Accedere ai servizi sanitari

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1 ACCEDERE AI SERVIZI SANITARI Un’inchiesta svolta da studenti delle scuole secondarie di II grado padovane Entrato alla mattina e uscito alla sera con la spal- la sistemata. Non ci credevo! (uomo, 46 anni) “Ho aspettato un’ora e mezza” mi fa presente, con stizza, l’intervistata. (donna, 46 anni) A. NATURA E SCOPI DEL LAVORO 1. CHE COSA È QUESTA INCHIESTA Oltre centocinquanta ragazzi delle scuole secondarie di II grado di Padova hanno realizzato altrettante interviste a persone adulte – individuate nell’ambito della famiglia e degli amici di famiglia – sul tema dell’accesso ai servizi sanitari. Ogni intervista è composta da due sole domande. La prima: L’ultima volta che ha avuto bisogno di fare ricorso a un qualunque servizio sanitario, com’è andata? La seconda domanda varia a seconda del giudizio complessivo espresso dall’intervistato sull’esperienza raccontata in risposta alla prima domanda. Se l’esperienza è giudicata complessivamente “po- sitiva”, la seconda domanda è: Mi può raccontare, invece, un’altra sua esperienza di ricorso a un servizio sanitario, sulla quale ha un giudizio negativo? Se la prima esperienza raccontata è invece giudicata complessi- vamente “negativa”, la seconda domanda è: Mi può raccontare, invece, un’altra sua esperienza di ricorso a un servizio sanitario, sulla quale ha un giudizio positivo? Durante i racconti dell’intervistato, gli intervistatori hanno fatto ulteriori domande specifiche allo scopo di ottenere un racconto il più possibile dettagliato, con particolare attenzione ad alcuni aspet-

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Un'inchiesta svolta da studenti delle scuole secondarie di II grado di Padova

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ACCEDERE AI SERVIZI SANITARI Un’inchiesta svolta da studenti delle scuole secondarie di II grado padovane

Entrato alla mattina e uscito alla sera con la spal-la sistemata. Non ci credevo! (uomo, 46 anni) “Ho aspettato un’ora e mezza” mi fa presente,

con stizza, l’intervistata. (donna, 46 anni)

A. NATURA E SCOPI DEL LAVORO

1. CHE COSA È QUESTA INCHIESTA Oltre centocinquanta ragazzi delle scuole secondarie di II grado

di Padova hanno realizzato altrettante interviste a persone adulte – individuate nell’ambito della famiglia e degli amici di famiglia – sul tema dell’accesso ai servizi sanitari. Ogni intervista è composta da due sole domande. La prima: L’ultima volta che ha avuto bisogno di fare ricorso a un qualunque servizio

sanitario, com’è andata? La seconda domanda varia a seconda del giudizio complessivo

espresso dall’intervistato sull’esperienza raccontata in risposta alla prima domanda. Se l’esperienza è giudicata complessivamente “po-sitiva”, la seconda domanda è: Mi può raccontare, invece, un’altra sua esperienza di ricorso a un servizio

sanitario, sulla quale ha un giudizio negativo? Se la prima esperienza raccontata è invece giudicata complessi-

vamente “negativa”, la seconda domanda è: Mi può raccontare, invece, un’altra sua esperienza di ricorso a un servizio

sanitario, sulla quale ha un giudizio positivo? Durante i racconti dell’intervistato, gli intervistatori hanno fatto

ulteriori domande specifiche allo scopo di ottenere un racconto il più possibile dettagliato, con particolare attenzione ad alcuni aspet-

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ti: i tempi di accesso al servizio (tempi per raggiungere il luogo del-la prestazione; tempi di attesa per ottenere la prestazione; tempi nel corso delle eventuali successive cure); le spese sostenute; il trat-tamento da parte del personale medico (sollecitudine, attenzione, cortesia, professionalità, informazione); la qualità degli ambienti nei quali la prestazione si è svolta; l’efficacia dell’intervento; la na-tura pubblica o privata del servizio; eccetera. Lo scopo dell’inchiesta non era quello di raccogliere opinioni at-

torno alla facilità/difficoltà d’accesso ai servizi sanitari, bensì quel-lo di raccogliere racconti. Inoltre, lo scopo dell’inchiesta non è quello di realizzare una sta-

tistica della soddisfazione/insoddisfazione degli utenti (si sono in-fatti raccolti tanti racconti di esperienze giudicate positive quanti racconti di esperienze giudicate negative), bensì quello di descrive-re alcuni punti critici dell’accesso ai servizi sanitari: quei punti dai quali può dipendere l’impressione di soddisfazione o insoddisfa-zione degli utenti. Infine, va ricordato che la soddisfazione/insoddisfazione degli

utenti non è di per sé indicativa della qualità del servizio dal punto di vista strettamente sanitario. Il valore dell’inchiesta è dunque puramente suggestivo. 2. IL CONTESTO DELL’INCHIESTA E IL SUO SCOPO PEDAGOGICO Le interviste sono state realizzate da studenti delle classi: 3E e 4F

del Liceo Scienfico “Cornaro” (Padova); 1E del Liceo Scientifico “Curiel” (Padova); 2SD dell’I.T.I. Leonardo da Vinci (Padova); 3D e 3F del Liceo Scientifico “G. Galilei” (Caselle di Selvazzano – PD); 2B del Liceo Artistico “Modigliani” (Padova), partecipanti all’edizione 2010 di World Social Agenda. L’edizione 2010 di WSA si inserisce all’interno della programma-

zione pluriennale 2008-2015 di Fondazione Fontana onlus, dedica-ta agli otto “Obiettivi di Sviluppo del Millennio” indicati e appro-vati dalle Nazioni unite. L’annualità 2010 ha come focus il Sesto Obiettivo: “combattere l’Hiv/Aids, la malaria e le altre malattie”. Nel lavoro di WSA con le scuole, l’informazione agli studenti su tale obiettivo fornisce lo spunto per riflessioni più ampie sull’accesso e sul diritto alla salute, sull’analisi dei legami di causa ed effetto che intercorrono tra salute, ambiente, economia e società, e sulle rela-zioni tra salute e diritti umani. Da un punto di vista attuativo, il progetto si rivolge in modo par-

ticolare al mondo della scuola, comprendendo percorsi e laboratori scolastici realizzati con la collaborazione di numerosi soggetti del territorio, informazione e formazione per docenti, seminari, analisi

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e ricerca, momenti artistici, iniziative rivolte alla cittadinanza. Tutte le attività vengono ideate, progettate e realizzate in rete con una molteplicità di soggetti (mondo profit, scolastico e no profit). Si mira a promuovere il protagonismo dei giovani e a condividere e-sperienze concrete e buone pratiche che si sono dimostrate efficaci sia a livello locale che internazionale. All’interno di tale programma, il lavoro d’inchiesta proposto alle

classi delle scuole secondarie di II grado si integra con gli altri in-terventi: lettura di opere narrative e saggistiche; visione di docu-mentari, proposte di particolari realizzazioni per gli istituti ad o-rientamento artistico; lezioni di esperti rivolte al personale docente; fornitura di documentazione. Lo scopo specifico dell’inchiesta è di provocare gli studenti a os-

servare come l’accesso ai servizi sanitari non sia un fatto banale nemmeno qui in Italia, nel nostro territorio. L’informazione mediata su situazioni diverse da quella italiana –

anche smisuratamente diverse – può più agevolmente generare una vera e propria consapevolezza solo se si accompagna a una cono-scenza senza mediazioni, cioè prodotta dagli studenti stessi, della si-tuazione nella quale essi sono immersi.

