Abbreviazioni e simboli - All’Insegna del Giglio · Italy, in From Attila to Charlemagne. Arts of...

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– 6 – Abbreviazioni e simboli DAI = Deutsches Archäologisches Institut MAME = Museo Nazionale dell’Alto Medioevo MAS = Museo Archeologico Statale MNR = Museo Nazionale Romano La. = Larghezza Lu. = Lunghezza H. = Altezza max. = massimo/a P. = Profondità S. n. inv. = Senza numero di inventario Sp. = Spessore tb. = tomba Ø = diametro Avvertenza Quando non altrimenti indicato, il numero di inventario è quello del Museo Nazionale dell’Alto Medioevo di Roma. Le misure sono espresse in centimetri. Nel catalogo le citazioni da MENGARELLI 1902 sono tra virgolette

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Abbreviazioni e simboli

DAI = Deutsches Archäologisches InstitutMAME = Museo Nazionale dell’Alto MedioevoMAS = Museo Archeologico StataleMNR = Museo Nazionale RomanoLa. = LarghezzaLu. = LunghezzaH. = Altezzamax. = massimo/aP. = ProfonditàS. n. inv. = Senza numero di inventarioSp. = Spessoretb. = tombaØ = diametro

Avvertenza

Quando non altrimenti indicato, il numero di inventario è quello del Museo Nazionale dell’Alto Medioevo di Roma.Le misure sono espresse in centimetri.Nel catalogo le citazioni da MENGARELLI 1902 sono tra virgolette

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I PRECEDENTI

Le notizie della presenza di resti barbarici in prossimità della rupe su cui sorge l’abitato di Castel Trosino, situato a 4 Km di distanza da Ascoli Piceno (Marche), risalgono molto indietro nel tempo, essendo già presenti in opere del XV-XVI secolo1. Esse sono riportate dall’annalistica della seconda metà del Settecento insieme a informazio-ni di altri, più recenti ritrovamenti (1765 e 1782)2. In questi scritti l’attenzione è diretta soprattutto alle mone-te d’oro, ma non mancano riferimenti ad altri manufatti in metallo prezioso, ad armi, a catini in bronzo e attrezzi vari. Secondo queste fonti, gli oggetti provenivano dal fosso che scorre ai piedi di un terreno noto con il nome di Contrada Campo (Fig. 1), allora di proprietà della parrocchia di San Lorenzo in Castel Trosino, dove fini-vano trascinati dalle frane. La loro presenza in quel sito era spiegata con la fantomatica battaglia tra imperiali e barbari che, secondo la tradizione, avrebbe avuto luogo a Castel Trosino nel 578 in occasione della conquista di Ascoli da parte del duca Faroaldo3; di qui la designazione della località come “campo dei guerrieri”.Le brevi note degli eruditi settecenteschi permettono non di rado di seguire le tracce dei pezzi di maggior pregio sul mercato antiquario fino al primo o al secon-do acquirente, svelando l’esistenza già a quell’epoca di un variegato mondo di possidenti, collezionisti, mercanti e falsari, la cui intensa attività ha dato un contributo decisivo alla rapida dispersione dei reperti antichi che di tanto in tanto tornavano alla luce nei campi coltivati o nel corso dei torrenti4. Un caso emblematico è quello della tomba di cavaliere scoperta nel 1872 in Contrada Pedata, un colle prospi-ciente la rupe di Castel Trosino (Fig. 1), provvista di un prezioso corredo smembrato e disperso subito dopo il ri-trovamento. Di esso diede notizia Giulio Gabrielli in un articolo dal titolo: Il tesoro di Castel Trosino, apparso su un giornale locale5, nel quale erano descritti i pezzi più

