osservatorio Il Sole 24 Ore­Gruppo Clas. Sicilia in affanno Fondi Ue, maglia nera a Veneto e Abruzzo Fse e Fesr: solo 5 Regioni centrano entrambi i target Chiara Bussi pLa maglia nera di tappa questa volta va all'Abruzzo per il Fondo sociale europeo e al Veneto per quello di

sviluppo regionale, ma anche la Lombardia si piazza nel gruppo di coda per il Fse. Solo cinque regioni

(Emilia­Romagna, Friuli Venezia Giulia, Toscana, Campania e Puglia) hanno invece rispettato gli obiettivi per

entrambii fondi. Alla terz'ultima chiamata per la certificazione della spesa per i fondi strutturali 2007­2013 le

sorprese non mancano. La Sicilia questa volta ha rispettato gli obiettivi, ma è la Regione che dovrà

impegnarsi di più nei prossimi mesi. Lo rivela l'Osservatorio Il Sole 24 Ore­Gruppo Clas che ha elaborato i

dati, con il fermo immagine al 31 maggio, appena pubblicati dalla Ragioneria dello Stato. Secondo l'ultima

fotografia le richieste di rimborso delle spese presentate dalle amministrazioni titolari dei Programmi alla

Commissione Ue hanno raggiunto il 73,6% della dotazione disponibile, al di sotto del target del 76,6% (si

veda Il Sole 24 Ore del9 luglio). Dei 52 Programmi ben 22 non hanno centrato l'obiettivo, 7 lo hanno

rispettato entro la soglia di tolleranza e solo 23 hanno tagliato il traguardo intermedio. Il tempo stringe e da

qui a fine anno restano da certificare 12,3 miliardi. «Il quadro ­ spiega Chiara Sumiraschi, economista di

Gruppo Clas ­ è il peggiore degli ultimi 12 mesi: a fine maggio 2014 infatti poco più di un programma su

quattro (il 26,9%) si situava al di sotto del target». Secondo Sumiraschi la performance potrebbe essere

dovuta «al rallentamento fisiologico nell'ultimo anno di ammissibilitàa causa delle regole di esecuzione del

bilancio comunitario e delle operazioni legate alla fase di chiusura». Non solo. In alcuni casi le soluzioni

messe in campo dalle Autorità di gestione per accelerare la spesa potrebbero non aver ancora sortito gli

effetti desiderati. Ma è soprattutto un effetto­audit a spiegare i primati negativi di Veneto, Abruzzo e

Lombardia. A fine maggio il Veneto, che aveva raggiunto l'obiettivo alle due scadenza precedenti (31 ottobree

31 dicembre 2014)è ora lontano del 20% dal target fissato dal Governo, anche se la spesa certificabile risulta

superiore al target. L'Abruzzo, che in precedenza era riuscito a piazzarsi entro la soglia di tolleranza, a fine

maggio siè distanziato del 18,8 per cento. E persino la Lombardia, che ha superato l'obiettivo per il Fesr del

5,4%, per il Fondo sociale europeo ha un gap di spesa certificata dell'8,7 per cento.I pagamenti a fine aprile

si situano però all'interno della soglia di tolleranza. Segnali positivi arrivano da Campaniae Puglia. La prima

ha superato del 5%i target di Fesre Fse, la seconda del 5% per il Fesr e dello 0,7% per il Fondo sociale

europeo. «Merito ­ spiega Sumiraschi ­ del Piano d'azione coesione che ha impresso una svolta consentendo

una riprogrammazione delle risorsee di una serie di soluzioni sollecitate anche da Bruxelles come

l'overbooking, che consiste nel dichiarare una spesa ammissibile maggiore rispetto agli importi impegnati».

La Regione più in affanno con la spesa è però la Sicilia, in particolare per il Fesr: qui le risorse ancora da

certificare sono pari al 43% della dote complessiva. Le performance migliori a livello di singolo programma

sono invece quelle del Fse Trento che ha già raggiunto il 98,6% della spesa certificata e del Fesr della Valle

d'Aosta (91,8 per cento). Se si sposta il focus sui programmi gestiti dai ministeri si scopre che ben 6 su 10

hanno avuto una performance negativa. Tra questi spicca il Pon Reti e Mobilità che si distanza del 20%

dall'obiettivo nazionale. Nei giorni scorsi la Commissione Ue ha fatto però retromarcia sul disimpegno

automatico delle risorse accogliendo gli elementi giustificativi presentati dal ministero delle Infrastrutture. È

dunque probabile che il dato debba essere rivisto alla luce della decisione di Bruxelles. I prossimi cinque mesi

e mezzo saranno comunque molto impegnativi per alcuni programmie servirà un colpo d'ala finale. Dopo la

prossima tappa intermedia del 31 ottobre, l'appuntamento clouè fissato per il 31 dicembre: le risorse non

certificate entro quella data andranno definitivamente perse.

La radiografia della spesa alla terz'ultima chiamata Raggiunto LEGENDA TARGET Nel limite Non

superato La spesa dei fondi Fesr nelle Regioni La spesa dei fondi Fse nelle Regioni L'andamento della spesa

dei fondi strutturali Ue 2007-2013 suddiviso per programma e area territoriale. Distanza % rispetto al target.

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/07/2015 121

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Performance al 31/05/2015 Valle d'Aosta Lombardia Liguria Puglia Friuli V.G. Emilia R. Toscana Abruzzo

Campania Molise PA Bolzano Basilicata Marche Piemonte Sardegna Umbria Sicilia PA Trento Lazio Calabria

Veneto * entro il 31 dicembre, rispetto alla dote totale Toscana Piemonte Veneto Campania Friuli V.G. PA

Trento Emilia R. Marche Puglia Sardegna Molise Basilicata Lazio Valle d'Aosta Liguria Calabria Lombardia

Sicilia Umbria PA Bolzano Abruzzo Raggiunto Distanza % rispetto al target LEGENDA TARGET Competenze

per lo sviluppo Istruzione/ambienti per l'apprendimento Governance e azioni di sistema Sicurezza Azioni di

sistema Ricerca e competitività Governance e assistenza tecnica Energie rinnovabili e risparmio energetico

Attrattori culturali, naturali e turismo Reti e mobilità Nel limite Non superato Percentuale di spesa certificata

dei fondi strutturali al 31 maggio 2015 rispetto alla dote complessiva per il periodo 2007-2013. La spesa

certificata è pari a 34,334 miliardi. Il target prefissato dal governo era pari al 76,6% Percentuale di risorse da

spendere entro il 31 dicembre rispetto alla dotazione complessiva pari a 12,3 miliardi Programmi che hanno

raggiunto (e superato) il target nazionale al 31 maggio 2015. In tutto sono 23 I programmi operativi nazionali

Programmi che non hanno raggiunto il target nazionale al 31 maggio 2015 ma si attestano entro la soglia di

tolleranza del 5%. In totale sono 7 Programmi che non hanno raggiunto il target nazionale al 31 maggio 2015.

In totale sono 22 Fonte: Osservatorio Il Sole 24 Ore-Gruppo Clas su dati Ragioneria Generale dello Stato

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/07/2015 122

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Il grande progetto e la scadenza dei soldi europei «Mission impossible» a Pompei I 105 milioni per il restauro stanziati da Bruxelles vanno spesi entro dicembre: non resta che una soluzione trale pieghe della normativa Antonello Cherchi Per il Grande progetto Pompei inizia il conto alla rovescia. Entro fine anno dovranno essere spesi e

rendicontati i 105 milioni messi in gran parte a disposizione dall'Unione europea per sistemare il sito

archeologico di fama mondiale. Detto in altri termini, i lavori dovranno essere terminati e collaudati. Un

compito impossibile: a un semestre dalla scadenza lo si può dire con certezza. Ma non occorrevano doti

divinatorie per prevederlo già mesi orsono. Questo non vuol dire che non si sia fatto nulla: la fase di

progettazione è ultimata, sono stati banditi interventi per 160 milioni di euro (comprensivi dei ribassi d'asta

stimati in circa il 25­30%; vuol dire che alla finei costi saranno più contenuti per stare nei 105 milioni a

disposizione) e il 95% delle gare bandite sono state aggiudicate (tra l'altro con un contenzioso contenuto:

solo 7 ricorsi). Resta il problema della fase esecutiva: si può stimare che solo il 45% degli interventi già

assegnati sia stato completato. Neanche un miracolo potrebbe, dunque, permettere di arrivare alla fine

dell'anno con il Grande progetto finito, come ha sempre chiesto la Ue perché non vengano revocati i fondi. E

di proroga Bruxelles non ne ha mai voluto sentir parlare. E allora? L'idea che sta prendendo corpo nelle

stanze mini­ steriali è di far leva sulla normativa europea in materia di appalti, che consente di suddividere i

progetti in fasi e di portare a scavalco di annualità diverse quelle ancora non completate. La proposta

sarebbe di suddividere il Grande progetto Pompei in tre fasi: quella progettuale, quella dell'aggiudicazione

delle gare e quella esecutiva e, considerato che le prime due entro l'anno saranno completate, chiedere di far

proseguire la terza nel 2016 e intanto incassare già quest'anno i 105 milioni o quelli che si riusciranno a

impegnare, che comunque sono la gran parte.E i soldi non impegnati si potrebbero far confluire nel Pon

cultura 2014­2020, che ha già una dote di quasi 490 milioni. A giocare a favore di quest'ipotesi c'è il fatto che

la struttura guidata dal generale dei Carabinieri Giovanni Nistri, posto a capo del Grande progetto, ha

dimostrato di non essere rimasta con le mani in mano. Un anno e mezzo fa quando siè insediata, infatti, la

progettazione languiva e la realizzazione di alcuni piani era inesistente. L'inter­ vento su Pompei si compone

di un piano delle opere e di altri piani: sulla conoscenza, sulla messa in sicurezza dei luoghi, di fruizione e

comunicazione, di capacity building. Non solo, sugli interventi già avviati lavoravano solo imprese campane,

mentre ora sono impegnate aziende provenienti da sette regioni (tra cui Lazio, Veneto, Umbria e Abruzzo).

Inoltre, i tempi di durata della gara sono passati dai 287 giorni del 2012 ai 20 degli ultimi mesi. Risultato che

in parte può essere attribuito al fatto che ora le gare sono assistite da una piattaforma telematica. Tutto

questo nonostante lo staff del Grande progetto non sia stato mai completato: per esempio, i 5 esperti,

promessi dal decreto legge 91/2013 che ha lanciato l'operazione, non sono mai arrivati e anche il resto del

personale è al lumicino. La Ue potrebbe, dunque, apprezzare lo sforzoe dare seguito alla proposta. Purché

non guardi al resto degli impegni presi insieme al Grande progetto. Il legislatore nazionale aveva, infatti,

previsto di allargare il tiro e studiare interventi sull'intero sito Unesco delle aree archeologiche di Pompei,

Ercolano e Torre Annunziata. L'obiettivo era il rilancio economico­sociale e la riqualificazione ambientale di

quel territorio. Era stato previsto un piano strategico, che finora nessuno ha visto.È rimasto sulla carta.

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/07/2015 123

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INTERVISTA/PAGINA A CURA DI Enrico Netti Lisa Ferrarini Vice presidente per l'Europa «Made in» obbligatorio, una priorità per l'Italia «I paesi del Nord Europa non vogliono essere trasparenti verso i consumatori» pSembra voler sdrammattizzare Lisa Ferrarini, vice presidente per l'Europa di Confindustria, quando dice che

«il dossier più amaro è quello del Made in, a cui ora forse mi sto affezionando da quando nel 2012 ho iniziato

il mio impegno nella squadra del Presidente Squinzi». L'iter del Made in è iniziato nel 2003 e i round di

negoziati continuano. Sembra proprio che la battaglia più difficile sia sul fronte del Made in... È certamente

una battaglia che dura da molto tempo, ma Confindustria non intende desistere e mi sembra che anche il

Governo l'abbia posta come priorità. Ora è entrato in gioco un elemento nuovo:è lo studio di impatto

realizzato per conto della Commissione che indica come cinque settori (calzature, ceramiche, tessile, mobili e

gioielleria ndr) abbiano espresso un chiaro sostegno al Made in obbligatorio. Questa è la posizione dell'Italia

presentata dal viceministro allo Sviluppo economico, Carlo Calenda, e condivisa da 12 Stati favorevoli

all'etichettatura, un gruppo che detienei due terzi della produzione europea nei cinque settori. Questo è un

dato oggettivo dell'interesse economico europeo. Il fronte dei contrari è guidato dalla Germania. Come

cercherà di ammorbidire il suo no? Mi amareggia la posizione dei paesi del Norde la Germania dovrà

spiegare perché non vuole essere trasparente verso i consumatori. Il 22 luglio a Roma ci sarà l'incontro con i

colleghi dei cinque settori della Confindustria tedesca. La volontà è di discutere in maniera costruttiva perché

la Germania è sensibile ai temi di politica industriale e del manifatturiero, e se riusciremo a trovare uno

spiraglio potrebbe esserci un parziale ripensamento anche da parte del Governo tedesco. C'è poi il nodo del

prolungamento delle sanzioni alla Russia... Di certo l'embargo finisce con l'avvantaggiarei paesi emergenti le

cui merci colmano il gap. L'industria europea spera che i rapporti commerciali con la Russia tornino regolari.

Prima delle sanzioni la Russia assorbiva quasi il 3% del nostro export, oltre 12 miliardi. Nella Ue solo la

Germania aveva una quota delle vendite più elevatae fino all'adozione delle sanzioni le nostre esportazioni

verso la Russia avevano registrato le performance migliori nell'Unione. Devono essere inoltre considerati gli

effetti di sostituzione del nostro export. C'è il rischio che la nostra perdita di quote passi in forma strutturale a

vantaggio di fornitori extra Ue, vanificando gli enormi sforzi compiuti in questi anni dalle nostre imprese per

affermarsi in un mercato tanto difficile quanto redditizio. Perché nella Ue è così difficile mettere al centro delle

decisioni la visione del manifatturiero, che rappresenta l'ossatura della crescita di molti paesi? Serve un

cambio di passo e la fine dell'atteggiamento punitivo e di austerità. Altrimenti si dovrebbe ripensare il modello

della stessa Unione. Dall'inizio della crisi ci siamo battuti affinché la centralità dell'industria e il rafforzamento

della competitività industriale fossero rimessi al centro dell'agenda politica europea. Negli scorsi mesi ab­

biamo dato voce alla preoccupazione che il nuovo programma d'azione della Commissione di Jean­Claude

Juncker, pur indicando il rilancio della crescita e la promozione degli investimenti come la priorità numero uno

della nuova Commissione, non esplicitasse in modo concreto l'esigenza di poter disporre di un quadro di

riferimento integrato sulla politica industriale europea. Il piano Juncker non dispone di grandi risorse

finanziarie... Il fondo è un buon passo ma il budget è limitatissimo per rispondere alla perdita di competitività

dell'Europa che considero un sistema unico, un "paese" forte. Oggi la ripresa è ancora fragilee serve un

approccio nuovo, teso alla crescita e alla creazione di nuova occupazione. Per finire c'è il nodo

dell'attribuzione dello status di economia di mercato alla Cina. Ci sarà un nuovo braccio di ferro?

L'antidumping è l'unico strumento a disposizione delle imprese europee per difendersi dalle pratiche

commerciali sleali dei concorrenti internazionali e la concessione dello status di economia di mercato alla

Cina lo renderebbe virtualmente inefficace. Inoltre la Cina, secondo la Commissione europea, non soddisfa i

requisiti stabiliti dalla Wto. La Ue ha resistito alle pressioni cinesie nella dichiarazione congiunta del vertice

bilaterale Eu­Cina di lunedì scorso non compare alcun impegno in materia, ma abbiamo notato con

preoccupazione che la Presidenza lussemburghese ha posto l'argomento nel suo programma di lavoro per il

prossimo semestre. Prevedo che nei prossimi mesi il dibattito a Bruxelles sarà estremamente delicato e

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/07/2015 124

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andrà seguito con grande attenzione dal governo, che condivide le nostre istanze e le sta tutelando

efficacemente. La Ue non dovrebbe avventurarsi in decisioni unilaterali, ma allinearsi agli altri grandi player

globali, anzitutto agli Usa, anche per evitare, quando entrerà in vigore il Ttip, che quel mercato continui a

essere protetto da dazi antidumping elevati rispetto a quelli Ue.

Foto: Confindustria. Lisa Ferrarini

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/07/2015 125

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L'INTERVISTA Stiglitz: col referendum è iniziata la riscossa ora l'austerity è sconfitta EUGENIO OCCORSIO Stiglitz: col referendum è iniziata la riscossa ora l'austerity è sconfitta A PAGINA 6 «Avete visto? Anche il

Fondo Monetario ha detto che il debito greco va ristrutturato». Veramente ha detto che va ristrutturato quello

degli altri, per la sua porzione vuole la restituzione per intero. E Joseph Stiglitz scoppia in una risata: «Ma

insomma, ve lo devo spiegare io che quando ci sono più creditori, il gioco è sempre quello di scaricare sugli

altri l'onere?». Poi torna serio: «Sono sicuro che come è stato in altri casi come l'Argentina, alla fine

ristrutturerà anche il suo credito». Comincia così una lunga conversazione telefonica con l'economista,

premio Nobel 2001, che più si è speso a favore di un aiuto concreto alla Grecia. Stiglitz è appena tornato a

New York dal Lago di Como, dove è rimasto un mese a limare il libro "Creating a learning society" che sta per

uscire. «Oggi si studia troppo poco, ma i Paesi dove si studia di più domineranno la gara per lo sviluppo».

Professore, sulla Grecia tira una forte aria di accordo. Ci crede? «Tutto sommato sì. Sarebbe una vittoria del

buon senso. Non sarà facile, certo. Ancora mancano tanti dettagli, a quanto ne so. Però penso che l'esito

sarà positivo. Sarà una vittoria della giustizia della storia».

In che senso? «La propaganda tedesca è riuscita a imporre l'immagine di una Grecia in disfacimento, un

Paese talmente mal governato che merita solo di essere messo sotto tutela, anzi non riesce neanche a

cavarsela nonostante sia stato generosamente aiutato. È tutto il contrario: la Grecia è in queste condizioni a

causa, non nonostante l'intervento europeo. E poi non è vero che è semi-fallita: dalla metà degli anni '90

all'inizio della crisi la Grecia è cresciuta più della media dell'Ue, il 3,9% contro il 2,4% annuo». Ma non

avverte una certa atmosfera di ravvedimento presso la Germania, di inedita volontà di andare incontro alla

Grecia? «Mah, è così difficile interpretare l'anima di una nazione. L'establishment tedesco è quanto mai

diviso.

Per una Merkel che ammette che tutto sommato la Germania non è la depositaria dell'unica ricetta

economica possibile, e che sono stati imposti tempi pazzeschi per il rigore in Grecia, è sempre pronto uno

Schaeuble o un Weidmann a ricordare che i cattivi sono i greci».

Cattivi no, ma ne hanno fatti anche loro di errori. O non è vero? «Ma certo, nessuno è perfetto. Chi non ne

fa? Di errori ne hanno fatti tanti i greci, più però i precedenti governi conservatori che quello attuale, per inciso

anche con la complicità di istituzioni come la Goldman Sachs. Ma il referendum non è stato un errore. Al

contrario, ha dato più forza a Tsipras, è stato il fattore che ha sbloccato il negoziato. È partito un segnale forte

e chiaro: il popolo greco non può andare avanti con l'austerity perché rischia di essere strangolato per

sempre. Sono sicuro che le cancellerie l'hanno recepito».

Veramente sembra che Tsipras stia accettando un documento che è né più né meno quello contro il quale il

suo popolo si è espresso una settimana fa... «Non è così. Vedrete che qualche miglioramento ci sarà.

Innanzitutto sarà evitato, e non è poco, l'ulteriore taglio su stipendi e pensioni. Poi ci si avvicinerà alle

posizioni greche sullo spinoso nodo dell'avanzo primario. E poi ci sarà la famosa ristrutturazione di cui

parlavo, magari non prevedendo dei tagli secchi al debito ma allungando ancora le scadenze, concedendo

periodi di grazia sugli interessi, abbassandone insomma il peso. Non si andrà lontano dalla richiesta iniziale

dei greci: non legare la restituzione solo a delle date, ma alla crescita del Paese. Che è impossibile che torni

ad esserci nelle condizioni attuali».

Su "Time" lei ha invocato il coinvolgimento diretto degli Stati Uniti. A quali modalità pensa? «La premessa è

che è mancata la solidarietà europea. La generosità di cui parlano i tedeschi non è servita altro che a pagare

gli interessi alle banche (tedesche). Ben altro serviva. È una questione di gratitudine: la Germania ha distrutto

la Grecia per la seconda volta in un secolo, stavolta con la complicità della troika. La prima volta, nell'ultima

guerra mondiale, ha avuto il condono quasi totale dei suoi debiti. Quella sì che era generosità: un perdono

incondizionato da parte dell'America che aveva mandato a morire centinaia di migliaia di suoi giovani in una

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/07/2015 126

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guerra causata dalla Germania. E con l'aggiunta dei finanziamenti a pioggia del piano Marshall. Ora, visto

che di gratitudine non c'è traccia da parte tedesca, l'America deve farsi avanti per evitare la Grexit e i suoi

contraccolpi che colpirebbero anch'essa. Così come era stata generosa con la Germania, deve esserlo con la

Grecia. E visto la Bce non vuole adempiere alle sue responsabilità, la Federal Reserve deve creare una linea

di credito speciale per la Grecia. Ho invitato poi gli americani ad andare in vacanza in Grecia, a comprare

prodotti greci, a dimostrare una volontà di aiuto incondizionato e un'umanità che agli europei sono mancate».

Visto che ancora non c'è niente di sicuro, è ancora buona la proposta in caso di nuova rottura? «Sì, ma poi

sa cosa le dico? Che se la Grecia uscirà dall'euro non sarà la fine del mondo. Sarà un shock per tutti, ma alla

fine Atene si riprenderà, come l'Argentina che fra i 2003 e il 2008 ha avuto uno dei più alti tassi di crescita del

mondo. Sarà però la definitiva sconfitta dell'esperimento della valuta unica, disegnato e programmato

malissimo. Oggi il Pil dei Paesi dell'euro sarebbe del 17% superiore nel complesso a quello che è. Per colpa

della moneta unica».

www.nytimes.com www.lemonde.fr PER SAPERNE DI PIÙ

Foto: GLI ERRORI Ne hanno fatti tanti i greci, più i precedenti governi che questo IL NOBEL Joseph Stiglitz,

economista e saggista americano, premio Nobel nel 2001 LA CRESCITA Prima della crisi sono cresciuti più

della media europea LA SCONFITTA Sarebbe soltanto la definitiva sconfitta della valuta unica

Foto: ATENE OGGI Un pensionato tiene il biglietto con il suo turno davanti alla Banca nazionale greca

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/07/2015 127

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L'INTERVISTA.1/ PITTELLA CAPOGRUPPO DEL PSE AL PARLAMENTO EUROPEO "Una lezione agli anti-euro" (a.d'a) BRUXELLES. «Se ci sarà accordo avranno vinto tutti, la Grecia e le istituzioni». Ne è convinto Gianni Pittella

(Pd), il capogruppo del Pse all'Europarlamento che nei periodi del gelo tra Atene e il resto dell'Unione è stato

l'unico a tenere vivo il negoziato ritagliandosi un ruolo di mediatore tra Tsipras e gli altri leader.

A suo parere con l'accordo che si va profilando chi vince e chi perde? «Non è un tracollo di Tsipras che ha

tenuto conto del risultato del referendum, ovvero di un "No" ad un accordo già superato al momento del voto.

Dunque tiene fede al mandato dei cittadini perché non si toccano le pensioni minime, il mercato del lavoro

sarà riformato con il coinvolgimento delle forze sociali e l'avanzo primario potrà essere rivisto d'intesa con la

Ue. Le altre misure, lotta ai privilegi e aumento dell'Iva sul lusso, sono di equità sociale».

Ha perso l'Europa? «Le istituzioni possono ritenersi più che soddisfatte perché non rinunciano alle loro

prerogative, ottengono che in Grecia si avvii un processo di riforme della Pubblica amministrazione, del fisco,

del mercato del lavoro e nella lotta a corruzione e privilegi. Ottengono anche la restituzione sia pure dilatata

nel tempo del debito».

L'accordo reggerà? «Far saltare il tavolo ora sarebbe un atto di irresponsabilità. Se fossero i falchi di Atene a

provarci Tsipras farebbe bene ad andare avanti con il sostegno delle forze socialiste progressiste e di Nuova

Democrazia».

Dovrà immolarsi? «Ora bisogna portare a casa un risultato troppo importante per la Grecia e l'Europa, poi

Tsipras verificherà se potrà fare le riforme con i falchi di Syriza o se aprire ad altre forze».

Cosa deve imparare l'Europa dalla crisi greca? «Quando chiuderemo l'accordo ci saranno le condizioni per

un salto in avanti, per una nuova governance dell'euro, la mutualizzazione dei debiti e l'integrazione politica. I

Salvini e le Le Pen che si sono accodati a Tsipras non si sono accorti che il suo non è il carro di chi esce

dall'euro, ma di chi ci vuole restare perché il problema non è la moneta ma l'austerità che continueremo a

combattere».

Foto: Gianni Pittella

Foto: LA SVOLTA

Foto: Ora bisogna portare a casa un risultato troppo importante per la Grecia e tutta l'Unione

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/07/2015 128

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IL PUNTO Snam si può riprendere Italgas Potrà gareggiare per gli appalti locali delmetano Il Tribunale di Palermo, dopo un anno, mette fine al commissariamento LUCA PAGNI MILANO. Una vicenda delicata, perché i giudici avrebbero potuto arrivare fino alla confisca della società per

poi metterla in vendita. Ma dopo un anno di commissariamento, disposto dal Tribunale di Palermo, Italgas è

tornata nella completa disponibilità della sua controllante, il gruppo Snam. La fine del provvedimento risale a

qualche giorno fa, ma è stato comunicato dalla società di Metanopoli soltanto ieri, dopo il consiglio di

amministrazione che ha confermato tutti i componenti uscenti nonchè il presidente Marco Reggiani. Il Cda ha,

a sua volta, confermato Luca Schieppati come ad.

Il clamoroso provvedimento era stato preso dopo che erano emersi collegamenti con società coinvolte in

indagine della procura antimafia e appalti per la fornitura del gas in Sicilia. Con i tre commissari nominati dal

Tribunale che avevano sottolineato alcune carenze nei sistemi di controllo di Italgas. Ma nulla di più grave.

Per Italgas, che con 1,3 miliardi di fatturato pesa per circa un terzo dei ricavi totali di Snam e rappresenta la

metà dei 6 mila dipendenti, la fine del commissariamento è arrivata appena in tempo.

Perché in autunno dovrebbero partire le gare per l'assegnazione degli appalti per la fornitura del gas nei vari

ambiti locali in cui è stata suddivisa l'Italia. Se il commissariamento fosse stato prorogato per altri sei mesi,

Italgas avrebbe avuto non pochi problemi a partecipare alla gare, con ricadute non indifferenti sui conti.

Di fronte agli investitori, il danno relativo a Snam è stato soprattutto reputazionale: ma ora anche il Tribunale

ha riconosciuto - come si legge nalla nota ufficiale della società - "la fattiva collaborazione prestata dal gruppo

Snam" nonché gli interventi posti per aumentare i controlli sull'assegnazione dei contratti.

A Snam rimane, comunque, per il futuro l'obbligo di assicurare «alle autorità competenti i flussi informativi

sulle operazioni rilevanti». Marco Reggiani

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/07/2015 129

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L'INTERVISTA/ IL SEGRETARIO DELLA CISL: SIAMO USCITI DALLA RECESSIONE MA QUESTA NON ÈANCORA RIPRESA VERA "Furlan: "Detassare il salario di produttività" LUISA GRION ROMA. C'è molto export, ma niente crescita interna, quindi non ci siamo. Per Anna Maria Furlan segretario

nazionale della Cisl - i dati di maggio sulla produzione e sugli occupati segnalano «che siamo usciti dalla

recessione, ma che la ripresa è ancora troppo debole».

Renzi ha detto che dimostrano come, grazie alle riforme fatte, le cose stanno cambiando. È d'accordo? «Mi

sembra che il segnala fornito sia ancora troppo debole. Le uniche imprese che reggono la competitività sono

quelle che esportano, ma rappresentano appena il 15 per cento del totale. Con la crisi noi abbiamo perso 25

punti di produzione industriale e se continuiamo con questo ritmo ci vorranno dieci anni per recuperare,

intanto il Paese va in ginocchio».

