ALCEO Salentino

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DICEMBRE 2013 Anno XI n. 2 - Supplemento di Liberamente num. 12 - Mese di Dicembre 2013 - Autorizzazione del Tribunale di Taranto n. 504 del 10/12/1996 - Spedizione in abb. post. -45% - Comma 20/b, Art.2, Legge 662/96 - Filiale di Taranto. GIUSEPPE VERDI in alto i calici SANTA MARIA DI CERRATE il primo bene FAI in Puglia DON TONINO BELLO presto santo NATURA il fascino dell’incolto

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wine culture and territory magazine about south Italy - Salento

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GIUSEPPE VERDIin alto i calici

SANTA MARIA DI CERRATEil primo bene FAI in Puglia DON TONINO BELLO

presto santo

NATURAil fascino dell’incolto

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EOSALENTINO

Da qualche anno laPuglia, ma soprat-tutto il nostro

Salento, ha catturatol’interesse di un flussoturistico sempre crescen-te proveniente da tutte lelatitudini.

Non sono solo le bel-lezze naturali, le testimo-nianze del nostro passa-to o l’enogastronomia,legata profondamente alle nostre tradizioni, asedurre i viaggiatori, ma anche la nostra pro-verbiale ospitalità lato sensu.

Lo spirito di accoglienza che ci caratte-rizza poggia su fondamenta antiche.Noi, eredi della Magna Grecia, conser-

viamo il retaggio culturale della Xenía (Ξενία)che regolava usi e costumi non scritti, maosservati tra ospite ed ospitante. Religione (lapossibilità che dietro il viandante potessecelarsi una divinità mitologica) e culturasociale (l’ospitato aveva il dovere di ricambia-re la Xenía ricevuta anche a qualsiasi stranie-ro si fosse presentato alla sua porta) erano leispiratrici delle regole. L’anfitrione dovevaaccogliere il viandante, dargli l’opportunità dilavarsi, fornirlo d’indumenti puliti, rifocillarloe accomiatarlo con un dono.

In questi duemila anni il mondo è moltocambiato: prima i viandanti erano rari,oggi i viandanti, divenuti turisti, sono

una gran moltitudine e la Xenía non sarebbepiù applicabile.

Spinti dal business, ma aiutati dal retaggiodella tradizione dell’ospitalità, ci siamo ado-prati a ben accogliere chi viene a visitare lenostre terre.

All’inizio di questo “rinascimento”turistico, i fattori attrattivi sono statiil mare e le spiagge. Poi è cresciuto

l’interesse per i monumenti che raccontanola storia e la cultura, e per l’enogastronomialocale.

I primi poli attrattivinel sud della Pugliasono stati Gallipoli,Lecce, Otranto, Ostuni ela Valle d’Itria, ora ècoinvolto tutto il territo-rio, si va alla ricerca deitesori più nascosti.

Per l’accoglienza sorgono alberghiper tutte le tasche, innumerevoli Bedand Breakfast, ma soprattutto sirestaurano antichi fabbricati rurali per

offrire una magica ospitalità. La cucina tradi-zionale viene esaltata da cuochi che riscopro-no ed interpretano le ricette dei nostri nonni,mentre suggestive Cantine, custodi dei duevini principi del Salento, Negroamaro e Primi-tivo, accolgono l’enoturista.

Anche Manduria, sia per il suo famosovino che per le superbe vestigia mes-sapiche, intercetta una buona fetta

dei visitatori che arrivano nel Tacco d’Italia.

Sono sorti Hotel esclusivi ed acco-glienti, confortevoli B&B, fascinoseMasserie e ristoranti tipici, pronti a

ricevere chi, spesso accompagnato daesperte guide, si addentra nei boschi di lec-cio e nelle zone umide protette, visita letestimonianze del passato e i due Musei,quello della Civiltà del vino Primitivo equello messapico Oltre le mura, o si rilassacon un bagno nel mare cristallino.

Dalle innumerevoli recensioni che ituristi affidano al mare magnum diinternet si evince che, oltre la magia

della nostra terra, l’accoglienza e l’ospitalitàrestano impresse indelebilmente nei lororicordi.

Gli eredi dell’antica Xenía vidanno il benvenuto!

Fulvio Filo SchiavoniPresidente Produttori Vini Manduria S.c.A.

Ospitalitàtra tradizione e business

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ALCEOSALENTINO

Da qualche anno laPuglia, ma soprat-tutto il nostro

Salento, ha catturatol’interesse di un flussoturistico sempre crescen-te proveniente da tutte lelatitudini.

Non sono solo lebellezze natura-li, le testimo-

nianze del nostro passa-to o l’enogastronomia, legata profondamentealle nostre tradizioni, a sedurre i viaggiatori,ma anche la nostra proverbiale ospitalità latosensu.

Lo spirito di accoglienza che ci caratte-rizza poggia su fondamenta antiche.Noi, eredi della Magna Grecia, conser-

viamo il retaggio culturale della Xenía(Ξενία) che regolava usi e costumi non scrit-ti, ma osservati tra ospite ed ospitante. Reli-gione (la possibilità che dietro il viandantepotesse celarsi una divinità mitologica) e cul-tura sociale (l’ospitato aveva il dovere diricambiare la Xenía ricevuta anche a qualsia-si straniero si fosse presentato alla sua porta)erano le ispiratrici delle regole. L’anfitrionedoveva accogliere il viandante, dargli l’oppor-tunità di lavarsi, fornirlo di indumenti puliti,rifocillarlo e accomiatarlo con un dono.

In questi duemila anni il mondo è moltocambiato: prima i viandanti erano rari,oggi i viandanti, divenuti turisti, sono

una gran moltitudine e la Xenía non sarebbepiù applicabile.

Spinti dal business, ma aiutati dalretaggio della tradizione dell’ospitali-tà, ci siamo adoprati a ben accogliere

chi viene a visitare le nostre terre.All’inizio di questo “rinascimento” turistico,

i fattori attrattivi sono stati il mare e le spiag-ge. Poi è cresciuto l’interesse per i monumen-ti che raccontano la storia e la cultura, e perl’ottima eno-gastronomia locale.

Le prime mete nelsud della Puglia sonostate Gallipoli, Lecce,Otranto, Ostuni e laValle d’Itria, ora è coin-volto tutto il territorio,si va alla ricerca deitesori più nascosti.Per l’accoglienza sorgono alberghi

per tutte le tasche, innumerevoli Bedand Breakfast, ma soprattutto sirestaurano antichi fabbricati rurali per

offrire una magica ospitalità. La cucina tradi-zionale viene esaltata da cuochi che riscopro-no ed interpretano le ricette dei nostri nonni,mentre suggestive Cantine, custodi dei duevini principi del Salento, Negroamaro e Primi-tivo, accolgono l’enoturista.Anche Manduria, sia per il suo famoso vino

che per le superbe vestigia messapiche, inter-cetta una buona fetta dei visitatori che arriva-no nel Tacco d’Italia.

Sono sorti Hotel esclusivi ed accoglien-ti, confortevoli B&B, fascinose Masse-rie e ristoranti tipici, pronti a ricevere

chi, spesso accompagnato da esperte guide,si addentra nei boschi di leccio e nelle zoneumide protette, visita le testimonianze delpassato e i due Musei, quello della Civiltà delvino Primitivo e quello messapico Oltre lemura, o si rilassa con un bagno nel mare cri-stallino. Dalle innumerevoli recensioni che i turisti

affidano al mare magnum di internet si evinceche, oltre la magia della nostra terra, l’acco-glienza e l’ospitalità restano impresse indele-bilmente nei loro ricordi.

Gli eredi dell’antica Xenía vidanno il benvenuto!

Fulvio Filo SchiavoniPresidente Produttori Vini Manduria S.c.A.

Ospitalitàtra tradizione e business

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EOSALENTINO

SOMMARIOWelcome (di Fulvio Filo Schiavoni)........................................................pag.03Note a margine (di Livio Romano) .......................................................pag.05L’Enometro (di Leonardo Pinto) .............................................................pag.06Uso sostenibile dei prodotti fitosanitari (di AA. VV.) ................................pag.07Vi voglio bene organizzatori di speranza (di Francesco Lenoci).................pag.10Il fascino dell’incolto (di Domenico Nardone) ..........................................pag.14In alto i calici per il maestro G. Verdi (di Alberto Altamura).............................pag.17Santa Maria di Cerrate... (di Lucia D’Ippolito) .........................................pag.20Re Magi salentini (di Angelo Sconosciuto) ..............................................pag.28Fichi di Puglia (di Anna Gennari) ............................................................pag.32Fondazione Casa-Museo Ribezzi-Petrosillo (di Bianca Ribezzi) ................pag.34Il gusto etico (di Elio Paoloni).................................................................pag.38L’olio e l’olivo nell’antichità (di Giuseppe Mazzarino)..............................pag.39Lucullus Cotognata (di Benedetto Mazza)...............................................pag.42Bicchierdivino Tempo di vino (a cura della redazione) ............................pag.43Ethos & Tèchne La cacioricotta... (di Rino Contessa)...............................pag.44Salento World Music Giovane Orchestra del Salento (redazione)...........pag.47Culture (di Omar Di Monopoli)..............................................................pag.48News&News (a cura della redazione) ...................................................pag.49Occhio sul Passato (a cura della redazione) ........................................pag.50

E voi dove vi piace andate,acque turbamento del vino,

andate pure dagli astemi:qui c’è il fuoco di Bacco

Gaio Valerio Catullo

ALCEO SALENTINO ha cambiato periodicità ed è diventato un semestrale con più paginericche di contenuti. È possibile consultarne la versione on line sul sito www.alceosalentino.it,dove sono archiviati tutti i numeri dalla prima uscita del 2003. Per ricevere la rivista gratui-tamente a casa vostra comunicate il vostro indirizzo alla redazione oppure segnalatelo sul sito.

COLOPHON

Anno XI - n.2 Dicembre 2013

Supplemento di LiberamenteAutorizzazione del Tribunale di Taranto

n. 504 del 10/12/1996

DIRETTORE RESPONSABILE

Nando Perrone

DIREZIONE EDITORIALE

Produttori Vini Manduria

RESPONSABILE DI REDAZIONE

Anna Gennari

HANNO SCRITTO QUESTO NUMERO:

Alberto Altamura,

Rino Contessa, Omar Di Monopoli,

Lucia D’Ippolito, Fulvio Filo Schiavoni,

Anna Gennari, Francesco Lenoci,

Benedetto Mazza, Pippo Mazzarino,

Domenico Nardone, Elio Paoloni,

Leonardo Pinto, Stefania Pollastro,

Bianca Ribezzi, Livio Romano,

Stefano Savella, Angelo Sconosciuto.

ART DIRECTION

DVision design

immagine di copertina:

Foto © Paolo Buscicchio

REDAZIONE

C/o Produttori Vini Manduria

Via F. Massimo, 19

74024 Manduria (TA)

Tel/fax 099 9735332 - 9738840

www.consorzioproduttorivini.com

[email protected]

STAMPA

Tiemme Industria Grafica

Manduria (TA)

Tel. 099 9794268

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EOSALENTINO

Son sempre piuttosto sorpresodal diverso modo di vivere loscorrere dei mesi da parte di

ciascuno di noi. Per me gennaioinizia intorno al 10, dopo che la far-citura natalizia pigramente lascia ilposto all’aria tersa dell’inverno,alla tramontana, al progetto, ai

cieli cristallini della notte di Sant’Antonio prima e dellamerla poi. Giorni interessanti, di solito. Giorni in cui utilizzila sciarpa non come accessorio o nota di colore, bensì perriparar la cuticagna dai soffi gelidi degli Urali. Pure febbraioriserva sovente intervalli gradevoli, e voglia di fare, e pre-sagi di primavera: si sa. Ricordo veglioni di carnevale con lagente che ballava a maniche corte e lo scirocco che spinge-va verso l’entroterra bolle di calore zuppe, flaccide. O, alcontrario, giornate perfette a la Capossela in cui “fischiarequando passan le ragazze, non inseguire niente, né botolené imbuto”. Finché l’affascinante Acquario dominato daSaturno non lascia il posto a quelle simpatiche lagne deiPesci e poi, dalla padella alla brace, ai testoni dell’Ariete.Marzo è il mese del freddo vero, dell’insofferenza, del qua-bisogna-ripensare-tutto, del fammi-guardare-su-internet-un-volo-per-Copenaghen-ché-sennò-mi-asfissio. A marzovorrei cambiare città, lavoro, stato civile, nome. Mi prendeper i fondelli, delle mattine. Mi mostra cieli che sembranodi giugno ma a me non la fa. L’inclinazione del sole e lagrana della luce son da apocalisse incombente, da Hiroshi-ma post bomba atomica, le stesse dell’aurora di luglio (e ionutro idiosincrasie furiose non solo per certi mesi dell’an-no, ma pure per certi momenti del giorno: svegliatemiall’aurora e sviluppo pensieri suicidari, per dire). E tuttavial’accoppiata Pesci Giaculatori - Marte Caciarone sono unospasso in confronto al crudele aprile che leva la capote alcielo e per due o tre settimane lascia tutti noi, abitanti lalinguella salentina protesa sul Mediterraneo, esposti aglispifferi a digrignare i denti. Una volta lo scrittore Elio Paolo-ni mi disse: «Smettila con ‘sta storia di aprile e del mesepiù crudele: sei troppo giovane». Ora, a parte che Eliot pub-blicò The waste land a trentaquattro anni. A parte pure chefin dalla scuola media arrivavo ad aprile esangue, col medi-co che mi prescriveva delle gustose ampollette di ricosti-tuente, e che già allora vivevo malissimo queste giornateche si allungano, quest’ora legale che ti leva un’ora disonno, queste ombre che si condensano. Ma: alle soglie delmezzo secolo, posso permettermi di imprecare contro unmese che mi fa intirizzire dopo che «L’inverno ci mantenneal caldo», sempre per dirla col poeta? Tanto più che il miopersonale Ramadan va avanti fino agli ultimi giorni di mag-gio, mese che pure, in maniera più contenuta, detesto dalprofondo. Trascino l’ombra di me stesso per le giornate chesi fanno dense, vado per appoggiare i piedi per terra sì daprocedere e levarmi presto dai maroni queste settimane emi ritrovo a posarli su nuvolette di vapore che mi lascianoin ginocchio. Poi a giugno risorgo. Succede senza che me ne

accorga. Mentre nuoto sot-t’acqua e poi risalgo: mitocco e mi pare Capodanno.È una ripresa lenta ma pro-gressiva e costante che rag-giunge il suo acme nelmagnifico luglio, mese dicancri tristanzuoli e per me,invece, festa di buonumore,forma smagliante, senso diessere il centro esatto diquell’universo minacciosoche guardi la notte senzarimorsi per il sonno perduto. Già agostocoi turisti in cui incocci sempre e il marelimaccioso e l’inclinazione dell’astro chesmette d’esser ortogonale per prenderti abaciare di traverso: sa di strudel tropporipieno. E la prima decade di settembre,spesso da noi flagellata da scirocchi chefanno versar lacrime di umidità agli alberi,non fa eccezione, dominata com’è da queigendarmi razionalissimi dei Vergine. Deviriassettare la rotta, ripensarti dentro unpercorso, smetterla di galleggiare nelladolcezza dell’inerzia, auto restituirti lacarta d’identità consegnata alla receptione scoprire che hai una professione. Ed èalla prima vera sfuriata di tramontana cheapri un file e ti metti a stilar liste di pro-grammi, e cominci a sentire l’odore delmese di ottobre che arriverà a chiudere lacapote della spider e a portarti per le stra-de dei tuoi obiettivi. Addosso hai una fre-gola micidiale che non si colora del violadell’affanno ma assume le nuance sgom-bre e allegre della fiducia. L’estate ha fattoil suo lavoro: lo senti dai risvegli che nonsono foschi come in marzo ma speranzosi,pieni di verve e scatto invariabilmentediretto verso Nord, verso l’odore del Pro-gresso che, nel mio modesto immaginario, è l’altro nome dinovembre. Questa lena arriva all’Immacolata e ai tralci divite che saltellano nei camini esalando nell’aria balsami diresina e mandarino (finché dura, cioè, il dominio di Zeus,padre dei mezzo cavallo e mezzo arciere). Poi arriva ildicembre della corsa paranoica all’accaparramento dimerci che è ormai anche per me diventato il Natale, e micoglie una nostalgia corrosiva e dolorosa per un tempo chenon tornerà mai più, per quella genuinità un po’ fessac-chiotta che si nutriva di povere cose. È lì che tiro fuori un’al-tra citazione, ahimè inflazionatissima ma pressoché perfet-ta. Lasciatemi così, come una cosa posata in un angolo, edimenticata. È Ungaretti e, sarà la crisi, ma a Natale daqualche anno la sento ripetere a ormai troppe persone.

Livio ROMANO

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EOSALENTINO

Un’altra ottima AnnataLeonardo PINTO

Può sembrare una contraddi-zione in termini, ma quel cheè accaduto quest’anno nelle

terre del Primitivo non era mai suc-cesso.

