ACQUA - Scuola di Cittadinanza...
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Lezione | kit didattico “Acqua. Risorsa comune, responsabilità di tutti” Materiale: Scheda PDF
ACQUA RISORSA COMUNE, RESPONSABILITA’ DI TUTTI
Introduzione
L’inizio del ventunesimo secolo è stata caratterizzato dall’avvio di un crescente dibattito sul tema della
sostenibilità perché è emerso sempre più chiaramente che la possibilità per la popolazione umana di
continuare a coesistere con gli ecosistemi terrestri usufruendo degli importanti servizi che questi ci
offrono era – ed è – in serio pericolo. Tra le varie risorse che risultano particolarmente vulnerabili alla
pressione esercitata dall’uomo c’è l’acqua, fonte di vita ed elemento imprescindibile per lo sviluppo
di ogni attività umana.
Prima degli inizi del ‘900 la domanda globale di acqua dolce era molto ridotta rispetto ai flussi naturali
dei cicli idrologici che ne regolano la presenza sul nostro pianeta. La crescita della popolazione, i
processi di industrializzazione e l’espansione dell’agricoltura basata sull’irrigazione hanno, insieme,
contribuito nel tempo ad aumentare la domanda per tutti i beni e servizi legati all’acqua in maniera
drammatica, mettendo a rischio gli ecosistemi che ne sostengono il ciclo e, di conseguenza, le attività
umane e le persone che dipendono da essi. Oggi, sulla base dei più recenti dati a disposizione, gli
esperti prevedono che la domanda di acqua continui ad aumentare in tutti i settori nei quali viene
utilizzata. La sola agricoltura è responsabile di circa il 70% del prelievo di acque dolci a livello mondiale,
mentre le attività industriali, tra cui rientrano quelle finalizzate alla produzione di energia, ne usano
poco più del 20%. Il rimanente è dedicato all’uso domestico. Tali percentuali sono molto variabili (per
esempio nei Paesi in via di sviluppo l’acqua dedicata all’agricoltura è molto di più rispetto ai Paesi
industrializzati!) ma sono tutte destinate a salire e a mettere sotto crescente pressione le risorse
idriche che al momento abbiamo. È stato calcolato che entro il 2030, se il nostro modo di produrre e
consumare non cambierà, la popolazione mondiale dovrà fronteggiare un deficit idrico globale del
40%, il che significa che quasi la metà delle risorse idriche di cui avremo bisogno non saranno
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disponibili! Nell’affrontare queste problematiche, poi, bisognerà anche tenere conto degli aspetti
legati alla qualità delle acque, non solo alla loro quantità. Un’adeguata qualità delle risorse idriche,
infatti, non è solo un prerequisito per il benessere delle comunità umane, ma anche per quello degli
ecosistemi naturali che svolgono funzioni essenziali per la nostra esistenza e per la vita sulla terra nel
suo insieme.
Lo stato delle risorse idriche a livello globale è una questione assai complessa di cui è difficile avere
consapevolezza a partire dall’uso quotidiano che facciamo dell’acqua: la usiamo per lavarci, per
dissetarci, per preparare gli alimenti di cui ci nutriamo ma, spesso, non siamo del tutto consapevoli di
quanto importante sia questa risorsa e di quanto lo sarà ancor di più negli anni a venire. Eppure le
problematiche che stanno emergendo in merito alla disponibilità e all’accesso di acqua salubre per
tutti ci riguardano tutti da vicino, dal momento che ciascuno di noi può dare il proprio contributo a
diffondere una cultura dell’acqua orientata a una sua saggia gestione. È importante, quindi, fermarsi
a riflettere adottando una prospettiva più ampia, che vada ben oltre la nostra esperienza diretta e ci
porti a focalizzare la nostra attenzione sulla provenienza delle risorse idriche di cui disponiamo, sulla
loro qualità e sul diritto ad accedervi, nostro e degli altri.
PRIMA PARTE | L’acqua per l’uso domestico: qualità e impronta idrica
La qualità dell’acqua potabile
L'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) definisce l'acqua per uso domestico come "l'acqua
utilizzata per gli abituali scopi domestici inclusi il consumo diretto, l’igiene personale e la preparazione
del cibo" e considera 20 litri di acqua per persona al giorno come la quantità minima per soddisfare
tali bisogni. La qualità dell'acqua destinata al consumo alimentare deve essere tale che il suo consumo
non costituisca un rischio per la salute umana. Pertanto, l’utilizzo di acqua sicura dal punto di vista
microbiologico e con composizione chimica bilanciata è molto importante per evitare di correre rischi
per la salute. Tuttavia, questo non significa che per l’uomo sia salutare consumare acqua pura: gli
elementi chimici quali sali minerali e ioni di diversa natura di cui si arricchisce l’acqua durante il suo
percorso naturale attraverso il suolo e le rocce sono importanti per gli organismi viventi perché
regolano il corretto andamento delle funzioni del corpo.
L’acqua pura, cioè priva di queste sostanze, non è in grado di soddisfare i fabbisogni del nostro
organismo; è necessario, però, che la quantità di elementi e di eventuali contaminanti che vi sono
disciolti sia continuamente controllata in modo da assicurarsi che l’acqua che utilizziamo sia idonea
per il consumo umano e non rechi danni all’ambiente. Ricordiamo, infatti, che tutte le attività che
l’uomo compie prelevano nell’ambiente acqua di buona qualità e la restituiscono a esso in forma di
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acqua di scarico che può contenere agenti inquinanti. Pensate, per esempio, a uno dei vostri primi
gesti mattutini: aprire il rubinetto dell’acqua in bagno, lavarvi e vedere l’acqua che va allo scarico
mischiata a una certa quantità di detergenti contenuta nei saponi e nei dentifrici che usate. Siamo noi,
con le nostre abitudini, a contribuire primariamente allo stato dell’acqua che utilizziamo!
