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Liceo Scientifico Tecnologico “G. Galilei” AREA DI ORIENTAMENTO CLASSE 1E “ALBE E TRAMONTI NELLA LETTERATURA” A cura degli alunni della classe I E, coordinatrice del progetto prof.ssa Antonella Stoppari Anno Scolastico 2009-2010

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Liceo Scientifico Tecnologico “G. Galilei” AREA DI ORIENTAMENTO CLASSE 1E

“ALBE E TRAMONTI NELLA LETTERATURA”

A cura degli alunni della classe I E,

coordinatrice del progetto prof.ssa Antonella Stoppari

Anno Scolastico 2009-2010

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I PARTE martina natalini 1°E

AAAUUUBBBEEE (((AAALLLBBBAAA PPPRRROOOVVVEEENNNZZZAAALLLEEE))) DDDIII TTTRRROOOVVVAAATTTOOORRREEE AAANNNOOONNNIIIMMMOOO

Io Quan lo rosinhols escria ab sa la parte dia el nueg, Yeu SUY ab ma bell'amia Jos la flor, tro la gaita de la Tor escria: "Drutz, LeVar al! Qu'ieu vey l'alba CLAR el Jorn ".

Io Mentre il tordo canta, notte e giorno, Sono con la mia bella sotto i fiori, fino a quando la nostra sentinella dalla torre grida: "Amanti, alzatevi! ché io vedo chiaramente l'alba e il giorno ".

Alba è un sottogenere della poesia lirica provenzale. Essa descrive il desiderio di amanti che, dopo aver passato una notte insieme, si devono separare per paura di essere scoperti dai loro rispettivi coniugi.

–Una figura comune presente ad Alba è la Guaita ("sentinella" o "guardiano"), un’amica che avvisa gli amanti quando è giunta l'ora di separarsi. Gli amanti spesso accusano la Guaita di sonnecchiare, o di essere disattenta, e di separarli troppo presto.

L'esempio riportato, composto da un anonimo trovatore, descrive il desiderio di un cavaliere per la sua donna, il quale è costretto a separarsi dopo una notte d'amore proibito.

Pur essendo in genere rappresentativo dello stile, questo componimento particolare utilizza un atipico modello strofico (cioè un componimento nel quale un determinato periodo ritmico è ripetuto più volte).

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luca fabjanovic 1°E

LLLAAA BBBAAALLLLLLAAATTTAAA DDDIII MMMIIICCCHHHEEE’’’ (((FFFAAABBBRRRIIIZZZIIIOOO DDDEEE AAANNNDDDRRRÉÉÉ)))

LLLAAA CCCHHHAAANNNSSSOOONNN DDD’’’AAAUUUBBBEEE PPPRRROOOVVVEEENNNZZZAAALLLEEE

Veniamo alla canzone provenzale, che viene ripresa dalla poesia italiana. Per la metrica questa è la forma più alta, più nobile. Dante ne fu il primo teorico e la considerò come la prima lirica dallafunzione elevata. Gli autori più significativi sono:

Jaufrè Roudelle, Marc Abrux, Guglielmo IX d'Aquitania, Riccardo Cuor di Leone

Fu praticata da molti stilnovisti e di fatto ne esistono diverse varietà, ma secondo lo schema classico risulta composta da strofe in endecasillabi e settenari con lunghezza e numero diverso fra loro. Anche la disposizione delle rime segue uno schema costante. Occorre fare, però, una classificazione dei generi per vedere come De André si fosse reimpossessato di questa nobile tradizione poetica trasformandola, con il suo genio, in una canzone e in una poesia assolutamente moderna e attuale.

Per esempio, la Chason d’aube. E’ la canzone d’alba, una tematica molto frequentata dai poeti provenzali ma anche dalla lirica italiana. L’alba nella quale ci sono due personaggi fondamentali, un lui e una lei, che sono due amanti, due innamorati; e l’alba è il momento della separazione, perché l’incontro è notturno. Perché è notturno? Per vari motivi. Perché è un amore vietato, i genitori di lei non accettano questo fidanzamento, oppure lei è maritata, spesso con un ricco, vecchio, il castellano stesso, e lei invece ama un bel giovane che va a trovarla nella notte. Poi arriva l’alba e all’alba il giovane se ne deve andare. Oppure perché è un cavaliere e deve partire per la guerra, e la partenza avviene sempre all’alba. Su questa tematica abbiamo un fiorire di liriche che descrivono il momento drammatico e intenso, toccato da una profonda e dolente malinconia. Guardate allora con quale estro e con quale talento De André coglie questo tema e ne fa una ballata.

La ballata del Miché (1961) che è tale e quale a una chanson d’aube:

(…) Quando hanno aperto la cella era già tardi perché con una corda sul collo freddo, pendeva Miché. Tutte le volte che un gallo sento catar, penserò a quella notte in prigione quando Miché s’impiccò Stanotte Miché si è impiccato a un chiodo perché non poteva restare in prigione vent’anni lontano da te…”

La separazione fisicamente è già avvenuta. Miché, Michele, è in prigione perché qualcuno voleva rubargli la sua amata. Ma la separazione vera, esistenziale non c’è ancora stata perché lui la porta nel cuore. Anche se è in prigione, lontano, sono insieme perché sono uniti da questo legame d’amore. Però a un certo punto egli si suicida e questo è il momento della grande disperazione, eterna separazione. E quando si suicida? All’alba. Ecco perché è una chanson d’aube. La scrisse nel 1961.

Quanto era preveggente! Non v’è dubbio, in presenza di Fabrizio De André ci troviamo di fronte ad un grande autore moderno, un trovatore nel senso più nobile della parola. Colui che componeva e cantava. Questo era De André.

di Antonio Tabucchi

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marco grimaldi e gianmarco padovani 1°E

LLLAAA CCCOOOMMMEEEDDDIIIAAA (((DDDAAANNNTTTEEE AAALLLIIIGGGHHHIIIEEERRRIII)))

PPPUUURRRGGGAAATTTOOORRRIIIOOO,,, III,,, 111---111333222

“Comincia la seconda parte overo cantica de la Comedia di Dante Allaghieri di Firenze, ne la quale parte si purgano li commessi peccati e vizi de' quali l'uomo è confesso e pentuto con animo di sodisfazione; e contiene XXXIII canti. Qui sono quelli che sperano di venire quando che sia a le beate genti.”