LA NECROPOLI DI CASTEL TROSINO DALLA SCOPERTA AI NOSTRI GIORNI

prestigiosi del complesso (guarnizioni in oro della sella e dei finimenti del cavallo) ed un elenco degli altri oggetti del corredo di cui il Gabrielli era riuscito ad avere notizia (catino, lancia, cesoie, sperone, impugnatura ageminata forse di pugnale). Molti anni dopo Raniero Mengarelli, nella prima parte della pubblicazione sulla necropoli di Castel Trosino da lui scavata nel 1893-1896, riportando l’articolo del 18726, diede anche l’illustrazione degli ornamenti aurei appartenuti alla tomba7. Gli stessi erano stati già pubblicati nel 1891 da I. Undset come parte di un complesso di oggetti pervenuti al Musée des Anti-quités Nationales di Saint-Germain-en-Laye di Parigi, unitamente a diversi elementi di una cintura molteplice d’oro e ad altri oggetti ancora8. Altri due elementi della stessa cintura erano stati pubblicati nel 1876 da S.T. Baxter come pertinenti ad un ricco corredo originario del territorio di Chiusi9. Il materiale illustrato dal Baxter è poi confluito nella collezione Morgan nel Metropo-litan Museum of Art di New York. La vaghezza delle notizie relative al ritrovamento chiusino, la coincidenza degli elementi di cintura suddivisi tra Parigi e New York e la loro associazione nella pubblicazione dell’Undset con il materiale della tomba di Castel Trosino hanno indotto ad ipotizzare un’origine dei preziosi oggetti da un unico contesto, per l’appunto la tomba di cavaliere di Contrada Pedata a Castel Trosino10. Tale ricostruzione sembra ora contraddetta da recenti ricerche d’archivio in base alle quali l’attribuzione a Chiusi dei materiali pubblicati dal Baxter – e con essi l’intera cintura mol-teplice in oro – assume di nuovo consistenza11.

1 GAGLIARDI 1995, coll. 267-268, nota 5. 2 GAGLIARDI 1995, coll. 267-268, note 6-7.3 MENGARELLI 1902, coll. 145-146, n. 1. 4 LAFFI 1981, pp. 11-71; A.R. STAFFA, Un quadro di riferimento per Castel Trosino: presenze longobarde tra Marche e Abruzzo, in La necropoli, pp. 105-111; per un aggiornamento PROFUMO 2003, pp. 623 ss., con bibliografia. 5 «L’Eco del Tronto», 21 aprile 1872, anno X, n. 16; per l’attribuzione al Gabrielli dell’articolo v. CONTA 1982, 1.1, p. 572; LAFFI 1981, p. 85 e p. 91; GAGLIARDI 1995, coll. 265-269, dove è riprodotto il testo completo.

6 MENGARELLI 1902, coll. 149-151, nota 1 ma senza specificazione dell’autore. 7 MENGARELLI 1902, coll. 150-151, figg. 2-3.8 I. UNDSET, Archäologische Aufsätze über südeuropäische Fundstücke: Alterthümer der Völkerwanderungszeit in Italien, «Zeitschrift für Ethnologie», 23, 1891, pp. 33-35, figg. 40-52.9 T.S. BAXTER, On some lombardic gold ornaments found at Chiusi, «The Archaeological Journal», 33, 1876, pp. 103-108, tavv. I-III.10 E. VALLET, Une tombe de riche cavalier Langobard découverte à Castel Trosino, in La noblesse romaine et les chefs barbares du IIIe au VIIe siècle, Actes du colloque (Saint-Germain-en-Laye, May 16-19, 1992), Paris 1995, pp. 335-349; La necropoli, p. 17 ss., fig. 1; L. PAROLI, The Langobardic Finds and the Archaeology of Central Italy, in From Attila to Charlemagne. Arts of the Early Medieval Period in The Metropolitan Museum of Art, The Metropolitan Museum of Art Symposia, Spain 2000, pp. 140-151; L. PAROLI, Tomba di cavaliere longobardo da Castel Trosino, località Pedata, in C. BERTELLI, G.P. BROGIOLO (a cura di), Il futuro dei Longobardi. L’Italia e la costruzione dell’Europa di Carlo Magno, Catalogo della mostra (Brescia 2000), Ginevra-Milano 2000, pp. 88-92, n. 42. 11 A. PAZIENZA, I Longobardi nella Chiusi di Porsenna. Nuove fonti per la necropoli dell’Arcisa, «Archeologia Medievale», XXXIII (2006), pp. 61-78.

