Alma Mater Studiorum Università di Bologna Scuola di...

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1 Alma Mater Studiorum Università di Bologna Scuola di Scienze Politiche Corso di laurea triennale in Servizio Sociale Tesi di Laurea in Principi e Fondamenti del Servizio Sociale Progetto I.E.S.A: l’inserimento eterofamiliare come strumento innovativo nei percorsi di cura del paziente psichiatrico CANDIDATO RELATORE Caputo Federica Mantovani Francesca Sessione III Anno Accademico 2013/2014

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Alma Mater Studiorum – Università di Bologna

Scuola di Scienze Politiche

Corso di laurea triennale in

Servizio Sociale

Tesi di Laurea in

Principi e Fondamenti del Servizio Sociale

Progetto I.E.S.A: l’inserimento eterofamiliare come strumento

innovativo nei percorsi di cura del paziente psichiatrico

CANDIDATO RELATORE

Caputo Federica Mantovani Francesca

Sessione III

Anno Accademico 2013/2014

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PROGETTO I.E.S.A: L’INSERIMENTO ETEROFAMILIARE COME

STRUMENTO INNOVATIVO NEI PERCORSI DI CURA DEL PAZIENTE

PSICHIATRICO

PREMESSA ............................................................................................................ 3

INTRODUZIONE .................................................................................................... 5

1 I MUTAMENTI DEI PERCORSI DI CURA DEL PAZIENTE PSICHIATRICO ................. 8

1.1 Dall’istituzione psichiatrica all’inserimento eterofamiliare ............................. 8

1.2 La lotta allo stigma ......................................................................................... 16

1.3 Storia e diffusione del Progetto Iesa ............................................................... 19

1.4 Lo I.E.S.A. di Bologna: approvazione e attivazione .......................................... 27

2 L’INTERVENTO DI UN’EQUIPE MULTIPROFESSIONALE ....................................... 32

2.1 La presa in carico dei C.S.M. e lo I.E.S.A .......................................................... 32

2.2 Il lavoro multiprofessionale dell’équipe I.E.S.A ............................................... 37

2.3 Il contributo dell’Assistente Sociale ................................................................ 41

3 STORIE DEL MONDO I.E.S.A ............................................................................... 44

3.1 La mia personale esperienza come tirocinante presso lo Iesa di Bologna ....... 44

3.2 Casa con Macchia, di Rita Lambertini ............................................................. 49

3.3 Dati attuali: Progetto I.E.S.A di Bologna ......................................................... 60

CONCLUSIONI ....................................................................................................... 65

BIBLIOGRAFIA ....................................................................................................... 67

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PREMESSA:

L’idea di questa tesi nasce dalla mia passione innata per l’ambito della Salute

Mentale, un Mondo che mi ha sempre affascinata e incuriosita di fatti, già quando

scelsi l’argomento della mia tesi per l’Esame di Stato delle Scuole Superiori, decisi di

presentare il mio elaborato finale dal titolo “La Legge Basaglia ed il film C’era una

volta la città dei Matti”.

Il film parla di Franco Basaglia, direttore del manicomio di Gorizia e racconta di

un’avventura straordinaria che porta Franco e sua moglie Franca Ongaro, ai quali si

uniranno altri giovani psichiatri, a "smontare" letteralmente la Città dei matti. Letti di

contenzione, camicie di forza, celle d'isolamento, elettroshock punitivi, infermieri-

carcerieri e malati-carcerati, rapporti sadici fra medici e pazienti. Non un luogo di

cura, ma di segregazione, occultamento e cronicizzazione di quello "scandalo" sociale

che è sempre stata la malattia mentale.

In tutto il mondo occidentale, nessuno aveva mai messo in discussione il manicomio,

nessuno aveva mai osato sfidare frontalmente il potere degli psichiatri. Almeno fino

all'inizio degli anni '60 quando, Franco Basaglia lo fece, avviando il processo di

deistituzionalizzazione degli ospedali psichiatrici col tentativo di sviluppare forme

nuove per curare le più gravi malattie mentali.

La legge 180, approvata il 13 maggio del 1978 era destinata non soltanto a

rivoluzionare il trattamento medico-psichiatrico della malattia mentale, ma

soprattutto a trasformare radicalmente la cultura psichiatrica del nostro paese.

Fu la prima e unica legge quadro che impose la chiusura dei manicomi e regolamentò

il trattamento sanitario obbligatorio, istituendo i servizi di igiene mentale pubblici.

L’incompatibilità tra cura della malattia e privazione della libertà, della dignità e dei

diritti civili del malato non era in quegli anni un concetto universalmente riconosciuto

e accettato.

Basaglia invece, ha ridato la parola a chi l’aveva persa. Con la sua azione riformatrice

e i suoi gesti liberatori credeva fortemente che quei “matti” non potevano vivere

come degli animali chiusi in gabbia e quello di cui avevano bisogno erano i loro

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“comodini”, i loro affetti personali, in pratica tutto quello che gli era stato tolto prima

di entrare lì dentro, perché senza tutto ciò erano come persone vuote, persone

senz’anima.

L’opera di Franco Basaglia mi ha dato un grande insegnamento: l’aver capito e

dimostrato in pratica, che l’esigenza fondamentale è la libertà della persona umana,

ma non una libertà che è riservata a chi già c’è l’ha, una libertà che libera da ogni

pregiudizio, non volta soltanto al benessere per tutti bensì ad una sua Dignità.

Così, quando mi ritrovai a dover decidere quale corso di studi Universitario

intraprendere, scelsi proprio questo ambito con la speranza un giorno di ritrovarmi

proprio lì con loro. Ammetto che prima di iniziare il tirocinio mi sentivo ancora un

po’ distaccata, ma sentivo che nella pratica sarebbe cambiato qualcosa. Così è stato.

Oggi mi sento “diversa”, perché ho avuto l’opportunità di svolgere il mio tirocinio

presso il Centro di Salute Mentale di San Giorgio di Piano guidata dalla mia Tutor

Assistente Sociale Chiarini Cristina la quale, non smetterò mai di ringraziare per la

forte motivazione che mi ha trasmesso, per tutto quello che mi ha insegnato ogni

giorno e per avere sempre creduto in me.

La ringrazio inoltre, per avermi fatto conoscere uno degli Operatori del C.S.M.

coinvolto nel Progetto I.E.S.A: Daniele Benfenati, che insieme all’Equipe I.E.S.A mi

hanno sin da subito accolta all’interno di questo fantastico gruppo di professionisti.

Ed eccomi qui a raccontare questo Mondo, un Mondo ricco di solidarietà, speranza,

voglia di fare e di migliorare la qualità della vita di coloro che vivono questa

esperienza dando loro una seconda opportunità.

Il Progetto mandato avanti dall’equipe per i protagonisti I.E.S.A è una valida

modalità alternativa al ricovero in struttura ed offre l’opportunità di vivere in contesti

familiari, affettivi e sani dove poter sperimentare la propria autonomia.

Un vero e proprio filo conduttore che ha lo scopo di connettere invece che

allontanare.

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INTRODUZIONE:

“L’inserimento Eterofamiliare Supportato di Adulti

sofferenti di disturbi psichici “offre ciò che

l’ospedale più grandioso e meglio diretto

al mondo non potrà mai offrire,

la completa esistenza tra persone sane,

il ritorno da un ambiente sociale

artificioso e monotono ad un ambiente naturale,

il beneficio della vita familiare”.

W. Griesinger, 1872

Il presente elaborato dal titolo “ Progetto I.ES.A: l’inserimento eterofamiliare come

strumento innovativo nei percorsi di cura del paziente psichiatrico”, nasce dalla mia

esperienza diretta vissuta presso il Progetto I.E.S.A. di Bologna in qualità di

tirocinante assistente sociale. Si propone di affrontare il tema dell’ affidamento

eterofamiliare supportato di adulti con disturbi psichici, della sua importanza come

percorso alternativo al ricovero in istituzioni chiuse o in strutture intermedie, quali le

Comunità Terapeutiche Residenziali Protette (C.T.R.P.) o le Comunità Alloggio

(C.A.) e Centri Diurni (C.D.).

E’ rivolto ad utenti in carico ai servizi psichici territoriali del D.S.M, al fine di

mettere in evidenza l’importanza dell’intervento sociale come risorsa fondamentale

nel percorso di cura del paziente psichiatrico. Di fatti, la solitudine genera esclusione

dalla società e spesso rappresenta la sofferenza principale o comunque acuisce le

problematiche degli individui già in difficoltà. Lo I.E.S.A. è una modalità

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organizzativa e terapeutica valida ad arginare la solitudine, andando oltre la logica

istituzionale.

Gli aspetti della vita di coloro che vivono questa esperienza sono basati sulla

relazione umana che si instaura tra il paziente e la famiglia che lo accoglie. Alla

famiglia non è chiesto di essere un Operatore Specializzato ma, di esprimere

attraverso i gesti della vita quotidiana l’enorme potenziale affettivo e di sostegno che

possiede, mettendolo a disposizione della persona accolta.

L’inserimento ha lo scopo di offrire alla persona con disabilità psichica un contesto

relazionale/affettivo finalizzato a migliorare il proprio benessere psicofisico. La

famiglia in tali contesti svolge il ruolo di Facilitatore Sociale, garantendo sostegno

affettivo, aiuto concreto nello svolgimento delle attività della vita quotidiana ed

incoraggiamento a proseguire il percorso riabilitativo.

L’Accoglienza Eterofamiliare si inserisce perciò in una logica di Salute Mentale che

intende il processo riabilitativo come lo sviluppo delle capacità residue, come accesso

attivo ai diritti di cittadinanza grazie alla responsabilizzazione del soggetto. Tutto ciò

si fonda sull’affettività, il riconoscimento, la qualità delle relazioni umane, la

sperimentazione della propria vita e l’incremento dello scambio sociale.

Nel primo capitolo ho cercato di ricostruire la storia della psichiatria e la sua

evoluzione, ponendo attenzione ai cambiamenti nei percorsi di cura del paziente

psichiatrico, a partire dall’istituzione totale fino ad arrivare ad oggi e alla diffusione

dell’inserimento eterofamiliare.

Successivamente, metterò in luce la lotta allo Stigma e i pregiudizi che hanno

caratterizzato tutti questi anni e che continuano a persistere a causa della diffusione

delle informazioni da parte dei media, i quali costituiscono uno dei maggiori veicoli

nella diffusione dell’informazione e nella costruzione dell’immaginario pubblico.

Presenterò la storia e la diffusione del progetto Iesa nel Mondo e nelle varie città

italiane e in modo particolare, mi soffermerò sull’approvazione e attivazione del

Progetto I.E.S.A. nel D.S.M. di Bologna.

7

Nel secondo capitolo, metterò in evidenza l’importanza di un’équipe

multiprofessionale come valore aggiunto, grazie alla presenza di operatori dedicati

provenienti dai vari Centri di Salute Mentale del Territorio.

Parlerò del contributo dell’Assistente Sociale e della sua presenza purtroppo limitata

nei Progetti Iesa, a causa del grande bacino d’utenza in carico e della crescente

burocratizzazione del lavoro, che difficilmente ha consentito la loro partecipazione

attiva al Progetto.

Nel Terzo ed ultimo capitolo, racconterò la mia esperienza personale come

tirocinante presso il Progetto I.E.S.A di Bologna.

Ho deciso inoltre di inserire la storia “Casa con Macchia” scritta da Rita Lambertini

operatrice I.E.S.A di Bologna, per un concorso di scrittura sensibile intitolato

Accogliere Biografie Sospese. Un concorso non solo rivolto a persone che abbiano

esperienza di inserimento eterofamiliare supportato, ma dedicato anche a coloro i

quali mostrano passione per la scrittura e sensibilità per le famiglie come ambiente di

accoglienza delle persone in difficoltà.

Infine, mostrerò i dati reali dell’ Attività I.E.S.A di Bologna, le famiglie contattate,

quelle abilitate all’ospitalità, i candidati ospiti inviati dai C.S.M, gli ospiti abilitati, le

convivenze attivate, quelle in corso, quelle concluse e quelle in corso di attivazione.

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1 I MUTAMENTI DEI PERCORSI DI CURA DEL PAZIENTE

PSICHIATRICO:

1.1 DALL’ISTITUZIONE TOTALE ALL’INSERIMENTO

ETEROFAMILIARE

Secondo Eving Goffman, studioso e storico dell’Istituzione Totale questa si può

definire come il “luogo di residenza e di lavoro di gruppi di persone che, tagliate

fuori dalla società per un considerevole periodo di tempo, si trovano a dover dividere

una situazione comune, trascorrendo parte della loro vita in un regime chiuso e

formalmente amministrato”. La funzionalità di tali istituzioni, mascherate da

ideologie scientifico-religiose, è di fornire una residenza a categorie diverse di

persone socialmente indesiderate. In psichiatria l’istituzione totale per eccellenza è

rappresentata dall’ospedale psichiatrico1.

La psichiatria, ha origine con l’istituzione dei manicomi tra la fine del Settecento e

l’inizio dell’Ottocento. In quegli anni la follia, sotto la cui denominazione erano

raggruppate problematiche sanitarie e sociali molto diverse tra loro, diventa di

competenza di una nuova specializzazione medica che appunto si chiamerà

psichiatria, la quale si occuperà in pratica di tutti quei soggetti che turbavano l’ordine

sociale in quanto incapaci di entrare a far parte dei meccanismi di produzione alla

base del nascente sviluppo economico e industriale.

I pazienti degli ospedali psichiatrici dovevano sparire dalla società e quindi, essere

chiusi nei manicomi all’interno dei quali dovevano stare il più lontano possibile tra di

loro in quanto, si pensava che solo col silenzio e con la quiete, il malato potesse

capire le proprie colpe. Inoltre l’allontanamento dagli altri, la riduzione al minimo dei

contatti era considerato il metodo più efficace per il recupero delle facoltà mentali.

Oltre all’isolamento non mancavano i violenti metodi.

Philippe Pinel, celebre in Francia ed in Europa per tutto il XIX secolo fu l’astro più

visibile della psichiatria nascente il quale, per tutta la sua vita si sentì investito da una

missione, quella di occuparsi della malattie mentali. Si dedicò ad annotare e

1 Aluffi Gianfranco, Dal Manicomio alla Famiglia. Franco Angeli 2001. P. 182

9

trascrivere tutto quello che gli sembrava rilevante nella manifestazione della malattia

e nei comportamenti dei malati. I risultati di questo suo lavoro lo portarono a

concludere che l’origine della malattie mentali è da ricercarsi nella sfera emotiva. Un

colpo di scena, in quanto si trovò in contrapposizione a quanto sostenuto per più di

duemila anni.

Pinel, affermò che il motivo della follia consiste in un’alterazione delle passioni,

nell’incapacità di controllare le emozioni e di fronte a situazioni che mettono

fortemente alla prova l’emotività e l’immaginazione, come lutti, separazioni o

abbandoni. In queste situazioni, alcune persone dotate di grande sensibilità si

smarriscono avendo reazioni incontrollate e comportamenti esagerati. Inoltre,

dichiarò che il trattamento doveva consistere in un intervento terapeutico all’interno

del manicomio, insomma un territorio artificiale che rivela soprattutto la natura del

rapporto con la società che il folle si lasciava alle spalle col suo ingresso in

manicomio.

E’ Pinel che Basaglia prenderà come riferimento per far comprendere che non si

potrà mai parlare di libertà nei manicomi perché, quella di Pinel è una libertà

concessa in uno spazio chiuso, messa nella mano del legislatore e del medico che

dovevano dosarla e tutelarla. Secondo Basaglia, Pinel non ha fatto altro che spostare i

malati in una nuova prigione in cui l’inferiorità morale del recluso era

scientificamente sancita, e la reclusione scientificamente giustificata. Se con Pinel

nasce il manicomio, Basaglia è il primo a sancirne la chiusura dopo quasi due secoli.