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B. DALLE INTERVISTE

Nei paragrafi seguenti sono riportati alcuni estratti dalle trascri-

zioni delle interviste, così come prodotte dagli studenti. Come si noterà, alcune di esse sono sintesi in prima persona; altre in terza persona; altre un misto di racconto e di citazioni precise, segnalate con le virgolette, di frasi della persona intervistata. Si tratta in ogni caso di testi che riportano l’esperienza della persona intervistata. Gli estratti sono ordinati tematicamente; le sottolineature permet-

tono di individuare, nel flusso delle narrazioni, le parole chiave re-lative al tema. Si sono distinti – forse un po’ artificiosamente – alcuni temi par-

zialmente sovrapponibili: come ad esempio cortesia e sollecitudine, e sollecitudine e professionalità nei trattamenti. Tali distinzioni hanno, in effetti, solo lo scopo di mettere in evidenza alcuni aspetti di esperienze che gli intervistati raccontano in genere senza distin-zioni. 3. I TEMPI DI ACCESSO AL SERVIZIO 3.1. TEMPI PER RAGGIUNGERE IL LUOGO DELLA PRESTAZIONE Immediatamente la donna si è recata alla farmacia locale per vedere

quale fosse la farmacia di turno più vicina, cioè quella di Palau. Dopo mezz’ora e 22 km di viaggio è giunta alla farmacia di Palau, aperta però solo la mattina. Si è recata allora a Olbia, dove la farmacia era aperta an-che il pomeriggio. Dopo circa un’ora e un quarto la donna è giunta nel centro di Olbia, dove, però c’erano molte farmacie chiuse e nessuno dei passanti era in grado di fornire indicazioni adeguate per giungere alla farmacia giusta. Ricevute le informazioni giuste, grazie a una telefonata alla farmacia e grazie a un passante, è giunta alla farmacia dopo 20 minuti di viaggio. Dopo essersi messa in una breve fila di due persone, è stata servita con l’antibiotico e l’antidolorifico prescritti dalla guardia medica. Il ritorno è durato circa un’ora e 45 minuti per la distanza di 55 km. Arri-vata a casa la donna ha preso l’antidolorifico perché, dopo ormai 4 ore dall’iniezione, era passato completamente l’effetto e il dolore si stava fa-cendo insopportabile. (donna, 41 anni) L’ultima volta che ho avuto bisogno di assistenza medica è stato quan-

do sono caduta sul ghiaccio dieci giorni fa sbattendo la testa. Ero in montagna in un piccolo paesino e quindi per arrivare al pronto soccorso di Bolzano in macchina c’è stato un tragitto che è durato mezz’ora. (uomo, 49 anni)

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A Padova non veniva eseguito un intervento del genere. La paziente

deve essere accompagnata a Bologna dalla figlia, dipendente pubblico che secondo la legge 104 ha diritto a tre giorni di permesso al mese per accudire un familiare invalido. [...] Dopo circa un’ora e un quarto di au-tostrada la paziente riesce a trovare il padiglione dell’ospedale S. Orsola dove deve eseguire l’esame, avendo ricevuto dettagliate istruzioni dai medici curanti. (donna, 69 anni) L’intervistato dice quindi che per riuscire a farsi fare questa risonanza

ha dovuto pagare la cifra di circa 300 Euro e recarsi in una clinica privata a oltre 50 km di distanza dalla città di Padova, perdendo quindi ulteriore tempo per il trasporto fino al luogo dell’esame. (Uomo, 53 anni) 3.2. TEMPI DI ATTESA PER OTTENERE LA PRESTAZIONE Per un anno la signora ha avuto problemi al ginocchio destro ed ha de-

ciso di sottoporsi all’intervento. Grazie all’aiuto di un suo conoscente che lavorava nell’ambito ospedaliero, è riuscita ad abbreviare i tempi di attesa da un anno e mezzo a circa otto-nove mesi. (donna, 52 anni) Allora ho deciso di farmi accompagnare al pronto soccorso di Padova e

dopo quindici minuti di strada siamo arrivati e dopo essere passati per l’accettazione dove mi hanno dato il codice verde, mi sono seduta nella sala d’aspetto colma di gente, circa una cinquantina di persone sempre con il mio codice. Dall’una alle cinque del pomeriggio circa sono rimasta ad aspettare in quel poco accogliente corridoio chiamata stanza di attesa. Finalmente un medico mi chiamò e dopo avermi visitato mi sgridò di-cendomi come mai non fossi arrivata prima. Mi pose in un lettino con la flebo e per altre due ore sono stata dimenticata, però la mia vista miglio-rava. Alle dieci di sera il medico mi ha liquidato dicendomi che potrebbe essersi trattato di un virus e di essermi fatta visitare la mattina seguente dal mio medico di base, ma non si è dimenticato di dirmi di andare a pa-gare il ticket di 36 euro. Nonostante le ore ad aspettare la mia vista era guarita del tutto. In conclusione l’esperienza è stata negativa perché i tempi d’attesa sono stati lunghissimi e i medici di fronte alla mia dispera-zione parlavano di calcio sbagliando perfino il mio nome nel foglio della visita. Quello che però è fondamentale è che sono comunque tornata a casa con la mia vista e tutto è ritornato normale. (donna, 44 anni) Quando sono arrivata ho aspettato pochissimo e dei medici competenti

mi hanno fatto una radiografia alla testa per assicurarsi che non avessi avuto un trauma cranico. Dopo avermi tenuto sotto controllo per qual-che ora mi hanno dimesso, prescrivendomi degli antidolorifici.

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(uomo, 49 anni) Ho chiesto informazioni su di un medico che fosse competente del set-

tore e ottenuto il nominativo ho chiamato lo specialista. Purtroppo i tempi di attesa si prospettavano troppo lunghi, ovvero otto-nove mesi per una visita di livello semi-urgente. Saputo ciò ho richiamato il Cup (centro unico di prenotazione) chiedendo se questo medico ricevesse an-che a livello privato. Mi è stato dato l’indirizzo privato e quando ho chiamato mi è stato detto che l’attesa era di circa una ventina di giorni. Ho fissato l’appuntamento, ma due giorni prima sono stata chiamata dal-la segretaria la quale mi ha avvertito che per il dottore era impossibile vi-sitarmi il giorno stabilito e mi ha posto due opzioni: fare la visita un giorno in cui io già la prima volta avevo detto essere impegnata oppure di fissare un’altra visita che sarebbe slittata a oltre un mese dopo. E quindi mi trovo ora nella situazione di attendere un altro mese per fare questa visita. (donna, 43 anni) 3.3. TEMPI NEL CORSO DELLE EVENTUALI SUCCESSIVE CURE I sanitari erano disperati, non sapevano proprio come agire e cosa fare.

Allora si consultarono con un professore esperto di medicina, e in parti-colare dell’apparato respiratorio che consigliò loro di farmi seguire una terapia specifica; nonostante ciò la febbre persisteva e andai avanti così per molti giorni. Vedendo che questa terapia non aveva alcun effetto, cominciarono a farmi seguire una terapia più forte che consisteva in an-tibiotici, flebo per via orale e per via intramuscolare, e dovevo sottopor-mi a tutto ciò per tutta la durata del giorno. Continuai con quest’ultima per circa dieci giorni e la febbre cominciò ad abbassarsi e io iniziavo a stare un po’ meglio. Stetti comunque in ospedale per altri diciassette giorni, e poi fui dimessa e potei tornare a casa. In ogni modo anche a ca-sa dovetti continuare ad assumere diversi tipi di medicinali per un altro mese e soltanto dopo quattro-cinque mesi cominciai a stare davvero be-ne ed a non avvertire più dolori e faticare per respirare. (….) Il servizio è stato totalmente gratuito, anche se la mia degenza durò per

circa un mese. (Donna, 41 anni ) È stato ricoverato all’ospedale di Bolzano durante il periodo estivo, af-

fermando che le cure ricevute sono state di ottimo livello e che gli hanno permesso di ristabilirsi in un breve periodo (cinque giorni) e l’attesa non è stata eccessiva: sottolinea che arrivato al comprensorio sanitario ha do-vuto attendere poche decine di minuti prima di essere visitato. (dati mancanti) Oramai, dopo due anni, sono capace di mettermi in piedi, con una pro-

tesi, e ho cessato ogni medicazione. (uomo, 46 anni)