Quindi Jobs act e decontribuzioni per chi assume a tempo indeterminato non stanno funzionando? «Hanno

prodotto gli effetti che ci aspettavamo, sono stati utili e importanti e gli incentivi vanno assolutamente

rifinanziati. Ma per uscire dalla crisi serve altro: bisogna far ripartire gli investimenti, sia quelli pubblici che

quelli privati, bisogna rilanciare la ricerca e recuperare competitività puntando sulla qualità, non solo sul costo

del lavoro. Serve una nuova politica sia interna che europea: meno austerità non solo per salvar la Grecia,

ma anche per salvare noi stessi».

Cosa dovremmo ottenere da Bruxelles? «L'uscita dal fiscal compact, prima di tutto, perché per ripartire non

possiamo aggrapparci agli interventi della Bce, o sperare nel basso costo del petrolio o nel cambio favorevole

con il dollaro». Questo governo ha il peso sufficiente per portare a casa tale risultato? «È un bel problema,

ma dobbiamo trovare in modo di inserirci fra la Merkel e Hollande». E sul fronte interno? «C'è una cosa da

fare subito, fondamentale per far ripartire la domanda: detassare il salario di produttività e agire sulla

contrattazione. I sindacati devono tornare a siglare contratti. E' l'essenza del nostro compito,il nostro dna» Il

problema è: quale contratto? Cisl e Cgil hanno idee molto diverse in proposito e se le parti sociali non

troveranno un accordo il governo regolamenterà la materia per legge.

«Se ciò accadesse, sarebbe la morte del sindacato. Sappiamo che Renzi, come già accaduto con scuola o

pubblica amministrazione, tende a fare da solo, ma dobbiamo evitarlo. I tavoli si stanno riaprendo e il

sindacato deve essere unito».

Però Cisl punta al contratto aziendale, Cgil a quello nazionale.

«Non abbiamo niente contro il contratto nazionale, ma la produttività si gioca a livello aziendale e

territoriale».

Foto: AUSTERITÀ

Foto: È arrivato il momento di liberarsi dal fiscal compact europeo

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/07/2015 130

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IL MERCATO La Cina è vicina? Non in Borsa ma nel Pil il rischio del contagio Il dirigismo del governo nasconde i veri problemi La bolla ha riguardato quasi esclusivamente gli investitoricinesi La locomotiva dei Brics si è trasformata nel vagone di coda dell'economia ALESSANDRO PENATI Il crollo della Borsa cinese (-32% in pochi giorni) fa temere che la Cina, più della Grecia, possa essere fonte

di contagio per i mercati finanziari. Dal novembre scorso, il mercato azionario domestico cinese è

letteralmente esploso: +114% Shanghai, + 130% Shenzhen. Poi, il crollo. Il rialzo era stato alimentato quasi

esclusivamente da risparmiatori cinesi (circa l'80% delle transazioni in renminbi). Nello stesso periodo, infatti,

l'indice di Hong Kong, dove gli stranieri hanno libero accesso, è salito del 18%.

Nessun fondamentale può giustificare un tale rialzo: l'indice di Shanghai è arrivato a valere 45 volte gli utili. A

marzo, la crescita del Pil si è fermata la 7%: bisogna risalire al picco delle crisi del 2008 e del 2001 per

trovare un dato più basso. L'inflazione è in discesa all'1,4%, che in Cina significa rischio deflazione. Anzi, la

bolla delle azioni cinesi trova origine proprio nella forte espansione monetaria che cerca di attenuare il

rallentamento della crescita (per gli standard cinesi) e l'implosione del sistema bancario per via delle

sofferenze che ne conseguono. Da novembre, la Banca Centrale ha tagliato tre volte i tassi di interesse e

ridotto la riserva obbligatoria delle banche. L'incentivo all'espansione del credito, e la liberalizzazione degli

acquisti a debito dei titoli azionari, passati in pochi mesi da 60 a 390 miliardi di euro, insieme a un mercato

finanziario poco evoluto, mal regolamentato, e molto opaco, hanno innescato la più classica delle bolle.

Per ora le autorità hanno arrestato il crollo dei corsi con una serie di interventi estemporanei: blocco delle

vendite allo scoperto, sospensione dalle quotazioni per quasi la metà del listino, obbligo di acquistare azioni

proprie per le società, facilitazioni per i prestiti contro titoli in garanzia, acquisti diretti di azioni finanziati dalla

Banca Centrale. Tanto dirigismo non risolve il problema, ma lo nasconde, impedendo ai prezzi di ritrovare

rapidamente un nuovo livello di equilibrio: probabilmente più basso dell'attuale visto che, nonostante i crolli,

Shanghai ha pur sempre guadagnato il 60% rispetto a novembre.

Lo scoppio di una bolla quasi sempre si ripercuote sull'attività economica del paese, e si trasmette per

contagio agli altri paesi. Ma il caso cinese è diverso. Di solito un crollo del valore delle attività finanziarie

influisce sull'economia reale attraverso l'effetto ricchezza su consumi e investimenti, e il dissesto delle

istituzioni finanziarie, con la conseguente contrazione del credito, che amplifica l'effetto recessivo.

Le perdite poi colpiscono anche gli investitori stranieri, i capitali fuoriescono, deprezzando il cambio, che

genera altre perdite. Di qui il contagio.

In Cina però l'effetto ricchezza è ridotto perché solo una frazione dei cinesi investe in borsa e perché i

consumi privati contano appena il 37% del Pil (68% in Usa e 56% nell'Eurozona). Oltre al QE della politica

monetaria, il Governo può sfruttare il suo basso indebitamento (22 % del Pil) per intervenire e assorbire le

perdite delle istituzioni finanziarie. Il rischio di trasmissione del contagio all'estero è minimo perché la bolla ha

riguardato quasi esclusivamente investitori cinesi; perché il paese continua a esportare risparmio nonostante

il rallentamento (avanzo delle partite correnti pari al 2% del Pil); ed è creditore netto rispetto al resto del

mondo con riserve per ben 3.500 miliardi di euro (due volte il Pil italiano). Difficilmente, dunque, la Borsa

cinese può essere fonte di contagio per i mercati nel mondo. Lo è invece la fine inevitabile della crescita

tumultuosa della Cina basata sugli investimenti (44% del Pil, contro il 15% in Usa e il 19% nell'Eurozona). Per

la Cina, passare dagli investimenti ai consumi privati come motore della crescita, significa accettare tassi di

sviluppo inferiori a quelli degli ultimi decenni; e salari più elevati. E bisogna farlo superando l'inevitabile crisi

delle istituzioni finanziarie che hanno finanziato generosamente quegli investimenti, spesso poco redditizi. Il

rallentamento cinese è quindi destinato a durare, e continuerà a calmierare il prezzo dell'energia e delle

materie prime, esportando deflazione a tutti gli altri paesi esportatori. La locomotiva dei famosi paesi BRICS,

sta diventando il vagone di coda dell'economia del mondo.

12/07/2015Pag. 22

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/07/2015 131

Page 132: ANIEM · 2015. 7. 21. · 11/07/2015 La Repubblica - Napoli Galleria Umberto, vertice Comune-imprese l'agenda dei lavori della Soprintendenza 27 13/07/2015 La Repubblica - Milano

L'ANALISI L'ultimatum impossibile ANDREA BONANNI BRUXELLES TRE GIORNI per riformare la Grecia, e una serie di diktat uno più duro dell'altro.

I falchi volteggiano trionfanti sui cieli d'Europa. E dettano a Tsipras un ultimatum impossibile, come quello

dell'Austria alla Serbia che innescò la prima guerra mondiale. Le colombe cercano di negoziare sulle briciole.

A PAGINA 2 BRUXELLES. Tre giorni per riformare la Grecia, e una serie di diktat uno più duro dell'altro. I

falchi volteggiano trionfanti sui cieli d'Europa. E dettano a Tsipras un ultimatum impossibile, come quello

dell'Austria alla Serbia che innescò la prima guerra mondiale. Le colombe cercano di negoziare sulle briciole

per rendere più accettabile un testo che mette comunque sotto i piedi qualsiasi residua sovranità di Atene. E'

questo il clima che si respira alla riunione dei capi di governo dell'eurozona, mentre le discussioni proseguono

nella notte. Il vertice che avrebbe dovuto allontanare definitivamente lo spettro di un'uscita della Grecia

dall'euro in realtà rende questa ipotesi sempre più credibile e immanente. La Grecia ha definito la proposta

europea «umiliante e disastrosa». Come potrà Tsipras accettare un simile schiaffo e restare al suo posto è un

mistero. Come possa pensare di riuscire rispettare le condizioni leonine che gli vengono imposte è

incomprensibile.

Questa ennesima, drammatica svolta nella crisi greca è maturata nella notte tra sabato e domenica, quando

è apparso evidente che una maggioranza di governi dell'eurozona era contraria a varare un nuovo pacchetto

di aiuti per salvare il Paese dalla bancarotta e tenerlo nell'euro. La mancanza di fiducia nei confronti del

governi greco era totale.

Per cercare di evitare il peggio, la Commissione, l'Italia e la Francia hanno dovuto accettare un

compromesso: dare tre giorni di tempo a Tsipras e al Parlamento di Atene per mettere alla prova la sua

volontà di fare le riforme rifiutate finora. Ma il testo di quattro pagine che ieri mattina i ministri hanno

trasmesso ai capi di governo dell'eurozona, senza averlo votato e con ben undici punti controversi, rispecchia

in realtà il documento preparato nei giorni scorsi dal ministro delle Finanze tedesco Schaeuble. E tradisce la

speranza dei falchi che siano i greci stessi, alla fine, a scegliere di uscire dalla moneta unica per poter

negoziare un sostanziale taglio del loro debito ormai insostenibile.

Il documento dà tre giorni di tempo al Parlamento di Atene per approvare la riforma dell'Iva, la riforma delle

pensioni anticipate, varare un nuovo codice di procedura civile, ristrutturare l'ufficio nazionale di statistica e

creare un'autorità indipendente sul controllo di bilancio.

Inoltre il governo greco deve presentare entro il 15 luglio una «roadmap dettagliata» sulla messa in opera a

breve termine delle seguenti riforme: azzeramento del deficit del sistema pensionistico; liberalizzazione totale

delle professioni e del commercio; privatizzazione della rete elettrica; revisione dei contratti nazionali di lavoro

e riconoscimento dei licenziamenti collettivi; accelerazione delle privatizzazioni con la creazione di un fondo

indipendente in cui conferire i beni da privatizzare per 50 miliardi; taglio ai costi della pubblica

amministrazione e riforma secondo le indicazioni che verranno concordate con i creditori.

Inoltre il governo si deve impegnare a far tornare la troika ad Atene; a cancellare o compensare tutte le

misure anti-austerità già approvate senza il consenso di Bruxelles, e concordare con la troika tutte le

proposte legislative prima di sottoporle al Parlamento. Tutto questo è considerato condizione minima

necessaria non per varare il pacchetto di aiuti, ma solo per avviare le trattative in vista della concessione di

un nuovo programma di assistenza. «In caso di non accordo - è scritto in una delle frasi rimaste tra parentesi

- alla Grecia verrà offerto un rapido negoziato per una temporanea uscita dall'area euro e una possibile

ristrutturazione del debito».

Il testo specifica che, contrariamente a quanto Tsipras aveva promesso in Parlamento, il programma

prevede «il pieno coinvolgimento del Fmi» e che questa «è una precondizione dell'Eurogruppo». Valuta il

fabbisogno di finanziamento della Grecia «tra 82 e 86 miliardi», di cui sette miliardi da versare entro il 20

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/07/2015 132

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luglio e 5 entro metà agosto per consentire ad Atene di far fronte alla scadenze del debito. Prevede la

possibilità di studiare una revisione di scadenze del debito e interessi, ma «a condizione della piena messa in

opera delle misure concordate» e solo dopo la prima e positiva verifica sul rispetto degli accordi. Qualsiasi

ipotesi di "haircut", cioè di taglio del debito, è esplicitamente esclusa. La Grecia ha considerato inaccettabili e

offensive le condizioni offerte dall'eurogruppo. E ha cercato di negoziare una serie di ammorbidimenti, in

particolare sul coinvolgimento del Fmi, sulla clausola di annullamento delle misure già adottate, sull'entità del

fondo per le privatizzazioni, sul riferimento esplicito all'uscita dall'euro, sul rinvio dell'apertura del negoziato,

senza il quale la Bce non può riaprire i rubinetti e le banche resteranno chiuse. Qualcosa, alla fine,

sicuramente riusciranno ad ottenere. Ma il senso dell'ultimatum difficilmente potrà cambiare. E alla fine è

difficile prevedere se Tsipras si piegherà davanti ai diktat europei o se preferirà scegliere l'opzione di portare

il Paese fuori dall'euro. Che è sicuramente proprio quello che i falchi si augurano.

Estonia

Lettonia

Lituania

Gli schieramenti nell'eurozonaIrlanda Francia Spagna Por togallo Italia Germania Austria Slovenia Lussemburgo Belgio Paesi Bassi

Finlandia Slovacchia Grecia Cipro "COLOMBE" "FALCHI" Austria Belgio Cipro Estonia Finlandia Francia

Germania Irlanda Presidente Commissione Ue, Juncker Presidente Bce, Draghi ITALIA Lettonia Lituania

Lussemburgo Malta Paesi Bassi Por togallo Slovacchia Slovenia Spagna "Falchi" "Colombe"

IL DOCUMENTO Il documento, discusso ma non approvato dall'Eurogruppo, con cui si chiede ad Atene di

accettare il ritorno della Troika e di effettuare una serie di riforme, dall'Iva alle pensioni, entro mercoledì

prossimo

LA TRATTATIVA Donald Tusk con Alexis Tsipras e Euclid Tsakalotos al confronto bilaterale di ieri a

Bruxelles con Francois Hollande e Angela Merkel

www.consilium.europa.eu/it www.ecb.europa.eu PER SAPERNE DI PIÙ

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/07/2015 133

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SERVE RIGORE SULLE RIFORME, NON SUI CONTI STEFANO LEPRI L'Europa dovrebbe essere generosa anche se Alexis Tsipras non se lo merita affatto. O meglio generosa nei

numeri, esigente nelle condizioni. Si può soccorrere la Grecia una terza volta, spedendo altro denaro, pur di

essere certi che sia l'ultima. Ma se non si capisce dove si è sbagliato finora, come i tedeschi con tutta la loro

durezza non capiscono, si sbaglierà di nuovo. La pazienza è al limite: lo mostrano anche i sondaggi di

opinione secondo cui in molti Paesi europei, non solo in Germania, i favorevoli a espellere la Grecia dall'euro

sono più numerosi di coloro che vogliono soccorrerla. Eppure è necessario che l'Eurozona mostri di essere

capace di risolvere anche un problema così intrattabile. L'errore più grave sarebbe pretendere una stretta di

bilancio aggiuntiva a quella già accettata dal governo di Atene. E' vero che i 12 miliardi di tagli e aumenti di

tasse offerti da Tsipras non sono più sufficienti a raggiungere l'obiettivo voluto nel 2015; ma a una economia

nelle condizioni di quella greca non si può chiedere oltre. Mentre garanzie patrimoniali forse sì. Si può

sperare che il nuovo negoziato verta sugli strumenti per assicurare che quanto è concordato si realizzi

davvero. La scelta ideale sarebbe combinare magnanimità sugli obiettivi di bilancio con un controllo severo

sulle misure innovatrici, da prendere tutte nel giro di poche settimane. Manca la fiducia reciproca, si sente

ripetere in queste ore. Le ragioni per dubitare esistono. Già i precedenti governi ellenici, di ogni colore

politico, non avevano rispettato diversi impegni. La tattica negoziale di Tsipras ha reso il salvataggio più

costoso per i creditori, dai 74 agli 82 miliardi di euro invece di 53, e ha precipitato l'economia del suo Paese in

una nuova recessione di portata ancora ardua da prevedere. Inoltre Tsipras, dopo la ribellione dell'ala

estremista del suo partito, non ha più una maggioranza sicura in Parlamento. Nel momento in cui dovrà

tradurle in legge, le ampie concessioni fatte ai creditori dopo un risultato del referendum che sembrava

precluderle gli potranno essere rinfacciate con facilità. Bisogna vedere quanto reggerà l'attuale concordia con

le opposizioni democratiche. Tra le riforme per far funzionare meglio l'economia ve ne sono per tutti i gusti,

«di destra» e «di sinistra», si può scegliere. L'ostacolo vero è che per una parte di Sýriza tutte le riforme sono

da respingere, comprese la liberalizzazione del mercato elettrico e i medicinali da banco al supermercato, in

Italia realizzate da Pierluigi Bersani. Ciò che stupisce, talvolta irrita, gli altri europei è come in Grecia per non

cambiare nulla si possa invocare di tutto, dall'orgoglio nazionale alla dottrina marxista alle tradizioni

sempiterne della «culla della democrazia». Ma ciò che è in discussione in queste ore va oltre le traversie di

un piccolo Paese e il loro costo per gli altri. Il necessario equilibrio non può essere raggiunto se ci si conforma

alla «ideologia tedesca», incapace di spiegare perché un aggiustamento di bilancio dal 2010 al 2014 senza

uguali nel mondo e un consistente taglio dei salari non siano stati sufficienti. Berlino insiste soltanto sugli

errori di Tsipras, che sono enormi, ma non sa spiegare perché ha vinto le elezioni e tuttora le rivincerebbe. O

meglio, l'unica spiegazione offerta è che la Grecia è irriformabile e occorre liberarsene. Nel loro dialogo tra

sordi, rigorismo nordico e massimalismo levantino mostrano una paradossale convergenza. I precedenti

governi greci avevano tagliato spietatamente pur di non riformare. Stavolta occorre trovare un compromesso

diverso.

Foto: Illustrazione di Irene Bedino

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/07/2015 134

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CORRISPONDENTE DA BRUXELLES Retroscena Ormai è una questione di fiducia I greci (forse) avranno i soldi Ma devonodare subito garanzie Juncker a muso duro con Tsipras: col referendum avete bruciato 30 miliardi MARCO ZATTERIN Nel club dei creditori l'ex Troika formata da Ue, Fmi e Bce - giurano che tutto è cambiato martedì, prima

dell'Eurosummit straordinario, quando Jean-Claude Juncker e Alexis Tsipras sono rimasti a lungo nella

stessa stanza. A un certo punto - mentre il presidente della Commissione e quello del Consiglio (Donald

Tusk) già stavano carezzando l'idea dell'ultimatum - il lussemburghese ha mostrato al premier greco un foglio

di numeri da paura. C'erano le stime di Bruxelles sull'economia ellenica e sui soldi necessari per rimettere in

piedi un sistema bancario a pezzi. «Due anni di recessione profonda», era il primo avvertimento, grave

quanto il secondo. Quello che, figlio d'un rapido conto, stimava in «20-30 miliardi» gli oneri accessori generati

dalla serrata creditizia seguita al referendum del 5 luglio. Uno scenario da catastrofe. Tre punti almeno di

rosso alla voce «pil» per quest'anno e poco meno per il 2016. «E' stato quello che ha convinto Tsipras a

cambiare atteggiamento, a comportarsi come se avesse vinto il "sì"», concede uno sherpa europeo. Di lì è

partita la corsa contro il tempo. L'invio della richiesta per un aiuto triennale al fondo salvastati Esm, testo

scritto a molte mani fra Atene, Lussemburgo e Parigi. Poi, giovedì, è giunto a Bruxelles il nuovo piano con la

richiesta di oltre 50 miliardi e la promessa (da verificare) di 13 miliardi di manovra di tagli e minori spese. Il

cambio della guardia al ministero delle Finanze, dall'effervescente Varoufakis al più equilibrato Tsakalotos

dopo il voto, è un buon puntello. Ma non sufficiente. Quattro mesi di negoziati fatti di finti programmi e

chiavette Usb con promesse scritte in esclusivamente greco, oltre che la rottura del tavolo negoziale e il

referendum, hanno sbriciolato ogni possibile fiducia. Q uesto ha scatenato la temp e s t a d o p o l ' u ra ga n

o. A r r i vando ieri a Palazzo L ex, dove si stava per svolgere l'ennesim o E u ro g r u p p o, i l m i n i s t ro

delle Finanze austriaco Hans Jörg S chelling si è chiesto «chi ci garantisce che i greci faranno quello che

hanno messo nel programma?». Non era il solo. Il tedesco S chaeuble confessava che «non ci si può fidare

sol o d e l l e p r o m e s s e » , m e n t r e l'olandese Wiebes denunciava « l a p re o cc u p a z i o n e p e r l

'at tuazione del piano». «Abbiamo bisogno di essere rassicurat i » , agg i u n geva i l m a l t e s e S c i c l u n

a , co n fe r m a re c h e i l problema non turba solo a credere nel dogma della Tripla A e non vive al caldo.

Dietro le quinte c'è chi rivela la sensazione che il governo Tsipras sperasse nella sconfitta del "no" e che la

cosa sia sfuggita di mano. D'altra parte, «se non ci fosse stata questa virata, la Grecia sarebbe stata finita

fuori». Così il premier greco si è trovato fra l'incudine della crisi profonda e il martello del fallimento fuori

dall'euro, territorio dove gli aiuti scarseggiano e la vita non ha percorsi certi. «In molte capitali si era deciso

che Grexit fosse il male minore - commentava ieri sera una fonte Ue - e ancora la convinzione è molto

presente». Uno dei negoziatori invita però a non credere che le cose non siano così lineari e rispolvera una

frase apparentemente fuori posto di Lenin: «La fiducia è bene, il controllo è meglio». Suggerisce che nessuno

sia innocente in questa storia. Non la Grecia, arrivata tardi a giocare il gioco che serve per stare in Europa.

Non la Germania, più occupata a punire che a tenere insieme l'Ue. Non il Fmi, che chiede di esaminare

l'ipotesi di alleggerire il debito e poi dubita della sostenibilità dei conti ellenici. Non un'Ue che non ha saputo

esprimere la leadership necessaria per mettere in sicurezza la questione, prima che divenisse ingovernabile.

Dissipata la fiducia, è rimasta la voglia di controllo. Coi i tedeschi e gli altri che per ragioni personali oltre che

politiche hanno minato un'intesa che, a sentire i tecnici, poteva anche dar frutti a stretto giro. E invece no.

450 milioni Gli impegni incalzano: già domani scade una rata (da 450 milioni) che Atene deve rimborsare

all'Fmi. Ma le casse sono vuote

40 miliardi L'esposizione dell'Italia verso la Grecia Il nostro Paese è al terzo posto dopo la Germania e la

Francia

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/07/2015 135

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Foto: Il ministro Euclid Tsakalotos titolare del dicastero delle Finanze della Grecia al suo arrivo alla riunione

dell'Eurogruppo Ha preso il posto di Yanis Varoufakis

Foto: VIRGINIA MAYO/AP

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/07/2015 136

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"Mamma, farò l'artigiano" E in Italia nasce un'impresa ogni 4 minuti I nuovi "makers" guardano a elettronica, moda e alimentare FLAVIA AMABILE, PAOLO BARONI ROMA Se artigiani è una parola che vi fa pensare al passato e alla tradizione, vi manca un pezzo decisivo

dell'economia italiana. Ogni quattro minuti in Italia nasce una nuova impresa artigiana: in un giorno sono 360,

in base alla media del 2014, secondo i dati della Confartigianato. La novità è che sono sempre più numerosi i

giovani che preferiscono diventare artigiani senza laurearsi e senza il benestare dei genitori che non sempre

sono d'accordo e ancora credono nel «pezzo di carta» che certifica gli studi. In realtà tutti i dati confermano

che il nostro Paese, e non da oggi, è il regno indis c u s s o d e l l 'a r t i g i a n at o. D e l p i c c o l o è b e l l

o. D e l l av o r o esperto e paziente, degli oggetti realizzati a mano, spesso esclusivi. Con oltre 1 milione e

367 mila imprese (22,7% del totale) l'Italia può infatti vantare il numero più alto in assoluto di questo tipo di

attività. Titolari, soci e collaboratori sono più di un milione e mezzo, a q u e s t i v a n n o a g g i u n t i

1.341.000 dipendenti occupati in circa 462 mila imprese per un totale di 2.849.000 addetti. Ovvero il 17% del

totale delle imprese italiane. Vuol dire che gli artigiani sono un piccolo, grande esercito pari a 2,2 imprese

ogni 100 abitanti e 5,3 imprese ogni cento famiglie. Veri e propri maestri nel loro ramo di attività, realizzano

beni e servizi su misura del cliente con risultati di altissima qualità - e a cui si deve una fetta molto

significativa della ricchezza nazionale: il comparto artigiano, infatti, vale 12% del valore aggiunto nazionale e

il 9,1% delle nostre esportazioni. Come scrive Stefano Micelli nel suo saggio «Futuro artigiano», «è una delle

poche carte» che l'Italia può giocare, «uno dei pochi aspetti per cui il nostro Paese continua a rappresentare

una meta unica per imprese, giovani talenti del design, stilisti e artisti di tutto il mondo». I nuovi artigiani sono

una d e l l e co s t o l e d e l f u t u ro d e l l'Italia e lo hanno capito anche i giovani. Sono sempre più numerosi

quelli che si mostrano affascinati dal mondo dell'artigianato e del Made in Italy. Su circa 1000 studenti delle

scuole superiori intervistati da Skuola.net per una ricerca i n c o l l a b o r a z i o n e c o n L a Stampa, 1 su 3

sta valutando di dirigersi verso un lavoro di questo tipo (20%) o lo ha già deciso (11%). La maggioranza di

questi ragazzi proviene dagli istituti tecnici e dai professionali, ma non mancano i liceali: circa il 20% del

campion e d e gl i s t u d e n t i e d e i n e o maturati del liceo vuole diventare artigiano o ci sta pensando.

Sono poi i ragazzi a sentirsi disposti a fare questa scelta rispetto alle ragazze. I settori più ambiti sono

elettricità, automatismi ed elettronica (26%), abbigliamento e moda (19%) e alimentare (17%). Estetica e

benessere affascinano il 12% dei ragazzi, così come il settore della meccanica e delle autoriparazioni (9%).

Molti di questi ragazzi, tuttavia, dovranno fare i conti con i propri genitori, visto che circa il 13% ammette che

mamma e papà potrebbero essere contrari alla scelta di inserirsi nel mondo del lavoro artigiano senza

ottenere una laurea. Sei ragazzi su 10, infatti vorrebbero entrare subito nel mondo del lavoro artigiano

attraverso tirocini in azienda o presso professionisti. Se ci sono dei «bamboccioni» o degli schizzinosi, non è

di loro che si parla.

I numeri

22,7% delle imprese L'artigianato rappresenta una grande fetta dell'imprenditoria italiana: si tratta di

1.367.000 imprese

9,1% dell'export La forza dell'artigianato è misurata anche da quanto esportiamo. I prodotti artigianali

rappresentano il 9,1% dell'export

31% degli studenti Il 20% degli studenti delle superiori valuta un lavoro da artigiano, l'11% ha già deciso che

quello sarà il suo futuro

Foto: DINO FRACCHIA/BUENAVISTA

Foto: Sondaggio Una ricerca di Skuola.net e La Stampa registra il disappunto dei genitori, che preferiscono la

laurea alla professione

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/07/2015 137

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INTERVISTA CREDITO "Banca Sistema punta alla crescita con le acquisizioni" * L'ad Garbi: "Mai pensato di rinviare la quotazione a causa della Grecia Faremo acquisizioni nel factoring enella gestione dei crediti dubbi" FRANCESCO SPINI MILANO Ci voleva del coraggio per quotarsi in Borsa nei giorni della grande tempesta greca. Eppure al suo debutto a

Piazza Affari, il 2 luglio scorso, mentre il listino cadeva sotto i colpi del tira e molla tra Atene e l'Europa, Banca

Sistema ha guadagnato il 4,3%. Da lì in avanti è sempre rimasta sopra il prezzo di Ipo, fissato a 3,75 euro.