Per correr miglior acque alza le vele omai la navicella del mio ingegno, che lascia dietro a sé mar sì crudele; 3 e canterò di quel secondo regno dove l'umano spirito si purga e di salire al ciel diventa degno. 6 (…) Dolce color d'orïental zaffiro, Un tenero colore di zaffiro orientale, che s'accoglieva nel sereno aspetto contenuto nella limpida atmosfera, del mezzo, puro infino al primo giro, 15 pura fino al cerchio dell’orizzonte, a li occhi miei ricominciò diletto, procurò nuovamente gioia ai miei occhi, tosto ch'io usci' fuor de l'aura morta appena uscii dall’aria infernale, che m'avea contristati li occhi e 'l petto. 18 che aveva rattristato la mia vista e il mio animo. vidi presso di me un veglio solo, vidi, vicino a me, un vecchio solo, degno di tanta reverenza in vista, degno nell’aspetto di una riverenza tale, che più non dee a padre alcun figliuolo. 33 che nessun figlio è tenuto ad una riverenza maggiore verso suo padre. Lunga la barba e di pel bianco mista portava, a' suoi capelli simigliante, de' quai cadeva al petto doppia lista. 36 Li raggi de le quattro luci sante fregiavan sì la sua faccia di lume, ch'i' 'l vedea come 'l sol fosse davante. 39

Lo bel pianeto che d'amar conforta Venere, il bel pianeta che predispone all’amore, faceva tutto rider l'orïente, faceva gioire tutta la parte orientale del cielo, velando i Pesci ch'erano in sua scorta. 21 attenuando con la sua luce quella della costellazione dei Pesci. I' mi volsi a man destra, e puosi mente Mi volsi a destra, e diressi la mia attenzione a l'altro polo, e vidi quattro stelle al polo australe, e vidi quattro stelle non viste mai fuor ch'a la prima gente. 24 che soltanto i primi uomini (Adamo ed Eva) videro. Goder pareva 'l ciel di lor fiammelle: Il cielo sembrava gioire delle loro luci intensissime: oh settentrïonal vedovo sito, oh luogo settentrionale spoglio, dal momento poi che privato se' di mirar quelle! 27 che ti è preclusa la possibilità di vederle! Com'io da loro sguardo fui partito, Appena mi fui distolto dal guardarle, un poco me volgendo a l'altro polo, volgendomi un poco verso il polo boreale, là onde 'l Carro già era sparito, 30 nel quale l’Orsa Maggiore non era più visibile,

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"Chi siete voi che contro al cieco fiume fuggita avete la pregione etterna?", diss'el, movendo quelle oneste piume. 42 "Chi v' ha guidati, o che vi fu lucerna, uscendo fuor de la profonda notte che sempre nera fa la valle inferna? 45 Son le leggi d'abisso così rotte? o è mutato in ciel novo consiglio, che, dannati, venite a le mie grotte?". 48 (…) Questa isoletta intorno ad imo ad imo, là giù colà dove la batte l'onda, porta di giunchi sovra 'l molle limo: 102 null'altra pianta che facesse fronda o indurasse, vi puote aver vita, però ch'a le percosse non seconda. 105 Poscia non sia di qua vostra reddita; lo sol vi mosterrà, che surge omai, prendere il monte a più lieve salita". 108 Così sparì; e io sù mi levai sanza parlare, e tutto mi ritrassi al duca mio, e li occhi a lui drizzai. 111 El cominciò: "Figliuol, segui i miei passi: volgianci in dietro, ché di qua dichina questa pianura a' suoi termini bassi". 114 Noi andavam per lo solingo piano com'om che torna a la perduta strada, che 'nfino ad essa li pare ire in vano. 120 Quando noi fummo là 've la rugiada Quando fummo là, dove la rugiada resiste, pugna col sole, per essere in parte opponendosi al sole e, per il fatto di essere dove, ad orezza, poco si dirada, 123 in una zona dove spira un venticello, evapora poco, ambo le mani in su l'erbetta sparte Virgilio posò delicatamente entrambe le mani soavemente 'l mio maestro pose: sulla tenera erba; per cui io, che compresi lo ond'io, che fui accorto di sua arte, 126 scopo del suo gesto, porsi ver' lui le guance lagrimose; gli porsi le guance bagnate di lacrime; ivi mi fece tutto discoperto su di esse egli fece riapparire il mio colorito quel color che l'inferno mi nascose. 129 naturale che l’inferno aveva occultato. Venimmo poi in sul lito diserto, che mai non vide navicar sue acque omo, che di tornar sia poscia esperto. 132 (…) Dante Alighieri “Divina Commedia”, Purgatorio, I, 1-132

L'alba vinceva l'ora mattutina L’alba trionfava sull’ultima ora della notte che fuggia innanzi, sì che di lontano che le fuggiva dinanzi, in modo che da lontano conobbi il tremolar de la marina. 117 distinsi il tremolio della luce sul mare.

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giancarlo croce 1°E

PPPAAALLLLLLOOORRREEE DDDIII BBBEEELLLLLLAAA DDDOOONNNNNNAAA (((GGGIIIOOOVVVAAANNN BBBAAATTTTTTIIISSSTTTAAA MMMAAARRRIIINNNOOO)))

MMMAAADDDRRRIIIGGGAAALLLEEE AAAMMMOOORRROOOSSSOOO ––– DDDAAA “““LLLIIIRRRAAA,,, 111666000222“““

Pallidetto mio sole, ai tuoi dolci pallori

perde l’alba vermiglia i suoi colori. Pallidetta mia morte,

a le tue dolci e pallide viole la porpora amorosa perde, vinta, la rosa.

Oh piaccia alla mia sorte che dolce teco impallidisca anch’io

pallidetto amor mio!

Nella lirica, un madrigale, il poeta – esponente della corrente letteraria del “Marinismo” – esalta il pallore dell’incarnato della donna amata, segno

di eterea bellezza e nobiltà, al cospetto del quale anche l’alba, che tinge di rosso il cielo (alba vermiglia), impallidisce (perde i suoi colori). Alla stessa stregua, anche il poeta non può che impallidire di fronte a cotale diafana bellezza.

L’alba viene qui presa a pretesto nell’analogico e virtuosistico esercizio di “bello stile” tipico della poesia del Barocco.

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davide giannini 1°E

......... 111333 MMMAAAGGGGGGIIIOOO 111777999888 (((UUUGGGOOO FFFOOOSSSCCCOOOLLLOOO)))

LLLEEE UUULLLTTTIIIMMMEEE LLLEEETTTTTTEEERRREEE DDDIII JJJAAACCCOOOPPPOOO OOORRRTTTIIISSS --- 111888111777

Sulla cima del monte indorato da’ pacifici raggi del Sole che va mancando io mi vedo accerchiato da una catena di colli su’ quali ondeggiano le messi, e si scuotono le viti sostenute in ricchi festoni dagli ulivi e dagli olmi: le balze e i gioghi lontani vanno sempre crescendo come se gli uni fossero imposti sugli altri. Di sotto a me le coste del monte sono spaccate in burroni infecondi fra i quali si vedono offuscarsi le ombre della sera, che a poco a poco si innalzano; il fondo oscuro e orribile sembra la bocca di una voragine. Nella falda del mezzogiorno l’aria è signoreggiata dal bosco che sovrasta e offusca la valle dove pascolano al fresco le pecore, e pendono dall’erta capre sbrancate.

Cantano flebilmente gli uccelli come se piangessero il giorno che muore, mugghiano le giovenche, e il vento pera che si compiaccia del sussurrar delle fronde. (…)

La vista intanto si va dilungando, e dopo lunghissime file di alberi e di campi, termina nell’orizzonte dove tutto si minora e si confonde. Lancia il Sole partendo pochi raggi, come se quelli fossero gli estremi addii che dà alla Natura; e le nuvole rosseggiano, poi vanno languendo, e pallide finalmente si abbujano: allora la pianura si perde, l’ombre si diffondono sulla faccia della terra; e io, quasi in mezzo all’oceano, da quella parte non trovo che il cielo. (…)

Il brano proposto, tratto dalla Lettera del 13 maggio del romanzo epistolare di Ugo Foscolo, offre una descrizione pacata e allo stesso tempo fortemente suggestiva della campagna all’ora del tramonto; in essa – secondo i canoni del Romanticismo – paesaggio e stato d’animo dello scrittore si fondono in un connubio di natura e inquietudine dell’anima combattuta tra ragione e sentimento, tra alte ispirazioni artistiche e senso angoscioso e ineluttabile della morte.