Mai, infatti, quantità equalità erano riuscite aconvivere nei vigneti,prima e in Cantina, poi.

Si era avuto sentore, già inprimavera, di rigogliosivigneti con un carico di pic-

coli grappoli che appariva eccessi-vo. I consapevoli e responsabiliviticoltori immediatamente aveva-no provveduto a quell’opportuno dirada-mento, essenziale per una futura produzio-ne equilibrata.

Una corretta potatura verde non è bastatae grazie a condizioni atmosferiche ideali, asufficienti piogge al momento giusto ed atramontane sanificanti, la produzione haraggiunto ed in alcuni casi superato i limitiestremi previsti dal disciplinare, costrin-gendo i produttori ad equilibrismi, rinunciaalla DOP o a lasciare in campo le quantitàeccedenti.

Sarebbe stata questa l’annata persfruttare la possibilità offerta dallanormativa europea di superare di

un ulteriore 20% i limiti produttivi per por-tarli in riserva nelle annate povere.

Un risultato raggiungibile solo con unConsorzio di Tutela capace di raccordare vir-tuosamente la filiera e di attivare per tempotutte le procedure burocratiche occorrenti.

Sarà ciò mai possibile?

Questa situazione creatasi in pre-vendemmia spaventava un po’,facendo temere un afflusso di uve

non all’altezza in Cantina, concentrato inpochi giorni, tale da impedirne una perma-nenza sufficientemente prolungata negliauto-vinificatori per permettere ai mosti diesprimere tutta la loro potenzialità.

Così, per fortuna, non è stato: la matura-

zione fenolica è avvenuta a scalare a secon-da della natura dei terreni ed all’esposizio-ne dei vigneti; la vendemmia si è svolta conun clima asciutto e non eccessivamente

caldo che, unitamenteall’integrità delle uve, hapermesso di programmarecon calma la raccolta. Eccocosa ha consentito che,nonostante la quantità, sisia ottenuto un sostenutogrado alcolico, ma, ciò chepiù conta, un meravigliosoinsieme di polifenoli,estratti e colore che rende-

ranno anche questa annata eccezionale peril Primitivo di Manduria.

Ora, tutti gli sforzi di produttori ecantinieri avranno la giusta ricom-pensa? E qui il problema non è più

di carattere naturale, climatico o meteorolo-gico. I segnali di questo inizio di autunnonon sono incoraggianti, essendosi spentaquell’euforia che caratterizzava il mercatofino a pochi mesi fa.

Colpa della crisi? Colpa nostra che nonabbiamo ancora affinato tecniche di marke-ting e pratiche di commercializzazione chetendano a stabilizzare un settore di per sédifficile, ondivago e precario? Forse ambe-due le cose hanno il loro peso. Quel che nonè auspicabile è che qualcuno non riesca aresistere e si lasci andare a vendite conprezzi sviliti. Dobbiamo fare sistema e far sìche una crisi passeggera mai si trasformi inuna endemica situazione di depressione.

L’ottimismo deve, sempre e comun-que, regnare sovrano, se è vero,com’è vero, che nel mondo i consumi

di vino aumentano a fronte di una produzio-ne (ancora per poco) in diminuzione. Qual-cuno ha ipotizzato scientificamente un futu-ro più che roseo per i vini di qualità e d’i-dentità.

D’altronde, non si può essere vitivinicolto-ri senza essere ottimisti.

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EOSALENTINO

S. POLLASTRO D. DIGIAROC. ROTOLOD. GERINR.M. ANGELINIA. SANTOMAUROF. FARETRA

Uso sostenibiledei

DECRETO LEGISLATIVO N. 150DEL 14 AGOSTO 2012

La propensionedegli agricoltoria considerare i

mezzi chimici di sin-tesi uno degli stru-menti disponibili perla difesa delle colturee non l’unico possibi-le è ormai consolida-ta. Nell’ultimo decen-nio, ad esempio, inItalia si è più chedimezzato l’impiegodi prodotti fitosanitariclassificati come tossici o molto tossici, mentre ècresciuto l’impiego di tecniche alternative piùrispettose nei confronti dell’ambiente e del consu-matore come dimostra l’incremento di circa il 500%del consumo di prodotti di origine biologica o l’in-cremento del 45% dell’impiego di trappole per ilcontenimento degli artropodi dannosi (Apat, 2011).

Sebbene sono ancoramolti i progressi da com-piere l’evoluzione chec’è stata nella terminolo-gia è decisamente inco-raggiante. Oggi la gestio-ne fitosanitaria non è piùsinonimo di eliminazio-ne degli agenti dannosi(lotta fitosanitaria), madi controllo degli stessi(protezione integrata) inequilibrio con l’ospitestesso senza generare o

limitando al massimo il danno.

Negli anni passati la selezione spinta allaricerca di una sempre maggiore produttivi-tà ha portato all’impiego di varietà omoge-

nee dal punto di vista genetico e meno tollerantialle fitopatie. Contestualmente la specializzazionedell’agricoltura dei Paesi industrializzati, e di quel-li emergenti, in cui domina la monocoltura vocazio-nale con riduzione della biodiversità ed incrementodella suscettibilità a patogeni e parassiti, lo svilup-po della chimica nel settore agrario ha indotto gliagricoltori ad affidarsi completamente ai mezzi chi-mici per risolvere i problemi fitosanitari. Oggisiamo in assoluta controtendenza ed è cresciutala consapevolezza che l’uso indiscriminato esproporzionato dei prodotti di sintesi non sorti-sce gli effetti desiderati, ma può diventare persi-no controproducente in quanto porta alla selezio-ne di ceppi di fitofagi e microrganismi fitopatoge-ni più resistenti ed aggressivi, e limita gli antago-nisti naturali, con conseguente riduzione dellacompetizione naturale fra popolazioni patogenee antagoniste.

La protezione integrata si avvale di tutti i mezziconosciuti, siano essi di natura chimica, fisica,

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Nprodottifitosanitari

del Dipartimento di Scienze del Suolo,delle Piante e degli Alimenti,Università degli Studi di Bari Aldo Moro

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EOSALENTINO

agronomica, biologica e biotecnologica, ottimiz-zandone l’applicazione.

Con l’elaborazione del Sesto programma diazione in materia di ambiente (2002-2012) adottato dal Parlamento Europeo e

dal Consiglio con Decisione n. 1600/2002/CE fuavviata dal Parlamento Europeo e dal Consigliol’elaborazione della “Strategia tematica per l’usosostenibile dei pesticidi”. Già la prima comunica-zione della Commissione COM (2002), finalizzataad avviare un’ampia consultazione tra tutte leparti interessate, quali agricoltori, industria, altreparti sociali e autorità pubbliche, indicava qualeobbiettivo generale un uso dei prodotti fitosanita-ri adeguato al concetto di “sostenibilità” delmodello agricolo, secondo le indicazioni dell’arti-colo 37 della Carta 200 dei diritti fondamentalidell’Unione Europea: “Un livello elevato di tuteladell’ambiente e il miglioramento della sua quali-tà devono essere integrati nelle politiche dell’U-nione e garantiti conformemente al principiodello sviluppo sostenibile”.

Nell’ultimo decennio il legislatore europeoha supportato l’esigenza di cambiamen-to operando con diverse azioni al fine di

limitare l’impiego della “chimica di sintesi” inagricoltura con l’e-manazione di spe-cifiche indicazioni(libro bianco sullaprotezione integra-ta, codice interna-zionale FAO su usoe distribuzione deiprodotti fitosanita-ri), normative (es.

Reg. CE/1107/2009), e direttive (Direttiva2009/128/CE sull’uso sostenibile dei prodottifitosanitari). Con la presentazione da parte dellaCommissione europea della Direttiva2009/128/CE sull’uso sostenibile dei prodottifitosanitari, si è evoluta e rafforzata la consapevo-lezza che una significativa riduzione generale deirischi associati all’uso dei prodotti fitosanitarifosse perfettamente compatibile con l’esigenza digarantire un’efficace protezione delle coltureagrarie.

Il DLs n. 150 del 14/08/2012, che recepisce in

Italia la sud-detta direttivaeuropea, isti-tuisce un qua-dro per l’azionecomunitaria aifini dell’utilizzosostenibile deiprodotti fitosa-nitari e asse-gna a ciascunoStato Membro il compito di garantire l’implemen-tazione di politiche e azioni volte alla riduzionedei rischi e degli impatti sulla salute umana, sul-l’ambiente e sulla biodiversità, derivanti dall’im-piego di prodotti fitosanitari e consentendo ilricorso a molecole di sintesi limitato al “minimoindispensabile”.

All’art. 4 La direttiva 2009/128/CE eviden-zia l’opportunità che gli obiettivi dichia-rati siano perseguiti, fra l’altro, anche

attraverso specifici strumenti economici di soste-gno e, all’articolo 4, prevede che ogni StatoMembro predisponga un apposito Piano d’Azio-ne Nazionale (PAN) per definire i propri obiettiviquantitativi, gli obiettivi, le misure e i tempi perla riduzione dei rischi e degli impatti dell’utilizzodei prodotti fitosanitari sulla salute umana e sul-l’ambiente e per incoraggiare lo sviluppo e l’in-troduzione della difesa integrata e di approcci otecniche alternativi al fine di ridurre la dipenden-za dall’utilizzo di prodotti fitosanitari.

Una prima bozza del PAN è stata sottopo-sta ad una fase di consultazione durantela quale tutti i portatori di interesse

hanno potuto esprimere le proprie osservazionied i propri suggerimenti di modifica al documen-to, portando così alla elaborazione di un docu-mento che si prefigge di guidare, garantire emonitorare un processo di cambiamento dellepratiche di utilizzo dei prodotti fitosanitari versoforme caratterizzate da maggiore compatibilitàambientale e sostenibilità.

Nel PAN, che dovrebbe entrare in applicazio-ne a partire dal prossimo 1 gennaio 2014, sonoindividuate azioni specifiche al fine di ridurre irischi associati all’impiego dei prodotti fitosa-nitari quali:

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Formazione degli operatori: assicurare una capil-lare e sistematica azione di formazione sui rischiconnessi all’impiego dei prodotti fitosanitari attra-verso corsi di formazione per l’ottenimento di certi-ficati di abilitazione all’acquisto, all’utilizzo, allavendita e alla consulenza;

Informazione della popolazione: circa ipotenziali rischi associati all’impiego dei pro-dotti fitosanitari;

Gestione del macchine irroratrici: assicurare unacapillare e sistematica azione di controllo, regola-zione (taratura) e manutenzione delle macchineirroratrici attraverso controlli funzionali periodicidelle attrezzature presso centri prova autorizzati;

Divieto delle irrorazioni aeree (salvo deroghe incasi specifici);

Protezione e tutele ambientale: garantendo spe-cifiche azioni di protezione in aree ad elevata valen-za ambientale e azioni di tutela dell’ambienteacquatico attraverso misure specifiche atte ad evi-tare rischi di contaminazione dei corpi idrici;

Gestione dei prodotti fitosanitari: favorire la cor-retta manipolazione e uno stoccaggio e smaltimen-to sicuri dei prodotti fitosanitari e dei loro conteni-tori e della miscela fitoiatrica residua all’internodelle irroratrici;

Protezione integrata delle colture agrarie: al finedi salvaguardare un alto livello di biodiversità e laprotezione dei nemici naturali, privilegiando leopportune tecniche agronomiche, istituendo ladifesa integrata obbligatoria e volontaria e favoren-do un incremento delle superfici agrarie condottecon il metodo dell’agricoltura biologica, ai sensi delregolamento (CE) 834/07 e della difesa integratavolontaria (legge n. 251 4 del 3 febbraio 2011).

Al fine di garantire una qualificazione delsistema agricolo nazionale attraverso l’a-dozione di soluzioni innovative e coerenti

con gli obiettivi del PAN, si rende necessario svilup-pare una rete di collegamento tra le iniziative diricerca in atto e l’attivazione di possibili nuovi pro-getti di ricerca su aree specifiche che fanno riferi-mento a:

Studi di sistema mirati a ridurre il rischio di espo-sizione per gli operatori, limitare gli inquinamentipuntiformi, individuare sistemi colturali a bassoinput chimico, ottimizzare la distribuzione dei pro-dotti fitosanitari;

Identificazione dei microrganismi fitopatogeni,sviluppo di sistemi di monitoraggio e di modelli

previsionali;Sistemi a basso impatto ambientale per la difesa

dai parassiti;Controllo infestanti con soluzioni a basso impatto

ambientale;

Studio e ricerche per il potenziamento del-l’utilizzo degli ausiliari nei programmi didifesa integrata (obbligatoria e volontaria)

e biologica e messa a punto di criteri di valutazioneunivoci della selettività dei prodotti fitosanitari eloro valutazione nei confronti dei principali organi-smi utili;

Resistenze delle piante alle malattie e risposteindotte;

Resistenza dei parassiti ai prodotti fitosanitari;Misure di mitigazione del rischio; Indicatori di rischio

e messa a punto dimetodologie per larilevazione dei datiutili per l’applicazio-ne degli indicatori dirischio (consumatori,operatori, organismiacquatici, acque difalda, biodiversità edecosistemi);

Co o rd i n a m e n to ,valorizzazione e svi-luppo di banche dati,portali e sistemi infor-mativi esistenti.

L’ a t t u a z i o n edel PAN richie-de la partecipazione di tutte le parti interes-

sate, dai produttori di prodotti fitosanitari agli ope-ratori agricoli, dai servizi di assistenza tecnica alleAutorità preposte alle politiche d’indirizzo e sup-porto. Particolare rilevanza riveste l’azione dimonitoraggio volta a verificare i progressi compiu-ti, anche per consentire alle parti interessate disvolgere il proprio ruolo di stimolo e controllo. Iriscontri oggettivi derivanti da sopralluoghi diret-ti, quali campionamenti e relative analisi, misura-zioni, verifiche documentali, evidenze tangibili,supportati da metodi di indagine quali audit,acquisizione di informazioni, osservazioni dirette,ecc.. costituiranno elementi oggettivi per la valu-tazione dell’efficacia delle politiche di riduzionedei rischi e degli impatti derivanti dall’utilizzo deiprodotti fitosanitari.

FOC

US O

N

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EOSALENTINO

beneVi voglio

Francesco LENOCI*

«Mettiamoci in cammino, senzapaura, per trovare Gesù e, con lui, ilbandolo della nostra esistenza

redenta, la festa di vivere, il gusto del-l’essenziale, il sapore delle cose sempli-ci, la fontana della pace, la gioia del dia-logo, il piacere della collaborazione, lavoglia dell’impegno storico, lo stuporedella vera libertà, la tenerezza della pre-ghiera».

Questa meravigliosa esortazione è diun vescovo-poeta, testimone e maestro:don Tonino Bello.

Non l’ho urlata a Manduria pres-so una delle sue tante, meravi-gliose Chiese, bensì presso la

sua più importante Cantina, che ospitainter alia il Museo della Civiltà del VinoPrimitivo, nel corso della Conferenza“Fare Strada sulle Orme di don ToninoBello”, organizzata dal Consorzio Pro-duttori Vini di Manduria, con il patrociniodell’Associazione “Le Donne del Vinodella Puglia” e dell’Associazione Regio-nale Pugliesi di Milano.

Perché l’ho urla-ta in una Canti-na anziché in

una Chiesa? È prestodetto, perché ho accoltoun’altra esortazione didon Tonino Bello.

«Aprite le porte per-ché Gesù Cristo escadalla Chiesa. L’avetecostretto, l’avete seque-strato, avete messoanche lui in un recinto.Aprite le porte perché

lui esca, affinché cammini a piede liberosu tutta la terra».

Chiarisce don Tonino: «non si addice aicredenti la chiusura nel blocco rassicu-rante delle loro chiese, nel perimetro deiloro templi, nell’area gratificante dellesuggestioni teologiche, delle accademie,delle biblioteche, delle riviste, delle raf-finatezze culturali. Dobbiamo muoverci!E, quando ci saremo mossi alla ricercadell’uomo, andremo a porgergli l’annun-cio di Dio». Con le opere, i gesti e un sor-riso, mi permetto di aggiungere.

«Il mio sogno», diceva don ToninoBello, «è portare il sorriso, il coraggio ela speranza a tutti coloro che incontro».

Che sogno meraviglioso quello di donTonino Bello, difficilissimo da realizzare,ma che don Tonino è riuscito tante volte,durante la sua vita terrena, a tramutarein realtà.

Sono passati vent’anni dal giorno (20aprile 1993) in cui il vescovo don Tonino

Organizzatori della Speranza

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beneFrancesco LENOCI*

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EOSALENTINO

Bello ha dato l’ultimo colpo d’ala su que-sta terra in direzione del cielo. Eppure,don Tonino Bello riesce tuttora a realiz-zare il sogno di portare il sorriso, ilcoraggio e la speranza.