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4. LE SPESE SOSTENUTE Ogni anno devono essere ripetuti degli esami di routine come la riso-

nanza magnetica (120 euro ), la TAC (120 euro) e gli esami del sangue (2/3 ricette da 70 euro l’una). Il servizio sanitario paga il costo del medi-cinale per la cura che è circa di 800 euro a flebo e nel nostro caso ne so-no usate cinque a seduta. L’esperienza è risultata complessivamente posi-tiva per l’alta specializzazione riscontrata nel reparto e nel personale. (donna, 44 anni) Oggi sono tornato alla mia vita di sempre. L’inconveniente più impor-

tante al momento e` il fatto di non poter guidare un’auto normale. Tutte le spese che ho dovuto affrontare: di medicazione a domicilio, di traspor-to in ambulanza, di visite private al Centro Protesi, e, non ultimo, l’enorme costo della protesi sono state significative. L’Ulss concede sol-tanto le spese sufficienti a garantire la minima ambulazione. (uomo, 46 anni) La donna rimase altri tre giorni all’ospedale dopo il parto, dove le ven-

nero dati dei consigli sull’allattamento e sulla cura della bambina, quindi fu dimessa dall’ospedale e tornò a casa con la bambina. L’unica spesa da lei sostenuta fu l’acquisto di alcuni integratori per l’alimentazione. (donna, 48 anni) L’intervistata non ha dovuto pagare né l’intervento, né i farmaci pre-

scritti per la circolazione del sangue; non le è stato richiesto alcun ticket neppure al primo controllo medico. (donna, 18 anni) “Un tubetto piccolissimo mi è costato 15 euro, soldi buttati via visto

che alla fine non ha avuto nessun risultato seguire la cura”. (donna, 42 anni) L’intervento era finalizzato alla ricostruzione totale dei legamenti, il co-

sto di questa operazione, compresa la riabilitazione e le varie visite am-montò a 1300 euro circa. (donna, 28 anni) L’ultima volta che sono stata all’ospedale è stato circa un anno fa quan-

do mi hanno amputato un dito al piede, non sono per niente contenta degli ospedali: nelle piccole città, c’è poca igiene, il personale, se non gli dai dei soldi in mano, tratta i pazienti come degli animali! Ti mandano da un dottore all’altro all’infinito, i letti sono scomodi, ti devi portare la biancheria, i piatti, le posate ecc. da casa, e non ci sono neanche i servizi adeguati, per non parlare del cibo che non è dei migliori, anzi... (donna, 80 anni; l’episodio narrato è avvenuto nel paese d’origine,

Moldavia)

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La donna, quand’era giovane, ha vissuto in America per qualche anno.

[...] Anche in America è stata un’esperienza molto positiva, e le cure e le attenzioni furono uguali in entrambi i casi. L’unica grande differenza ri-spetto all’Italia fu che appena arrivò in pronto soccorso, non le chiesero come si sentisse, ma se avesse un’assicurazione sanitaria per essere visita-ta, altrimenti l’avrebbero fatta tornare a casa, senza alcuna cura. (donna, 45 anni) 5. IL TRATTAMENTO 5.1 ACCESSIBILITÀ Nel 1945 sono stata operata d’urgenza per l’appendicite uscendo dalla

sala operatoria a causa di una disattenzione degli infermieri per una cor-rente d’aria si sono aperte delle finestre. Io dopo due giorni mi sono ammalata di broncopolmonite, di conseguenza la ferita dell’operazione si è riaperta. Sono stata dimessa non guarita del tutto e ogni due giorni do-vevo tornare in ospedale, trasportata su un carretto trainato da un asino, per medicazioni. Oltretutto, i miei genitori hanno dovuto pagare una ci-fra di 20.000 lire. (donna, 80 anni) Non ha dovuto aspettare molto per l’operazione grazie all’aiuto del fra-

tello che conosceva il dottore. (donna, 78 anni) La prontezza con cui è stato sottoposto agli accertamenti è dovuta so-

prattutto al fatto che il figlio [medico a sua volta] conosceva il “capo del pronto soccorso”. (uomo, 86 anni) Nella sua stanza era ricoverata la madre di un’infermiera ed ha così po-

tuto constatare come il personale rivolgesse una particolare attenzione a questa signora, magari a scapito di qualche altro paziente. (donna, 18 anni) Padova comunque è diventata come una catena di montaggio poi però,

appoggiandosi alle persone che si conoscono nell’ambito della patologia sei seguita come persona abbastanza bene. (donna, 49 anni) Io arrivo direttamente in reparto dove devo fare la terapia e lì c’è

l’infermiera; l’infermiera mi dà una ricetta, che me la fa il mio medico che mi cura, il mio neurologo che mi cura di volta in volta; per cui ogni volta che io devo andare a fare terapia vado di sopra, vado dal caporeparto, mi da una ricetta, vado giù allo sportello dell’accettazione dove ci sono tutte le persone che devono fare qualsiasi tipo di esame o terapia, lì aprono la

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mia cartella a livello di inserimento dei miei dati al computer, mi danno un foglietto di carta con il quale devo andare a pagare il ticket, prendo il mio foglietto di carta mi reco alla macchinetta per pagare il ticket che è in un’altra stanza per cui farò quindici metri per cui mi sposto da quel luogo là e vado alla macchinetta, pago il ticket, la macchinetta mi dà due fo-glietti di ritorno (le ricevute), ritorno allo sportello, una la devo dare a lo-ro che è l’attestazione che ho pagato, l’altra la tengo io perché potrei an-che detrarla, con quel ticket loro inseriscono che ho pagato pertanto mi danno un foglio vidimato che è in pratica la ricetta con cui io sono anda-ta allo sportello vidimata con l’atto di pagamento e la devo portare in re-parto per cominciare la terapia. (donna, 44 anni) La sala d’attesa è pessima: è presente solo uno sportello aperto, che pe-

raltro rimane vuoto per la maggior parte del tempo. Inoltre la stanza non è molto grande, ci sono solo cinque file di sedie tutte disposte in direzio-ne di una porta attraverso cui un paziente dopo l’altro viene fatto passa-re. Non ci sono poi, elementi di distrazione come televisore o giornali da leggere, l’unica cosa che i pazienti possono fare è fissare la porta che si apre e si chiude aspettando con molta, molta pazienza il proprio turno. Nella sala d’attesa poi sono presenti vari pazienti, in condizioni alcuni più altri meno gravi, tra cui alcuni sanguinanti. P. si trova in una situazione di grande sconforto, queste le sue parole: “Mi sono sentita come abbando-nata... Non c’era nessuna assistenza e io poi sono stata anche fortunata: c’erano addirittura persone sanguinanti che non ricevevano alcun aiuto”. Dopo un lungo tempo di attesa, viene fatta entrare. (donna, 45 anni) Una volta ritornata a casa dei terapisti sono venuti a domicilio per aiu-

tarmi a riprendere a camminare e questo è un servizio molto utile orga-nizzato dall’Ulss 16. Infatti se non fossero venuti i fisioterapisti non avrei ripreso a camminare in poche settimane ma avrei rischiato di stare per sempre seduta in una carrozzella. Inoltre muovendomi poco avrei anche rischiato di avere problemi di circolazione e di infezioni. (donna, 82 anni) 5.2 SOLLECITUDINE La mattina seguente il figlio, allarmato poiché non riceveva notizie tele-

foniche dal padre F., si è recato presso l’abitazione dell’anziano genitore. Dopo averlo visto carponi a terra, ha chiamato subito l’ambulanza e gli ha fatto bere dell’acqua. Passati pochi minuti è arrivata l’ambulanza (l’ospedale dista pochi chilometri dall’abitazione dell’intervistato) che, dopo aver escluso gravi contusioni o fratture, lo ha sollevato, disteso su una barella e trasportato in ospedale. Appena arrivato nel nosocomio F. è stato sottoposto ad una serie di controlli ed accertamenti durati com-plessivamente dieci ore quali: elettrocardiogramma, radiografie alle spalle e al torace, tac e una serie di esami del sangue (Smac). [...] I medici che lo