Con essa, i malati avrebbero riacquistato finalmente voce e diritti e in più sarebbe

cambiata per sempre la possibilità di curare le persone affette da disturbi mentali.

Come già esplicitato in precedenza, già dalla seconda metà dell’ Ottocento non

mancavano le critiche al manicomio, che però continuerà a prosperare e si diffonderà

sull’intero territorio europeo e progressivamente in tutto il mondo2.

2 Pitrelli Nico, L’uomo che restituì la parola ai matti. Franco Basaglia, la comunicazione e la fine dei manicomi. Editori Riuniti,2004. P.27.

10

Nel periodo compreso tra gli ultimi decenni dell’ Ottocento e i primi del Novecento,

la popolazione manicomiale italiana conosce una crescita vertiginosa. Circa 12.000

persone nel 1874, 24.000 nel 1891, 54.000 nel 1914.

Ma perché accade questo? Per trovare una risposta a questo quesito bisogna

presentare l’ Italia alla fine dell’Ottocento e gli inizi Novecento.

Si trova in grande difficoltà e nei manicomi finiscono i poveri, persone in condizioni

di indigenza anche se, la povertà non risulta l’unica causa sufficiente a spiegare tale

fenomeno. La ragione principale va ricercata nella presenza stessa dei manicomi

come luogo in cui i medici conquistano un potere incontrastato sulla gestione della

follia.

Alla fine dell’Ottocento in Italia nasce un programma di Tutela degli interessi degli

alienati e di fatti, a partire da quegli anni nascono le condizioni perché gli alienisti

italiani facciano il “salto di qualità”, che in termini pratici si traduce nella

promulgazione della Legge sull’assistenza psichiatrica del 1904, la prima a

regolamentare su tutto il territorio nazionale il trattamento della follia. Questa legge

conferisce ai medici un potere praticamente smisurato, e verrà approvata il 12

febbraio 1904.

Fino al 13 maggio 1978, giorno in cui passa la Legge 180 ispirata al lavoro di

Basaglia la quale, rimarrà il punto di riferimento fondamentale dell’assistenza

psichiatrica nel nostro paese3.

Da tempo, soprattutto in Francia e nei paesi anglosassoni, si condannava l’uso della

reclusione come terapia. Basaglia aveva studiato a fondo le esperienza maturate negli

altri paesi giungendo alla conclusione che vi era un unico modo per poter trasformare

l’assistenza psichiatrica: l’abolizione del manicomio per far esplodere a livello

sociale il problema della malattia mentale.

Con la 180, libertà e consenso diventano le parole chiave. Si ammette, che ci possono

essere trattamenti sanitari obbligatori, ma essi devo avvenire nel rispetto della

persona e dei diritti civili e politici.

3 Ibidem, P.42.

11

Negli ospedali che dirige, Basaglia gira nei reparti, prende nota di quello che accade

ascoltando sempre tutti e incontrando gli internati direttamente, senza mediazione di

nessuno. Fa togliere tutti i lucchetti e le sbarre, chiude le celle d’isolamento e rende i

reparti accessibili iniziando a comunicare con loro con il cosiddetto modello della

comunità terapeutica. Tutto ciò, permise una semplice azione comunicativa,

finalmente il medico iniziò a parlare col paziente.

Alberto Milkus aveva già trascorso 17 anni nel manicomio di Gorizia quando, un

giorno lo psichiatra Antonio Slavich gli dà il permesso di uscire per andare a trovare

la famiglia. Già molte volte si era guadagnato il permesso per uscire dal manicomio

grazie alla nuova équipe di Basaglia. Ma Milikus quel giorno litiga con sua moglie e

la uccide. Nel 1971 verrà giudicato incapace di intendere e di volere e Slavich

accusato di omicidio colposo, verrà assolto per aver non aver commesso il fatto. Il

caso ebbe una risonanza nazionale in quanto c’era chi non aspettava altro. L’incidente

era finalmente la dimostrazione che Basaglia aveva torto. Purtroppo quello fu un duro

colpo per Basaglia che stanco delle resistenze politico amministrative che

impedivano un progressivo superamento del manicomio, in pochi mesi decise di

lasciare Gorizia. In ogni modo tutti i progressi che erano stati fatti fino a quel giorno

grazie al nuovo lavoro di Basaglia di Comunità terapeutica non potevano scomparire

e non essere ricordati. L’esplosione del suo lavoro era ormai avvenuta e si continuò a

propagare inarrestabile4.

Basaglia muove a 56 anni a Venezia, il 29 agosto 1980, perché da qualche mese era

stato colpito da un tumore al cervello che lo portò alla morte in pochissimo tempo.

Nel 1975, vengono aperti i primi Centri di Salute Mentale. Il primo è quello di

Muggia, una cittadina a confine con la Slovenia e poi altre tre a seguire. Sono le

prime forme che segnano la presenza sul territorio di altre possibili assistenze

psichiatriche alternative al manicomio. In circa dieci anni l’asse dell’assistenza

psichiatrica è stato pertanto realmente spostato dal manicomio al territorio di fatti, il

progressivo smantellamento del manicomio è avvenuto di pari passo con la nascita e

4 Ibidem, P.62.

12

l’espansione dei servizi territoriali. Così, al posto dei manicomi troviamo case

alloggio e appartamenti, luoghi dove poter mangiare, cucinare, dormire insomma

vivere.

Nel 1980 sono stati attivati a Trieste sette Centri di Salute Mentale aperti 24 ore su

24, e allo stesso tempo venne creato un servizio di emergenza psichiatrica che

lavorava in collaborazione con i C.S.M. Fino ad arrivare al 21 aprile 1980 quando,

l’amministrazione provinciale decide che l’Ospedale psichiatrico di Trieste non ha

più ragione di esistere. Tutto ciò avviene a pochi mesi dal decesso di Basaglia,

l’unica persona che più di tutte si sarebbe meritato questa vittoria.

Ora al centro della scena c’è il malato, al quale viene richiesto il ruolo di primo

attore. Il protagonismo delle persone affette da disturbi mentali è una delle maggiori

acquisizione della Legge 1805.

Vediamo che pian piano negli anni Ottanta si sono sviluppati, in alcune Regioni del

nostro Paese, sistemi di assistenza psichiatrica articolati in strutture: ambulatoriali,

residenziali e semiresidenziali che avevano il loro fulcro nei Centri di salute mentale

dai quali si sviluppava un’intensa attività domiciliare.

Sia il movimento di deistituzionalizzazione che nell’arco di un ventennio ha portato

al completo superamento degli Ospedali Psichiatrici, sia il ripresentarsi della

disabilità nelle nuove generazioni di pazienti che non avevano conosciuto O.P, hanno

portato allo svilupparsi di un approccio riabilitativo. Il quale, è entrato

progressivamente a fare parte della cultura e dell’operatività psichiatrica come un

insieme di interventi volti a diminuire la disabilità e a favorire l’inserimento sociale

del paziente. Tali attività si sono concentrate nelle strutture residenziali e

semiresidenziali.

Nel dicembre del 1998 viene elaborato il Progetto Obbiettivo per la salute mentale

1998-2000, in cui fini sono stabiliti all’interno del Piano Sanitario Nazionale. Il

progetto propone obiettivi di salute che hanno come priorità interventi di

prevenzione, cura e riabilitazione dei disturbi gravi mentali perché produttori di

5 Ibidem, P.69.

13

disabilità e marginalità sociale. I risultati che si sono prodotti, indipendentemente

dalle diverse motivazioni che hanno portato molti paesi a mettere in discussione

l’organizzazione della psichiatria basata sull’ospedale psichiatrico, sono piuttosto

simili. Sono stati istituiti servizi in grado di fornire ai pazienti con disturbi mentali

un’assistenza nella comunità, è cresciuta la domanda di cure, grazie a un’ aumentata

accettazione da parte dei pazienti delle nuove forme di assistenza e dell’accessibilità

dei Servizi.

L’attuale Modello organizzativo del territorio nazionale è, infatti, centrato sulla

presenza del Dipartimento di salute mentale che ha il compito di tutelare la salute

mentale della popolazione di un territorio definito. I principi di riferimento si

inseriscono nel Modello teorico della Psichiatria di Comunità e comprendono la presa

in carico e la continuità terapeutica. In pratica, i servizi attivano l’insieme di risorse

(sanitarie, sociali, relazionali), presenti nel contesto di vita del paziente per

migliorarne la qualità.

La terapia dovrebbe infatti, svolgersi per quanto possibile, nel contesto in cui la

persona vive ed è verso questo obbiettivo che sono indirizzati tutti gli sforzi del

modello cosiddetto territoriale: parallelamente al percorso di cura personalizzato si

attiva il percorso di inserimento lavorativo e sociale. La riabilitazione può essere

considerata un’ investimento adatto per persone con malattie mentali gravi, ma

richiede strategie e alleanze interdisciplinari e intersettoriali.

La necessità dell’integrazione dei servizi a favore dei pazienti con disturbi mentali è

stata sottolineata anche dall’Organizzazione Mondiale della Sanità. Dove emergono

dagli obiettivi fondamentali: il miglioramento dell’efficacia della gestione dei disturbi

mentali nell’assistenza primaria attraverso un’implementazione della formazione del

personale addetto all’assistenza primaria; il miglioramento dei modelli di invio a

livello specialistico per fornire attraverso una migliore integrazione e collaborazione

fra i servizi interessati, risposte di cura più adeguate ai pazienti6.

6 Biffi Giuseppe, Giorgio de Isabella. Nuove sfide per la salute mentale, innovazioni cliniche e organizzative. Maggiori Editori,2013. P. 28.

14

La decisione di non ricorrere più all’ospedale psichiatrico del 1978 e la loro definitiva

chiusura ha comportato un cambio epocale nella tutela e nella cura della malattia

mentale e del disagio psichico.

Per la prima volta subentra una zona delimitata solo al bisogno del paziente e del suo

ambiente ed inoltre per la prima volta ci si ritrova davanti al modello della

negoziazione delle cure. L’individuo deve essere posto nella condizione di scegliere

tra le varie possibilità mediche anche quella di non accettare le cure.

Nel 1850 è promulgata la Legge nazionale sui malati mentali che nell’articolo 6 si

occupa dell’affidamento eterofamiliare equiparandolo, a livello legale,

all’inserimento in ospedale psichiatrico.

Esso, risulta appunto una risorsa di fondamentale importanza in quanto quando

parliamo di famiglia non per forza facciamo riferimento a quella biologica ma, in

quelle situazioni in cui non è presente la famiglia di origine è possibile crearne una,

dando una seconda chance a queste persone, dandogli l’opportunità di vivere in un

ambiente il più possibile autonomo, un contesto di vita reale.

Una possibilità di questo tipo è rappresentata appunto dal Progetto I.E.S.A ovvero

l’inserimento eterofamiliare di adulti sofferenti di disturbi psichici, un Progetto del

Dipartimento di Salute mentale e dipendenze patologiche.

Lo I.E.S.A quindi, rientra in questa negoziazione della terapia, da parte del paziente e

nella possibilità di offrirgli delle alternative ad un’esistenza di comunità, in alloggi, in

centri di accoglienza. In quanto bisogna essere consapevoli che, anche dopo la

chiusura degli ospedali psichiatrici e per quanto molte comunità terapeutiche siano

confortevoli ed attrezzate, è difficile offrire a molti pazienti la convivenza con altri

pazienti psichiatrici, convivenza che ha limiti interpersonali evidenti. Un matto non

necessariamente troverà divertente giocare a briscola con un altro matto.

Quindi, l’inserimento eterofamiliare oltre a fornire una situazione di normalità al

paziente, una famiglia che ti accoglie come ospite e ti inserisce all’interno delle

proprie abitudini e modelli di vita, rivoluziona il modello psichiatrico pregresso.

15

Così è lo stesso per l’operatore psichiatrico, dall’infermiere al medico, che si deve

confrontare con una situazione di normalità e non di patologia globale e coesa. Anche

laddove certe famiglie abbiano maturato prima o dopo l’esordio della malattia delle

dinamiche incongrue con la fragilità del congiunto, lo I.E.S.A. non vuole porsi come

alternativa ma come completamento e aiuto. Infatti, spesso la famiglia affidataria

instaura un buon rapporto con quella naturale, favorendo un riavvicinamento o uno

smorzamento di precedenti dinamiche incongrue.

16

1.2 LA LOTTA ALLO STIGMA

I mezzi di comunicazione di massa sono un ottimo indicatore per comprendere qual è

la rappresentazione e la percezione pubblica delle problematiche attorno alla salute

mentale. L’immagine delle persone con disturbo mentale è nella maggior parte dei

casi un’immagine di pericolosità in quanto, difficilmente si sente parlare di storie di

successo, di salute mentale e non malattia mentale, di percorsi di normalità e non di

pericolosità7.

Dalle statistiche non è mai risultato un aumento di criminalità dovuto alla liberazione

dei matti, eppure la persona affetta da disturbo mentale continua ad essere

rappresentata come violenta, pericolosa, inguaribile. Non si può fare nulla per queste

persone, se non aspettare un farmaco miracoloso. Nell’attesa, bisogna contenere e

ridurre al minimo i rischi per la collettività sana. Quasi nessun cenno al fatto che chi

ha un disturbo mentale ha comunque delle potenzialità da esprimere ed è titolare di

diritti di libertà e cittadinanza, come tutto il resto della popolazione. Soprattutto,

quasi mai si sente il parere di chi è attraversato dall’esperienza del disturbo mentale.

I mass-media sono fondamentali in questo senso, perché sono uno dei maggiori

veicoli nella diffusione dell’informazione e nella costruzione dell’immaginario

pubblico8.

Non è una novità affermare che televisioni, radio, giornali contribuiscono in modo

determinate a plasmare la visione del mondo dei loro spettatori, lettori, ascoltatori. I

mezzi di comunicazione di massa rappresentano pertanto la problematicità della lotta

allo stigma, indispensabile per la promozione della salute mentale e per la possibilità

di guarigione delle persone, evidenziando l’importanza della comunicazione come

modo per sciogliere il nodo politico, giuridico, storico e sociale stretto attorno alla

psichiatria.

Oggi ci troviamo in Italia di fronte alla legislazione più avanzata al mondo in materia

di assistenza psichiatrica e di battaglia ai pregiudizi. Nel nostro paese è stato

7 Pitrelli Nico, L’uomo che restituì la parola ai matti. Franco Basaglia, la comunicazione e la fine dei manicomi. Editori Riuniti 2004, P.142 8 Ibidem, pag.143

17

raggiunto uno dei più importanti risultati di lotta allo stigma. Il manicomio, il luogo

in cui lo stigma si produceva e riproduceva, è stato abbattuto.

Basaglia aveva intuito perfettamente l’importanza dei mezzi di comunicazione di

massa per coinvolgere le persone dal problema rappresentato dalla persona con

disturbo mentale. Inoltre, lo reputava di fondamentale importanza per denunciare le

colpe della psichiatria, la violenza delle istituzioni e l’inutilità dei trattamenti.

Basaglia è riuscito a restituire in modo autentico la parola a tutti coloro che hanno

dovuto imparare a richiederla, a partire dagli internati.

Bisogna avere la consapevolezza di operare per la trasformazione della realtà, ogni

volta che si sceglie di comunicare e di far comunicare interpretando in modo critico il

rapporto tra scienza e società quando c’è in gioco la vita delle persone.

Oggi come quando c’era il manicomio si può agire per confermare le distanze,

oppure si può decidere di «vivere la contraddizione del rapporto con l’altro» sperando

che da questa contraddizione «nasca uno stato di tensione che crea una vita che non si

conosce» e «l’inizio di un mondo nuovo»9.