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GLI SCAVI 1893-1896

Nell’aprile del 1893, vent’anni dopo il ritrovamento in Contrada Pedata, fu scoperta la grande necropoli di Castel Trosino in un terreno denominato Contrada S. Stefano di proprietà della parrocchia di Castel Tro-sino (Figg. 1-2). Le vicende della scoperta, degli scavi e dei suoi protagonisti sono state ricostruite con grande dettaglio nel 1995, in occasione della mostra allestita per il centenario della scoperta e rivisitate ampiamente nel decennio successivo12. In questa sede ci limiteremo pertanto a richiamare i dati essenziali dello scavo e della musealizzazione dei reperti rinviando per una trattazione più esaustiva alle numerose opere prodotte di recente sull’argomento. Un richiamo va fatto comunque alla figura di Giulio Gabrielli, personaggio di spicco della cultura ascolana del secondo Ottocento13, al cui provvido intervento dobbiamo se questa necropoli non è stata depredata e dispersa come è toccato in sorte a molta parte delle antichità barbariche italiane. Il Gabrielli, infatti, dopo aver recuperato diversi reperti provenienti dallo scavo delle prime cinquanta tombe fatto eseguire dal parroco don Emidio Amadio, resosi conto dell’importanza e dell’estensione del complesso archeologico, sollecitò il tempestivo intervento delle autorità statali preposte alla tutela che affidarono lo scavo a Raniero Menga-relli, un ingegnere del neonato Museo Nazionale Ro-mano, che lo eseguì sotto la supervisione di Edoardo Brizio, Soprintendente dell’Emilia da cui dipendeva all’epoca il territorio marchigiano. Gli scavi in Contrada S. Stefano iniziarono il primo maggio del 1893 e furono completati nel settembre dello stesso anno; l’esplorazione fu eseguita con gran-de rapidità, ma in modo anche un po’ disordinato, come lamentava il Gabrielli nei suoi taccuini e come suggerisce un provvedimento del Brizio che sospese per alcuni giorni le operazioni di scavo per permettere al Mengarelli di completare l’inventario dei reperti14.

Il ritrovamento di un anello sigillare e di altri oggetti nel corso degli scavi riaperti di recente sul sito della necropoli conferma a sua volta una certa sommarietà nella conduzione dei lavori15. Per altri versi, invece, la ricerca del Mengarelli fu abbastanza esaustiva. Egli non solo controllò la parte già scavata dal parroco nella previsione, rivelatasi esatta, che fossero state tralasciate delle sepolture, ma scandagliò anche i terreni limitrofi, a partire da Contrada Pedata dove fu rintracciata la fossa del ricco cavaliere e fu accertato che si trattava di una tomba isolata. Nel 1896 il Mengarelli riprese le indagini nelle contrade contermini di Fonte e di Campo (Fig. 3) dove trovò poche tombe, quasi tutte prive di corredo16. In Contrada Fonte tornarono alla luce anche tre sepolture arcaiche17. In questa parte le ricerche furono probabilmente meno accurate dal momento che una sepolture di età arcaica e altre due sepolture altomedievali sono state intercettate nel corso dei sondaggi eseguiti nel 2001-200318. Resti di insediamenti più antichi, di epoca protostorica e di periodo classico, furono riconosciuti dal Mengarelli nel corso delle esplorazioni in diversi punti del cir-condario (cfr. infra)19. Nel complesso le tombe altomedievali scavate dal Mengarelli sono 239, delle quali 220 in Contrada S. Stefano (tombe nn. 1-218: 2 di esse sono individuate dal numero della tomba precedente con l’aggiunta della lettera a, e più precisamente le tombe 86a e 128a) (Fig. 2), 16 in Contrada Fonte (tombe nn. 219-234), 3 in Contrada Campo (tombe nn. 235-237) (Fig. 3)20. Come si è già detto, in contrada S. Stefano il parroco aveva riportato alla luce una cinquantina di tombe. Il Mengarelli afferma che per 16 di esse era stato tenuto distinto il corredo ed era stato possibile localizzare le fosse, che figurano infatti a tratteggio nella pianta della necropoli (tombe A-Q)21, mentre per altre 4 tombe si era riusciti solo a ricostruire il corredo, grazie agli appunti del Gabrielli (tombe R-U)22. Le rimanenti tombe sarebbero state invece prive di corredo.

12 M.C. PROFUMO, Il contributo di Giulio Gabrielli (1832-1910), in La necropoli, pp. 193-195; GAGLIARDI 1995, coll. 265-348; Il ritorno, pp. 13-15. 13 Oltre alle opere indicate alla nota precedente si veda in particolare la biografia del Gabrielli in LAFFI 1981, pp. 72-92; M.C. BASSANTI, I manoscritti di Giulio Gabrielli e il territorio: problematiche e nuove ricerche, in La Salaria in età antica, Atti del convegno di studi (Ascoli Piceno-Offida-Rieti, 2-4 ottobre 1997), «Ichnia», Serie II, 1, Roma 2000, pp. 65-73; l’indefessa attività di registrazione delle scoperte di antichità e di recupero dei materiale più importanti da destinare al Museo di Ascoli che il Gabrielli svolgeva nella sua qualità di Ispettore Onorario, è testimoniata in particolare dalla serie dei taccuini, per lo più inediti, conservati presso la Biblioteca Comunale di Ascoli di cui lo stesso Gabrielli è stato a lungo direttore, dagli epistolari e dall’ampia attività pubblicistica. 14 Cfr. supra, nota 12.