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hanno assistito e visitato in un primo momento erano giovani dopodiché sono intervenuti medici con maggiore esperienza. Si sottolinea l’ottima preparazione e accoglienza dei medici a prescindere dall’età. [...] Gli in-fermieri erano attenti nei riguardi del paziente: spesso chiedevano se ne-cessitava di qualcosa da bere o se desiderasse passeggiare per il corridoio. (uomo, 86 anni) L’accettazione è mediocre. Durante il travaglio (particolarmente lungo,

sta circa ventiquattr’ore in ospedale) non è quasi assistita, essendo il pri-mo figlio avrebbe preferito molta più assistenza, o “semplicemente un’accoglienza migliore”. La stanza in cui alloggia ospita all’incirca altre otto donne, è sempre affollata e rumorosa (è difficile, quasi impossibile dormirvi) per le visite dei parenti, “mai per presenza di medici o di gente che pulisce”, i bagni sono lontani, e in comune, “dovevo passare tutti i bagni, e aspettare che il più pulito, o meglio l’unico decente, fosse libe-ro”. I tirocinanti sono onnipresenti, tanto che la loro presenza, in parec-chi momenti prima, dopo, e durante il parto, è “imbarazzante” (“Uno stuolo di tirocinanti che si rende quasi un pubblico nei momenti più im-barazzanti”). L’infermiera che la prepara al parto è brusca, “sbrigativa come tutti”, burbera, non disponibile; gli infermieri, anche nei momenti in cui si ha reale necessità del loro aiuto, si rivelano assenti, o in ritardo. Il problema di in definitiva tutto il personale non è solo la mancanza di tatto, sensibilità e disponibilità, ma l’incompetenza. (donna, 47 anni) Per l’operazione è stata ricoverata quattro giorni in ospedale ed è stata

seguita per intero dal professor S., dottore di cinquant’anni circa, molto preparato e umano. A. è rimasta molto colpita dal rapporto che questo creava con i pazienti e dal suo interesse verso questi ultimi. [...] Dopo l’operazione è stata trattenuta qualche giorno in ospedale dove si è trova-ta benissimo e dove passavano ogni giorno a controllare come stava e cosa mangiava. (donna, 78 anni) F., circa otto anni fa, si trovava nel suo paese d’origine. Mentre era a

pranzo a casa del figlio A., ad un certo punto sentì una mancanza d’aria che si faceva sempre più crescente. [...] F. è un soggetto asmatico e il fi-glio intuì un possibile attacco d’asma. Dal momento che in casa non vi erano medicinali, immediatamente il figlio abbandonò la tavola e con la macchina si diresse con il padre, che a stento riusciva a camminare, all’ospedale del paese. [...] Una volta arrivati e accolti poco cordialmente da un’infermiera (si comportava in modo sbrigativo “come se avesse al-tro da fare”), nonostante l’aspetto dell’anziano evidenziasse uno stato di grave sofferenza respiratoria, furono accantonati “in un angolo” della sa-la d’aspetto insieme ad altre persone con problemi sicuramente di minor gravità del suo. Dopo dieci minuti di attesa le condizioni del paziente peggiorarono (emetteva sibili dalla bocca e tossiva) cosicché il figlio, pre-occupato, fu costretto a incalzare l’infermiera affinché il padre venisse visitato velocemente. Dopo cinque minuti fu finalmente visitato da un

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medico che gli somministrò del cortisone e degli antibiotici. Oltre che alla superficialità e maleducazione della prima infermiera, anche il medico si dimostrò poco interessato alle condizioni del paziente che fu lasciato solo col figlio in una stanza per ore. Solo in seguito ad una seconda sol-lecitazione del figlio il padre fu visitato nuovamente e dimesso dalla struttura ospedaliera. Il medico prescrisse a F. una cura antibiotica e lo dimise dall’ospedale senza fornirgli delle indicazioni su come comportar-si nelle ore successive. (uomo, 86 anni) G. ha raccontato di un incidente accaduto un anno fa alla guida di uno

scooter. Mentre faceva una semplice rotonda a bassa velocità, con la pre-cedenza perché si era già immesso, una macchina l’ha fatto cadere. L’impatto non è stato molto forte, ma gli ha causato nei giorni successivi un ancor più accentuato mal di schiena. A quel punto, avuto il certificato dal medico di base, l’infortunistica stradale che si è presa l’incarico, l’ha mandato a visitare presso uno studio di riabilitazione di fisioterapia e ki-nesiterapia, lontano pochi chilometri dall’abitazione. Il fisiatra, dopo a-verlo visitato gli ha fissato subito delle sedute di fisioterapia e tens la set-timana seguente. Precisamente tre sedute a settimana per un mese in questo centro dove non c’erano ritardi o problemi d’orario, ben allestito e con dei fisioterapisti molto simpatici, organizzati ed efficienti. Finito il primo mese il fisiatra l’ha visitato ancora e gli ha consigliato di continuare per un altro mese. Il paziente è stato molto contento dei trattamenti e ha più volte ripetuto che da quella volta ha molti meno dolori alla schiena. (uomo, 48 anni) Un altro episodio negativo è stato quando il paziente si è dovuto rivol-

gere ad un altro reparto per una particolare terapia (che consisteva nell’ “immobilizzazione delle cellule staminali”) perché la struttura che lo se-guiva non disponeva delle attrezzature necessarie. In questo nuovo reparto il servizio è stato poco mirato e ha dato al pa-

ziente l’impressione di sentirsi solo. Infatti si sono verificati ripetuti ritardi, il personale medico che seguiva

l’intervistato era sempre diverso (e bisognava quindi esporre ad ogni nuovo dottore il proprio percorso clinico, con il rischio di saltare partico-lari importanti) e lo stesso paziente riceveva poche informazioni riguardo la sua cura. (uomo, 47 anni) 5.3 CORTESIA La mia è stata una esperienza piena di sofferenza, in cui ho incontrato

diversi medici, infermiere e dipendenti ospedalieri ciascuno dei quali ave-va un rapporto umano diverso. (uomo, 25 anni)

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Le persone che avevano preso in cura la signora erano giovani specia-lizzandi, ma molto competenti, disponibili, gentili e rispettosi. (donna, 48 anni) In conclusione, D. è stata molto rassicurata sia dall’attenzione e dalla

premura di tutti i suoi medici, che si sono occupati di lei con “efficienza e impegno, quasi con troppa premura”, sia dell’intero ospedale che le è sembrato fornito dei necessari strumenti e con tempi accettabili. (donna, 35 anni) Il chirurgo mi guardò e capii che ormai non c’era più niente da fare. Da

lì a poco mio padre entrò in coma e fu trasferito in sala rianimazione. Il chirurgo venne spesso a visitarlo e nel suo sguardo vedevo che era di-spiaciuto. (donna, dati mancanti) Visita al pronto soccorso, preceduta da visita al medico di base, per

colpo alla mano finché taglia la legna. [...] Il medico è gentile, conosciuto e professionale, decisamente competente; preferisce mandarlo al pronto soccorso, attuate alcune verifiche e domandata anche l’opinione del pa-ziente. Per quanto riguarda l’accettazione ospedaliera, F. non si ritiene assolutamente soddisfatto: chi lo accoglie è impegnato, va e viene dallo sportello, si dimostra antipatico ed estremamente aperto alla conversa-zione con una sola famiglia, di un paziente appena arrivato, “perdendovi tempo”. Gli viene assegnato un codice bianco, nonostante la mano sem-bri continuare a gonfiarsi, e il dolore non sia sottovalutabile. La pulizia dei locali non è sufficiente, non sono né spaziosi, né confortevoli, ma ci si può stare. I medici da cui è stato successivamente curato si sono, al contrario del personale dell’accettazione, dimostrati gentili e decisamente professionali: F. non ne saprebbe valutare la competenza, dal momento che le cure erano tutto sommato semplici, a suo avviso (una radiografia ed una fasciatura “con stecche”). [...] La sua opinione è che con poco l’accettazione può migliorare di molto, quanto a gentilezza, disponibilità ed impegno, e la pulizia dei locali è “qualcosa di risaputo”, a cui ci si “rassegna anche, ed ultimamente è migliorata...si fa per dire”, a patto che i tempi di attesa non siano lunghi. (uomo, 53 anni) Un episodio positivo si è verificato di recente e riguarda le cure medi-

che di mia madre che ha una serie patologie, tra cui una cardiaca abba-stanza grave. [...] Circa due mesi fa, ha avuto un’altra ricaduta. [...] Dopo alcune ore di visite ed esami i dottori mi hanno chiamata e mi hanno e-sposto la situazione in modo chiaro e dettagliato, spiegandomi i loro dubbi e le loro perplessità e chiedendomi il consenso per il ricovero di mia madre. Sarebbe stato possibile anche portarla a casa ma non ci sa-rebbe stata un’infermiera sempre a disposizione in caso di bisogno. Così fu portata nel reparto geriatrico, verso il quale avevo molti pregiudizi a causa di mie precedenti esperienze poco piacevoli. Tuttavia al nostro ar-rivo trovammo un reparto rinnovato e molto funzionante. La situazione