“La lotta contro lo Stigma10 della malattia mentale è diventato l’obiettivo principale

dell’ Organizzazione Mondiale della Sanità e della Società mondiale di psichiatria,

osservando quanto esso sia diffuso e quanto le culture di tutto il Mondo e la stessa

psichiatria, in maniera più o meno consapevole, lo mantengano e lo diffondano.

Eppure, non solo è dimostrato che la pericolosità del paziente psichiatrico è da dieci a

venti volte inferiore a quella dei soggetti “normali” ma che sono molto più i malati

mentali a essere vittime di violenza piuttosto che il contrario. Purtroppo le insistenti

campagne contro lo stigma non pare abbiano determinato cambiamenti

significativi.”11

La sofferenza degli utenti e dei loro familiari è solo in parte dovuta all’effetto diretto

della malattia; in massima parte essa è dovuta alle condizioni di stigma,

emarginazione, discriminazione in cui tuttora versa chi ha un disturbo mentale, i suoi

9 Aluffi Gianfranco, Famiglie che accolgono oltre la psichiatria. Edizioni Gruppo Abele,2014.P.7 10 Lo stigma era il marchio a fuoco dell’Antica Grecia impresso agli schiavi che scappavano e ai furfanti recidivi. 11 Aluffi Gianfranco, Famiglie che accolgono oltre la psichiatria. Edizioni Gruppo Abele,2014.P.114

18

familiari ed in parte anche i servizi che se ne occupano. Questi atteggiamenti

costituiscono tutt’oggi, oltre che una fonte diretta di sofferenza, una causa di ritardo

ed ambivalenza nel rivolgersi ai servizi sanitari i cui interventi e trattamenti risultano

tanto più efficaci quanto più sono tempestivi.

La promozione della salute mentale consiste in primo luogo nel contrastare tali

atteggiamenti e promuovere consapevolezza e solidarietà12.

12 Piano attuativo salute mentale, Regione Emilia Romagna. Anni 2009-2010.

19

1.3 STORIA E DIFFUSIONE DEL PROGETTO IESA

L’inserimento eterofamiliare è una pratica che, si potrebbe far risalire al XIII secolo

dopo Cristo, nella cittadina di Geel, nell’attuale Belgio. La nascita è ricondotta alla

leggenda di Santa Dymphna.

Questa leggenda ambientata nel VII secolo d.C., narra di Dymphna, che sfuggendo

alle incestuose intensioni del padre, trovò rifugio a Geel. Inseguita dall’uomo, che in

lei vedeva il volto della defunta moglie, fu trovata e decapitata durante un attacco di

pazzia. I cittadini che si trovarono ad assistere al fatto, iniziarono a credere che la

martire fosse stata seppellita dagli angeli in quanto alla riesumazione delle reliquie, i

resti della salma vennero trovati in un’insolita cassa di pietra bianca. Così iniziarono

a pregare Dymphna per il sollievo dalla follia13.

Da lì iniziarono una serie di miracoli, così che le prime guarigioni, iniziarono a

promuovere il pellegrinaggio che, col passare degli anni, divenne sempre più

massiccio e portò a realizzare alcuni cambiamenti nella cittadina. Nel 1286 fu

costruita una pensione per assistenza ai malati e venne data in gestione. Nel 1349

iniziò la costruzione della Cappella di Santa Dymphna e circa cento anni dopo fu

allestita una camerata ove potessero albergare gli ossessi e i folli, durante i loro

soggiorni “espiatori”. Infatti, i pazienti accompagnati dalle loro famiglie prendevano

parte alle cosiddette “Novene” ovvero periodi di preghiere e penitenze presso il

santuario. I risanati, facevano ritorno a casa, gli altri continuavano ad alloggiare con i

propri parenti nelle vicinanze, o presso le famiglie del posto con un piccolo

compenso economico o di manodopera.

La Cappella fu distrutta da un incendio nel 1489 e nel 1532 ne venne consacrata una

nuova che si è conservata sino ai giorni nostri. Dal 1850 al 1873 le leggi promulgate

identificavano la regione di Geel come una “istituzione psichiatrica”, stabilendo le

norme per proteggere i malati mentali da se stessi e dalla società. Nel 1851 viene

decretato un regolamento per Geel al quale seguirono numerose riedizioni, fino a

quella del 1912, valida tutt’oggi. Dal 1960, anno in cui le famiglie di Geel ospitavano

13 Gianfranco Aluffi, Dal Manicomio alla famiglia. Franco Angeli, 2001. P. 34

20

2.100 pazienti, mentre altri 300 erano ricoverati in clinica, si arriva al 1992 con 630

famiglie adottive per 830 pazienti14.

Si suppone che questa fu la prima volta che la parola malattia fu usata per indicare

abnormalità comportamentali e mentali15. Da allora iniziò a diffondersi in tutto il

mondo, come in Giappone con l’acqua miracolosa del tempio di Iwakura, in

Germania con l’oppio antidepressivo di Brema. Meno antico ma altrettanto

sviluppato è il servizio di Liernrux, attivo dal 1884, che nel 1900 contava 429

pazienti ospitati dalle famiglie locali16. Il 50% di questi lavorava regolarmente.

Questo servizio, organizzato come una Colonia familiare, secondo i dati, ha guarito

nei primi 10 anni di attività 113 persone cioè circa il 10 % sul totale delle prese in

carico.

Questi due esempi rappresentano solo alcuni dei tipi di inserimento eterofamiliare. Se

ne sono sviluppati vari in tutto il mondo; in Belgio col cosiddetto affidamento

“ospedaliero”, in Francia dove vennero fondate due “colonie” una per donne e una

per uomini, negli USA, il primo stato ad inaugurare un servizio di Familiy Foster

Care, in Olanda dove l’inserimento eterofamiliare è stato rappresentato per molto

tempo dalla Colonia di pazienti e dalla centralità dell’istituzione ospedaliera con

orientamento assistenziale-terapeutico, in Svizzera, in Norvegia, in Russia, in

Austria, in Scozia, in Inghilterra e in Polonia.

Avendo illustrato brevemente il panorama mondiale dell’affidamento eterofamiliare

mi sembra doveroso raccontare soprattutto la diffusione dello I.E.S.A in Italia

confrontando le varie esperienze degli I.E.S.A italiani.

Andrò a parlare dell’esperienza I.E.S.A di Collegno (TO), di Lucca, di Pisa, di

Monza e di quella di Bologna dove appunto ho avuto l’opportunità di svolgere parte

del mio tirocinio.

14 Ibidem, P. 36. 15 Ibidem, P. 38. 16 Marie A, La colonie d’aliénés de Linerneux (Autore:Deperon), 1901 in Gianfranco Aluffi, Dal Manicomio alla famiglia. Franco Angeli, 2001. P..44

21

Il primo accenno all’ utilizzo di famiglie volontarie per l’accoglienza di disabili

psichici nell’area del territorio del Dipartimento di Salute Mentale di Collegno (TO)

va ricondotto al 1898, anno in cui la Deputazione provinciale di Torino emise una

nota rivolta a tutti i regi manicomi, in cui suggeriva la sistemazione di malati innocui

presso privati dietro compenso17.

Tale documento aveva la funzione di fare fronte alla sovrappopolazione manicomiale

di quegli anni e l’accenno allo I.E.S.A, peraltro chiamato “collocamento di maniaci

innocui presso privati”, assumeva una valenza di solo tipo economico-

amministrativo visto che il suo costo, allora come oggi, era decisamente inferiore a

quello per il ricovero in strutture.

Gianfranco Aluffi nel biennio 1995-96, presso il servizio I.E.S.A di Ravensburg, ha

osservato e raccolto dati nella quotidiana operatività di un programma, effettivamente

rivoluzionario e decisamente più efficace rispetto ai modelli di interazione col disagio

psichico messi in atto dalla cosiddetta psichiatria ordinaria18.

Quando tornò in Italia aveva l’intenzione di provare a realizzare anche qui un servizio

I.E.S.A, certamente riveduto ed adattato al diverso contesto ambientale e

socioculturale ma fortemente ispirato a ciò che aveva attentamente osservato,

imparato ed apprezzato della sua esperienza. I primi tentativi di proporre un servizio

di questo tipo incontrarono diffidenza, timori e scetticismo da parte di alcuni dei

responsabili dei dipartimenti di salute mentale piemontesi. Nei primi mesi di lavoro

elaborò gli strumenti normativi (linee guida e contratto) e operativi (strumenti per la

selezione, protocolli di procedura ecc.) del progetto, avviando parallelamente una

azione di informazione e sensibilizzazione del personale interno. Con il successivo

arrivo dell’infermiera Irene Olanda (il primo operatore) e la deliberazione del

Servizio I.E.S.A da parte della direzione generale dell’ ASL, proseguì l’attività di

selezione delle famiglie e di avvio delle prime convivenze supportate. I risultati

conseguiti nei primi 2 anni di lavoro e il grande entusiasmo per l’apporto innovativo

17 Atti del III Convegno Nazionale e Rete Europea dell’Inserimento Eterofamiliare Supportato di Adulti (IESA)Treviso, 2006 a cura di Gabriella Bressaglia. P.161. 18 Ibidem, P.163.

22

del progetto, hanno portato ad organizzare nel maggio 2000 il primo congresso

nazionale sullo I.E.S.A presso l’Università degli Studi di Torino al quale presero

parte alcune esperienze nascenti sul territorio nazionale ed esperti internazionali del

settore specifico. L’iniziativa ebbe un buon successo e confluì nella stampa degli atti

del convegno.

Da tale impegno scientifico e divulgativo e da una intensa attività di informazione e

supervisione delle varie équipe che hanno contattato e richiesto formazione al fine di

avviare servizi analoghi, si può guardare con un certo orgoglio la graduale diffusione

del fenomeno sul territorio nazionale. Oggi, almeno 166 una cinquantina di

dipartimenti di salute mentale, sul totale di 211, adottano lo strumento IESA o sono

impegnati nel tentativo di avviare un tale servizio al loro interno.

A quasi 9 anni dall’avvio dell’esperienza I.E.S.A di Collegno, si può riassumere il

lavoro svolto con le seguenti cifre: 2500 famiglie contattate circa,72 famiglie o

singoli abilitati, 41 progetti gestiti per più di 18.000 giorni di convivenza, 1100 visite

domiciliari effettuate circa, 0 giorni di ricovero in SPDC per cause psichiatriche, 5

progetti di inserimento lavorativo, 20 progetti in corso di cui 12 a tempo pieno ed 8

part time19.

Nel Progetto I.E.F.A. di Lucca il primo affidamento eterofamiliare assistito di un

paziente psichiatrico è stato effettuato, a titolo sperimentale, nel 1995. Il suo

andamento positivo ha indotto a proseguire nella medesima direzione. Così, tra il

1997 e il 2006 sono stati affidati altri 57 pazienti psichiatrici20.

Il totale dei pazienti affidati, dunque, è di 58. Poiché 4 pazienti sono stati affidati più

volte, gli affidamenti effettuati tra il 1995 e il 2006 sono 64.

Di questi 64 affidamenti: 37 (il 58%) sono avvenuti nella forma dell’affidamento a

tempo pieno e 27 (il 42%) sono avvenuti nella forma dell’affidamento a tempo

parziale. Nella fase iniziale l’affidamento ha avuto prevalentemente la modalità del

tempo totale in quanto era rivolto ai pazienti in dimissione dall’Ospedale Psichiatrico,

successivamente è stata sperimentata la formula dell’affidamento a tempo parziale

19 Ibidem,P.166. 20 Ibidem,P.176.

23

per i pazienti provenienti dai servizi territoriali. L’affidamento a tempo parziale è

stato mutuato dalla forma di affidamento a tempo parziale per i minori. Questa forma

di affidamento costituisce una modalità molto flessibile, capace di assumere in ogni

specifico caso la configurazione più adeguata. Nella maggior parte dei casi la persona

affidata si incontra con l'affidatario 3 volte alla settimana (in alcuni casi anche 4 o 5).

Il modo in cui il tempo viene utilizzato dipende dalle esigenze della persona affidata

(parlare, svolgere un'attività gradita al paziente, fare commissioni, …) e dalla

disponibilità e creatività della famiglia affidataria. Questa modalità è stata utilizzata

nei casi in cui non è stato necessario o non è stato possibile allontanare il paziente dal

suo contesto di origine e nei casi in cui non sono state accettate altre forme di

intervento (quali, ad esempio, un educatore a domicilio, l’inserimento in un centro

diurno, …). L’affidamento a tempo parziale ha consentito di mantenere il paziente

nel suo abituale contesto di vita e di migliorare i rapporti che egli intrattiene nel suo

mondo quotidiano. Gli affidamenti in corso nel giugno 2006 sono 37, di cui: 18 a

tempo pieno e 19 a tempo parziale21.

Per quanto riguarda Pisa, l’Inserimento eterofamiliare Assistito inizia come Progetto

Aziendale I.E.F.A. nel 2001, previsto tra gli obiettivi di budget di quell’anno, su forte

sollecitazione al DSM da parte del Direttore Generale dott. Raffaele Fallace, alla

direzione dell’ASL di Pisa dall’anno 2000. In precedenza lo stesso dott. Faillace era

stato Direttore Generale della ASL di Lucca, dove era in atto un analogo progetto

I.E.F.A. La Delibera n. 1.046/2001 fissa dunque le regole e definisce il Gruppo di

lavoro Multidisciplinare Integrato, articolato in sottogruppi zonali, costituito da tre

psichiatri (di cui un coordinatore), uno psicologo, tre assistenti sociali, tutti impegnati

a tempo parziale nel progetto. Il Progetto diviene di interesse regionale ed è

cofinanziato dalla Regione Toscana22.

Nell’ASL di Pisa il Progetto I.E.F.A interviene in una fase diversa della storia dei

servizi per la salute mentale rispetto alla ASL di Lucca: l’Ospedale Psichiatrico, sito

a Volterra nella Zona dell’Alta Val di Cecina, è superato e chiuso dal 1998, mentre si

21 Ibidem,P.177. 22 Ibidem,P.207.

24

è sviluppata, per cause diverse, una residenzialità diffusa per problematiche

psichiche, anche fuori ASL e fuori Regione Toscana, particolarmente dalla Zona

Pisana, con oltre 200 utenti ospitati in strutture residenziali23. Il metodo di lavoro

della esperienza pisana è assimilabile a quello in vigore a Lucca, con cui si opera in

stretta collaborazione.

Per quanto riguarda l’esperienza di Monza, parliamo del progetto “SO-STARE CON

VOI”, Inserimento eterofamiliare Supportato per Adulti Psichiatrici rientra nel

Programma di Azioni Innovative per la Salute Mentale presentato dalla “Novo

Millennio Cooperativa Sociale a.r.l. – ONLUS”. Le unità funzionali che partecipano

al programma sono A.O. San Gerardo - DSM e Associazione Familiari Monza

ASVAP24. Si intende realizzare, congiuntamente al CPS titolare del Piano di

Trattamento Individuale (PTI), un supporto complessivo per soggetti affetti da

disturbi psichici cronici nell’ambito dell’intervento di comunità, valorizzando le

risorse già esistenti dell’associazionismo e del privato no-profit, collegandole in rete.

Il progetto “SO-STARE CON VOI” rappresenta una risposta nuova in riferimento

alla tematica dell’abitare spostando l’intervento dalle strutture residenziali al territorio

attraverso la ricerca, formazione e selezione di facilitatori naturali: le famiglie

affidatarie.