Fossero stati altri, avrebbero anche mollato il colpo. Da ex uomo di Borsa, l'ad Gianluca Garbi, 44 anni, un

passato alla guida di Mts ed EuroMts (il circuito dei titoli di Stato) non s'è fatto impressionare. Anzi: «Quando

nel 2011 insieme a tre fondazioni e al fondo di private e q u i ty d i Royal Bank of Scotland abbiamo fondato

Banca Sistema, acquistando una piccola banca di proprietà della Cassa di Risparmio di San Miniato e SF

Trust, società di factoring, i Cds sull'Italia erano a quota 500 punti, gli indici di Borsa crollavano del 25%. Gli

investitori internazionali scappavano, noi abbiamo investito. Quattro anni dopo, una nuova crisi. E noi siamo

andati in Borsa. Evidentemente ci piacciono le situazioni complicate...». Dottor Garbi, ha mai pensato di fare

dietrofront? «No. Avevamo comunque un buon numero di ordini per i nostri titoli e principalmente dall'estero.

Forse senza il caos greco, le richieste sarebbero andate oltre le 2,1 volte, ma l'impatto non è andato oltre».

La gran parte delle banche, però, ha accusato il colpo. Voi no, perché? «Diversamente dalle altre banche che

hanno una correlazione con i titoli di Stato a medio-lungo termine, i nostri crediti hanno una durata finanziaria

contenuta entro i 12 mesi». A cosa è dovuto? «Alla nostra attività, principalmente il factoring pro-soluto:

acquistiamo crediti che le aziende vantano nei confronti della pubblica amministrazione. Concediamo crediti

alle Pmi, sempre garantiti dallo Stato, e finanziamo crediti da cessione del quinto dello stipendio, per lo più di

lavoratori pubblici, o della pensione». Morale? «Siamo forse i più esposti sul rischio-Italia, ma a breve

termine». Perché vi siete quotati? «In primo luogo per un impegno preso nel 2011 con il fondo di private

equity di Rbs». E poi? «Con l'operazione abbiamo realizzato un aumento di capitale da 37,5 milioni di euro

che servirà per la crescita organica dei nostri business, ma anche per operazioni straordinarie di

acquisizione. Nel sistema finanziario c'è molta dinamicità nella revisione dei piani industriali. Siamo pronti a

valutare le attività che verranno giudicate non più strategiche dalle banche tradizionali, come il factoring, la

gestione di crediti dubbi, il recupero crediti, la cessione del quinto». Guarderete anche all'estero? «Siamo una

banca che raccoglie e impiega in Italia. In realtà siamo gli unici a raccogliere denaro anche in Germania da

impiegare in Italia». In che modo? «Tra le nostre attività collaterali al factoring offriamo la possibilità di

sottoscrivere online un conto di deposito. Dopo l'ok dalle autorità tedesche, anche i tedeschi possono

accedere a tassi molto competitivi». Ci fa un esempio? «Offriamo l'1,1% a 12 mesi, l'1,40% a 36 mesi, il 2,5%

sul denaro vincolato a 10 anni. Per i livelli tedeschi si tratta di tassi eccezionalmente alti. Siamo uno dei rari

esempi di vera integrazione europea sul piano del risparmio. Anche in Banca d'Italia hanno accolto

positivamente la nostra iniziativa». Siete aperti al consolidamento? «Non lo escludo, purché sia nell'interesse

degli azionisti. Non è un tabù. L'idea però è continuare a puntare sulle nicchie di mercato ad alta redditività in

cui lo Stato è il debitore di ultima istanza». Nel 2014 avete quasi triplicato l'utile. Come va il 2015? «Posso

solo dire che nel primo trimestre l'utile prima delle tasse è salito del 23%». Che dividendi darete? «Non

abbiamo una politica a riguardo, anche se finora abbiamo sempre staccato la cedola. Negli ultimi due anni

abbiamo distribuito il 10% dei profitti». Come spiega la vostra crescita? «Col fatto che aumenta l'esigenza

delle aziende di ridurre l'indebitamento per migliorare i rating e quindi l'accesso ai finanziamenti. Oggi solo

l'8% dei crediti della Pa è coperto dal factoring, per il 92% sono finanziati con modalità meno efficienti. Come

si vede, lo spazio per crescere non manca». Come vanno i tempi di pagamento dello Stato? «Dopo i 40

miliardi dati dal governo, i tempi erano mediamente migliorati. Dall'autunno scorso, però, c'è stata

un'inversione di tendenza. La media ora è di 165 giorni. Ma, appunto, è una media: si va dai 90 giorni della

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/07/2015 138

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Lombardia, ai 2 anni di alcune regioni e comuni del Sud». Cosa potrebbe fare il governo per facilitare la vita?

«Avere coraggio e fare una bella riforma della giustizia, i cui meccanismi rallentano ulteriormente ingranaggi

già arrugginiti dalla burocrazia».

Un ponte tra le aziende e la Pa Il business principale di Banca Sistema è il factoring pro­soluto: acquista

crediti che le aziende vantano nei confronti della Pubblica amministrazione. Concede crediti alle pmi garantiti

dallo Stato, svolge attività di gestione e recupero crediti, accanto a servizi bancari «classici» tra cui conti

correnti e conti di deposito

37,5milioni Con i mezzi raccolti con la quotazione la banca potrà procedere alle acquisizioni

10per cento Sono i profitti distribuiti sotto forma di dividendi negli ultimi due anni 113 2011 64,5 milioni - LA

STAMPA Anno di fondazione Data di quotazione Numero di dipendenti Totale dell'attivo miliardi di euro

(+76,5% sul 2013) Ricavi 2014 2 luglio 2015 Numero di sedi (Milano, Roma, Londra, Pisa, Padova e

Palermo) L'azienda in cifre

Foto: In Borsa La società si è quotata nel mezzo della tempesta greca ma è sempre rimasta sopra il prezzo di

Ipo fissato a 3,75 euro

Foto: Fusioni «Siamo aperti a eventuali fusioni purché siano fatte nell'interesse di tutti gli azionisti», dice l'ad

della banca Gianluca Garbi

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/07/2015 139

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Modello tedesco per la nuova coppia ALESSANDRA PUATO A pagina 4 Cassa depositi

A vanti tutta verso la Germania? Può essere questa la direzione di Claudio Costamagna, nominato

presidente di Cassa depositi e prestiti venerdì 10, e Fabio Gallia, designato amministratore delegato (la

nomina è attesa oggi), se Telecom e la banda larga saranno nei loro pensieri. È stato Andrea Guerra,

consigliere del premier Matteo Renzi e artefice del ribaltone ai vertici della Cdp, a sottolinearlo: Kfw e Cdc, le

omologhe tedesche e francesi di Cdp, hanno partecipazioni nelle aziende di telefonia. L'una ha quote in

Deutsche Telekom (il 17,5%) e l'altra in Orange, attraverso la sua partecipata Bpi - Banque publique

d'investissement. Che però, in verità, sta alleggerendo il peso: in ottobre ha annunciato la discesa all'11,4%

in Orange, dopo averne ceduto l'1,9%, e lo scorso aprile ha detto che ne avrebbe venduto un altro 3% per le

troppe perdite in Borsa del titolo. Del resto già nel 2012, quando la Caisse registrò una clamorosa perdita di

458 milioni contro l'utile di 206 dell'anno precedente, l'ex France Telecom aveva affondato i conti di Cdc, che

fu costretta a svalutare la partecipazione per un miliardo.

Se dunque è l'ingresso in Telecom la partita che la Cdp di Guerra e Renzi vorrà giocare (con aumento di

capitale, magari apportando Metroweb? C'è chi lo ipotizza, nell'industria di settore) è a queste due Casse,

questi due forzieri pubblici stranieri che si dovrà guardare. Berlino in testa. E a ben leggere la loro ripartizione

del patrimonio, si scopre che sono più stataliste di noi.

I patrimoni

La tedesca Kfw - cioè la Kreditanstalt für Wiederaufbaue , la Banca della ricostruzione, nata nel Dopoguerra

per ridare fiato all'industria - ha investimenti privati per il 74% dei propri asset (i beni, dato 2014): è il quintuplo

della Cdp che si ferma al 15% (nel 2014). Anche la francese Cdc - cioé la Caisse des Dépots , nata nel 1826

con Napoleone per dare infrastrutture al Paese - non scherza con il 66% (dato al 2013), il quadruplo della

Cassa depositi italiana, nata nel 1850 dopo la prima guerra d'Indipendenza. Le cifre sono contenute in un

libro in uscita - Caselli, Corbetta, Vecchi, «Public Private Partnerships for Infrastructure and Business

Development» - dell'osservatorio Mp3 dell'Università Bocconi. Agli investimenti pubblici la Cdc francese

destina il 14% e la Kfw tedesca il 16%, a fronte del 15% italiano: allineati. La differenza la fa la voce

«liquidità» che per l'Italia vale il 52%, per la Francia il 3%, per la Germania zero. E la raccolta. Se infatti la

Cdp è finanziata per i tre quarti dal risparmio postale e per il resto da obbligazioni, la Kfw lo è per il 90% da

bond emessi sul mercato e garantiti dallo Stato (il resto è finanziamento pubblico diretto, con linea di credito a

tassi favorevoli): il modello più di mercato.

Invece la Cdc guidata dall'amministratore delegato Pierre René Lemas è quella che ricorre meno al mercato,

notano gli autori dello studio, perché si finanzia come una compagnia d'assicurazione. Metà dei finanziamenti

viene infatti da riserve tecniche accumulate, «il resto è un mix di bond e finanziamenti ottenuti dalle banche,

provenienti però da depositi bancari appositi che i risparmiatori aprono con condizioni agevolate», dice

Stefano Caselli, prorettore della Bocconi. Insomma i finanziamenti vengono dalle banche, ma non seguono le

regole di mercato.

È Berlino dunque il modello più chiaro, opposto per ripartizione delle attività all'italiano. Ma la grande quota di

partecipazioni private della Kfw guidata da Ulrich Schröder non deve trarre in inganno, perché si tratta

perlopiù di piccole e medie imprese. «Da sempre la Kfw ha tanti investimenti privati per sostenere Pmi ed

export - dice Caselli -. Non è il forziere delle partecipazioni della Germania. Lo spazio di crescita di Cdp, i cui

vertici precedenti hanno lavorato molto bene (il presidente Franco Bassanini e l'amministratore delegato

Giovanni Gorno Tempini che venerdì scorso ha ringraziato i dipendenti, ndr. ) c'è se darà finanza per le

aggregazioni e lo sviluppo internazionale delle aziende. Ma se usa la liquidità per fare la holding, l'effetto è

incerto».

13/07/2015Pag. 1 N.26 - 13 luglio 2015

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/07/2015 140

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Se, insomma, assumiamo che la stella polare per Cdp e le politiche nazionali di sviluppo sia la Germania,

l'intervento in Telecom rischia d'essere eccentrico. Anche perché per l'Italia sarebbe un retrocedere storico:

nel gruppo telefonico, lo Stato c'era in passato ed è uscito. Sarebbe un ritorno dall'esito incerto per Cdp, la

cui redditività è stata finora elevata. «Un'operazione rischiosa per il Paese che ne è uscito bruciando tanti

soldi - commenta una fonte finanziaria autorevole -. Telecom ha un problema patrimoniale, chi vi entra deve

immettere denaro». «Ogni Cassa è frutto della storia del suo Paese, non c'è un modello migliore e facilmente

replicabile - nota Caselli -. La Cdp si basa sul risparmio, un valore di tradizione italiana che va preservato».

Inoltre Cdp è cresciuta più delle altre due. Nel 2012-2014 le sue attività sono salite del 15%, contro il calo del

4% della Kfw e la stabilità di Cdc.

Export e Ferrovie

Il sostegno all'export è uno dei temi che il nuovo tandem al vertice di Cdp dovrà affrontare, con il polo

dell'internazionalizzazione che ora potrebbe essere costruito intorno a Sace. L'altra è il ruolo del Fondo

strategico (che si sta sempre più orientando verso l'attività di fondo sovrano) e un'altra ancora quello del

Fondo italiano d'investimento e in particolare dei suoi due nuovi fondi, quello per il venture capital e quello dei

minibond. C'è infine F2i dove una Cdp più centrata sulle infrastrutture potrebbe voler crescere, in vista della

privatizzazione di Ferrovie che deve decidere a chi conferire la propria rete di binari.

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Fonte: Caselli, Corbetta, Vecchi «Public Private Partnerships for Infrastructure and Business Development»,

Osservatorio Mp3 Università Bocconi S. Avaltroni IL CONFRONTO Dove investono le tre Casse, dati 2014

Investimenti privati 15% Liquidità 52% Investimenti pubblici 31% Altro patrimonio 2% Investimenti privati 66%

Liquidità 3% Investimenti pubblici 14% Altro patrimonio 17% Investimenti privati 74% Investimenti pubblici

16% Altro patrimonio 10% * Dati 2013

Foto: Cdp Da sinistra Claudio Costamagna, nominato presidente, e Fabio Gallia, designato ceo Kfw Ulrich

Schröder, amministratore delegato

13/07/2015Pag. 1 N.26 - 13 luglio 2015

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/07/2015 141

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Elettrodomestici Electrolux -Whirlpool: un derby in bianco dario di vico Chiuse le vertenze, i due gruppi stranieri sono pronti per il derby del Nord. Electrolux, infatti, è molto presente

al Nordest, Whirlpool al Nordovest. Ma la sfida è comune: recuperare efficienza innovando. A pagina 12

Dopo la lunga vertenza Electrolux anche l'integrazione tra Whirlpool e Indesit alla fine è stata definita e

accettata dal ministero dello Sviluppo economico (Mise) e dai sindacati. Si chiude così una fase (complessa)

di ristrutturazione dell'industria degli elettrodomestici in Italia e tutto sommato si può dire che tratta di un

happy end.

Due i rischi che si erano corsi: nel caso degli svedesi, di sancire il loro progressivo allontanamento dall'Italia a

favore di un insediamento crescente in Polonia; nel caso degli americani, di definire un piano industriale che

specializzasse gli stabilimenti ma penalizzasse drasticamente la presenza nel Sud. Grazie all'intervento della

task force del ministero, entrambi questi rischi sono stati evitati e si è concordato alla fine un downsizing

accettabile e largamente mitigato dall'uso degli ammortizzatori sociali e di generosi incentivi alle dimissioni.

Un punto di caduta onorevole che ha un solo grande limite, sposta in avanti di qualche anno la risposta agli

interrogativi di fondo del settore che in Italia soffre di una serie di malattie che possiamo sintetizzare così: un

costo del lavoro troppo alto rispetto ai Paesi terzi, un margine di guadagno troppo contenuto sulle vendite e

un'innovazione di prodotto che resta lenta.

Nell'attesa di una tutt'altro che facile guarigione da questi mali va registrato come con l'uscita di scena dei

Merloni si è creato in Italia un inedito bipolarismo composto da una Electrolux con la testa nel Nord Est e una

Whirlpool che ha il suo quartier generale in Lombardia. L'integrazione con la Indesit non è stata semplice

perché c'erano duplicazioni da eliminare e missioni produttive da ridefinire. Alla fine per Caserta è stata

trovata una soluzione nel campo dei ricambi e della logistica e sono state fatte rientrare delle produzioni in

Italia in omaggio alla filosofia del reshoring . Nel derby che si prospetta tra Electrolux e Whirlpool, sul quale ci

sarà modo di ritornare, gli americani sembrano essere, quanto a innovazione in fabbrica, più avanti grazie

all'impianto varesino di Cassinetta giudicato più moderno di quelli del Nord Est.

Di recente comunque gli svedesi hanno voluto premiare il buon andamento produttivo dell'impianto di

Susegana (Treviso) riconoscendo un alto premio di rendimento ai tecnici dal 5° al 7° livello. I sindacati

sostengono che lo stabilimento abbia bisogno di nuove assunzioni anche in virtù del fatto che in Europa il

mercato ha in qualche maniera ripreso a viaggiare, se non altro per effetto di sostituzioni rinviate per troppo

tempo dalle famiglie. Nel valutare le strategie degli svedesi, però, bisognerà capire l'esito della battaglia

legale ingaggiata con l'antitrust americano che, a sorpresa, ha bocciato l'acquisizione della General Electric

Appliances perché limiterebbe la concorrenza a danno dei consumatori. È possibile che la Electrolux veda

riconosciute le sue ragioni, ma in caso contrario dovrà rivedere la priorità assegnata agli States e di

conseguenza le scelte che aveva fatto sull'Europa.

Resta il capitolo innovazione di prodotto. Non sono alle viste novità tali da sconvolgere il mercato, anche se si

respira un certa curiosità per le applicazioni che potrebbero venire dall'Internet delle cose. Il tema è sempre

quello della domotica e quindi di un sistema di elettrodomestici intelligenti collegati tra loro e connessi con i

vari devices di controllo. Una ulteriore novità potrebbe poi giungere dalle stampanti 3D e dalla possibilità di

rinnovare profondamente il business dei ricambi costruendo attorno al prodotto, anche per questa via, un

servizio più efficiente e vicino al cliente.

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Foto: Top Esther Berrozpe, numero uno di Whirlpool in Europa

13/07/2015Pag. 1 N.26 - 13 luglio 2015

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/07/2015 142

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Mal di debito: la cura dimenticata dell'inflazione MARCELLO MINENNA A pagina 6

È ormai acquisito che lo spread tra i titoli di Stato dell'area euro sia una grave anomalia. Anni di spread

hanno alterato la competitività tra le industrie manifatturiere dei vari Paesi. Finanziare la produzione con un

costo del denaro più alto determina uno svantaggio competitivo. E questo elemento è stato determinante ad

esempio nella polverizzazione dell'industria pesante greca. Sul fronte opposto la Germania, che a maggio ha

messo a segno un altro valore record del surplus commerciale (23 miliardi di euro).

Ci sono anche effetti (e paradossi) sul settore finanziario. Da un lato troviamo di nuovo la Germania che

finanzia il suo debito pubblico a tassi nulli o addirittura negativi e vede in 5 anni ridursi la spesa per interessi

di 20 miliardi; dall'altro la Grecia che ha un debito di quasi 320 miliardi che però a spread di mercato ne vale

140.

È opportuno che la Bce elimini queste contraddizioni impegnandosi sul mercato per azzerare lo spread

attraverso lo scudo offerto dall'Outright Monetary Transactions, rivedendo, se del caso, alcuni vincoli del

programma, un po' troppo stringenti tanto che non è mai stato operativo. Questo nuovo obiettivo metterebbe

nella giusta prospettiva le contraddizioni dell'euro portando chi ha un debito a pagare interessi e restituire il

capitale a prescindere dalla nazionalità. Tradotto: la Germania deve pagare interessi e la Grecia poter

ripagare i suoi debiti.

Per capire in concreto il razionale alla base di queste considerazioni esaminiamo il debito pubblico di

Germania, Francia, Italia, Spagna e Grecia come se fosse un'unica obbligazione. Per la Germania questa

obbligazione durerebbe poco meno di 7 anni, varrebbe 2.200 miliardi e pagherebbe il 3% l'anno di interessi;

quella francese 2.000 miliardi, 7 anni e interessi del 3,5%. In Italia l'obbligazione avrebbe una scadenza di 6

anni e mezzo con un valore di 2.100 miliardi e interessi di poco più del 4%. Quella spagnola: 1.000 miliardi,

durata di poco più di 6 anni e cedole del 4%.

La Grecia si distingue in meglio: il suo debito pubblico è sintetizzabile in un'obbligazione da quasi 320

miliardi con durata di 16 anni e interessi del 2,7%. Potrebbe addirittura sembrare - tralasciando il rapporto con

il Pil fuori controllo al 180% - che le cure della troika abbiano funzionato.

Invece la vulgata collettiva (anche di certi corridoi dell'Fmi) è che il debito sia insostenibile e che le colpe

siano tutte dei greci anche se, come abbiamo mostrato, lo spread è stato un nemico importante del Pil di

Atene ed è oggettivo che nell'ultimo lustro tra questi 5 Paesi la Grecia sia l'unica ad aver abbattuto la spesa

pubblica del 25%.

Serve quindi studiare meglio cosa sia successo al rapporto debito/Pil analizzando l'inflazione che ne governa

l'andamento dato che, con il tempo, erode il debito in termini reali e gonfia nominalmente il Pil. La deflazione

ovviamente produce effetti opposti. Si scopre che negli ultimi 2 anni e mezzo solo la Grecia è stata sempre in

deflazione con picchi di oltre il 3% e valori medi di quasi il 2% e che questo fenomeno timidamente ha colpito

per pochi mesi (fine 2014-inizio 2015) tutti gli altri Paesi ad eccezione della Germania.

Questa eterogeneità deriva dal fatto che l'obiettivo di inflazione del 2% della Bce non è puntuale per ogni

Paese ma medio dell'eurozona. Così però non va, perché - esattamente come lo spread - anche l'inflazione

(o meglio il differenziale di inflazione) altera la competitività dell'economia reale e deforma l'economia

finanziaria.

Cerchiamo di capire la portata di questa anomalia provando a metterci in un iperuranio in cui l'euro funzioni

come le altre aree valutarie, senza spread e con un po' di inflazione (al 2%) uguale per tutti e vediamo cosa

accadrebbe nei prossimi dieci anni al rapporto debito/PIL dei nostri 5 Paesi. La Germania andrebbe dal 75%

al 40%, ben sotto i limiti di Maastricht, la Francia dal 95% all'85%, l'Italia dal 132% a quasi il 100%, la Spagna

dal 97% al 90% e la Grecia dal 180% sfiorerebbe il 140%. Con un po' più di inflazione ed un po' meno di

13/07/2015Pag. 1 N.26 - 13 luglio 2015

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/07/2015 143

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austerità, superando i tabù tedeschi, questi numeri sarebbero ancora migliori. La sostenibilità del debito greco

è quindi una questione di regole (non solo di riforme) che l'Eurozona si deve ridare. Quanto prima.

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di MARCELLO MINENNA

13/07/2015Pag. 1 N.26 - 13 luglio 2015

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/07/2015 144

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L'intervista Parla Stefano Quintarelli, tra i parlamentari più esperti nel campo delle telecomunicazioni. Lapartita di voucher e crediti d'imposta «Il piano del governo vada avanti I fondi europei sono a rischio» «La fibra ottica fondamentale anche per il traffico via cellulare Tra poco anche i 100 megabit al secondo cistaranno stretti...» MASSIMO SIDERI «Non sappiamo con esattezza come sarà il futuro così come non sappiamo come si evolverà il mercato

dell'automobile, ma nondimeno facciamo le autostrade perché siamo certi che l'offerta anticipa la domanda.

Dunque ha senso costruire l'infrastruttura per portare la banda ultra larga fissa in Italia». L'onorevole Stefano

Quintarelli è un informatico che si occupa di telecomunicazioni e reti dall'85. È stato anche un imprenditore e

oggi è considerato l'esperto del settore in Parlamento.

L'Agenda europea 2020 ai fini del raggiungimento degli obiettivi sulla diffusione capillare di Internet tra i

cittadini non considera la rete mobile un succedaneo di quella fissa. Ha senso che le due reti non siano

sovrapponibili?

«Secondo me sì, perché non sappiamo quale sarà la domanda e l'offerta di servizi. Oggi io in casa ho una

velocità di circa 40 megabit al secondo con cui, in quattro, già saturiamo la rete. Ma cominciano ad esserci

già i video tridimensionali, per esempio. Entro poco saremo stretti anche con 100 megabit».

L'obiezione viene facile: non tutti vivono così...

«Certo, adesso, ma tra dieci anni? L'offerta precede sempre la domanda. Inoltre esistono almeno altre due

argomentazioni a favore: la prima è che il rischio e il costo del non fare è superiore a quello del fare. A Roma

è stata fatta la metropolitana e il costo per chilometro è stato di 400 milioni, ma non abbiamo detto che non la

facciamo perché costa troppo. Nell'ambito di un budget dello Stato fare degli incentivi per avviare questi lavori

anche sulla banda ultra-larga ha dei benefici che vanno oltre il costo. Già oggi si vede come nei Paesi con

basso costo di energia e tanta fibra la crescita economica c'è. Noi abbiamo già il costo dell'energia alto».

E la seconda argomentazione?

«Abbiamo bisogno di un piano come questo che si scarichi a terra per usare i fondi europei che perderemmo

senza usarli. Sono soldi che già esistono».

Gli operatori continuano a dire che comunque l'offerta di una rete mobile può sopperire a quella fissa anche

per Internet. È così?

«Con il 5G che utilizzerà una rete molto capillare e microcelle ogni 50 metri ci sarà bisogno di fibra per

alimentarle tutte. Certo, posso immaginare anche un'Italia senza Rete, ma avrebbe senso? Sarebbe un gap

verso tutti gli altri».

Però nel frattempo il piano del governo non è arrivato. Il decreto è scomparso...

«Ci sono tempi di cucina, certo se sono troppo lunghi qualche chicco di riso si può attaccare ma il risotto

viene lo stesso».

Cosa valuta positivamente di questo piano di Renzi in attesa di capire cosa ci sarà alla fine? I voucher per

alimentare la domanda?

«I voucher hanno vantaggi e svantaggi dipende dalla zona in cui vengono utilizzati. Una cosa buona è il fatto

che nelle graduatorie per le gare si privilegerà chi porta la fibra più vicina all'edificio, senza che ci sia

un'indicazione sulla parte della tecnologia, (il tipo di apparato che usi è escluso da questa valutazione) e

senza che questa indicazione escluda gli altri».

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Foto: Nell'ambito di un budget dello Stato gli incentivi per la banda ultralarga ha benefici che vanno oltre il

costo

Foto: Stefano Quintarelli

13/07/2015Pag. 3 N.26 - 13 luglio 2015

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/07/2015 145

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INTERVISTA Noi & gli altri I progetti del colosso francese che controlla Edison e che ora impegna risorse inF2i guidato da Ravanelli. «Il governo sta facendo bene» Edf «Privatizzate, noi ci crediamo» Piquemal: potremmo mettere fino a 100 milioni nel vostro Fondo per le infrastrutture DAL NOSTRO CORRISPONDENTE DA PARIGI STEFANO MONTEFIORI «Crediamo nell'Italia: nel potenziale del Paese, nelle riforme messe a punto dal governo, nella prospettiva di

modernizzazione delle infrastrutture. Inoltre apprezziamo la grande qualità del management delle imprese

italiane. Tutte ragioni che ci hanno convinto a investire in F2i», dice Thomas Piquemal, direttore esecutivo del

gruppo Edf incaricato del settore finanziario e presidente del comitato di investimento di Edf Invest. Edf, che

in Italia controlla il 100 per cento di Edison, ora si impegna in F2i (Fondi italiani per le infrastrutture), il fondo

nato nel 2007 su iniziativa della Cassa depositi e prestiti e dall'ottobre 2014 guidato da Renato Ravanelli. Un

investimento iniziale di 50 milioni di euro ai quali si potrebbero aggiungere ulteriori interventi «tra i 20 e i 100

milioni in funzione delle opportunità».

Piquemal, 46 anni, ex Lazard Frères, ex Veolia, appassionato di boxe coinvolto con il campione del mondo

Christophe Tiozzo in una rete di palestre per i giovani delle banlieue, dal 2010 dirige il settore finanziario di

Edf, e spiega a Corriere Economia perché il colosso francese guarda di nuovo all'Italia.

Che cosa spinge Edf, gigante dell'energia, a investire in un fondo?

«All'origine, la legge francese ci impone di prepararci per i costi futuri dello smantellamento delle centrali

nucleari. Noi gestiamo degli attivi finanziari per essere certi che quando verrà il momento, a lungo termine,

questi costi di smantellamento saranno coperti dai fondi necessari. Ho l'abitudine di dire che la gestione di

fondi è un secondo mestiere di Edf, più piccolo rispetto a quello industriale che tutti conoscono, ma molto

importante. Quando sono arrivato in Edf, nel 2010, avevamo investimenti in azioni e obbligazioni. Noi

abbiamo stimato che fosse opportuno diversificarli e impegnarci con il fondo Edf Invest nel campo delle

infrastrutture. Un fondo con 5 miliardi di cui 2 miliardi di cash pronti per essere investiti».

La prima operazione di Edf Invest ha coinvolto un altro partner italiano, la Snam.

«Abbiamo realizzato un consorzio costituito da Snam al 45%, dal fondo di Singapore GIC al 35%, e da Edf al

20% per comprare Tigf, che è la rete di trasporto e stoccaggio di gas del Sud della Francia, venduta da Total

nel 2013. Questo è stato in pratica l'atto costitutivo di Edf Invest, il fondo infrastrutture diretto da Guillaume

d'Engremont. Una società che ha buone prospettive di crescita al centro della rete di transporto di gas

europeo».

Adesso Edf Invest si rivolge di nuovo all'Italia ed entra in F2i. Perché questa scelta?

«Crediamo nelle riforme in atto e nel programma di privatizzazioni nel campo delle infrastrutture. Il tessuto

industriale è estremamente dinamico. Riteniamo ci siano molte opportunità in questo settore. E pensiamo di

potere apportare non solo il capitale, ma anche il savoir faire nella gestione di attivi a lungo termine».

