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Aggiornamento professionale degli insegnanti del Grigionitaliano Vicosoprano, 18 / 19 agosto 2011 – L’approccio con l’eterogeneità
Laboratorio di Educazione musicale. Matteo Piricò e Manuel Rigamonti
1. Sviluppi dei potenziali cognitivi attraverso la musica.
Le recenti ricerche in campo neurofisiologico, che si avvalgono anche dei più moderni strumenti diagnostici (oltre a EEG e magnetoencefalografia, ricordiamo la tomografia ad emissioni di positroni e la risonanza magnetica funzionale) hanno approfondito notevolmente i meccanismi di attivazione a carico del sistema nervoso centrale che regolano le varie funzioni musicali. Percezione, elaborazione, composizione ed esecuzione musicale sottendono a complicati processi cognitivi che vanno a configurare un quadro di attivazione globale piuttosto ricco e variegato. Appare altresì evidente per quale motivo un tale livello di attivazione e diversificazione neurale abbia stimolato numerosi neurologi, biologi e psicologi a condurre esperimenti e ricerche sulle varie attività e funzioni musicali, proprio per studiare un meccanismo che in ambito diagnostico e terapeutico sta fornendo continui spunti indagativi, come ad esempio nel campo della riabilitazione geriatrica o psichiatrica e in generale nel campo dello studio delle intelligenze1. Per il pedagogista musicale questi studi hanno rinforzato un’idea complessiva che, in realtà, sebbene già potenzialmente racchiusa nelle motivazioni e nelle convinzioni ideologiche e metodologiche che hanno sempre spinto il lavoro di molti, non aveva ancora trovato il suo paradigma di riferimento. In sostanza, nella dimensione della morfoplasticità cerebrale, se l’attività musicale è in grado di pre-‐organizzare, di attivare e di sviluppare processi cognitivi di diversa natura appare evidente che il ruolo della nostra disciplina non può più essere relegato a quello di una pura e semplice attività artistico-‐culturale o, peggio, ricreativa. D’altra parte, se qualsiasi forma di insegnamento deve essere vista come un agire sulla psiche del discente, risulta consequenziale evincere che la nostra professione si arricchisca di nuove avvincenti prospettive ma anche di ulteriori gravose responsabilità. In ogni caso, molti studi devono essere ancora condotti sulla natura e sugli esiti della pratica musicale soprattutto sui giovani allievi, per esempio in riferimento allo sviluppo delle forme cognitive di raggruppamento ed organizzazione, sulle modalità privilegiate di attivazione neurale o ancora sul ruolo della musica, in generale, come articolato sistema strategico di perfezionamento cognitivo oltre che emozionale e relazionale.
Ci sembra tuttavia importante sottolineare in questa sede alcuni aspetti:
a) Sebbene i ricercatori confermino l’importanza dell’educazione musicale e della pratica auditiva, vocale e strumentale per lo sviluppo della relativa intelligenza, le strutture primarie della musica (ritmo, melodia, armonia ecc.) hanno assunto questa conformazione – pur con differenze sostanziali a seconda del contesto socio-‐culturale -‐ per via di quella che i genetisti chiamano canalizzazione, vale a dire l’insieme dei processi genetici ed evolutivi che tendono a privilegiare una certa forma di sviluppo, hic et nunc. Di conseguenza, la domanda secondo cui la musica è tale perché siamo fatti così o perché siamo noi che ci adattiamo alla musica appare interpretabile solo sulla base di un discorso di percentuali e di interdipendenza tra la morfoplasticità e la canalizzazione stessa (la percentuale di canalizzazione, secondo i diversi studi, varia da un 20 ad un 50%).
1 Numerose sono oramai le ricerche e le pubblicazioni in questo campo. Per semplificare ricordiamo qui alcuni volumi che raccolgono tra i più importanti studi sull’argomento : The neurosciences and music – disorders and plasticity, NY Academy of Sciences, Boston 2009; Critchley M., Henson R. A., La musica e il cervello – studi sulla neurologia della musica, Piccin, Padova 1987; Sloboda J.A., La mente musicale, Il Mulino, Bologna 1988; Gardner H., Formae mentis. Saggio sulla pluralità dell'intelligenza, Feltrinelli, Milano 1987; Schön D., Akiva-‐Kabiri L., Vecchi T., Psicologia della musica, Carocci, Roma 2007.