Il progetto può essere realizzato solo attraverso un’attenta preparazione di operatori,

volontari, famiglie ospitanti e una gestione integrata fra le risorse formali (Servizi

Sociali Comunali, ASL, Centri Psico Sociali) e informali (associazioni di volontariato

e di familiari, gruppi di auto-aiuto) presenti sul territorio. Nella sua complessa

articolazione, il progetto prevede momenti di sensibilizzazione rivolti alla

cittadinanza sulle tematiche della salute mentale per creare una rete capace di

sostenere persone e famiglie che decidono di sbilanciarsi in questa nuova esperienza;

prevede inoltre un percorso di formazione per queste stesse famiglie o singoli

interessati, per arrivare più consapevoli al momento dell’inserimento. La persona

23 Ibidem,P.209. 24 Ibidem,P.214.

25

ospitata potrà essere a sua volta una risorsa per la famiglia nello svolgimento di

alcune mansioni e nella rete di relazioni che si verrà costituendo25.

Infine, il Progetto I.E.S.A del Dipartimento di Salute Mentale e Dipendenze

patologiche dell’Azienda USL di Bologna, nasce operativamente nel settembre del

2008. Il progetto è regolamentato da un contratto tra le parti e sostenuto in tutte le sue

parti da un’équipe operativa multi-professionale (psichiatra, infermieri, educatori

professionali, psicologa clinica e volontaria Auser). Per dare ulteriore supporto e

coerenza all’esperienza, gli esiti sono stati misurati mediante Social Adaptative

Fungtioning Evaluation (SAFE), valutando l’andamento nel tempo delle abilità

sociali e relazionali dei soggetti con disturbi mentali gravi inseriti nel progetto. La

misurazione degli esiti tramite la Safe, compilata dagli operatori referenti della

convivenza ogni 4 mesi per tutta la durata del progetto, appaiono confermare

l’esperienza positiva di pazienti, famiglie ospitanti e operatori26.

Questo progetto sostanzialmente consiste nell’integrazione di una persona, che soffre

o che ha sofferto di disturbi psichici, presso una famiglia di volontari appositamente

selezionate e poi abilitate.

Nasce secondo il Modello dello I.E.S.A esistente a Torino e si rivolge ad utenti in

carico ai Centri di Salute Mentale del territorio rappresentando un’alternativa alla

residenzialità psichiatrica. L’ospitalità è regolata in contratto tra l’azienda Usl,

l’ospite e la famiglia ospitante che riceve un rimborso spese mensile e viene assistita

dagli operatori dell’équipe preposta.

Obiettivi del progetto sono promuovere l’empowerment della persona attraverso un

miglioramento della qualità di vita, una crescita dell’autonomia e delle relazioni

sociali; offrire un’alternativa alla “residenzialità psichiatrica” e contribuire alla lotta

contro lo stigma.

Nel 2010 è nata in collaborazione con il Dipartimento di Psicologia di Bologna per

valutare gli esiti degli inserimenti sia per i pazienti che per la famiglie ospitanti. Il

25 Ibidem,P.215. 26 Azienda USL, Bologna-DSM-DP. A cura di: Benfenati Daniele, Bernardiello Elisabetta, Ghelfi Claudio, Lambertini Rita, Elena Toschi, Venturi Milena, Zandi Carlo, Zulli Velia.

26

periodo di formazione, anni (2006-2008) hanno portato alla formulazione delle linee

guida I.E.S.A e alla definizione del Modello Operativo. L’équipe è multi-

professionale composta da dieci operatori aziendali con ore dedicate, una volontaria

Auser, una Psicologa Clinica.

La ricerca avviata in collaborazione con il Dipartimento di Sociologia, utilizza per

l’assessement clinimetrico dei pazienti, periodici colloqui di controllo con lo

psichiatra referente e questionari auto-valutativi. I risultati del progetto sono

assolutamente positivi.

Ad oggi i pazienti del progetto I.E.S.A hanno ridotto le giornate di ricovero e la

terapia farmacologica, rispetto all’anno precedente al loro inserimento. La ricerca

attivata rivela, dopo l’inserimento in famiglia, un miglioramento della sintomatologia

e del benessere psicologico per i pazienti, una stabilità del benessere psicologico dei

familiari ed un miglioramento del funzionamento famigliare dopo l’inserimento in

famiglia.

Lo I.E.S.A induce un miglioramento dei sintomi e della sofferenza psicologica nei

pazienti aiutandoli a riappropriarsi della loro vita e del loro avvenire. Il buon

funzionamento famigliare e la stabilità del benessere psicologico suggeriscono che la

scelta delle famiglie è stata fatta con cura e che il supporto alla convivenza è

adeguato.

Questi risultati indicano che il Progetto I.E.S.A, in termini di Cost-effectiveness, è

uno strumento efficace dal punto di vista terapeutico e riabilitativo e più economico

rispetto alle altre soluzioni residenziali.27

27 D.S.M-DP-Dipartimento di Psicologia Bologna. DI: Sandra Conti, Carolina Conti, I.Donegani, A.Fioritti, S.Grandi.

27

1.4. LO IESA DI BOLOGNA: APPROVAZIONE E ATTIVAZIONE

Con la Determina del Dipartimento di Salute Mentale n°34 il 20/04/2009, «Visti i

Piani Sanitari Regionali Emilia Romagna 1981/1983, 1990/1992, 1999/2001, la L.R.

n. 6 del 7/2/81 e L.R. n. 15 del 09/03/90;28» si è determinato di approvare il Progetto

I.E.S.A, secondo le linee guida e di approvare gli schemi di contratto tipo (tempo

pieno e part time). Nominando come Responsabili del Progetto la Dottoressa Sandra

Conti, Dirigente Medico Psichiatrica UOSD del CSM San Lazzaro per l’area Medica

e la Signora Mara Monti, responsabile Area Nord per l’area Sater.

E’ stato deciso di attribuire i costi relativi alle attività organizzative e supportive

svolte dal personale dell’AUSL di Bologna nei confronti delle famiglie ospitanti e

degli ospiti a carico dell’AUSL e di stabilire che i costi corrispondenti al rimborso

spese che riceve la famiglia ospitante sono da considerarsi a carico dell’ospite

secondo contratti full time o part time. Si è conferito il mandato ai competenti Uffici

Amministrativi per la copertura economica del presente provvedimento. E’ stato

nominato come responsabile del procedimento ai sensi della L. 241/90 il dott. Alberto

Maurizzi, Direttore Amministrativo del D.S.M – D.P29.

Per I.E.S.A. si intende l’ inserimento di una persona in cura presso il Dipartimento di

Salute Mentale (poi D.S.M.) - Area Psichiatria Adulti, in una Famiglia appositamente

selezionata e abilitata. Le parti coinvolte nella realizzazione di questo Progetto sono:

l’ ospite, la famiglia ospitante e l’ Ausl di Bologna attraverso il D.S.M.

Si pone l’ obiettivo di offrire al soggetto un contesto familiare e relazionale idoneo a

promuovere il suo benessere psicofisico. Ha valenze terapeutico-riabilitative

(miglioramento della qualità di vita e del quadro clinico) ed etiche (promozione dei

valori dell’ accoglienza, della tolleranza, dell’ integrazione e della solidarietà,

riduzione dello stigma). Questa modalità abitativa, alternativa all’ inserimento presso

28 DETERMINAZIONE DEL DIPARTIMENTO SALUTE MENTALE N. 34 DEL 20/04/2009.OGGETTO: APPROVAZIONE ED ATTIVAZIONE DEL PROGETTO IESA. P.2. 29 Ibidem,P.3.

28

strutture residenziali, è complementare ad altre risposte terapeutiche e riabilitative

offerte dal D.S.M.

Il Progetto I.E.S.A. è rivolto, in questa prima fase sperimentale di attuazione, ad

utenti in carico all’ Area Psichiatria Adulti del D.S.M. e non riguarda esclusivamente

una tipologia specifica di disturbi. Il tipo di inserimento viene suddiviso in: Part-time:

Questa modalità di inserimento permette sia di rispondere ad una esigenza di

collocazione temporanea (ad esempio per far fronte a transitorie difficoltà familiari o

abitative), sia di essere un percorso propedeutico ad una successiva convivenza a

tempo pieno.

L’ accoglienza si distribuisce in mezze giornate, giornate intere o week-end.

Attraverso questa modalità, anche famiglie con impegni lavorativi incompatibili con

l’esperienza del full-time, ma ritenute comunque idonee all’accoglienza, potranno

entrare a far parte della banca dati ampliando così la gamma delle opportunità.

Invece, l’inserimento eterofamiliare Full-time può essere distinto in tre categorie:

- Breve termine: il periodo di accoglienza va da un giorno a due-tre mesi; può essere

motivato da una situazione di crisi individuale e/o relazionale che ha bisogno di un

allontanamento della persona dall’ abituale ambiente di vita. Questo tipo di

inserimento può prevedere una presenza intensiva dell’ operatore di supporto alla

convivenza, ma sempre deve realizzarsi in sinergica e fattiva collaborazione con l’

equipe di riferimento del Centro di Salute Mentale (poi C.S.M.) inviante.

- Medio Termine: il periodo di accoglienza va da alcuni mesi ad un paio di anni. Sono

inserimenti indirizzati ad una fascia di utenza per la quale è prevedibile la

progettazione e l’ attuazione di un percorso riabilitativo; l’ obiettivo è che l’

individuo, nell’ arco di circa due anni, salvo eccezioni, raggiunga un livello di

autonomia che gli consenta di vivere in situazioni abitative meno protette. Anche per

questo tipo di inserimento è determinante una stretta collaborazione con l’ equipe di

riferimento dei C.S.M. invianti per gli aspetti terapeutico-riabilitativi.

- Lungo termine: il periodo di accoglienza è preventivamente pensato per una durata

di lungo periodo. E’ tendenzialmente rivolto a persone le cui disabilità psicofisiche, o

29

i bisogni di cure assistenziali, non permettono di ipotizzare un percorso riabilitativo

che consenta loro di vivere in un luogo meno protetto; sono persone spesso orfane di

legami parentali. Sono inserimenti finalizzati ad offrire la possibilità di vivere in un

ambiente familiare tranquillo ed adeguatamente protetto30.

Il Progetto I.E.S.A è rivolto a persone in carico ai Centri di Salute Mentale del

D.S.M. dell’ Ausl di Bologna, per le quali si ritiene che vivere in un ambiente

familiare abbia valenze terapeutiche e che non abbiano ancora acquisito abilità

sufficienti a vivere autonomamente. Ogni famiglia può accogliere un solo ospite

seguito dal Progetto I.E.S.A. Eccezionalmente, qualora vi siano idonee risorse e lo si

ritenga opportuno e conforme ad un particolare progetto terapeutico, possono essere

accolti fino ad un massimo di 3 persone.

Tra il D.S.M. dell’ Ausl di Bologna, la famiglia ospitante e l’ospite, viene stipulato

un contratto che regolamenta il rapporto di convivenza, compreso il periodo di prova,

ed in cui vengono specificati gli oneri ed i diritti delle parti. Per potere svolgere il

ruolo di famiglia ospitante è necessario avere superato il percorso di selezione

predisposto ed essere disponibili a partecipare all’apposito corso (formativo,

informativo ed esperienziale) propedeutico all’ospitalità organizzato dal D.S.M

dell’AUSL di Bologna. I costi relativi alle attività organizzative e supportive svolte

dal personale dipendente dell’ AUSL di Bologna nei confronti delle famiglie

ospitanti e degli ospiti sono, di norma, a carico della Ausl di Bologna. I costi

corrispondenti al rimborso spese che riceve la famiglia ospitante sono da considerarsi

a carico dell’ ospite. In un inserimento full-time il rimborso spese mensile è di circa €

1.100,00. Invece in un inserimento part-time l’ accoglienza può essere:di mezze

giornate (ore 8.00/14.00 oppure 14.00/20.00) e per la famiglia è previsto un rimborso

spese pari a € 20,00 cadauna, di giornate intere con un rimborso spese pari a €

40,00/die, per l’ intero week-end (dalle ore 8.00 del sabato alle 22 di domenica) con

un rimborso spese pari a € 90,00. Il rimborso alla famiglia per l’ ospitalità a breve

30 Ibidem,P.5.

30

termine è pari a € 40,00 per ogni giornata intera. Qualora, in seguito a istruttoria

documentata sulla situazione economica dell’ ospite, svolta dall’ Assistente Sociale

appartenente all’ équipe di riferimento del C.S.M. inviante, si riscontri l’

impossibilità del medesimo di disporre delle cifre mensili necessarie, l’ AUSL

provvederà all’ erogazione della somma mancante attraverso l’ utilizzo dello

strumento dell’ “ assegno terapeutico” con finalità riabilitative, in base all’ art.66 del

R.D. n° 615 16/8/1909 (Regolamento di esecuzione della L. 36 del 14/2/1904), in

modo da garantire comunque la realizzazione della convivenza. E’ opportuno

sottolineare che l’ ospite deve potere contare almeno su una somma minima

parificabile all’ assegno mensile di Invalidità Civile (attualmente di € 249,00 mensili)

per fare fronte alle piccole spese quotidiane.

Qualora intervenga la possibilità di inserimento nel Progetto di un cittadino non

residente nel territorio dell’ Azienda USL di Bologna, il C.S.M proponente invierà

preventivamente un apposito modulo con il quale il D.S.M di appartenenza dell’

utente da inserire autorizzerà l’ inserimento e si impegnerà a sostenere i costi

derivanti e pertanto a liquidare la/le fatture che il Servizio Amministrativo

provvederà ad emettere nei confronti dell’ Azienda USL di residenza dell’ utente.

E’ un diritto riconosciuto alla famiglia quello di non trascorrere le vacanze con

l’ospite, ma è indispensabile che ne dia tempestiva comunicazione, almeno 40 giorni

prima dell’ inizio delle stesse, per consentire al Medico ed all’ equipe referente del

C.S.M di provvedere. Nel caso in cui la famiglia intenda trascorrere le vacanze in

compagnia dell’ ospite, è previsto un rimborso supplementare giornaliero

commisurato alle effettive e documentate maggiori spese, la cui congruità sarà

oggetto di verifica da parte dell’ Assistente Sociale appartenente all’ équipe del

C.S.M. inviante. Nel caso in cui si debba procedere ad una diversa collocazione

abitativa dell’ ospite sarà sospesa l’ erogazione del rimborso spese per il periodo

relativo alla vacanza; il contributo rimarrà invece invariato nel caso in cui venga

concordato che l’ ospite rimanga presso il domicilio della famiglia ospitante anche

durante l’ assenza della stessa per vacanza o altri motivi. Al momento dell’ avvio del

31

percorso che porta all’ inserimento eterofamiliare e per tutta la durata di questo,

subentra una polizza di assicurazione per la responsabilità civile in favore della

famiglia ospitante e dell’ ospite stipulata dall’ AUSL di Bologna, con i massimali

previsti dai contratti assicurativi in essere31.

Nel caso in cui l’ospite rientrasse nella categoria dei soggetti interdetti o inabilitati, il

tutore o il curatore subentrerà negli ambiti di sua competenza, così come nel caso in

cui l’ospite si avvalesse della figura dell’amministratore di sostegno.

Il contratto viene stipulato tra L’Azienda Unità Sanitaria Locale (AUSL) di Bologna,

rappresentata dal Direttore del Dipartimento di Salute Mentale (in seguito D.S.M),

l’ospitante e l’ospite e l’eventuale tutore, curatore o amministratore di Sostegno32.

31 Ibidem,P.8. 32 Ibidem,P.10.

32

2 L’INTERVENTO DI UN’EQUIPE MULTIPROFESSIONALE:

2.1 LA PRESA IN CARICO DEI C.S.M. E LO IESA

L’evoluzione della domanda di salute, espressione di bisogni sempre più articolati e

complessi, pone la necessità di programmare in modo diverso gli interventi in tema di

salute pubblica, consolidando e rafforzando i processi di un sistema sempre più

orientato alle diverse necessità assistenziali ed alle aspettative dei cittadini, al fine di

garantire servizi centrati sul bisogno della persona, caratterizzati da elevati livelli di

appropriatezza, tempestività, efficacia, nonché da una gestione efficiente delle

risorse.Tali presupposti valgono, in particolare, nell’ambito della salute mentale, in

quanto caratterizzata da una forte complessità assistenziale.