Per garantire la qualità e la salubrità dell’acqua e tutelare la salute dei consumatori, l’acqua erogata
in case, uffici e locali pubblici è costantemente analizzata dal punto di vista chimico, fisico e
batteriologico: un’acqua per essere definita potabile deve, infatti, poter essere bevuta o impiegata
nella preparazione degli alimenti senza che la sua composizione arrechi un danno al consumatore.
Sono numerosi i parametri che sono controllati quando si analizzano le acque per il consumo umano,
sia che si tratti di acque minerali, sia dell’acqua potabile (la cosiddetta acqua del rubinetto).
Quest’ultima, in particolare, avendo origine da falde superficiali, soggette maggiormente a
contaminazione sia batteriologica sia chimica, o essendo captata da fiumi e da laghi da cui viaggia per
chilometri nelle condutture fino ad arrivare alle nostre case, viene analizzata in maniera più dettagliata
includendo il controllo di alcuni parametri che non sono previsti per l’acqua minerale. Tra questi i più
importanti sono:
Il residuo fisso, che esprime la quantità di sali disciolti in un'acqua;
Il pH, che è un parametro per misurare quanto un'acqua è acida (caratteristiche dell'aceto e del
limone) o basica (caratteristiche della soda;
La conducibilità elettrica, che è un parametro che indica indirettamente il contenuto di sali
disciolti in un'acqua: l'acqua distillata, per esempio, presenta una conducibilità elettrica molto
bassa;
La durezza, che dipende dal contenuto
di calcio e magnesio;
La concentrazione di cationi, che sono gli ioni aventi
carica positiva: sodio, potassio, calcio, magnesio;
La concentrazione di anioni, che sono gli ioni aventi
carica negativa: cloruri, solfato, bicarbonato, fluoruri,
nitrati.
A questi parametri di tipo chimico si aggiungono, poi, quelli
microbiologici, in particolare i cosiddetti “batteri indicatori”,
che assumono grande importanza nella determinazione
della qualità delle acque e per definirne la potabilità. La
presenza di batteri indicatori (tra cui Escherichia coli, batteri
coliformi, enterococchi) rivela una contaminazione dell’acqua potabile. Se in un’acqua potabile
La durezza si esprime in gradi francesi:
1 grado francese corrisponde a 10 mg/L
di carbonato di calcio. Il termine
"durezza" ha radici lontane, quando si
usava per quantificare la maggiore o
minore capacità di un'acqua nel
produrre schiuma quando si aggiungeva
una certa quantità di sapone. La
presenza di calcio e magnesio ne riduce
infatti la formazione e quindi limita il
"potere lavante" dell'acqua.
Lo sapevi che…?
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vengono rilevati questi microrganismi, si presume la presenza anche di microrganismi patogeni che
causano la diffusione di malattie.
Per questo l’acqua degli acquedotti, delle fontane e delle casette dell’acqua viene controllata
regolarmente, in modo da intervenire tempestivamente per ripristinare la qualità, laddove
compromessa, o nel caso si evidenzino situazioni di rischio.
Abiti a Milano? Vuoi conoscere le analisi aggiornate? Visita http://www.milanoblu.com/
1. Per ridurre i rifiuti di plastica Gli italiani bevono una media di 195 litri a testa all’anno di acqua minerale (primi in Europa e terzi nel mondo) producendo 100 mila tonnellate di plastica da smaltire
2. Per non inquinare L’imbottigliamento e il trasporto di 100 litri d’acqua che viaggiano per 100 km producono emissioni di gas nell’atmosfera almeno pari a 10 kg di anidride carbonica: questo contribuisce all’effetto serra!
3. Perché costa meno Consumare l’acqua del rubinetto abbatte la spesa: 1.000 litri di acqua del rubinetto a Milano costano solamente 60 centesimi. Sapresti quantificare quanto costerebbero 1.000 litri di acqua imbottigliata comprata nella tua città?
4. Perché è controllata e garantita L’acqua del rubinetto è sottoposta a controlli severissimi, sia da parte dei laboratori delle aziende che ne hanno in carico la distribuzione, sia da parte delle Aziende Sanitarie Locali
5. Perché è “a km Ø” L’acqua del rubinetto non deve fare lunghi viaggi, ma solo alcune centinaia di metri, dalla falda sotto la città al rubinetto della nostra casa
6. Perché è fresca Non viene conservata nei magazzini per lungo tempo e non rischia di essere sottoposta a condizioni ambientali (luce e calore), che ne alterano l’odore e il sapore
7. Perché è sana L’acqua del rubinetto contiene una giusta quantità di sali necessari all’equilibrio salutare dell’organismo
8. Perché è sempre disponibile Non deve essere trasportata, è sempre a portata di mano nella tua casa
Bere l’acqua del rubinetto conviene! Ecco perché:
Adattato da La tua acqua, Milano Blu. Disponibile al link:
http://www.milanoblu.com/la-tua-acqua/bere-lacqua-del-rubinetto/
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La nostra impronta idrica: quanta acqua consumiamo e per fare cosa?
Le risorse idriche globali sono attualmente in una fase di
forte stress, sia in termini di qualità, sia di quantità. La
quantità di acqua che utilizziamo, infatti, è cresciuta a un
ritmo di gran lunga maggiore rispetto a quanto è cresciuta
la popolazione mondiale nell’ultimo secolo. Questo non
solo perché ci sono più persone che consumano acqua per
bere, mangiare e lavarsi, ma, anche, perché queste persone
hanno assunto nel tempo comportamenti e stili di vita
diversi, più esigenti in termini di fabbisogno idrico.
A ciò si aggiunge un aumento della domanda globale di
energia, per la cui produzione l’acqua è un fattore
fondamentale: sia la richiesta di energia idroelettrica, sia
quella di biocarburanti ottenuti, cioè, da piante coltivate,
sono destinate ad aumentare nei prossimi anni. Non
bisogna inoltre dimenticare che anche la domanda di acqua
che alimenta le attività industriali è in continua crescita,
soprattutto nei Paesi emergenti che stanno gradualmente
sviluppando questo settore.