Èciò che possono testimoniare gliuomini, le donne, le ragazze e iragazzi che hanno ascoltato la

Conferenza. E anche chi ha fatto i salutie gli interventi: Fulvio Filo Schiavoni,Presidente Consorzio Produttori Vini,Sabrina Soloperto, Presidente Delega-zione Pugliese dell’AssociazioneNazionale “Le Donnedel Vino”, AnnamariaDe Valerio, Assessorealle attività produttivedel Comune di Mandu-ria, Anna Gennari, PRConsorzio ProduttoriVini, don Franco Dinoi,Arciprete di Manduria,un ragazzo e unaragazza del GruppoScout “Agesci Mandu-ria” e il CantautoreMaurizio Nazzaro.

Quantunque nel 2013 (un tempoin cui l’umanità ha di fronte asé la prospettiva ravvicinata di

una catastrofe ecologica, economica epsichica; un anno in cui il lavoro non c’èper tantissimi giovani e non c’è più pertanti uomini e donne), ho visto i loro voltiilluminarsi quando ho raccontato che,secondo don Tonino Bello, i gravi proble-mi del mondo non vanno risolti con l’as-

sistenzialismo, ma stimolando tutti,soprattutto i giovani, a essere protagoni-sti del loro futuro e del loro sviluppo.

Come ne veniamo fuori da unmondo in cui gli antichi valorisono andati giù, in cui il mare ha

inghiottito le boe, sicure e galleggianti,cui attraccavamo le imbarcazioni in peri-colo? Secondo don Tonino Bello nonbasta più enunciare la speranza: occorreorganizzarla.

Organizzare la speranza è ciò che fa ilConsorzio Produttori Vini, disponendo di

900 ettari di vignacoltivata perlopiùcon il tradizionalesistema ad albe-rello, creandovalore aggiuntodal lavoro di 400piccoli artigianidel vino, poetidelle loro vigne,gli unici a potersifregiare dell’ap-pellativo di “Mae-stri in Primitivo”.

Organizza-re la spe-ranza è

ciò che fanno Le Donne del Vino dellaPuglia (produttrici, enotecarie, ristoratri-ci, sommelier, giornaliste). A Milano, il24 maggio 2013, l’Associazione Regiona-le Pugliesi di Milano ha consegnato loroil prestigioso Premio “Ambasciatore diTerre di Puglia” con la seguente motiva-zione: «Per aver saputo promuovere la

«...ho visto i volti dei gio-vani illuminarsi quandoho raccontato che,secondo don ToninoBello, i gravi problemidel mondo non vannorisolti con l’assistenziali-smo, ma stimolando tuttia essere protagonisti delloro futuro e del loro svi-luppo»

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EOSALENTINO

cultura del vino con una vivacità ed unatendenza alla comunicazione moderna eanticipatrice, tale da costituire un auten-tico fenomeno asso-ciativo dell’imprendi-torialità femminilecapace di creare Valo-re da una delle tipici-tà delle Terre diPuglia».

Grazie, soprat-tutto, all’e-sempio e ai

numeri del ConsorzioProduttori Vini e dialcune Donne delVino della Puglia,Manduria è diventatauna delle capitali del grande vino, vale adire di quel vino capace, grazie al suoequilibrio e alla sua freschezza, di dona-re al bevitore avveduto un’emozione diintima soddisfazione e di intensa felicità.

Se ciò è vero, è altrettanto vero che,a seguito della crisi finanziaria eeconomica viviamo in un’epoca in

cui si è avverato ciò che un timido edeccentrico docente di matematica puraaveva previsto nel 1896,nel libro Attraverso lospecchio. In precedenzaaveva scritto Alice nelPaese delle Meraviglie.Il suo nome è Lewis Car-roll.

«Nel Regno della Regi-na Rossa per mantenereil proprio posto, occorre-va - come adesso - corre-re a più non posso; perandare da qualche altraparte, occorreva - come adesso - correrealmeno il doppio».

Quando a Manduria, per mantenere ilvantaggio competitivo di essere capaci diprodurre un vino impareggiabile come ilPrimitivo di Manduria, occorre correrealmeno il doppio?

Adesso... starsene freddi e morti, adesempio con riguardo all’assurdo proget-to di impiantare a Manduria dei parchi

eolici, è inconcepibile! Adesso... non cre-scere è un errore! Adesso... non sognareè un errore blu!

Ne sono più che convin-to: se non si sogna... nonsi progetta; e se non siprogetta... non si realizza.

La valenza di questiconcetti aumenta a dismi-sura se, a supportarli, èun grande profeta, prossi-mo Santo: don ToninoBello.

L’esortazione di donTonino Bello ad organiz-zare la speranza non hatentennamenti.

«Chi spera... cammi-na... corre... danza la vita. Non fugge.

Cambia la storia, non la subisce.Costruisce il futuro, non lo attende sol-

tanto.Ha la grinta del lottatore, non la rasse-

gnazione di chi disarma.Ha la passione del veggente, non l’aria

avvilita di chi si lascia andare.Ricerca la solidarietà con gli altri

viandanti, non la gloria del navigatoresolitario».

Achi ha capacitàimprenditoriali donTonino Bello indica

chiaramente che, per orga-nizzare la speranza, ènecessario pagare un caroprezzo (occorre istruirsi,occorre sapere, occorresaper fare, occorre far sape-re, occorre innovare...) epregare. La preghiera di don

Tonino Bello alla Madonna, che ha fattocommuovere tanti presso la Cantina,declina le sopra citate variabili.

«Santa Maria, non farci tremare la vocequando, a dispetto di tante cattiverie e ditanti peccati che invecchiano il mondo,osiamo annunciare che verranno tempimigliori.

Non permettere che sulle nostre labbra

«Santa Maria, nonfarci tremare lavoce quando, adispetto di tantecattiverie e di tantipeccati che invec-chiano il mondo,osiamo annunciareche verranno tempimigliori...»

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il lamento prevalga mai sullostupore, che lo sconforto sovra-sti l’operosità, che lo scetticismoschiacci l’entusiasmo, e che lapesantezza del passato ci impe-disca di far credito sul futuro».

Le richieste di don Tonino Belloal Signore chiariscono ancor dipiù qual è il cammino da percor-rere.

«Signore, dai a questi mieiamici e fratelli

la forza di osare di più, la capacità di inventarsi, la gioia di prendere il largo,il fremito di speranze nuove.

Stimola in tutti, nei giovani inparticolare, una creatività piùfresca, una fantasia più liberan-te e la gioia turbinosa dell’inizia-tiva che li ponga al riparo da ogniprostituzione.

Fa provare a questa gente l’ebbrezzadi camminare insieme.

Donale una solidarietà nuova, unacomunione profonda, una cospirazionetenace.

Falle sentire che per crescere insiemenon basta tirar fuori dall’armadio delpassato i ricordi splendidi e fastosi diun tempo, ma occorre spalancare lafinestra del futuro, progettando insie-me, osando insieme, sacrificandosiinsieme».

La parabola di don Tonino Bello,che non mi stancherò mai di raccon-tare, induce a proseguire fiduciosi ilcammino.

«Un giorno Noè prese una colomba ela fece volare, sperando che tornasse dachissà dove con qualche avvisaglia diterra liberata dalle acque. E un giornotornò... con un ramo d’ulivo.

Ecco, noi dovremmo essere come

quelli che sulla tolda della nave scruta-no l’arrivo della colomba, che non ele-vano lamentele su questo ruzzolare delmondo verso la catastrofe.

No, non dobbiamo chiudere gliocchi di fronte alla realtà. Ma losapete meglio di me: il mondo è

andato sempre così, forse anche peggio. Ilmondo è stato sempre un po’ triste!

Il nostro compito di credenti, oggi,non è di macerarci negli eventi dellaperversità del mondo ma di salire sullatolda per scrutare l’arrivo della colom-ba, per scorgere nel firmamento questoallargarsi dell’arcobaleno».

Io ho tanti dubbi, ma anche unacertezza: che don Tonino Bellovuole bene e sorride dal cielo a chi

organizza la speranza, che don ToninoBello sarà sempre compagno di viaggiodi chi organizza, per sé e per gli altri, lasperanza.

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EOSALENTINO

*Docente Univ.tà Cattolicadel Sacro Cuore - Milano

Vicepres. Assoc.neRegionale Pugliesi - Milano

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EOSALENTINO

Domenico NARDONE

Il fascinoincolto

L’attuale paesaggio salentino è il risul-tato di un’azione antropica modifica-trice iniziata nel neolitico e, seppure

con alterna intensità, mai interrotta.In epoca romana si dette grande impul-

so all’agricoltura e all’allevamento inten-sivo, perciò gran parte delle foreste, spe-

cialmente planiziali, venne sostituita dacampi di colture specializzate.

Alla caduta dell’impero romano, leinvasioni barbariche, le devasta-zioni e le conseguenti carestie

determinarono l’abbandono e lo spopola-mento delle campagne favorendo la rina-scita dei boschi di piante spontanee el’affermazione di una economia silvo-pastorale piú consona alle esigenze deinuovi padroni.

Il disboscamento intensivo riprese nelsecolo XI e proseguì nei secoli successivitanto che nel secolo XVII interessavaormai anche aree lontane dai centri abi-tati. Molti boschi di querce, che eranotenuti per il pascolo della ghianda daparte dei maiali, furono eliminati o porta-

ti a ceduo per soddisfare i crescenti biso-gni delle città e delle nascenti industrie.

Le cronache degli studiosi locali e deiviaggiatori del 1700 – 1800 ci parlano diun Salento boscoso e macchioso, punteg-giato da pianure piú o meno acquitrinose,almeno nei periodi piovosi, che servivanoper il pascolo delle greggi stanziali e diquelle transumanti provenienti dalleregioni collinari limitrofe, ma anche divaste aree conquistate alla coltura deicereali, delle leguminose, dello zafferano,del giuggiolo, del fico, dell’olivo e dellavite.

Martino Marinosci, medico natu-ralista nato a Martina Francanel 1786, nella cronaca di un

suo viaggio da Arneo a Taranto effettuatonei primi anni del XIX secolo, ci offre unaprecisa idea del tenore di naturalità offer-to dalla fascia litoranea salentina.

“Il mattino de’ quattordeci erborizzan-do su’ monti cennati, e tra gli arbusti,passando da presso san Nicola poi Sca-lelle, e le colline, mi estesi fin al mare, epropriamente a san Pietro dei bagni, oBavigna. Gli animali selvatici sono quicopiosi fino a Arneo, ed è il sito di diverti-mento di tutti i cacciatori. I lepri, le volpi,le viverre, i daini, i cinghiali, le melogne,vi sono dappertutto. Abbondano pure ilupi, i lupi cervieri, gl’istrici o porcispini,e tanti altri come i tassi, i gatti selvaggi, lafaina, la puzzola, la donnola, la lontra, iconigli, la talpa, i topi e sorci, i moscardi-ni, i ricci, i scoiattoli, i cervi, i caprioli.”

Sono queste le stesse colline descrittecirca mezzo secolo prima in modo magi-strale dall’avvocato Giovam-Battista Jan-nucci in una “supplica” scritta in difesa di

dell’

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EOSALENTINO

Michele Imperiale, marchese di Oria eprincipe di Francavilla Fontana, accusatodi aver frodato il fisco nella produzione ecommercializzazione del sale della Salinadei monaci di Bevagna: «Giace nell’Ave-trana, feudo del Marchese, certo seno diterra, a cui fan d’ogn’intorno coronaamene, e verdeggianti collinette, chevanno passo passo avviandosi verso delmare, ove reclinando, e ristringendosiquasi col lido s’uniscono, e porgono perangusto calle picciola apertura al marestesso, che s’introduca, e vada quel voto,e basso seno occupando colle sue acque,di cui poi lo va, tutto che empiuto, ognigiorno soccorrendo.»

Fico e vite saranno coltivati fino aridosso delle dune marittime,utile schermo contro lo scirocco

che soffia dal mare. L’azione termoregola-trice del mare anticipava la maturazionedei loro frutti resi piú dolci dalla permea-bilità del suolo sabbioso e dalla scarsez-za di pioggia. Dall’uva di queste vigne,strappate alla salsedine del mare, sgor-gava il vino “latino”, robusto e nero, adat-to a dar colore e corpo ai vini meno dotatidi altre regioni.

In età contemporea alle piante spon-tanee sono riservati spazi semprepiú ristretti, ma nei campi in cui non

si fa uso di diserbanti il verde cinereodegli olivi e gli spogli filari delle vigne inabito invernale sono colorati dal biancodella ruchetta che simula la neve, dalgiallo citrino dell’acetosella, dal gialloaranciato della calendula, quando nonsono infuocati dal rosso dei petali delpapavero.

Sui bordi polverosi delle vie le bian-che pratoline e le violaciocche dagennaio a giugno inoltrato si

mescolano al rosso porpora della silene,alle candide infiorescenze della carotaselvatica e degli ombrellini pugliesi, simi-li a eleganti merletti, ai fiori violacei dellemalve, a quelli gialli del crisantemo coro-nario, della trigonella e della senape , aquelli cerulei della vedovina e della cico-ria selvatica.

Non una sola volta, ma molte volteho benedetto l’esecrata abitudi-ne di trascurare i bordi delle stra-

de extraurbane e ho ringraziato l’indolen-te cantoniere, che piú non c’è, e permetteinconsapevolmente alle numerose piantespontanee di conquistare gli spazidimenticati in cui nessuno suggerisce lecombinazioni di colori né la successionedelle fioriture né l’altezza delle piante, senon la naturale necessità di conquistadello spazio vitale e della luce solare.

Tempo fa, passando per una strada in

Domenico NARDONE

© Luigi De Vivo

© Luigi De Vivo

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periferia, fui colpito dauna aiuola fiorita direcente allestimento.

“Che bello!”, pensai.Erano papaveri rossi e

ruchetta bianca mescola-ti così bene da sembrareartefatti.

Ripassai dopo qualchegiorno e l’aiuola dai colo-ri della nostra bandiera,bianco, rosso e verde,era ancora lì.

Vuoi vedere che i giar-dinieri comunali si sonoconvertiti ai prati di fioriselvatici e hanno deciso

di sperimentarli iniziando da questaaiuola?

Per avere conferma ripassai dopoqualche giorno, ma la mia speranzaandò perduta, perché qualcuno avevafresato il terreno con tanta diligenza(succede molto di rado) da non lasciarenemmeno un fiore.

Passarono pochi altri giorni e il rito siripeté: l’aiuola era stata completata conla solita siepe di pittosporo e qualchealtra pianta ormai comune, sempre lestesse, tutte eguali.

Mi lamentai della cosacon uno dei vivaisti, rite-nendo che fossero loro asuggerire le piante aigiardinieri, ma lui mispiegò che molto rara-mente i clienti chiedonoil loro parere o accettanoi loro suggerimenti.

Dovetti convenireperciò che anco-ra una volta la

mia analisi era sbagliata,perché non volevo con-vincermi che le erbespontanee qui da noisono sempre ritenuteerbacce da distruggere.

Le cose non vanno così in altrenazioni come Inghilterra, StatiUniti, Olanda, dove da decenni

perfino la ricerca universitaria si occupadei fiori selvatici, wildflowers meadows,impegnandosi nella raccolta dei semiche non si trovano in commercio e nellostudio dei microambienti, perché ogniterreno, ogni microclima ha il suo corre-do di piante spontanee e di insetti pro-nubi.

Peraltro i terreni più adatti allamaggior parte delle piante spon-tanee sono quelli poveri, poco

produttivi, quali gli spazi lasciati liberiin città, spesso degradati e profonda-mente antropizzati, che potrebberoessere riqualificati da questa pratica.

«Gli orticelli spontanei di Manhat-tan” titolava a questo proposito ilSole 24Ore di domenica 7 mag-

gio 2006 un articolo di Francesca Mar-zotto Caotorta dedicato ai giardini“voluti dalla gente” in una zona di Man-hattan denominata Loisarda, in cui«questi giardini, voluti dalla gente efatti dall’insieme della gente, sonoaumentati, hanno attratto l’attenzionedi artisti, di paesaggisti professionistie anche di funzionari governativi che

© Luigi De Vivo

© Luigi De Vivo

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spinsero il governo verso un programmafederale a favore di quelli che, in ventitrècittà oltre New York, continuano a chia-marsi community gardens , ma che a Loi-sarda hanno per lo più perso la connota-zione di utilità alimentare, mentre neemerge il tornaconto per l’anima».

Nel rione Santa Gemma in Man-duria, poverissimo di spazi pub-blici, vi è un “orticello”, nato per

la gente, ma non dalla gente, purtroppo,che aspetta di essere scoperto, cono-sciuto, vissuto e amato. Non lasciamolomorire.

Altri frammenti di vegetazione sponta-nea si rinvengono lungo le coste e nellearee non coltivabili per povertà e asperitàdel substrato.

Lungo il litorare tra il mare e il ginepro ècompresa una stretta fascia di vegetazio-ne, residuo della macchia litoranea checopriva la dolce sequenza delle dune cheancora qualche decennio addietro siestendeva per centinaia di metri e insiemealle zone umide , Chidro, Boraco, Salina,Palude del Conte, offriva ristoro e rifugioagli uccelli migratori.