Aggiornamento professionale degli insegnanti del Grigionitaliano Vicosoprano, 18 / 19 agosto 2011 – L’approccio con l’eterogeneità
Laboratorio di Educazione musicale. Matteo Piricò e Manuel Rigamonti
b) Ne consegue, tuttavia, un principio fondamentale: indipendentemente dalle differenziazioni storico-‐culturali, sociali e geografiche della produzione musicale nel corso dei secoli2: l’uomo pre-‐possiede tutte le facoltà adeguate alla fruizione e alla produzione musicale, fatte salve quelle situazioni patologiche di handicap o di danno funzionale che incidono sulle possibilità del soggetto di percepire ed elaborare il messaggio sonoro.
c) Numerosi studi affermano che tali funzioni vengono già a costituirsi durante il periodo prenatale e i primi mesi di vita. Appare evidente, quindi, quanto l’attivazione di tali funzioni recettive durante questa prima fase appaia fondamentale per il sano sviluppo cognitivo del bambino.
d) Sebbene la musica sottenda a diversi e spesso incrociati processi cognitivi (ad esempio quello linguistico, spaziale, corporeo oltre che musicale), esistono anche aree specifiche della corteccia cerebrale legate a processi di cognitivizzazione eminentemente sonora e musicale. Studi sulle lesioni cerebrali in alcune di queste aree che hanno evidenziato nei pazienti osservati fenomeni di amusia, vale a dire la difficoltà di percepire ed elaborare i suoni musicali, tendono a suffragare tale ipotesi.
e) Appare sempre più scientificamente evidente come l’esercizio musicale (ascolto attivo e pratica vocale/strumentale) rappresenti il sistema più sicuro per coltivare tali abilità cognitive. Né lo studio teorico, né l’ascolto passivo – sebbene, a onor del vero, una ristretta minoranza di studiosi insista su tali pratiche – né tantomeno l’attivazione sporadica del solo talento musicale rappresentano forme compatibili con lo sviluppo musicale armonico della persona. Il numero di ore di studio e/o pratica attiva, ovverosia l’impegno minimo settimanale affinché tale sviluppo si possa concretizzare in misura sufficienze, sembra tuttavia piuttosto cruciale, e in netta incompatibilità con l’esiguo numero di ore affidato alla nostra materia.
f) Non va certo dimenticata la valenza emotiva ed emozionale dell’esperienza musicale, che apre uno scenario fondamentale ed avvincente sulle possibilità di sviluppo della nostra disciplina. Le ricerche legate a questo aspetto testimoniano che la musica è in grado di influenzare innanzitutto le nostre risposte fisiologiche (pressione e frequenza cardiaca, produzione ormonale, attività neurovegetativa e gastrica). Più in generale, si è osservato che alcuni aspetti della musica (come la valenza emozionale o ritmica) possono influire su strutture ancora più profonde e primitive di quelle corticali, come il sistema limbico, il cervelletto o il mesencefalo. Inoltre, come si dirà più diffusamente avanti, sembra assai probabile che l’esperienza musicale dipenda in una certa misura anche dall’attività delle aree corticali e sub-‐corticali dell’emisfero destro, direttamente connesse al sentimento e alla motivazione (Gardner 1983). Assieme alla sfera emotiva, naturalmente, troviamo quelle intrapersonale ed interpersonale, legate come è noto a doppio filo con l’attività musicale (percorsi introspettivi, socializzazione nella musica d’insieme, rapporto con il pubblico nelle esibizioni).
g) A riprova di quanto affermato sopra, alcuni studi psicologici e neurofisiobiologici su musicisti hanno evidenziato 3 una maggiore simmetria tra gli emisferi cerebrali (Kobayashi et al., 2003 e 2004), un maggior volume nel cervelletto (Hutchinson 2003) così come nella parte anteriore del corpo calloso (Schlaug 1995, Lee 2002). Questo non significa certo sostenere che i musicisti siano più “intelligenti” del resto della popolazione – e, a onor del vero, non è detto che certe specializzazioni avvengano a
2 In tal caso si intende la musica come prodotto trasversale di tono (altezze) e di ritmo, indipendentemente quindi che si tratti di un raga indiano o di una sinfonia di Beethoven. 3 Per dare un’idea dell’interesse suscitato negli scienziati si pensi al fatto che il database Medline riporta sull’argomento ben 2000 articoli negli ultimi 5 anni.