L’abitante medio del nostro pianeta
consuma 1.240 metri cubi di acqua
all’anno; un italiano ogni giorno usa in
media 380 litri di acqua solo per gli
scopi domestici, quantitativo che
aumenta di 17 volte se si considera
anche l’acqua impiegata per produrre
ciò che mangiamo e indossiamo. Si
arriva a 6.400 litri a testa ogni giorno,
2.334 metri cubi l'anno: quest’ultimo
valore è l’"impronta idrica" di ciascuno
di noi, che ci fa guadagnare il 4° posto
per più elevato il consumo individuale,
preceduto solo dagli abitanti di Usa,
Grecia e Malesia.
Sai quanta acqua
consumiamo?
Da Antonelli e Greco, 2014.
L’impronta idrica dell’Italia
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In questo quadro, quanta acqua consuma ciascuno di noi? Come le nostre scelte di consumo
determinano l’acqua che consumiamo? Per rispondere a queste domande e renderci conto del nostro
impatto sulle risorse idriche disponibili è stato elaborato il concetto di impronta idrica: questa è un
indicatore che ci dice quanta acqua dolce è
stata utilizzata per produrre un certo
determinato bene o servizio di cui
usufruiamo. Non ci dice soltanto in
termini quantitativi quanta acqua è
servita, ma tiene anche conto di una
componente qualitativa relativa
all’acqua che viene inquinata durante il
processo di produzione.
Si può calcolare l’impronta idrica di un
determinato territorio andando a
calcolare quanta acqua viene
consumata a produrre e/o consumare
tutti i beni che su questo territorio sono
prodotti e/o consumati. Per quanto
riguarda l’Italia, l’impronta idrica totale
del consumo nazionale corrisponde a 132.466 milioni di metri cubi all’anno che significa che ciascuno
di noi consuma 6.309 litri di acqua al giorno. Questa quantità può sembrare enorme ma, se andiamo
nel dettaglio a capire da cosa è data, ci accorgiamo che effettivamente il consumo di acqua di cui siamo
responsabili va ben oltre quella quantità minima di acqua che usiamo per scopi domestici (cioè per
bere, mangiare, pulire, etc) di cui siamo consapevoli. Infatti, dobbiamo considerare che quando
mangiamo un alimento, ingeriamo virtualmente anche tutte le risorse che sono servite a produrlo.
Per quanto riguarda l’acqua, in particolare, il conteggio si riferisce al volume di acqua che serve a
produrre tale alimento lungo tutte le fasi della catena di approvvigionamento: dalla produzione, alla
lavorazione, alla distribuzione, alla vendita al dettaglio fino all’arrivo sulla nostra tavola e al consumo
finale. Da diverse analisi compiute in diverse parti del mondo, è stato calcolato che una mela “costa”
circa 125 litri di acqua, una tazza di caffè 132 litri, una pizza margherita 1.260 litri, un chilo di carne di
manzo oltre 15.000 litri. Come appare evidente, i prodotti di origine animale sono quelli per la cui
produzione si consuma più acqua. Non è certo facile pensare che dietro a una bistecca di carne di
manzo ci sia una così grande quantità di acqua consumata: l’impronta idrica, però, ci aiuta ad avere
ben presente il consumo invisibile di quell’acqua che si cela nelle nostre scelte di consumo alimentare,
così come nel nostro stile di vita.
Quando mangiamo un uovo consumiamo 200 litri d'acqua, per
un chilo di pasta i litri diventano 1924. Per indossare una
maglietta di cotone servono 2700 litri; per un hamburger da
150 grammi i litri sono 2400.
Anche quando beviamo, consumiamo molta più acqua di
quanto ci sembri! Per una tazza di tè (da 250 ml) l’acqua che
consumiamo è in realtà data da 27 litri e per un bicchiere di
vino (da 125 ml) i litri diventano 110.
A cosa serve tutta quest’acqua? Anche se non lo vedi, è stata
l’acqua necessaria a crescere la gallina, a coltivare il grano, il
cotone, il foraggio per sfamare il manzo, per il coltivare il tè e
la vite di cui abbiamo assaggiato il vino.
Da Antonelli e Greco, 2014. L’impronta idrica dell’Italia
Aldaya e Hoekstra, 2009. The water needed to have Italians eat pasta and pizza
Sai quanta acqua costano
gli alimenti che mangi?
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Il concetto dell’impronta idrica mette in luce il ruolo che l’acqua possiede per la nostra sicurezza
alimentare. L’acqua utilizzata per produrre il cibo costituisce, infatti, la stragrande maggioranza
dell’acqua consumata dalle persone - circa il 90% del consumo giornaliero di ognuno. La protezione
delle risorse idriche e la sicurezza alimentare sono, quindi, strettamente legate per cui meno acqua
sarà disponibile in futuro, meno cibo saremo in grado di produrre. D’altro canto, è vero anche che
consumare cibo in maniera inappropriata o sprecarlo, implica una ingente perdita di acqua a livello
globale.
Scegliere consapevolmente che cibi mangiare, così come quali abitudini adottare all’interno delle
proprie mura domestiche, può fare una grande differenza che ci vede tutti protagonisti: infatti,
ciascuno di noi, in qualità di cittadino, ha un ruolo importante nel promuovere la sostenibilità
ambientale degli alimenti che consuma, così come di tutti i prodotti e servizi di cui usufruisce.
In cucina:
1. Sei sicuro che ogni volta che hai sete devi utilizzare un bicchiere pulito? In realtà no, potresti usarne
uno per tutto il giorno così, a fine giornata, ci saranno meno stoviglie da lavare.