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mi fu spiegata da un gruppo di medici specializzandi guidati dal primario, erano ragazze e ragazzi molto interessati e disponibili che hanno fatto un lavoro ottimo che mi ha meravigliata in quanto le mie precedenti espe-rienze in quel reparto erano molto negative. Si sono interessati alla situa-zione di mia madre chiedendo come e quando fosse iniziata e hanno poi analizzato la patologia sotto diversi aspetti. Hanno insistito per fare ulte-riori esami e hanno seguito tutti i giorni mia madre, sempre con modi molto gentili e disponibili e con una grande sensibilità verso l’essere u-mano. Mia madre è stata oltretutto inserita in una specie di schedario, attraverso il quale i medici stessi chiamano il paziente per fare accerta-menti o per assicurarsi dello stato di salute del paziente, senza richiedere una prenotazione da parte di quest’ultimo. Questa disponibilità e questa efficienza mi hanno molto sorpreso e ritengo questa un’esperienza molto positiva. (donna, 43 anni) 5.4 PROFESSIONALITÀ Ci hanno spiegato in seguito, che la complicazione di mia figlia era un

caso molto raro, a loro non era mai capitato prima, ma l’avevano letto nei libri. Per me sono stati bravissimi. (dati mancanti) Era il 1957 quando ho scoperto di essere nuovamente incinta: nuova-

mente perché era già la terza volta, ma i bambini nella mia pancia non avevano mai superato il terzo mese. Allora sono andata da un medico specializzato che mi ha aiutata con esami, cure e medicine ma senza nes-sun tipo di operazione, che sarebbe stata la cosa più normale in quel ca-so. Il medico era molto esperto e cortese e proprio grazie a lui sono riu-scita a partorire. (donna, 78 anni) Una mattina, mi sono svegliata e scendendo dal letto sono caduta; for-

tunatamente mio figlio mi ha sentito chiamare aiuto ed è venuto ad aiu-tarmi. Dopo essere andata al pronto soccorso, mi hanno mandata in ra-diologia, dove hanno detto che mi ero rotta un legamento del ginocchio. In ospedale, mi hanno fasciata appunto il ginocchio, anche se io conti-nuavo a protestare perché in realtà mi faceva male il femore. Fortunata-mente, l’assistente del medico che mi fasciava ha voluto darmi ascolto e mi ha fatto tornare in radiologia dove dopo avermi fatto un’altra serie di raggi, si sono accorti che oltre il ginocchio, c’era anche il femore, che come supponevo io, era rotto. Io ritengo questa esperienza negativa principalmente per due motivi, il primo perché in radiologia non hanno svolto il loro lavoro con cura, ed il secondo perché il medico che mi ha fasciato il ginocchio mi ha trattato male, mi considerava come una “vec-chia” insistente e lamentosa. (donna, 81 anni)

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La persona intervistata ha avuto bisogno di accedere al servizio sanita-rio per curare una “neoplasia (tumore) maligna” (“linfoma”). La terapia è durata circa tre anni. L’inizio è stato nell’aprile 2002, mentre la fine a marzo 2005; inoltre la persona si sottopone tutt’oggi a controlli periodici. Durante i cicli di terapia, tenuti presso la struttura ospedaliera day hospi-

tal, in generale la persona intervistata è venuta a contatto con personale medico e infermieristico estremamente cortese e preparato che prestava particolare attenzione ai pazienti; inoltre la terapia è stata caratterizzata dalla puntualità e dalla precisione nelle cure e negli esami da svolgere (controlli periodici e urgenti del sangue, Tac, analisi dell’intestino tenue, ecografie addominali), a tal punto che quando il paziente era in ritardo per la cura, il personale provvedeva a contattarlo per conoscere eventuali problemi. Un episodio particolarmente positivo è stata la prima seduta di chemio-

terapia. Questa seduta è stata lungamente preparata dal personale con un colloquio preventivo, al quale ha potuto assistere anche la moglie dell’intervistato, che è servito anche per informare il paziente sui rischi e sugli effetti collaterali che la terapia stessa poteva comportare. [...] La cura alla quale l’intervistato è stato sottoposto si è rivelata efficace e

i protocolli di terapia eseguiti hanno comportato la remissione completa del male. [...] (uomo, 47 anni) A., subito accidentalmente un trauma a un piede, non passando il dolo-

re nell’arco di cinque-sei giorni, si reca dal medico di base T.. [...] Il medi-co di base decide di mandare la paziente da un ortopedico O. di una struttura pubblica, il quale ricevutala dopo cinque-sei giorni dalla preno-tazione (due-tre per la lastra più altri tre di attesa) procede a fare la visita, spiegando la situazione alla paziente e prescrivendole una fasciatura in una struttura pubblica. [...] La paziente A. per decisione autonoma decide di non recarsi all’ospedale pubblico; si reca invece dal medico di base T. a distanza di uno-due giorni per fare il punto della situazione e avere un consulto: egli, concordando con la paziente, si dichiara stupito di come si siano svolte le cose in quanto l’ortopedico, specialista del trauma in que-stione, avrebbe dovuto procedere effettuando una fasciatura e prescri-vendo eventuali antidolorifici, e non rimandando A. ad una struttura con un minor grado di specializzazione. L’esperienza è stata giudicata dalla paziente in maniera generalmente negativa, a questo giudizio hanno con-corso più motivazioni. E’ stato anomalo, a parere della paziente, il fatto che il medico di base abbia deciso di non visitare la stessa rimandandola un po’ alla cieca da un altro medico, il quale a sua volta non ha procedu-to a fare nulla di effettivo se non illustrare, dettagliatamente, la situazione di A.; in sostanza la paziente ha constatato una mancata presa di respon-sabilità da parte dei singoli medici. (donna, 57 anni) F. si riferisce all’enorme divario che secondo lui c’è stato tra le cure ri-

cevute in sala operatoria, durante l’intervento vero e proprio, quindi, e tutto il decorso successivo. Per quanto riguarda l’operazione egli si è tro-