Le dune fragranti di timo, di mirto,di lentisco, di rosmarino e di tantealtre piante aromatiche sono com-

poste da sabbia calcarea, derivante dalladisgregazione della roccia e degli schele-tri di organismi marini, operata dall’in-cessante azione del mare. I granelli,mossi dal vento, si depositano a ridossodella forme vegetali pioniere, come laruchetta marina e l’euforbia marittima,che affondano le loro radici prima cheun’onda troppo forte le trascini via.

Non distante dalla battigia, dovel’acqua del mare giunge solo sal-tuariamente, si insediano le gra-

migne delle spiagge che, imbrigliando lasabbia fra radici e lunghi rizomi, inizianola lenta costruzione della duna, fragile edelicato confine fra terraferma e mare.

Prima che l’estate stenda il suocaldo manto, le piante erbaceehanno già compiuto il ciclo vege-

tativo e si sono ritirate nei semi, pronti arisvegliarsi al ritorno della pioggia d’au-tunno e a prepararsi nella primavera suc-cessiva a tappezzare la spiaggia di fiorivariopinti.

Giglio marino e scilla marittimasono due splendide eccezioni,preferendo fiorire proprio durante

il periodo piú torrido: luglio-agosto.Il giglio marino, Pancratium maritimum

L., detto pancrazio per il penetrante pro-fumo emesso dai candidi fiori, è il piú belfiore della flora psammofila, particolar-mente abbondante sulla costa sabbiosaprospiciente la Salina dei monaci di Beva-gna. Si può coltivare in giardino su suolosabbioso.

Scilla marittima, Charybdis mariti-ma (L.) Speta, dai mandurianidetta cipuddázza, perché provvi-

© Luigi De Vivo

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sta di un grosso bulbo, è, secondo lamitologia, frutto di una struggente storiadi amore e di odio. Si racconta che Scillafosse una bellissima e timidissimaninfa, che per fuggire la presenza di altrifrequentava i litorali piú nascosti. Suuna di queste spiagge fu notata da ungiovane dio marino di nome Glauco,dagli occhi azzurri come il mare, che perconquistarla chiese aiuto alla magaCirce, non sapendo che questa era a suavolta innamorata di lui. La maga colsel’occasione per liberarsi della rivalecome solo lei sapeva fare: preparò unveleno che, bevuto dall’ignara fanciulla,la trasformò in un mostro orrendo. Lasfortunata pianse lacrime amare primadi affogare in mare il suo dolore. Daquelle lacrime nacquero bulbi velenosi,che, però, proprio quando piú forteplende il sole e inaridisce la terra, emet-tono miriadi di fiorellini candidi come il

cuore innamorato di Scilla, vittima inno-cente dell’invidia, dell’odio e dell’illu-sione umana, mai sopita, di modulareimpunemente con droghe, antiche emoderne, i propri e gli altrui sentimenti.

Il valore sistematico e fitogeograficodella flora del litorale salentino èaccresciuto dall’apporto di specie

tipiche dei due bacini del Mediterraneoe di alcune proprie dei Paesi balcanici. Aimpreziosirla ancora di piú concorronoalcune specie endemiche come eliante-mo ionico, Helianthemum jonium Lacai-ta, endemita apulo-lucano dai fiori dora-ti; limonio salentino, Limonium japygi-cum (Groves) Pign., vivente sulla costarocciosa compresa tra Torre Colimena eOtranto; giaggiolo siciliano, Iris pseudo-pumila Tineo, e issopo villoso, Microme-ria canescens (Guss.) Bentham, ende-miti apulo-siciliani; zafferano di Tho-mas, Crocus thomasii Ten., endemitaitalo-meridionale a fioritura autunnale.

Le Dune di Campomarino, i fiumiBoraco e Chidro, la Salina deimonaci di Bevagna e la duna

antistante, e la Palude del Conte, ricono-sciuti degni di conservazione dallaLegge Regionale n. 19 del 24 luglio 1997,seguita alla Direttiva Comunitaria 92/43Habitat Rete Natura 2000, costituisconole Riserve Naturali Orientate dei comunidi Maruggio, Manduria e Porto Cesareo.

In esse in circa 18 chilometri dicosta si passa con estrema facilitàda un ambiente fluviale a uno

desertico, roccioso o sabbioso, dallamacchia-gariga al limo salato, ambientiricoperti da piante e frequentate da ani-mali in forte contrasto fra loro e con laretrostante campagna coltivata.

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Cade quest’anno il bicentena-rio della nascita di GiuseppeVerdi, nato a Roncole di Bus-

seto (oggi Roncole Verdi) il 10 otto-bre 1813 e morto nel 1901, forse ilcompositore più famoso del nostroPaese in Europa e nel mondo, oltre-ché convinto patriota e parlamen-tare. Il Comitato Nazionale per il

Bicentenario verdiano costituitodal Ministero per i Beni culturali hamesso in campo non poche iniziati-ve, tra mostre, rassegne, concerti econvegni, per celebrare degnamen-te il genio di Giuseppe Verdi, chealla storia della musica - non soloottocentesca - ha consegnato operedi immortale valore: dal Nabuccoall’Ernani, dal Trovatore al Rigolet-

to, dalla Traviata al Ballo inmaschera, dalla Forza del destinoal Don Carlos. Tanto per citare leopere più famose e celebrate, chesegnarono la produzione musicaledel tempo innovandola profonda-mente nell’impianto drammaturgi-co, nell’orchestrazione e nello svi-luppo delle trame.

Giuseppe Verdi fu infattiattento a quanto si muove-va nei teatri europei e,

lungi dall’essere chiuso in un’otti-ca nazionale, si confrontò con gliscrittori (Victor Hugo, AlexandreDumas) e i musicisti più avvertitidel tempo (Richard Wagner, HectorBerlioz) e fu un frequentatore dellacapitale artistica europea, Parigi,dove confluivano le istanze piùmoderne dell’arte e della musicacontemporanee.

In questa sede ci piace soffer-marci, benché in modo parzia-le, su un particolare filone

della produzione verdiana: la pre-senza del vino in alcune ‘arie’famose, che ci testimoniano dell’a-more di Giuseppe Verdi per il vinoin generale. Benché, nelle sue bio-grafie, e nell’epistolario special-mente, si legga che il maestro privi-legiò i vini francesi : il Bordeaux inparticolare e lo Champagne, checonsiderò di particolare pregiorispetto a quelli prodotti in Emilia eRomagna. Esterofilia o convinta

Alberto ALTAMURA

nel bicentenariodella nascita1813/2013

in alto i caliciper il maestro

GiuseppeVerdi

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consapevolezza della superioritàdei vini d’oltralpe?

L’aria che è più conosciuta eapprezzata dal pubblico (nonsolo italiano) è senz’altro il

celebre brindisi della Traviata intempo di valzer del primo atto.Costituisce uno degli episodi in cuisi articola l’introduzione dell’operaed è intonato da Violetta (soprano),Alfredo (tenore) e dal coro. I testi

sono del maestro Francesco MariaPiave e ai temi dell’amore e dellabellezza si mescolano quelli dellaprecarietà della vita e della provvi-sorietà della gioia, concessa agliuomini.

Alfredo: Libiamo, libiamo ne’ lieticalici / che la bellezza infiora; / e lafuggevol fuggevol’ora / s’inebrii avoluttà. / Libiam ne’ dolci fremiti /che suscita l’amore, / poiché quel-l’occhio al core / Onnipossente va. /Libiamo, amore, amor fra i calici /più caldi baci avrà.

Tutti: Ah! Libiam, amor fra i calici/ più caldi baci avrà.

Violetta: Tra voi, tra voi saprò divi-dere / il tempo mio giocondo; / tuttoè follia follia nel mondo / ciò che

non è piacer. / Godiam, fugace erapido / è il gaudio dell’amore; / èun fior che nasce e muore, / né piùsi può goder. Ah! / Godiam godiamc’invita un fervido / accento lusin-ghier…

Dal “Falstaff”, ultima operadi Giuseppe Verdi tratta da“Le allegre comari di Wind-

sor” di William Shakespeare sulibretto di Arrigo Boito, in cui domi-

na il carattere burlesco (“Tutto nelmondo è burla. L’uomo è nato bur-lone”, come si legge nell’opera),ricaviamo dall’Atto III un passo doveil tema del vino è trattato in manie-ra piacevole, spassosa. Falstaff,seduto davanti all’osteria, chiama iltaverniere e gli ordina un bicchieredi vino per ritemprarsi: Taverniere:un bicchier di vin caldo. / Ho deipeli grigi. L’oste ritorna recando sudi un vassoio un gran bicchiere divino caldo che poggia sulla panca erientra nell’osteria. Versiamo un po’di vino nell’acqua del Tamigi! Bevesorseggiando ed assaporando; sisbottona il panciotto, si sdraia,ribeve a sorsate, rianimandosi apoco a poco. Buono: Ber del vin

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dolce / e sbottonarsi al sole, / dolcecosa! / Il buon vino sperde le tetrefole / dello sconforto, accende / l’oc-chio e il pensier, dal lab-bro / sale al cervel e quivi/ risveglia il picciol fabbro/ dei trilli; un negro grillo/ che vibra entro l’uombrillo / trilla ogni fibra incor…, dove il gioco dellerime appare però unpo’artificioso.

Data l’ampia pro-duzione verdiana, che si svi-luppò nell’arco di oltre ses-

sant’anni, numerosi sono i brani incui si può rintracciare il tema delvino declinato secondo varie modali-tà, da quella consolatoria a quellasuscitatrice di azioni ora eroiche orafuneste (come nell’Otello e in Mac-beth). La subdola malizia di ladyMacbeth sa sfruttare il brindisi pernascondere il delitto di Banco che leistessa ha fortemente voluto incitan-do il marito: è infatti convinta chenel vino si potranno dimenticare gliorrori compiuti sul cadavere dell’a-mico assassinato. Per questo motivo

a tavola inneggia: «Si colmi il calicedi vino eletto, / nasca il diletto,muoia il dolor”. E quando più tardiarriva ad esclamare: “Gustiamo ilbalsamo d’ogni ferita / che nuova

vita ridona al cor» il lettore non puòfar a meno di pensare alle ferite diBanco e al cadavere di questo che,

pur morto, tornerà prestoa perseguitare l’assassi-no, mentre lady Macbethmorirà pazza e sopraffat-ta dal rimorso. Nelleparole della signora diScozia dunque emerge ladoppia verità: quella dagridare a tavola e quellada nascondere con cura.

Ma brindisi operistici a parte, meri-tevole di menzione è una sua aria dacamera, dal titolo Brindisi appunto,su testo di Andrea Maffei. Si tratta diun brano, forse senza grandi prete-se, grazioso e scorrevole, con unaccompagnamento valzeristico. Iltesto celebra, come spesso accade,la sincerità del vino, la sua capacitàdi far apparire tutto più bello e piùsereno: «Mescetemi il vino! Tu solobicchiero / fra gaudi terreni non seimenzognero. / Tu vita dei sensi, leti-zia del cor. / Amai, m’infiammarodue sguardi fatali; / credei l’amiciziafanciulla senz’ali: / follia de’ pri-m’anni, fantasma illusor / mescete-mi il vino, letizia del cor! / L’amico,l’amante col tempo ne fugge, / ma tunon paventi chi tutto distrugge: /l’età non t’offende, t’accresce virtù. /Sfiorito l’aprile, cadute le rose, / tusei che n’allegri le cure noiose: / seitu che ne torni la gioia che fu, /mescetemi il vino, letizia del cor. /Chi meglio risana del cor le ferite? /Se te non ci desse la provvida vite, /sarebbe immortale l’umano dolor: /Mescetemi il vino…»

In alto i calici, perciò, in onore diquesto genio italiano, vivace einquieto, che attraversò l’intero

secolo XIX con la sua straordinariamusica e i suoi immortali personag-gi, calcando con successo le scene ditutta l’Europa!

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Santa MariaCerrate

Lucia D’IPPOLITO

il primo bene FAI in Puglia

Vicende storiche.

Sulla strada provinciale 100 Squin-zano-Casalabate (provincia diLecce), a circa 14 chilometri dal

capoluogo, quasi nascosto tra gli ulivetidel Salento, sorge uno straordinariocomplesso monastico del XII secolo: l’ab-bazia di S.Maria di Cerrate, che non hamai smesso di attirare l’attenzione deglistudiosi e di affascinare i visitatori per labellezza della sua chiesa in stile romani-co, con i suoi stupendi affreschi e il sug-gestivo portico. Dell’anti-co complesso abbazialeoggi restano la chiesa, laCasa monastica, il pozzocinquecentesco, duefrantoi ipogei e un edifi-cio ottocentesco (lacosiddetta Casa del mas-saro) che oggi ospita ilMuseo delle tradizionipopolari salentine.Gli studiosi che nel pas-sato si sono occupatidelle antiche vicende diquesto sito non sono

giunti a conclusioni unanimi circa le sueorigini. Comunque, al di là delle diverseipotesi formulate, alcuni fatti storici sonoampiamente provati e documentati e,pertanto, inconfutabili: nei secc.VIII e IX,a causa delle invasioni degli Arabi edelle persecuzioni scatenate dagli impe-ratori iconoclasti d’Oriente, intere comu-nità di monaci che seguivano la regola diS.Basilio (i Calogero-Basiliani) si rifugia-rono in Terra d’Otranto, portandoviimmagini sacre, usi e costumi greci.

di

Foto di

Paolo Buscicchio

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FIG.1 – Panoramica delcomplesso abbaziale. Adestra dell’immagine,l’edificio ottocentescodenominato «Casa delmassaro», adibito aMuseo delle tradizionipopolari salentine.

Fig.2 – Veduta prospet-tica della chiesa diSanta Maria di Cerrate.A sinistra, lo splendidoportico del XIII secolo.

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Cerrate

Lucia D’IPPOLITO

Accanto a piccole comunità di ascetibasiliani che vivevano da eremiti, fug-gendo le tentazioni del mondo, grazie aibeni ricevuti in dono dai feudatari delluogo, sorsero grandi sedi monastichecome, ad esempio, quelle di S.Nicola diCasole (Otranto), S.Andrea dell’Isola diBrindisi e di S.Maria di Cerrate. Il ritogreco fiorì incontrastato in Terra d’Otran-to anche in seguito al trasferimento inessa di numerose colonie di Greci prove-nienti dal Peloponneso. Probabilmentel’abbazia dei Basiliani aveva preso ilnome dalla località ove era stata edifica-ta in quanto già nel X secolo esisteva inquel luogo un piccolo casale denomina-to Cerrate, nei pressi del quale passavala via Traiana che, collegando Valesio aLecce, di fatto costituiva una continua-zione della via Appia che terminava aBrindisi.

Questi sono i dati storici certi, adessi si affiancano le leggenderelative al nome del fondatore e

alle circostanze che ne determinaronol’edificazione. Le ipotesi avanzate sonodiverse, tutte però riconducono all’arri-vo dei Normanni in Puglia. Di volta involta, si è parlato di Tancredi, conte diLecce o di Boemondo I, principe diTaranto o di Accardo, conte di Lecce,come probabili fondatori dell’abbazia.

Anche l’origine del nome Cerrate(in alcuni documenti antichiriportato come Cervate, de Cera-

te, de Caritate) è piuttosto controversa eda taluni ricollegata alla leggenda chevorrebbe Tancredi d’Altavilla fondatoredell’abbazia dopo aver visto appariredurante un battuta di caccia l’immaginedella Madonna tra le corna di una cerva.Più verosimilmente la parola potrebbederivare da “cerri”, termine con il qualevengono chiamati gli alberi di querce dicui nel Medioevo la zona abbondava edove si praticava la caccia al cervo e alcinghiale.

L’abbazia, oltre a molti fondi e giardi-ni, possedeva la grande abitazione deimonaci, il refettorio, la biblioteca, uno

scriptorium, il forno, i frantoi, le stalle etutto il necessario per le esigenze quoti-diane di un cenobio. Al centro del com-plesso sorgeva la chiesa.

Gli studi condotti fino ad oggi comun-que hanno accertato che la fondazionedell’abbazia è databile tra la fine dell’XIe i primi anni del XII secolo (trovandoconferma di ciò anche in alcuni caratteriarchitettonici della chiesa).

La conquista normanna, che avevaristabilito in queste contradel’autorità del pontefice romano,

fece sì che il rito e i Santi latini alla fineprevalessero sulla liturgia e il cultogreci. Un po’ dovunque i monaci Basilia-ni persero la loro indipendenza e furono

sopraffatti dal clero latino (in particolaredai religiosi dell’ordine di S.Benedetto).Intanto con la caduta dei Normanni ilcasale fu distrutto e rimase in piedi solol’abbazia.