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daniel ferrara 1°E

IIILLL TTTRRRAAAMMMOOONNNTTTOOO DDDEEELLLLLLAAA LLLUUUNNNAAA (((GGGIIIAAACCCOOOMMMOOO LLLEEEOOOPPPAAARRRDDDIII)))

CCCAAANNNTTTIII,,, XXXXXXXXXIIIIIIIII --- EEESSSTTTAAATTTEEE 111888333999

E cantando, con mesta melodia, L’estremo albor della fuggente luce, Che dianzi gli fu duce, Saluta il carrettier dalla sua via;

Tal si dilegua, e tale 20 Lascia l’età mortale La giovinezza. In fuga Van l’ombre e le sembianze Dei dilettosi inganni; e vengon meno Le lontane speranze, 25 Ove s’appoggia la mortal natura. Abbandonata, oscura Resta la vita. In lei porgendo il guardo, Cerca il confuso viatore invano Del cammin lungo che avanzar si sente 30 Meta o ragione; e vede Che a sé l’umana sede, Esso a lei veramente è fatto estrano.

Troppo felice e lieta Nostra misera sorte 35 Parve lassù, se il giovanile stato,

Quale in notte solinga, Sovra campagne inargentate ed acque, Là ’ve zefiro aleggia, E mille vaghi aspetti E ingannevoli obbietti 5 Fingon l’ombre lontane Infra l’onde tranquille E rami e siepi e collinette e ville; Giunta al confin del cielo, Dietro Apennino od Alpe, o del Tirreno 10 Nell’infinito seno Scende la luna; e si scolora il mondo; Spariscon l’ombre, ed una Oscurità la valle e il monte imbruna; Orba la notte resta, 15

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Dove ogni ben di mille pene è frutto, Durasse tutto della vita il corso. Troppo mite decreto Quel che sentenzia ogni animale a morte, 40 S’anco mezza la via Lor non si desse in pria Della terribil morte assai più dura. D’intelletti immortali Degno trovato, estremo 45 Di tutti i mali, ritrovàr gli eterni La vecchiezza, ove fosse Incolume il desio, la speme estinta, Secche le fonti del piacer, le pene Maggiori sempre, e non più dato il bene. 50

Ma la vita mortal, poi che la bella Giovinezza sparì, non si colora D’altra luce giammai, né d’altra aurora. 65 Vedova è insino al fine; ed alla notte Che l’altre etadi oscura, Segno poser gli Dei la sepoltura.

Il tema della poesia è la similitudine fra il tramonto della luna e il tramonto della giovinezza. Il canto si apre con la splendida contemplazione della luna che illumina, con il suo chiarore, la terra ed il mare, creando, con la sua luce, il chiaroscuro delle onde e dei riflessi marini e campestri. Come la luna tramonta, l’orizzonte e il mondo perdono il loro chiarore definitivamente, le ombre della notte spariscono e un buio totale e fitto, imbruna le valli e i monti.

Le dolci colline e le spiagge, dopo che la luna, con la sua luce argentea, è tramontata ad Occidente, non restano ancora a lungo prive di luce, perché – subito – possono vedere il cielo a

Voi, collinette e piagge, Caduto lo splendor che all’occidente Inargentava della notte il velo, Orfane ancor gran tempo Non resterete; che dall’altra parte 55 Tosto vedrete il cielo Imbiancar novamente, e sorger l’alba: Alla qual poscia seguitando il sole, E folgorando intorno Con sue fiamme possenti, 60 Di lucidi torrenti Inonderà con voi gli eterei campi.

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Oriente che imbianca e scorgere di nuovo il sorgere dell’alba. All’alba segue, dunque, il sole che, con i suoi raggi possenti, folgora la terra e il cielo.

Ma la vita mortale, dopo che la bella giovinezza è sparita, non si colora più né di luce né di altre aurore. Allo stesso modo in cui il tramonto della luna lascia la terra al buio e rende incerta la guida al carrettiere che va per le strade, così il tramonto della

giovinezza lascia la vita degli uomini all’oscuro e rende infelice l’età che rimane a loro da vivere.

La bellezza del canto deriva dalla stupenda descrizione del notturno marino, rappresentato con un linguaggio reale e, a tratti, surreale, che si tinge di un manto argenteo, nei particolari in chiaroscuro dei campi e del mare; nel dispiegarsi del tono emotivo che va dalla contemplazione affettiva dello spettacolo naturale notturno alla rassegnazione del poeta verso la vita senza più la

rancori e la disperazione dei suoi anni giovanili. La canzone rappresenta, in sintesi, il congedo dalla vita di Leopardi che mostra di essersi rappacificato e rasserenato con sé stesso e con la Natura, che è molto più potente di lui e degli uomini.

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lorenzo frangipani 1°E

IIILLL PPPAAASSSSSSEEERRROOO SSSOOOLLLIIITTTAAARRRIIIOOO (((GGGIIIAAACCCOOOMMMOOO LLLEEEOOOPPPAAARRRDDDIII)))

CCCAAANNNTTTIII,,, III ––– 111888333555

D’in su la vetta della torre antica, Passero solitario, alla campagna

Cantando vai finché non more il giorno Ed erra l’armonia per questa valle.

(…)

Questo giorno ch’omai cede alla sera, Festeggiar si costuma al nostro borgo

(…) Io solitario in questa

Rimota parte a la campagna uscendo, Ogni diletto e gioco

Indugio in altro tempo: e intanto il guardo Steso nell’aria aprica

Mi fere il Sol che tra lontani monti, Dopo il giorno sereno

Cadendo si dilegua, e par che dica Dopo il giorno sereno

Che la beata gioventù vien meno. (…)

Come nella lirica precedente il sopraggiungere del crepuscolo, così ne “Il passero solitario” il morire del giorno, nel rosseggiare del Sole che si dilegua tra monti lontani ferendo gli occhi del poeta, sembra annunciare che anche la gioventù beata sta tramontando.

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vladimir shakbazyan 1°E

LLL’’’AAALLLBBBAAA (((AAARRRTTTHHHUUURRR RRRIIIMMMBBBAAAUUUDDD)))

IIILLLLLLUUUMMMIIINNNAAAZZZIIIOOONNNIII 111888777333

Ho abbracciato l’alba d’estate.

Niente muoveva ancora davanti ai palazzi. L’acqua era morta. I campi d’ombra non lasciavano la strada del bosco. Ho camminato, risvegliando gli aliti vivi e tiepidi, e le pietre dure guardarono e le ali si alzarono senza rumore.

La prima impresa fu, nel sentiero già pieno di freschi e smorti chiarori, un fiore che mi disse il suo nome.

Rido al wasserfall blond che si spettinò tra gli abeti: dalla cima argentata riconobbi la dea.

Allora, tolsi ad uno ad uno i veli. Nel viale, agitando le braccia. Dalla piana, dove l’ho denunciata al gallo. Nella città grande fuggiva tra i campanili e i duomi, e correndo come un mendicante sui marciapiedi di marmo, io la cacciavo.

Sopra la strada, vicino ad un bosco di lauri, l’ho circondata coi suoi veli ammassati, ed ho sentito un poco il suo immenso corpo. L’alba e il bambino caddero in basso al bosco.

Al risveglio era mezzogiorno.