2. Quando lavi la frutta e la verdura, non serve farlo sotto l’acqua corrente: puoi raccogliere un po’ d’acqua
in una bacinella e lavarle lì dentro.
3. Quando fa caldo si ha voglia di acqua fresca: evita, però, di lasciare scorrere a lungo quella del rubinetto.
Basta che ti ricordi di riempire una bottiglia d’acqua e di lasciarla sempre a disposizione nel frigorifero.
4. Non buttare l’acqua di cottura della pasta: la puoi usare per lasciare in ammollo i legumi secchi e anche
per il prelavaggio di piatti e stoviglie sporche. Sale e amido hanno, insieme, un ottimo potere sgrassante.
5. Non strofinare i piatti difficili da pulire sotto l’acqua corrente: basta lasciarli in ammollo per qualche
tempo e sarà poi semplici pulirli senza inutili sprechi di acqua.
6. Se usi la lavastoviglie, usala sempre a pieno carico!
In bagno:
7. Quando ti lavi i denti, non farlo lasciando scorrere l’acqua per tutto il tempo: aziona il rubinetto solo
quando devi inumidire o lavare lo spazzolino;
8. Quando comprate una lavatrice sceglietene una a basso impatto energetico e idrico: consentirà di
risparmiare acqua ed energia!
9. Riutilizzate i vestiti e gli asciugamani: non c’è bisogno che li laviate dopo un solo utilizzo! Ogni tanto
basta lasciare gli abiti all’aria e i cattivi odori andranno via senza dovere azionare la lavatrice.
10. E se vi macchiate la maglietta? Cercate di lavare la macchia immediatamente: le macchie ostinate più
rimangono, più risultano difficili da togliere il che significa usare più detergente o lavarle più volte, con
un conseguente maggiore consumo idrico.
Ecco cosa puoi fare tu per risparmiare acqua!
Adattato da Berni, 2014. The Water Saving E-book – Volume 2
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SECONDA PARTE | Acqua per lo sviluppo rurale e urbano
Anche se la relazione tra città e campagna è cambiata notevolmente nel corso dei secoli, questi due
ambiti sono stati da sempre fortemente legati l’uno all’altro dai flussi di beni e persone che si
muovevano in entrambe le direzioni. Il cibo ha, da sempre, costituito un elemento attraverso il quale
città e campagna erano in continuo contatto: in campagna, infatti, era prodotto il cibo che si
consumava in città e proprio in città si trovavano i mercati dove i prodotti della terra potevano essere
venduti e scambiati. La città, dunque, offriva delle possibilità agli abitanti delle campagne, anche in
termini di opportunità di lavoro, e, allo stesso tempo, dipendeva dalle aree rurali circostanti per
l’approvvigionamento di risorse preziose per i suoi abitanti: in primo luogo il cibo, ma anche,
altrettanto importante, l’acqua.
Al pari delle attività agricole che si realizzano in campagna e che necessitano di grandi quantità di
acqua per l’irrigazione (in alcuni Paesi la quantità d’acqua destinata all’uso agricolo arriva fino al 90%
del totale dell’acqua consumata), anche le città necessitano di ingenti risorse idriche per funzionare,
ovvero per consentire ai propri abitanti di bere, nutrirsi e lavarsi ma, anche, alle proprie industrie di
produrre quei beni e servizi di cui disponiamo tutti i giorni. Questo è il motivo per il quale l’acqua è
stato uno, se non il principale, fattore intorno al quale sono nate e si sono poi sviluppate le città. La
relazione tra l’acqua e gli ambienti urbani è antichissima e si può dire che proprio la capacità tecnica
dell’uomo di sapere individuare e realizzare soluzioni alle molte questioni legate all’acqua, siano esse
relative al suo approvvigionamento, alla sua salubrità o alla difesa del centro abitato, ha determinato
lo sviluppo delle città e di intere civiltà.
In molte realtà che ci sono familiari, oggi, l’importanza della risorsa acqua nel disegnare il paesaggio
sia urbano sia rurale tende a sfuggirci perché non è più evidente così come era un tempo. Esistono
però dei casi molto interessanti che, a questo proposito, hanno molto da raccontarci.
Milano, città d’acqua
L’odierna campagna urbana milanese si sviluppa prevalentemente nella zona meridionale del Comune
di Milano e si estende oltre gli attuali confini comunali. Se andiamo a ritroso fino alla fine
dell’ottocento e osserviamo le mappe dell’epoca, risulta evidente che la crescita della città e la
conseguente riduzione e dei terreni agrari circostanti siano un fenomeno relativamente recente: la
storia di Milano, infatti, riporta che l’area esterna al di fuori delle mura della città per secoli fu
destinata alla produzione agricola e all’allevamento.
Proprio queste attività che ora ci risultano meno familiari hanno costituito la prima vera ricchezza di
Milano e hanno permesso nel corso del novecento la crescita economica e produttiva della città, di
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cui lo sviluppo industriale sarebbe stato solo l’ultima fase. Se, poi, si osserva la carta ottocentesca, si
può vedere chiaramente il fitto reticolo dei canali, delle rogge, e la presenza di fontanili, che allora
segnavano il paesaggio agricolo, al pari dei camminamenti e delle strade che collegavano le cascine e
i borghi presenti sul territorio.
Proprio la ricchezza d’acqua ha da sempre
contraddistinto il territorio milanese, sia
quello rurale, sia quello urbano. È tra il 1100
e il 1200 che questa ricchezza inizia a essere
compresa e sfruttata. Questa è, infatti,
l’epoca in cui a Milano si iniziano a scavare i
Navigli che costituiscono le vie d’acqua che,
dalle campagne circostanti, consentono di
raggiungere il centro della città. Alla stessa
epoca risalgono gli interventi a opera dei
monaci cistercensi che, raccolti nelle abbazie
di Chiaravalle e Morimondo, si adoperarono
per usare in maniera intelligente l’acqua che
affiorava naturalmente dal terreno dalle
risorgive.