Conta anche la vostra esperienza in Edison?

«Per Edf i negoziati su Edison sono durati dodici anni. Ho contribuito a questi negoziati per 18 mesi a partire

dal 2011 e sono soddisfatto che l'accordo che noi abbiamo trovato sia positivo per tutte le parti. A quell'epoca

ho avuto l'occasione di conoscere Renato Ravanelli, che adesso è a capo di F2i. La sua presenza è un altro

elemento positivo che ci ha portato a concludere questo affare».

Ci sono stati interventi o contatti con il mondo politico italiano e francese per l'affare F2i?

«No nessuno, l'investimento che ci è stato proposto da Ravanelli si inscrive perfettamente nella nostra

strategia di impiego dei fondi dedicati, inoltre interveniamo come partner, non prendiamo il controllo. Siamo

un investitore di lungo termine, e contrariamente ad altri fondi non abbiamo alcun obbligo di liquidare, per

esempio, dopo sette anni. Crediamo di potere offrire un elemento di stabilità nel campo delle infrastrutture in

Italia. Non ci interessano colpi sporadici, la nostra è una strategia di fondo».

13/07/2015Pag. 5 N.26 - 13 luglio 2015

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/07/2015 146

Page 147: ANIEM · 2015. 7. 21. · 11/07/2015 La Repubblica - Napoli Galleria Umberto, vertice Comune-imprese l'agenda dei lavori della Soprintendenza 27 13/07/2015 La Repubblica - Milano

Oltre a Tigf assieme a Snam e adesso a F2i, quali sono le altre principali presenze di Edf Invest?

«Come Edf Invest abbiamo il 50% dei titoli di Rte, che è la rete di trasporto dell'elettricità in Francia (l'altro

50% è detenuto dagli attivi del gruppo). Poi siamo presenti in Gran Bretagna con una quota nel capitale di

Porterbrook, una società che affitta materiale ferroviario, e nella Madrileña Red de Gas, la rete di

distribuzione del gas a Madrid. Per il futuro, guardiamo a possibili opportunità in America del Nord, e abbiamo

preso anche delle piccole posizioni di attesa in fondi che si interessano all'Africa».

Dopo i 50 milioni di euro iniziali, lei parla di altri possibili interventi in F2i «in funzione delle opportunità».

Quali, per esempio?

«Siamo interessati a tutti i campi, non siamo particolarmente concentrati sull'energia. Le nostre attività sono

molto diversificate. Contiamo sull'équipe di F2i per individuare le migliori opportunità per altri investimenti».

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Foto: Edf Il direttore esecutivo per la finanza Thomas Piquemal

Foto: F2I Renato Ravanelli, a capo del fondo italiano per le infrastrutture

Foto: Al top Jean Bernard Levy, il presidente di Edf

13/07/2015Pag. 5 N.26 - 13 luglio 2015

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/07/2015 147

Page 148: ANIEM · 2015. 7. 21. · 11/07/2015 La Repubblica - Napoli Galleria Umberto, vertice Comune-imprese l'agenda dei lavori della Soprintendenza 27 13/07/2015 La Repubblica - Milano

Cambio della guardia A ottobre Blanchard lascerà il Fondo monetario. Ha affrontato la crisi e ammesso i suoierrori Fmi Cercasi economista per curare il mal di bolla Il più gettonato è Dani Rodrik: noto per essere anti austerity In lizza anche DeLong e Cowen. Grecia e Cina leprime sfide Partite calde: debito ellenico, volatilità dei mercati, crescita degli Emergenti Fabrizio Goria E conomista con grande esperienza internazionale cercasi. Il Fondo monetario internazionale (Fmi) si

prepara alla successione del suo capo economista Olivier Blanchard, che a ottobre lascerà l'istituzione

guidata da Christine Lagarde per andare al Peterson institute for international economics, uno dei maggiori

think tank di Washington DC. Grecia ed eurozona da una parte, Cina e ribilanciamento globale dall'altra, il

compito dell'erede di Blanchard non sarà semplice.

Quello che fino all'estate 2008 era un docente di Economia del Massachusetts Institute of Technology sa che

il suo lavoro a Pennsylvania Avenue è terminato. «Abbiamo avuto una crisi dal vivo, nelle nostre mani», ha

scritto sul suo blog pochi giorni prima di comunicare al board del Fondo la sua decisione. Nato ad Amiens, in

Francia, nel 1948, Blanchard è autore di quello che forse è il più celebre testo di studio in campo

macroeconomico, «Macroeconomics» appunto. Arrivato all'Fmi due settimane prima del collasso di Lehman

Brothers, ha saputo affrontare la peggiore crisi globale dal Secondo dopoguerra con un piglio pragmatico e

decisionista. Ma sarà ricordato soprattutto per l'ammissione degli errori sui moltiplicatori fiscali e sulle stime di

crescita, che hanno peggiorato il carico di consolidamento fiscale richiesto in molti Paesi, fra cui Grecia,

Irlanda e Portogallo. Mai prima del gennaio 2013 c'era stata una presa di coscienza così netta delle proprie

imprecisioni. Eppure, come spiega Kenneth Rogoff, già predecessore di Blanchard, «il suo apporto nella

ricerca pura ha creato una vera età dell'oro al Fondo monetario». Non sarà quindi facile trovare un sostituto.

Specie perché dovrà fare i conti con i problemi della Grecia, sia nel caso si trovi un accordo duraturo sia nel

caso ci sia la prima uscita di un Paese dall'area euro della storia, e con quelli di Cina, impegnata in un

significativo deleveraging bancario, e Paesi emergenti, i quali fronteggiano debolezze strutturali che a oggi

sembrano insanabili.

Candidatura forte

Il più probabile candidato alla successione, stando alle indiscrezioni in ambito accademico, è Dani Rodrik.

Nato a Istanbul nel 1957, è docente di Economia internazionale alla John Kennedy School of Government di

Harvard. Il suo dottorato in Economics lo ha preso a Princeton, dopo la laurea ad Harvard. E proprio come

Blanchard è un accademico puro. Specializzato negli studi sulla sostenibilità dello sviluppo economico e sugli

squilibri macroeconomici legali alla globalizzazione, è autore di quello che è considerato uno dei libri più

importanti dell'ultimo decennio del secolo scorso, ovvero Has Globalization Gone Too Far? . Rodrik è inoltre

membro dei più significativi centri di ricerca economici, come il National bureau of economic research, il

Centre for economic policy research, il Center for global development, l'Institute for international economics,

più il think tank Council on foreign relations.

Nelle ultime, convulse, settimane di crisi greca, si è esposto pubblicamente contro le misure di austerity

richieste dalla cancelliera tedesca Angela Merkel. Insieme a Thomas Piketty, Jeffrey Sachs, Heiner

Flassbeck e Simon Wren-Lewis, Rodrik ha scritto una missiva pubblica in cui si criticano le posizioni

dogmatiche della Germania e dell'eurozona in merito al consolidamento fiscale richiesto ad Atene. Una

posizione molto simile a quella tenuta dall'Fmi, che fino all'ultimo ha chiesto ai policymaker europei di

considerare una ristrutturazione del debito ellenico.

Alternative

Se i Paesi rappresentati nel board dell'Fmi non dovessero trovarsi d'accordo su Rodrik, in lizza ci sarebbe

anche Bradford DeLong. Nato a Boston nel 1960, ha preso laurea e dottorato ad Harvard, poi ha insegnato

nella sua alma mater e al Mit, per approdare a Berkeley. Anche lui, come Blanchard, è un fautore della

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globalizzazione sostenibile. Può però giocare a suo sfavore il ruolo di alto funzionario del Tesoro durante la

presidenza di Bill Clinton sotto la direzione di Lawrence Summers, periodo in cui si occupò della nascita del

North american free trade agreement (Nafta). In genere, al Fondo monetario si tende a evitare di nominare

come capo economista chi ha avuto esperienze, anche laterali, in ambito politico.

Infine, c'è anche chi indica con buone chance Tyler Cowen, economista della George Mason University che

ha preso il PhD ad Harvard. È il più giovane del terzetto - è nato nel 1962 - ma non per questo meno esperto.

Campione di scacchi come Rogoff, studioso di teoria dei giochi (il suo mentore è il Nobel Thomas Schelling) e

di economia internazionale, ha dalla sua la grande capacità di leggere i mercati finanziari. E data la volatilità

che tutti gli analisti, sia della Fed sia della Bce, si attendono nei prossimi anni, potrebbe essere Cowen la

scelta giusta.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Foto: Al timone In alto a sinistra, Olivier Blanchard. A destra, in senso orario i candidati successori Dani

Rodrik (Harvard), Bradford DeLong (Berkeley) e Tyler Cowen (George Mason)

Foto: Poteri Christine Lagarde guida il Fondo monetario

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Aste L'analisi dettagliata del mercato domestico nei primi sei mesi dell'anno Bilanci Rinascimento italiano I buyer riscoprono il Bel Paese Compravendite a quota 117 milioni Una crescita del 39% rispetto al 2014 paolo manazza Bolla o non bolla arriveranno a Roma? Una metafora traslata e scherzosa (della celebre canzone di Antonello

Venditti) aiuta a fotografare il mercato italiano dell'arte. L' art advisor Todd Levin - direttore del Levin Art

Group - ha dichiarato ad ArtNews : «Ci troviamo senz'altro in una bolla. E quando le persone sentono la

parola "bolla" subito pensano che stia per scoppiare. Mentre in realtà le bolle si gonfiano e si sgonfiano in

modi differenti. Nessuno può saperne la durata».

Ripensamenti

Alla fine del primo semestre 2015, l'impressione è che lo strano fermento del mercato internazionale stia

trainando anche quello italiano. La nostra piazza, da decenni relegata ai margini delle compravendite globali

ed europee, è in ascesa. Le due major Christie's e Sotheby's, che avevano quasi abbandonato Milano

(soprattutto Christie's, con la riduzione a una sola vendita meneghina l'anno) hanno invece incontrato una

mercato ricco e di successo. La maison di Pinault ha regalato una serata memorabile nelle sale di Palazzo

Clerici. Il 28 aprile, per la prima volta, è stato realizzato il 100% di venduto. Una White Glove Sale (come si

dice in gergo) con 18.283.650 euro incassati dai 47 lotti serali (si è arrivati a oltre 20 milioni con la Day Sale

del giorno seguente). Un successo quasi imprevisto (raddoppiato il risultato del primo semestre 2014), che

riporta la piazza italiana al respiro internazionale. Anche Sotheby's, dagli 11,7 milioni del 2014, ha totalizzato

a maggio 19.681.075 euro. Con aggiudicazioni record. Come quella di un Paolo Scheggi partito da 380 mila

ma battuto a 1.623.000 (record mondiale per l'autore).

La crescita italiana arriva anche dalle maison nostrane. Con un totale semestrale complessivo di 117,5 milioni

rispetto agli 84,4 del primo semestre 2014. E in autunno (il 9 e 10 novembre) si terrà la prima vendita della

rinata Finarte.

Vediamo nel dettaglio cosa è successo in questa prima parte dell'anno. La toscana Pandolfini ha archiviato

un +45%. In notevole aumento i compratori stranieri sia europei che orientali, grazie anche alla diffusione

della piattaforma online . Una percentuale di crescita maggiore per la genovese Cambi. Con un fatturato di

15,47 milioni di euro, supera del 63% il primo semestre 2014. Soprattutto grazie ai dipartimenti dedicati ai

gioielli e argenti (+135%) e all'arte moderna e contemporanea (+128%).

Cresce anche Meeting Art. La casa d'aste di Vercelli ha un incremento del 19,1%. Con +46,84% nei dipinti

del XIX e del XX secolo e un aumento di compratori stranieri, con una percentuale del 19%, dalla Germania,

Francia, Svizzera e Inghilterra. Mentre gli acquirenti asiatici sono aumentati in generale su tutte le maison

italiane.

Segnali di ripresa

Ottima la performance della milanese Il Ponte, con un totale semestrale di 10.034.900 (rispetto agli 8 milioni

dell'anno scorso). Farsetti è in linea con il 2014. Mentre Wannenes registra un lieve calo (da 6,35 a 5,8

milioni), archiviando nel contempo un rafforzamento della sua posizione nel comparto dei dipinti antichi, in

crescita di attenzione per opere di grande qualità (un quadro di Elisabetta Sirani L a bellezza che scaccia il

tempo partito da 28 mila è stato aggiudicato a 86.800). Insomma, in Italia i segnali di ripresa tendono a

consolidarsi. Grazie all'ondata dell'entusiasmo internazionale, da noi però vissuto con più realtà e parsimonia.

Nelle ultime vendite londinesi dedicate agli Old Master, Sotheby's ha incassato 39,3 milioni di sterline. Con

sei nuovi record. Tra i quali la Bocca della Verità , un dipinto di Lucas Cranach il Vecchio partito da 5,5 milioni

ma passato di mano a 9,333 milioni di sterline.

Christie's ha incassato 19 milioni. Invenduto un Bellotto stimato 8-12. Top price di Bonington (2,5 milioni).

Una «Crocefissione» di El Greco è arrivata a 2,4. Molti lotti sovrastimati sono rimasti al palo (6 ritirati e 17

invenduti). Insomma la «bolla» è dietro la porta che se la ride.

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Fonte: ArtsLife.com S. A. SEI MESI ALLO SPECCHIO Il mercato dell'arte in Italia Blindarte Cambi Christie's

Italia Farsetti Galleria Pananti Intern. Art Sale Il Ponte Maison Bibelot Meeting Art Minerva Auctions

Pandolfini Sotheby's Italia Wannenes 1,660 15,470 20,031 6,000 2,200 1,700 10,034 1,082 19,047 3,253

11,585 19,681 5,803 1,600 9,516 9,783 6,000 2,000 1,550 8,064 0,714 16,313 2,775 8,050 11,706 6,349 1°

sem. 2015 1° sem. 2014 Dati in milioni di euro +39 %

Foto: Top Lot A sinistra, Michelangelo Pistoletto, Ritratto di Clino . In asta da Christie's a Milano il 28 aprile

2015: stima 350.000 - 550.000 euro, aggiudicato a 782.400 euro. Sotto, Lucio Fontana Concetto spaziale,

Attese , in asta da Christie's a Milano lo stesso giorno, stima 500.000 - 800.000 euro aggiudicato a 1.513.200

euro

Foto: Multipli Paolo Scheggi, Intersuperficie curca bianca , 1.623.000 euro

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/07/2015 151

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CHI PAGHERÀ DA ADESSO I DISSESTI DELLE BANCHE Mariangela Pira CHI PAGHERÀ DA ADESSO I DISSESTI DELLE BANCHE L'impatto della caduta degli indici di borsa di

Shanghai e Pechino sul resto del mondo è ancora irrisorio, in quanto la Cina limita fortemente gli investimenti

stranieri nei suoi titoli azionari: circa l'80% del trading a Shanghai e Shenzhen è costituito da privati cinesi che

rappresentano circa il 14% del totale della popolazione. Pochi i dubbi, però, sul fatto che le conseguenze di

questo crollo saranno presto globali. Dopotutto, gli investitori cinesi hanno perso più di 3.400 miliardi di dollari

di capitalizzazione dal picco di metà giugno fino alla chiusura del 7 luglio. E sebbene il governo abbia

supportato le società statali presenti sul mercato, le altre società hanno visto crollare il proprio valore. L'8

luglio una serie di società ha deciso di sospendere gli scambi per evitare un sell-off dettato dal panico

facendo sì che oltre il 50% del mercato azionario fosse fermo: a Shanghai e Shenzhen ci sono 2776 titoli

quotati e oltre 1.400 titoli sono stati sospesi. «La correzione del mercato azionario cinese riflette da una parte

la sopravvalutazione delle sue azioni e dall'altra i rischi al ribasso sul fronte della crescita», si legge nel

Coface Alert relativo alla valutazione del rischio Paese. Quanto al contagio, ecco alcune aree da guardare

con attenzione. La prima riguarda le conseguenze sull'economia cinese. «A differenza di altri Paesi», spiega

Chatterjee di Ubs, «in cui assistiamo a un rallentamento economico ciclico, in Cina si sta verificando un

rallentamento più strutturale». Per Capital Economics, invece, un crollo dell'azionario potrebbe tradursi in un

punto percentuale di pil in meno. Andrew Collier, di Orient Capital, nota invece come potrebbe innescare una

serie di fallimenti aziendali e individuali. Molti esperti, però, sottolineano come mercato azionario ed

economia reale siano due fattori completamente separati in Cina. Un secondo aspetto, fondamentale per

capire cosa si pensa in Cina di quanto sta accadendo in borsa, riguarda le banche globali e i gestori di fondi.

Le banche straniere che sono attive in Cina da anni si trovano in difficoltà. La stampa governativa, ad

esempio, ha puntato il dito contro Morgan Stanley, colpevole di acer suggerito ai suoi clienti di stare lontani

dalla borsa cinese. In Cina si parla di «diavoli stranieri» pronti a vendere. Ma gli investitori stranieri

possiedono meno dell'1% dei titoli delle società locali. E anche altre banche, quali Bank of America o Merrill

Lynch, hanno suggerito di stare alla larga in questo periodo dal mercato cinese. Pechino nell'ultimo anno e

mezzo aveva fatto numerosi passi avanti, lenti e soppesati, sul fronte dell'apertura del suo sistema finanziario

ma ha bisogno delle banche straniere per farlo e ha bisogno che gli investitori internazionali siano a proprio

agio quando investono in asset cinesi, inclusi i prodotti finanziari denominati in renminbi. La reazione di

Pechino al declino del mercato azionario potrebbe mettere un freno alle necessarie riforme in ambito

finanziario e allontanare gli investitori stranieri. «Il solo fatto di accusarli per le vendite allo scoperto», dice a

Quartz Victor Shih, professore all'Università della California di San Diego, «rischia di posticipare riforme serie

e necessarie, come quella di allargare il portafoglio di investimenti delle società straniere». Le misure di

stimolo della Banca centrale cinese, peraltro, non solo non hanno rassicurato gli investitori stranieri ma hanno

avuto un impatto negativo, spingendoli a vendere sul mercato di Hong Kong tramite lo Stock Connect a causa

della mancanza di liquidità sull'azionario onshore, spingendo al ribasso anche l'Hang Seng. Anche l'economia

e la finanza di Hong Kong, infatti, prima meta dei turisti cinesi, è in difficoltà: le azioni H-share sono scese del

25% dal picco di fine maggio. «Tuttavia», spiega Union Bancaire Privee di Ubp, «la nostra visione rimane

positiva e ci attendiamo una possibile stabilizzazione dell'azionario entro il fine settimana». Ubp spiega che il

mercato ha avuto una reazione esagerata e le azioni quotate a Hong Kong sono ora in territorio di

ipervenduto. «Manteniamo nei nostri fondi una posizione sovrappesata su Hong Kong/Cina e compriamo titoli

di aziende con fondamentali forti», precisano. Nel frattempo, però, gli effetti del calo di Shanghai si sono fatti

sentire anche sulle quotate cinesi a Wall Street. I titoli tecnologici Weibo, Sina, Youkou e Sohu.com hanno

perso terreno questa settimana. E sebbene i loro investitori siano diversi rispetto ai titoli tecnologici quotati in

Cina, il loro business è tutto in Cina. Infine, non si può non parlare dei consumatori cinesi. Impossibile sapere

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/07/2015 152

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quanto della loro spesa deriva dai guadagni sul mercato finanziario. Certo però che molti hanno posticipato

l'acquisto di beni quali l'auto per investire in azioni. Gli acquisti in borsa sono stati effettuati tramite

finanziamenti usati per comprare azioni: il timore è che gli investitori locali che stanno perdendo i loro soldi in

borsa spenderanno molto meno proprio perché devono ripagare i loro debiti, con un impatto su turismo, beni

di lusso, iscrizione dei figli nelle università straniere, acquisto di proprietà immobiliari. (riproduzione riservata)

I DEBITI PER L'ACQUISTO DI AZIONIWEIBO CORPORATION

2010 2011 2012 2013 2014 2015 In miliardi di yuan 0 2000 1500 1000 500 2500 GRAFICA MF-MILANO

FINANZA 27 mag 2015 7 lug 2015 Quotazioni in dollari 13 19 17 15 21 GRAFICA MF-MILANO FINANZA

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/07/2015 153

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EUROPA E CINA IN CRISI Finito? Gli affari da panico Giuliano Castagneto e Matteo Radaelli Da settimane i listini europei e quelli cinesi sono flagellati da continui ribassi Eppure, a uno sguardo più

attento, alcuni titoli sono tornati a livelli molto appetibili Èstata come la tempesta perfetta del '91, quando due

immense aree di depressione si unirono scatenando un evento di eccezionale violenza. Sui mercati finanziari

la tempesta perfetta del 2015 è stata scatenata dalla Grexit e dallo scoppio della bolla speculativa a Shanghai

e Shenzhen. I timori di un'uscita della Grecia dall'euro hanno fatto perdere ai mercati cifre non da poco: solo

Piazza Affari nella settimana tra il 26 giugno e il 3 luglio, quella a cavallo del referendum greco, ha lasciato

sul parterre circa 34 miliardi di euro, il 4,7% della capitalizzazione. Nel frattempo lo spread fra Btp e Bund da

144 punti è balzato a quota 164 penalizzando notevolmente i titoli finanziari, che pesano tanto sull'indice

principale della borsa milanese. Le altre piazze europee non sono state da meno, anche se hanno registrato

oscillazioni inferiori a causa del minore peso di banche e assicurazioni sul paniere. Sia il Dax di Francoforte

che il Cac di Parigi hanno perso tra l'1,5% e il 2% nei giorni più acuti della paura Grexit. Nel frattempo è

scoppiata, deflagrando, la bolla speculativa della borsa cinese, soprattutto quella di Shanghai, che in pochi

giorni ha perso circa il 30% del valore, equivalente a 3.400 miliardi di dollari, a causa del giro di vite delle

autorità all'acquisto a debito di azioni che, complice anche il peggioramento dei fondamentali per molte

aziende a causa della frenata dell'economia, ha scatenato un'ondata di vendite. Insomma due settimane

poco adatte ai deboli di cuore. Ma negli ultimi giorni si è assistito a una serie di eventi che potrebbero far

pensare che l'Orso sia ormai stanco. Anzitutto, i mercati europei dei bond governativi hanno retto all'urto della

Grexit, grazie soprattutto alle misure apprestate dalla Bce. Tanto che il capo economista del Fmi, Olivier

Blanchard, è giunto a dire, giovedì 9 luglio, che «i mercati europei hanno superato uno stress test». Inoltre,

sono sempre più forti i segnali che la crisi del debito greco si sta avviando a soluzione, con il parlamento

ellenico orientato a dire sì alla proposta Tsipras, apprezzata a Bruxelles. Le borse hanno reagito

prontamente. Milano ha guadagnato venerdì 10 il 3%, le altre del continente fra il 2,9% di Francoforte e il

3,1% di Parigi. Mentre lo spread è tornato a quota 127 punti. Tutto questo mentre l'economia reale

dell'Eurozona conferma i segnali di ripresa che inducono all'ottimismo sui titoli dell'area diversi gestori ( si

veda articolo in pagina). Nel frattempo le misure apprestate dalle autorità di Pechino hanno posto un argine,

certamente artificiale, all'ondata di vendite a Shanghai e Shenzhen. E anche se i rialzi degli ultimi giorni (si

veda articolo a pag. 14) si applicano solo al 50% dei listini (il resto dei titoli è sospeso), comunque il panic

selling sembrerebbe cessato. Insomma, c'è una buona possibilità che i mercati abbiano scontato tutte le

peggiori eventualità, e che adesso si possa cominciare a cercare occasioni per fare buoni affari. Ma la

situazione rimane delicata e se qualcosa va storto, soprattutto sul fronte Grecia, ci potrebbero essere ancora

scossoni. E allora la vecchia cara Wall Street potrebbe essere un'oasi di tranquillità? È il momento giusto per

porsi la domanda, visto che si è appena aperta una nuova stagione di trimestrali statunitensi. Dopo la

pubblicazione dei risultati di Alcoa lo scorso martedì, la stagione delle trimestrali entrerà nel vivo da martedì

14, quando saranno JP Morgan e Wells Fargo a pubblicare i conti del secondo trimestre, seguite mercoledì

da Bank of America, e giovedì da Citigroup. Ma saranno i conti di General Electric, venerdì 17, a dare

qualche indizio sulla salute dell'industria. I risultati di Alcoa, per tradizione i primi a essere diffusi, hanno dato

in proposito indicazioni contrastanti. Ma le trimestrali in arrivo diranno soprattutto se la forza del dollaro nella

prima parte dell'anno e la debole crescita dei salari avranno impatto sui profitti aziendali, perché il rialzo del

dollaro dovrebbe incidere sulla redditività delle esportazioni mentre i salari deboli rendono difficile aumentare i

margini. Le attese degli analisti, sulla base delle stime raccolte da Factset, indicano una crescita dell'1,9%,

con un forte calo della redditività dei gruppi dell'energia per il ribasso del greggio nel 2014. Le stime raccolte

da Standard & Poor's vedono un aumento medio dell'utile operativo del 2,2% nel 2015, seguito da un

aumento del 14% l'anno seguente. Indicazioni, queste ultime, che appaiono ottimistiche alla luce delle

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prospettive per l'anno prossimo, in cui il pil nominale non dovrebbe crescere più del 4,5% secondo le stime di

consensus. E la crescita degli utili sarà quanto mai importante nei prossimi mesi poiché da questa dovrebbe

dipendere l'andamento della borsa statunitense. Difficilmente le quotazioni saranno trainate da un'ulteriore

espansione del multiplo p/e, oggi a 18,5, valore che non può crescere ancora senza spingere la borsa a livelli

insostenibili. Anche l'andamento dei tassi va in direzione contraria a un'ulteriore incremento dei ratio. Il rialzo

dei rendimenti sui titoli decennali, oggi sopra il 2%, dovrebbe proseguire se la Fed aumentasse i tassi ufficiali,

il che fa sì che i flussi di cassa futuri siano scontati a tassi più alti, riducendone il valore. Alcuni indicatori

segnalano che gli utili nei prossimi anni cresceranno, ma di poco. In primo luogo il margine netto delle società

Usa, in termini di utile dopo le tasse, si mantiene vicino ai massimi storici. Margini così alti sono stati di solito

seguiti da una crescita dell'utile ridotta nei cinque anni successivi. Inoltre, c'è l'appiattimento della curva dei

rendimenti dei Treasury. Il differenziale tra il decennale e il titolo a due anni è sceso dal 2,56% di fine 2014

all'1,7%. Una curva piatta è segnale di crescita più bassa e quindi di espansione moderata degli utili nel

futuro. In tale scenario, lo S&P500 non dovrebbe mettere a segno performance molto brillanti nei prossimi

mesi, pur mantenendosi in un trend positivo. Per cui chi cerca un po' di tranquillità dalle ansie di Europa e

Cina può trovarla a Wall Street. Ma senza pretendere ritorni eclatanti. (riproduzione riservata)

LE BORSE RECUPERANO IL TERRENO PERDUTO...... E ANCHE I BOND Intraday - 26 giugno 2015 = base 100 75 85 95 105 9.00 17.30 9.00 17.30 9.00 17.30

9.00 9.00 9.00 17.30 17.30 17.30 9.00 9.00 9.00 9.00 9.00 17.30 17.30 17.30 17.30 17.30 29 giu 26 giu 1 lug

3 lug 8 lug 30 giu 2 lug 7 lug 10 lug 6 lug 9 lug GRAFICA MF-MILANO FINANZA 9.00 0 17 3 17 3 17 3 17.30

9 00 9 00 9 00 9.00 17 3 17 3 17 3 17.30 9 00 9 00 9 00 9.00 17 3 17 3 17 3 17.30 9 00 9 00 9 00 9.00 17 29

giu 26 giu 1 lug 30 giu Dax 30 - Francoforte Dow Jones - New York Ftse Mib - Milano Nikkei - Tokyo Sse -

Shanghai Intraday dei rendimenti dei titoli di Stato - 26 giugno 2015 = base 100 65 95 75 85 105 115 9.00

17.30 9.00 17.30 9.00 17.30 9.00 9.00 9.00 17.30 17.30 17.30 9.00 9.00 9.00 9.00 9.00 17.30 17.30 17.30

17.30 17.30 29 giu 26 giu 1 lug 3 lug 8 lug 30 giu 2 lug 7 lug 10 lug 6 lug 9 lug GRAFICA MF-MILANO

FINANZA 9.00 17.30 17.30 9.00 17.30 Germania Stati Uniti Italia Giappone Cina

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/07/2015 155

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ORSI & TORI Paolo Panerai Chi ha vinto? Chi ha perso? Di sicuro ha perso l'Europa; apparentemente Angela Merkel e Grecia hanno

pareggiato, ma il risultato vero si avrà solo ai tempi supplementari. La sconfitta dell'Europa è netta, perché

mai un'entità politica e territoriale che ha deciso di chiamarsi Unione ha offerto uno spettacolo così squallido

come quello della Ue in questi ultimi anni, fra l'egoismo mascherato da rigorismo della Germania, la

dissipatezza dei greci, l'inadeguatezza di chi trionfalmente, essendone stato il consulente, favorì l'ingresso

della Grecia in Europa e nell'euro (nella rete circola un'intervista entusiasta al professor Mario Monti ); così

squallido fra la scelta di Bruxelles e del Fondo Monetario internazionale di concedere sì prestiti al Paese

ellenico ma di fatto per salvare le banche tedesche, francesi e spagnole, che avevano finanziato a man bassa

lo sviluppo greco, senza preoccuparsi che quei soldi servissero per il ritorno allo sviluppo del Paese,

imponendo politiche di austerità che appunto portano solo alla depressione e all'impoverimento dei cittadini.