La lirica descrive l’abbraccio, in una dimensione panica, di R. con l’alba; R. è un fanciullo semi-divino immerso sensualmente nella vita ombrosa, rorida e pullulante dell’alba; si sprigionano l’eros panteistico che spinge all’esaltato inseguimento della dea, fonte di gioia estatica, e il desiderio di fusione mistica con il mondo e le sue forme (cfr. “Meriggio” di G.

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D’Annunzio).

alexander ginestous 1°E

DDDAAA::: IIILLL BBBAAATTTTTTEEELLLLLLOOO EEEBBBBBBRRROOO (((AAARRRTTTHHHUUURRR RRRIIIMMMBBBAAAUUUDDD)))

MMMAAARRRZZZOOO 111888777000

(…)

Io so i cieli scoppianti in lampi e le trombe E le risacche e le correnti; so la sera,

l’alba esaltata come un popolo di colombe, e ho visto talvolta ciò che l’uomo credette di vedere

Ho visto il sole basso, maculato di mistici orrori,

illuminare di lunghe coagulazioni violette, simili ad attori di drammi antichissimi,

i flutti rotolanti lontano i loro brividi d’imposte

(...)

Libero, fumante, montato da nebbie violacee,

io che foravo il cielo rosseggiante come un muro

che porti, confettura squisita per i buoni poeti,

licheni di sole e mocci d’azzurro

(…)

Ma, davvero, ho troppo pianto. Le albe sono strazianti, ogni luna è atroce ed ogni sole è amaro.

L’acre amore m’ha gonfiato di torpori inebrianti. Oh, esploda la mia chiglia! Oh, ch’io m’inabissi nel mare!

(…)

Un battello da carico, rimasto senza equipaggio, racconta la sua deriva, libera da costrizioni: è l'avventura dei sensi, che deragliano in un'immediata adesione agli elementi naturali, del pensiero che barcolla fuori dalle coordinate della logica, della poesia che si frantuma e si ricompone di continuo in un fantasmagorico rutilare di immagini: strazianti albe brumose, drammatici tramonti ossidrici. Con quell'accelerazione bruciante del tempo che fu tipica di Rimbaud, nel poemetto egli rappresenta la sua stessa vita, il suo bisogno di andare alla ricerca dell’ignoto, la necessità incombente di immergersi nel mistero universale. La poesia si sviluppa attraverso immagini che non vogliono esprimere concetti, vertigini del “Veggente”,

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come egli stesso si dichiarò, immagini allucinate che sviluppano in direzione simbolista e surrealista, visioni che si condensano nei versi di questa raccolta, pietra miliare nella storia della poesia moderna.

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marko lalic’ 1°E

SSSAAANNN MMMAAARRRTTTIIINNNOOO (((GGGIIIOOOSSSUUUÉÉÉ CCCAAARRRDDDUUUCCCCCCIII)))

RRRIIIMMMEEE NNNUUUOOOVVVEEE 111888888333

La nebbia a gl'irti colli Piovigginando sale, E sotto il maestrale

Urla e biancheggia il mar; Ma per le vie del borgo

Dal ribollir de' tini Va l'aspro odor de i vini

L'anime a rallegrar. Gira su' ceppi accesi

Lo spiedo scoppiettando: Sta il cacciator fischiando

Su l'uscio a rimirar Tra le rossastre nubi Stormi d'uccelli neri,

Com'esuli pensieri, Nel vespero migrar.

Nella lirica "San Martino", Carducci, descrive l'atmosfera festosa del giorno di San Martino, cioè l'11 novembre in un borgo della Maremma Toscana. Questo giorno è molto importante per i contadini perché segna la fine della lavoro nei campi e l'inizio della sventura, cioè del travaso del vino dai tini, dove è stato messo a fermentare, nelle botti. All'allegria del borgo della prima parte si contrappone la malinconia del paesaggio autunnale avvolto nella nebbia e colto all'ora del tramonto della seconda: "tra le rossastre nubi". «La nebbia, sciogliendosi in una leggera pioggerella, risale per le colline rese quasi ispide dalle piante ormai prive di fogliame e, spinto dal vento freddo di nordovest, il mare rumoreggia frangendosi sulla scogliera, con onde dalla bianca spuma. Ma per le vie del piccolo paese contadino si diffonde, dai tini dove fermenta il mosto, l’odore aspro del vino nuovo che rallegra i cuori. E intanto sulla brace del focolare scoppiettano le gocce di grasso che cadono dallo spiedo su cui cuoce la cacciagione; e il cacciatore se ne sta sull'uscio a guardare stormi di uccelli che, a contrasto con le rosse nubi del tramonto, sembrano neri, come quei pensieri che si vorrebbe mandar via lontano».

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kleodis rami 1°E

TTTEEEMMMPPPOOORRRAAALLLEEE (((GGGIIIOOOVVVAAANNNNNNIII PPPAAASSSCCCOOOLLLIII)))

MMM YYY RRRIII CCCAAAEEE 111888999444

Un bubbolio lontano... Rosseggia l'orizzonte,

come affocato, a mare; nero di pece, a monte, stracci di nubi chiare: tra il nero un casolare:

un'ala di gabbiano.

Pascoli presenta un paesaggio al tramonto: da una parte il mare, infuocato dal brillare dei raggi del sole che cala, e dall'altra le montagne, su cui si stanno addensando le nere nubi di un temporale. In mezzo alla campagna un casolare bianco si distingue grazie alla luce di un lampo improvviso.

Il poeta descrive la scena attraverso le sensazioni, che si susseguono una dopo l'altra nella poesia: il rumore del tuono; il colore rosso dell'orizzonte; il nero delle nuvole minacciose del temporale, in mezzo al quale si staglia qualche nuvola sfilacciata più chiara; il colore bianco del casolare che appare all'improvviso e che è reso dall'analogia. Il linguaggio utilizzato fa ricorso solo alle sensazioni, alle impressioni, che colpiscono l'immaginazione del lettore: è come un quadro, in cui non ci si affida alla linea dei contorni delle figure ma solo al colore.

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fabrizio rocca 1°E

LLL’’’AAASSSSSSIIIUUUOOOLLLOOO (((GGGIIIOOOVVVAAANNNNNNIII PPPAAASSSCCCOOOLLLIII)))

MMMYYYRRRIIICCCAAAEEE 111888999777

Dov’era la luna? Ché in cielo notava in un’alba di perla,

ed ergersi il mandorlo e il melo parevano a meglio vederla.

Venivano soffi di lampi da un nero di nubi laggiù;

veniva una voce dai campi: chiù…

Le stelle lucevano rare tra mezzo alla nebbia di latte:,

sentivo il cullare del mare, sentivo un fru fru tra le fratte; sentivo nel cuore un sussulto,

com’eco d’un grido che fu. Sonava nel cuore un singulto:

chiù…

Su tutte le lucide vette tremava un sospiro di vento;

squassavano le cavallette

finissimi sistri d’argento (tintinni a invisibili porte

che forse non s’aprono più…); e c’era quel pianto di morte…

chiù…

La lirica rappresenta un’unione esemplare di impressionismo e simbolismo, resa dall’efficace immagine della luna, che nuota – espandendosi – in un’alba perlacea e lattiginosa, accesa di tanto in tanto da bagliori di lampi. Dai campi si diffonde il lugubre singhiozzo dell’assiuolo, che evoca nel poeta, per analogia, il ricordo della morte.