La marcita è un particolare sistema colturale tipico della
pianura padana. In quest’area in diversi punti l’acqua
sgorgava naturalmente dal terreno a una temperatura
costante di 10-12°C, anche in inverno. Attraverso
interventi di sistemazione del terreno, i monaci furono in
grado di fare percorrere quest’acqua sui prati in maniera
uniforme e in continuo movimento grazie alla loro
pendenza. In questo modo. Lo sviluppo della vegetazione
proseguiva così anche durante l'inverno, rendendo
possibile effettuare annualmente più tagli di foraggio che
andava ad alimentare gli animali. In questo modo, quindi,
i monaci cistercensi introdussero un sistema integrato di
agricoltura e allevamento che fece fiorire le campagne
intorno a Milano.
Cosa sono le marcite?
Segre, Storia dell’agricoltura e del paesaggio agrario milanese
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Alla fine del 1300, ad opera del Ducato di Milano, la campagna circostante la città fu ampiamente
bonificata e grande attenzione venne data alla
sistemazione dei corsi dei fiumi. A quest’epoca
risale lo scavo del canale della Martesana, per
condurre le acque dell’Adda da Trezzo a Milano.
Furono i più illustri scienziati e tecnici del tempo
a lavorare alla progettazione delle opere
necessarie: primo fra tutti Leonardo da Vinci, di
cui fortunatamente abbiamo ancora numerosi
studi, progetti, disegni per opere di bonifica,
irrigazione e navigazione interna. Milano, le sue
vie d’acqua e le sue campagne suscitavano
ancora nella prima metà dell’800,
l’ammirazione di viaggiatori di altre parti
d’Italia, ma anche stranieri.
L’efficiente rete di canali che raggiungeva il
centro di Milano costituivano una importante
fonte di rifornimento d'acqua, sia per le
industrie, sia per le operazioni come il lavaggio della
biancheria e ritardarono in qualche modo la costruzione di un vero e proprio acquedotto cittadino fino
alla fine dell’800, quando già altre città europee se ne erano dotate. Nel 1888, dopo alterne vicende
che impedirono lo sviluppo di un sistema idrico milanese, finalmente fu dato avvio ai lavori per la
costruzione di due pozzi sperimentali che semplicemente avrebbero riprodotto la modalità di
approvvigionamento già in uso dai cittadini milanesi: l’acqua si attingeva dalla falda freatica
sottostante Milano a una profondità tale da garantirne purezza e salubrità. Il primo acquedotto
milanese fu denominato Arena ed entrò in funzione nel 1889, alimentando il quartiere residenziale
che allora andava formandosi fra Piazza Castello, Foro Bonaparte e via Dante. Questo primo impianto
ebbe una grande rilevanza: esso, infatti, permise un progressivo e costante sviluppo del servizio di
distribuzione dell’acqua potabile che doveva fare fronte al continuo aumento dei consumi che si
innescò via via che i cittadini milanesi presero coscienza della comodità dell'avere acqua in
abbondanza nelle proprie case. Da allora furono costruiti una serie di altri impianti che servivano a
coprire diverse aree della città di Milano: nel 1910 le centrali idriche erano già diventate 10, con un
totale di 87 pozzi.
Leonardo rimase per ben 25 anni a Milano,
lavorando, per buona parte di essi, alla corta degli
Sforza. Egli fu uno – forse il più geniale – ingegneri e
uomini di scienza che contribuirono al miglioramento
del funzionamento dei Navigli. Tra il 1506 e il 1513
Leonardo da Vinci lavorò alla conca del naviglio di S.
Marco. Il suo progetto consisteva nell'allacciare il
Naviglio Martesana alla cerchia interna dei Navigli
attraverso due chiuse, a S. Marco e all'Incoronata; in
questo modo si sarebbe potuta attraversare la città
via acqua, e, in prospettiva, collegare l'Adda al Ticino.
La sua innovazione consistette nell’introdurre un
piccolo sportello a chiavistello, manovrabile dall'alto,
che permetteva un afflusso di acqua sufficiente per
equilibrare la pressione ai due lati della porta
principale agevolando, così, l'apertura della chiusa.
Leonardo da Vinci a Milano
Museo Nazionale della Scienza e della Tecnologia Leonardo da Vinci
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La costruzione di questi edifici ha, a poco a poco, modificato il paesaggio urbano milanese,
arricchendolo di manufatti che ancora oggi sono ben visibili tra le case. In genere, le centrali sono
ancora riconoscibili per le semplici architetture di mattoni a vista, testimonianza della pianificazione
urbana sobria ed elegante caratteristica del secolo scorso. Alcuni esemplari, poi, furono progettati in
maniera da confondersi nel tessuto urbano, attraverso la realizzazione di strutture quasi
completamente sotterranee o perfettamente mimetizzate
nel verde dei parchi cittadini.
Alla modifica del profilo urbano conseguente alla
costruzione dell’acquedotto della città di Milano e
delle strutture a esso associate ha contribuito anche
la progressiva copertura dei numerosi canali d’acqua
che da secoli solcavano la città, tra i quali i Navigli. Tra
la fine degli anni venti e l’inizio dei trenta del
novecento, la stragrande maggioranza delle vie
d’acqua di Milano, divenute ormai canali di scolo e
non più di approvvigionamento idrico, furono
interrati.
L’impianto di via Cenisio è la centrale di
pompaggio delle acque di falda più antica tra
quelle ancora esistenti a Milano: è entrato in
funzione nel 1906. L’edificio occupa un’area
rettangolare, all’angolo tra via Cenisio e piazza
Diocleziano, ed è caratterizzato da una
struttura in muratura continua con grandi
finestre. Nel 1989 venne restaurato in
occasione del centenario dell’acquedotto di
Milano. I locali conservano tuttora le
attrezzature per l’estrazione, la depurazione e
l’immissione dell’acqua resa potabile nella rete
idrica milanese.