Alla metà del XIII secolo i Basilia-ni abbandonarono l’abbazia diche fu devoluta alla S.Sede e da

quel momento iniziò la sua decadenza.Per lunghi anni essa sembrò non averepiù una sua storia: le guerre civili succe-dutesi nei secc. XIV-XV in tutta la provin-cia finirono per avvolgere in una coltrebuia la vita del complesso monastico. La

Fig.3 – Il pozzo costruitonel 1585 dagli Amministra-tori dell’Ospedale di SantaMaria del Popolo degliIncurabili di Napoli, cuiapparteneva l’abbazia.

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chiesa rimase senza pastori, i feudi sog-getti all’abbazia andarono in rovina emolte cappelle, sparse sul territorio, fini-rono abbattute.

Nel sec. XVI l’abbazia, con tutte lesue proprietà, fu donata da papaClemente VII al cardinale Niccolò

de’ Galbi, il quale rinunciò alla donazionein favore dell’Ospedale degli Incurabili diNapoli. Nel XVIII secolo allo stato di sostan-ziale abbandono si aggiunse, il 27 settem-bre 1711, la devastazione causata, secondole cronache locali, da una incursione adopera di pirati turchi.

Durante il XIX secolo, sempre sottol’amministrazione dell’Ospedaledegli Incurabili, l’abbazia fu ven-

duta a privati.

Acquistata nel 1965 dall’Ammini-strazione provinciale di Lecce, fusottoposta ad importanti lavori di

restauro nel 1975 con i quali si cercò direstituire dignità innanzi tutto alla chiesae al suo portico (rifacimento delle coper-ture) e poi ad altri edifici che fanno partedel complesso.

La chiesa di S.Maria.

Se pur con le forti limitazio-ni dettate dalla natura delpresente articolo, breve e

sintetico per necessità di spazioespositivo, ci sembra ineludibilel’obbligo di soffermarci su quelgioiello dell’arte romanica che é lachiesa del complesso abbaziale,miracolosamente scampata all’in-curia dei secoli… e degli uomini.

La facciata principale, orien-tata a ponente, è monocu-spidale, con un rosone

centrale e si presenta divisa in trezone corrispondenti allo spaziointerno della chiesa, diviso in trenavate, delimitate da due file di

colonne, che terminano con tre absidi,chiaramente visibili anche dall’esterno,nella parte posteriore della chiesa. Se lafacciata è caratterizzata da linee semplici,la porta d’ingresso si presenta invecefastosa di decori. Essa è sormontata daun’arcata poggiata su due strette colonne(protiro) decorata con altorilievi che ripro-ducono in sei riquadri diversi scene di vitadel Nuovo Testamento ( XIII sec.?).

All’esterno della chiesa, sul latosinistro, vi è un portico o loggia-to, usato dai monaci come deam-

bulatorio, costruito in epoca posteriorealla chiesa, probabilmente del sec.XIII.Addossato da un lato al muro perimetraledella chiesa e dagli altri tre lati delimitatoda arcate poggiate su esili colonne cilin-driche e ottagonali, sormontate da capi-telli, tutti diversi, di squisita fattura(foglie e fiori intrecciati, figure zoomorfe),il portico costituisce un elemento funzio-nale e, insieme, decorativo di incredibilebellezza.

All’interno della chiesa, nell’absidedella navata centrale, vi è un alta-re a baldacchino, in pietra, del

1269, dedicato a S.Irene, retto da quattrocolonne e sormontato da un affresco cherappresenta l’Ascensione di Gesù Cristo

Fig.4 – Interno dellachiesa, a tre navate. Alcentro, in fondo, l’alta-re maggiore. Lungo lanavata a sinistraentrando, in corrispon-denza della 3° colonna,vi era un altare, oggidistrutto, fatto costruirenel 1642 da G.B.Paga-ni, economo dell’Ospe-dale degli Incurabili.

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al cielo. Addossato al muro perimetra-le della navata destra vi è un altarebarocco dedicato a S.Oronzo, costruitonel 1661, mentre nella navata di sini-

stra, che oggi si presenta spoglia,addossato alla terza colonna, quasi nelmezzo della navata, vi era un altareedificato nel 1642, sormontato da unquadro raffigurante la Vergine di Cerra-te con il Bambino in braccio. Distruttol’altare (i resti si conservano nel men-zionato Museo delle tradizioni popola-ri creato all’interno del complesso),della tela non si hanno più notizie.

Parallelamente ai muri perime-trali, le colonne che delimitatole navate presentano i sottarchi

decorati con una serie di affreschidatabili tra il XIII e il XIV secolo. Adestra entrando in chiesa, un grandecippo funerario di età romana (rinvenu-to durante scavi effettuati nei pressidel recinto dell’abbazia) epigrafato,funge da sostegno alla piletta dell’ac-qua santa.

La chiesa, lungo i muri perime-trali, presentava, al momentodei restauri del 1975, una serie

di affreschi, alcuni dei quali furonorimossi per metterne in luce altri, rea-lizzati anteriormente, tra il XII e il XIIIsecolo. A destra entrando vi erano l’An-nunciazione, S.Giorgio e il drago, ed uncavaliere armato nell’atto di colpireuna cerva, risalenti probabilmente aisecc.XIV-XV, oggi collocati nel Museodelle arti e tradizioni popolari. Dalla

loro rimozione sono emerse altre figureaffrescate tuttora allo studio degliesperti del settore.

Asinistra entrando, lungo lanavata, vi era un affresco raffi-gurante il Transito della Vergi-

ne deposta sul letto mortuario, sovra-stata da angeli. Da alcuni punti scro-stati e da tratti delle pareti semplice-mente intonacate o imbiancate, siscorgevano, però, altre figure. Rimossotale intonaco e l’affresco del Transitodella Vergine, ora esposto nel Museodelle arti e tradizioni popolari, sonoemersi gli affreschi sottostanti: S.Annacon la Madonnina in braccio e S.Gioc-chino, S.Giorgio a cavallo, affiancatoforse da un S.Demetrio e da altre figu-re non ancora identificate, tra le qualiun S.Nicola da Mira e un arcangelo(secc. XIII-XIV).

Il progetto di restauro.

Il 28 settembre 2012 a seguito dibando pubblico promosso dallaProvincia di Lecce, il complesso

monastico di S.Maria di Cerrate, di pro-prietà dello stesso Ente, è stato affida-

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Fig.5 – Altare maggio-re, sormontato da unbaldacchino in pietra,formato da 4 colonneche reggono un archi-trave (1261). Sullaparte anteriore dell’al-tare (paliotto) è raffigu-rata Santa Irene, allaquale è dedicato l’alta-re.

Fig.6 – Altare barocconella navata di destraentrando in chiesa,dedicato a Sant’Oron-zo, fatto costruire nel1661 dal canonico Leo-nardo Raho, ammini-stratore dei beni del-l’abbazia

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to in concessione per trent’anni al FAI(Fondo Ambiente Italiano) – Fondazionenazionale senza scopo di lucro - che findal 1975 ha salvato dall’abbandono edal degrado, restaurandole, importantitestimonianze del patrimonio storico,artistico e paesaggistico italiano.

Il progetto di restauro e valorizzazio-ne presentato dal FAI, dal costo com-plessivo di 3,5 milioni di euro, è stato

scelto non solo per la sua intrinseca vali-dità ma anche per la competenza e l’im-pegno che da sempre il FAI ha dimostratonel pianificare e realizzare interventi divalorizzazione e gestione dei beni affidatialla sua tutela.

Grazie a questa concessione e airestauri che partiranno a breve,l’abbazia di S.Maria di Cerrate

che rappresenta il primo bene FAI inPuglia, contribuirà certamente a dareuna spinta all’affermazione turistica delSalento, arricchendo la conoscenza e lafruizione del patrimonio artistico dellaregione.

Ifinanziamenti necessari per ilrestauro e la valorizzazione delcomplesso monastico provengono

dai fondi strutturali europei POIn (Pro-

gramma Operativo Interregionale“Attrattori culturali, naturali e turismo”)e PAC (Piano di Azione Coesione “Valo-rizzazione delle aree di attrazione cultu-rale”). Il FAI partecipa al finanziamentoper le spese di progettazione e direzio-ne lavori.

Il restauro, che prevede il recuperodi tutto il complesso abbaziale coni cinque ettari di terreno di sua per-

tinenza, procederà per lotti funzionali,come di consuetudine per opere diampio respiro che necessitano di ungrande impegno finanziario. I primilavori interesseranno la Casa monasticae la Casa del massaro.

Nella Casa monastica, al pianoterra, dove i lavori riguarderan-no la creazione di un vespaio

aerato per eliminare l’umidità di risalitache danneggia la base delle murature,vi sarà la biglietteria, il bookshop, unamostra permanente sui restauri e unazona self-café. Al primo piano saràsostituita parte della copertura, mentrela zona centrale, attualmente munita diampie vetrate, frutto di un precedenteintervento del 2006, sarà “riprogettata”per restituire all’edificio il carattere ori-

Fig.7 - A sinistra entran-do in chiesa, si ammiral’affresco raffiguranteSant’Anna con laMadonnina in braccio eSan Gioacchino, seguitida un San Giorgio acavallo e da una figuranon molto chiara, forseSan Demetrio.

Fig.8 - Particolare degliaffreschi esistentilungo i sottarchi dellanavata di sinistra..

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ginario di struttura “fortificata”.Anche il primo piano sarà uno spaziodedicato ai visitatori in quanto vi saràallestita una mostra dedicata alla sto-ria dell’abbazia.

Nella Casa del massaro, al cuiinterno vi è uno dei due fran-toi ipogei esistenti nel com-

plesso (l’altro è nei pressi dell’edificiodelle ex stalle), gli interventi verteran-no per lo più sul restauro architettoni-co di materiali lapidei ed intonaci siaall’interno che all’esterno dell’edifi-cio. Adibita dalla Provincia a Museodelle arti e delle tradizioni popolari

salentine, la struttura manterrà il suocarattere didattico-espositivo al pianoterra, mentre il primo piano diventeràforesteria.

Ovviamente il restauro con-templa anche il rifacimentodegli impianti elettrici, mecca-

nici e di sicurezza delle due strutture in

base alla normativa vigente ed il conso-lidamento e messa in sicurezza dellemura che recintano l’intero complesso.

Questa prima parte dei lavoricontempla pure una primasistemazione della zona di

fronte all’ingresso della chiesa (l’aia) edi un’ampia area di sosta nel verde,all’esterno del complesso monastico.

Il successivo lotto di lavori tocche-rà il restauro degli esterni dellachiesa e del portico duecentesco,

degli interni e degli affreschi. Il restau-ro del pozzo del ‘500 sarà sponsoriz-zato dalla famosa casa di moda mila-

nese Prada che si farà carico dell’inte-ra spesa per il suo recupero. Seguirà ilrestauro dell’edificio delle ex stalle e ilrecupero produttivo dei 5 ettari di ter-reno circostanti l’abbazia con l’im-pianto di ulivi, agrumi e mandorli.

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Angelo SCONOSCIUTO

salentiniMagi

Viaggio minimonelle «nostre Betlemme»

Nel Salento, la subregione più adOriente d’Italia, seguendo lastella. Qui non mancano “Prese-

pi viventi” e “Cavalcate di Magi”; quianche i presepi fissi - quelli dovedominano le statutine in cartapesta -hanno un’anima in più, proprio grazieai Re Magi, il cui avvicinamento allagrotta è gestito dal più piccolo di casache ne decide i passi dallaVigilia di Natale all’Epifa-nia. Qui si può cogliereogni giorno dell’anno que-sta pagina bella della sto-ria dell’uomo una pagina,nella quale la sapienzaumana riconosce lasapienza divina, dopo avercompiuto cammini faticosiper incontrarla.

Èdavvero singolareseguire la stella. «Fol-low the star!», diceva

il manifesto che pubbliciz-zava “Bethlem 2000”. Edanche nel Salento, lo sipuò fare idealmente. Lastella ce la indicano alcuniquadri conservati nellebelle chiese del Tacco d’I-talia e il percorso è possi-bile compierlo ogni giornodell’anno, anche se cia-scuno - nel periodo natali-

zio - può sentire dentro di sé una mar-cia in più.

Nel nostro viaggio - quasi senten-doci Magi, benchè senza caval-catura e senza corteo, come pure

dovettero averlo quei saggi che veniva-no da Oriente - è quasi obbligatoriopartire da Est, dalle vicinanze di Otran-

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to il Comune che per primo vede sorge-re il sole, ponendo mente ad un datosemplice, ma altrettanto necessario:Matteo è l'unico evangelista a riferirci lavisita dei Magi a Betlemme (Mt 2, 1-12). E le nostre Betlemme si chiamoPresicce, Corigliano d’Otranto, Lequile…

Partiamo da Presicce, dove si è giàstati, perché nella Chiesa di SantaMaria degli Angeli, proprio accan-

to all’affresco della Natività del XVIIsecolo, vi è quello dell’Adorazione deiMagi. In questo complesso francescanofuori dalla cittadina, trovi quasi natura-le che i momenti forti dei “Vangeli del-l’Infanzia” siano uno accanto all’altro:la stella è nel bel mezzo del cielo edindica che il luogo è proprio quello. Delresto i Magi, ritratti con i caratteri soma-tici proprio delle tre razze generate daifigli di Noè, hanno già trovato chi cerca-

vano e sono genuflessi,porgendo i loro doni,dinanzi al Bambinelloche, eretto e ben fermocon le gambe divarica-te, benedice chi èvenuto da molto lonta-no “per adorarlo”.

Entriamo, quindi,nel centro di Pre-sicce: nella Chie-

sa matrice vi è un’altrasplendida pala d’altareraffigurante lo stessomomento. I criticil’hanno datata al1780-81 e, a guardar-la, subito uno si chie-de: «Ma dove l’ho giàvista?» Il pensierocorre ad una capitaledel Natale. Corre aVienna, famosa nonsolo per i mercatini cheprecedono questafesta o per il concertodi Capodanno, cheinduce anche da casa aritmare le musichedella famiglia Strauss.

Il pensiero va al “KunsthistorischesMuseum” dov’è conservata l’Adorazio-ne dei Magi di Francesco da Ponte,detto Francesco Bassano. Una di quelle«composizioni di Jacopo Bassano che,avendo incontrato grande successo -hanno detto i critici - entravano a farparte del repertorio della sua bottega evenivano continuamente realizzate dalui e dai suoi figli». E diventavano anchestampe, aggiungiamo, una delle qualicertamente ispirò l’autore della tela diPresicce, quel don Oronzo Tiso, presbi-tero leccese, che concluse la sua espe-rienza terrena nell’anno 1800, dopoaver lasciato un considerevole numerodi quadri di tema sacro, tra i quali spic-ca il soggetto dell’Assunzione. Pensan-do proprio a questo gruppo di tele eguardando al quadro di Presicce, è pos-sibile trovare la “firma artistica” di donOronzo. Ve ne sono diverse, in verità,

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ma quella che balza subito agli occhi èil discrimine e la fattezza dei capellidella Vergine Maria, tante volte repli-cati nei dipinti di cui parliamo.

Già solo guardando a queste dueopere conservate a Presicce ci siconvince di come, «anche nella

pietà popolare e nella tradizione arti-stica occidentale, le figure dei Magiabbiano finito per prevalere su tutto ilresto, occupando in tal modo tutta lascena dell'Epifania». Ma il viaggio pro-segue, nella vicina Corigliano d’Otran-to. Entriamo nella chiesa matrice dedi-cata a San Nicola Vescovo - nella grika“Choriàna” non poteva essere diversa-mente - e subito ecco la stella in alto asinistra che ha la stessa luminositàdel Bambinello benedicente i Magi, iquali hanno già aperto gli scrigni deiloro doni. “Ortent. Brun. Pingebat. A.N. S. MDCXXIX”, leggiamo ed in attesa

di sapere qualcosa in più suquesto singolare artista nonprivo di doti, pensiamo chequel quadro fu realizzato 7anni dopo la ristrutturazionedel luogo sacro avvenuta nel1622. È carico di simbolo-gia, questo dipinto: troviamodavvero la traduzione graficadella riflessione teologicasecondo la quale «i Magi,nell’intenzione dell’evange-lista, rappresentano una pri-mizia, (…) la primizia di tuttii popoli, a farsi discepoli delSignore». La mano del pitto-re secentesco è decisamentenotevole, non solo nel dimo-strare «la felice capacità di‘vedere’ che non tuttihanno» propria dei Magi, maanche nel descrivere que-st’attitudine attraverso gliatteggiamenti e i particolaridelle fogge, che meritanoattenzione al pari della raffi-gurazione della Santa Fami-glia, con particolare riferi-mento a Maria.