L’Organizzazione Mondiale della Sanità definisce la salute mentale come uno stato di

benessere nel quale il singolo è consapevole delle proprie capacità, sa affrontare le

normali difficoltà della vita, lavorare in modo utile e produttivo ed è in grado di

apportare un contributo alla propria comunità33.

L’espressione “presa in carico” è una formula tipica del linguaggio dei servizi sociali.

Espressione dal contenuto poco definito sul piano concettuale, rimanda all’idea di un

servizio che “si fa carico” di seguire continuativamente una persona (o una famiglia),

di non lasciarla a sé stessa, di garantire una presenza capace di offrire opportunità e

sostegni, con l’obiettivo promozionale di permettere alle persone di controllare

attivamente la propria vita.

Volendo tentare una definizione, possiamo intendere la presa in carico come un

processo in cui un operatore sociale, a fronte di una domanda espressa o inespressa,

ma comunque sulla base di un mandato istituzionale, progetta uno o più interventi

rivolti a una persona o a un nucleo di convivenza, mantenendo con essa (esso) un

rapporto continuativo al fine della revisione dell’intervento stesso nel corso del

tempo34.

33 Linee regionali di indirizzo per la presa in carico del paziente con disturbi psichiatrici comuni nella medicina generale: Programma regionale .Giuseppe Leggieri, 2007.

34 Saggio di Vitale Tommaso. La presa in carico: una definizione concettuale .

33

Di importanza fondamentale risultano le opportunità per le persone di riconsiderarsi e

riposizionarsi all’interno della propria esistenza e realizzare un’integrazione dei

contenuti (consci e inconsci) della malattia. Inoltre, Curare significa “occuparsi

dell’altro, prendersene cura” e nell’ottica di “una presa in carico”, la cura, pur

caratterizzata da sapere di tipo scientifico e disciplinare, passa anche attraverso un

processo, che per molti versi è di tipo educativo e che come tale richiede capacità

comunicative e relazionali in un processo che risponde ai bisogni fondamentali non

solo fisici, ma anche relazionali, spirituali e sociali.

Alcuni pazienti più di altri richiedono una presa in carico, ma non tutti. In particolare

lo richiedono: coloro che hanno bisogno di essere accompagnati lungo un percorso,

coloro che sono affetti da patologie con difficoltà a gestire e a riappropriarsi del

proprio progetto di vita, coloro che hanno difficoltà a coordinare uno o più problemi

di salute. La presa in carico si differenzia da un caso all’altro ma soprattutto si viene a

diversificare il livello di intensità assistenziale. Questo implica per le professioni

coinvolte riuscire ad adottare un modello professionale non più basato

sull’uguaglianza, ma sull’equità, cioè non tutto a tutti, ma ciò che serve al paziente, la

personalizzazione delle cure.

Il modello di presa in carico nel caso del Progetto I.E.S.A. prevede: una valutazione

iniziale accurata, una formulazione di obiettivi condivisi con i professionisti e con

tutti gli altri attori coinvolti (paziente, famiglia, comunità locale), l’integrazione e

coordinamento degli interventi, percorsi terapeutici standard per profilo e

personalizzazione delle cure, opportuna pianificazione della fine della presa in carico

e follow up. Il prendersi cura a differenza del curare è forse il migliore degli

interventi possibili su un soggetto affetto da una patologia mentale poiché questa è

spesso il risultato di un insieme di bisogni non soddisfatti e della mancanza di

relazioni significative attraverso le quali ogni persona costruisce la propria crescita

materiale e psicologica. Rispondere ai bisogni del paziente psichiatrico è una

operazione di decodificazione (tradurre i bisogni reali dai sintomi) e di profonda

34

accoglienza (rispettare la persona per quello che è e nutrire nei suoi confronti

aspettative positive).

Nello I.E.S.A abbiamo un presa in carico che non è di tipo strettamente individuale;

abbiamo una presa in carico di: un soggetto, un utente, un paziente/ un gruppo

famigliare /una comunità locale. Le azioni della presa in carico sono rivolte a tutti e

tre questi soggetti contemporaneamente e in modo unitario. In questo modo risulta

evidente che ciò che entra in contatto sono due mondi e due sistemi di riferimento,

quello del paziente e quello del sistema di cura in uno specifico e caratteristico

territorio e tutto ciò genera una situazione altamente complessa.

Da una parte abbiamo una situazione psicotica e con questo intendiamo un insieme

ecologico, al cui centro troviamo il paziente psicotico: cioè una persona che vive una

sofferenza particolarmente intensa, che si manifesta fenomenicamente con le

modalità che usiamo denominare delirio, allucinazione, catatonia, autismo, ecc.

oppure eccitamento, fuga delle idee. Poi, attorno al paziente troviamo le persone con

cui egli intrattiene rapporti emotivi significativi e particolari, perché si tratta dei suoi

familiari, del suo “sistema di sopravvivenza”. Ma la situazione psicotica non si limita

al mondo del paziente: la situazione psicotica comprende anche il mondo del sistema

di cura, cioè di chi è chiamato a prendersi cura della sofferenza del paziente.

Dover quindi gestire la sofferenza psichica in un contesto complesso quale si mostra

il territorio, ha portato a evidenziare come i molteplici aspetti (biologici, psicologici,

psicodinamici, sociali) si intrecciano in vario modo, dando luogo a diverse tipologie

di sofferenza mentale.

In questo modo di fare psichiatria, in particolare si fa riferimento ad un lavoro di

équipe altamente strutturato e organizzato al cui interno siano condivisi gli obiettivi

terapeutici. Ad un’integrazione concettuale e operativa di tutti i contesti della

situazione psicopatologica (paziente, famiglia, rete sociale, risorse e disponibilità del

servizio e del territorio).

Infine, di un’integrazione tra più approcci curativi e preventivi, in grado di rispondere

efficacemente ed adeguatamente ai diversi contesti patogeni. La presa in carico del

35

Centro di Salute Mentale ha luogo con una valutazione iniziale accurata in

collaborazione con l’ufficio I.E.S.A di alcuni aspetti del paziente quali: difficoltà

abitative, difficoltà familiari, gradiente del disagio psicopatologico, motivazione e

consenso a partecipare al progetto. A questo fa seguito una condivisione chiara e

concreta del progetto con il paziente, la famiglia, l’équipe ponendo l’accento sulla

parte sana dell’individuo e definendo i tempi, i risultati attesi, la formazione per la

famiglia, l’ assicurazione di presenza e sostegno al paziente e alla famiglia affidataria

e l’ integrazione della rete dei servizi.

La ricerca di un nuovo e razionale equilibrio tra le due funzioni essenziali

dell'intervento sul disagio psichico indica la necessità di un pieno riconoscimento

delle risorse della società civile, di una piena inclusione nel lavoro sociale di entità

non formalmente deputate alla cura (ossia l'inclusione delle responsabilità degli utenti

e delle famiglie, di gruppi, associazioni, aziende, ecc.), in un'ottica che valorizzi la

cura naturale, integrata nelle reti di appartenenza. Un punto fermo è che non si può

prescindere da un intrecciamento tra i due sistemi del formale e dell'informale, in un

preciso lavoro di rete.

Con il termine "intervento di rete" è possibile identificare "l'insieme delle prestazioni,

di varia natura (istituzionali e non) che hanno l'obiettivo di ricostruire, attorno al

portatore del bisogno, un circuito relazionale significativo". I caratteri salienti di

queste prestazioni sono rappresentati dall'elevato coinvolgimento emotivo ma anche

temporale ed in alcuni casi anche spaziale che richiede agli operatori. Forse molto

realisticamente, più che l'intera comunità, ci si può aspettare che un gruppo

significativo di persone nell'ambito di una determinata località prenda

consapevolezza che disagi e difficoltà che colpiscono una pluralità di suoi membri

sono "problemi" non solo privati di ciascuno di loro, ma di tutti e che la comunità può

esprimere le capacità, sia sul piano ideativo che operativo, di fronteggiarli in modo

unitario.

La strada indicata da questo approccio segnala la possibilità per i servizi e gli

operatori istituzionali, di rivivificare la loro operatività ponendosi come supporto o

36

stimolo a dinamismi comunitari di cura e sviluppo, contribuendo all'organizzazione di

servizi flessibili perché articolati a rete, integrati nei loro aspetti formali e informali,

capaci nel contempo di garanzie universalistiche e di attenzioni individuali alla

persona.

Nell’inserimento eterofamiliare il paziente ha la possibilità di costituirsi una base

sicura, essenziale per soddisfare il bisogno biologico di buon attaccamento: un

bisogno fondamentale per l’essere umano. Un buon attaccamento al proprio gruppo

naturale e nel corso dello sviluppo e della vita della persona con i diversi piccoli

gruppi corregge e modifica i “modelli operativi interni” elaborati nell’incessante

lavorio di internalizzazione delle relazioni sociali in cui ogni essere umano è

costantemente impegnato. Ogni piccolo gruppo si può porre come base sicura per

l’individuo che vi si attacca e una fiducia di base via via più solida fonda ogni

possibile discorso o progetto di vita.

Concludendo con una citazione di Franco Fasolo, la presa in carico può finire tanto

prima e meglio quanto autentico e saldo profondo e disinteressato è il legame di

attaccamento che si è sviluppato col gruppo curante; insomma la presa in carico può

finire solo ed esattamente quando il gruppo curante è stato sufficientemente coeso ed

abbastanza a lungo coerente nella relazione terapeutica con il paziente, con la

famiglia e con la comunità locale.

La fine della presa in carico sembra potersi realizzare tanto meglio quanto più

somigliante con l’adeguata esperienza di separazione dei membri di una famiglia

sufficientemente sana. I membri delle famiglie sane sono capaci di farsi i fatti loro,

vivendo a lungo vite separate, facendo decisamente a meno l’uno dell’altro, ma

trovandosi però in altri momenti insolitamente vicini ed intimi. I pazienti più gravi

vanno curati, ma con i pazienti, divenuti, meno gravi ciò che si deve curare

gradualmente sempre meglio è la qualità della nostra relazione, cioè della relazione

fra noi, come fratelli maggiori che ci sono già passati.35

35 Atti del III Convegno Nazionale e Rete Europea dell’Inserimento Eterofamiliare Supportato di Adulti(IESA)Treviso,2006 a cura di Gabriella Bressaglia. P.112.

37

2.2 IL LAVORO MULTIPROFESSIONALE DELL’EQUIPE IESA

Il lavoro multiprofessionale è una modalità di lavoro collettivo, caratterizzato dalla

collaborazione delle diverse figure professionali presenti e quindi l’interazione dei

vari interventi.

Quest’interazione può avvenire solo se si mantiene una comunicazione rispettosa del

proprio e dell’altrui lavoro, quindi essi devono essere permeabili al cambiamento, alle

novità e alla ricostruzione. Questo non vuol dire che bisogna annullare la propria

professionalità ma bisogna essere capaci di mantenere il proprio ruolo e metterlo in

pratica come un valore aggiunto, confrontandosi con le altre figure presenti in équipe.

Conoscere i propri limiti e confini è una prerogativa importante quanto l’apertura ad

un autentico interesse nell’ascolto dell’altro e della sua dimensione personale.

Il ruolo dell’équipe Iesa è un ruolo di supervisione, accompagnamento, cura di tutti

quegli aspetti che caratterizzano il percorso di affido eterofamiliare.

Possiamo riassumere le tre fasi essenziali di questo percorso:

1. Abbinamento tra famiglia segnalata e persona segnalata

2. Inserimento etrofamiliare

3. Conclusione del percorso.

Durante queste fasi, i compiti principali dell’équipe I.E.S.A in supporto al percorso

riguardano l’abbinamento tra famiglia affidataria e persona segnalata in

collaborazione con gli operatori del C.S.M.

Inoltre, si curano le dinamiche familiari che si presentano nella famiglia che accoglie

e si curano le dinamiche familiari della famiglia d’origine (dove è presente la

famiglia) ed in collaborazione con l’équipe del C.S.M si collabora nella definizione

del lavoro di rete per il reinserimento nel territorio.

L’elemento centrale dello I.E.S.A risulta la Famiglia, cioè un vero e proprio spazio di

vita concreta. Attraverso l’accoglienza in famiglia, con le sue dinamiche relazionali e

le possibili figure d’identificazione e attaccamento, hanno luogo quell’integrazione e

quella possibilità di sviluppo e di riscatto che rendono possibile al paziente il

38

recupero di un ruolo e una identità nuova. L’ obiettivo diretto dell’équipe è quello di

acquisire famiglie affidatarie idonee al progetto.

Gli utenti proposti per l’ inserimento quindi dovranno essere individuati dall’ equipe

referente del C.S.M. e segnalati, tramite il modulo di invio, all’ equipe I.E.S.A che

provvederà, in sinergia con l’ equipe inviante a valutare la realizzabilità dell’

inserimento eterofamiliare.

L’ attuazione avviene esclusivamente con l’appoggio dei servizi psichiatrici che, nel

caso di problemi o fallimento dell’ esperienza, sono in grado di garantire al paziente

idonea assistenza e soluzioni alternative. Di fatti, il Modello organizzativo Iesa

prevede operatori dedicati che provengono ed operano nelle diverse Unità Operative,

essendo il bacino d’ utenza estremamente ampio e vario.

Esse dovranno operare in modo integrato tra loro ed in stretta sinergia con le équipe

invianti dei C.S.M. E’ prevista la figura di un referente del Progetto I.E.S.A,

individuato nell’ ambito della Dirigenza e nominato dal Direttore del DSM, che

svolge funzioni di raccordo con la Direzione del D.S.M. e le Unità Operative

Dipartimentali. Ha funzioni strategico istituzionali (promozione del Progetto all’

interno e all’ esterno del DSM, pubbliche relazioni, coordinamento dell’ attività

scientifica, coordinamento del corso di formazione per le famiglie ospitanti, etc.) e

annualmente riferisce al Direttore del DSM l’ attività globale del Progetto I.E.S.A.

Inoltre, è previsto un coordinatore professionale del Progetto che viene individuato

tra gli operatori dell’ équipe IESA, il quale collabora con il referente e gli operatori

per la promozione del Progetto dentro e fuori il DSM, svolgendo funzioni di

coordinamento degli interventi di supporto alle convivenze e monitoraggio dell’

attività e dei progetti terapeutico-riabilitativi I.E.S.A.

Gli operatori dell’ equipe I.E.S.A. possono appartenere a diverse qualifiche

professionali: Infermieri, Educatori Professionali, Assistenti Sociali, Psicologi,

Medici, ma è indispensabile che vengano appositamente formati e che operino

ispirandosi a criteri di integrazione multi-professionale, sia tra le diverse Unità

39

Operative del DSM, sia con il contesto sociale36. «Il Referente, insieme al

Coordinatore ed all’equipe I.E.S.A., redige entro il mese di gennaio di ogni anno una

relazione quali-quantitativa sull’attività svolta nell’anno precedente e sui risultati

terapeutico-riabilitativi raggiunti dal Progetto I.E.S.A. e la invia al Direttore del

D.S.M.»37

La figura dell’operatore rende possibile, attraverso un ponderato intervento di

supervisione delle dinamiche relazionali e di sostegno individuale, quell’alchimia che

vede il sociale trasformarsi da luogo di possibile esclusione a spazio terapeutico.