Non è un caso che l'unico applauso scrosciante del Parlamento europeo Alexis Tsipras lo abbia ricevuto

quando ha ricordato che dei 300 miliardi di finanziamenti non un euro è arrivato ai cittadini che hanno dovuto

subire il crollo del pil e quindi la caduta dei loro redditi. È vero: in tutta Europa, più o meno, i lavoratori vanno

in pensione ben oltre i 67 anni mentre in Grecia andavano a 55 anni. È corretto che su questo punto i cittadini

tedeschi o degli altri Paesi virtuosi si siano indignati. È spontaneo che di fronte all'indignazione dei tedeschi la

cancelliera Merkel abbia dato ragione ai suoi elettori. Non è politicamente accettabile che chi pretende,

avendone alcune ragioni, di avere la leadership dell'Unione europea non ragioni nell'interesse di tutta

l'Europa e anche dei Paesi più in difficoltà come la Grecia. Il predecessore della Merkel è stato un leader che

sempre sarà ricordato come tale perché, quando cadde il muro, ebbe il coraggio di chiedere al resto

dell'Europa di poter ricongiungere le due Germanie pur determinando l'ingresso nella Unione di un Paese

povero e distorto da decenni di gestione comunista. Quello fu un atto d'amore da parte di Helmut Kohl e un

atto di generosità da parte degli altri Paesi europei nell'avere accettato. Proprio la Merkel che veniva da quel

Paese povero e inefficiente avrebbe dovuto ricordarselo; invece se n'è dimenticata con l'arroganza di chi,

certo anche con sacrificio e rigore, è ritornato ricco. Se Kohl non avesse proposto la riunificazione con la

parità del marco dell'Est con il fortissimo deutsche mark, quale sarebbe ora la condizione dell'ex Germania

dell'Est? Sono domande morali? Sono domande di convenienza da un Paese come l'Italia che avrebbe molto

da temere dal fallimento della Grecia, essendo in prima fila per una forte speculazione a causa del suo debito

record? No, sono domande di pura politica. È possibile avere un'Unione senza solidarietà spontanea ma

strappata con le unghie e con i denti, con lacerazione dei popoli e in grande ritardo come è avvenuto per la

Grecia? Un europeista vero e convinto come Jacques Delors, l'indimenticabile presidente francese della

Commissione europea per due mandati, aveva già trovato la soluzione per cementare lo spirito e l'unione

vera con la proposta del lancio degli Eurobond, cioè di titoli di Stato di tutta l'Europa al posto dei titoli dei

singoli Stati. Era certo la socializzazione del debito o almeno di una parte di esso o almeno la provvista per

fare investimenti utili al rilancio degli Stati in difficoltà e quindi della stessa Unione, che di Stati è composta.

Cosa sarebbe successo se lo Stato federale Usa non fosse intervenuto tempestivamente nel momento in cui

la California stava per fallire? Per la piega che avuto finora la vicenda della Grecia, è razionale, quindi,

prendere per acquisito il dato che nell'Ue è bene che chi ne ha le possibilità risolva da solo i suoi problemi. È

inutile illudersi che il problema sociale e umanitario degli immigranti clandestini che sbarcano sulle coste

italiane possa essere risolto dall'Unione europea. Anche il presidente del Consiglio, Matteo Renzi, se ne è

reso conto. Se l'Europa non è disponibile a essere Unione per un problema così evidente (per il fatto che i

clandestini africani arrivano sulle coste del Sud d'Italia perché sono le più vicine ai Paesi del Nord Africa da

cui partano i barconi dei trasportatori spesso di morte) e così umanamente drammatico, figuriamoci se

saranno disponibili, una volta spento (momentaneamente?) il focolaio Grecia, a cooperare perché il terzo

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/07/2015 156

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Paese dell'Unione disinneschi nell'interesse di tutti la bomba del debito. È vero, è inoppugnabile, il debito

italiano è diventato una grave minaccia per gli errori compiuti da chi ha governato l'Italia negli ultimi trent'anni,

ma al di là dell'inettitudine o peggio di alcuni governi c'è il dato oggettivo che il male dell'Italia ha una radice

profonda nel suo passato di dittatura e nella conseguente volontà dei fondatori della Repubblica di creare un

tale bilanciamento dei poteri nella Costituzione repubblicana creando una democrazia parlamentare con ben

due rami deliberanti, sì da determinare di fatto un dominio della burocrazia senza nessun sufficiente potere di

gestione da parte del governo, per non parlare del primo ministro che non può neppure dimissionare un

ministro se non funziona. Anche la Francia nei primi anni del dopoguerra perdeva colpi per un assetto dello

Stato e una distribuzione dei poteri inadeguati. Ci volle l'ascesa al potere del generale Charles De Gaulle

perché, con l'autorità che gli derivava dalla sua storia personale durante la guerra, ottenesse una riforma

della Repubblica, passata da parlamentare a presidenziale, con l'elezione diretta del presidente della

Repubblica, che ha il potere di nominare il governo per tutta la durata del suo mandato anche se il suo

schieramento non avesse la maggioranza in parlamento. Una situazione simile agli Usa, dove non capita di

rado che il presidente, dotato di forti poteri, si trovi a governare con in parlamento una maggioranza in mano

non al suo partito. In questo caso il parlamento diventa ancora di più organo di garanzia, ma solo per quelle

leggi e quelle materie dove la Costituzione ha previsto che il presidente e i suoi ministri non possano decidere

in autonomia. È quindi più che legittimo che l'Europa chieda all'Italia le necessarie riforme istituzionali. Il

governo Renzi ha risposto con la legge costituzionale che toglie al Senato il potere di legiferare. Sicuramente

un passo importante in avanti, anche se il ruolo e le modalità di composizione del Senato appaiono, per non

pochi, discutibili. Ma l'altro fondamentale ( segue da pagina 3 problema del potere del governo e in

particolare del presidente del Consiglio rimane insoluto. Per lungo tempo in Italia al solo parlare di Repubblica

presidenziale volavano parole di fascista, peronista, o golpista. È stata la silenziosa intesa fra Dc e Pci, del

resto decisivi nella formazione della Costituzione, a escludere qualsiasi ipotesi presidenzialista. Il destino ha

voluto che proprio un presidente della Repubblica comunista, anche se della corrente di destra migliorista,

abbia di fatto avuto un potere da Stato presidenzialista. E meno male che Giorgio Napolitano ha avuto il

coraggio e l'abilità di decidere come se fosse stato eletto direttamente dal popolo e con poteri nettamente

superiori a quelli di controllore che gli assegnava. Nessun italiano di buon senso e di sicuro fondamento

democratico ha avuto da lamentarsi. Anzi, è stato chiaro che senza l'approccio di Napolitano, bravissimo

anche a operare sul filo della Costituzione, la drammatica crisi economica vissuta dall'Italia a cominciare dal

2008 con apice nel 2011 avrebbe potuto sì generare anche movimenti antidemocratici. All'alba della sua

ascesa a Palazzo Chigi, sia pure senza l'investitura elettorale (ma la Costituzione attuale dà il potere ai due

rami del parlamento di assegnare la fiducia al governo), Renzi aveva correttamente individuato in alcune

istituzioni che formano l'apparato statale il freno alla modernizzazione e al governo. In particolare Renzi si

riferiva al Consiglio di Stato, un corpo Giano bifronte: da una parte organo giudicante e dall'altro, attraverso il

distacco dei suoi componenti ai vertici dei ministeri, dei gabinetti ministeriali, degli uffici legislativi, di fatto

detentore del vero potere operativo di governare. Al punto che Renzi per l'ufficio legislativo di Palazzo Chigi,

prima che gli arrivasse un consigliere di Stato, ha chiamato a ricoprire il ruolo la fidata comandante dei Vigili

urbani di Firenze, Antonella Manzione. Riformare la burocrazia italiana deve essere un imperativo per

chiunque voglia modernizzare il Paese. I casi di freno e di distorsione dell'azione di governo da parte dei

burocrati, per il loro obiettivo di conservare il potere che hanno, sono infiniti. È quindi questa la riforma più

difficile. Senza nulla togliere al ministro attuale, Marianna Madia, forse scelta da Renzi in quanto donna, nel

suo errato e propagandistico obiettivo di pareggiare per forza le quote rosa con quelle maschili, occorre un

forte rafforzamento proprio di quel ministero. La riforma annunciata, anzi in itinere parlamentare, non appare

né sufficientemente energica né sufficientemente strutturata. Come si vede, è enorme il lavoro che Renzi ha

davanti e per il quale dovrebbe abbandonare un altro dogma, cioè che i consiglieri di cui circondarsi debbano

essere per forza vergini da ogni potere precedente, visto che ce ne sono anche di più seri e preparati e con

più esperienza e conoscenza dei temi sul tavolo e della macchina, che nessuno dei prescelti ha. Ma su tutti,

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/07/2015 157

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una volta scongiurato il pericolo di finire in prima linea dopo la Grecia, deve essere dedicato impegno,

energia e cervello alla risoluzione del problema del debito italiano. Renzi non può dimenticare che l'Italia ha

davanti solo un anno di sicura protezione, cioè quello che resta del periodo in cui Mario Draghi potrà

proteggere i titoli di Stato italiani con il Qe. Appena è parso che il problema Grecia stesse volgendo alla

rottura traumatica, lo spread dei titoli italiani ha preso a salire e si è fermato soltanto per la messa in campo

delle munizioni del Qe. Ma ciò che dovrebbe essere tenuto in maggiore considerazione è l'attacco portato

negli ultimi due lunedì neri alle banche italiane, con perdite fin oltre il 7% perfino di Intesa Sanpaolo, la banca

più solida d'Europa con un eccesso di capitale di oltre 15 miliardi. Che cosa dovrebbe far comprendere ciò a

Renzi e al governo? Che la speculazione, appena ci sono turbamenti sul mercato, vede grandi opportunità,

come è stato nel 2011, a operare sul debito italiano. Di fronte alla potenza di fuoco del Qe attrezzato da

Draghi, non rischia più di tanto direttamente sui Btp ma si butta sulle banche che possedendo grandi quantità

di titoli del debito italiano sono una sorta di proxy, cioè di derivato ideale per poter comunque speculare. Per il

governo italiano e in particolare per il ministro dell'Economia, Pier Carlo Padoan, econometrista convinto che

per sostenere il debito basterà un po' di inflazione e un po' di crescita, le ultime due settimane del caso

Grecia dovrebbero essere come una sorta di prova generale o se si vuole di stress test di che cosa potrebbe

accadere all'Italia una volta finito il Qe senza che nel frattempo il debito enorme non sia stato drasticamente

tagliato, con vari strumenti: dal taglio della spesa sanitaria e delle Regioni alla costituzione del Fondo degli

italiani composto di beni dello Stato e degli Enti locali in modo da scambiare quote dello stesso fondo con

titoli di Stato, che oggi rendono pochissimo; fino alla negoziazione con la Ue delle stesse condizioni della

Francia in tema di deficit di bilancio per liberare risorse utili allo sviluppo. Fra vincitori e perdenti, almeno il

caso Grecia potrebbe avere una utilità per il futuro dell'Italia. (riproduzione riservata)

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/07/2015 158

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INTERVISTA Il fuoco di Atene che può bruciare la Ue Luca Beggiao Piero Graglia, ricercatore presso la Facoltà di Scienze Politiche dell'Università degli Studi di Milano,

professore di Storia dell'integrazione europea. Domanda. Quali implicazioni avrebbe in termini sociali e

geopolitici la Grexit? Risposta. Dal punto di vista sociale è difficile definire il problema. La comunità funziona

tramite un sistema di trasferimenti di risorse dai piani europei ai paesi membri. Il fatto che un paese faccia

parte dell'euro, non incide su tali trasferimenti; i fondi strutturali non sono legati all'appartenenza alla moneta

unica. Dunque in caso di uscita dall'euro, i trasferimenti e le politiche europee verso la Grecia non

subirebbero alcun cambio. La Grecia rimarrebbe però all'interno del sistema delle banche centrali della Bce,

perdendo la sua funzione all'interno dell'organismo decisionale. Cambierebbe inoltre il calcolo dei flussi

commerciali verso la Grecia, che passerebbero dall'essere calcolati in euro, in dracma. La minore forza della

nuova valuta ellenica rispetto alla moneta unica, riporterebbe in auge il sistema dei «montanti compensativi

monetari», metodo utilizzato in Europa prima dell'introduzione della moneta unica per limitare i vantaggi

completivi a livello di export delle valute nazionali eccessivamente svalutate. Sarebbe quindi probabile

l'imposizione di un dazio improprio sulle merci greche. Va però specificato che a differenza, ad esempio, di

un'economia industriale come quella italiana, l'economia greca è un'economia agricola, il che limiterebbe i

vantaggi potenziali dell'export. Al contempo, anche i maggiori paesi che esportano in Grecia, Germania, Italia

e Francia, ne risulterebbero paralizzati. A livello economico e geopolitico solo la Turchia potrebbe approfittare

dall'indebolimento della Grecia, che potrebbe sfruttare la situazione dello storico nemico di «sistemare» la

questione di Cipro. D. Non potendo sopravvivere finanziariamente da sola dopo l'introduzione della nuova

dracma, ci potrebbe essere un avvicinamento della Grecia alla sfera russa, a quella mediorientale, a quella

araba o a quella cinese? Quali conseguenze avrebbe sulla Nato? E quali sull'Fmi? R. Fantastoria e

fantapolitica. Sono scenari impossibili da prevedere data la complessità della situazione. A mio parere anche

fuori dall'Euro, la Grecia non si muoverà dall'area Nato. L'evento Greco mostra però che il grande

allargamento del 2004,con i 10 paesi aggiunti, fu politicamente opportuno, ma economicamente disastroso.

Nelle condizioni attuali sarebbe necessario un sistema redistributivo delle risorse all'interno dell'Unione, per

cui una parte delle risorse andrebbe a sostenere l'evoluzione i paesi meno sviluppati. Ipotesi poco gradita ai

maggiori contributori dell'Unione, in ordine Germania, Francia e Italia. Altra soluzione sarebbe l'utilizzo di una

doppia circolazione: un euro valido per i paesi «core» (i 6 paesi fondatori con eventuale aggiunta di Austria e

Spagna) e un euro più debole per gli altri paesi, sulla base del doppio corso della lira degli anni 70.

Ovviamente si trattano solo di scenari ipotetici. Personalmente non credo che la Russia possa inserirsi

all'interno della questione greca. La Russia è storicamente interessata ai Balcani e ai paesi slavi, mentre la

Grecia è legata maggiormente al mediterraneo e all'Europa. La Cina ha sicuramente una grande disponibilità

finanziaria, ma ha di fatto poco interesse diretto a un'entrata in Grecia; può solo essere interessata a un

mantenimento della stabilità all'interno dell'Eurozona. D. Perché l'Ue non è stata in grado di farsi percepire

dai cittadini come un'istituzione di unione politica ed economica, ma solo come un insieme di parametri

finanziari? R. La Camera dei rappresentanti non ha un potere legislativo evidente. Manca il dibattito politico

nazionale su dimensioni europee. Il cittadino osserva il centro di potere più vicino a sé, per un italiano è

quindi Roma, non Bruxelles. L'Europa per il singolo cittadino rimane quindi un concetto astratto. Per i governi

nazionali l'Europa è diventato un alibi. D. Perché si sono sviluppati così tanti partiti nazionali antieuropei? R.

Bisogna distinguere due tipi si sentimento antieuropeo. Uno afferma che l'Europa non fa abbastanza per

migliorare l'attività degli stati membri, troppo legato al mondo della finanza (vicino al pensiero politico di

Tsipras). Bisogna approfondire il processo di integrazione, questa Europa è vista troppo poco democratica.

Un esempio lampante è la Difesa. Liberando i 28 Stati Membri dall'onere di avere 28 diversi sistemi di difesa,

il sistema delle economie di scala porterebbe notevoli benefici in termini monetari e di efficienza. Questa

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/07/2015 159

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forma di scetticismo è legato comunque a un'idea di riforme di miglioramento, un antieuropeismo costruttivo.

L'altro tipo di sentimento antieuropeo rigetta invece il concetto di integrazione in sé, sono delle forme di

antieuropeismo distruttivo, volto al recupero delle singole sovranità nazionali. È la forma più pericolosa tra le

due, perché in grado di fare maggiore presa sul cittadino. Le due forme trovano punti di tangenza su taluni

punti, presentandosi come una forma di pensiero molto trasversale. L'Europa è un animale a sangue freddo:

l'idea dell'integrazione dei popoli, di libera circolazione di merci, persone e capitali, non sono elementi in

grado di far presa politica tra le persone, essendo legata a concetti spesso molto tecnici e poco

entusiasmanti. Paradossalmente è l'Istituzione (soggetto) più trasparente verso l'esterno nelle sue procedure.

Siamo a un punto di svolta. Il voto greco non è una questione da mitizzare, ma ha dato un segnale eclatante

della democraticità mancante nel processo. Non che i cittadini non siano stati consultati, in quanto interpellati

indirettamente tramite i Parlamenti, ma ha di fatto ridato voce alla base della comunità. D. Se lei fosse stato

greco, avrebbe votato Oxi o Nai? R. Sicuramente Oxi. La via di salvezza della Grecia non sta nel ripagare

tutti i debiti e uno stato non è un singolo cittadino. Il sistema economico moderno è fondato sull'esistenza del

debito (pagamenti a rate), non ci sarebbero più scambi economici e non va quindi demonizzato. Chiedere a

uno stato con 300 miliardi di debito di ripagare gli interessi, tagliando la spesa pubblica, deprimendo la

domanda interna è controproducente. Le misure dell'accordo non erano di per sé eccessivamente proibitive,

ma è frutto degli errori e azioni dei precedenti governi e dei creditori stessi. Il rapporto debito/pil rimarrebbe

invariato diminuendo entrambi gli elementi. Le misure richieste alla Grecia sarebbero una ricetta funzionale

per il nord Europa, non per il sud. Avrei votato NO anche per dire che una governance economica in cui una

Banca centrale non ha un'unica volontà politica decisionale, dovendo rispondere a 19 singole volontà

politiche, non può funzionare. (riproduzione riservata)

Foto: Piero Graglia

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/07/2015 160

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INTERVISTA Shah (Etf Securities): la caduta è un'opportunità per andare lunghi Mariangela Pira «La caduta dei listini cinesi è avvenuta alla conclusione di un rally del 158% cominciato a marzo 2014 e può

essere dunque vista più come una correzione a seguito di un incremento troppo veloce che un vero e proprio

crollo». Nitesh Shah, gestore di Etf Securities crede che l'esplosione della bolla che avvolgeva le A Shares

dei listini di Pechino e shanghai abbia già prodotto quasi tutti i suoi effetti e abbia contribuito a eliminare gli

eccessi. Domanda. E ora che succede? Risposta. Riteniamo che si sia arrivati quasi al termine di questa

discesa e che i mercati azionari interni cinesi beneficeranno della continua apertura dei mercati del capitale

cinese alla comunità internazionale. Il collegamento di Shenzhen a Hong Kong, ad esempio, permetterà agli

investitori internazionali un accesso al mercato dell'area simile a quello già sperimentato con l'Hong Kong-

Shanghai Stock connect che ha caratterizzato il mercato azionario nell'ultimo anno. Questo farà da guida ai

flussi internazionali verso la Cina aumentandone i prezzi. D. Pensate quindi che le A Shares potranno ancora

entrare nell'indice Msci? R. Saranno nel paniere dei mercati emergenti entro la fine dell'anno. Per i titoli cinesi

entrare in un benchmark come quello di Morgan Stanley rappresenta un salto di qualità notevole e soprattutto

un fattore di stabilizzazione dei corsi. Anzi, parte di questa recente correzione riflette il fatto che alcuni

investitori abbiano mal digerito il fatto che l'Msci non abbia incluso le azioni cinesi a giugno. D. Siete

preoccupati per il cosiddetto margin lending? R. Sì. Sicuramente un altro catalizzatore dietro la correzione è

stato l'inasprimento dei marging lending, cioè l'acquisto di azioni sul denaro prestato. Tuttavia, le autorità

cinesi hanno ancora una volta allentato i criteri per alleviare il declino dei prezzi. D. Non teme ripercussioni

sull'economia come conseguenza di quanto accade sui mercati? R. La performance economica in Cina è

stata un po' debole nel corso di quest'anno, ma le autorità si aspettano di vedere il loro obiettivo di crescita

del pil tra il 6,5% e il 7% raggiunto. Ci aspettiamo ulteriori tagli ai tassi di interesse, nuove riduzioni al

coefficiente di riserva obbligatoria e un aumento della spesa nelle infrastrutture. Tutte queste misure

dovrebbero essere bene interpretate dagli investitori. D. Quindi puntate sul rimbalzo? R. Stiamo già vedendo i

segni di un rimbalzo. Venerdì 10 il Msci China A-share è salito del 5,9% e l'indice Shanghai Composite è

salito di un ulteriore 4,5%. D. E chi investe in Etf cosa deve fare? R. Gli Etf sulle CinaA Shares si comportano

come un utile veicolo di price discovery. Gli investitori che detengono i titoli sospesi direttamente non sono in

grado di operare, mentre i detentori di Etf hanno ancora attualmente accesso alla liquidità grazie all'ulteriore

livello di difesa che i market maker forniscono continuando a quotare gli Etf in borsa in questo mercato

volatile. (riproduzione riservata)

Foto: Nitesh Shah

11/07/2015Pag. 14 N.135 - 11 luglio 2015

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/07/2015 161

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INTERVISTA Ora il re è davvero nudo Mariangela Pira Il re è nudo. Il mercato che aveva raggiunto livelli non giustificati dai fondamentali ha iniziato un declino sul

quale il governo è dovuto intervenire. «Era un declino necessario, ampiamente atteso perché i mercati erano

stati gonfiati da dichiarazioni che definirei quasi scellerate di esponenti governativi cinesi che avevano indotto

a pensare che le riforme economiche future avrebbero portato a una crescita di utili e vendite irresistibili. Poi

alla fine, di fronte a multipli di 50 e 60, qualche investitore ha iniziato a fare speculazione facendo short

selling sui titoli. Da qui una spirale che ha coinvolto 100 milioni di risparmiatori non educati, non preparati».

Alberto Forchielli, presidente di Osservatorio Asia, spiega così lo scoppio della bolla sui mercati cinesi.

Domanda. Nell'ultima settimana di panico il governo ha preso molte decisioni, ma solo l'ultima si è rivelata

efficace. Risposta. Il governo si è giocato la credibilità perché di fatto ha intimato quasi con la forza di non

vendere. La banca centrale è intervenuta, questo va sottolineato, per comprare titoli azionari. Mentre la Fed e

la Bce per aiutare i mercati comprano bond a medio e lungo termine, la Pboc ha comprato azioni. Inoltre, a

una serie di investitori è stato intimato di non vendere. Ma un mercato così rimane a livelli non sostenibili e

giustificabili sulla base di nessun calcolo: il governo si è giocato la credibilità. D. Perché non ha lasciato

l'ultima parola al mercato? R. Certo. Doveva aprire al mercato ma alla prima difficoltà è intervenuto d'imperio.

Non ha lasciato al mercato la possibilità di aggiustare i corsi. E gli investitori internazionali, che per fortuna

non sono coinvolti direttamente nei crolli che riguardano le A Shares, ora crederanno che è il governo a

decidere quando si sale e quando si scende. D. Eppure Pechino aveva messo in cantiere tutta una serie di

riforme. E adesso? R. Il rialzo degli ultimi due giorni non ha di certo ridato verginità a Shanghai e Shenzhen,

piuttosto ne ha messo a nudo le pecche, proprio perché si è visto come le grandi riforme strutturali non siano

ancora state avviate. La diminuzione del peso delle imprese pubbliche nell'economia e dello Stato

nell'economia, uno Stato più capace di allocare le risorse. Di questo non si è visto nulla. Altra riforma vera era

lanciare il mercato azionario come canale alternativo di finanziamento: su questo hanno strafatto. I soliti noti

hanno realizzato cospicui guadagni e in mezzo ci sono 114 milioni di piccoli risparmiatori entrati quando il

mercato era sopravvalutato, pagando il doppio o il triplo del valore reale dei titoli, che ora si trovano disastrati

e con i risparmi deturpati. D. È stata colpita la classe media secondo lei? C'è chi parla di malessere sociale

come conseguenza di quanto accaduto in borsa. R. La classe medio-piccola è stata toccata in parte: la borsa

ha bruciato 3 mila miliardi di dollari e il pil cinese supera di poco i 10 mila miliardi. È stato perso più del

consumo annuale delle famiglie cinesi. La rabbia si è scatenata soprattutto su internet e il bersaglio principale

è il presidente della Csrc, la Consob cinese. Gliene dicono di tutti i colori. Il sito internet Weibo - il Twitter

cinese - trabocca di commenti, minacce di morte, frasi come ci vedremo all'inferno. D. Lo Stato ha però fatto

capire che la colpa potrebbe essere degli investitori stranieri, colpevoli di speculare sulla Cina. R. Qualunque

cosa succeda in Cina viene imputata alle forze straniere che tramano. È tornata questa narrativa neomaoista,

ma non ci sta perché la borsa di Shanghai è domestica per il 97%. D. Ci saranno effetti sull'economia reale?

R. Non c'è risposta, è una situazione nuova per tutti. Diciamo che il peso della borsa sul pil non è così elevato

come negli Usa, quindi l'effetto povertàricchezza è più attenuato. Non c'è neanche l'effetto mutuo che in

America pesa molto. I consumi sono il 35% del pil in Cina, mentre negli Usa sono il 70%. Da questo punto di

vista tutto è sotto controllo, peraltro i consumi stavano già rallentando. Infine, le famiglie cinesi sono meno

esposte di quelle occidentali sull'azionario. D. Anche i titoli cinesi a Wall Street questa settimana hanno patito

molto R. È diminuita la fiducia nel sistema finanziario cinese. Sui tecnologici il listino di Shenzhen aveva

multipli altissimi, 60 o 70. Ecco cosa succedeva: i cinesi delistavano le società quotate negli Usa per

riquotarle in Cina. Una sorta di arbitraggio di multipli perché te le ricompravi a 100 ritirandole dal Nasdaq e

quotandole a 1.000 a Shenzhen o a 700 a Hong Kong. Il grande giochino era delistarle e fare l'ipo in Cina.