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veronica d’agostino 1°E

LLLAAA MMMIIIAAA SSSEEERRRAAA (((GGGIIIOOOVVVAAANNNNNNIII PPPAAASSSCCCOOOLLLIII)))

CCCAAANNNTTTIII DDDIII CCCAAASSSTTTEEELLLVVVEEECCCCCCHHHIIIOOO 111999000333

Il giorno fu pieno di lampi; ma ora verranno le stelle,

le tacite stelle. Nei campi c'è un breve gre gre di ranelle. Le tremule foglie dei pioppi

trascorre una gioia leggiera. Nel giorno, che lampi! che scoppi!

Che pace, la sera! Si devono aprire le stelle

nel cielo sì tenero e vivo. Là, presso le allegre ranelle, singhiozza monotono un rivo. Di tutto quel cupo tumulto, di tutta quell'aspra bufera,

non resta che un dolce singulto nell'umida sera.

E', quella infinita tempesta, finita in un rivo canoro. Dei fulmini fragili restano cirri di porpora e d'oro. O stanco dolore, riposa!

La nube nel giorno più nera fu quella che vedo più rosa

nell'ultima sera. Che voli di rondini intorno! Che gridi nell'aria serena!

La fame del povero giorno prolunga la garrula cena. La parte, sì piccola, i nidi

nel giorno non l'ebbero intera. Né io ... che voli, che gridi,

mia limpida sera! Don ... Don ... E mi dicono, Dormi! mi cantano, Dormi! sussurrano,

Dormi! bisbigliano, Dormi! là, voci di tenebra azzurra ... Mi sembrano canti di culla,

che fanno ch'io torni com'era ... sentivo mia madre ... poi nulla ...

sul far della sera.

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In tutta la poesia è forte l’identità, oltre che fonica, lessicale e semantica, per mezzo della quale il gioco di opposizioni tra il giorno e la sera si snoda come un percorso che va progressivamente da un livello descrittivo verso una sempre maggiore interiorizzazione.

Tale scenario si mostra in modo eloquente fin dall’incipit della prima strofa: "Il giorno fu pieno di lampi; / ma ora verranno le stelle / le tacite stelle". Nei versi successivi segue la distensione, con l’epanalessi di "stelle / le tacite stelle" e la gioia leggera che, come una carezza, passa attraverso le foglie tremanti dei pioppi. Nella chiusura l’opposizione è ripetuta in una serie di esclamazioni: "Nel giorno, che lampi, che scoppi! / Che pace, la sera!". La prima opposizione introduce quella, più estesa, dei quattro versi che seguono. Essa fa perno sull’anafora "Di tutto quello ... / di tutta quell’" e sulla successione di quattro coppie parallele aggettivo/sostantivo che connotano i vari elementi entro i quali gioca l’opposizione: il "tumulto" e la "bufera", rispettivamente "cupo" e "aspra", termini che non hanno bisogno di spiegazione per la loro puntualità, lasciano il posto nell’"umida sera".

Nella terza strofe si ha il passaggio dal livello descrittivo ad un primo livello di interiorizzazione. Dopo una nuova, elegante immagine di fulmini, che si trasformano in nuvole ("cirri") di porpora e d’oro, ecco per la prima volta il sintagma, "stanco dolore", che connota sia lo stato d’animo della stanchezza, sia quello del dolore, che si scioglie, nella sera pascoliana, nella possibilità del riposo.

La strofe si chiude nel contrasto tra la "nube... nera”, che ha turbato il giorno e “quella più rosa", che tinge il cielo dei colori di porpora e d’oro negli ultimi istanti di tramonto, quelli in cui il dolore e l'inquietudine si stemperano e si chetano in quel canto di culla: la ninna nanna di una madre al suo bambino.

E' la magia della sera, nel lirismo melanconico dal sapore agrodolce, riscontrabile nel dolore di vivere, nelle proprie emozioni e negli ovattati richiami dei cari che non ci sono più.

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alessandro morato 1°E

IIINNNNNNAAANNNZZZIII LLL’’’AAALLLBBBAAA (((GGGAAABBBRRRIIIEEELLLEEE DDD’’’AAANNNNNNUUUNNNZZZIIIOOO)))

AAALLLCCCYYYOOONNNEEE 111888999999---111999000333 Coglierai sul nudo lito, infinito di notturna melodia, il maritimo narcisso per le tue nuove corone, tramontando nell'abisso le Vergilie, le sorelle oceanine che ancor piangono per Ia lacerato dal leone. Andrem pel lito silenti; sentiremo la rugiada lene e pura piovere dagli occhi lenti della notte moritura, tramontando nel pallore le Vergilie, le sorelle oceanine minacciate dalla spada del feroce cacciatore. Forse volgerò la faccia in dietro talvolta io solo per vedere la tua traccia luminosa, e starem muti in ascolto, tramontando in tema e in duolo le Vergilie, le sorelle oceanine a cui l'Alba asciuga il volto col suo bianco vel di sposa.

Alcyone contiene tre belle visioni del sorgere del giorno; si trovano, anche non propriamente romane, sparse e quasi perdute in poesie che non hanno nell' insieme vigor di unità. Quest'alba agosto, in cui le parole si fanno più che colore, diventano una tenue sostanza aerea e luminosa, è in Villa Chigi: come nell'alba prima la luna d'agosto mancando, pallida, effonde un riso che non fu mal più impalpabile e delicato.

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veronica d’agostino 1°E

LLLEEE SSSTTTIIIRRRPPPIII CCCAAANNNOOORRREEE (((GGGAAABBBRRRIIIEEELLLEEE DDD’’’AAANNNNNNUUUNNNZZZIIIOOO)))

AAALLLCCCYYYOOONNNEEE --- EEESSSTTTAAATTTEEE 111999000222

I miei carmi son prole delle foreste, altri dell'onde, altri delle arene, altri del Sole, altri del vento Argeste. Le mie parole sono profonde come la redici terrene, altre serene come i firmamenti, fervide come le vene degli adolescenti, ispide come i dumi, confuse come i fumi confusi, nette come i cristalli del monte, tremule come le fronde del pioppo, tumide come la narici dei cavalli a galoppo, labili come i profumi diffusi, vergini come i calici appena schiusi, notturne come le rugiade dei cieli, funebri come gli asfodeli dell'Ade, pieghevoli come i salici dello stagno, tenui come i teli che fra due steli tesse il ragno.

Nella lirica la parola è legata alle origini, è dunque in grado di riprodurre l’essenza delle immagini. L’atmosfera è quella che caratterizza Alcyone: foreste, mare, sabbia, sole, vento, in un’aspirazione alla dimensione “panica” della natura.

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vladimir shakbazyan 1°E

NNNAAASSSCCCIIITTTAAA DDD’’’AAAUUURRROOORRRAAA (((GGGIIIUUUSSSEEEPPPPPPEEE UUUNNNGGGAAARRREEETTTTTTIII)))

SSSEEENNNTTTIIIMMMEEENNNTTTOOO DDDEEELLL TTTEEEMMMPPPOOO 111999222555

Nel suo docile manto e nell’aureola,

Dal seno, fuggitiva, Deridendo, e pare inviti, Un fiore di pallida brace

Si toglie e getta, la nubile notte.

È l’ora che disgiunge il primo chiaro Dall’ultimo tremore.

Del cielo all’orlo, il gorgo lividi apre.

Con dita smeraldine

Ambigui moti tessono Un lino.