Maria del resto è alcentro del quadroconservato in Lequi-

le, nella Chiesa madre dedicata all’As-sunta. Si tratta dell’Adorazione deiMagi con i Santi Demetrio e Nicola eproviene dall’altare dell’Epifania o sanDemetrio di patronato della famigliaCascione. È un olio su tela, che inducea sostare. In passato era stato attribui-to a Gian Serio Strafella. Approfondi-menti recenti tuttavia, che considera-no un’ampia produzione sul tema,hanno sostenuto «che la versione pre-sente va collegata al tipo che si svilup-pò a partire da quella che ne detteMarco Pino nella chiesa dei Ss. Severi-no e Sossio a Napoli, datata 1571» eche «per quanto riguarda l’aspettostrettamente pittorico, pur essendoevidente il debito verso il naturalismodescrittivo fiammingo nello sfondo dipaesaggio, più risalto hanno le morbi-

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dezze pittoriche, i tenui paesaggi chia-roscurali e le espressioni devote (sivedano in particolare la Vergine e ilBambino o ancora le teste di alcuni gio-vanetti) che parlano a favore del nomedi Catalano». È dunque del gallipolinoGian Domenico Catalano il quadro checi occupa? Probabilmente sì. Ed in que-st’occasione, l’artista è stato davveromagico traduttore della riflessione teo-logica: non espressioni devote si vedo-no sui volti dei Magi, piuttosto si notaquell’occhio semplice di cui proprio l’e-vangelista Matteo parla (6,22). «È conlo stesso sguardo che vedono poi

anche il bambino con Maria sua Madre(v.10), riconoscendo in lui il re atteso ecercato», dice l’attuale riflessione teo-logica. Ecco: Catalano fu capace di tra-durla in immagine ben tre secoli prima.

(Foto)1 Presicce (Le), Santa Maria degli Angeli,

Adorazione.

2 Presicce (Le), Chiesa Madre, Adorazione.

3 Corigliano (Le), Adorazione dei Magi.

4 Lequile (Le), Adorazione dei Magi.

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Anna GENNARI

Fichi di Puglia

Uno dei frutti più antichi estraordinari per le sue qua-lità organolettiche. Di que-

sto e molto altro si legge nel volume“Fichi di Puglia. Storia, paesaggi,cucina, biodiversità e conservazionedel fico in Puglia” edito dalla Coope-rativa “Ulisside”, da tempo impe-gnata in vari progetti di sviluppo eco-sostenibile. Il biologo FrancescoMinonne, il ricercatore Paolo Bello-ni e il giornalista Vincenzo De Leo-nardis sono gli autori del libro chenelle 160 pagine descrivono lecaratteristiche della pianta del fico,frutto ampiamente diffuso nellanostra regione, che nell’ultimodecennio sta vivendo una meritata“rinascita” tenendo banco al radica-

le cambiamento dei mercati.

Un’enorme quantità di infor-mazioni raccolte nell’arco diun decennio sono state

riportate nei 10 capitoli che compon-gono il testo arricchito da bellissimeimmagini e ognuna di esse riporta ilfascino di un frutto antico dal saporedimenticato. Riaffiorano così i ricordidi coloro che per lenire i morsi dellafame saziavano il loro appetito con ilfico secco, saggiamente riposto nellatasca «te lu tamantile» della mas-saia o dei pantaloni «te lu tata» (delpadre) che distribuiva ai figli o ainipoti il manicaretto tanto desidera-to. In fatto di prelibatezza, è risaputoda tutti, il fico è senza dubbio unaleccornia squisita da poter accostare

storie,paesaggie conservazione del

fico in Puglia

cucina, biodiversità

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Anna GENNARIcon una varietà di alimenti epoter cucinare in molteplicimodi donando sempre ai varipiatti un tocco di originalità.Per questo nel libro è descrit-to anche un utile ricettario,curato dalla coppia GiuseppeCalella e Pasqua Pepe, connuove elaborazioni per unacucina di qualità.

Un capitolo è interamen-te dedicato a “Ficusnet,La rete Mediterranea

delle Città del Fico”. Un progetto che, gra-zie alla lungimiranza di alcune ammini-strazioni comunali pugliesi è riuscito amettere insieme nel nome del fico Enti,Associazioni, Università di Italia, Francia,Grecia e Malta.

Con il fico, appartenente a una spe-cie arborea presente un po’ ovun-que nel bacino del Mediterraneo,

la Puglia è stata una delle regioni più inte-ressate alla coltivazione del frutto. Neglianni ‘40 e ’50, infatti, si produceva circa 1milione di quintali di fichi freschi, inseguito però il paesaggio agrario ha subi-to un cambiamento radicale relegando lapianta a un prodotto minore.

La peculiarità del libro sta nel fatto chegli scrittori mirano a dimostrare come unrilancio del fico sia possibile attraversouna cultura produttiva, gastronomica eambientale in grado di favorire un’econo-mia sostenibile.

Affinchè ciò accada è indispensabi-le ripercorrere il ruolo che haavuto il fico nella storia dell’uo-

mo, ciò significa riappropriarsi di quellamemoria che appartiene ad un popolo dasempre devoto alla propria terra. Unadevozione che rischia di scomparire acausa di un progresso che tenta di allon-tanare l’uomo dalle vere gioie della vita.

Fichi di Puglia:storia, paesaggi, cucina,biodiversità e conservazionedel fico in Puglia

di Francesco Minonne,Paolo Bellonie Vincenzo De Leonardis

Coop. Ulisside EdizioniAnno: 2013Pagine: 161

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Come dice il nome stesso, una“Casa Museo” è un’abitazioneo un palazzo trasformato in un

museo. Può essere stato dimora diuomini illustri o di comuni cittadini,luogo di intimità familiare o centro dipotere: quello che rende eccezionalile Case Museo è la loro capacità dirappresentare la vita, le tradizioni e ivalori non solo di chi ci abitava, maanche della società in cui ilpadrone di casa viveva.

Visitare una CasaMuseo è un’espe-rienza affascinante.

Tutto, in una Casa Museo,diventa parte del percorsoespositivo: mobili, quadri,libri, oggetti di uso persona-le e quotidiano. L’Italia, da

Nord a Sud, ne ospita tantissime,fra queste la Casa-Museo Ribezzi-Petrosillo, inaugurata il 20 dicem-bre 2003, sorge nel pieno centrostorico di Latiano (BR), tra la viaAngelo Ribezzi n.1 (ingresso princi-pale) e la via Ernesto Ribezzi(ingressi laterali). Nei dieci annitrascorsi essa ha subito numerosiampliamenti, motivati anche dai

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Fondazione Casa-Museo

un nuovo percorso di cultura

Bianca RIBEZZI*

Ribezzi-Petrosillo

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riscontri positivi di pub-blico e di critica avuti findalla sua fondazione.

L’idea del Museo,voluto dai coniugiVittoria Ribezzi e

Vittorio Petrosillo, ha sicu-ramente i suoi anteceden-ti nella tradizione familia-re e nel culto per le memo-rie storiche tramandatosinel tempo. Giuridicamen-te configurata come Fondazione regolar-mente riconosciuta dalla Regione Puglia, haun’indipendenza economica e finanziaria,assicurata dai fondatori e uno statuto chene regola il funziona-mento, costituito da 15articoli. Il I° articolo cosìrecita: Per onorare lamemoria del Dott.Angelo Ribezzi e delCav. Lorenzo Petrosillosu iniziativa dei coniugiVittoria Ribezzi e Vitto-rio Petrosillo è costitui-ta ai sensi degli articoli14 e seguenti del CodiceCivile una Fondazionedenominata “Fondazio-ne Ribezzi-Petrosillo. Èretta da un Consigliodirettivo, costituito datre membri della fami-glia Ribezzi-Petrosillo, ilSindaco di Latiano protempore e il Sovrintendente archeologicopro tempore.

L’abitazione, attualmente adibita aMuseo, è costituita da un pianoinferiore di origine seicentesca e

da una sopraelevazione tardo settecente-sca, con rifacimenti ottocenteschi.

Il percorso, che conduce il visitatore inun viaggio nella storia e nel tempo,attraverso ricordi, memorie, testimo-

nianze varie e che fa comprendere, ancheattraverso opportune didascalie, il valore

del singolo documento,è così distribuito: ilpiano inferiore, con unpercorso circolare, hatredici sale, più una Gal-leria-Auditorium conun’ottantina di posti asedere.

Le prime tre sale,dedicate all’archeolo-gia, ospitano unamostra temporanea dal

titolo: “Muro Tenente un sito archeologicoconteso”, con una esposizione di repertiprovenienti dal sito archeologico messapicodi Muro Tenente, dati in affido dalla Soprin-

tendenza per i Beni Archeologici dellaPuglia. Tale sito dista da Latiano poco più diun chilometro e territorialmente fa parte delvicino Comune di Mesagne. Esso è comun-que strettamente legato a Latiano per uncontinuum storico-culturale che ne fa,appunto, la Latiano messapica ed è legatoaltresì alla storia della famiglia Ribezzi cheè stata la proprietaria sin dai primi decennidel XIX secolo di circa ¾ dei 50 ettari com-plessivi dei terreni che insistono sul sitoarcheologico stesso.

Fondazione Casa-Museo

Bianca RIBEZZI*

. . .Giur id i camenteconfigurata come Fon-dazione regolarmentericonosciuta dallaRegione Puglia, ha unasua indipendenza eco-nomica e finanziaria...

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Il percorso pro-cede, quindi,con la Sala

grande del pianoinferiore, che acco-glie riviste, album dicartoline d’epoca,libri letterari e giuri-dici e che ospitap e r i o d i c a m e n t eesposizioni di brevedurata e di variogenere. Attualmentesono esposti abitidella seconda metà del sec. XIX. Seguonola Sala della Numismatica, che accoglieuna raccolta di monete intitolata “DallaMagna Grecia all’Euro”, disposte secondoun ordine cronologico e un chiaro intentodidattico e la Sala della Musica, dove il visi-tatore può osservare spartiti, libretti d’ope-ra, strumenti musicali, dischi in bachelite evinile, abiti di scena appartenuti al contral-to Marcella Ziffer Ascarelli, il cui fondo èstato donato al Museo dalla figlia FrancaAscarelli Maffei.

Una rarità è datadalla possibilitàdi ascolto di

dischi metallici e di car-tone traforati risalentialla metà dell’Ottocento,tramite appositi stru-menti musicali coevi, amanovella, dotati dimantici interni.

Seguono le tresale dedicatealla moda nei

secoli passati (XVII-XX)con esposizioni di capi della moda infanti-le nel passato, libri e riviste per l’infanzia,abiti, biancheria intima femminile e acces-sori vari.

Si accede quindi alla Galleria- Audi-torium, lunga 18 metri e larga 5metri, attrezzata per conferenze,

concerti, manifestazioni varie, nella qualec’è anche un’esposizione di ceramiche deisecc. XVII-XX. La stessa conduce a treambienti che sono adibiti ancora alla moda

(due sale), alla storia della Telefo-nia e della Fotografia. Gli ultimiampliamenti si riferiscono ai vani(adiacenti alla Galleria) e destinatialla Biblioteca, al Centro informati-co messo a disposizione del visita-tore, alle memorie del Beato Barto-lo Longo, illustre filantropo delsecolo XIX-inizi XX, fondatore delSantuario Mariano di Pompei, nati-vo di Latiano e imparentato con lafamiglia Ribezzi per parte paterna.I nuovi ambienti contengono altre-sì una mostra di paramenti sacri.

Il piano superiore, al quale siaccede tramite una rampa di scale,conduce, innanzi tutto, ad unammezzato ove sono espostireperti messapici della collezioneRibezzi, quali macine, mortai,palle da catapulta. Anche il primopiano presenta un percorso circola-

Una rarità è datadalla possibilità diascolto di dischimetallici e di carto-ne traforati risalentialla metà dell’Otto-cento...

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re e le stanze che si susseguono sono deno-minate per gli oggetti ivi esposti: la Saladella Caccia e delle Armi, che contieneoggetti relativi alla caccia, armi bianche,documenti e ricordi del Risorgimento e delprimo e secondo conflitto mondiale; la Saladelle Pergamene, ove sono custodite, inapposite teche, carte e pergamene delladonazione Panzera e quelle appartenutealla famiglia De Electis (secc. XV-XIX) ascen-denti dei Ribezzi.

Nel Salone principale, dedicatoall’Avv. Benvenuto Ribezzi, sonoesposti, secondo un ordine tipolo-

gico e cronologico, i reperti archeologicimessapici allo stesso appartenuti. La colle-zione prosegue quindi nella stanza succes-siva, dedicata alla medicina nei secoli pas-sati, ove sono esposti ferri e strumentimedici.

La visita si conclude con la Sala dei LibriAntichi (secc.XVI-XIX) e degli Oggetti Sacri,che documentano gli interessi culturali e lareligiosità nel passato.

La Fondazione Casa-Museo Ribezzi-Petrosillo non vuole essere sola-mente un “contenitore” di reperti

e oggetti vari che, attraverso la storiadella famiglia fondatrice e di famiglie col-laterali, faccia emergere uno spaccato

della vita politica, culturale e religiosa deisecoli passati, ma nella sua attività orga-nizza con frequenza concerti, conferenze,incontri e dibattiti su argomenti filosofici,musicali, letterari, artistici. In tali manife-stazioni molti spunti vengono tratti dadocumenti inediti presenti nell’archiviodel museo, soprattutto se riferiti alla cul-tura locale o regionale.

Il gratificante interesse dei visitatori edil numero sempre crescente degli stes-si inducono i promotori a continuare a

lavorare in tale direzione e accogliere congratitudine quanti intendono, con donazio-ne di oggetti, contribuire all’arricchimentodelle esposizioni.

*Direttrice Casa-Museo Ribezzi-Petrosillo

(Foto)1 Casa-Museo Ribezzi-Petrosillo:

l’esterno.2 Casa-Museo Ribezzi-Petrosillo:

il salone “Benvenuto Ribezzi”.3 Casa-Museo Ribezzi-Petrosillo:

l’organetto musicale “Ariosa” (metà ottocento).4 Casa-Museo Ribezzi-Petrosillo:

Abito d'epoca XIX sec..5 Casa-Museo Ribezzi-Petrosillo:

libretti d’opera.

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Di solito chi si occu-pa di vino si è dedi-cato molto presto a

questa arte, spesso instradato dauna tradizione familiare. Il per-corso di Dan Lerner, invece, èquanto di più erratico possadarsi: dalla nascita a Beirut (l’a-scendenza è multietnica: nonnipaterni askenaziti provenienti dauna cittadina austroungarica,nonni materni rispettivamenteturco e lituana) al trasferimentoin Italia in giovanissima età, daitre lustri di attività nello svilupporurale nel Sud del mondo (per laFAO, poi per la Agrimont, poi come DirettoreGenerale della Intersomer di Mediobanca) aldownshifting (il passo indietro di chi rifiuta car-riere ansiogene e fagocitanti per dedicarsi a sestesso, alla ricerca di senso - e di gioia). Quindiconsulenze per case d’asta, comunicatori, caccia-tori di teste, ma, soprattutto, sempre più vino:«Si inizia apprezzando vini impattanti, imponen-ti, si cresce scoprendo vini strani, particolari, ilfascino dell’imperfezione, e si matura cercandoeleganza e essenzialità».

La sua storia potrebbe indurre in errore,farlo considerare un eccentrico dilettante,un flâneur delle cantine, ma le parole

chiave del nostro wine scout sono: responsabili-tà, solidarietà, condivisione; c’è sempre un’eticadietro a un buon vino, un buon piatto, una sanaproduzione agroalimentare.

Così come la poliedrica ricchezza dellecittà-mosaico del Mediterraneo, a furia ditrapianti, esodi, genocidi e pulizie etni-

che, è stata schiacciata dall’omogeneità cultura-le, così i vini rischiano di essere schiacciati dallaomogeneità del gusto, appiattito sempre piùverso il basso e inseguito da cantine che si sfor-

zano di assecondare il cliente nellasua pigrizia, nella sua paura del-l’inconsueto. La missione di Dannon è cambiata: promuovere lo svi-luppo. Ma che sia sviluppo dell’ec-cellenza, affermazione dell’impe-gno, della serietà, della creatività:«I bottiglioni son capaci tutti distapparli, basta entrare, pagaresalato e allenarsi ad arrotarele erre di Gevrey-Chambertin. No,qui oggi si parla di ricerca, di chic-che, di Italia. Con il massimorispetto, e un poco di invidia, per imaestri di Borgogna, con altrettan-to piacere nello scovare quell’etta-

ro piantato qua e là che esprime assieme il per-corso di un viticoltore e la sua personale sfida. Misono ormai convinto che anche il terroir sia unluogo dell’anima e che certi vitigni siano ingrado maieuticamente di tirare fuori il meglio dachi decide di sfidarsi e trarne un proprio vino».Non basta la tecnica, per questo: è necessaria laconsapevolezza. Il sogno di Lerner è un LiceoArcimboldo, una scuola che superi la distinzionetra le professioni del pensiero e le professionidelle mani, che non trascuri la storia, la filosofia,la letteratura italiana e internazionale, e assiemefornisca gli strumenti per una competenza prati-ca nelle professioni legate al settore agroalimen-tare, turistico, nutrizionale.