15 Per gli scavi 2001-2003 a Castel Trosino cfr. PROFUMO 2003, pp. 638-642; Il ritorno, pp. 16-26, figg. 6-19, 21-24; per una relazione più dettagliata si rimanda al contributo di M.C. PROFUMO, A.R. STAFFA, Le necropoli altomedievali e il sito fortificato di Castel Trosino, in La Salaria in età tardoantica e medievale (Rieti-Cascia-Norcia-Ascoli Piceno 2001), c.s. I materiali rinvenuti negli scavi recenti sono conservati ad Ascoli Piceno. 16 MENGARELLI 1902, coll. 336-340. 17 MENGARELLI 1902, coll. 340-344. 18 Il ritorno, pp. 22-23.19 MENGARELLI 1902, coll. 151-160. 20 La numerazione è quella della pubblicazione del MENGARELLI (1902), mantenuta invariata in questo catalogo. 21 MENGARELLI 1902, tav. II. 22 MENGARELLI 1902, col. 193.

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Fig. 1 – Topografia del territorio di Castel Trosino (da MENGARELLI 1902, tav. I; rielaborazione al computer di M. Ricci).

Complessivamente, dunque, le tombe rinvenute sono 289, di cui 270 in Contrada S. Stefano, 16 in Contrada Fonte, 3 in Contrada Campo. A completare il quadro va aggiunta la tomba scoperta nel 1872 in Contrada Pedata ed un numero imprecisato di sepol-ture franate nel fosso che scorre ai piedi di Contrada Campo o scoperte casualmente durante i lavori agri-coli23 e le due sepolture altomedievali scoperte negli scavi recenti (cfr. infra). In base alle descrizioni del Mengarelli e all’analisi dei corredi pervenuti, lo stato di conservazione delle se-polture appare piuttosto buono e la percentuale delle tombe che possiamo ritenere non integre piuttosto bassa. La maggior parte delle distruzioni sono infatti imputabili all’inserimento nella parte orientale della necropoli dell’oratorio funerario con il suo contorno di sepolcri che si sovrappongono alle tombe più antiche, all’evoluzione delle pratiche funerarie che porta alla diffusione dei seppellimenti multipli e delle riesumazioni con conseguente dispersione dei seppellimenti più antichi e dei loro eventuali corredi e, non ultimo, ai processi di corrosione e di dissesto spontaneo del terreno. In altre parole i casi sospetti di

violazione del sepolcro con conseguente asportazione del corredo sono rari e costituiscono episodi fortuiti, dovuti essenzialmente ai lavori agricoli24. Ciò detto va sottolineato, cosa del resto ben nota, che a Castel Trosino le tombe con corredo sono abbastanza poche in rapporto al numero delle tombe scavate (poco più del 50%), e che i corredi composti di molti oggetti e di maggior valore ricorrono in un gruppo molto ristretto di sepolture25. Per una valutazione del grado di affidabilità e com-pletezza del complesso archeologico occorre tenere presenti, oltre agli aspetti intrinseci alla formazione e alle vicende postdeposizionali dei contesti funerari ap-pena richiamati, tutte le circostanze che hanno inciso negativamente sulla sua integrità in fase di scavo e nel corso delle successive musealizzazioni (cfr. infra).

23 MENGARELLI 1902, col. 151.

24 Oltre alle tre fosse trovate completamente vuote dal Mengarelli per cause ignote ma probabilmente diverse dalla razzia, sono rarissimi i casi di ricchi corredi palesemente incompleti come quello, ad esempio, della tomba 9. Questi aspetti saranno esaminati nel dettaglio nel volume III in corso di preparazione. 25 Oltre alle quantificazioni del Mengarelli (1902, coll. 187-188) si veda in particolare l’analisi di L. JØRGENSEN, Castel Trosino and Nocera Umbra: A Chronological and Social Analysis of Familiy Burial Practices in Lombard Italy (6th-8th Cent. A.D.), «Acta Archaeologica», 62, 1991 (1992), pp. 1-58.

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Fig. 2 – Pianta della necropoli in Contrada S. Stefano (da MENGARELLI 1902, tav. II; rielaborazione al computer di M. Ricci).

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Fig. 3 – Pianta dei nuclei cimiteriali in Contrada Fonte e in Contrada Campo (da MENGARELLI 1902, fig. 5; rielaborazione

al computer di M. Ricci).