Ora sono costretti a fermare le ipo cinesi e - sottolineo - erano decine le operazioni in corso. Anche gli

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/07/2015 162

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americani hanno capito che questi delisting sono ora irrealizzabili. Del resto era una roulette russa, prima o

poi il proiettile sarebbe partito. (riproduzione riservata

Foto: Alberto Forchielli

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/07/2015 163

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INTERVISTA FERRAGAMO Il lusso è un po' cinese Silvia Berzoni Iviolenti scossoni che si sono verificati sulle borse cinesi? Dopo l'impetuoso rialzo dei mesi scorsi una

correzione era pressoché inevitabile. L'impatto sui consumatori? Limitato, non certo paragonabile a quello

provocato dal crack Lehman negli Stati Uniti. Quindi nessuno sboom all'orizzonte? Per il mondo del lusso la

crescita della Cina resterà il fenomeno di gran lunga più importante anche nei prossimi anni. Intervistato a

Wall Street da Class Cnbc nell'ambito della trasmissione The Floor, Michele Norsa, chief executive officer di

Ferragamo, non sembra spaventato da quello che sta succedendo in Cina. E in fondo resta ottimista anche

sulla questione greca. Domanda. Dottor Norsa, prima volta a Wall Street? Risposta. Sì, è molto emozionante

essere qui. D. Tanto da farle venir voglia di una doppia quotazione per il titolo Ferragamo, come hanno fatto

alcuni altri grandi gruppi italiani? R. No, la quotazione in Italia per noi è stata magica, sia per il timing che per i

risultati raggiunti. A ulteriore supporto della nostra scelta c'è il fatto che siamo fortemente ancorati al territorio,

dove continuiamo a produrre il 100% dei prodotti. Insomma, siamo fortemente impegnati in Italia. D. Prima di

parlare delle prospettive del mercato del lusso, come valuta la situazione in Grecia? Vede rischi per l'Italia e

per le vostre attività? R. Per il nostro business la Grecia è un mercato molto piccolo, nel quale non operiamo

direttamente ma attraverso un partner. Abbiamo un negozio ad Atene, dove continuiamo a lavorare per

sfruttare i flussi turistici. Dal punto di vista commerciale, è un paese quasi irrilevante per il gruppo Ferragamo.

Il peso del caso Grecia si sente invece sui mercati. Le situazioni di instabilità non piacciono a nessuno. Ci

sono poi due altri aspetti importanti da considerare: uno politico, l'altro emotivo. Dal punto di vista politico, la

questione greca rappresenta una prova per testare l'autorevolezza dell'Europa anche agli occhi di Stati Uniti,

Russia e Cina. Dal punto di vista emotivo, invece, la Grecia non può essere considerata solo come una

piccola entità finanziaria; è parte essenziale della storia e della cultura europee. Mi auguro che venga trovata

una soluzione; sarà faticoso ma sono ottimista. D. Qui a Wall Street preoccupa più la Cina della Grecia. In un

mese le borse cinesi hanno bruciato 3.600 miliardi di dollari erodendo la ricchezza dei consumatori locali. È

preoccupato? R. La crescita della borsa cinese negli ultimi 12-18 mesi è stata impressionante e c'era la

percezione che una grande correzione fosse dietro l'angolo. Dal punto di vista dei consumatori, l'impatto

diretto non è paragonabile a quello che avvenne, ad esempio, negli Stati Uniti con Lehman Brothers. A

risentirne saranno i 130 milioni di cinesi che viaggiano, spendono e investono fuori dal loro Paese. D. La Cina

resta dunque un mercato prioritario per il gruppo Ferragamo? R. La Cina popolare, quindi con l'esclusione di

Hong Kong, Macao e Taiwan, rappresenta il 13% del nostro fatturato. Ma va sottolineato che ogni anno 3,5

milioni di cinesi viaggiano in l'Europa, 4 milioni vanno in Giappone, 6 milioni in Corea, 2 milioni negli Usa.

Rappresentano dunque una forza trainante e determinante per gli acquisti mondiali. Per la Cina, quando si

parla di un ritmo di crescita basso, si fa riferimento a un tasso superiore al 6%, che Europa e Usa non hanno

mai visto negli ultimi trent'anni. È un paese guidato con forza e abilità da un governo stabile. L'avventura

finanziaria è una novità, ma l'incremento degli investimenti negli aeroporti, del turismo interno e delle

infrastrutture, assieme alla crescita della classe media e del numero di persone che possono accedere ai

beni di lusso, danno una certa tranquillità nel medio periodo. D. Avete quindi intenzione di investire di più in

Cina o al momento ci sono altri mercati più interessanti? R. I grandi mercati del lusso sono la Cina e gli Stati

Uniti, nei quali investiamo la stessa cifra in termini di capex per aprire e rinnovare i negozi. Negli Usa

l'investimento è focalizzato sulle renovation, ovvero su negozi che vengono completamente ridisegnati e

ampliati. In Cina c'è ancora il fascino di aprire in nuove città o in alcune aree specifiche, come Macau, che

mantiene un forte potenziale di sviluppo. A questo discorso vanno aggiunti i 90 nuovi aeroporti in costruzione

in Cina che stimolano un flusso di viaggiatori molto interessante. Continuiamo quindi a investire. D. A

proposito di aeroporti, che per voi sono fondamentali, come si stanno comportando i compratori russi? R. È

stato un colpo improvviso. In Russia si sono spente le luci dalla mattina alla sera, sui consumatori ha pesato il

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/07/2015 164

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fattore psicologico, che ha cambiato l'atteggiamento verso gli acquisti. Non hanno più viaggiato volentieri né

speso in Europa. Continuano a spendere, invece, a Mosca, dove abbiamo aperto un nuovo negozio e

ampliato uno esistente. Dunque la Russia rimane e rimarrà un importante un mercato. Per dimensione

tuttavia il fenomeno non è paragonabile a quello dei viaggiatori cinesi, che continueranno a crescere man

mano che crescono il livello culturale e la capacità d'acquisto. Non solo; i cinesi viaggiano per investire, per

cercare opportunità di business, come per esempio nell'immobiliare in Giappone, per fare joint venture, per

acquisire tecnologie. Quello cinese sarà il fenomeno più importante per il settore del lusso anche nei prossimi

anni. D. Gli Stati Uniti si stanno confermando un mercato solido? Quanti benefici derivano per voi

dall'indebolimento dell'euro? R. Il calo dell'euro è stato un elemento determinante. Dal momento che

produciamo tutto in Italia, la redditività può crescere più rapidamente del giro d'affari. Gli Stati Uniti rimangono

il primo Paese al mondo per fatturato. Con un tasso di cambio più favorevole, vendiamo a un prezzo che è

come se fosse aumentato. Inoltre, ci sono nuove opportunità: abbiamo appena aperto un negozio a

Brookfield Place a New York e ne inaugureremo uno anche in New Jersey. D. Finalmente si sta verificando

un recupero importante anche dell'Europa. Come la vede per il Vecchio Continente? R. Per la prima volta

l'Europa ha registrato un'inversione di tendenza impressionante nei negozi delle grandi capitali, ma

soprattutto in Italia. Dopo il primo trimestre, che è stato positivo ma normale, c'è stata una crescita del flusso

di viaggiatori e degli acquisti. Diciamo anche che il nostro marchio è diventato più visibile e più desiderabile.

D. Negli ultimi due mesi i negozi Ferragamo in Italia hanno registrato una crescita delle vendite a doppia cifra

percentuale. Merito anche di Expo? R. L'Expo sta aiutando, più per gli investimenti che per il flusso di

viaggiatori. I benefici sono legati alle infrastrutture, agli alberghi, ma soprattutto alla visibilità. Penso alle

delegazioni internazionali e ai decision makers che stanno visitando l'Italia e che possono individuare il food o

il lusso come destinazione dei loro investimenti. È insomma una vera e propria una riscoperta dell'Italia, che

rimette il Paese al centro di un sistema europeo che oggi sta attraversando tante difficoltà. D. Insomma,

secondo lei l'Italia oggi si presenta al mondo con un'immagine diversa rispetto a qualche anno fa? R. È

un'immagine più giovane. Oggi abbiamo un governo dinamico, che spinge verso l'internazionalizzazione,

sigla accordi con il Medioriente e con i fondi cinesi. A differenza del passato, oggi c'è un orizzonte di stabilità

politica, che è un elemento fondamentale per fare business. Per le imprese è fondamentale avere

interlocutori che durano a lungo, perseguendo politiche di lungo termine, appunto, che rispondono alle

esigenze dell'industria. La speranza è poter percorrere insieme una strada che porti il Paese ad avere un

ruolo di primo piano nel mondo. D. Come sarà invece la strada di Ferragamo nel 2015? Che cosa vi aspettate

dall'attuale esercizio? R. Il nostro obiettivo è aumentare la redditività in misura maggiore rispetto al fatturato,

grazie soprattutto, come accennavo prima, al cambio favorevole. La crescita organica invece non sarà quella

degli anni passati; mantenere una redditività da top in the class è stato l'impegno che abbiamo assunto

quando ci siamo quotati in borsa e finora siamo sempre stati in grado di mantenere la promessa. Per quanto

riguarda il secondo semestre, prevediamo un miglioramento, ma bisognerà valutare le evoluzioni di alcune

situazioni sul fronte internazionale. Operiamo in un mondo globale, in cui l'andamento di un Paese può

essere bilanciato da quello di un'altra area. Per fare un esempio, il Giappone, l'America Latina e l'Australia

stanno crescendo in maniera straordinaria. D. Qual è la sua principale preoccupazione per il 2015? R. Non

poter lavorare in un contesto stabile. Il mercato valutario, la situazione politica internazionale e la diversa

velocità di crescita dei mercati sono elementi che mettono sotto pressione il sistema e che ci portano e

riprogrammare e ripianificare. Devo dire però che la visione di medio-lungo termine per il settore rimane molto

positiva. Bisogna riuscire a navigare in un mare che non sia sempre agitato e con un vento che non continui a

cambiare direzione. (riproduzione riservata)

FERRAGAMO 10 apr '15 10 lug '15 23 31 29 25 27 33 quotazioni in euro Var. % sul 10 apr '15 25,4 € -20,3%

Foto: Michele Norsa

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 13/07/2015 165

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SCENARIO PMI

13 articoli

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FORLÌ-CESENA - Le Aziende che innovano e sfidano la crisi/INFORMAZIONE PROMOZIONALE Il manifatturiero di Forlì-Cesena è in leggera ripresa Nel 2014 il settore manifatturiero di Forlì - Cesena ha mostrato i segni di un'incoraggiante ripresa economica.

Secondo i dati pubblicati nel Rappor to sull'Economia della Camera di Commercio provinciale, nell'anno

appena concluso il manifatturiero ha registrato un aumento della produzione del +5,8% rispetto al 2013, con

un aumento degli ordini interni del +3,5% e del +4,4% per quelli esterni; questo ultimo dato è piuttosto

rilevante se si considera che l'export incide per il 27% sul fatturato annuale. I dati congiunturali del primo

trimestre del 2015 confermano questo trend positivo. I primi tre mesi dell'anno, rispetto agli stessi dell'anno

precedente, hanno registrato una crescita del +4% della produzione, +5,9% di fatturato, +3,7% di domanda

interna e +3,2% di esterna. "I dati della camera di commercio sono senza ombra di dubbio un segnale

incoraggiante." Commenta il Presidente di Unindustria Forlì - Cesena Vincenzo Colonna "Nel territorio ci sono

diversi settori che, da sempre, riescono a rispondere con successo alle sfide dell'internazionalizzazione.

Penso per esempio al settore calzaturiero di San Mauro Pascoli, ma anche al settore agroindustriale o a

quello metalmeccanico e dei macchinari, in cui è par ticolarmente evidente la differenza tra chi si è

internazionalizzato e ha differenziato il proprio prodotto innovandolo e chi no." "Forlì - Cesena, inoltre"

conclude Colonna "gode del vantaggio di essere una zona par ticolarmente apprezzata dagli investitori

stranieri, come dimostrano alcune eccellenze imprenditoriali quali ad esempio Electrolux, Ferretti, Infia e

Centroplast." Vincenzo Colonna, Presidente di Unindustria FC: "I dati mostrano una ripresa incoraggiante.

Forlì - Cesena si conferma un territorio interessante per i nvestitori stranieri ."

Foto: Vincenzo Colonna, presidente di Unindustria Forlì-Cesena

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FORLÌ-CESENA - Le Aziende che innovano e sfidano la crisi/INFORMAZIONE PROMOZIONALE VEM Sistemi, ICT al ser vizio delle imprese System integrator con la vocazione di smart company, VEM sistemi, classe 1986, forlivese di nascita con sedi

a Milano, Modena, Padova e Senigallia, negli anni ha quasi triplicato il fatturato da 11,2 milioni del 2007 a 30

milioni di euro del 2014, oggi conta 150 dipendenti e 800 clienti, principalmente nella media impresa. Due

anni fa fonda Cer tego, una startup specializzata nei ser vizi di sicurezza IT e di contrasto al cybercrime con

sede a Modena, rafforzando così un'offerta già ricca e stratificata, che si è evoluta negli anni insieme alle

esigenze delle aziende e alle dinamiche del mercato. Alle due anime, servizi gestiti e fornitura di soluzioni

ICT, si è aggiunta recentemente la scommessa di una divisione building automation, che porta VEM sistemi

nell'Internet of things. Un cambio di paradigma dall'infor mation technology all'operation technology secondo

cui per ogni sistema di sensoristica su IP si possono abilitare servizi, estendendo la filosofia della piattaforma

my.vem per includere manutenzione e assistenza tecnica, supporto sistemistico, gestione proattiva della rete,

security e monitoraggio dell'energia. Una vera e propria sfida imprenditoriale in un mercato ancora

pionieristico, che sarà protagonista al VEMFWD, l'evento annuale che VEM dedica a partner e clienti.

vem.com

Foto: 150 dipendenti, 5 sedi e quasi 30 anni di esperienza per raccogliere la sfida dell'Internet delle cose

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Istat. Renzi: «Dopo tre anni l'attività torna a salire, è positivo ma non basta» ­ Padoan: «Ancora molta stradada fare, ma andiamo nella direzione giusta» Industria, lo scatto della produzione A maggio balzo del 3% rispetto a un anno prima - Confindustria frena: a giugno calo dello 0,2% FATTORE DIINCERTEZZA Gli esperti di Unicredit: c'è l'incognita della crisi greca; un esito negativo del negoziatopotrebbe pesare come una gelata sulla ripresa Rossella Bocciarelli ROMA Dopo la flessione dello 0,3% in aprile, a maggio la produzione industriale compie un rimbalzo mensile

robusto, salendo dello 0,9 per cento.E l'incremento nei dodici mesi, corretto per gli effetti di calendario,è paria

un +3 per cento, lo scalino più alto dall'agosto del 2011, quando l'aumento tendenziale della produzione fu

del 7,1%, come ricorda l'Istat. Se ne può quindi dedurre che quella di aprile è stata una battuta d'arresto

temporanea e che finalmentei dati quantitativi comincianoa chiudere la distanza con quelli delle indagini

qualitative che da tempo avevano orientato il barometro congiunturale in miglioramento. Come se tuttii fattori

esterni positivi puntualmente segnalati dagli esperti di congiuntura(il valore dell'euro più basso, la riduzione

dei prezzi del petro­ lio, la politica monetaria ultra­accomodante) avessero cominciato a produrre i primi risultati

con un certo ritardo. Se si consideranoi primi cinque mesi dell'anno, l'aumentoè pari allo 0,5 per cento. Il

Centro studi Confindustria (CsC), che dispone di una strumento di sondaggio come l'indagine rapida sulla

produzione industriale, stima che in giugno si verificherà un lieve ridimensionamento (­0,2% è la previsione di

giugno su maggio); conferma, tuttavia, che la prospettiva di un aumento dell'attività industriale dello 0,8% nel

secondo trimestre dell'anno, in accelerazione rispetto al +0,5% del periodo gennaiomarzo, rappresenta

comunque il valore più alto dalla fine del 2010. Tornando ai dati Istat, tutti i raggruppamenti mostrano una

dinamica positiva: dai beni strumentali (+2,3 per cento)a quelli energetici (+1,7%); crescono più lentamentei

beni di consumo (+0,7) e i beni intermedi (+0,6%). Quanto ai settori, si confermano i forti incrementi nei dodici

mesi per i prodotti petroliferi raffinati (+16,2) e per i mezzi di trasporto(+15,4%). Per l'auto, l'incremento

tendenziale è spettacolare (si veda l'articolo sotto). Complessivamente, quindi, i dati della produzione

industriale sono coerenti con la prospettiva di una ripresa del prodotto interno lordo anche nel secondo

trimestre dell'anno. Anche se, avvertono gli esperti di Unicredit, c'è da sciogliere l'incognita della crisi greca:

un fattore che, con un esito negativo del negoziato, potrebbe pesare come una gelata sulla ripresa . E che

invece, nel caso di una soluzione positiva, potrebbe migliorare in modo consistente la fiducia. Secondo

l'ufficio studi della Confcommercio, il dato Istat «decisamente migliore rispetto alle attese, indica che,

nonostante tutte le incertezze, la ripresa italiana c'è. Ed è possibile una crescita superiore all'1% nell'anno in

corso». «Non resta che attendere un segnale coerente dal versante dell'occupazione, l'ultima tessera

mancante per potere parlare con maggiore convinzione e fiducia di buone prospettive a breve per

l'economia», conclude la nota dell'associazione dei commercianti. Soddisfatti ma prudenti i commenti del

premier Renzi («dopo tanti anni torna a crescere la produzione. È positivo, ma non basta») e del ministro

dell'Economia, Pier Carlo Padoan. Che prima twitta: «Ancora molta strada da fare ma stiamo andando nella

direzione giusta». Poi,affida le ragioni del suo cauto ottimismoa un lungo comunicato:i dati della produzione

industriale di maggio e quelli sul lavoro (si veda l'articolo in fondo pagina) indicano che l'Italia è a un «punto di

svolta» affermanoa via XX settembre. Anche i dati sul lavoro «per quanto riferiti al numero dei contratti e non

al numero degli occupati sembrano indicare che oltre alle variabili esterne stanno giocando un ruolo

importante la politica di bilancio, divenuta più favorevole alla crescita e le riforme adottate in Italia». Del resto

«le condizioni esterne in cui opera l'economia italiana ­ prosegue la nota del Mef ­ sono divenute favorevoli da

alcuni mesi: il quantitative easing della Banca centrale europea ha migliorato le condizioni finanziarie per

l'economia italiana; il prezzo del petrolio siè mantenutoa livelli inferiori al passato, con la conseguenza di un

costo dell'energia più bassoe quindi un effetto positivo sulla competitività del settore manifatturiero».

Dati corretti per gli effetti del calendario; maggio 2015 e variazioni percentuali su maggio 2014; principali

settori

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Coke, prodotti petroliferi

La produzione industriale per settore di attività

+16,2+15,4+10,5+9,1+7,9+2,3+2,3+1,9+1,0+1,0-0,5 -1,4-0,2 Fonte: Istat Alimentar i, bevande, tabacco Tessili, pelli e accessori Legno, carta e stampa Prodotti chimici

Prodotti farmaceutici Gomma e plastica Macchinari n.c.a. Mezzi di trasporto Altre industr ie Metalli Elettronica

Apparecchi elettr ici

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SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 13/07/2015 170

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I DATI SULL'ECONOMIA Segnali di ripresa nell'industria A maggio produzione su del 3% Paolo Baroni A PAGINA 19 Il ministero del lavoro: 184 mila contratti in più Renzi: qualcosa si muove. Padoan: è una svolta

A maggio la produzione industriale fa un balzo del 3% rispetto al 2014 e mette a segno il rialzo più forte dal

2011. Mentre sul fronte dei contratti, sempre a maggio, il ministero del Lavoro registra 184.707 contratti in

più. «Siamo ad un vero punto di svolta», commenta il ministero dell'Economia. «E' un giorno significativo,

dopo tanti anni torna a crescere la produzione. Possiamo e dobbiamo fare di più, certo. Ma è il segno che

grazie agli incentivi, dalla Sabatini al taglio dell'Irap, e grazie alle riforme finalmente qualcosa si muove. E

sono molto incoraggianti anche gli ulteriori progressi sul mondo del lavoro», ha scritto su Facebook Matteo

Renzi in un post intitolato «Buone notizie». La produzione A maggio sono cresciuti tutti i comparti industriali,

ma a trainare sono soprattutto i beni strumentali che crescono del 2,3% rispetto ad aprile e dell'8,5% rispetto

al 2014. Su 13 settori manifatturieri ben 10 risultano in progresso: i maggiori incrementi riguardano prodotti

petroliferi raffinati (+16,2%), mezzi di trasporto (+15,4%, con l'automotive che fa +55,6%) e farIl lavoro Il

numero di attivazioni di nuovi contratti di lavoro, secondo le rilevazioni del ministero del Lavoro, è stato pari a

934.258 mentre le cessazioni sono state 749.551. Oltre trentamila contratti a tempo determinato sono stati

trasformati in rapporti a tempo indeterminato (+43,2%), una tipologia questa che arriva al 19% del totale dei

nuovi contratti (179.643). La svolta Secondo l'analisi del Mef i dati diffusi ieri dall'Istat sulla produzione

industriale di maggio « fanno registrare un incremento congiunturale e tendenziale superiore alle aspettative.

Il miglioramento - spiega una nota - viene rilevato in tutti i settori segno che l'economia italiana sta finalmente

approfittando delle favorevoli condizioni esterne», dal quantitative easing della Bce che ha migliorato le

condizioni finanziarie al prezzo del petrolio che ha limitato i costi dell'energia producendo «un effetto positivo

sulla competitività del settore manifatturiero». I dati sul lavoro, per quanto riferiti al numero dei contratti e non

al numero degli occupati, «sembrano indicare che oltre alle variabili esterne stanno giocando un ruolo

importante la politica di bilancio, divenuta più favorevole alla crescita, e le riforme adottate in Italia», dal Jobs

act alla riduzione del costo del lavoro. Dentro i numeri In realtà nel saldo tra attivazioni e cessazioni i contratti

stabili ottenuti in più a maggio sono appena 271 e in 12 mesi i contratti in più sono appena 3544. Quanto alle

prospettive, il Centro studi di Confindustria ieri ha provveduto a placare un poco l'euforia visto che a giugno

occorrerà mettere in conto un calo dello 0,2%.

+55,6 per cento L'aumento registrato dal settore automotive Crescono anche farmaceutica e prodotti

petroliferi raffinati

271 I posti fissi I contratti stabili in più a maggio nel saldo tra attivazioni e cessazioni In 12 mesi i contratti in

più sono appena 3544

Così a maggio 899.796 934.258 +181.163 +184.707 Attivazioni Cessazioni TUTTI I RAPPORTI DI LAVORO

A TEMPO INDETERMINATO Trasformazioni di vecchi contratti a termine in tempo indeterminato Andamento

dei nuovi contratti di lavoro (esclusi lavoro domestico e PA)2014

Fonte: ministero del Lavoro

- LA STAMPA

Foto: Fiducioso «Siamo ad un vero punto di svolta», ha detto il ministro del Tesoro Pier Carlo Padoan

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IL CASO Industria e lavoro, parte la ripresa Stipulati 185.000 nuovi contratti ma sono quasi tutti a tempo Fra gli analisti c'è chi ipotizza una crescitadell'1% del Pil 2015 L'Istat segnala un aumento della produzione del 3% a maggio trainata dall'auto: +55%,ottava crescita consecutiva a due cifre LE CIFRE SI AGGIUNGONO AD ALTRI INDICATORI POSITIVI SUICONSUMI DELLE FAMIGLIE E SUGLI INVESTIMENTI DELLE IMPRESE Diodato Pirone R O M A Il Pil italiano del 2015 "rischia" di crescere più del previsto e forse di arrivare a quota +1% rispetto al

+0,7% indicato l'altro ieri, con una stima al rialzo, dal Fondo Monetario Internazionale. L'1% di quest'anno tra

l'altro preparerebbe la strada ad una crescita ben più forte nel 2016 e dunque ad un diverso scenario per i

conti pubblici che beneficerebbero di un incremento discreto delle entrate fiscali. Questa è la novità "letta" dai

principali centri studi italiani nei dati economici emersi ieri. Dati discreti sull'occupazione, con un aumento di

185.000 contratti d'assunzione a maggio (in gran parte a tempo determinato) indicato dal ministero del

Lavoro e di 152.000 contratti stabili nei primi cinque mesi del 2015 segnalato dall'Inps. E dati che diventano

ottimi sul fronte della produzione industriale che a sorpresa è aumenta a maggio del 3%. Una roba che non si

vedeva dal 2011. A trainare il boom dell'industria è l'auto con una crescita mensile (l'ottava consecutiva a

doppia cifra) del 55% della produzione dovuto all'impennata dell'export verso gli Usa delle Jeep Renegade e

delle Fiat 500X prodotte nella fabbrica Fiat di Melfi, l'unica in Europa a lavorare sette giorni su sette. E'

importante notare che non si tratta di cifre "isolate". I dati di ieri confortano l'ottimismo che circola fra gli

analisti da qualche settimana a questa parte, dopo che l'Istat ha diffuso i dati sull'andamento dei consumi e

quelli dell'import-export. Questi due ultimi indicatori alla fine di giugno hanno segnalato due elementi positivi.

DUE LEVE Primo: un insperato aumento degli acquisti delle famiglie (+0,7% ad aprile) con incrementi che

non si vedevano da 24 mesi. Secondo: una crescita del 16% circa nei primi quattro mesi del 2015

(incremento non episodico dunque) sia delle importazioni di beni strumentali, ovvero di macchine utensili che

servono alle imprese per incrementare la loro produzione, sia di quelli che l'Istat definisce "beni durevoli"

ovvero di acquisti di automobili o elettrodomestici da parte delle famiglie. «L'economia italiana era finita in una

buca ma ora come minimo ne siamo usciti», è l'efficace sintesi informale formulata da un analista di

Bancaintesa. Sintesi tecnica sulla quale fanno leva l'entusiasmo del premier Matteo Renzi che ieri è tornato a

sottolineare a più riprese la "giustezza della strada delle riforme" e dal pacato ma pesante giudizio

comunicato dal ministero dell'Economia: «In particolare l'incremento della produzione industriale sembra

indicare un punto di svolta». Il Centro Studi Confcommercio si spinge poi a parlare di crescita annua

superiore all'1%. I DETTAGLI Ma veniamo ai dettagli dei dati di ieri. Sul fronte dell'occupazione il ministero

del Lavoro ha diffuso le cifre di maggio sui contratti attivati. Complessivamente si tratta di 185.000 posti in più

(934 mila attivati e 749 mila cessati), gran parte dei quali sono però a tempo determinato. I nuovi contratti

"fissi" del mese, infatti, equivalgono alle cessazioni. Tuttavia le attivazioni a tempo indeterminato sono state

circa 179 mila, con un'incidenza del 19,2% sul totale: una crescita sensibile rispetto alle 133 mila del maggio

2014 (+46 mila quindi), quando l'incidenza dei contratti "stabili" era al 14,9%. Ma i colori si fanno un po' più

grigi se si considera, come detto, che il ministero ha censito 179 mila cessazioni. Per spiegare la crescita

complessiva dei contratti bisogna guardare allora al tempo determinato, che ha visto 643mila attivazioni

(erano 632mila nel maggio 2014), ma soltanto 458 mila cessazioni, per un saldo positivo come detto di 185

mila nuovi contratti. Sempre sul lavoro l'Osservatorio del precariato Inps hasottolineato che nei primi cinque

mesi del 2015 sono aumentati rispetto al corrispondente periodo del 2014, le assunzioni a tempo

indeterminato (+152.722). Aumentano anche i contratti a termine (+51.270) mentre diminuiscono le

assunzioni in apprendistato (-19.021). LE PREVISIONI Da segnalare, infine, sul fronte dell'industria che il Csc

(Centro studi di Confindustria) stima per il secondo trimestre un aumento della produzione industriale dello

0,8% rispetto al periodo precedente, «il più alto da fine 2010». Per giugno, invece, il Csc calcola un calo

dell'attività dello 0,2% su maggio. La tendenza per l'estate si prefigura positiva. Per i direttori acquisti

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SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 13/07/2015 172

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(indagine Pmi Markit) a giugno gli ordini continuano ad aumentare, trainati, udite udite, dalla domanda

interna.

Così a mag gio Andamento dei nuovi contratti di lavoro (esclusi lavoro domestico e PA) Cessazioni

Attivazioni TUTTI I RAPPORTI DI LAVORO PRODUZIONE INDUSTRIALE: VARIAZIONI TENDENZIALI

ANNUE (in %, su dati corretti per giorni lavorativi) 934.258 899.796 +181.163 +184.707 Fonte: ministero del

Lavoro Fonte: Istat (Indice; base: 2010 = 100) ANSA

Foto: (foto Ansa)

Foto: Giorgio Squinzi

11/07/2015Pag. 17

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SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 13/07/2015 173

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La necessità delle riforme Pietro Reichlin Il dato ISTAT sulla produzione industriale di maggio, +3% rispetto allo stesso mese del 2014, è il migliore dal

2011 e conferma che l'Italia è in ripresa. Il dato si aggiunge a quello, molto positivo, sull'aumento degli ordini

ricevuti dalle imprese del manufatturiero di giugno (indagine PMI Markit) e ai quasi 200.000 nuovi contratti di

lavoro di maggio comunicati dal ministero del lavoro. Per quanto riguarda la produzione industriale, bisogna

sottolineare i risultati molto positivi nel settore dell'auto e del farmaceutico. Nel primo caso, abbiamo un

segnale concreto che la domanda interna sta finalmente ripartendo, soprattutto per ciò che riguarda i beni

durevoli, il cui calo, dal 2011 in poi, ha contribuito in larga parte alla lunga recessione dell'economia italiana.