«A volte capita che mi chiedano di suggeri-re vini strani, vini bizzarri. Ma il vino nonè fatto per épater les bourgeois, il vino è

per godere. Nel vino l’armonia e l’equilibrio sonodoti che devono accompagnare la piacevolezza ela caratteristica principe: la bevibilità. Non è piùtempo di vini estremi, ma di vini estremamentebuoni».

gusto eticoIlElio PAOLONI

www.eliopaoloni.it

Come riconoscere un buon vino?«È quello che quando lo bevi ti viene

voglia di conoscere chi l’ha fatto,cominci a immaginarti che faccia

potrebbe avere».

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Storia

In origine l’oliod’oliva era consi-derato anche dai

Romani, come daiGreci, un genere dilusso: costava caris-simo, se ne adopera-vano poche gocce,era in cucina l’equi-valente del nostrotartufo. Più comuni erano invece nel-l’uso alimentare le olive. Catone - cheè un conservatore accanito con punteretrograde ed è parsimonioso sinoalla tirchieria - condisce con aceto,non con olio, tanto le insalate quantoil cavolo, e usa ancora lo strutto edaltri grassi animali tanto per friggerequanto per i più generali usi alimen-

tari, ma già nel IIIsecolo a.C. l’oliod’oliva comincia adessere diffuso, emeno costoso chein origine. In ognicaso, ancora Pliniorimbrotta Catoneche elogiava il con-sumo del cavolo

obiettando che esso in realtà nonpuò essere mangiato se non conditocon abbondante olio, che è ancoraabbastanza caro. Lo stesso Catoneriservava agli schiavi - ed anche par-camente... - le olive caduche ammac-cate e poi quelle «talmente stagiona-te che se ne potrebbe ricavarepochissimo olio»: «usane con parsi-

Gastronomiadella

Giuseppe MAZZARINO

l’olio e l’olivo nell’antichità(3)

www.eliopaoloni.it

Catone, che è unconservatore, nelIII° sec. a. C.condisce ancoracon aceto, e noncon olio, le insa-late e il cavolo...

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monia -scrive nelsuo tratta-tello alfiglio - per-

ché durino alungo». Quandopoi le olivesaranno finite,gli schiavisaranno nutritiad hallec edaceto. Questo èil companatico, perché l’alimentazio-ne-base per gli schiavi liberi di muo-versi è di 4 moggi di grano per l’inver-no e 4 e mezzo per l’estate; per glischiavi in ceppi (che non possono pre-parasi la puls o il pane) l’alimentazio-ne-base è invece costituita - d’inverno- da quattro libbre di pane al giorno,che diventano cinque quando si iniziaa zappar la vigna e tornano a quattroquando il pane viene integrato coifichi. Bontà sua, Catone fornisceanche un sestario d’olio al mese edun moggio di sale all’anno. Completail tutto una complicata fornitura divini, vinelli e vini sofisticati per untotale di una decina di quadrantalil’anno per i lavoranti di fatica, di settequadrantali per gli altri.

Quanto alla tenace (e fallace) cre-denza di una tarda introduzione del-l’olivicoltura nelle aree interne e nelMediterraneo occidentale, questa è latestimonianza di Plinio: «Teofrasto,uno dei più illustri autori greci, intor-no all’anno 440 dalla fondazione di

Roma disse chel’olivo nonnasceva discostodal mare più di40 miglia; eFenestella diceche non eranoolivi in Italia, inIspagna né inAfrica quandoregnava Tarqui-nio Prisco, 173anni dal princi-

pio di Roma, i quali olivi sono ora pas-sati al di là delle Alpi, e in Gallia e finoin mezzo alla Spagna. Per questomotivo nell’anno 505 dall’edificazio-ne di Roma una libbra d’olio si vende-va a dodici assi, mentre nell’anno 680di Roma Marco Seio, figlio di Lucioedile curule, diede al popolo romanoper tutto l’anno dieci libbre d’olio perciascun asse. Ma molto meno si mera-viglierà di queste cose chi saprà come

22 anni dopo, nel quarto consolato diPompeo Magno, l’Italia mandò olionelle provincie. Esiodo, anch’egliinsegnando l’agricoltura, disse chenessuno che piantasse l’olivo colse

I Romani hanno un’am-pia suddivisione di qualitàd’olio: intanto distinguonol’olio di prima spremitura,olei flos, che è il miglioreancor oggi, dal sequens, cheè quello di seconda spre-mitura o torchiato

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mai frutto di esso: così tardi cresceva-no allora gli olivi. Ma al presente liseminano ancora nei vivai e, trapianta-ti, dopo un anno ne colgono le olive».C’è da dire che il vivaio (seminarium) diolivi è già rudimentalmente noto aCatone.

IRomani hanno un’ampia suddivi-sione di qualità d’olio: intantodistinguono l’olio di prima spre-

mitura, olei flos, che è il migliore ancoroggi, dal sequens, che è quello diseconda spremitura o torchiato; segui-va poi l’oleum cibarium, ottenuto conuna successiva e piùintensa torchiatura: eral’olio più usato in cucina,perché costava moltopoco, mentre l’olei flosveniva usato solo (e par-simoniosamente) qualearomatico, prezioso con-dimento; poi considera-no il grado di maturazio-ne delle olive e le modali-tà della raccolta: cadu-cum è l’olio (meno pre-giato) di olive cadute naturalmente eraccolte da terra (spesso ammaccate e,quindi, andate in parte a male o irran-cidite); acerbum è l’olio prodotto inestate con olive ancora acerbe; viride èl’olio dicembrino, ricavato da olive ora-mai annerite; quello di miglior qualità,destinato quasi esclusivamente allapreparazione di unguenti, balsami ecosmetici, è l’omphacium, preparato insettembre con olive della migliore qua-lità, colte a mano e poco prima dellamaturazione. «Vuolsi maggior arte a

temperare l’olio - osserva Plinio -che non si voglia ai mosti, poichéè certo che di olive medesime sifanno olii di diversi sapori.Prima tra tutte è l’oliva acerba eche non ha ancora cominciato a matu-rare: è d’ottimo sapore (...). Quanto piùl’oliva è matura più il succo è grasso emeno gradito. Il miglior tempo dicoglierle è quando cominciano adannerire». Catone ha invece precetticontrastanti; da un lato raccomanda dinon lasciare in terra o sul tavolato leolive: «quanto più presto lo farai [l’o-

lio], tanto sarà meglio; eun egual numero dimoggi appena colto tidarà più olio, e migliore»;poi però raccomanda(interpolazione?), dopoaver mondato, lavato easciugato accuratamentele olive, di aspettare lapiena maturazione, escrive di seguito: «quantopiù l’oliva sarà acerbatanto sarà migliore l’olio;

al padrone conviene molto che l’olio sifaccia con oliva matura».

Siamo alle solite: Plinio traman-da un precetto di gusto, quali-tativo; Catone - che lascia i suoi

appunti quasi agli albori dell’olivicol-tura organizzata dei Romani - recepiscecredenze contrastanti che parzialmen-te prescindono dal gusto, mirandopiuttosto alla quantità.

(21. continua)

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La mela cotogna, coltivata già nel MedioEvo, era considerata come il più utile deifrutti. Non solo era alla base delle con-

serve dei contadini di Orleans, chiamate coti-gnac, una specie di marmellata, ma era ancheservita con la carne stagionata. La storia lavede comparire in molte opere classiche di autori latini, come base di accompagnamento perpietanze importanti. Il primo documento scritto Mostarda de fructa per feste natalizie risaleal 1393, attribuito a Galeazzo Visconti, Duca di Milano.Oggi, le piante di mele cotogne sono quasi una rarità e la cotognata appartiene ormai alle tra-dizioni perdute. Chi ha la fortuna di trovare i frutti, può cimentarsi nella preparazione perapprezzare un sapore antico e dimenticato.La cotognata è un dolce tipico del periodo autunnale, ha la caratteristica di conservarsi moltobene a condizione che venga mantenuta in un luogo fresco ed asciutto, anche in barattolo divetro a chiusura ermetica.

Benedetto MAZZA

ABBINAMENTO CONSIGLIATO:MADRIGALE Primitivo di Manduria DOCG Dolce NaturaleVitigno: Primitivo 100% - Età dei vigneti: 80 anni. Caratteristiche del suolo: calcareo tufaceo -medio impasto. Sistemi di allevamento: ad alberello. Epoca di vendemmia: 3a decade di set-tembre. Resa media di uva per ettaro: 20-30 ql. Vinificazione: in rosso con termocondiziona-mento del processo fermentativo. Affinamento del vino: in bottiglia. Gradazione alcolica: 15% Vol. Acidità totale: 7 g/l, Caratteristiche organolettiche: colore: rosso intenso, con evidentiriflessi porpora sull’unghia; profumo: intenso , deciso, ricco di note di frutti rossi maturi comel’amarena. Arricchito elegantemente da sentori di frutta secca, datteri e fichi secchi. sapore:dolce, caldo e avvolgente Temperatura di servizio: 10-14° C.

PREPARAZIONE lavare e nettare le mele, tagliarle in pezzi e metterle in casseruola con l’acqua ed ilsucco di limone. Far bollire e, una volta sfatti, passare al setaccio. Rimettere il compo-sto in casseruola con lo zucchero ed ultimare la cottura per circa un’ora. Stendere l’im-pasto in un recipiente di ceramica quindi infornare a 100°C per circa un’ora.Lasciare raffreddare il tutto e tagliare a pezzi.

COTOGNATA

kg. 1 di mele cotognegr. 800 di zucchero1 bicchiere d’acquail succo di 2 limoni

INGREDIENTI

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Siamo a Copertino, comune in provincia diLecce che conta circa 25 mila abitanti.Sicuramente la sua fama è legata ai

natali dati a S. Giuseppe: “simpatico” santodel Sud, umile frate, segno di contraddizioneed efficace pungolo di rinnovamento, sociale ereligioso che, in pieno Seicento, epoca diapparenze e virtuosismi formali, colpiva per lasua semplicità, spesso anche rozza e irruente,che però metteva in crisi i suoi stessi potentipersecutori. Protettore degli studenti, perchéparticolarmente dedito agli studi e protettoredegli aviatori, per il dono singolarissimo dellalevitazione, a San Giuseppe da Copertino sonodedicate ogni anno asettembre solenniprocessioni, degusta-zioni di piattitipici, fantasticheluminarie, fuochi piro-tecnici e spettacolimusicali.

Importante poi ilgemellaggio conCupertino (Cali-

fornia) dal 24 Luglio1963. Quest’anticogemellaggio è unagrande opportunità discambi culturali, com-merciali, sportivi e di politiche virtuose tra cittàche in questo caso addirittura appartengono acontinenti diversi. Cupertino (Usa), oggi cuoredella Silicon Valley (vi è la sede principale dellaApple e molte altre aziende high tech hannoqui i loro uffici) risulta, dunque, essere doppia-mente legata a Copertino sia per l’origine delnome sia per la venerazione per lo stessosanto.

In questa piccola ma fervente città troviamoin via Margherita di Savoia, l’Enoteca Tempo diVino di Pierino Manca, il vivace e preciso tito-lare che dal 2006, quasi per scommessa, havoluto intraprendere l’avventura enoica. «Illocale è un piccolo spazio nato inizialmenteper poter degustare il vino sfuso che mi forni-va un unico produttore, poi ho capito che il set-

tore aveva bisogno di maggiore pro-fessionalità e offerta alla clientela,che intanto era cresciuta in quanti-tà e qualità», afferma Pierino, checosì amplia man mano la gammadei suoi prodotti.

Oggi l’enoteca vanta unavasta scelta delle migliorietichette di vino rigorosa-

mente pugliese, con un occhio di riguardo alSalento, ma oltre ai distillati, sugli scaffali sipuò trovare anche un’ampia proposta di grap-pe, champagne e liquori. Grazie ai preziosiconsigli della Signora Giovanna, sua moglie,

che nel tempo libero loaffianca volentieri per sug-gerire la migliore disposi-zione e presentazionedelle bottiglie, l’enotecaTempo di Vino, una verabottega del vino, è diven-tata un sicuro punto diriferimento per i cittadinidi Copertino e dintorni,specialmente per gliacquisti natalizi. «Malgra-do si soffra ancora per laflessione degli acquisti,complice il periodo dicrisi, la mia soddisfazione

- dichiara Pierino Manca - la vivo specialmen-te nel periodo estivo, quando numerosi turistiitaliani e stranieri in visita nella città nei giorniin cui ci sono i festeggiamenti del Santo ‘chevola’, ho modo di proporre orgoglioso i viniemblema del mio territorio, Primitivo e Negroa-maro, sempre più conosciuti ed apprezzati».

Èstato piacevole incontrare PierinoManca presso la sua enoteca Tempo diVino, la sua garbata cortesia nell’acco-

gliere il cliente come un ospite importante èindubbiamente un pregio, la sua affabilità con-quista, l’enoteca diviene un piacevole luogo diconversazione, così è davvero difficile usciredal negozio senza aver fatto, compiaciuti, unacquisto.

A Copertinoè Tempo di Vino

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Rino CONTESSA

la cacioricotta

reperti emanufatti dal

Dopo aver trattato negli ultimi duenumeri della rivista della produ-zione del formaggio e di quella

della ricotta, per completare il ciclo dellalavorazione del latte, che avveniva nellamasseria ad opera del massaro, oraresta da accennare alle fasi di produzionedella cacioricotta e di altri prodotti casea-ri, secondari, qualipampanelle, pannae pilusu.

La cacioricottaè un partico-lare formag-

gio che si producenelle regioni meri-dionali d’Italia spe-cialmente in Puglia,in Basilicata e inCalabria. Il nomederiva dall’unionedei termini cacio e ricotta a sottolineareche la sua preparazione avviene con unatecnica mista a metà tra quella del for-maggio tradizionale e quella della ricotta.Difatti, per far coagulare il latte, ci si servedel caglio che interviene sulla caseina,come avviene per il formaggio, e del suoriscaldamento a temperatura opportunaper incorporare l’albumina, come avvieneper la ricotta. Essa è un formaggio a pastacruda, che si lavora manualmente; si pre-senta tenero, elastico, di colore biancoquando è fresco, tende adindurire ed a un colore avo-rio o giallo paglierino allor-ché si sottopone a stagiona-tura (2-3 mesi).

Un tempo era prodottoesclusivamente da latte dipecore o capre (migliore),allevate al pascolo libero,oppure da latte misto e sta-gionalmente, tra luglio e set-tembre, quando gli animalinon allattavano i piccoli epotevano cibarsi anche delle

stoppie (rištòccia, rištùcciu) dopo la mie-titura; oggi invece è presente in tutti iperiodi dell’anno negli esercizi commer-ciali e si consuma preferibilmente stagio-nato. Questo tradizionale e tipico prodot-to agroalimentare si presenta nella classi-ca forma cilindrica di piccole dimensionicon un diametro di 8-10 cm, un’altezza di

6-8 cm e dal peso chevaria da 0,4 a 0,8 Kg.Nel suo odore intensosi avvertono sentori dierbe della macchiamediterranea, mentreil sapore dolce e sapi-do, allorché giovane,tende a diventare leg-germente acidulo epiccante dopo 40-70giorni. In cucina è uti-lizzato, fresco, come

prodotto da tavola oppure da grattugia,previa stagionatura; particolarmente indi-cato ed apprezzato per condire la tradizio-nale pasta fatta in casa, con sugo dipomodoro fresco e basilico.

La preparazione della cacioricottanon differisce molto da quella delformaggio, della quale si è detto

nel numero di dicembre 2012 della rivi-sta. Riassumendo e connettendomi airicordi dell’infanzia, legati alla frequenta-zione della masseria Li Cicci, rivedo mas-

Rivedo massaro Antonioche versa il latte nellagrande caldaia (cácculu)di rame rossa stagnata,previo filtraggio, mentreBarsanofio, il piccolopastorello (picurašciulu),alimenta il fuoco...

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Rino CONTESSA

saro Antonio che versa il latte nella grandecaldaia (cácculu) di rame rossa stagnata, pre-vio filtraggio, mentre Barsanofio, il piccolopastorello (picurašciulu), alimenta il fuoco. Illatte veniva scaldato gradualmente, sino allesoglie della bollitura, non doveva però rag-giungerla ma attestarsi intorno agli 80° C., erimestato in continuazione, con l’aiuto delbastone di legno (ruzzulaturu) dalla grossatesta a forma di pigna levigata. Tolta la fiam-ma e scesa la temperatura del latte, si versa-va il caglio (quaju), per farlo rapprendere. Perla produzione della cacioricotta massaroAntonio (e questa era una raffinatezza chesecondo alcuni conferisce più delicato sapo-re) usava come presame, capace di provoca-re la coagulazione del latte, non la sostanzaacida contenuta nello stomaco degli agnellilattanti, bensì la linfa bianca del fico (uècchjti fica). Questo lattice era molto usato neitempi passati tra le sostanze vegetali capacidi cagliare il latte, come ilfiore ed i semi del cardo, ifiori del carciofo selvaticoo spinoso ed i semi dellozafferano. Un ramo verdedi fico, preferibilmentedella varietà fica crossa,tagliuzzato, decorticato epestato (o in alternativa ifrutti non maturi dellostesso) veniva immersoper tempo in un boccalecontenente dell’acqua.Spurgato il latticello, tolto il ramo e filtrato iltutto, si versava nella caldaia del latte. Aseguire si rompeva la cagliata e si sbriciolavafinemente, e poi, dopo un breve riposo, dis-tribuita nelle fiscelle (fišckoddi) e pressatacon le mani, si metteva a scolare. Questi reci-

pienti, dove avveniva la sgocciolatura e chedavano forma alla cacioricotta, erano di giun-co intrecciato, oggi sono di plastica, comequelli, differenti per forma e dimensioni,usati per il formaggio (feški) e per la ricotta(fiškari). Dopo la fuoriuscita del siero, chedurava alquante ore nelle quali si rigiravaspesso, la cacioricotta veniva salata e dopo4-5 giorni era pronta per essere gustata fre-sca.