Il primo luogo dobbiamo ricordare ancora una volta la perdita completa dei dati relativi alle strutture funerarie e agli individui delle prime cinquanta tombe, nonché la dispersione subìta dai loro corredi, solo in parte limitata dall’energica azione del Mengarelli che requisì tutti i materiali che si trovavano ancora in mano al prevosto o che erano stati acquistati dal Gabrielli quando diversi elementi, soprattutto quelli meno appariscenti in ferro, erano già perduti. Abbiamo visto inoltre che alcuni materiali, anche di pregio, sono andati dispersi involon-tariamente nelle terre di scavo, a conferma dell’esistenza di lacune più o meno significative nell’inventario delle sepolture scavate dal Mengarelli. Non si può neanche escludere che durante lo scavo regolare vi sia stata la sottrazione furtiva di qualche elemento pregiato26.

Accanto a queste perdite involontarie vi è tutta una serie di oggetti di corredo, che sono menzionati dal Mengarelli nel catalogo, ma che non sono stati deli-beratamente raccolti. Si tratta in genere di recipienti frammentari in vetro o in ceramica, lasciati in situ perché giudicati di scarso interesse o irrecuperabili; in molti casi essi costituivano l’unico elemento di corredo che sarebbe stato invece di grande utilità per definire lo sviluppo diacronico delle aree cimiteriali. Ancora più selettivo è stato il recupero dei resti antro-pologici, limitato – a quanto sembra – a 19 crani, di cui sfugge il criterio di campionatura dal momento che si riferiscono solo a sepolture del tutto prive di corredo o con poco corredo27. Va sottolineato che resti osteologici sono stati rinvenuti nel corso delle indagini condotte nel 2001-2003 che hanno riguardato, tra l’altro, alcune fosse della parte settentrionale della necropoli maggiore. I nuovi reperti sono attualmente in corso di studio28.

LA MUSEALIZZAZIONE

Al termine dello scavo 1893-96 i materiali raccolti nel modo che abbiamo detto furono inviati a Roma dal Mengarelli, ad eccezione di un piccolo gruppo di corredi (tombe 6, 58, 117, 173) o di singoli pezzi estra-polati dai contesti di appartenenza (spada, umbone e maniglia di scudo dalla tomba U; coppa di ceramica dalla tomba 48, anfora dalla tomba 168) che furono lasciati in dono al Museo Civico di Ascoli29 per tacitare le roventi polemiche suscitate nella comunità locale dal trasferimento a Roma del “tesoro” di Castel Trosino30.

26 Si veda ad esempio la placchetta in oro nella collezione Riccardo Gualino di Torino identica a quelle a doppio scudetto delle cinture a frange delle tombe 90 e 119: cfr. E. MICHELETTO, in Dagli ori antichi agli anni Venti. Le collezioni di Riccardo Gualino, catalogo della mostra (Torino, Musei Civici, dicembre 1982-marzo 1983),

Torino 1982, p. 223, n. 32. Tuttavia, dato il carattere “seriale” di tali manufatti, non si può affatto escludere una provenienza diversa da Castel Trosino. Va tenuto però presente che l’oggetto proviene dalla collezione del conte Gregor Stroganoff che si è formata a Roma e quindi una provenienza centro-italica è quanto mai probabile. 27 Cfr. G. SERGI, Nota sui teschi di Castel Trosino, pubblicato come Appendice alla parte prima del catalogo del 1902 (MENGARELLI 1902, coll. 189-192), dove i teschi sono contrassegnati da un numero d’inventario, ma non sempre dal numero della tomba; il materiale osteologico, conservato presso l’Istituto di Antropologia dell’Università di Roma – La Sapienza, è stato riesaminato in tempi recenti dal Kiszely (1979, pp. 150-154) che fornisce in molti casi il riferimento alla tomba. 28 Il ritorno, p. 20 ss. 29 I reperti sono conservati nel Museo Archeologico Statale di Ascoli Piceno (cfr. La necropoli, schede di catalogo a firma di M.C. Profumo, p. 213 ss.) ad eccezione di quelli trafugati nel 1977 e non più ritrovati: CONTA 1982, 1.1, p. 62, nota 35. Sono attualmente irreperibili il corredo della tomba 117, lo spillo d’argento e il coltellino con le guarnizioni del fodero in argento della tomba 173. Per una possibile identificazione di alcuni grani di pasta vitrea con la collana della tomba 117 cfr. La necropoli, p. 162, n. 10, fig. 118 (scheda di M.C. Profumo). 30 Oltre alla bibliografia citata alle note 12 e 13, si veda il memoriale dello stesso Gabrielli, Necropoli di Castel Trosino.