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Laboratorio di Educazione musicale. Matteo Piricò e Manuel Rigamonti
discapito di altre facoltà – ma rimane senz’altro interessante ribadire come la pratica musicale porti ad una modificazione strutturale di alcune aree dell’encefalo e ad alcuni relativi sviluppi cognitivi, come quello del “pensiero divergente”, secondo il famoso studio della Vanderbilt University.
h) Come si è letto prima, sono altrettanti gli studi che mettono in evidenza una certa “lateralizzazione” di alcune attività musicali, in grado cioè di attivare l’emisfero destro del cervello. Come sappiamo, l’emisfero sinistro, quello dominante, è più propriamente legato ai compiti logici, analitici e linguistici, mentre quello destro – il cui ruolo viene sempre più rivalutato ed evidenziato dalle analisi neurologiche e psicologiche – è responsabile della capacità olistica (il famoso “sguardo d’assieme”), riveste un ruolo fondamentale nella creatività, nell’intuizione e nella percezione spazio-‐temporale oltre che nell’interpretazione emozionale e spirituale. Va da sé che diverse attività musicali -‐come l’ascolto attivo, l’analisi, la composizione e l’improvvisazione -‐ sono in grado di stimolare adeguatamente l’emisfero destro del nostro cervello (Schlaug et al. 2001, Gaab 2005).
i) Fatte salve tutte le considerazioni sopra esposte, grazie ad una serie di studi molto recenti (citiamo uno dei più importanti, a cura di Trainor, Shahin e Roberts 2009), siamo ora in grado di affermare che lo studio della musica4 è in grado di influenzare e potenziare altre abilità intellettuali connesse alla percezione spaziale, alla memoria e all’attenzione. Altri studi riportano risultati piuttosto impressionanti anche nello sviluppo delle capacità linguistiche (Marin 2009, Moreno 2008, Schellenberg 2005) e logico matematiche (Forgead et al., 2008, Overy 2011). Secondo le ricerche finora condotte, pare che gli stimoli musicali siano in grado di sviluppare un’attività oscillatoria neurale nella banda gamma (30-‐100 Hz) che com’è noto accompagna una grande varietà di processi cognitivi. Pare anche che, in risposta agli stessi stimoli, questa attività sia del tutto assente in bambini che non pratichino la musica e in adulti segna cognizioni musicali.
In conclusione, questa prima carrellata ha lo scopo di stimolare la riflessione sulle enormi potenzialità dell’insegnamento musicale, suggerendo nel contempo quanto questa attività possa svolgere un ruolo cruciale per la società scolastica, anche da un punto di vista preventivo e terapeutico. Va da sé che le implicazioni psicologiche, cognitive, sociali ed emozionali rappresentano dei veri pilastri sopra i quali costruire l’impalcatura di una didattica aggiornata ed efficace, anche in riferimento al tema odierno dell’individualizzazione e della personalizzazione.
4 Il campione esaminato dai ricercatori era rappresentato da adulti musicisti e non musicisti e da bambini tra i 4 e 5 anni sottoposti ad un anno di studio del pianoforte con il metodo Suzuki.
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2. Intelligenza musicale ed altre forme di intelligenza5.