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vato a suo agio con il personale, competente, gentile, giovane (sulla qua-rantina) e professionale, per tutto il periodo di ricovero (cinque giorni) e di recupero (visite e cure specifiche ogni quattro giorni, per un mese) po-co o per nulla seguito, è trattato sgarbatamente, e per due settimane, du-rante le visite accordate, i medici non hanno le medicine che gli devono somministrare con particolari metodi. (uomo, 53 anni) La signora in questione nella primavera del 1963 aveva circa 39 anni ed

era stata ricoverata per una semplice appendicite, ma presentava anche altri sintomi non correlati all’appendicite che i medici inizialmente igno-rarono. Ventiquattr’ore prima dell’intervento la signora viene preparata all’operazione da un’infermiera molto giovane e non dalla suora respon-sabile del reparto (l’ospedale era gestito da suore, per la parte di assisten-za infermieristica, e ovviamente da medici per la parte sanitaria). Durante la preparazione all’intervento l’infermiera non si cura se la pa-

ziente aveva evacuato in modo corretto oppure no; per questo intervento l’intestino della paziente doveva essere totalmente svuotato altrimenti c’era il rischio di infezioni. Non accorgendosi di questo errore, la pazien-te viene portata in sala operatoria ed eseguito l’intervento. Al rientro della Signora in camera viene nuovamente svolta la stessa

procedura avvenuta prima dell’entrata in sala operatoria (quindi si ripete il clistere). A questo punto la paziente collassa perché aveva evacuato molto di più di quello che avrebbe dovuto, cogliendo alla sprovvista l’infermiera che prontamente chiama la suora responsabile del reparto che, in preda al panico, incomincia ad entrare e uscire dalla stanza. La paziente prima di perdere totalmente i sensi chiede un dottore; la suora lì per lì non lo chiama, ma per fortuna un medico di turno passava per i corridoi e insospettito dal via vai di suore e infermiere giunge davanti la porta dalla camera. Il medico accortosi dell’errore si affretta a dare una mano alla suora e

all’infermiera per rianimare la paziente. Dopo numerevoli sforzi e tenta-tivi, numerosi farmaci e iniezioni per il cuore la signora si sveglia. Per fortuna il collasso non aveva provocato alcun danno permanente o sem-plicemente superficiale agli organi interni; mentre l’intervento con l’intestino non del tutto vuoto non provocò alcun danno o infezione. Dopo circa una settimana la signora viene dimessa dall’ospedale appa-

rentemente illesa fisicamente ma comunque molto provata a livello psi-chico. (donna, 86 anni) 5.6 INFORMAZIONE Prima dell’intervento è stata adeguatamente informata di come questo

si sarebbe svolto. (donna, 18 anni)

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Dopo alcune ore di visite ed esami i dottori mi hanno chiamata e mi hanno esposto la situazione in modo chiaro e dettagliato, spiegandomi i loro dubbi e le loro perplessità e chiedendomi il consenso per il ricovero di mia madre. (donna, 43 anni) Così la mattina del 21 dicembre due infermiere hanno l’ordine di spo-

stare S. in una camera in isolamento; S. protesta, vuole sapere le motiva-zioni, le infermiere chiamano la caposala e si apre un dibattito conclusosi con un: “Non faccia il bambino viziato, noi sappiamo quello che faccia-mo”. Punto. (uomo, 40 anni) Il problema riguardava prevalentemente l’atteggiamento dei chirurghi

nei confronti del paziente poiché hanno dimostrato uno scarso interesse della salute dello stesso e una mancanza di volontà nell’informare il pa-ziente delle procedure che intendevano intraprendere; infatti l’intervento era stato descritto come molto leggero e si è rivelato invece molto più problematico e impegnativo. Scarso interesse è stato dimostrato nel post-operatorio nel quale l’intervistato ha ricevuto poche attenzioni. (uomo, 49 anni) Ho imparato che bisogna fare maggiori domande sulla propria situa-

zione e cure poiché accade che i medici sperimentano sulla tua pelle i nuovi medicinali a discapito del paziente! (uomo, 25 anni) Intervistata una donna nata nel 1962, racconta del suo primo parto av-

venuto nel 1988. Racconta che alle cinque del pomeriggio del 1° giugno si era recata al pronto soccorso, perché avvertiva le contrazioni del pre-parto. Accompagnata dal marito in auto, in quindici minuti arriva e si re-ca al reparto di ostetricia dove viene subito visitata da un medico gineco-logo, il quale le dice che non è ancora giunto il momento del parto e le contrazioni erano quelle preparatorie, quindi la donna tornò a casa tran-quillamente. Una volta arrivata a casa, i dolori si ripresentarono periodicamente; con

l’avvicinarsi della notte si intensificarono e durarono fino al mattino. Non sapeva se ritornare al pronto soccorso dopo quello che il medico le aveva detto. Durante il giorno ebbe sempre forti dolori e alle cinque del pomeriggio del 2 giugno chiama il marito e si fa accompagnare di nuovo al pronto soccorso. (donna, 51 anni) 6. LA QUALITÀ DEGLI AMBIENTI La struttura era molto bella e pulita, munita di ogni freccia e di ogni in-

dicazione per orientarsi al meglio, la sala d’attesa era accogliente e como-da e un personale capace l’ha fatta attendere solo quindici minuti.

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(donna, 45 anni) Il locale non è il massimo, ma dignitoso, certo, dice M., “quando ci so-

no malattie in giro lì se le devono prendere tutti, il posto è piccolissimo, tanto che se un paziente tossisce dall’altro lato della stanza, ti ammali si-curo”. Sorprendentemente puliti i bagni. (donna, 47 anni) Le poltrone erano imbottite, c’erano i quotidiani, i bagni pulitissimi,

sufficienti in numero. Salviette di ogni tipo, “il livello di comfort davvero alto” quindi, il posto luminosissimo e gli spazi ampi. (donna, 47 anni) La stanza in cui alloggia ospita all’incirca altre 8 donne, è sempre affol-

lata e rumorosa (è difficile, quasi impossibile dormirvi) per le visite dei parenti, “mai per presenza di medici o di gente che pulisce”, i bagni sono lontani, e in comune, “dovevo passare tutti i bagni, e aspettare che il più pulito, o meglio l’unico decente, fosse libero”. (donna, 47 anni) L’ambiente ospedaliero era molto pulito, ordinato e “disinfestato”. Gli

infermieri erano attenti nei riguardi del paziente: spesso chiedevano se necessitava di qualcosa da bere o se desiderasse passeggiare per il corri-doio. Anche il cibo era di buona qualità e si poteva scegliere tra vari me-nù. (uomo, 86 anni) Dopo la trafila burocratica, il reparto costruito recentemente ha delle

camere di circa sedici metri quadri, pulite, tenute in ordine, arieggiate, ben riscaldate, ogni sedia con il suo pulsante di allarme, con un bagno per camera. In ogni camera ci sono circa tre letti per i pazienti che hanno un ciclo di terapia più lungo (circa cinque o sei ore) e due posti seduti per i pazienti che non sono debilitati al punto di affrontare una terapia lunga. Mi viene fatto notare che le sedie non sono molto comode anche se so-no imbottite. (donna, 44 anni) “Ogni volta era pieno di gente stipata in un ambiente vecchio, sporco e

disagiato; gli infermieri erano sgradevoli e la gente si lamentava delle lun-ghe attese”. Mi precisò che l’ospedale non era ancora stato ristrutturato, le scomode sedie rendevano l’attesa snervante e insopportabile. (donna, 46 anni) Comunque, era il periodo in cui Rosy Bindi aveva effettuato dei tagli al-

la sanità, così ci siamo ritrovati con i due reparti di nefrologia uniti in uno spazio limitato in cui persino i bagni erano in comune per uomini e don-ne. Dopo qualche tempo che ero ricoverata, con la scusa che erano arri-vate le “nuove”, ovvero le ragazze appena ricoverate, mi hanno fatta dormire nel corridoio.

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(donna, 43 anni) Fortunatamente mancavano due mesi al mio sedicesimo compleanno,

mi son trovato nel reparto pediatrico, camera singola, televisione… (uomo, 20 anni) “L’ambiente [l’ambulatorio del medico di vase] devo dire che era pro-

prio pessimo e poco curato. Non tanto per la pulizia, perché era tutto molto pulito. Più che altro per il fatto che c’era un disordine tremendo. Era tutto buttato sopra alla scrivania, traboccava di carte. C’era un picco-lo lavandino sulla sinistra e qualche strumento medico buttato qua e là poiché non vi era nessun armadietto. C’era il lettino su cui bisognava sdraiarsi e basta. Davvero mi è sembrato di stare in una stanza di un ra-gazzino con tutto quel disordine che c’era!” (donna, 42 anni) 7. L’EFFICACIA DELL’INTERVENTO L’operazione era stata una prima volta compromessa e rinviata per mal-