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Quanto al resto della necropoli, essa fu conservata nel Museo Nazionale Romano dove i corredi ritenuti più significativi furono subito esposti, unitamente a quelli della necropoli di Nocera Umbra scavata nello stesso periodo, nelle sale del museo dedicate alle antichità giudaico-cristiane e barbariche31. In previsione della costituzione del Museo Nazionale dell’Alto Medioevo di Roma, avvenuta nel 1967 ad opera di Bianca Maria Felletti Maj32, alla fine degli anni Cinquanta i corredi di Castel Trosino e di Nocera Umbra furono trasferiti nei locali del Palazzo delle Scienze all’E.U.R. dove fu allestito il nuovo museo e dove le due necropoli furono sistemate con il debito risalto nelle sale II-III e sottoposte ad un’assidua opera di revisione e restauro (cfr. infra)33.

GLI SCAVI 2001-2003

La mostra promossa dal Comune di Ascoli Piceno per il centenario della scoperta della necropoli (1993), aperta effettivamente solo nel 1995 nella sede del Museo Archeologico Statale di Ascoli Piceno34, ed

il convegno di studi sull’Italia centro-settentrionale in età longobarda organizzato in concomitanza della mostra nella stessa città35 hanno risvegliato l’attenzione della comunità locale sulla celebre necropoli e con essa il mai sopito desiderio di rientrare in possesso del tesoro perduto. Come conseguenza, dopo l’acquisizione da parte del Comune di Ascoli Piceno del comprensorio in cui ricade la necropoli di S. Stefano, nel 2001-2003 sono riprese le ricerche sul campo sotto la direzione della Soprintendenza per i Beni Archeologici delle Marche nel quadro di un più ampio progetto di valorizza-zione delle presenze longobarde e con l’obbiettivo di creare un museo dell’altomedievo ascolano nel quale accogliere i reperti della necropoli conservati presso il Museo dell’Alto Medioevo di Roma36. Nel 2004 è stata quindi allestita una mostra nella Sala dei Mercatori del Palazzo Comunale di Ascoli nella quale, contestualmente ai materiali tornati alla luce nel corso dei nuovi scavi sul sito di Castel Trosino, sono stati esposti i corredi delle tombe 90 e 115, lasciate in deposito dal Museo Nazionale dell’Alto Medioevo di Roma al Comune di Ascoli Piceno in attuazione della convenzione firmata nel 2003 tra i due enti e che prevede, tra l’altro, il deposito a rotazione dei corredi esposti nel museo romano37. Per quanto riguarda le indagini sul campo, queste si sono focalizzate in un primo momento sull’area cimi-teriale di S. Stefano (Fig. 2) dove è stato riportato alla luce l’omonimo edificio di culto con le tombe 49 e 67; si sono quindi allargate alla zona delle tombe 90 e 115, riuscendo a identificare la fossa della tomba 90; sono state riaperte alcune delle fosse scavate prima dell’arrivo del Mengarelli, individuando le tombe H, K e P. All’interno delle fosse e nei loro pressi sono stati trovati, oltre a diversi resti antropologici, piccoli oggetti sfuggiti evidentemente alle indagini del Mengarelli. Il più importante è l’anello sigillare rinvenuto nelle terre di colmatura della tomba 49, che confermerebbe la na-tura eminente di questa sepoltura, un vago di collana in argento molto simile a quello presente nella tomba K, alcuni grani di pasta vitrea probabilmente della tomba H, borchie di scudo presso la tomba 9038. Sono stati quindi effettuati saggi presso il “muro ro-mano”, una struttura rurale di epoca repubblicana ai limiti della necropoli maggiore, e nella zona adiacente il cimitero moderno, dove sono stati individuati i resti