E d’oro le ombre, tacitando alacri

Inconsapevoli sospiri, I solchi mutano in labili rivi.

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nicholas paltrinieri 1°E

MMMIIITTTOOO ––– CCCEEESSSAAARRREEE PPPAAAVVVEEESSSEEE

LLLAAAVVVOOORRRAAARRREEE SSSTTTAAANNNCCCAAA (((111999444333)))

Verrà il giorno che il giovane dio sarà un uomo, senza pena, col morto sorriso dell’uomo che ha compreso. Anche il sole trascorre remoto arrossando le spiagge. Verrà il giorno che il dio non saprà più dov’erano le spiagge di un tempo. 5 Ci si sveglia un mattino che è morta l’estate, e negli occhi tumultuano ancora splendori come ieri, e all’orecchio i fragori del sole fatto sangue. E’ mutato il colore del mondo. La montagna non tocca più il cielo; le nubi 10 Non s’ammassano più come frutti, nell’acqua non traspare più un ciottolo. Il corpo di un uomo pensieroso si piega, dove un dio respirava. Il gran sole è finito, e l’odore di terra, e la libera strada, colorata di gente 15 che ignorava la morte. Non si muore d’estate. Se qualcuno spariva, c’era un giovane dio Che viveva per tutti e ignorava la morte. Su di lui la tristezza era un’ombra di nube. Il suo passo stupiva la terra. 20 Ora pesa La stanchezza su tutte le membra dell’uomo, senza pena: la calma stanchezza dell’alba che apre un giorno di pioggia. Le spiagge oscurate non conoscono il giovane, che un tempo bastava 25 le guardasse. Né il mare dell’aria rivive al respiro. Si piegano le labbra dell’uomo rassegnate, a sorridere davanti alla terra. __________________________________________________________________________ Interpretazione – Da giovane dio a uomo: questo l’itinerario di ogni umana creatura; cioè dalle illusioni e dai sogni – che proiettati sulla realtà la mitizzano – alla consapevolezza, al morto sorriso di chi ha compreso. Dalla smisurata fiducia che ci fa sentire giovani dei, alla stanchezza che pesa su tutte le membra. E’ un tema presente nella poesia di tutti i tempi, ma da Pavese rivissuto in questi versi con mirabile novità di accenti, con straordinaria capacità di trasformare il tessuto logico-meditativo in immagini di stagioni e di sole e di nubi e di acque. Come gli antichi miti con le vicende di dei ed eroi fornivano una spiegazione ai fenomeni naturali, così fa Pavese: e così la dolorosa scoperta della realtà, cioè il passaggio dal mito alla storia, dalle fiducie illimitate del giovane dio al morto sorriso dell’uomo, è descritto in una dimensione da mito naturale, diventa la montagna che non tocca più il cielo, il gran sole finito, le spiagge oscurate. Metrica - Versi liberi. Poesia antiermetica Analisi lessicale - 3. il sole… remoto: il sole (con tutto ciò che di vitale esso richiama) in quel giorno di scoperta, di disincanto, sarà lontano e non nella fase meridiana, ma la tramonto. 5. spiagge: luoghi dei sogni del giovane dio. 11.-12. nell’acqua… ciottolo: la limpida trasparenza, (emblema di una condizione d’innocenza, di non ancora acquisita consapevolezza del limite e del dolore) è solo un ricordo, ormai. 15. libera strada: che non presenta ostacoli a percorrerla, aperta alla libera esplicazione di tutte le potenzialità del giovane dio.

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16. Non si… d’estate: “l’età giovanile (l’estate) ignora i limiti spaziali e temporali, non sa nulla di quel limite supremo che è la morte” (G. Zagarrio - T. Di Salvo)

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mattia antonelli 1°E

AAALLLBBBAAA EEE TTTRRRAAAMMMOOONNNTTTOOO ––– DDDIII LLLEEENNNIIIOOO VVVAAALLLLLLAAATTTIII

Tu sei l’alba, i vestiti

ancora aspersi di rugiada nel cuore i misteri della notte e negli occhi luccichii di stelle.

Io sono il tramonto, foglie secche nell’anima

e negli occhi rossastri bagliori

di un sole cadente.

Ma dentro sento tanta voglia d’amare

come se io e te non fossimo poi

così diversi in fondo,

soltanto il giorno ci divide.

Alba e tramonto è un libro di poesie dal lirismo struggente, quasi una confessione in versi dell'anima e dell'essere uomo "in questa fragile barca / in questa foglia al vento / che è la vita". Scrive Lenio Vallati: "Amo gioire e soffrire / la mia effimera / condizione di uomo. / Amo lottare, / anche solo / per un fuscello di sogni." E il canto del poeta si eleva altissimo verso arcobaleni di speranza. Il tutto nell'arco dell'alba e del tramonto, tra il frusciare delle notti nelle stagioni dell'esistenza, mentre ali di gabbiani planano sul mare e le cicatrici della vita fanno male fino a spezzare il cuore.

La poesia del Vallati è un inno che canta la condizione umana con espressione calda, viva, amorosa, vincolata ad uno stile proprio che, senza vuota declamazione, fa cultura nel vero senso pieno della parola e si apre ad una visione nuova, sorretta da un'acuta ed estrema sensibilità indispensabile a far vibrare le corde del sentimento.

Una poesia che sboccia dal profondo dell'animo perché "un foglio bianco è il cuore. Si cancellano i ricordi con la cimosa del tempo, per scriverci nuove parole con l'inchiostro caldo dell'amore."

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nicholas paltrinieri 1°E

FFFRRRAAA LLL’’’ AAALLLBBBAAA EEE IIILLL TTTRRRAAAMMMOOONNNTTTOOO

Nello stagno si riflette un raggio di sole

a dipingere chiaro scuri sull’umida tela

China ai piedi del greto miro i cerchi concentrici

di un sasso lanciato fra gli atomi d’acqua

Malinconia si rifugia dietro rovi di more

mani vuote lasciano striate orme a pelo d’acqua

L’orizzonte s’incupisce nell’incedere del tempo

fino a vestirsi di nero un’altra notte è scesa

Fra gli argini dell’iride

ribelli i pensieri fuggono in giogo della corrente

come una barca senza timone

Nell’alta marea delle emozioni una face asperge l’anima

rimane accese la speranza fra l’alba e il tramonto.

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dalia messa 1°E

AAALLLBBBAAA EEE TTTRRRAAAMMMOOONNNTTTOOO

Guardo la pioggia scendere -agitata-

confondendo un sospiro con un alito di vento.

Guardo un fiore sbocciare

-lento- confondendo il suo semplice profumo

con il tuo.

La vita è confusione destini intrecciati strade in salita

etichette sull'anima. Io ho strappato l'etichetta da me,

per questo non guardo quella degli altri.

Mi confondo e posso sbagliare.

Guardo il sole nel tramonto abbassarsi -teneramente-

ad abbracciare l'altra terra che ancora dorme

e risvegliarla -dolcemente-

carezzandola, e di nuovo mi confondo perché penso a te, quando nel crepuscolo del cuore

sei comparsa al momento del tramonto come alba festosa.

E lì dimori come un raggio di sole

che ho rubato perché il mio cuore

non conosca più tramonto e buio.