funzionamento delle attrezzature, ed assenti sono invece le strumenta-zioni per le cure riabilitative, addirittura alcuni periodi presenti in deter-minati posti, per altri periodi in altri (a volte a distanze considerevoli). A parte tutti i disagi, le cure di recupero sono comunque attuate in modo eccessivamente sbrigativo e non rigoroso. Non si capacita del fatto che medici bravi come quelli che l’hanno seguito non abbiano strumentazioni efficienti, o almeno funzionanti; ed invece il personale collaterale ai me-dici curanti (inservienti, infermieri...) non svolgano bene il loro lavoro, lasciando l’ospedale sporco (“pulizia a dir poco inesistente, quella vol-ta...”) e disorganizzato. (uomo, 53 anni) Dopo un ora di attesa i medici e l’ortopedico (un altro) decidono che

bisogna operare,e quindi viene ricoverata in ortopedia. Si possono fare 2 operazioni ma devono decidere quale e ormai era troppo tardi quindi ri-mandano l’operazione al giorno dopo. La ragazza ha il permesso di tor-nare a casa per la notte ma il giorno seguente sarebbe dovuta tornare. Al-le sette di mattina del venerdì era tornata nel reparto di ortopedia. L’hanno chiamata per l’operazione per le cinque o forse le sei del pome-riggio. Esce dalla sala verso le otto e mezza e deve rimanere in stato di osservazione per una notte, infatti il giorno seguente a mezzo giorno può già tornare a casa. Il 3 novembre la richiamano per toglierle il gesso e i punti mentre una settimana prima circa aveva fatto un controllo ,una vi-sita più medicazione. Ovviamente i medici le hanno detto di stare attenta per i primi tempi e di non sforzare troppo la mano. Dopo 3 mesi sono rimasti danni estetici e presenta spesso dolori anche solo a toccarla. In-somma un’esperienza non molto positiva. Giudizio complessivo: si a-spettava più competenza e attenzione da parte dei medici. Se nessuno si

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accorgeva di nulla avrebbe perso l’uso corretto del dito, ma questo è un caso minore. Perché errori simili possono costare anche delle vite. (donna, 23 anni) La visita era finalizzata a cicatrizzare la narice sinistra. Il dottore che

operava in quel momento ha sbagliato narice ed ha cicatrizzato la narice destra. (donna, 85 anni) “La visita, la chiamo così anche se penso sia una parola troppo grande

per definire un occhiata di cinque secondi, è stata brevissima. Il medico mi ha fatto sedere su una sedia, mi ha fatto togliere le scarpe e i calzini e mi ha guardato stando in piedi senza nemmeno toccare per capire com’era la situazione. Mi ha prescritto un antibiotico e una pomata, soliti unguenti, e se non mi passava mi ha consigliato di provare ad andare dall’estetista. In pratica ho dovuto aspettare due ore e mezza per fare una visita che è durata al massimo 5 minuti”. [...] “Sono andata dal farmaci-sta. Ho preso tutto. Ho pagato venti euro. Ho cominciato la cura, since-ramente non è che pensavo che con quel metodo sarei guarita e difatti dopo una settimana, il tempo della cura prescritta dal dottore, la situa-zione era sempre la stessa: dolore e gonfiore”. (donna, 42 anni) L’intervento al femore era riuscito perfettamente però ho rischiato di

avere altri problemi a causa della perdita di sangue provocata dalla frattu-ra e dall’intervento chirurgico. Avrei avuto bisogno di una trasfusione urgente che invece è stata ritardata per cui quella notte non avevo abba-stanza globuli rossi e quindi abbastanza ossigeno nel sangue e respiravo male. Il giorno seguente all’intervento sono stata trasferita in un reparto di medicina dove mi hanno fatto la trasfusione, mi hanno dato ossigeno e quindi sono stata subito meglio. L’esperienza inizialmente non è stata positiva e non ho un bel ricordo di quella notte nonostante mio marito ed i miei figli mi siano stati sempre vicini.” (donna, 82 anni) Inoltre la terapia è stata caratterizzata dalla puntualità e dalla precisione

nelle cure e negli esami da svolgere (controlli periodici e urgenti del san-gue, TAC, analisi dell’intestino tenue, ecografie addominali), a tal punto che quando il paziente era in ritardo per la cura, il personale provvedeva a contattarlo per conoscere eventuali problemi. La cura alla quale l’intervistato è stato sottoposto si è rivelata efficace e i protocolli di tera-pia eseguiti hanno comportato la remissione completa del male. (uomo, 47 anni) Dopo due giorni hanno scoperto un’infezione da Pseudomonas con-

tratta all’ospedale stesso e sono stato trasferito in una stanza singola per evitare la trasmissione ad altri pazienti. Dopo dieci giorni di cura intensi-va, sette trasfusioni di sangue e terapia iperbarica, sono state rilevate altre infezioni arrugginose, risultato di una scorretta medicazione in quanto

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non c’è un’idonea procedura di prevenzione da paziente a paziente. È stato sprecato molto tempo a causa di trasferimenti da un reparto e all’altro. Infatti, sono stato trasferito dall’Ortopedia alla Chirurgia Plastica per la ricostruzione dell’epidermide danneggiata. Qui ho subito vari in-terventi chirurgici, durante uno dei quali mi è stata somministrata un’anestesia epidurale da una specializzanda, la quale ha sbagliato punto di applicazione facendo addormentare la gamba sana! Questo errore è stato scoperto nel momento in cui l’intervento stava per iniziare, quando i medici si sono accorti che la gamba ferita aveva ancora sensibilità. Così mi hanno dovuto somministrare un’anestesia totale per poter procedere con l’intervento poiché era troppo tardi per ripetere quella locale che non avrebbe agito in tempo. A questo punto erano passati cinque mesi dall’incidente. Dopo essere stato trasferito nuovamente in Ortopedia, hanno praticato un trasporto osseo prelevando una parte di osso dall’anca da inserire nel luogo di frattura in modo di fare da ponte nella zona di ossa perdute. Ciò non è stato efficace, come hanno scoperto i medici dopo tre mesi di crescita insufficiente. [...] Dopo che la ferita si fu rimarginata, sono stato dimesso poiché l’epidermide era ricresciuta, an-che se il punto di prelievo del muscolo era rimasto infetto. Solo dopo un mese di dolori alla gamba, con fuoriuscita di pus, un pomeriggio a casa mi sono accorto che qualcosa di bianco e duro stava spuntando dalla zo-na infetta. Tirandolo ho scoperto che avevano dimenticato una garza nel-la ferita! Così sono tornato di urgenza in ospedale dove i medici, convinti che si trattasse di un piccolo pezzetto dimenticato durante una medica-zione, sono rimasti scioccati scoprendo un metro e mezzo di garza di-menticata in sede di intervento. (uomo, 46 anni) Il mio medico mi consigliò di portarlo immediatamente a Padova e così

mio marito fu ricoverato in pneumologia dove fecero subito degli accer-tamenti e scoprirono che nel precedente ospedale le cure erano state completamente sbagliate e che invece di migliorare la sua salute l’avevano peggiorata. Dopo due giorni purtroppo morì all’età di quarantacinque anni (nel 1980) e posso soltanto dire che per me è stata un’esperienza as-solutamente negativa e che la vita di mio marito poteva essere salvata se i dottori fossero stati più esperti e più preparati. (donna, 71 anni) In confronto a dieci anni fa a mio parere l’ospedale è migliorato tantis-

simo: le condizioni igieniche, gli strumenti, il modo in cui si viene trattati dai medici... (uomo, 84 anni) 8. SERVIZIO PUBBLICO, SERVIZIO PRIVATO Presso ***, studio medico padovano privato e “convenzionato”, lonta-

no all’incirca cinque km da casa, “tutto funziona come un orologio”: non si aspetta o quasi, e comunque “sarebbe stato piacevole aspettare lì. Le