Le visite domiciliari periodiche dell’operatore (in media una ogni quindici giorni o

intensificate se la convivenza lo richiede) si combinano con una reperibilità telefonica

di 24 ore su 24. L’équipe si occupa inoltre di attivare quelle risorse sociali ed

individuali che possano favorire una crescita dell’ospite finalizzata all’empowerment

(es.: inserimenti lavorativi, contatti con associazioni, contatti con il vicinato,

partecipazione a programmi di formazione, attività nel tempo libero, gruppi auto-

mutuo aiuto etc.).

L’utente, durante l’intero periodo della convivenza, può continuare a frequentare le

agenzie dipartimentali (Centro di salute mentale, Struttura semiresidenziale, Centro

Diurno), le quali lavorano in sinergia con il coordinatore e gli operatori I.E.S.A, così

come, i servizi invianti e le altre risorse territoriali, psichiatriche e non. Gli operatori

che gestiscono il servizio I.E.S.A risultano “supplementari” all’équipe del C.S.M che

ha in carico il paziente.

Il parere del Dr. Aluffi, coordinatore dell’équipe I.E.S.A, volge in favore di équipe

composte da personale del privato sociale, in sinergica collaborazione con i

dipendenti delle istituzioni pubbliche, in primo luogo perché in questo modo risulta

più facile la gestione amministrativa, in quanto con contratti di consulenza si può

impiegare il personale in maniera proporzionale all’effettivo carico di lavoro (più

sono numerosi gli inserimenti, più si necessita di personale, in quanto il rapporto è di

36 DETERMINAZIONE DEL DIPARTIMENTO SALUTE MENTALE N. 34 DEL 20/04/2009.OGGETTO: APPROVAZIONE ED ATTIVAZIONE DEL PROGETTO IESA. P.6. 37 Ibidem, P.7.

40

un 1 operatore ogni 10 inserimenti). Inoltre il personale del privato sociale è

solitamente più motivato a questo tipo di lavoro e alla crescita del servizio.

Naturalmente nulla vieta al paziente di mantenere, anche dopo l’inserimento in

famiglia, i contatti con gli operatori ambulatoriali con i quali aveva una relazione

significativa.

L’équipe inoltre, ha la necessità di momenti di confronto, riflessione e

approfondimento sulle complesse tematiche relazionali che coinvolgono l’operatore

I.E.S.A sia all’interno del gruppo di lavoro sia in relazione agli ospiti/ospitanti e

C.S.M. L’approfondimento delle dinamiche relazionali che vengono a crearsi tra i

vari attori coinvolti nel progetto, permette di dare nuovi strumenti agli operatori per

affrontare la quotidianità.

Con i momenti di Supervisione organizzati durante le équipe I.E.S.A si permette di

mettere a fuoco le complessità relazionali che vengono a crearsi all’interno del

gruppo e delle convivenze. La supervisione aiuta ad elaborare le possibili strategie

per far fronte e risolvere difficoltà ed incomprensioni. “Lo I.E.S.A ha portato

innovazione nel modo di lavorare, grazie alla grande comunicazione. Anche se

l’avere tante competenze porta a sentire più il dolore, non riusciranno a distruggere i

nostri sogni. L’importante è condividere e lo Iesa si è costruito la possibilità di

farlo.”38

38 Momenti di supervisione presso I.E.S.A. Bologna. Supervisore: Dott. Paolo Host.

41

2.3 IL CONTRIBUTO DELL’ASSISTENTE SOCIALE

«L’assistente sociale riconosce la centralità della persona in ogni intervento.

Considera e accoglie ogni persona portatrice di una domanda, di un bisogno, di un

problema come unica e distinta da altre in analoghe situazioni e la colloca entro il suo

contesto di vita, di relazione e di ambiente, inteso sia in senso antropologico-culturale

che fisico.

La professione è al servizio delle persone, delle famiglie, dei gruppi, delle comunità e

delle diverse aggregazioni sociali per contribuire al loro sviluppo; ne valorizza

l’autonomia, la soggettività, la capacità di assunzione di responsabilità; li sostiene nel

processo di cambiamento, nell’uso delle risorse proprie e della società nel prevenire

ed affrontare situazioni di bisogno o di disagio e nel promuovere ogni iniziativa atta a

ridurre i rischi di emarginazione.

Inoltre, essa deve contribuire a promuovere una cultura della solidarietà e della

sussidiarietà, favorendo o promuovendo iniziative di partecipazione volte a costruire

un tessuto sociale accogliente e rispettoso dei diritti di tutti; in particolare riconosce la

famiglia nelle sue diverse forme ed espressioni come luogo privilegiato di relazioni

stabili e significative per la persona e la sostiene quale risorsa primaria.»39

Durante il suo percorso di formazione e successivamente di aggiornamento, per

l’assistente sociale diventa una necessità prioritaria considerare la dimensione etica

del suo operare, ciò avviene soprattutto attraverso una profonda conoscenza del

proprio sé, un percorso questo che arricchisce il cosiddetto saper essere

dell’operatore, che insieme al sapere (le conoscenze) e il saper fare (le tecniche, la

metodologia) fanno dell’assistente sociale un professionista competente. Questa

conoscenza di se stessi può partire dalla scoperta di quali siano le motivazioni che

hanno determinato la scelta di questa professione.

39 CODICE DEONTOLOGICO DELL’ASSISTENTE SOCIALE. Testo approvato dal Consiglio Nazionale nella seduta del 17 luglio 2009.

42

Il ruolo dell’assistente sociale si avvicina sempre più a quello di promotore del

cambiamento, ha una formazione polivalente, e sempre più spesso lavora in équipe e

sperimenta l’uso del lavoro di comunità.

L’assistente sociale ha, infatti, un campo di azione molto ampio, che investe molti

soggetti, non solo le singole persone in stato di bisogno, ma anche la comunità nel

suo insieme e le istituzioni che la compongono. Tutti hanno sia dei diritti di tutela sia

dei doveri e delle responsabilità: l’utente, l’operatore, l’istituzione, la comunità

territoriale.

L’azione dell’assistente sociale, si rivolge verso tutti gli individui, i gruppi e le

comunità, e si esplica all’interno dei servizi sociali che fanno capo ad istituzioni sia

pubbliche che private, spesso lavorando in équipe.

Oggi l’assistente sociale è chiamato ad assumere una molteplicità di ruoli: oltre ad

essere identificato come colui che esercita la tradizionale funzione di aiuto, può

essere visto come: mediatore tra l’individuo e le istituzioni; promotore delle risorse,

rilevatore dei problemi presenti sul territorio, difensore dei diritti fondamentali degli

utenti.

Grazie ai grandi mutamenti legislativi che hanno caratterizzato in questi anni il

settore socio-assistenziale con l’introduzione del concetto di territorio, vengono

valorizzate le autonomie locali, contribuendo a sviluppare una politica di

deistituzionalizzazione e di costruzione di servizi territoriali, capaci di mantenere il

più a lungo possibile le persone del proprio ambiente familiare mobilitando se

necessario, la famiglia, la comunità locale, il vicinato.

L’obiettivo principale è formulare un piano terapeutico e assistenziale derivato dai

bisogni del paziente, bisogni che cambiano e a cui è necessario, nel tempo, dare

risposte diverse e mutevoli.

Per quanto riguarda il suo contributo all’interno del Progetto I.E.S.A vediamo che

sono stati effettuati incontri sia di gruppo che individuali con molti Assistenti Sociali,

sia per presentare il Progetto I.E.S.A, sia per coinvolgerle operativamente nel

raccogliere ulteriori stimoli che potenziassero l’operatività. Successivamente sono

43

state contattate per approfondire la progettualità e cogliere ulteriori disponibilità.

Purtroppo, sono state riscontrate delle difficoltà a causa di: mancanza di personale,

eccessiva burocratizzazione del lavoro, difficoltà nell’inserirsi nella rete territoriale

in termini costanti nel tempo e l’impossibilità di coniugare, se non in minima parte,

lavoro di rete con lavoro d’ufficio.

Il contributo dell’assistente sociale all’interno del Progetto I.E.S.A risulta comunque

presente in quanto è di fondamentale importanza per l’indirizzamento dell’utente al

progetto e per la collaborazione con l’équipe Iesa che si viene a creare.

Collaborazione finalizzata a valutare insieme gli interventi opportuni grazie al fatto

che essa possiede un rapporto di conoscenza sia dell’utente ma anche un rapporto

continuativo e di collaborazione con l’équipe Iesa. Questa dimensione organizzativa

può facilitare molto l’empowerment dell’Assistente sociale in quanto la

collaborazione è una della carte vincenti del lavoro sociale.

44

3 STORIE DEL MONDO I.E.S.A

3.1 LA MIA PERSONALE ESPERIENZA COME TIROCINANTE

PRESSO LO I.E.S.A DI BOLOGNA

Storie “diverse”

Come già premesso, la scelta della mia tesi, oltre alla passione per tutto ciò che

riguarda la salute mentale, nasce dalla mia esperienza diretta con il Progetto I.E.S.A

di Bologna in Viale Carlo Pepoli.

Il mio percorso formativo come tirocinante, si arricchisce e si completa proprio lì,

durante le ore trascorse presso la sede, dove ho avuto la possibilità di raccogliere tutti

quei momenti carichi di emozioni e insiti di significato.

Non avevo proprio idea di cosa fosse lo I.E.S.A., e mai ne avevo sentito parlare.

La prima volta mi accolse Daniele, ospitandomi in una piccola sala dove mi

attendevano gli altri operatori, che con fare garbato ed affettuoso mi misero subito a

mio agio.

Inizia così il mio lavoro di osservazione.

Durante gli incontri, ho seguito vari casi di inserimento di utenti di età e storie

completamente diverse, interessanti proprio al fine di mostrare il Percorso I.E.S.A

come un contesto valido per ogni tipo di paziente in quanto, indipendentemente dalla

storia di ognuno di loro, offre una seconda opportunità in un contesto di vita reale.

Difatti, nella maggior parte delle convivenze, è dimostrabile ed evidente quanto

positiva possa essere l’esperienza per le due parti.

Presenterò alcune storie, soffermandomi in particolare su quella che a mio avviso è la

più interessante e coinvolgente sia dal punto di vista professionale che umano.

Nel raccontare utilizzerò, nel rispetto della privacy, nomi di fantasia.

Mi auguro che attraverso questa sorta di narrazione, il lettore possa comprendere

quanto di positivo c’è nel Progetto I.E.S.A, e dunque apprezzare la validità del suo

operato.

45

Paolo, paziente con grave deficit mentale, di circa 50 anni, residente in una comunità

da molti anni. Unico familiare presente è la sorella, la quale sembra esserci ma in

maniera discontinua. Attualmente è in corso un inserimento part- time presso la

signora Giovanna.

Ho avuto modo di conoscere Paolo e la sua ospitante il mio primo giorno allo

I.E.S.A. Erano al Dipartimento per il rimborso mensile delle spese; Daniele mi

presentò entrambi, e dopo loro consenso, assistetti al colloquio.

Nel mentre si parlava del più e del meno, notai Paolo particolarmente silenzioso,

pensai che fosse imbarazzato dalla mia presenza, invece Giovanna spiegò che era

arrabbiato perché non gli aveva permesso di fare colazione alle 6 del pomeriggio.

Raccontò anche che quella mattina, Paolo era stato maldestro, mangiando tutti

dolcetti che Giovanna aveva preparato in occasione della riunione serale presso il

Dipartimento con i nuovi ospitanti. L’imbarazzo di Paolo a quelle parole mi intenerì,

mi fece capire quanto fragile fosse.

Intanto il taxi era arrivato per riportarlo in comunità e solo allora, guardando i suoi

occhi, mi resi conto di quanto importante fosse Giovanna per lui.

Quella stessa sera, ci fu l’incontro con gli Ospitanti finalizzato ai nuovi, per

raccontare le emozioni di chi ha già vissuto l’esperienza di inserimento.

Il tutto avvenne in un ambiente accogliente e familiare grazie alla professionalità

degli operatori e alla collaborazione dei vecchi ospitanti.

Nella sala riservata alle riunioni, il gruppo seduto in cerchio, si preparò ad interagire.

Ricordo l’intervento della Signora Franca che con semplici parole raccontò la sua

storia con Luca, paziente schizofrenico ospite a casa sua a tempo pieno.

“Era un periodo difficile perché mi sentivo sola, con mio marito era finita e con mio

figlio non avevo più rapporti, avevo bisogno di qualcuno che mi facesse compagnia.

Lo I.E.S.A mi ha dato la possibilità di conoscere Luca. Le prime volte con lui è stato

difficile perché non potevo lasciarlo mai solo, dovevo sorvegliarlo continuamente.

Ma poi, pian piano siamo entrati in sintonia. L’ho impegnato facendogli fare varie

esperienze, seguendo dei corsi e rendendolo partecipe anche nelle attività domestiche.

46

Poi un giorno ho conosciuto Riky, il mio attuale marito e anche loro si sono piaciuti

da subito. A Luca è piaciuto anche il cane di Riky che oramai fa parte della nostra

famiglia. Insieme stiamo bene, condividiamo tutto e questa esperienza ci ha arricchito

tanto. Ogni giorno che passa ringraziamo Luca per la sua vicinanza”.

Il suo racconto fu interrotto proprio da Luca il quale, appena entrato in sala,

timidamente porge a Franca una rosa rossa per poi sederle accanto. Un grande

applauso nacque spontaneo da parte di tutti noi per l’emozione di quel momento.

Fu il turno di Giovanna che presentò la sua storia di “inserimento” con Paolo.

“ La morte di mio marito fu un grande dolore, ma non riuscivo ad accettare quella di

mio figlio e vedere il suo bambino crescere senza il suo papà, mi portò quasi alla

depressione. Sono stati per me momenti difficilissimi che ho potuto superare solo

dedicandomi agli altri attraverso il volontariato. Il progetto I.E.S.A mi ha incuriosito

fin dall’inizio, dandomi la possibilità di conoscere Paolo attraverso un percorso di

affidamento part- time. A lui piace andare al cinema, passeggiare, fare colazione

all’aperto, e cucinare; dopo il pranzo solitamente gli piace fare un pisolino sul divano,

coprendosi con la sua copertina preferita. Accontentare Paolo rende felice anche me,

mi dedico a lui con amore e me ne occupo come se fosse mio figlio.”

Quella sera, tutti i presenti ebbero modo di raccontare le loro storie in un clima

sereno e familiare.

Tornai a casa entusiasta ed eccitata per la forte esperienza vissuta, convinta ancor di

più, che lavorare in quel contesto fosse la cosa che più desideravo.

Nei successivi incontri allo I.E.S.A a cui solitamente partecipavo, ho avuto modo di

conoscere meglio la storia di Paolo e Giovanna e di capire quanto fossero importanti

l’uno per l’altro.

Quel giorno Giovanna era un po’ stanca. Racconta:

“Ho dovuto pulire più volte il bagno, sporco persino sui muri perchè Paolo

ultimamente ha problemi di incontinenza. Ho chiesto alla comunità di lasciarmi dei

vestiti , così ho modo di lavarlo e cambiarlo.

47

Sono un po’ preoccupa per quanto accaduto, ma per me non è un problema, lui è

come se fosse mio figlio”.

Intanto Paolo, con aria ingenua, rivolge lo sguardo a Daniele in cerca di conforto

quasi a voler dimostrare la normalità di quanto accaduto.

Anche in questa circostanza, Giovanna si mostrò disponibile e sensibile come fa una

vera mamma.

Così, ci salutammo dopo aver fissato un nuovo incontro.

Arrivò per me anche il momento dell’ultimo incontro con Paolo.

Quella mattina, Giovanna piangeva, raccontò che anche sua nuora si era ammalata e

che adesso era lei ad accudire il nipotino. Una nuova storia di dolore apriva ferite non

ancora guarite. Paolo non parlava, ascoltava in religioso silenzio, avvertiva il suo

malessere e soffriva per lei.