Guardo la pioggia scendere:

in ogni goccia sento te e voglio lasciarmi bagnare

ancora, sempre,

per confondermi dentro te. www.poesie

www.poesieracconti.it

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davide refatti 1°E

PPPAAALLLOOOMMMAAARRR (((IIITTTAAALLLOOO CCCAAALLLVVVIIINNNOOO)))

PPPAAARRRTTTIII RRRIIIGGGUUUAAADDDAAANNNTTTIII IIILLL TTTRRRAAAMMMOOONNNTTTOOO:::

La spada del sole

“…Il riflesso sul mare si forma quando il sole s’abbassa: dall’orizzonte una macchia abbagliante si spinge fino alla costa, fatta da tanti luccichii che ondeggiano; tra luccichio e luccichio, l’azzurro opaco del mare incupisce la sua rete…

E’ l’ora in cui il signor Palomar, uomo tardivo, fa la sua nuotata serale. Entra nell’acqua, si stacca dalla riva, e il riflesso del sole diventa una spada scintillante nell’acqua che dall’orizzonte si allunga fino a lui.

Il signor Palomar nuota nella spada o per meglio dire la spada resta sempre davanti a lui, a ogni sua bracciata si ritrae, e non si lascia mai raggiungere…Mentre il sole scende verso il tramonto, il riflesso da bianco-incandescente si colora d’oro e di rame. E dovunque il signor Palomar si sposti,

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il vertice di quell’aguzzo triangolo dorato e’ lui; la spada lo segue, indicandolo come la lancetta dell’orologio che ha per perno il sole…’.

rossella arcaini 1°E

SSSOOOGGGNNNAAAVVVOOO LLL’’’AAAFFFRRRIIICCCAAA (((KKKUUUKKKIII GGGUUULLLLLLMMMAAANNNNNN)))

TTTRRRAAAMMMOOONNNTTTIII AAAFFFRRRIIICCCAAANNNIII

Pag 14: Le fantasie di una terra calda dagli orizzonti sconfinati, branchi di animali nelle savane, una fattoria sugli altipiani dove vivevo con la mia famiglia, cavalvcare all’Alba sulle pianure, accamparmi la nottte sulle rive di un fiume; dove viveva gente dalla pelle scura che parlava lingue strane che riuscivo a capire, che era ancora vicina alla natura e ne conosceva i segreti … piste rosse e polverose nella boscaglia, antichi laghi popolati dai fenicotteri, ruggiti di leoni nell’oscurità immensa e bufali mugghianti… tramonti d’oro e fuoco e giraffe, tamburi nella notte…

Pag. 28: il sole mi sembrava alto e luminoso, ma non conoscevo ancora i tramonti repentini dell’equatore. Molto presto il cielo si sfumò di rosso cupo e porpora, come se un fuoco immenso fosse stato acceso da una grande mano sotto il limite dell’orizzonte. Le rare nubi si orlarono d’oro, mentre il sole, rotondo e arancione come una moneta arroventata, scendeva sempre più in fretta, e presto scomparve. Ebbi il tempo dio vedere la strana distesa color indaco dell’Oceano Indiano, piatta come uno specchio e increspata solo intorno alla barriera corallina. Le palme divennero scure di colpo, i fari delle macchine si accesero sulla strada asfaltata, e fu notte. Pag. 144: a Laikipia il mio momento preferito è quello che precede il tramonto, quando tutto sembra ricoperto di un pulviscolo dorato e una luce soffusa delinea i profili delle colline. Il verde argenteo dei leleshwa si mescola con il

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colore scuro e lucente dell’euclea, come in un mezzo punto di sfumati verde salvia. L’acqua delle dighe riflette il cielo, famiglie d’oche egiziane nuotano tranquille disegnando increspature nere sulla superficie specchiata e i pellicani pescano in piccoli gruppi coordinati, come ballerine.

SSSIIINNNTTTEEESSSIII

La protagonista di questo libro è una ragazza: Kuki Gallmann e racconta la sua storia in prima persona. Siamo verso la fine della prima guerra mondiale. Il padre di Kuki era in guerra, mentre lei, insieme a sua madre e sua nonna era rifugiata in campagna nella casa di suo nonno. Il padre di Kuki era stato catturato e portato in una sala di torture vicino a Conegliano. Nessuno uscì vivo da quel posto, tranne lui. Kuki si appassionò presto della natura, leggendo i libri che suo padre le portava dal lavoro. Lei leggeva soprattutto libri d’avventura e libri che parlavano dell’Africa. Per questo dentro di lei crebbe un sogno: quello di andare a vivere in Africa. Kuki crebbe e al liceo incontrò Mario, tra loro fu amore a prima vista. Kuki ebbe un figlio da Mario: Emanuele. Quando Emanuele ebbe poco più di due anni i genitori si separarono. A Venezia, dove viveva, Kuki era circondata da molti amici tra cui Paolo e sua moglie Mariangela e Chiara. Un giorno i quattro decisero di lasciare a casa i bambini piccoli (Mariangela e Paolo avevano due ragazze) per una serata danzante. In strada era molto buio ed ebbero un incidente: Kuki fu catapultata fuori dalla macchina e sbalzata nel prato adiacente la strada: si ruppe un femore ed una costola. Mariangela morì sul colpo mentre Paolo e Chiara rimasero quasi illesi. Kuki dovette stare per molto tempo a letto immobile e quando potè alzarsi dovette affrontare più di un anno di fisioterapie. Paolo andava speso a trovare Kuki in ospedale e la loro amicizia profonda si trasformò presto in amore. Anche Paolo era molto appassionato della natura e del paesaggio africano. Lui era vissuto qualche anno in Kenya e negli ultimi anni passava parte dell’estate in Africa. Le sue due figlie Livia e Valeria erano ormai cresciute e vivevano fuori casa. Un’estate Paolo portò Emanuele e Kuki, ancora invalida, in Kenya. Entrambi se ne innamorarono immediatamente! L’anno successivo decisero di trasferirsi lì. Abitarono per un periodo in un albergo a Nairobi e più tardi si stabilirono in un ranch a Laikipia: Ol Ari Nyiro. Emanuele si affezionò subito a Paolo, lo considerava il suo migliore amico ed insieme trascorser molte giornate avventurose: a caccia, a pesca o semplicemente a passeggiare per ammirare lo stupendo paesaggio africano. In Kenya Kuki ebbe modo di conoscere molte persone con cui strinse amicizia molto in fretta: la famiglia Block, Colin (un medico), Mirimuk (un cacciatore e capo delle guardie del ranch), Simon (il loro cuoco personale) e Luka (un amico fidato di Paolo). Per un loro anniversario Paolo regalò a sua moglie un uovo di struzzo annunciandole che, al suo interno, aveva nascosto un messaggio per lei, lo avrebbe tenuto appeso sopra il letto. La curiosità di Kuki di aprire quell’uovo era infinita ma resistette per anni. Dopo alcuni anni di serena convivenza Kuki rimase incinta. Due mesi dopo Paolo ebbe un incidente d'auto e morì, fu seppellito nel ranch dove aveva

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vissuto con Kuki ed Emanuele. Poco prima di morire, Paolo aveva assicurato a sua moglie che il loro figlio sarebbe stato in qualche modo la sua reincarnazione e quindi rimasto per sempre accanto a lei. Nemmeno dopo la sua morte Kuki ebbe il coraggio d aprire quell’uovo, che rimase lì, chiuso, sopra il letto. Emanuele divenne così l’uomo di casa e portò avanti il ranch come un vero adulto nonostante avesse soltanto diciassette anni. La sua passione per i serpenti e i rettili lo teneva molto occupato e quando in collegio superò gli esami di latino, biologia, inglese e francese con la lode, gli venne regalato un raro libro sui serpenti. Pochi mesi dopo la morte di Paolo nacque Sveva: aveva due bellissimi occhi azzurri e i capelli biondo-dorato del padre. Kuki assunse una tata: Wanjiru, bravissima, simpatica e molto affettuosa con la bambina. Sveva crebbe stupendamente e si affezionò molto al fratellastro Emanuele.