Appunti e memorie della parte che mi spetta in questa scoperta, e altre note tratte dai suoi taccuini, ora riprodotti in GAGLIARDI 1995, coll. 270-290. Un lungo e penoso strascico ebbe anche la rivendicazione del premio di rinvenimento da parte di don Emidio Amadio e dei sui eredi per cui si veda la documentazione conservata presso l’Archivio Centrale dello Stato di Roma, Fondo «Antichità e Belle Arti», b. 17, fasc. 298; inoltre GAGLIARDI 1995, coll. 304-348. 31 Nella I edizione della guida del Museo redatta da L. Mariani e D. Vaglieri (Guida del Museo Nazionale Romano nelle Terme di Diocleziano, Roma 1901), la necropoli risulta esposta a piano terra, in una delle salette laterali dell’ala IV del portico, mentre nella III edizione (Città di Castello 1905, p. 93 ss.) risulta spostata al piano superiore (cfr. anche P.G. GUZZO, Museo Nazionale Romano: gli allestimenti, in Roma Capitale 1870-1911. Dagli scavi al Museo, Venezia 1984, pp. 126-127). Invece, secondo le guide redatte da R. Paribeni, la necropoli era ancora esposta al piano terra nel 1922, insieme a quella di Nocera Umbra (R. PARIBENI, Le Terme di Diocleziano e il Museo Nazionale Romano, Roma 1922, pp. 161-165, salette 6, 7 e 8) mentre le guide successive segnalano lo spostamento delle due necropoli al I piano, sale XLI-XLIII, a seguito probabilmente dei lavori del 1926 (R. PARIBENI, Il Museo Nazionale Romano, Roma 1932, II ed., pp. 338-341). 32 B.M. FELLETTI MAJ, Il Museo dell’Alto Medioevo in Roma, «Alto Medievo», 1, 1967, pp. 1-8. 33 M.S. ARENA, L. PAROLI, Il Museo dell’Alto Medioevo Roma (Itinerari dei musei, gallerie, scavi e monumenti d’Italia, N.S. 21), Roma 1993, in particolare pp. 17-54; per i restauri v. in particolare A. MELUCCO VACCARO, Il restauro delle decorazioni ageminate “multiple” di Nocera Umbra e di Castel Trosino: un’occasione per un riesame metodologico, «Archeologia Medievale», V, 1978, pp. 9-75; ARENA, PAROLI 1994. Dal 1987 al 2004 i restauri dei corredi delle necropoli di Castel Trosino e di Nocera Umbra sono stati diretti da Lidia Paroli ed eseguiti dai restauratori Maria Rotondi (fino al 1991) e da Enrico Leoni (fino al 2004). La documentazione relativa è conservata nell’archivio del Museo Nazionale dell’Alto Medioevo. 34 Cfr. il catalogo della mostra: La necropoli.

35 L. PAROLI (a cura di), L’Italia centro-settentrionale in età longobarda (Atti del convegno, Ascoli Piceno, 6-7 ottobre 1995), Firenze 1997. 36 Il ritorno, pp. 44-46.37 Il ritorno, in particolare pp. 5-8. 38 Il ritorno, pp. 16-22.

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L A NECROPOLI DI CASTEL TROSINO DALL A SCOPERTA AI NOSTRI GIORNI

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di un abitato protostorico, una tomba picena e due sepolture altomedievali svuotate, queste ultime da mettere in relazione con le aree cimiteriali di Contrada Fonte e di Contrada Campo. Rimane da menzionare infine il sondaggio eseguito in Contrada Pedata, che ha potuto solo confermare il carattere isolato della sepoltura del cavaliere scoperta nel 187239. Oltre alle importanti precisazioni di carattere topogra-fico, cronologico, strutturale e al recupero di reperti an-tropologici e di corredo, queste ricerche hanno indotto a riconsiderare l’organizzazione delle aree cimiteriali che sembrano articolarsi in due zone distinte, quella di Contrada S. Stefano (Fig. 2), con la chiesa omonima, sopravvissuta per secoli alla chiusura della necropoli e crollata solo nel XVIII secolo, e quella di Contrada Fonte-Contrada Campo (Fig. 3) che doveva far capo alla chiesa di S. Maria i cui resti sono da ricercare con ogni probabilità all’interno del cimitero moderno e che, per quanto diruta, era ancora ricordata alla fine del Set-tecento per la sua originaria funzione parrocchiale40. Quanto all’insediamento, le ultime ricerche offrono solo elementi in negativo, ma sufficienti a rivedere l’ipotesi di una presenza fortificata di età tardoromana/bizantina e longobarda sulla sommità della rupe dove i recenti scavi hanno evidenziato solo testimonianze di età medievale41. Le ricerche non hanno peraltro consentito di individuare altrove il villaggio di età longobarda, a causa certamente del forte degrado subìto dai terreni circostanti la rupe dalla fine dell’Ottocento a oggi. Pertanto, una volta esclusa la posizione sommitale, tutto lascia supporre che l’abitato si trovasse in prossimità delle aree cimiteriali. L’area più indiziata è quella di Contrada Pedata, dove il Mengarelli aveva rilevato, nei pressi della grande tomba del 1872, la presenza di «fondi di capanne e ammassi di rifiuti provenienti da queste, frammenti di fittili gros-solani, ossa, carboni, ecc.»42. Questa località, infatti, è molto prossima, come è stato osservato da Andra Staffa, al sito in cui si suppone sorgesse la chiesa dedicata a S. Maria, che – come si è già detto – era ancora ricordata nel Settecento come chiesa parrocchiale «di detto luo-go», dove «detto luogo» sta a indicare verosimilmente il primitivo abitato o villaggio che precede la formazione dell’insediamento arroccato sulla rupe43. Questa rilettura dell’insediamento di Castel Trosino, per quanto non ancora sufficientemente approfondita