Il lemma cacioricotta è difficilmente riscon-trabile sui comuni vocabolari o dizionaridella lingua italiana (è presente nel Diziona-rio della lingua italiana del Tommaseo mentremanca nel Grande dizionario della lingua ita-liana di Salvatore Battaglia) e, se presente, ilsuo genere è anche ambiguo, perché talvoltaè indicato maschile talaltra femminile; io hoseguito e seguo il mio dialetto che vuole lavoce femminile, infatti per indicarla diciamocasiricòtta, così come è anche di genere fem-minile nelle sue varianti di casuricòtta ocasricòtta.

A fronte della importanza economica che haavuto specialmente nel passato l’allevamen-to ovi-caprino nelle nostre regioni meridiona-li, con la produzione di carne, latte e formag-gio, ed ai molti rimandi e notizie contenutianche nella letteratura collegata, i riferimen-ti alla cacioricotta sono molto scarsi, per nondirsi quasi assenti. Il cenno più antico, da meconosciuto, l’ho trovato in una nota a pagina68 dell’opera di Giovan Battista GagliardoDescrizione topografica di Taranto con quelladei suoi due mari, delle pesche, del suo terri-

torio, dei rottami delle sue antichità e collaserie dei suoi uomini illustri, stampata aNapoli nel 1811, allorché scrive: «Ed io non lericorderei [le pecore] se i pastori Tarentini nonfabbricassero col latte delle medesime delleeccellenti ricotte, ed una qualità di squisito

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formaggio detto cacioricotta». Non cono-sco i motivi di questa irrilevanza, che nonè assolutamente riscontrabile per il for-maggio pecorino, forse da attribuire allalimitata e scarsa produzione dei soli tremesi estivi o alla poca conoscenza e cir-colazione del prodotto.

Tra i prodotti secondari attinentialla lavorazione del latte troviamola specialità tutta nostra salentina

della pampanella (pampanèdda) che èuna specie di ricottina non salata, quantouna cucchiaiata di latte di pecora o capra,cagliata con presame animale e riposta in

un pampino di vite (dal nome dialettalepàmpana) o in una foglia di fico. Venivapreparata nei mesi di giugno-settembre evenduta nelle strade del paese diretta-mente dal pecoraio produttore. Questoderivato fresco del latte è conosciuto inaltre zone, specialmente nel leccese, conil nome di giuncata (dove è tipica del gior-no dell’Ascensione), perché fatta scolaredel siero in piccole stuoie di giunco, dondeil nome, legate alle estremità.

La panna era invece una prelibatez-za da circostanza particolare, cheper la mia famiglia coincideva con

il compleanno di mia madre, il 24 giugno,giorno in cui ricorre la nascita di S. Gio-vanni Battista, e la panna, portata in donoda massaro Antonio, rappresentava latestimonianza del suo omaggio in quantonon rientrava tra le prestazioni in naturaspettanti per le nostre dieci pecore, cheteneva in affitto. Ai proprietari non con-duttori di masseria spettava, come era

scritto nei contratti, tutto il latte chenasceva nel giorno dell’Ascensione che,per consuetudine o su espressa richiesta,era corrisposto in panna. Si confezionavaportando il latte ad ebollizione dopo averlocontinuamente rimestato con il ruzzulaturu,imprimendo alla massa un movimento amulinello; si lasciava riposare e, a completoraffreddamento, sulla superficie affioravauno strato denso, bianco-giallognolo, spes-so 3-4 cm. Si consumava come un qualsia-si formaggio fresco addizionato al suolatte o secondo i propri particolari gusti.

La panna, che siforma in seguito allacoagulazione della

lattoalbumina, costituendola parte più grassa, il fiorfiore del latte, impoveriva ilresiduo che, se utilizzatoper farne formaggio o ricot-ta, era di qualità inferiore.Rarissima, vera ambrosia,ovvero cibo degli dèi, era laricotta ašcànti (piccante,bruciante) che si ottenevadalla panna. A me, poveromortale è capitato in sortedi assaggiarla una solavolta, tanti anni fa, prodot-ta nella masseria Mavilia,

in agro di Maruggio.

Con i residui (muddìculi) raccattatidai vari utensili alla fine delle ope-razioni per la confezione del for-

maggio, la massara, comprimendoli tra lemani, riusciva ad appallottolare quantouna noce, lu pilusu , che, consumato subi-to o reso filante sotto la cenere, premiavaqualche ragazzo meritevole o nelle suegrazie. Se poi non era dato ai cani, semprenumerosi nella masseria, «si conservavaper porla agli estremi delle tavolate di for-maggio nel deposito ove se un topo sifosse introdotto l’avrebbe rosicchiato inve-ce delle forme da vendere intere» cometestimonia Rosario Jurlaro nel suo Conti-nente masseria. Alle radici del Sud medi-terraneo.

Dalla presenza in questo piccolo caciotalvolta del ‘famoso’ pelo gli derivava ilnome di pilusu.

(5. continua)

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Il progetto Giovane Orchestra del Salentonasce a Marzo 2011 da un’idea di ClaudioPrima con collaborazione dei Comuni di Liz-

zanello, San Cesario e Lequile. Tutto inizia con lavincita del bando “Giovani Energie in Comune”del Ministero della Gioventù Italiana e dell’ANCI,che offre in meno di un anno 500 ore di forma-zione gratuita in 16 classi stabili e 5 stage diperfezionamento.

Il progetto, riservato a giovani tra i 15 e i 25anni, ha condotto - attraverso un percorsodi formazione e selezione - alla costituzione

di un’orchestra stabile, luogo ideale di espres-sione e di sintesi creativa dei generi diffusi sulterritorio salentino. La Giovane Orchestra delSalento ha accolto, infatti, strumenti di tradizio-ne classica, moderna e popolare e si occupa direpertori nati dalla loro convivenza. Attualmentesono circa 50 i giovani musicisti presenti inOrchestra che fino ad oggi ha coinvolto diretta-mente nelle sue attività formative più di 150ragazzi.

Il gruppo, diretto da Claudio Prima, con l’or-chestrazione e gli arrangiamenti diEmanuele Coluccia - che appunto l’ha defi-

nito «Un abbraccio dentro cui suonare» - produ-ce un repertorio inedito nei testi e nelle musicheed esprime un nuovo modo di essere orchestra,libero da ogni sche-ma pregresso. Lamusica suonata dairagazzi è il frutto diun processo orienta-to e inclusivo, dedi-to all’integrazione eall’arte dell’incon-tro. Molti dei braninascono da spuntidei ragazzi stessi evengono sviluppati nelle sezioni di musica d’in-sieme. Questo processo di creazione ‘condivisa’instilla nei partecipanti una cultura musicalecentrata sull’apertura, sull’integrazione e suldialogo, oltre a fornire esperienza diretta delletecniche di composizione e arrangiamento. Lostimolo alla creazione di un repertorio nuovo ealla partecipazione di ognuno in rapporto al pro-prio ruolo e alle proprie competenze crea, così,un gruppo affiatato ed entusiasta e dona alla

musica una prorompente energiache ha coinvolto ed emozionato ilpubblico in tutte le esibizioni del-l’Orchestra. Ultimamente, è nato ARCIPELAGOche si propone di realizzare dellenuove ‘isole’, cioè dei progetti inedi-ti che diffondano le modalità utiliz-zate nella creazione della GiovaneOrchestra del Salento. Questi nuovigruppi saranno gestiti da alcuni membri dellaGiovane Orchestra supportati da Claudio Primaed Emanuele Coluccia. I gruppi accoglierannonumerosi ragazzi provenienti da tutto il Salento,regione notoriamente molto fertile in materia digiovani talenti, e saranno collocati in aree stra-tegiche. I gruppi potranno quindi iniziare acomunicare all’interno dell’arcipelago, scam-biando esperienze, mutuando suggerimenti eidee, confrontando i risultati ottenuti. I parame-tri di confronto e di crescita saranno la capacitàdi integrazione e di inclusione, la dedizione allasperimentazione e all’apertura del raggio d’a-zione della musica composta ed eseguita.

L’avventura musicale che ha portato allacreazione della Giovane Orchestra delSalento, dalle audizioni ai concerti, è

stata espressa ne “Il volo”, il film documentariogirato da Tommaso Fag-giano e Domenico Ric-ciato, a cura di CorradoPunzi, che racconta l’av-ventura dell’Orchestradalle audizioni ai con-certi.Nell’evoluzione del pro-getto è prevista la pos-sibilità di creare delleclassi di studio, che

possano aiutare i ragazzi nel proprio percorso diapprofondimento, conservando l’ottica generalesulla quale si basa la Giovane Orchestra. I corsicoinvolgeranno, cioè, docenti e musicisti parti-colarmente sensibili all’idea di musica senzavincoli o confini, che possano quindi unire all’in-segnamento un insieme di valori orientati all’ap-prendimento di un’arte del fare insieme. www.giovaneorchestra.com

Giovane Orchestra del Salentoun abbraccio dentro cui suonare...

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Scrittori brutta razza • Luigi Saccomanno (Lupo Editore)

Antonio Penna, nomen omen, apprende la passione per lascrittura a quindici anni, in un istituto religioso dove vienecondotto dopo che il tribunale lo ha allontanato dalla fami-

glia. Il suo animo già ribelle e contrario alle convenzioni sembrasoltanto attendere la scintilla definitiva: la notte di Natale, neldormitorio, strappate le ultime pagine bianche della Bibbia,cominciava così a scrivere, o meglio a «muovere i primi passi suun pianeta dove la paura era solo un brutto sogno». La formazio-ne del protagonista come scrittore è così al centro del libro diLuigi Saccomanno, Scrittori brutta razza, un romanzo debitore,fino talvolta a confondersi, alla scrittura poetica, della quale ere-dita soprattutto frasi frantumate come versi e consonanze cherichiamano più d’una volta i giochi di parole.

L’autore, nato a Gallipoli nel 1983, vive a Lecce dopo unalaurea in Cooperazione internazionale e dopo aver lavora-to in Francia e in Inghilterra. Nel suo romanzo non c’è tut-

tavia una precisa collocazione spaziale, benché, compiuti i diciott’anni, il protagonista siritrovi a girare in lungo e in largo quella che appare essere una metropoli insieme alla suacompagna di viaggio, la giovane Zenit, di cui Antonio si innamora perdutamente. Una figuraalternativa e anticonvenzionale, quella di Zenit, ancor più di quella del protagonista: unaragazza che si getta facilmente nella mischia (che si tratti di liti al bar con tipi non raccoman-dabili, o di concerti improvvisati per la strada), che gioca a dadi il destino della sua relazionecon Antonio, che attraversa in maniera disinvolta ogni situazione che le riserva la propria vita.

Tirato fuori dal cassetto il suo romanzo e ottenuta, non senza una buona dose di auto-compiacimento, l’approvazione di Zenit, Antonio entra, al centro del romanzo, a con-tatto con il mondo editoriale. Ben presto la disponibilità alla pubblicazione concessa-

gli da «uno dei più importanti editori» contattati porrà il protagonista davanti al bivio trapurezza e contaminazione. Il seguito rappresenta la catabasi che già le prime pagine delromanzo avevano introdotto: la vita sregolata, un fatto di sangue, l’ingresso in carcere. Ma eracon la scrittura che la vita di Antonio era cambiata. Lo si leggeva già nell’incipit: «Siamo per-sone davanti a un bivio. Ci è data la possibilità di scegliere: quanto zucchero mettere nel caffè,se uscire all’aria aperta o restare chiusi in camera, vivere o morire. Vivere, o morire? Cos’haivoglia di fare della tua vita? Io decisi di scrivere, e il mondo cambiò».

(Stefano Savella)www.puglialibre.it

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Vino e dintorni

• Il vino italiano ha trovato una nuova frontiera promozionale: i fumetti giappo-nesi, i Manga. La fortunatissima serie Kami no shizuku (gocce divine) è diventataun "cult" da 10 milioni di copie, tradotto in molte lingue, presenta storie che inmodo accattivante contribuiscono a diffondere la cultura del vino, soprattutto pres-so il pubblico giovanile. L'autore è Tadashi Agi, nome collettivo scelto da Shin eYuko Kibayashi, fratello e sorella uniti nell'ideazione e nel design di fumetti.

• Gambero Rosso aprirà una "Città del Gusto" a Lecce: dopo Roma, Napoli, Paler-mo, Catania e Torino, la scelta è ricaduta sul Salento: una grande opportunità dicrescita per il nostro territorio, per il turismo, per la ristorazione e per la promozio-ne e tutela dei nostri prodotti. L’accordotra Gambero Rosso Holding Spa ed ilDistretto Agroalimentare di Qualità Joni-co Salentino darà il via ad un processoche ci porterà ad essere un riferimento dieccellenza nel panorama enogastronomi-co italiano.

• A Bari il 3 e 4 dicembre, organizzatodall'Ass. Naz. Le Donne del Vino, "Figliedella terra" il vino raccontato dalledonne. Un viaggio alla scoperta di vini esapori, tra i calici e i profumi del nettare,tra storie al femminile e racconti didonne vissuti con la passione e la sensi-bilità per la vigna e il terroir.

• Grande soddisfazione in CPVIni peraver affiancato il MAX TEAM di Viareggionelle competizioni Endurance Sport (BoatProduction), uno dei settori più difficilidella motonautica sportiva, vincendo siail campionato italiano - con i piloti M.Cucurnia e G. Casagni - che il campionatomondiale - con i piloti Max Bertolucci eElena Stepanova.

• Si rinnova, anche per il 2013, la sugge-stiva esperienza di riunirsi in Cantina inattesa del S. Natale per la Messa, cele-brata da S.E. Mons.Vincenzo Pisanello, lasera del 23 dicembre.

• Dal 6 al 9 aprile 2014, a Verona la 48^ ed. di Vinitaly, la prima fiera al mondo peril settore del vino. Il CPVini presente nel Pad. 10 Puglia, Stand C3.

Pietro Dinoi entra nella compagine sociale della cooperativa nel 2001,affiancando prima e subentrando da quest’anno al padre Leonardo. Pie-tro ha un cognome che rivela tutta la sua ‘mandurianità’ - Dinoi è il piùdiffuso cognome a Manduria - la maggior parte dei quali esprime unafamiglia di agricoltori. E Pietro è consapevole della sua tipicità, anche segiovanissimo aveva imboccato la via, apparentemente più semplice,lavorando prima nell’Arma e poi nell’Industria metallurgica, scegliendoquel ‘posto fisso’ che - in un periodo in cui, nelle nostre terre il Primiti-vo era ancora dormiente - rappresentava una valida alternativa al durolavoro nei campi. Dura poco, «buon sangue non mente…», così, dopomeno di 10 anni Pietro è convinto: «la mia strada è quella dell’Agricol-tura, con la A maiuscola», contento del suo ritorno alla terra, ritrovandole origini familiari mi ripete più volte «conduco da solo tutti i terreni, 10ettari, tutti di Primitivo DOC!», non per pleonastica espressione, ma persincera e viva soddisfazione! «Ho creduto nella sfida dei tempi e nel-l’impegno chiesto dalla Cooperativa, oggi è l’agricoltura che può salva-re l’economia della regione e del paese». Pietro, quarantenne che pro-duce solo Primitivo, partecipa attivamente alle iniziative della Coopera-tiva come quella di far parte del gruppo dei ‘Soci giovani’, coloro neiquali il Consorzio Produttori Vini vede il futuro e la realizzazione deitanti impegni e progetti che si stanno concretizzando oggi in Cantina.

Dai Produttori Vini Manduria

NOME PIETRO DINOISOCIO DAL 2001

ATTIVITA’ PRINCIPALE:coltivatore diretto

LA COSA PIU’ BELLA DELLA CAMPAGNA:l’aria

LA COSA PIU’ BRUTTA DELLA CAMPAGNA:la fatica

UN OBIETTIVO IMMEDIATO:consolidare il successo del Primitivo

IL VINO È: soddisfazione per il palato e... perle tasche dei produttori

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Foto: Archivio ‘Come eravamo, il mio Sud’

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Foto: Archivio ‘Come eravamo, il mio Sud’

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