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poltrone erano imbottite, c’erano i quotidiani, i bagni pulitissimi, suffi-cienti in numero. Salviette di ogni tipo”, il livello di comfort davvero alto quindi, il posto luminosissimo e gli spazi ampi. Il personale è gentile ma non perde tempo, molto professionale, giovane, sotto i quarant’anni, l’accettazione è quasi “impercettibile”. Il medico è più anziano, molto competente, rapido e distaccato quanto basta: le strumentazioni sembra-no nuovissime. Il miglior aspetto di questo centro medico, secondo M. sono i soldi a spendersi, tutto compreso (anche l’ecografia mammaria) sono 37 euro, “due soli euro in più di quanto si pagherebbe in ospedale... io ne spenderei dieci anche solo per [come succede in tale centro] po-termi scegliere l’orario dell’esame e non aver la data fissata ad un anno di distanza. Ma qui voglio dire, se la mammografia dovesse disgraziatamen-te andar male, hanno addirittura pronto in sede uno psicologo addet-to...”. (donna, 47 anni) Per quanto riguarda i costi, si ritiene fortunato di aver avuto, in quella

situazione, un’assicurazione privata oltre che pubblica, o avrebbe pagato davvero tanto (non riesce a dare un’idea dei costi sostenuti, perché “di-stribuiti in molto tempo” ma comunque davvero alti, considerando an-che le assicurazioni). Sa, per sentito dire, che se avesse scelto di usufruire delle cure fornite privatamente dall’allora primario, si sarebbe trovato molto ma molto meglio, ma le spese (sempre tenendo comunque conto delle assicurazioni) si sarebbero rivelate insostenibili. E’ insoddisfatto e arrabbiato, sarebbe potuto guarire “in molto meno tempo, senza star così male in un posto orrendo, e soprattutto sarei guarito completamente, a-vessi scelto di andare dal primario. Avrei dovuto tirar fuori i soldi, quella volta, almeno non avrei più queste sinusiti, almeno sarei guarito davve-ro”. Un’impressione aggiuntiva è quella che l’ospedale fosse troppo (e lo sottolinea, troppo) “universitario”, perché vi erano “più sciami di tiroci-nanti che pazienti”. Quando ora soffre ancora (di forme in genere estre-mamente più lievi della suddetta) di sinusite, “corre” in un centro medico specializzato termale, e lì, dice, guarisce “in fretta e che è un piacere. E se non di fretta, perché magari è un attacco più forte, sicuramente è un pia-cere, rispetto a quell’operazione”. (uomo, 53 anni) Dopo aver speso molti soldi, avendo preso contatti con quasi tutti i fi-

sioterapisti della mia zona (Padova) per oltre due mesi e non trovando soluzione al problema ho deciso di aspettare che il ginocchio guarisse da solo. Il mio problema non si è risolto ed è stato deludente vedere come specialisti che richiedono molti soldi per una visita di pochi minuti non riescano ad aiutarti. (uomo, 53 anni) La reputo un’esperienza negativa in quanto un individuo realmente ma-

lato con un reddito basso o medio basso che non può permettersi una visita a livello privato ma non può contemporaneamente permettersi di aspettare un mese o anche una ventina di giorni.

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(donna, 43 anni) Sono tornata a casa, non pagando niente, ma [i dolori] sono ricomincia-

ti più dolorosi di prima. Arrabbiatissima, sono andata da un otorinolarin-goiatra di Piove di Sacco e ho speso sui 130 euro. (donna, 40 anni) Dopo il ricovero però mi sono dovuta rivolgere a specialisti mirati con-

sigliati da persone fidate, poiché in ospedale i medici si sono limitati all’ambito cardiaco ma il problema non era lì. Per questi ulteriori accer-tamenti mi sono rivolta a strutture private dove ho dovuto pagare le visi-te. In totale ho pagato circa sei-settecento euro. (donna, 47 anni)

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C. QUALCHE CONSIDERAZIONE

Le interviste restituiscono il punto di vista del paziente e la sua perce-

zione dei fatti. Non sono descrizioni oggettive, non danno informa-zioni reali sull’accessibilità dei servizi sanitari, ma possono suggeri-re sia quali sono i punti critici dell’accesso ai servizi sanitari, sia come i cittadini si rappresentano tali punti critici. Un caso interessante è quello della descrizione del buon tratta-

mento / cattivo trattamento da parte del personale. Il cattivo trat-tamento è quasi sempre riferito meticolosamente, con il riferimen-to a episodi specifici, addirittura con la citazione di battute di dia-logo. Il buon trattamento è per lo più segnalato con termini gene-rici (“erano gentili, cortesi, disponibili”) e raramente accompagnato dal riferimento a episodi specifici. Analogamente, i racconti delle “odissee ospedaliere” tendono a essere più vividi e particolareggiati di quelli delle esperienze felici. Il confronto tra servizio pubblico e servizio privato è per lo più a

favore del secondo, nonostante qualche delusione (“specialisti che richiedono molti soldi per una visita di pochi minuti e non riesco-no ad aiutarti”). Il costo della sanità privata non viene quasi mai valutato in termini di congruità: è accettato come un dato di fatto. Mentre la sostanziale gratuità della sanità pubblica è rilevata, e con molta soddisfazione, solo dalle persone più anziane (che ovvia-mente sono in grado di confrontare la situazione presente con quella di quaranta o sessant’anni fa). Ma mentre viene data generalmente per scontata la sostanziale

gratuità dei servizi pubblici, ugualmente viene dato per scontato che essi siano di qualità scarsa o cattiva. Come si vede dalle fre-quenti dichiarazioni di stupore e meraviglia per essere stati curati come si deve, da personale professionale e cortese, velocemente e quasi senza spese: “Non me lo sarei mai aspettato!”. I punti critici per l’accesso ai servizi evidenziati dagli intervistati, a

parte le cose minime come la disponibilità o scarsità di parcheggi nelle vicinanze degli ospedali, sono sostanzialmente questi: - accesso a servizi di qualità certa. Si entra in contatto con i servizi

sanitari senza la certezza che si sarà trattati come si deve, e anzi col pregiudizio che si sarà trattati male. Da molte intervi-ste si percepisce un vissuto da roulette russa. Peraltro, i raccon-

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ti nei quali il personale medico e infermieristico è presentato come eccellente sono parecchi; le strutture in cui le persone sono state accolte sono per lo più linde e moderne; nessuno degli intervistati ha mancato di fornire un racconto di espe-rienza positiva, alcuni non sono stati in grado di fornire un racconto di esperienza negativa.

- accesso in quanto persone. Ci sono persone di serie B, la maggio-ranza, e persone di serie A: quelle che hanno un parente o un conoscente medico. Che l’accesso a un servizio di qualità (in particolare per quanto concerne i tempi) sia garantito soprat-tutto dalle “conoscenze”, e sia quindi un privilegio e non un di-ritto, sembra cosa scontata. Colpisce il fatto che in nessuna in-tervista la constatazione del proprio privilegio sia accompa-gnata dalla consapevolezza di aver tolto un diritto a un’altra persona (in uno dei racconti il privilegiato è un altro; e, ovvia-mente, la consapevolezza del tradimento del proprio diritto è acuta).

- accesso alle informazioni. Non solo le strutture ospedaliere sono spesso raccontate come labirintiche e burocratizzate, ma vi sono racconti precisi di informazioni importanti negate al pa-ziente, talvolta esplicitamente infantilizzato: “Non faccia il bambino!”. Mentre è raro che il racconto evidenzi una com-pletezza di informazione resa alla persona da parte dei sanita-ri.

- accesso a un punto di riferimento. Ovvero: i medici e gli infermieri che vanno e vengono, le “frotte” di specializzandi che si “go-dono lo spettacolo”, le scarse informazioni, le ore di abban-dono (cioè: percepite come abbandono) in sala d’attesa, in corridoio, nella stanza: dalla lettura delle interviste si ha l’impressione che i servizi sanitari stentino a dare alla persona la “sensazione di essere presa in carico”. E infatti quando questa sensazione c’è, è molto evidenziata nei racconti: che la attribuiscono però spesso alla sensibilità della persona (il me-dico curante, l’infermiere), mentre quando si scopre che esi-ste una vera e propria organizzazione della presa in carico (“è stata oltretutto inserita in una specie di schedario, attraverso il qua-le i medici stessi chiamano il paziente per fare accertamenti”) ciò desta una certa meraviglia.

La scelta degli estratti e la redazione del presente documento sono a

cura di Laura Benetton e Giulio Mozzi.