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II PARTE: “GLI ASTRI NEL MITO”

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paolo lorenzoni 1°E

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Winajoo, capo degli immortali, viveva sul fondo della laguna. Un giorno prese la decisione di creare il mondo, cominciando dall'Isola di Rossel, dove decise di porre la sua dimora poi, scaldando l'aria e l'acqua, con un gran fuoco creò le nubi, creò poi le altre isole.

Il dio serpente Mbasi, viaggiava nei dintorni dell'isola con la sua sposa, in una barca dove aveva collocato il Sole, la Luna, un maiale, un cane e un albero secolare, con l'intento di assegnare ad ognuno di loro un luogo su cui stabilirsi e prosperare. Mbasi portò il maiale a nord, e lì lo lasciò libero, poi portò il cane a sud e lo lasciò andare, cercò un fertile terreno per l'albero e ve lo depose, affidandogli la protezione di quella terra propizia. Nel frattempo dal dio serpente e dalla sua sposa era nato un uovo, da cui

sarebbero nati gli esseri umani.

Ma il sole e la luna si erano conosciuti e sapevano che Mbasi voleva condurli in due luoghi opposti, per questo fuggirono. Mbasi e la sua sposa furono tramutati in pietre, forse per aver permesso la fuga del Sole e della Luna, o forse per aver provocato la loro infelicità.

Un giorno il Sole andò a fare il bagno nell'acqua calda del mare, nel frattempo la Luna si era immersa nelle acque fredde di un vicino fiume. Winajoo era consapevole del loro amore e li fece ascendere al cielo entrambi: sarebbero

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stati insieme per l'eternità. Ma ormai il Sole era diventato troppo caldo e la Luna troppo fredda e la vicinanza dell'uno rendeva la vita insopportabile all'altra. Il paziente e saggio Winajoo decise allora che l'uno avrebbe percorso le vie del cielo di giorno e l'altra di notte: sempre vicini, non si sarebbero mai più incontrati. (Da una leggenda dell'Oceania)

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Gli indiani piedi neri narrano di un povero indiano che viveva di caccia e di bacche insieme alla moglie e ai due figli. L’uomo sospettava che la donna andasse ad incontrare un amante. Deciso a scoprire chi fosse, si rese conto che era un serpente a sonagli. Brucio la tana dell’animale e corse a casa. La donna, furiosa, lo insegui minacciando di ucciderlo. Il marito le trancio il capo con un’ascia ma il corpo continuo a braccarlo. Il destino dell’indiano, il Sole, era di inseguito per sempre dalla moglie decapitata, la luna, decisa a vendicarsi.

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damiano visintin 1°E

IIILLL SSSOOOLLLEEE EEE LLLAAA LLLUUUNNNAAA NNNEEEIII MMMIIITTTIII Nella mitologia scintoista giapponese, Izanagi e Izanam, rappresentano gli antenati originali, la prima coppia. Dopo la morte della moglie, l'inconsolabile Izanagi partì per la “terra delle tenebre” (Yomotsukuni) nella speranza di riportarla indietro. Non vi riuscì e sentendosi macchiato da quel ravvicinato incontro con la morte, andò a lavarsi al mare. Quando Izanagi si lavò il viso, dall'occhio sinistro emerse la dea del Sole, Amaterasu, e dall'occhio destro il dio della Luna, Tsuki-yomi. Ad Amaterasu venne

assegnato il gover

no del cielo,

ma tra i suoi compiti vi era anche

la tessitu

ra delle vesti delle

sacerdotesse shintoiste.

Nella mitolo

gia Papua si parla di Dudugera. Egli fu concepito in maniera misteriosa. Un giorno sua madre si trovava in un giardino presso il mare quando vide un grande pesce che si trastullava nell'acqua bassa. Attratta dallo splendore delle sue squame, entrò in acqua e si mise a giocare con lui. Il pesce era in realtà un dio. Qualche tempo dopo la gamba della donna, contro cui esso si era strofinato, cominciò a gonfiarsi e a dolere e, quando il marito incise il rigonfiamento, ne balzò fuori un bambino: Dudugera. Crescendo, l'aggressività di Dudugera incuteva timore negli altri ragazzi, che avevano paura di giocare con lui, e suscitava una tale avversione che venne gravemente minacciato. La madre, per metterlo al sicuro, decise allora di inviarlo da suo padre. Scese dunque al mare e il dio pesce comparve, prese in bocca suo figlio e si allontanò verso oriente. Prima di essere portato via, Dudugera raccomandò alla madre di rifugiarsi all'ombra di una grande roccia perché egli stava per diventare il Sole, flagello dell'umanità. Sua madre e i suoi parenti seguirono il

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consiglio e dal loro riparo videro il calore del Sole aumentare e distruggere a poco a poco le piante, gli animali e gli uomini. Mossa a pietà da quello spettacolo, la madre di Dudugera decise di fare qualcosa. Un mattino, al sorgere del Sole, gli gettò della calce sul viso: in cielo si formarono così delle nubi che da allora proteggono la Terra dall'effetto nefasto del calore del Sole.

Nareau, divinità creatrice degli abitanti delle Isole Gilbert, nel Pacifico settentrionale, all'inizio del tempo era da solo. Così, impastando sabbia e acqua, creò due esseri primordiali, maschio e femmina. Nareau chiese loro di aggiungere al Creato l'umanità poi se ne andò in cielo. Sfortunatamente sorse una lite tra i due, che si concluse con l'uccisione e lo smembramento del componente maschile della coppia. Il suo occhio destro venne gettato nel cielo d'Oriente e divenne il Sole; l'occhio sinistro fu lanciato nel cielo d'Occidente e divenne la Luna; il cervello andò a formare le stelle, la carne e le ossa divennero isole e alberi.

Tra gli Esquimesi si narra una vicenda più gioiosa: due giovani, fratello e sorella, si rincorrono per gioco in cerchio, sempre più velocemente finché salgono verso il cielo e diventano rispettivamente il Sole e la Luna.

Tra gli Aborigeni australiani il Sole era visto come una donna che si svegliava ogni giorno nel suo accampamento a Est, accendeva un fuoco, e preparava la torcia di corteccia che avrebbe portato attraverso il cielo. Prima di esporsi, lei amava decorarsi con ocra rossa e gialla, la quale, essendo una polvere molto fine, veniva dispersa anche sulle nuvole intorno, colorandole di rosso, l'Alba. Una volta raggiunto l'Ovest, sudata e sporca per via del lungo cammino, si lavava e rinnovava il trucco, colorando ancora di giallo e rosso le nuvole nel cielo, il Tramonto. Poi la Donna-Sole cominciava un lungo viaggio sotterraneo per raggiungere nuovamente il suo campo nell'Est. Durante questo viaggio sotterraneo il calore della torcia induceva le piante a crescere. (Tratto da http://ventitre.noblogs.org/post/2007/04/05/il-sole-miti-e-leggende)