Dalla prima analisi teorica, sebbene illustrata molto rapidamente, emergono alcuni concetti che si rifanno al paradigma delle intelligenze multiple. Sgombriamo il campo da un vizio formale che rischia di mal indirizzare il lavoro del docente e di fornire una prospettiva metodologica piuttosto distorta. Attivare le diverse risorse intellettive dell’allievo non significa venire incontro solamente alla sua dimensione esistenziale facendo ricorso alle sue capacità pregresse, per una sorta di piaggeria educativa o comodità personale. Appare, in effetti, non solo fin troppo facile ma pure inutile continuare a far leva sui costrutti cognitivi più forti del discente per dimenticarci di attivare, sollecitare e sviluppare tutti gli altri aspetti dell’intelligenza. La prospettiva che, invece, appare piuttosto efficace, dal nostro punto di vista, è quella di un docente che può partire dalle sfere intellettuali più rinforzate del nostro allievo per poi convergere verso le dimensioni intellettive più proprie della nostra disciplina.
Un esempio pratico ci viene dall’educazione all’ascolto, in cui l’argomento può essere introdotto facendo perno su elementi pittorici, linguistici, cinestetici o ancora logico-‐matematici in grado di stimolare una fetta importante dell’ambiente-‐classe e di incuriosire e suscitare un ri-‐orientamento delle proprie competenze cognitive anche in quegli allievi che ancora sono poco inclini a sfruttare tali potenziali conoscitivi. Vedremo come questo aspetto divenga cruciale nel campo dell’individualizzazione, oltre che della personalizzazione.
Ma in ogni caso il modello delle pluri-‐intellingenze ci può venire in aiuto pure nel raggiungimento di quegli obiettivi culturali e tecnici altrimenti complessi da raggiungere. L’intelligenza corporea, ad esempio, può essere una risorsa fondamentale nella pratica strumentale, mentre quella interpersonale può avere un ruolo chiave nella gestione dei gruppi di lavoro. Il ruolo della scrittura musicale può destare particolare interesse negli allievi dotati di intelligenza spaziale, mentre le proporzioni numeriche e le leggi acustiche sono in grado di colpire allievi dotati di intelligenza logico-‐matematica. L’elenco potrebbe continuare, esattamente come l’esemplificazione relativa. Non sembrerà nemmeno troppo peregrino il considerare questi passaggi intermedi come condizioni metodologiche necessarie – sebbene non sufficienti – per l’edificazione del percorso di raggiungimento di un nostro obiettivo specifico.
5 Sull’argomento si veda : Gardner H., Formae mentis. Saggio sulla pluralità dell'intelligenza, Feltrinelli, Milano 1987; dello stesso autore si veda anche Educare al comprendere, stereotipi infantili e apprendimento, Feltrinelli, Milano 2002 e Educazione e sviluppo della mente: intelligenze multiple e apprendimento , Centro Studi Erickson, Trento 2005.
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Tabella di attivazione delle varie intelligenze attraverso la pratica musicale
*= scarsa attivazione **= discreta attivazione ***= Buona attivazione ****=Elevata attivazione
Intelligenze Ascolto Pratica strumentale
Pratica vocale
Attività creative
MEDIA / TOTALE DEL POTENZIALE DI ATTIVAZIONE
Visivo-‐spaziale *** *** * *** **/*** (10)
Logico-‐matematica
** *** ** ** **/*** (9)
Linguistica *** * **** ** **/*** (10)
Corporeo -‐cinestetica
** **** *** ** **/*** (11)
Esistenziale ** * ** ** */** (7)
Intra-‐personale
*** ** *** ** **/*** (10)
Inter-‐personale
** *** **** ** **/*** (11)
naturalistica ** * * * */** (5)
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Laboratorio di Educazione musicale. Matteo Piricò e Manuel Rigamonti 3. Individualizzazione VS Personalizzazione. La situazione della musica vista da un “provocatore”
La musica personalizza molto ma individualizza poco. Questo assunto può sembrare piuttosto apodittico, ma anche tremendamente veritiero. È sufficiente pensare ai nostri conservatori per ritenerlo non solo valido, ma anche fin troppo generoso. Il talento musicale viene ancora considerato un aspetto preminente di successo nell’ambito musicale, anche se molti studi ormai affermano che, salvo rare eccezioni, è in grande parte l’ambiente culturale e familiare – oltre che la buona didattica – a costruire le premesse per un successo musicale. L’allievo medio del conservatorio deve essere in grado di suonare perfettamente lo studio X per passare l’esame, altrimenti non potrà continuare il suo corso. Le strategie per portare l’allievo a tale successo appaiono tutte uguali e, in una certa misura, piuttosto massificate. L’adagio che recita “andava bene al mio maestro, è andato bene per me, deve andare bene anche per te” rappresenta la