Centrale di via Cenisio
TurismoMilano/Arte e Cultura
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È possibile oggi trovare nelle nostre città delle tracce del legame tra il contesto rurale e quello urbano che
ha così tanto caratterizzato la storia di Milano? In altre parole, esistono tracce di campagna nella tua città?
Prova a scoprirlo lavorando in gruppo con i tuoi compagni e le tue insegnanti.
La classe viene suddivisa in gruppi di lavoro di 4/5 studenti l’uno. A ogni gruppo è assegnato un quartiere della
città in cui vive.
Per prima cosa, l’insegnante distribuisce agli studenti la mappa della città o del quartiere e stabilisce -
possibilmente con l’aiuto della classe - i limiti geografici di lavoro di ogni gruppo, cosicché tutti possano avere
dei riferimenti precisi e lavorare esattamente sulla stessa area. Gli studenti prendono confidenza con la
mappa (in versione cartacea o digitale) su cui prenderanno nota durante l’esplorazione sul campo.
Gli studenti, accompagnati dall’insegnante o autonomamente in orario extrascolastico, esplorano il
quartiere, osservano le contaminazioni tra paesaggio urbano e rurale e raccolgono la documentazione.
Esistono dei grandi parchi dove le persone possano beneficiare di un po’ di verde? Esistono degli orti urbani
in cui qualcuno coltiva degli alimenti freschi? Ci sono dei mercati in cui gli agricoltori delle campagne
circostanti vengono a vendere i loro prodotti? Esistono dei corsi d’acqua che attraversano la città? Se risulta
difficile trovare questi elementi, gli studenti possono raccogliere le informazioni attraverso il racconto di
alcune persone per comprendere come è cambiato il paesaggio urbano nel tempo (es. genitori/nonni). La
memoria storica è un’importante fonte di informazioni!
Nota operativa per gli studenti. Quando vedi un fattore di interesse (per esempio un orto coltivato in città)
fai una foto e segnati su una mappa dove si trova! Allo stesso modo, quando parli con qualcuno, raccogli tutte
le informazioni utili. Unendo le informazioni che raccoglie il tuo gruppo di lavoro con quelle raccolte dagli altri
compagni, avrete ritratto una versione della tua città che non conoscevate ma che è molto importante tenere
presente.
Dopo aver lavorato in autonomia ogni gruppo ha a disposizione circa 5 minuti condividere con la classe la sua
osservazione. L’insegnante può stimolare una discussione e il confronto.
Materiale utile: Materiale carta e penna, macchina fotografica (o smartphone), registratore vocale (o
smartphone), mappa del quartiere (cartacea oppure digitale)
E ora tocca a te!
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TERZA PARTE | Acqua per la cooperazione e lo sviluppo dei popoli
La quantità d’acqua utilizzata dall’uomo è cresciuta più del doppio rispetto a quanto sia aumentata la
popolazione mondiale nell’ultimo secolo e molte zone nel mondo si trovano a dovere far fronte a una
riduzione dell’acqua tale da mettere a rischio la possibilità di accedere a servizi di base come quelli
igienico-sanitari, ma anche di coltivare cibo nutriente e sicuro. Questa erosione delle riserve idriche
cui stiamo assistendo è dovuta a diversi fattori tra cui i più rilevanti sono l’aumento della popolazione
totale, lo sviluppo economico e il cambiamento climatico. Immaginare che più persone ci sono sulla
terra, più acqua viene consumata per i loro bisogni è abbastanza intuitivo, ma bisogna considerare che
il consumo dell’acqua aumenta anche via via che l’economia di un Paese cambia, così come a seconda
dei bisogni di una popolazione che cambia necessità e stili di vita. Diversi elementi, quindi, hanno un
peso considerevole nel determinare la domanda idrica a livello globale e rendono complessa la
definizione del concetto di scarsità idrica.
Esiste una scarsità idrica di tipo ambientale in quelle aree dove le risorse idriche disponibili non sono
in grado di soddisfare la domanda della popolazione locale né in termini di quantità né di qualità
(evidenziate in colore azzurro scuro nella mappa). Oggi sono circa 1,2 miliardi le persone che vivono
in queste condizioni. Tali aree sono destinate ad aumentare nei prossimi anni, coprendo, come
evidenziato in colore azzurro chiaro nella mappa, tutto il Medio Oriente, parte del Centro America, del
Sud Africa e dell’Asia Centrale. Esiste poi una scarsità idrica di tipo economico che interessa quelle
aree dove non ci sono le strutture necessarie a rendere effettivamente disponibile l’acqua che pure
può essere presente in grandi quantità (colore blu scuro). Questo può essere dovuto alla mancanza di
Poca o nessuna carenza d’acqua
Scarsità d’acqua ambientale
Prossima scarsità d’acqua
ambientale secondo stime recenti
Scarsità d’acqua economica
Dati non disponibili
UNESCO, 2012. World Water Development Report
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risorse economiche per costruire pozzi, acquedotti e altre strutture per la distribuzione dell’acqua,
oppure alla debolezza delle amministrazioni locali per cui queste risorse non sono gestite in maniera
adeguata. In questo caso sono circa 1,8 miliardi le persone che non riescono ad accedere a risorse
idriche salubri in quantità sufficiente.
I numeri che descrivono la scarsità d’acqua allo stato attuale indicano, quindi, un fenomeno di portata
globale che, però, può risultare difficile da immaginare se non se ne comprende la dimensione pratica.
Cosa significa, quindi, non avere acqua?