Non vi è dubbio che i motivi della ripresa debbano essere, in parte, attribuite a una generale tendenza al

rafforzamento della congiuntura nel nostro continente, anche grazie alla discesa dei tassi d'interesse e a un

ritorno della fiducia nella stabilizzazione finanziaria della zona euro. Ma hanno contribuito anche le riforme

strutturali approvate dagli ultimi due governi, soprattutto la riduzione dell'IRAP, il job act e il bonus fiscale.

Anche l'OCSE e il FMI hanno recentemente confermato che la recessione italiana è finita, stimando una

crescita per l'Italia intorno allo 0,7%, e apprezzano l'impegno del nostro paese sul fronte delle riforme

strutturali, mà sottolineano, anche, i molti problemi ancora irrisolti. Il nostro paese ha, in effetti, un deficit di

crescita rispetto ai nostri partner europei che non dipende solo da fenomeni congiunturali, cioè dalla

debolezza della domanda e dalla cautela degli investitori. Un segnale di queste distorsioni è dato dai grandi

divari che esistonotra le imprese italiane sul piano della produttività e della capacità di esportare. Non si tratta

solo di divari regionali, che certamente esistono (il Sud ha subito un colpo particolarmente duro in questi

anni), ma anche tra settori e tra imprese che operano in settori analoghi. E' importante, quindi, che il settore

finanziario, i mercati e il sistema giudiziario siano riformati per fare arrivare le risorse dove possono essere

meglio utilizzate. Bisogna, quindi, fare molto di più per correggere le distorsioni che limitano la produttività,

rendono il fisco particolarmente opprimente e lasciano tanti giovani fuori dal mercato del lavoro. Purtroppo,

non si tratta di problemi che possono essere risolti in uno o due anni

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SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 13/07/2015 174

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Una ripresa record, figlia di quei tanto contestati 80 euro E grazie alla domanda interna che la produzione industriale è cresciuta del 3% Fortis: «La crescita è costantee intensa, il che ci fa ben sperare» Vladimiro Frulletti Finalmente i 3% da tenere sotto osservazione sono diventati due. Quello oramai ben noto

che indica il tetto nel rapporto tra deficit e prodotto interno lordo. E il 3% che l'Istat ha certi ficato come tasso

di crescita fatto registrare dalla nostra produzione industriale in un anno (maggio 2015 su maggio 2014). E se

il primo mostra segn i d i sempre maggiore i nd iger ibi 1 it à perché t roppo rigi do e c ieco ( patto di stupidità

lochiama Prodi) rispetto alla necessità di ampliare gli investimenti pubblici. L'altro invece fa ben sperare perii

nostro futuro perché racconta che forse la ripresa questa volta è partita davvero. «Quel 3% di crescita

produttiva, mostra una intensità - sottolinea non a caso il professore della cattolica di Milano Marco Fortis -

che non si vedeva da 4 anni anche perché lacrescitaècostante. Sonodel resto tre mesi che cresce

tendenzialmente la promo iniziato a risalirela china e dal quel momento l'ascesa è stata costante» è il

paragone da scalatore che usa Fortis. «Gli ultimi tre mesi sempre positivi - spiega - ci dicono che la strada

giusta è stata imboccata». Ottimismo della volontà? Non pare. Ancheguardando a dati un po' più particolari.

Ad esempio il centro studi internazionale Markit (ascoltato anche dalla Bce) annota nel suo rapporto sul

manifatturieroche per farfronteal maggiorcaricodi lavoro «le imprese manifatturierehanno assunto un ulteriore

personale a giugno e per il sesto mese consecutivo» e che s'è registrata «una maggiore pressione sui

fornitori» causata dall'aumento dei «livelli degli acquisti» trai manifatturieri. C'è più cioè lavoro perché ci sono

più cose da produrre perché le persone hanno ricominciato a comprare. Per quali motivi? Certamente pesa,

come dicono quelli che se ne intendono, la "migliore congiuntura internazionale": l'export che va bene, il

petrolio che costa meno e il denaro a tassi non più elevati. Però è lecito nutrire dubbi che i fattori esterni siano

poi cosi esclusivamente determinanti a spingere verso l'alto la domanda interna e duzione. Abbiamo un

segno positivo che si ripetete costan- quindi ¡consumi. Si tratta, insomma,di te da marzo». In particolare a

crescere, voci un po' "pompate". Prendiamo l'exoltreai prodotti petroliferi, sono la far- port. Che ci sia una

crescita è indubbio, maceutica, la costruzione delle auto e tuttavia pesa molto meno di quanto è degli altri

mezzi di trasporto, ma anche dato credere visto che solo Usa e Gran la fabbricazione di apparecchi mecca-

Bretagna stanno aumentando i consunici (la cui produzione sale del 7,9%) e mi, mentre Russia,

BrasileeCinastanno di computer, apparecchi elettromedi- stringendo la cinghia rispetto al recente cali, ottici e

elettronici. Cioè tutti settori che svolgono un effetto traino molto rilevante. «Quando tirano loro, tirano tutti»

sintetizza Fortis. passato. Allora è tutto merito del Quantitative easingdella Bce? Non del tutto perché i prestiti

alle i mpresee alle fa miglie continuano, nonostante il presInsomma la crescita è evidente, e sem- singdi

Mario Draghi, a languire. Infine bradestinataanchea non fermarsi, anzi. Come dicono gli esperti infatti si tratta

non di un balzocongiunturale, madi una tendenza di fondo perché, appunto, il segnale positivo si ha non solo

nel il petrolio. E' vero che il greggio costa meno, tuttavia è altrettanto vero chesia ai nostri distributori sia nelle

nostre bollette energetiche ancora non ce ne siamo resi conto. E allora? confrontocol periodo immediatamen-

A l l o r a f o r s e c o n v e r r à g u a r d a r e c o n t e p r e c e d e n t e ( a d e s e m p i o m a g g i o c o n -

menoscetticismoaifamosiSOeuro.Solfrontatocon aprile), ma nel rapporto di di incontanti finiti

nellebustepaga(eda lungoperiodo,inunaseriestorica.Eciò qui nelle tasche) di milioni di italiani, significa che la

crescita èdefinibile ora- Così come il taglio dell'Irap ha dato un mai come «una tendenza di fondo» per

p o ' d ' o s s i g e n o a l l e i m p r e s e . M i s u r e c o n u s a r e l e p a r o l e d i F o r t i s . « L ' a n n o s c o r s o

trobilanciatedalgovernocounaumenabbiamo toccato il minimo, poi abbia- to della pressione fiscale sulle

rendite (meno tasse sul lavoro, più tasse sulla finanza). Molti osservatori hannocommentatoche non servono

a nulla oquasi spiegando che si trattava di una "elemosi na" ovvia mente elargita a fi n i elettomi i. Lasciamo

stare la critica politica (sempre legittima ancorché non condivisibile, visto che un politico che punta a perdere

voti e non a guadagnarne non s'èmaivisto)eesaminiamoquellatecnica. Sarà un caso, ma da quando ci sono

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SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 13/07/2015 175

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gli SOeuroi consumi sono ripartiti. Sono quattro trimestri consecutivi (da luglio 2014) che 1 a dom anda i ntern

a delle fam i gl ie italiane sale. Qu indi più del destino qui contaquellachegli economisti chiamano

"correlazione statistica". Vuoldire che se un effetto si vede costante e per un periododi tempo medio-lungo

allora signi ficachequell'effetto non è frutto della buona sorte, ma di scelte precise. Quantoal futuro,

l'indaginedellostesso Centro Studi di Confindustria sulla produzione industriale "smentisce" il

pessimismo(politic^'SquinziprevedeS do un'attività «positiva» nei mesi estivi alla luce di un giugno dove gli

ordini ricevuti dalle imprese hanno continuato ad aumentare. Un progresso, certificano, dovuto «soprattutto al

favorevole andamento della domanda interna». Riassunto: le famiglie consumano di più, le fabbriche

producono di più, e i posti di lavoro aumentano.

Foto: L'interno di un supermercato. È grazie alla ripresa della domanda interna che la produzione cresce.

FOTO: ANSA

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SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 13/07/2015 176

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Le risorse e le sorprese industriali del nostro Sud La manifattura del Meridione ha superato il Portogallo e i paesi scandinavi Federico Pirro Perché ignorare che si registrano positive sorprese occupazionali anche nel Mezzogiorno che non sembra

aatto alle soglie della desertificazione industriale ? non è forse vero che Marchionne annuncia nuovi

investimenti a Melfi e che tanti altri massicci interventi sono in corso in vari siti del Sud, dalla raneria di Gela

dell'Eni, alla bosch, alla Getrag e alla Magneti Marelli di bari, dall'Ema-Gruppo rolls royce di Morra De Sanctis

nell'Avellinese alla Sanofi di brindisi, solo per citarne alcuni ? Il Governo ha lavora0to per salvare e rilanciare

decine di siti industriali nell'Italia meridionale. Qualcuno forse lo ha dimenticato ? Gli ultimi dati pubblicati

dall'Istat e riferiti al primo trimestre 2015 hanno evidenziato una crescita di 133mila unità su base annua, pari

allo 0,6% in Italia, allo 0,6% nel nord, allo 0,3% nel Centro e allo 0,8% nel Mezzogiorno. In quest'ultima

ripartizione, inoltre, gli incrementi sono stati dello 0,5% per gli uomini e dell'1,3% per le donne. E' interessante

peraltro osservare che nel Sud vi è stato un incremento nell'industria pari al 4,1% per i dipendenti, a fronte di

una essione dello 0,8% in Italia, dell'1,6% al nord e del 3,3% nel Centro, mentre nell'industria 'in senso stretto'

nel Meridione l'aumento è stato del 3,7%, contro riduzioni dello 0,3% a livello nazionale, dello 0,9% al nord e

del 2,2% nel Centro. Anche le costruzioni hanno registrato nel Sud nello stesso periodo un aumento del 5%,

contro una essione del 3,1% in Italia, del 6,2% nel nord e del 7,4% nel Centro. Dopo anni di dura recessione

che ha colpito diverse regioni meridionali e i loro apparati produttivi, anche l'industria nell'Italia del Sud mostra

capacità di agganciarsi alla ripresa. Il Mezzogiorno inoltre possiede risorse strategiche per il Paese. Pozzi

petroliferi fra i più produttivi on shore d'Europa e altre cospicue riserve ormai accertate in basilicata; riserve di

gas in giacimenti sottomarini che attendono solo di essere sfruttate nella piena tutela degli ecosistemi, e

superando resistenze dell'estremismo ecologista; primati industriali assoluti a livello nazionale nella

produzione di laminati piani, piombo, zinco, etilene, auto e veicoli commerciali leggeri, energia da fonte

eolica, conserve di ortofrutta, paste alimentari, grani macinati, e nella ranazione petrolifera, mentre l'industria

meridionale concorre con quote significative a produzioni nazionali di energia da combustibili fossili,

aeromobili, Ict, cemento, materiale rotabile, farmaceutica, costruzioni navali, e di altre sezioni dell'industria

alimentare. Quote elevate dell'industria localizzata nel Sud documentate da chi scrive nel volume L'economia

reale nel Mezzogiorno curato dai prof. Quadrio Curzio e Marco Fortis, edito dal Mulino. E' noto inoltre - come

ha documentato lo stesso Fortis - che il valore aggiunto manifatturiero nell'Italia meridionale è stato nel 2011

superiore nell'ordine a quello di romania, Finlandia, norvegia, Danimarca, Portogallo, Ungheria e Grecia, ? Ed

ancora, è noto che nel Meridione gli addetti all'industria agroalimentare (pari a 127mila) nel 2012 sono stati di

poco inferiori a quelli della baviera (131 mila), superando invece quelli di nord-reno Westfalia (114 mila),

Catalogna (107mila), Portogallo (103mila), Ile de France (98mila), e belgio (95mila) etc.? Ma anche nel

settore dell'abbigliamento il Sud ha sì meno addetti (44 mila) della Francia (48mila), ma ne ha di più della

Germania (37mila), del regno Unito (29mila), della repubblica Ceca (26mila). nella stessa produzione di

autoveicoli nel Meridione gli addetti ammontano a 42mila, meno della Svezia (67mila), ma più numerosi di

quelli di belgio (38mila), Catalogna (36mila),), Sassonia (34mila), Austria (32mila). nella ranazione petrolifera

gli addetti nel Sud sono 5mila, meno del regno Unito (9mila), e dei Paesi bassi (6mila), ma più di belgio

(4mila), Finlandia (3mila) e bulgaria (2mila). Insomma, non sottovalutiamo l'indebolimento di segmenti

dell'apparato produttivo nell'Italia meridionale, ma la sezione più rilevante della manifattura del Sud è ben

lontana dalla ragurazione di un ormai prossimo deserto industriale.

Foto: UnIVErSITA' DI bArI

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SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 13/07/2015 177

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Lo ha chiarito il Mise in materia di agevolazioni per l'internazionalizzazione delle Pmi Voucher export solo per la rete Le singole imprese non possono presentare altre istanze CINZIA DE STEFANIS Nel caso in cui una rete di impresa presenti domanda per la concessione del voucher (pari a 10 milioni di

euro) per l'internazionalizzazione delle Pmi, le singole imprese «retiste» non possono a loro volta presentare

istanza di ammissione alle agevolazioni. Nel caso di «rete contratto» (intesa come aggregazione di micro,

piccole e medie imprese, costituita attraverso la sottoscrizione di un contratto di rete non avente soggettività

giuridica) che voglia presentare domande di accesso ai voucher, il contratto dovrà essere stipulato con

l'impresa capofi la, designata in quanto tale per effetto di un mandato sottoscritto dalle altre imprese della

rete. Queste le istruzioni formulate dal ministero dello sviluppo economico per quanto concerne la richiesta di

voucher per l'internazionalizzazione delle Pmi. Il contratto di servizio deve essere stipulato successivamente

alla pubblicazione dell'elenco delle società fornitrici. Nel caso di benefi ciario «rete soggetto» (aggregazione

di micro, piccole e medie imprese che ha portato alla costituzione di un soggetto giuridico autonomo, dotato

di un fondo patrimoniale comune e di un organo comune e iscritto nella sezione ordinaria del registro delle

imprese nella cui circoscrizione è stabilita la sua sede), il contratto dovrà essere sottoscritto dal

rappresentante legale della «rete soggetto». Pertanto sono ammissibili alle agevolazioni del voucher anche le

spese derivanti da contratti di servizio sottoscritti antecedentemente all'apertura della piattaforma informatica

per l'invio delle istanze da parte dei soggetti proponenti, purché il contratto di servizio sia stato concluso

successivamente alla pubblicazione dell'elenco delle società fornitrici. Primo bando voucher. Le istanze di

accesso per la concessione di un voucher per l'inserimento in azienda di un temporary export manager

dovranno essere presentate esclusivamente online a partire dalle ore 10 del 22 settembre 2015 e fi no al

termine ultimo delle ore 17 del 2 ottobre 2015. La procedura è interamente telematica ed entro il prossimo

mese di agosto sarà pubblicato sul sito del Mise l'elenco delle strutture di temporary export management a

cui le Pmi interessate potranno rivolgersi se intendono richiedere i voucher. A partire dal 1° settembre 2015,

le Pmi interessate potranno registrarsi sull'apposita piattaforma informatica ottenendo la password con la

quale gestiranno tutte le fasi successive. A partire dal prossimo 15 settembre sarà possibile, sempre sulla

piattaforma, ottenere il modulo di richiesta e precompilare la domanda. Per agevolare le imprese, il bando

stabilisce che, a partire dalle ore 10 del 1° settembre 2015, le imprese interessate potranno registrarsi tramite

la procedura informatica resa disponibile nell'apposita sezione «Voucher per l'internazionalizzazione» del sito

internet del Mise (www.mise.gov.it). Il contributo a fondo perduto pari a 10 mila euro è destinato alle imprese

(costituite sotto forma di società di capitali, di cooperative e di reti di imprese) che abbiano fatturato almeno

500 mila euro in almeno uno degli ultimi tre esercizi al fi ne dotarsi di temporary export manager, ovvero di

personale specializzato che le sostenga nei processi di internazionalizzazione. Una riserva pari al 3% è

destinata alla concessione dei voucher a benefi cio dei soggetti proponenti che hanno conseguito il rating di

legalità. Le società che intendono fornire gli export manager alle pmi dovranno iscriversi in un apposito

elenco tenuto dal Mise, presentando domanda entro il 20 luglio. La domanda per l'iscrizione in elenco fornitori

di servizi «voucher per l'internazionalizzazione» potrà essere presentata anche dalle società tra professionisti

o dalle società professionali purché abbiano assunto la forma giuridica di società di capitali anche in forma

cooperativa. Potranno inoltre presentare la domanda di inserimento nell'elenco fornitori di servizi anche le

società estere purché dispongano di una sede nel territorio italiano che risulti iscritta al registro delle imprese

della camera di commercio territorialmente competente e in stato di attività, al momento della presentazione

della domanda. La domanda dovrà essere compilata dalla società in formato elettronico, secondo lo schema

di cui all'allegato n. 1 del decreto ministeriale 15 maggio 2015 visibile nella sezione «voucher per

internazionalizzazione/normativa e moduli» del sito www.mise.gov.it.. La domanda così compilata,

unitamente all'ulteriore documentazione eventualmente necessaria (cv asseverati o progetti export realizzati),

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SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 13/07/2015 178

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dovrà essere sottoscritta dal legale rappresentante della società proponente mediante fi rma digitale e

presentata, a partire dal 19 giugno, esclusivamente attraverso l'invio a mezzo Posta elettronica certifi cata

(Pec) all'indirizzo [email protected]. Requisiti essenziali del contratto di servizio. Ai fini della

concessione del voucher, i servizi a supporto dei processi di internazionalizzazione dovranno

necessariamente includere la messa a disposizione di uno o più temporary export manager. I temporary

export manager indicati nel contratto e responsabili dell'erogazione del servizio possono essere in numero

superiore a uno soltanto laddove necessario ai fi ni di una maggiore rispondenza ai fabbisogni di affi

ancamento dell'impresa benefi ciaria (per esempio nel caso in cui la marcata eterogeneità delle attività

oggetto della prestazione di servizi richiesta alla società fornitrice imponga il coinvolgimento di più profi li

professionali aventi ciascuno una specifi ca competenza in materia di processi di internazionalizzazione). Il

temporary export manager, anche con riferimento all'inquadramento contrattuale del suo rapporto di

lavoro/collaborazione con la società fornitrice, deve poter assicurare una continuità al servizio di affi

ancamento erogato all'impresa beneficiaria coerente con la durata del contratto di servizio, i cui contenuti

minimi (oggetto, temporary export manager identifi cato nominativamente, durata, corrispettivo) sono specifi

cati all'articolo 7, comma 5 del decreto direttoriale 23 giugno 2015.

I diversi casiNel caso in cui una rete di impresa presenti domanda per la concessione del voucher (pari a 10 milioni di

euro) per l'internazionalizzazione delle Pmi, le singole imprese «retiste» non possono a loro volta presentare

istanza di ammissione alle agevolazioni

Nel caso di «rete contratto» che voglia presentare domande di accesso ai voucher, il contratto dovrà essere

stipulato con l'impresa capofi la, designata in quanto tale per effetto di un mandato sottoscritto dalle altre

imprese della rete

Nel caso di benefi ciario «rete soggetto» il contratto dovrà essere sottoscritto dal rappresentante legale della

«rete soggetto» Tra le attività ammissibili rientrano: le attività di analisi delle potenzialità commerciali del sog•

getto proponente, effettuate con specifi co riferimento ad una o più linee di prodotto/servizio dell'impresa

richiedente il Voucher e a uno o più mercati esteri espressamente identifi cati; le attività fi nalizzate

all'individuazione di nuovi clienti/ • target di mercato all'estero e/o di potenziali partner stranieri, nonché alla

defi nizione/sottoscrizione di accordi di collaborazione e/o di costituzione di joint venture in grado di facilitare

l'ingresso/il consolidamento commerciale sui mercati esteri; le attività di assistenza legale, organizzativa,

contrattuale • e fi scale, fi nalizzate alla realizzazione di programmi di sviluppo internazionale delle imprese

benefi ciarie ovvero alla valutazione e confi gurazione di assetti societari ed organizzativi funzionali alla

promozione di reti/canali distributivi e commerciali in paesi esteri, anche con riferimento alla defi nizione delle

regole di governance relative alle partnership e/o joint venture da attivare con operatori locali, nonché

all'analisi degli impatti fi scali correlati alle differenze di inquadramento tra la normativa nazionale e quella di

riferimento

Reti d'impresaImpresa capofi la

Rete soggetto

Attività ammissibili

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SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 13/07/2015 179

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DOSSIER • best workplaces Le migliori Pmi d'Europa 2015 Alessandro Zollo Great Piace to Work® ha da poco pubblicato i 100 migliori luoghi di lavoro in Europa. La ricerca si basa sui

pareri di 775.323 persone in rappresentanza di 1.573.788 dipendenti che lavorano presso 2.322 aziende

europee nel solo 2014. La classifica si divide su tre categorie (rimando al riquadro con la lista): • 25

Multinazionali: aziende presenti in più paesi europei con almeno 3 filiali locali nelle classifiche dei singoli

paesi; • 25 Grandi Aziende: aziende locali con un numero di dipendenti superiori ai 500; • 50 Piccole e Medie

aziende: aziende locali con un numero di dipendenti tra ^ 50 e 500. E alquanto agevole, e dal nostro punto di

vista abbastanza sconsolante, notare come non c'è nessuna azienda italiana in classifica né nelle 25 Grandi

né nelle 50 Piccole e Medie. Questo dato testimonia, per il terzo anno consecutivo, la distanza culturale tra le

aziende Made in Italy e quelle dell'Europa centro-settentrionale. La distanza tra la fiducia media all'interno dei

migliori luoghi di lavoro europei e italiani è di circa 10 punti percentuali: 87% contro 77% in Italia. Come mai?

Verrebbe da pensare che siamo indietro culturalmente, che i nostri imprenditori o manager non sono al passo

con i tempi, che è finito il tempo del comandante di impresa, che la crisi ha mietuto più vittime in Italia che nel

resto d'Europa. Tutto probabilmente vero, ma allora come mai 13 Multinazionali su 25 sono in classifica

anche per merito della loro sede italiana? Non sono italiani i loro manager o capi azienda? Non sono realtà

che vivono il mercato italiano con le nostre logiche di business? Non assumono giovani o meno giovani dallo

stesso mercato del lavoro con le sue storture e asimmetrie informative? Inoltre, hanno una caratteristica che

le penalizza parecchio rispetto alle aziende Made in Italy. Le sedi italiane delle multinazionali presenti da noi

non possono esportare per ovvie ragioni, ma vivono solo sul mercato interno. E quindi cosa c'è di diverso? I

driver dell'azienda ideale La risposta la possiamo trovare in quelli che sono i trend della ricerca di Great Piace

to Work® pubblicata proprio in occasione dell'evento di premiazione dei 100 Best European Workplaces

2015: The Basics and Beyond (http://www.greatplacetowork. it/migliori-aziende/i-best-workplace-

europei/rapporto-the-basics-and-beyond). Dal report si desumono i driver dell'azienda ideale: • luoghi di

lavoro psicologicamente ed emozionalmente sani; • onestà ed etica del management; • divertimento in

azienda; • risorse e strumenti adeguati per il lavoro delle persone; • equità e meritocrazia. Da una prima

occhiata a questi driver dell'azienda ideale notiamo subito la mancanza dei salari, dei benefit e di tutto quel

mondo "hard" che evidentemente non viene considerato come differenziante nella scelta del datore di lavoro

nelle migliori 100 aziende per cui lavorare in Europa. Questi dati confermano gli studi che da anni certificano

come, dato un livello "igienico" di soddisfazione salariale, la battaglia non si combatte più sulla

remunerazione ma sulla soddisfazione personale, sul rispetto nei confronti dei collaboratori e sulla possibilità

di vivere in un ambiente sereno e divertente. E non stiamo parlando solo delle società innovative

tecnologiche che fanno della fiducia e dell'engagement la leva cardine su cui stabilire l'innovazione (36% del

totale). Nella classifica sono rappresentati quasi tutti i settori: Servizi professionali (17%), Manifattura (11%),

Servizi finanziari (8%), Farmaceutica e Biotecnologia (7%), Retail (7%), Real Estate (5%) ecc. luogo di lavoro

fa la differenza Si desume da questi dati che le aziende con cultura non italiana selezionano i migliori

manager sul nostro territorio, li formano alla meritocrazia e al rispetto nei confronti dei loro collaboratori, gli

offrono gli strumenti e le risorse con cui lavorare e li premiano se le loro squadre raggiungono un risultato

importante. Da una ricerca di Linkedln, "Talent trends 2014", si dimostra infatti che se chiediamo a una

persona in procinto di cambiare lavoro quale caratteristica ritiene fondamentale nella selezione del prossimo

datore di lavoro, ci risponderà nel 56% dei casi: un eccellente luogo di lavoro! Queste 100 aziende "da

sogno" hanno assunto circa 19.000 persone nel solo 2014, ricevono un numero di curricula 10 volte superiore

al numero dei loro collaboratori, hanno tassi di assenteismo attorno al 3%; ma il dato che colpisce di più dal

nostro italico punto di vista è il numero di donne in posizioni manageriali che in media raggiunge il 29%. Se

dovessimo confrontare questi dati con le migliori 35 aziende italiane 2015 (di cui 8 sono di cultura

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esclusivamente italiana), troviamo dati comparabili: il numero di Cv ricevuti nel 2014 è 5 volte superiore al

numero dei collaboratori, tasso di assenteismo pari al 4,6%, percentuale di donne in posizione manageriale

pari addirittura al 29,69%, perfettamente in linea con le migliori aziende europee! Questo ci porta a pensare

che in realtà costruire ambienti di lavoro produttivi, efficienti ed eccellenti dal punto di vista delle persone che

ci lavorano, è possibile anche in Italia. Alcuni ci riescono e sembrano farlo anche in periodi di crisi.