sorda didattica che ancora troppi docenti – taluni, peraltro, esimi musicisti – praticano esattamente come una sorta di rito religioso al quale il contravvenire sarebbe interpretato come un sacrilegio inaccettabile. Anche certi programmi sperimentali, in vigore in alcuni conservatori, non hanno cambiato di molto la situazione. Ma se in un certo senso il conservatorio, in quanto depositario di un certo sapere musicale, può ritenersi, a ragion veduta, in dovere di trasmettere un certo tipo di tradizione e di metodologia, ed è quindi in parte legittimato a decretare il successo scolastico dell’allievo che, almeno potenzialmente, decide di consacrare la sua vita alla musica e di assumerne i rischi, ci si chiede se anche tra le nostre aule scolastiche venga talvolta attuata la stessa dinamica pedagogica. Per rispondere a questa domanda basterebbe chiedersi quanto, nella nostra pratica quotidiana, siamo propensi ad adattare gli obiettivi in base ai bisogni dei nostri ragazzi o a meditare costantemente nuove strategie didattiche in caso di fallimento; oppure di quanto le nostre finalità educative siano quelle di formare piccoli musici o futuri fruitori dell’arte di Euterpe, di quanto le nostre mete didattiche vadano nella direzione di far conoscere ai nostri allievi le gioie della musica – attività quindi in grado di aumentare la qualità di vita di ognuno – o di “assaporare”, con la schiena curva e la fronte madida di glorioso sudore, le fatiche del sacrificio. Ma che la musica, per sua natura, personalizzi già molto appare evidente: l’allievo che suona il violino viene premiato perché legge bene e facilmente le note, l’allievo ben intonato (di suo) viene chiamato a cantare anche da solo, oppure a guidare la sua parte vocale, l’allievo “acculturato” continua ad alzare la mano e ad essere invitato ad esprimersi dal docente. Ovvio, c’è da chiedersi se questa rappresenti una personalizzazione auspicabile, soprattutto nel campo del saper essere, dato che spesso e volentieri questa forma di successo rischia di insinuarsi ed emergere tra l’insuccesso e le sconfitte di altri compagni. Sta, di fatto, che questo tipo di orientamento finisce per accontentare tutti quegli allievi che si dimostrano alleati della nostra strategia didattica, proprio per il loro compito, più o meno inconscio, di facilitatori dei nostri obiettivi pedagogici. L’analisi è impietosa, ma spesso realistica e neppure scevra di quel processo psicologico che cade sotto il nome di proiezione, cui purtroppo non siamo certo immuni. D’altra parte, individualizzare il processo d’apprendimento appare decisamente più complicato, soprattutto in presenza di qualche problema cognitivo o relazionale. Ed eccoci di fronte al primo grande scoglio da affrontare, e alla prima sirena alla quale resistere: abbassare il livello degli obiettivi? Il che significa chiedere a tutti sempre di meno, qualcosa di più facile, che ci renda la vita più semplice e che non ci faccia odiare dai nostri allievi. E intanto che le nostre pretese diminuiscono, diminuisce anche il nostro interesse per il lavoro, la nostra motivazione, il sano “divertimento” di fare musica con i nostri allievi. E intanto i ragazzi diventano sempre più pigri ed abituati ad ottenere alcuni piccoli risultati, di cui anche loro non comprendono la portata. No, nemmeno questa è la soluzione. Dai convegni di pedagogia
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Laboratorio di Educazione musicale. Matteo Piricò e Manuel Rigamonti emergono ogni volta notizie sempre più preoccupanti circa le capacità degli allievi di mantenere l’attenzione e la concentrazione. Alcune indagini psicometriche mettono in evidenza una realtà piuttosto allarmante: i ragazzi d’oggi, vivendo in un mondo così veloce ed immediato, in cui l’aspetto visivo-‐simbolico ha assunto un potere eminente rispetto agli altri veicoli, presentano le aree corticali deputate all’ascolto molto meno attivate e performanti rispetto a quelle preposte all’interpretazione del messaggio visivo6. Il deficit attentivo è ormai un aspetto con cui noi tutti facciamo i conti, quasi quotidianamente. I più allarmisti dicono che tra qualche anno, se non si farà niente, sarà quasi impossibile condurre dei momenti frontali durante le normali lezioni. Che fare dunque? Fortunatamente, in sintonia con quanto affermato in principio, la nostra disciplina possiede strumenti privilegiati e potenti, in grado di favorire l’attivazione di queste aree. Vediamone alcuni
1) Ricorso diretto alle intelligenze multiple come tracciato possibile di integrazione di nuove competenze. Ritmica di Dalcroze, senso-‐motorietà propriocettiva, visualizzazione attiva, traslazione culturale.