Acqua, servizi igienico sanitari e salute
L’acqua associata ai servizi sanitari e igienici è una componente essenziale affinché ciascuno di noi
possa condurre una vita sana, attiva e dignitosa. Proprio
per questo motivo l’accesso all’acqua e a servizi
igienico-sanitari adeguati è stato riconosciuto quale
diritto fondamentale da parte delle Nazioni Unite nel
2010. La possibilità di lavarci le mani sotto l’acqua
corrente e di disporre di servizi igienici funzionali e
sicuri è cosa scontata per noi ma tutt’altro che diffusa a
livello mondiale. Questo ha implicazioni importanti
perché proprio l’igiene personale è strettamente
correlata alla prevenzione di malattie, così come
all’utilizzo di acqua pulita e sicura da bere e per la
preparazione del cibo.
I dati disponibili a questo proposito indicano ancora una
realtà preoccupante se pensiamo che nel solo
continente africano ogni anno poco meno di un milione
di persone muore proprio a causa di malattie dovute alle scarse condizioni igienico-sanitarie. I bambini
e le madri che hanno partorito, poi, sono i soggetti più vulnerabili in questo senso e sono, quindi, quelli
che più risentono della problematica dell’accesso all’acqua.
A questo si aggiunge spesso una disinformazione diffusa circa le buone pratiche che si dovrebbero
seguire per minimizzare i rischi per la salute. Lavare le mani, per esempio, è un gesto comune per noi.
Eppure ricerche scientifiche dimostrano che moltissime persone non lo fanno neppure dopo avere
usufruito dei servizi igienici, laddove disponibili. Anche la gestione delle acque reflue contaminate con
le deiezioni umane è molto importante perché, se non tenute ben separate dalle acque destinate
Sono relativamente poche le persone che nel
mondo si lavano le mani: è stato osservato
che in momenti critici come, per esempio,
prima di maneggiare il cibo e dopo aver
usato la toilette, solo poco più di un terzo
delle persone si lava le mani con il sapone!
Eppure usare il sapone è davvero molto
importante perché l'acqua da sola non è
sufficiente. Oltre a essere importante, poi, è
anche possibile perché anche in molti Paesi
in via di sviluppo il sapone non manca,
eppure lavare gli abiti e le stoviglie o fare il
bagno sono visti come usi prioritari a scapito
del lavaggio delle mani nell’arco della
giornata.
Lo sapevi che…?
UNESCO, 2015. World Water Development Report
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direttamente o indirettamente all’uso alimentare, possono contaminarle con alti rischi per la salute
delle persone.
A complicare il quadro globale c’è, inoltre, una grande disparità tra Paesi ma anche tra regioni, tra
campagna e città e tra diversi gruppi di persone che usufruiscono dei servizi basati sull’accesso
all’acqua. La sola predisposizione di strutture adeguate, infatti, non implica necessariamente che tutti
possano averne accesso. Allo stesso modo, l’assenza di servizi adeguati penalizza di più alcuni gruppi
di altri: è questo, per esempio, il caso di molte ragazzine in Africa, così come in Sud America e in
estremo Oriente che, non potendo accedere a servizi igienici dedicati, si vedono costrette a rinunciare
ad andare a scuola.
Acqua per la produzione di cibo
L’agricoltura e l’allevamento sono le attività per le quali è consumata oggi nel mondo la maggiore
quantità di acqua. A esse, infatti, è destinato mediamente il 70% delle acque che sono estratte dai
fiumi e dalle riserve d’acqua dolce disponibili e tale percentuale raggiunge il 90% nei Paesi dove
l’agricoltura è ancora la principale attività economica: è questo, per esempio, il caso di alcuni Paesi
dell’Africa Sub-Sahariana e del Sud Est dell’Asia. Acqua e attività agricole sono, dunque, strettamente
connesse, da cui risulta evidente la forte dipendenza della disponibilità di risorse alimentari dalla
disponibilità di acqua.
È stato calcolato che, alla luce dell’aumento della popolazione previsto per i prossimi decenni, la
produzione di cibo dovrà aumentare di oltre il 60%, in alcuni Paesi persino raddoppiare, ma come sarà
possibile questo se già l’agricoltura assorbe così tanta acqua? Ci sono alcuni Paesi che stanno
esaurendo le proprie risorse idriche per i quali in futuro sarà sempre più difficile produrre cibo
sufficiente e nutriente. L’impossibilità di accedere a fonti d’acqua che possano essere utilizzate per le
attività agricole colpisce più severamente coloro per i quali proprio l’agricoltura costituisce il principale
– se non l’unico – mezzo di sussistenza. Ecco, quindi, che le comunità che risiedono nelle aree rurali
dove si concentra la maggior parte della produzione di cibo a livello globale saranno le più vulnerabili
a mano a mano che la disponibilità di acqua andrà riducendosi. Se poi consideriamo che circa il 75%
delle persone povere a livello globale si concentra proprio nelle aree rurali, di nuovo, vediamo che
saranno i più deboli a risentire maggiormente delle criticità che si profilano nei prossimi decenni.
La vulnerabilità di questi soggetti è data da una serie di fattori diversi tra cui la mancanza di
infrastrutture adeguate a garantire la distribuzione di acqua anche in aree remote, l’impossibilità di
accedere a fonti di acqua pulita per il consumo domestico e l’assenza di servizi igienico-sanitari
adeguati. A ciò si aggiungono gli effetti del cambiamento climatico per i quali si prevede che
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l’andamento delle piogge si farà sempre più irregolare e probabilmente caratterizzato da eventi
estremi (per esempio, lunghi periodi di siccità o, al contrario, alluvioni) che possono arrivare a
compromettere interi raccolti e causare la morte dei capi di bestiame che sono la primaria fonte di
sostentamento di moltissimi piccoli allevatori nei Paesi in via di sviluppo.
La condizione delle donne, poi, merita un’attenzione particolare: esse costituiscono oltre il 40% della
forza lavoro impiegata nel settore agricolo ma hanno minore accesso a fattori quali terra coltivabile,
acqua, sementi, capi d’allevamento e servizi di assistenza tecnica rispetto agli uomini. Su di loro,
inoltre, ricade la cura dei figli che richiede molto tempo, limitando al minimo, quindi, le loro possibilità
di imparare, conoscere e crescere professionalmente.