Questa volta, però, Giovanna non è sola, c’è Paolo che la supporta come lui sa fare,

con la sua presenza silenziosa, ma costante.

Gli incontri a seguire dimostrarono quanto di buono c’è in questa storia e quanto il

progetto I.E.S.A, valido contesto per pazienti ed ospitanti, abbia contribuito al

benessere delle parti.

La storia di Giovanna e Paolo testimoniano un amore scarno di parole, ma ricco di

sorrisi nascosti e sguardi d’intesa. Sorrisi sofferti tra i due che ho impresso nella

mente e che porterò per sempre nei miei ricordi.

48

Con tutto il mio affetto a Paolo e Giovanna

“Io non ho bisogno di denaro.

Ho bisogno di sentimenti,

di parole, di parole scelte sapientemente,

di fiori detti pensieri,

di rose dette presenze,

di sogni che abitino gli alberi,

di canzoni che facciano danzare le statue,

di stelle che mormorino all’ orecchio degli amanti.

Ho bisogno di poesia,

questa magia che brucia la pesantezza delle parole,

che risveglia le emozioni e dà colori nuovi.”

Alda Merini

49

3.2.Casa con Macchia, di Rita Lambertini.

“Ho deciso di inserire la storia “Casa con Macchia” in quanto scritta da una delle

operatrici Iesa di Bologna che ho potuto conoscere grazie a questa esperienza. Le

sue parole vi faranno capire quanto per loro significa lo Iesa. Ringrazio Rita

Lambertini per avermelo consentito. E, ringrazio in modo particolare tutti gli

operatori Iesa di Bologna per avere anche me accolto a braccia aperte, come gli è

solito fare."

Casa con Macchia

“Benedetto il viaggio che vi porta, il Mare Rosso che vi lascia uscire, l’onore che ci

fate bussando alla finestra.” Erri De Luca

3 aprile 2012

Ciao Gianpaolo

L’ultima volta che con Enzo siete scesi a Bologna per uno dei nostri incontri di

supervisione ci avete caldamente suggerito di “utilizzarvi” anche a distanza per le

situazioni d’emergenza che sbocciano improvvise.

Grazie, ho pensato.

Non credevo che nell’arco di due settimane mi sarei ritrovata una mattina a seguire le

volute dei fiocchi di neve grandi come A4, che da giorni cadevano su Bologna, per

non perdere il filo del racconto concitato al telefono con te.

Il nucleo del problema era, come ricorderai, il triste binomio iesa-carcere nella

convivenza dei nostri Antonio e Kaled, binomio che ci vede ormai i massimi esperti

nazionali, visto che su 10 convivenze in atto già 2 ci hanno regalato questa bella

50

specializzazione. Aggiungerei anzi un terzo polo: iesa-carcere e immigrati stranieri, a

conferma del più trito luogo comune.

Ma veniamo a Antonio e Kaled, Italia e Somalia, ospitante e ospite, mani forti e

passo incerto, cinquant’anni e venticinque... alla loro convivenza IESA.

Quando ci siamo sentiti per telefono, dunque, ci trovavamo davanti a un imprevisto.

Avevamo l'urgenza di trovare, fra le pieghe della nostra burocratica organizzazione

aziendale usl, lo strumento appropriato per mantenere vivo un rapporto di convivenza

IESA nato da così poco tempo e improvvisamente messo a dura prova. Antonio e

Kaled si erano frequentati per due mesi qualche pomeriggio alla settimana e qualche

weekend; erano pronti però ad iniziare a vivere insieme. Poi il colpo di scena: il

martedì firmiamo con tanto di ufficialità delle alte sfere aziendali il contratto per

l’inizio della convivenza a tempo pieno e il mercoledì Antonio si vede scippare dalle

patrie galere l’ospite Kaled!

E’ successo che la mattina del mercoledì Kaled doveva andare in questura a ritirare

dei documenti e poi traslocare le sue cose da Antonio, invece non ha dato più segni di

sé e il suo cellulare suonava a vuoto. L’allarme è scattato qualche ora dopo quando a

tutti noi che lo stavamo cercando, compreso Antonio e gli operatori del Centro di

Salute Mentale, è parso chiaro che qualcosa doveva essere successo. Allarme non

immotivato per chi conosce gli occhi di Kaled, il suo sguardo da naufrago, per chi gli

ha dato ascolto nei suoi racconti spezzati.

Dopo due giorni di ricerche e contorte congetture, grazie all’anima buona di un

commissario, abbiamo saputo che Kaled quella mattina effettivamente si è presentato

in questura ed effettivamente ha ritirato un documento... ma invece della copia della

sua carta d’identità, smarrita ormai mille volte, si è visto notificare una vecchia

pendenza penale improvvisamente divenuta esecutiva e, insieme a quella, le manette

ai polsi e l’immediata “traduzione” in carcere. Olè!

A quel punto abbiamo dovuto costruire un’impalcatura di delibere, consensi e pareri

(dal clinico all’amministrativo al semplicemente umano) per sostenere questo

51

giovane rapporto di convivenza e amicizia far i due, tanto fragile da poter

soccombere di fronte alla deflagrazione di una bomba del genere. Consultazioni e

incontri, operatori, dirigenti e avvocati, tutti a muoverci come formiche, a dispetto

delle montagne di neve che rendevano Bologna impraticabile, ma alla fine siamo

riusciti a creare le condizioni che permettono ad Antonio di realizzare quello per cui

tenacemente è arrivato fin qui: aspettare Kaled e accoglierlo in casa.

Ma…

Sono già passati 2 mesi e 10 giorni dall’arresto e il nostro Kaled è ancora ospite

dell’infermeria della Casa Circondariale DOZZA di Bologna e tutto fa pensare

purtroppo che, pur essendo la sua una pratica semplice e di poca importanza per il

tipo di reato e l’entità della pena (7 mesi), gli intricati passaggi della burocrazia

penale non rispondano all’esigenza umana di vederlo libero il più presto possibile.

Antonio in questa attesa si sta snervando, le sue prospettive sul progetto IESA ogni

tanto vacillano e cerchiamo per quanto possibile di non fargli pesare anche una serie

di sgradevoli inghippi della nostra amministrazione grazie ai quali siamo spesso in

vergognoso ritardo con il rimborso spese. Ma continuiamo fiduciosi nel valore dello

IESA e… nel sistema giudiziario italiano!!!

Rita per lo IESABo

4 maggio 2012

Caro Gianpaolo

ancora noi di IESABo, ancora senza belle notizie da darti sulla sorte di Kaled, ancora

qui a sognare di vederlo camminare per la strada e salire i 100 gradini della casa di

Antonio.

La settimana scorsa però l’ho visto davvero. In carcere.

L’assistente sociale e l’infermiere del CSM non hanno mai mollato e in questi mesi

sono riusciti ad andare a trovarlo tutte le settimane facendogli sentire vivo il legame

52

con la vita fuori. Lui chiedeva e salutava. Salutava Antonio, salutava i compagni

della squadra dei Diavoli Rossi, salutava Macchia, il cane. Visto che la fine del tunnel

pareva allontanarsi abbiamo quindi chiesto un permesso anche noi operatori dello

IESA e così ieri per la prima volta nella mia vita ho varcato le porte della Dozza.

Come spesso accade le nostre ansie di operatori ci fanno prefigurare situazioni

catastrofiche così da essere pronti un po’ a tutto e trovare motivazione alla Sindrome

del Salvatore dell’Umanità che giace riposta in fondo allo zainetto che portiamo tutti i

giorni sulle spalle.

Così io ero pronta ad entrare in questo luogo mitico della segregazione e trovarmi di

fronte un Kaled steso e mezzo morto, a letto in silenzio o delirante; chissà se mi

riconosce, pensavo.

Invece, complice la bella giornata di sole e la scioltezza dell’assistente sociale che lì è

di casa, ci siamo trovati in una stanzetta col telefono e il computer e Kaled ben tenuto

e profumato che ci abbracciava, ci stringeva le mani, baci sulla fronte, poche parole

ma molta gioia evidente. Siamo rimaste poco, buona parte del tempo è stato occupato

dalle prassi burocratiche per l'ingresso, ma siamo rimaste insieme ad Kaled il tempo

giusto per constatare una evidenza che ci ha spiazzato: lui in carcere ci stava bene!

Quanta paura può fare essere liberi con un dolore che dilaga senza confini?

“L’uomo è già prigioniero di sé stesso…perché infierire ulteriormente” faceva dire

alla porta parlante della sua prigione, sulle pagine di Linus, qualche anno fa Mario

Dalmaviva.

Ieri arrivo al servizio a Casalecchio e mi trovo sul tavolo una busta, mittente Kaled

via del gomito,2, indirizzo della Dozza. La apro, emozionata. Dentro c’è una vecchia

cartolina un po’ ingiallita dell’albergo Vescovi di Asiago con una veduta dall’alto e

un interno della sala da pranzo, pochi tavoli con le tovaglie bianche.

Da quale cassetto pieno di muffa sarà mai uscita!?

53

Kaled mi scrive dell’emozione di vedermi, qualche giorno prima, che lo aveva

lasciato senza parole. Ora invece una vecchia cartolina di Asiago è il suo piccolo

microfono rivolto al mondo a cui invia messaggi che risuonano affetto e tanta

gratitudine.

8 giugno 2012

Ciao Giampaolo.

Intanto la notizia: il 9 maggio alle ore 18 il sig. Antonio riceve improvvisamente una

telefonata dall’appuntato X della Casa circondariale Dozza di Bologna che gli dice

“stiamo rilasciando Kaled A.K. se lo venga a prendere!” più o meno così.

Dalla Dozza un passaggio al CSM e poi a casa.

Un po’ rocambolescamente ma la convivenza fra i nostri due così è iniziata.

E noi, come sempre, in allarme!

Temevamo molto per Kaled. Temevamo che dopo questa esperienza del carcere una

volta entrato a vivere in una casa, la prima casa della sua vita in Italia, avrebbe

richiesto un supporto molto impegnativo e così ci siamo rimboccati le maniche pronti

a doppi turni di sostegno alla convivenza.

Invece è l’atmosfera “di casa” a dare la prima fondamentale risposta terapeutica alla

faticosa esistenza di Kaled.

C’è una stanza luminosa, c’è un letto e un armadio dove Kaled tiene in un certo

disordine le sue cose. C’è uno scaffale con alcuni libri scolastici, suoi, e uno stereo

con dei CD, di Antonio.

Durante i primi giorni a casa Kaled ascolta tanta musica e fa fatica a dormire. Ha

molto da smaltire.

Per fortuna riprende subito la borsa lavoro, tutte le mattine.

54

Riattivati anche gli impegni col gruppo sportivo dei Diavoli Rossi pian piano le sue

giornate si riempiono di nuovo di persone, incontri, vita vissuta.

E quindi di pensieri, di incubi come li definisce lui.

Odia il mare, non vuole vedere acqua. Lo abbiamo capito finalmente, noi che

continuavamo a proporgli di andare al mare in gita! Chissà quale orco lo ha

traghettato sin qua, sulle sponde morbide dello IESA. Dicono che quando è sbarcato

sulle nostre coste, unico sopravvissuto, abbia creduto per alcuni giorni di essere

invece l’unico morto. Il suono della sua voce cambia quando ci offre gli assaggi del

suo racconto epico e io lo vedo accerchiato dai fantasmi dei suoi compagni, un

vorticare di corpi leggeri e mal vestiti, barbe di tanti giorni e odore di umanità. I suoi

occhi svuotati e acquosi, da naufrago, chiamano senza voce. Le mani nuotano

nell’aria, forse ha fame.

Oggi alla fame risponde col riso e verdure che cucina insieme a Giovanni e alla sete

con bottiglie di tè freddo fatto in casa. Una vita un po’ insipida? Non c’è problema: le

giornate di Kaled, oggi, sono condite da una pesante burocrazia penitenziaria che

prevede la visita a casa costante, tutti i giorni, spesso anche due volte e a tarda notte,

di un poliziotto che suona il campanello, chiede documenti, entra in casa o, al

contrario, urla dal pianerottolo di sotto nome e cognome e così tutti i vicini chiedono

cosa è successo…sai, qui a Bologna siamo anche in emergenza terremoto quindi ogni

rumore sopra le righe fa sobbalzare anche gli scarafaggi in cantina. Se tutto va bene

questo regime assurdo potrebbe finire alla fine di luglio (se gli abbuonano due mesi

per la buona condotta) altrimenti si va a finire a settembre.

Noi andiamo a trovarli tutte le settimane. Stiamo nei divani in cucina a bere thè e a

fare coccole a Macchia.

Kaled oggi sta meglio.

Si racconta. Seduti sui divani ci offre altri pezzi dei terribili incubi che lo assediano:

vede sangue umano attorno a lui, vede membra spezzate, e dice che vuole

55

raggiungere sua madre, che è stata massacrata insieme al resto della famiglia davanti

ai suoi occhi.

Una piena che quando tracima per fortuna trova argine negli operatori del CSM che

lo vedono tutti i giorni, nella capacità di Antonio di dare luce alla sua vita. Una piena

che chiede di trovare un alveo. Allora dobbiamo muoverci dai divani, urge il

movimento. Scendiamo – dopo aver telefonato al piantone di turno - scendiamo a fare

una passeggiata lungo il greto del fiume, sotto i pioppi d’argento, Macchia che fa il

sentiero avanti e indietro. Passeggiate brevi però, sentiamo presto che Kaled non è

più lì, che vuole tornare a casa con Macchia, “troppa libertà” ci dice, troppa libertà.

Così ogni giorno camminiamo e andiamo avanti.

A presto. Rita

Postilla “Adesso c’è la madre!”

25 agosto 2012

Caro Gianpaolo, sempre noi dello IESA di Bologna.

Eccomi di nuovo qui a scriverti per togliere i puntini di sospensione alla biografia del

nostro Kaled.

La vita con le sue grandiosità non si risparmia.

Capita, davanti a una esistenza come la sua, a noi spettatori di avvertire un prurito di

incredulità che quando vai a grattare sprigiona le classiche contraddizioni fra la resa

davanti a un sistema che sembra promuovere le ingiustizie sociali e il desiderio di

correre in avanti a tagliare il traguardo del riscatto. Nel mio caso di solito vince la

seconda ma a volte ci sbatto il naso.

Questa volta ...non te lo dico prima, leggi fino in fondo.

56

L'altro giorno scrivevo in una mail ai compagni dello IESA che è importante sostare

sulle ultime vicende che riguardano la vita di questo giovane somalo e lasciare che

l’emozione ci investa. Almeno parlo per me che lunedì scorso, incontrandolo per il

nostro solito appuntamento di chiacchiere IESA, ho raccolto in diretta la sua

testimonianza del racconto della telefonata di sua madre dallo Yemen con tanto di

lacrime (sue) pelle d’oca (mia) e sguardo complice di fratello Mwai che era lì con

noi.

Io venivo da giorni in cui il tarlo era ...ma quanta sfiga si può abbattere sulla vita di

un uomo?

In breve. Finalmente ottenuti gli arresti domiciliari a casa di Antonio, che gli hanno

permesso fra l'altro di riprendere la borsa lavoro con cui riesce a pagarsi poco più che

le sigarette, gli arriva un bollettino postale di 179 euro per il pagamento del suo

mantenimento in carcere! Boh!

Poi: improvvisamente viene interrotta la borsa lavoro per “lavori di manutenzione

improrogabili” al Mercato delle Erbe presso cui fa le pulizie tutte le mattine e potrà

riprendere solo dopo due mesi. Due mesi!?! Come togliere l’ossigeno a un subacqueo

che scende in profondità visto che quelle 4 ore la mattina sono l'unico permesso di

uscita da casa che l'amministrazione giudiziaria gli concede senza eccezionali

richieste di preavviso giorni prima. Per fortuna siamo riusciti a metterci una pezza, in

agosto, non facile!