2) Veicolazione delle risorse emozionali nell’espressione musicale, sia per gli allievi emotivamente distanti sia per quelli di difficile gestione.
3) Denuclearizzazione della dimensione sociale per i sentimenti di accettazione e di appartenenza.
4) Tecniche pedagogiche e didattiche basate sulla CNV (comunicazione non verbale, articolazioni espositive paralinguistiche, gestione cinesica e prossemica).
5) Configurazione di attività didattiche che presentino approcci creativi, in modo da de-‐costruire e decontestualizzare il rapporto (o direzione) di apprendimento.
6) Tempi sovrapposti, materiali e stili di apprendimento differenziati ma pure concomitanti e trasversali, pensati per il raggiungimento delle conoscenze, delle capacità e degli atteggiamenti.
Questi sono solo alcuni degli strumenti a disposizione del docente, ma non bisogna nemmeno cadere nell’utopia che l’estrema e variegata eterogeneità del gruppo classe ci possa consentire sempre un successo pieno o altissimo attraverso la differenziazione didattica. Per alcuni allievi, pertanto, sarà indispensabile arrivare a strutturare obiettivi differenziati.
In conclusione, è in ogni caso indispensabile pensare ad una didattica che compenetri le due dimensioni, vale a dire quella dell’individualizzazione e della personalizzazione nel modo più equilibrato possibile. Una scuola di qualità – autorevole, stimolante, accogliente, sensibile -‐ le deve assolutamente contemplare entrambe.
6 Cfr. Chilton Pearce J., The Biology of Transcendence, Park Street Press, Rochester 2004.
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Laboratorio di Educazione musicale. Matteo Piricò e Manuel Rigamonti
Riferimenti bibliografici:
Critchley M., Henson R. A., La musica e il cervello – studi sulla neurologia della musica, Piccin, Padova 1987.
The neurosciences and music vol. III – disorders and plasticity, NY Academy of Sciences, Boston 2009
Sloboda J.A., La mente musicale, Il Mulino, Bologna 1988.
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AA. VV., a cura di Freschi A.M., Insegnare uno strumento. Riflessioni e proposte metodologiche su linearità/complessità, EDT, Torino 2002.
Perini L., Spaccazocchi M., Crescere con il flauto dolce, voll. 1-‐5, Progetti sonori, Mercatello sul Metauro.
Spaccazocchi M., Crescere con il canto, voll. 1-‐5, Mercatello sul Metauro.
Gasperoni G., Marconi L., Santoro M., La musica e gli adolescenti. Pratiche, gusti, educazione, EDT, Torino 2004.
Tafuri J, L'educazione musicale: teorie, metodi, pratiche, EDT, Torino 1995.
AA.VV. a cura di Delfrati C., Musica in scena: il teatro musicale a scuola, EDT, Torino 2003.
AA. VV., a cura di La Face Bianconi G., Frabboni F., Educazione musicale e formazione, Franco Angeli, Milano 2008.
N.B. Molti dei testi sopra indicati si trovano in anteprima (spesso abbastanza ampia) su google books.