È stato calcolato che se le donne avessero uguali opportunità di accedere a risorse e conoscenze
applicate all’agricoltura sarebbero in grado di produrre una quantità di cibo tale da sfamare 150
milioni di persone a livello globale.
Per cambiamento climatico si intende il cambiamento di quelle condizioni che definiscono il clima in una
certa area come, per esempio, la temperatura e l’andamento delle precipitazioni. Il clima si differenzia dal
tempo atmosferico perché mentre quest’ultimo riguarda un periodo limitato nel tempo (per esempio, una
giornata o un mese), il clima invece è proprio di una determinata regione su un arco di tempo molto lungo,
pur comprendendo delle variazioni che si ripetono di anno in anno (pensa, per esempio, ai cambiamenti di
temperatura che osservi tra una stagione e l’altra).
Il clima tende naturalmente a cambiare e, infatti, è cambiato nel corso dei secoli: il mondo ha avuto
glaciazioni a cui sono seguiti periodi caratterizzati da temperature più alte. Nella storia recente dell’uomo,
però, il clima sta cambiando a una velocità molto più elevata di quanto non sia mai stato osservato: nel
corso di poco più di 100 anni, infatti, la temperatura media terrestre è aumentata di circa mezzo grado.
Sembra poco, ma questo ha conseguenze importanti sulle forme di vita che popolano la terra, così come
sull’ambiente e gli ecosistemi.
Ci sono cause naturali all’origine di questo fenomeno, ma la quasi totalità della comunità scientifica
mondiale ora conviene sul fatto che le attività dell’uomo hanno un peso importante nell’indurre questo
cambiamento al quale possono essere attribuiti i fenomeni cui assistiamo ogni giorno: episodi di siccità,
alluvioni, tifoni. L’utilizzo dei carburanti derivati dal petrolio, infatti, produce dei gas che si concentrano
nell’atmosfera e ne provocano il surriscaldamento (si chiamano gas a effetto serra) e sono le attività
industriali e l’utilizzo dei veicoli a motore a essere i principali responsabili dell’emissione di questi gas.
Cos’è il cambiamento climatico?
NASA, 2011. NASA audiences/for Students
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Alla luce delle forti interconnessioni tra acqua e agricoltura, occorre ripensare a questo settore in
modo che il suo impatto sulla futura disponibilità
idrica sia ridotto, lavorando al contempo in
stretta collaborazione con le popolazioni più
svantaggiate per garantire loro la possibilità di
continuare a produrre le risorse di cui vivono e
che possano consentire loro di condurre una vita
sana e attiva.
A questo proposito è molto importante, quindi,
ridurre al minimo le perdite di acqua dovute a
inefficienze delle reti di approvvigionamento e
distribuzione, anche nelle aree più remote, ma,
soprattutto, bisogna puntare al miglioramento
delle attività produttive in modo tale che sia
necessaria meno acqua per produrre un
quantitativo maggiore di cibo. Questo significa
scegliere le colture più adatte alle caratteristiche
di un territorio, coltivarle con le tecniche più
appropriate rispettando l’ambiente e
valorizzando le conoscenze delle popolazioni
locali.
Le donne e i bambini sono i soggetti ai quali spetta
primariamente la raccolta dell’acqua. Questo è un
compito che i bambini svolgono sin da quando sono
molto piccoli che, talvolta, impedisce loro di andare
a scuola. Sommando tutto il tempo che donne e
bambini in tutto il mondo dedicano ad andare a
prendere l’acqua, si arriva a 200 milioni di ore ogni
giorno. In Africa e Asia bambini e ragazze
percorrono una distanza media di quasi 6 km al
giorno per portare a casa l’acqua necessaria ai
fabbisogni delle loro famiglie.
Nella tua città ci sono le ‘casette dell’acqua’? Ti è
mai capitato di andare a riempire delle bottiglie lì e
portarle a casa? Che distanza hai percorso? È stato
faticoso?
[Le case dell’acqua a Milano]
Donne e acqua
UNESCO, 2015. Water for Women World Water Assessment Programme
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Per noi che viviamo in Italia capire davvero cosa significhi non avere accesso all’acqua è molto difficile perché
siamo abituati a poterne disporre facilmente in maniera pressoché illimitata. Per cosa e quanta ne usiamo
esattamente?
Prova a fermarti a pensare alla tua giornata e prendi nota di tutte le operazioni che fai che necessitano di
acqua. Facendoti aiutare dai tuoi insegnanti, chiedendo ai tuoi genitori e cercando informazioni su internet,
prova a quantificare quanta acqua consumi in ciascuna di queste operazioni e calcola il totale.
Ora prova a immaginarti nei panni di un tuo coetaneo in Africa: sarà possibile per lui accedere alla quantità
d’acqua di cui necessiti tu nell’arco di una giornata? Riuscirà ad andare a prendere tutti quei litri magari
camminando per km? Probabilmente no, perché sarà troppo faticoso per lui. Prova allora ad immaginare il
peso che saresti in grado di trasportare tu per una distanza – anche breve – e risali alla quantità d’acqua a
cui corrisponde: ecco l’acqua che avresti a disposizione nel corso della tua giornata, confrontala ora quella
che normalmente usi e avrai una misura della differenza che esiste tra te e il tuo coetaneo africano.
A quali attività dovresti rinunciare? E poi: prova a immaginare delle alternative al tuo comportamento che
ti consentirebbero di ridurre l’acqua consumata (per esempio, fare la doccia invece che il bagno): quanta
potresti risparmiarne?
Ora che hai fatto questi ragionamenti sapresti dire qual è, quindi, il reale peso dell’acqua che usi?
E ora tocca a te!