Ricordiamo infatti che le 35 Best italiane registrano un aumento di fatturato medio 2013 su 2014 dell'11,49%

contro una media Istat pari al -1,85%', testimoniando come lavorare sulla fiducia degli ambienti di lavoro porta

risultati di business molto superiori a quelli che, per usare una perifrasi, si concentrano su altro. Dove

investono le aziende Best Al di là dei numeri, che sono comunque determinanti nella valutazione degli

ambienti di lavoro, quali sono le caratteristiche che differenziano i paesi in cui si è fatta l'analisi? Nel mondo

anglosassone (Uk e Irlanda) si distinguono le aziende che lavorano molto sullo stress, con corsi di

formazione ad hoc sulla gestione delle persone e sulle caratteristiche emotive delle proprie persone. In

Francia si nota un crescente numero di donne che guidano le aziende eccellenti. In Danimarca, dove il

mercato del lavoro è molto fluido e il tasso di abbandono volontario è del 25%, le migliori aziende si fermano

al 9% dimostrando come lavorare sul fit culturale aiuta a mantenere i talenti in azienda e ha diretto impatto

sulla riduzione dei costi. In Svizzera, Olanda e Grecia, invece, le aziende stanno puntando molto sulla

democrazia interna; le aziende migliori coinvolgono i loro dipendenti nella conduzione anche strategica

dell'azienda, organizzando momenti di condivisione e ascolto che fanno sentire le persone vere artefici del

loro futuro. Italia sulla strada giusta Per quanto attiene all'Italia, registriamo un costante sforzo nel

miglioramento dei luoghi di lavoro, nel cambio radicale di approccio al lavoro. Nelle migliori aziende italiane

non si misura più il lavoro sulla base del tempo passato in azienda, ma degli obiettivi raggiunti; viene lasciata

molta responsabilità alle persone che possono decidere autonomamente luoghi e metodi di lavoro,

prendendo decisioni e assumendosene la responsabilità. Il risultato sarà il solo metro di giudizio che

comunque, anche in caso negativo, è sempre visto come spunto di miglioramento e non come colpa o

biasimo. E per i giovani italiani? Quali sono i suggerimenti per i Millennials? Le nostre analisi e una ricerca

pubblicata da Uxc Professional Solutions, testimoniano che la generazione Y è molto differente dalle

generazioni precedenti. Sono molto flessibili, hanno uno spirito imprenditoriale, sono nativi tecnologici e

hanno uno spiccato senso del significato del proprio lavoro, desiderano in sintesi "sposare una causa". Per

loro quindi sarà importante cercare quelle aziende che riescono a farli entusiasmare, sviluppare il loro estro

ma contemporaneamente insegnarli produttività ed efficienza, caratteristiche che al momento potrebbero

imparare dai loro predecessori. Come sostiene l'ex Ministro Giovannini, questa è la generazione con più

cultura, con maggiore apertura alle esperienze estere e più evoluta sotto il punto di vista tecnologico che la

nostra Nazione abbia mai avuto. Proviamo a dare loro la possibilità di risollevare questo paese. •

Classifica 25 migliori Multinazionali con evidenziate le sedi italiane che hanno contribuito al risultatoSocietà NetApp Emc* W. L. Gore & Associates* Admiral Group* Microsoft* Sas Institute* Mars* H&M Coca-

Cola Cisco* Novo Nordisk Hilti Adecco Group* Janssen-Cilag eBay Philips Mundipharma AbbVie*

McDonald's PepsiCo Biogen Idec* Medtronic Ifs Monsanto* National Instruments* Settore

Informatica/Hardware informatica/Gestione dati Industria Finanziario/Assicurativo Informatica/Software

nformatica/Software Industria alimentare Abbigliamento Industria alimentare Informatica Farmaceutico

biotecnologico Industria Ricerca personale Farmaceutico biotecnologico Vendita al dettaglio Industria

elettronica Farmaceutico biotecnologico Farmaceutico biotecnologico Ristorazione Industria alimentare

Farmaceutico biotecnologico Farmaceutico biotecnologico Informatica Industria chimica Industria elettronica *

Società classificate anche nella classifica Best Workplacès Italia 2015 Fonte: elaborazione Corriere

Economia su dati Great Piace to Work®

1 Elaborazione Great Piace to Work Italia su dati Istat: la crescita è misurata sui soli settori merceologici

presenti nella lista delle 35 Aziende Best Workplacès 2015 Italia

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SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 13/07/2015 181

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Ricerca Linkedln: Talent Trends 2014

56%GREAT PLACE TO WORK7%20% 17%

Variazione fatturato comparata tra le migliori aziende per cui lavorare in Italia e indice Istat

The generations in thè workplace ECH SAWINESS 2008-2009 • EXECUTIVE PRESENCE 176% BABY

BOOMERS BORNi < 1963 PROS: productìve, hardworkìng, team players, mentors CONS: less adaptabl less

collaborative The company has a reputation for great products and services Fonte: Great Piace to Work

Industria e Servizi Fonte: Uxc professional solutions Fonte: Linkedln, Talent Trends 20H GENERATING

REVENUE GENX BORN: 1963-1980 PROS: managerial skills, revenue generation, problem solving CONS:

less cost effective, less executive presence The company has a reputation for great people RELATIONSHIP

BUILDING PROBLEM 50LV1NG COLLABORATION Based on a survey ot 1,200 workers across different

generations measuring their strengths & wearknesses The company has a reputation as a institute sudati

Istat, riferita a fatturato destagionalizzato The company has a reputation for being prestigious MILLENNIALS

COST-EFFECTIVENESS 59% BORNi 1980-1995 PROS: enthusiastic, techsawy, entrepreneurial,

opportunistic Alessandro Zollo è amministratore delegato di Great Piace to Work® in Italia

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SCENARI La new entry G.Med. E intanto arrivano i fondi cinesi II mantra che scaturisce dalla nostra inchiesta, dunque, è che il futuro della

finanza è investire nelle imprese nascenti, quelle in grado (da sole o in alleanza con le aziende tradizionali) di

guidare e accelerare la trasformazione tecnologica ed economica italiana. Solo guardando alla piccola

impresa ad alto potenziale si può riuscire infatti a generare un incremento di ricchezza, che il passaggio di

mano di aziende tradizionali consolidate, ormai carissime in un mondo "a tasso zero, inflazione zero e debito

che non rende nulla", non è più in grado di garantire. In realtà, l'Italia continua a creare buone idee

imprenditoriali ad alto potenziale, basta cominciare a prestare loro (molta) più attenzione e investire non più i

20/200mila euro delle competizioni universitarie a breve, ma a far fluire investimenti milionari a medio

termine. Però... Dall'incubazione all'expansion Però potrebbe essere tardi. Perché, dove gli investitori

istituzionali italiani non hanno ancora avuto il coraggio di spingersi, qualcuno, dall'estero, si sta già

muovendo. E il caso del Rongtong Science £sf Technology Industry Group, società di Venture Capital cinese

fondata nel 2005 con il preciso obiettivo di finanziare nel mondo nuove aziende nei settori dell'energia, dei

nuovi materiali, del bio medicale, elettronica, servizi e meccanica con la partecipazione di nove università

cinesi e la gestione diretta di quattro parchi tecnologici e diversi incubatori in Cina e accordi di alleanza con i

principali fondi di Venture Capital mondiali. Il Rongtong, che segue investimenti dalla fase di incubazione

(creazione di impresa) fino aH'expansion sia con investimenti diretti in Equity che attraverso fondi con capitali

disponibili di oltre 110 milioni di dollari, ha infatti siglato nel 2014 un accordo con Knowledge For Business

(KforB), società di consulenza e Venture Capital italiana con sede a Napoli. KforB, che collabora con la Cina

da almeno 10 anni e gestisce la sede italiana del Cibic (ChinaItaly Business Innovation Centre), ha lanciato

«un circuito stabile di scambi fra start-up e progetti di nuove tecnologie italiane con una rete di fondi cinesi

coordinati dal Beijing Rongtong Technology Industriai Co. e dalla Peking University, l'università cinese leader

per la promozione di spin-off», come spiega Massimo Bracale, che di KforB è l'amministratore delegato.

L'accordo ha già portato all'apertura di un Italy Business Center nel Pst di Tangshan (parco tecnologico a

circa 200 chilometri da Pechino). La partnership con il premio Best Practices for Innovations KforB,

nell'ambito dell'accordo, individua start-up italiane e progetti innovativi, e li presenta agli investitori cinesi sia

ordine che tramite incontri fisici in Cina e in Italia. Una delle iniziative di partenza è la partnership finanziaria

di Rongtong al premio Best Practices for Innovations organizzato da Confindustria Salerno in collaborazione

con KforB, con la sponsorizzazione, oltre che dei cinesi, di Telecom Italia, Banca Sella, Econocom, Unicasim,

Banca Monte Pruno, Banca della Campania e altri otto sostenitori italiani. Il premio è rivolto sia alle start-up

nei settori della gestione e valorizzazione dei beni culturali, turismo, green economy, innovazione sociale,

innovazione di prodotto, Ict, web e social media, wellness sia alle Pmi che hanno tecnologie particolarmente

innovative. La collaborazione italo-cinese prevede la partecipazione di due esperti del Rongtong al comitato

di valutazione e la premiazione di due imprese partecipanti a cui viene offerta un'attività di scouting di partner

in Cina, la presentazione agli investitori cinesi, un business tour in Cina, la possibilità di incubazione gratuita

presso uno dei centri gestiti da Rongtong in Cina. «L'importanza culturale del progetto - spiega Bracale - non

è solo quella di mettere in contatto tecnologie italiane e potenziali finanziatori cinesi, ma di proporre un

orientamento all'internazionalizzazione a start-up e neo imprenditori sin dalle prime fasi di avvio». •

Foto: La firma dell'accordo da parte di Massimo Bracale di KforB con il gruppo Rongtong

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M&A/3. Italia alla ricerca di nuovi modelli di business per competere / SCENARI La via dell'innovazione Per aiutare le nostre aziende a crescere serve un network di "stakeholder dell'innovazione", fatto di nuovicapitani d'industria, istituti finanziari, venture capitalist, enti di ricerca e università Francesco Trovato La crisi degli ultimi anni, di quella che noi chiamiamo economia reale, ha posto al centro dell'attenzione un

tema che riguarda sviluppo, occupazione e innovazione. In realtà la crisi degli ultimi anni ha soltanto

accentuato un fenomeno che è iniziato almeno due lustri fa e cioè l'impatto dell'innovazione tecnologica

sull'occupazione e la politica industriale dei paesi occidentali. L'argomento non è assolutamente nuovo e per

certi versi alcuni aspetti della discussione risalgono alla prima rivoluzione industriale di inizio '800, in cui il

lavoro umano e la tecnologia venivano visti in un contesto di insana dicotomia. Stereotipi da superare

L'innovazione tecnologica nei processi produttivi distruggeva l'occupazione e i lavoratori vedevano tutto ciò

come un rischio definitivo. Negli ultimi anni questo modo di pensare è ritornato in auge e, ad esempio,

l'innovazione tecnologica del digitale e lo sviluppo della cosiddetta "internet delle cose" sta mettendo in crisi il

modello occupazionale dell'industria dei paesi occidentali. L'efficienza produttiva proposta delle nuove

tecnologie sta bruciando milione di posti di lavoro che non potranno con gli attuali modelli di business più

essere recuperati. Tutto questo anche perché molte delle nuove tecnologie, soprattutto quelle che passano

attraverso il web, sono a costo marginale molto basso, molto efficienti e si sostituiscono al lavoro dell'uomo

nei vari processi. Questo modo di pensare sta creando dei forti allarmismi tra gli studiosi e i politici perché si

rischia di non avere "un antidoto" a questo trend. Colpa dei modelli di business vecchi In realtà il problema si

pone perché i modelli di business nella testa di molti rimangono quelli del 20° secolo. Sui modelli attuali è

indubbio che il contenuto del lavoro umano, così come lo abbiamo utilizzato finora, potrebbe non avere uno

sviluppo, ma il punto è proprio quello di creare nuovi modelli di business relativi a prodotti e servizi che

necessitano di capabilities diverse rispetto alle precedenti. I lavoratori in linea di produzione vengono da

tempo sostituiti dai robot e gli impiegati del terziario vengono sempre più sostituiti dai computer e dai nuovi

processi di telecomunicazione e dai web tool, ma è indubbio che nuove worker capabìlity possono soddisfare

nuove necessità e approcci al mercato. In sintesi, se saranno necessari meno blue collar e meno impiegati

magari serviranno risorse umane che sanno gestire: il processo di vendita di prodotti e servizi all'interno di

nuovi canali commerciali digitai, oppure, supportare la commercializzazione dei prodotti tramite la produzione

di servizi ad alto valore aggiunto con le nuove tecnologie digitali. In sostanza, bisogna intercettare una

diversa frontiera di competenze in un mondo produttivo industriale che sta cambiando. L'impatto di una

strategia chiara Gli Usa, tramite un chiaro trend di sviluppo tecnologico, hanno ridisegnato gli assi di crescita

economico e sociale dei prossimi trent'anni, in modo trasversale su più settori. Dalla "Shale gas technology",

che ha rivoluzionato il mercato dell'approvvigionamento delle materie prime energetiche a livello globale, fino

alle nuove tecnologie digitali applicate a varie human expenence, delle telecomunicazioni in genere ai social

network. Questo ha portato il mondo del lavoro degli Stati Uniti alla rifocalizzazione di nuovi modelli di

business con aumento dell'occupazione con alto valore aggiunto tecnologico in molti settori negli Stati Uniti,

lasciando i processi produttivi di base ai paesi in via di sviluppo e a basso costo del lavoro. Ad esempio,

Apple ha creato migliaia di posti di lavoro nella ricerca per la produzione di nuovi device e delle tecnologie

digitali collegate a essi, rivoluzionando completamente il settore delle consumer communication, ma continua

a produrre l'hardware degli smartphone e degli iPad in Cina. Questo è un esempio di come il modello di

business di un'azienda produttrice di computer nata negli anni '80 si sia evoluto negli ultimi anni, creando tanti

posti di lavoro nella nativa California. Da chi dipende lo sviluppo Tutto questo è stato creato

contemporaneamente da un focus su ricerca e innovazione, da un'elevata capacità applicativa di queste

tecnologie e dall'utilizzo di razionali strumenti finanziari a supporto di questi business model. Questi trend di

sviluppo economico e sociale nascono dalla visione degli imprenditori, e proprio questo deve essere un

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SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 13/07/2015 184

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grande insegnamento per la nuova politica industriale in Italia. Si parla tanto di politica industriale in Italia e

della mancanza di visione del governo nella strutturazione di una nuova, ma io credo che questo sia compito

degli imprenditori e delle imprese e, solo successivamente, il governo e il legislatore devono supportare al

meglio, con le giuste politiche fiscali e le giuste politiche sociali, un modello di business disegnato e scelto ab

origine da chi fa impresa. I nodi da sciogliere L'impresa italiana oggi ha sicuramente due nodi da sciogliere: lo

sviluppo generazionale delle proprietà delle aziende familiari e la mancanza di quell'impulso di ricerche che

affligge lo sviluppo delle piccole medie imprese, che spesso non hanno sufficienti risorse e necessaria

visione. Questi due nodi si inseriscono chiaramente nel capitolo innovazione e crescita, da un lato proprio

perché le nuove generazioni di imprenditori sono chiamate a dare un impulso all'innovazione con un diverso

background e know-how e, dall'altro, perché i modelli di impresa in Italia, ancora oggi basati sul sistema dei

distretti industriali, devono dotarsi di quegli strumenti che permettono all'innovazione di entrare nel processo

di design dei prodotti e nei processi di produzione. Da una ricerca europea sulla creazione di start-up ad alta

tecnologia della Gp Bullhound risulta che il nostro continente sta crescendo molto bene e negli ultimi anni sta

tenendo il passo degli Stati Uniti. Ma, in questo contesto, l'Italia è il settimo paese per produzione annuale di

nuove realtà di questo tipo, dietro a paesi come Uk, Svezia, Germania, Francia, Finlandia e Russia. Cosa

serve all'Italia In generale il sistema di supporto e finanziamento delle start-up tecnologiche nel nostro paese

mostra ancora un gap significativo rispetto a molte altre realtà del nostro continente. La politica industriale

dell'Italia ha bisogno della creazione di nuovi modelli di business trainati da uno sviluppo tecnologico

compatibile col particolare sistema delle imprese e col sistema dei capitali di riferimento. Per l'Italia la

soluzione alle esigenze discusse prima è ancora più urgente, in quanto il nostro modello di imprenditorialità è

fortemente basato su piccole e medie aziende a vocazione manifatturiera, settore che a livello mondiale,

soprattutto nei paesi sviluppati in questi anni, sta mostrando il fianco ancor di più alla crisi. Relativamente a

questo contesto, le nostre aziende devono cambiare passo e questo è solo possibile solo grazie alla

creazione di un network di "stakeholder dell'innovazione" composto dai nuovi capitani d'industria (come si

chiamavano con una volta) istituti finanziari, venture capitalist, enti di ricerca e università capaci di trovare

nuovi modelli di business per competere da protagonisti.

Foto: Francesco Trovato, Cto (Chief turnaround officerl in progetti di turnaround e restructuring, è direttore

Fondazione 2015 pensata per sostenere in modo innovativo le start-up

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SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 13/07/2015 185

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OSSERVATORIO SUL RISK MANAGEMENT Cineas ha presentato a giugno 2015 la terza edizione dell'Osservatorio sulla diffusione del risk management

nelle medie imprese italiane realizzata in collaborazione con Mediobanca e con il contributo di UnipolSai

Assicurazioni. Hanno partecipato all'indagine 257 aziende appartenenti ai settori: alimentare, beni di

consumo per la casa e per la persona, chimico farmaceutico, carta e stampa, meccanico e metallurgico. Le

imprese del campione hanno un fatturato medio di circa 65 milioni di euro, in cui la quota dell'export vale il

45%, e hanno una media di 167 dipendenti. Complessivamente, ciascuna impresa alloca il 3,5% del proprio

fatturato per la gestione dei rischi, ossia 2,3 milioni di euro (di cui un terzo viene destinato ai rischi operativi).

«Quest'anno abbiamo deciso di concentrare la nostra attenzione sulle medie imprese per individuare un

segmento più omogeneo di aziende, con caratteristiche di dinamicità e innovazione a livello economico -

spiega il presidente del Consorzio, Adolfo Bertani -. Le imprese del campione, infatti, sono italiane come

proprietà e come produzione e fanno della qualità made in Italy il proprio vantaggio competitivo, anche e

soprattutto sui mercati internazionali. Rispetto alle precedenti edizioni, abbiamo un campione per il quale il

rischio finanziario non è più il primo in classifica, in quanto le medie imprese hanno una struttura solida e

rapporti con le banche molto consolidati. I dati evidenziano che le imprese più evolute dal punto di vista della

gestione del rischio riportano regolarmente performance economiche più soddisfacenti. Tutti gli indici, infatti,

la redditività industriale (Roi), quella netta (Roe) e la competitivita (Clup) sono sistematicamente superiori

nelle imprese attente ai rischi». Inoltre, secondo il 74% delle aziende il risk management è uno strumento per

cogliere opportunità, mentre nelle precedenti edizioni dell'Osservatorio, quando il campione includeva anche

le piccole realtà, era sistematicamente valutato come un costo e questo ne rappresentava il principale

ostacolo alla diffusione. Secondo gli intervistati il risk management è uno strumento che contribuisce a

semplificare i rapporti sia con le banche (63,5%) che con le imprese di assicurazione (77,4%). «Colpisce,

tuttavia, che nella maggior parte dei casi, le medie imprese intervistate non abbiano in organico la figura del

risk manager seppure le risorse destinate a quest'area sono ingenti - aggiunge Bertani -. Per il prossimo

triennio si prevede che un'impresa su quattro aumenterà il budget destinato al risk management. Per

razionalizzare le attività è indispensabile che questa figura venga integrata nell'organico». Si può quindi

stimare secondo il presidente che «nei prossimi 5 anni sul mercato del lavoro si creerà una domanda di profili

specializzati dell'ordine di 4.000-5.000 unità che andranno a operare non solo nelle medie imprese, ma anche

nelle grandi e nella sanità. Da parte nostra, come Consorzio specializzato nella formazione avanzata in

questo settore, dei 2.000 specialisti che abbiamo diplomato in totale dalla nostra fondazione, 500 sono

professionisti della gestione globale dei rischi nelle imprese considerando solo gli ultimi 10 anni, che pure

sono stati di contrazione economica». • I settori più sensibili Quando parliamo di efficacia delle misure di

gestione cel rischio per settore industrie, allora emerge evidente il primato del comparto alimentare, seguito

dal chimico-farmaceutico e dal metallurgico chiude la rosa l'ambito dei beni per la persona e la casa. Le

medie imprese del settore alimentare, in modo molto signiticativo. si fecalizzano sul rischio reputazionale

come elemento fondante dell'autorevolezza del marchio e della brand awareness sui q jali l'azienca basa le

propria competitivita. Al secondo posto si collocano l'integrità informatica e la prevenzione dei crash, poiché il

ciclo produttivo coinvolge oeni deperibili che richiedono un trattamento tempestivo e senza interruzioni della

produzione. Al terzo posto troviamo la tempestività nei pagamenti dei client che rappresenta uno dei punti di

naggiore conflittualità soprattutto nei rapporti con le catene distributive e deriva, più in generale, dalla brevità

del ciclo produttp/o. Appaiono marginali i rischi valutari e quelli connessi all'instabilità geopolitica dei mercati,

poiché si tratta di un comparto che serve essenzia-men:e i mercati delfEurozona. Trascurabili, secondo le

aziende alimentari, i rischi da superamento tecnologico del prodotto, trattandosi di un ambito che non SÌ

caratterizza per l'alta intensità Il Sud Italia fatica a stare al passo. Pur mostrando una percezione del rischio

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allineata a quella del resto del paese, emerge una notevole differenza nell'efficacia delle attività di

contenimento dei rischi nelle zone del meridione. Basti dire che le attività dì prevenzione e gestione dei rischi

al Sud sono sei volte meno efficaci rispetto al Nord Est. Fattori ambientali e di contesto giocano, certamente,

un ruolo importante. Queste evidenze trovano un coerente riscontro nei profili economici delle imprese

ubicate nelle tre aree del paese. Come affrontano le medie imprese la competizione internazionale? In primo

luogo, va evidenziato che il o3% delle medie imprese non ha m:i delocalizzatc. In effetti, sole i. 10% circa

delle società tacerti parte di gruppi di med e imprese ha funzione manifatturiera all'estero, per il resto prevale

un3 base produttiva ancora ampiamente italiana (37% delle società e la penetrazione nei mercati esteri è

demandata per la più a strutture di servizi [posi vendka) e società commerciali 126,8% del totale]. Le medie

imprese del campione basano la propria competitivita, quindi, sulla riconDscibilità della provenienza iia.iana e

la qualità associata al M=de in Italy. Le principali fonti ci preoccupazione delle medie aziende sui mercati

esteri sono -a tutela dei marchi e la replicabilità del prodotto; quest'ultima, tuttavia, appare un'ipotesi

improDabile in quanto la superiorità dei prodetti sta nelle loro caratteristiche intrinseche di italianità. I rischi

più e meno percepiti Relativamente poco percepiti i rischi finanziari e quelli connessi all'operatività sui mercati

esteri. Si tratta di risultati ccerenti con le caratteristiche delle medie imprese. Da un lato, la loro struttura

finanziaria è mediamente solida, come evidente dal fatto cne il 60% circa dei rispondenti ha uno scoring

"investment grade" e solo il 6% versa in condizioni di fragilità patrimoniale. Dall'altro, i mercati esteri serviti

sono per lo più di prossimità, con prevalenza dell'Eurozona, stabile politicamente e priva di rischi valutari"

chiosa Barbaresco. La regolarità degli adempimenti fiscali è invece tra i rischi a cui le medie imprese si

sentono più esposte. Tale rilevanza è riconduciate al rischio sanzionatorio a essi associato Imulte e pene

pecuniariel e alla complessità e ridondanza del quadro normativo e regolamentare la cui semplificazione

libererebbe risorse organizzative alleviandone i relativi costi. Capitale umano ancora sottovalutato E

ragionevole ipotizzare che le peculiari caratteristiche del campione - in cui sono state incluse medie imprese

con assetto proprietario autonomo, ovvero riconducibile a controllo familiare - possano spiegare la

considerazione modesta dei temi relativi alla strutturazione dei rapporti gerarchici e della ritenzione delle

competenze professionali. Tale modello di media impresa è, in genere, un'organizzazione fortemente

verticistica con un'accentuata presenza nei ruoli chiave di componenti della famiglia proprietaria. La

"produzione", intesa come sequenza di fasi tecniche che si svolgono dall'acquisizione degli input alla

realizzazione del prodotto finito e al suo collocamento sul mercato, appare come l'asset che attrae il maggiore

impegno delle medie imprese nell'ambito della gestione dei rischi. All'interno di ciascuna macro-area, i rischi

che in valore assoluto sono maggiormente percepiti e presidiati risultano: La sicurezza sul lavoro, la solvibilità

dei clienti •la regolarità degli adempimenti fiscali. «In generale vi è coerenza tra la rilevanza mediamente

attribuita a ciascuna macro-area di rischio e l'efficacia degli strumenti adottati per gestirli -commenta Gabriele

Barbaresco, direttore dell'Ufficio Studi di Mediobanca che ha effettuato le rilevazioni e l'analisi dei dati -. Sono

rischi "tradizionali" che derivano dalla mancata conformità alle normative mappabili per via strumentale e

secondo standard tecnici condivisi o Legati all'aspetto fisico ' della produzione, vale a dire alle fasi di

trasformazione degli input in prodotti o semilavorati (rischi operativi). In particolare, riguardo a questi ultimi

esistono specifiche e soddisfacenti coperture assicurative». Anche perché considerato assicurabile, il rischio

ambientale riscontra una bassa sensibilità. In questa valutazione non sono accuratamente ponderate le

ricadute reputazionali nonché i costi sociali di un danno all'ambiente. La sensibilità ambientale, tuttavia, non è

un elemento estraneo alla cultura della media impresa, ma viene maggiormente valorizzata quando

trasferisce un valore aqgiunto al prodotto Quale rischio informatico è percepito Seppure il rischio informatico

sia tra quelli maggiormente percepiti dalle imprese del campione, quest'ultimo include principalmente gli

aspetti più strettamente legati alla produzione, intendendo la protezione dei dati aziendali Iper quanto

riguarda i clienti e i fornitori], così come il controllo dei dati tecnici relativi alla qualità. In generale, infatti, si

tratta di quel patrimonio conoscitivo che costituisce il fattore competitivo strategico dell'azienda, sia sul

mercato locale che internazionali. È molto sottovalutata invece, la fattispecie del rischio informatico, inteso

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come disaster recovery, ovvero di ripristino integrale delle funzionalità informatiche a seguito di un evento

catastrofico. In questa valutazione, le imprese dimostrano di considerare come remota la possibilità che

questo tipo d'incidente accada, senza tenere in opportuna considerazione i risvolti relativi al danno

economico che ne può scaturire. Rientrano, tra le aree non adeguatamente ponderate, anche i rischi

reputazionali. ossia la possibilità di compromissione dell'immagine aziendale dovuta alla diffusione di notizie

pregiudizievoli su internet e sui social network. Dall'indagine emerge tuttavia che il presidio dei rischi

reputazionali è strategico per il conseguimento delle migliori performance economiche e risulta maggiormente

diffuso in quelle aziende che presentano i più elevati livelli di sofisticazione organizzativa. FONTE

UNIONCAMERA, IL MODELLO DI SVILUPPO DELLE MEDIE IMPRESE, MILANO 2015; MEDIOBANCA, LE

MEDIE IMPRESE ITALIANE 2004-2013, MILANO 2015

RISCHIO E GEOGRAFIA: IL GAP DEL MEZZOGIORNO fferenziale Rilevanza - Affidabilità Alto: differenza

tra percezione del rischio ed efficacia del suo presidio; tre macro-aree geografiche Basso: creazione e

distruzione di ricchezza; tre macro-aree geografiche Nord Ovest • Nord Est H Centro Sud e Isole

Rischio: presidio delle quote di mercato al.'estero. Esito: 17° su 22 Rischio: rapporti in valuta diversa

dall'euro. Esito: 20° su 22 Rischio: instabilità geopolitica. Esito: 22° su 22 Mai delocalizzato + re-inshoring:

79°/ Esportazione diretta: 66% Marke" seeking: 5ó%; cost saving: 15% Pi j competitivita: sostegno consumi

interni per il 10% delle medie imprese

Rischio: variazione delle condizioni di erogazione del credito (tassi, volumi e garanzie). Esito: 13° su 22

Rischio: infrazioni o irregolarità fiscali. Esito: 3° su 22 Le priorità per rilanciare la competnività secondo le

medie imprese? 44%: alleggerimento fiscale 21%: migliori condizioni di credito

Rischio: codifica di funzion 1 e rapporti gerarchici. Esito: ;U° su 22 Rischio: reperimento e itenzione delle

skills. Esito: 19= su 22 Nelle medie imprese: 79%: oroprietà e gestione coincidono 21%: gestione affidata a

"terzi" 89%: non intende cedere la gestione

CENTRALITÀ DELLA PRODUZIONE, DEL PRODOTTO E DEL CLIENTE Rischi afferenti il processo

produttivo (trasformazione) e fasi a monte (fornitori) e a valle (clienti) Rischio: continuità e conformità della

fornitura. Esito: 7° su 22 Rischio: diversificazione della clientela. Esito: 6° su 22 84% Rischio: solvibilità del

cliente. Esito: 2° su 22 Medie imprese consapevoli di essere espressione di un Rischio: non difettosità del

prodotto. Esito: 5° su 22 Attivo immobilizzato Rischio: continuità produttiva (protezione dati, crash informatico,

calamità]. Esito: 4°, 8°, 9° su 22 Attivo circolante netto OFDOING BUSINESS Fonte: Mediobanca, Le medie

imprese italiane 12004-20131, ITALIAN WAY . _, " _,, Fonte: Unioncamere, li modello di sviluppo delle medie

imprese, Milano, 2015 LA PERCEZIONE DEGLI IMPRENDITORI ^Hj Capitale netto tangibile ^ H Dediti fin. a

rnl e fondi ^ 1 Debiti fin. a breve

10/07/2015Pag. 56 N.7/8 - lug/ago 2015 tiratura:150000

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SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 13/07/2015 188