La settimana scorsa quindi, non avendo il tempo di vederlo come al solito a casa o

allo Iesa, lo chiamo e gli chiedo se può andare bene se facciamo il nostro incontro sul

pulmino col quale sarei andata a prenderlo alla Cooperativa Sociale per

accompagnarlo poi al CSM, sua destinazione dopo la mattinata di lavoro.

Quando arrivo trovo Kaled e Mwai fuori all’ombra di una albero che mi aspettano.

Sono compagni di calcio nei Diavoli Rossi e ora anche compagni di lavoro.

Al primo sguardo Kaled mi appare particolarmente solare. Sono colpita di tanta

accoglienza affettuosa da parte di entrambi ma non connetto questa luce con le

57

notizie che giravano da qualche giorno; lì alla guida del pulmino sono ignara, terra

vergine da espugnare con la forza della sorpresa.

Baci e abbracci e partiamo.

Kaled di fianco a me e big Mwai, venuto anni fa dal Kenya probabilmente con lo

stesso treno del deserto e del mare, dietro, come a proteggerci.

Ma è lungo i viottoli della campagna di Riale che Kaled interrompe improvvisamente

le chiacchiere sulla borsa lavoro per dirmi piano ” ..sai, mia mamma è viva...l’ho

sentita per telefono!!!”

Io sbiadisco e lui mi restituisce un'intensità dello sguardo che cancella

improvvisamente il naufrago che avevo sempre visto. Devo guidare ma non riesco a

non fissarmi sui suoi occhi che si inumidiscono di lacrime. Chiedo come, cosa,

perché ...e lui mi precisa che l’altro giorno lo ha chiamato la zia dallo Yemen che gli

dice ad un certo punto “ti passo tua madre... e lui non ci credeva ma, mi dice, ...poi ho

riconosciuto la voce...”

Deglutisco. Continuo ad ascoltare.

Mi racconta che in effetti nel famoso giorno, 9 anni fa, del massacro della famiglia lui

è scappato dalla finestra subito, ai primi spari. Io lo ascolto e monto le mie immagini

nella bella casa di famiglia di un commerciante di Mogadiscio dove in tempo di pace

il caldo e il vento alleggeriscono i passi degli abitanti ma oggi... no, tutto pesa come il

piombo, come il sangue... Un peso indelebile e ricorrente che Kaled porta dentro di

sé, inciso.

La madre è spietata nel racconto ma precisa: quel giorno sono stati uccisi tutti i

maschi della famiglia e sono rimaste vive solo lei e la sorella Amina.. Rabbrividisco e

parte un altro film: cosa hanno vissuto due donne che restano superstiti a un massacro

del genere? e rimangono in silenzio per nove anni a ricucire le ferite!?

Kaled incalza e chiede alla madre perché?…perchè lo ha abbandonato senza fargli

sapere più niente. Lei conferma che sono rimaste tutto questo tempo, in miseria, in un

58

campo profughi in Kenya. E qui fratello Mwai alle nostre spalle borbotta, sornione e

compiaciuto, il nome della città di Garissa al confine fra Kenya e Somalia dove da

anni il governo keniano ospita profughi somali.

Così, nel teatrino che ha preso vita dentro l'abitacolo del pulmino anche Mwai, per il

solo fatto di essere cittadino keniano, quindi di un paese amico, e di conoscere

Garissa, conquista un ruolo di primo piano nella tragedia di Kaled.

Solo da poco tempo – aggiunge Kaled - sono riuscite a fare un documento che attesta

lo status di profughe e andare clandestinamente via nave nello Yemen dalla zia.

Io devo respirare profondamente, lui continua a parlare con Mwai attraverso un filo

invisibile di complicità che riempie l'aria di qualcosa che ricorda la fiducia nel futuro.

Riconosco l'atmosfera, è quella dentro cui maturano i legami affettivi fra gli esseri

umani. Qui Kaled e Mwai sembrano davvero fratelli. E all'interno di questo

laboratorio, naturale e umano, di coltura dei legami ci permettiamo anche di

nominare la morte, quella atroce ma scampata, che ha falciato tutti i maschi di

famiglia tranne lui e ...- mi suggerisce - anche nel mare , anche nel mare siamo

rimasti vivi solo in tre!

Arriviamo a Casalecchio e salutiamo Mwai. Fra di loro si chiamano ripetutamente

fratello, sono vicini di casa in Africa e vicini di destino! Kaled è davvero raggiante e

continua a dirmi che questa cosa cambia tante prospettive della sua vita. “Non sono

più solo -dice- adesso c'è la madre!

Io ad un certo punto non ho più le parole, non so più che domande fargli, ho paura di

essere troppo coinvolta e di metterci troppo del mio.

Quando lo saluto scendo dal pulmino per fargli un abbraccio forte, lui mi stringe le

mani e mi bacia la fronte...in questo momento è davvero felice!

Dulcis in fundo: ieri sera suona il cellulare IESA. Erano Antonio e Kaled, assieme,

che ci annunciavano l'arrivo della notifica di “scarcerazione preventiva per buona

condotta”. Da oggi Kaled torna ad essere un uomo libero!

59

A questo punto, penso, la biografia non è più sospesa, ha raggiunto una sua forma,

una compiutezza. Ha nuovi lineamenti e noi spettatori possiamo vederla.

Adesso c’è la libertà.

Adesso c’è la madre.

Adesso c’è la casa con Antonio e Macchia.

Adesso c’è una vita nuova.

60

3.3. DATI ATTIVITA’: PROGETTO I.E.S.A DI BOLOGNA

AL 30.09.2014

Andrò ad illustrare i dati pregressi e attuali del Progetto I.E.S.A di Bologna, in merito

agli Ospiti ed Ospitanti rappresentandolo attraverso Tabelle e numeri reali.

CANDIDATI

OSPITANTI

NEL

2008

2009

2010

2011

2012

NEL

2013

I

TRIM

2014

II

TRIM

2014

III

TRIM

2014

Complessivo

usciti dal

progetto

Totali

al

30.09.14

Famiglie

contattate

1273 343 23 26 117 1782

Primo colloquio

con famiglie che si

candidano

142 23 9 5 3 -63 119

Colloquio semi-

strutturato con le

famiglie che si

candidano

94 21 6 5 1 -23 104

Visita domiciliare

a famiglie

74 17 3 5 2 -8 93

Famiglie abilitate

all’ospitalità

Full-Time

38 8 2 2 -19

Part-Time 23 14 4 3 3 -12

Tot.ospitanti

abilitati

61 22 6 5 3 -31

66

61

INVII

CANDIDATI

OSPITANTI

NEL

2008

2009

2010

2011

2012

NEL

2013

I

TRIM.

2014

II

TRIM.

2014

III

TRIM.

2014

Complessivo

usciti dal

progetto

Tot. al

30.09.14

CSM S.Giorgio di

Piano

10 1 = = = -8 3

CSM S.Giovanni

in Persiceto

7 1 1 = = -8 1

CSM Budrio 3 = = = = -3 0

CSM Scalo 13 1 2 1 = -12 5

CSM Mazzacorati 13 3 1 2 = -11 8

CSM Zanolini 3 = = = = -2 1

CSM Nani 3 2 1 = = -3 -3

CSM Tiarini 5 1 = 1 = -3 3

CSM Casalecchio 11 3 = 1 = -10 5

CSM S.Lazzaro 2 2 = 1 = -2 3

CSM Vergato = = = = = = =

TOTALE

INVII

70 14 5 6 = -62 33

62

PERCORSO

ABILITAZIONE

CANDIDATI

OSPITI

NEL

2008

2009

2010

2011

2012

NEL

2013

I TRIM

2014

II

TRIM

2014

III

TRIM

2014

COMPLESS

IVO

USCITI

DAL

PROGETT

O

TOTALI

AL

30.09.14

Incontro con

équipe referente

dopo invio

candidato

62 10 5 7 2 -11 75

Primo colloquio

con candidati

ospiti

45 13 6 3 3 -2 68

Colloquio

semistrutturato

con candidati

ospiti

43 13 5 2 6 -8 61

Ospitanti

abilitati:

Full-Time

24 6 1 3 3

Part-Time 13 5 = 1 =

Totale ospiti

abilitati

37 11 1 4 3 -31 25

63

Nel 2009 Nel 2010 Nel 2011 Nel

2012

Nel

2013

CONVIVENZ

E IN CORSO

1 da casa 4 di cui

-1 P-T da

struttura

-1 F-T da

casa

-2 F-T da

struttura

11 di cui

-3 P-T da

casa

-3 P-T da

struttura

-1 F-T da

casa

-4 F-T da

struttura

15 di

cui:

-3 P-T

da casa

-2 P-T

da

struttur

a

-1 F-T

da casa

-6 F-T

da

struttur

a

15 di

cui:

-4 P-T

da casa

-3 P-T

da

struttur

a

-7 F-T

da

struttur

a

- 1 F-T

da casa

CONVIVENZ

E CONCLUSE

1 da casa 2 da struttura 4 da

casa

3 da

casa

2 da

struttur

a

I

TRIMESTR

E

2014

II

TRIMESTR

E 2014

III

TRIMESTR

E 2014

CONVIVENZE

IN CORSO

14 di cui:

-4 P-T da casa

-3 P-T da

struttura

-6 F-T da

struttura

-1 F-T da casa

14 di cui:

-4 P-T da casa

-4 P-T da

struttura

-4 F-T da

struttura

-2 F-T da casa

12 di cui:

-2 P-T da casa

-3 P-T da

struttura

-4 F-T da

struttura

-3 F-T da casa

CONVIVENZE

CONCLUSE

2 da struttura 2

1 da struttura

1 da casa

0

Legenda: Part- Time (P-T)_ Full- Time (F-T)

CONVIVENZE ATTIVE AL 30.09.14 : 12

64

SINTESI DATI ATTIVITA’ I.E.S.A

OTTOBRE 2008- 30 SETTEBRE 2014

FAMIGLIE CONTATTATE 1782

FAMIGLIE ABILITATE

ALL’OSPITALITA’ (di cui 32 uscite

dal Progetto dopo l’abilitazione)

97

CANDIDATI OSPITI INVIATI DAI

CSM (di cui 63 da casa e 32 da

strutture)

95

OSPITI ABILITATI

(di cui 31 usciti dal Progetto dopo

l’abilitazione)

56

CONVIVENZE ATTIVATE 28*

CONVIVENZE IN CORSO 12 (5 PT e 7 FT)

CONVIVENZE CONCLUSE 16

CONVIVENZE IN CORSO DI

ATTIVAZIONE

(quarto trimestre 2014)

1

*14 DA STRUTTURE (Residenze a Trattamento Protratto, Gruppi

appartamento a diverso grado di protezione)

*14 DA CASA

NOTA: delle 28 convivenze attivate, 3 ospiti hanno utilizzato ciascuno due famiglie

ospitanti, senza alcuna interruzione del percorso tra i due inserimenti eterofamiliari.

65

CONCLUSIONI:

L’obiettivo principale che mi sono posta a fronte di questa tesi è stato quello di far

conoscere il contesto I.E.S.A. come strumento innovativo di cura per il paziente

psichiatrico. In modo particolare, documentare come sia diffuso in tutto il Mondo e

come risulti strumento di integrazione per l’intera cittadinanza.

Come si è avuto modo di osservare in precedenza nella trattazione dell’elaborato, il

rischio di vedere “mura” invisibili tra le persone è costante e quotidiano e purtroppo

le barriere dello Stigma sono ancora tutt’oggi presenti.

Ad ogni modo, dagli anni dell’Istituzione totale ad oggi la psichiatria ha fatto passi da

gigante cercando di integrare sempre più le persone affette da disagio mentale.

L’affidamento eterofamiliare oggi appunto, rappresenta una delle realtà esistenti sul

territorio come ottimo esempio di accoglienza, solidarietà ed integrazione della

comunità alle problematiche emergenti.

Un Progetto che non vuole risultare assolutamente in contrapposizione con le altre

realtà presenti sul territorio ma interagendo con loro, completa il percorso di

integrazione.

La diffusione del Progetto anche se limitata attualmente a poche città italiane, non è

cosa da poco se si pensa che fino a pochi anni fa si parlava ancora di manicomio e

non di famiglia come ambiente terapeutico.

In riferimento ai dati che ho potuto raccogliere durante questo mio percorso di

formazione risulta evidente quanto esso sia realizzabile in quei contesti dove è

presente una presa in carico dell’utente, in modo globale e collaborativo tra i vari

servizi.

Nelle tabelle presentate vengono mostrati i dati riguardanti l’attività attuale del

Progetto I.E.S.A. di Bologna, che riportano risultati complessivamente positivi in

merito soprattutto alle risposte da parte del territorio, delle famiglie e dei servizi.

Il termine empowerment, rappresenta uno degli obiettivi principali del Progetto,

questo si traduce appunto nel tentativo di garantire alle persone con disagio mentale,

66

la possibilità di partecipare attivamente alla propria vita e ai processi decisionali

connessi al proprio percorso di cura.

Garantire questo alla persona significa consentirgli lo svolgimento di una vita

“normale” e ricreare le basi affinché questa si realizzi.

Nella mia esperienza diretta quello che ho potuto constatare è la validità

dell’inserimento non solo per il paziente che partecipa al Progetto ma anche per

l’operatore e la cittadinanza:

Per il paziente: consente ad esso di sperimentare la propria autonomia in

contesti di vita reale;

Per l’operatore: dà la possibilità di lavorare in contesti di “normalità” e non

esclusivamente situazioni di patologia e di cronicizzazione della malattia;

Per il cittadino: attraverso il lavoro di promozione e reperimento delle famiglie

è possibile incitare la cittadinanza alla partecipazione sociale e alla solidarietà,

mostrando che parlare di malattia mentale sia una delle modalità migliori per

contrastare i pregiudizi e stereotipi negativi che da sempre hanno

accompagnato la “follia”.

Partecipare attivamente al Progetto I.E.S.A. significherebbe finalmente realizzare

tutte quelle premesse e quei principi già contenuti nella Legge 180 e che rendono

l’Italia, oramai già da vent’anni, un paese avanzato nel rapportarsi con il disturbo

mentale.

67

BIBLIOGRAFIA

Aluffi Gianfranco, Dal Manicomio alla Famiglia. Franco Angeli, 2001.

Aluffi Gianfranco, Famiglie che accolgono oltre la psichiatria. Edizioni

Gruppo Abele, 2014.

Biffi Giuseppe, De Isabella Giorgio. Nuove sfide per la salute mentale,

innovazioni cliniche e organizzative. Maggiori Editori,2013.

Pitrelli Nico, L’uomo che restituì la parola ai matti. Franco Basaglia, la

comunicazione e la fine dei manicomi. Editori Riuniti 2004.

Atti del III Convegno Nazionale e Rete Europea dell’Inserimento

Eterofamiliare Supportato di Adulti (I.E.S.A). Treviso, 2006 a cura di

Gabriella Bressaglia.

CODICE DEONTOLOGICO DELL’ASSISTENTE SOCIALE, testo

approvato dal Consiglio Nazionale nella seduta del 17 luglio 2009.

Determinazione del dipartimento di salute mentale n° 34 del 20/04/2009.

Oggetto: approvazione ed attivazione del Progetto Iesa.

Linee regionali di indirizzo per la presa in carico del paziente con disturbi

psichiatrici comuni nella medicina generale: Programma regionale .Giuseppe

Leggieri, 2007.

Piano Attuativo Salute Mentale, Regione Emilia-Romagna. Anni 2009-2010.

Saggio di Vitale Tommaso. La presa in carico: una definizione concettuale .