e articolata anche dal punto di vista diacronico, porta comunque a ridimensionare la valenza strategico-mi-litare del sito in età longobarda, e ad accentuarne il carattere di villaggio rurale non disgiunto peraltro da funzioni di controllo territoriale che costituisce co-munque un fattore determinante nelle scelte insedia-tive della prima età longobarda. Nella fattispecie non va dimenticato il fatto che Castel Trosino si trova sul confine, costituito dal fiume Castellano, che separava il ducato di Spoleto da quello di Benevento e in età moderna lo Stato Pontificio dal Regno di Napoli44.

STATO DI CONSERVAZIONE DEI CORREDI FUNERARI

Prima di concludere, occorre entrare un po’ più nel particolare per quanto concerne lo stato di conser-vazione del materiale che, a poco più di un secolo di distanza dal rinvenimento, compone l’inventario at-tuale dei corredi di Castel Trosino, al fine di valutarne il grado di affidabilità. Sebbene la maggioranza dei reperti, ed in particolare quelli più fragili in metallo, vetro, osso, ma anche in ceramica, abbiano ricevuto all’atto dell’immissione nelle collezioni del Museo Nazionale Romano un trattamento di consolidamento e di integrazione estre-mamente efficace45, nei lunghi anni trascorsi nelle sale e nei depositi del Museo Nazionale Romano gli oggetti più deperibili, come le guarnizioni in ferro ageminato, i recipienti in vetro e i pettini, hanno subìto processi di degrado considerevoli. Ai problemi di conservazione si sono aggiunti nel tempo problemi di identificazione dovuti al rimescolamento involontario a seguito della rottura dei contenitori o dei supporti, oppure per la perdita dei numeri di inventario, assolutamente dele-teria per oggetti seriali descritti solo sommariamente nel catalogo del Mengarelli e ancor più genericamente nell’inventario del Museo Nazionale Romano. Il trasfe-rimento dei corredi di Nocera Umbra e Castel Trosino in lotti successivi dal Museo Nazionale Romano al Museo dell’Alto Medioevo e la nuova inventariazione, se da una parte è stata occasione per verificare siste-maticamente e contestualmente entrambe le necropoli e di procedere alla ricostituzione dei corredi che nel Museo Nazionale Romano erano spesso smembrati per classi di materiale, dall’altra è stata fonte di ulteriore confusione a causa della cancellazione degli originari numeri di inventario che permettevano comunque di risalire al corredo di partenza.

39 Il ritorno, pp. 22-24.40 Il ritorno, pp. 34-38. 41 M. POLLETTI, Presenze protostoriche a Castel Trosino, in La Salaria in età antica, cit. a nota 13, p. 371; anche il toponimo ha origini dopo il Mille: R. BERNACCHIA, Incastellamento e distretti rurali nella Marca Anconitana (secoli X-XII), Spoleto 2002, pp. 117-118. 42 MENGARELLI 1902, col. 156.43 Il ritorno, pp. 36-37.

44 CONTA 1982, 1.2, fig. 7. 45 Cfr. ARENA, PAROLI 1994.

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L A NECROPOLI ALTOMEDIEVALE DI CASTEL TROSINO

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Per quanto concerne la necropoli di Castel Trosino la classe di reperti più decontestualizzata è costituita senz’altro dalle collane, composte di grani di pasta vitrea e minerali vari, talvolta alternati a monete e pendaglini in metallo. I grani, infatti, generalmente ben conservati, sono andati confusi tra loro a seguito della rottura del filo che li teneva uniti e sparpagliati senza criterio nei corredi46. La ricomposizione delle collane è stata un’opera molto impegnativa. Essa si è basata in parte sulle illustrazioni contenute nella pubblicazione del Mengarelli, la cui scarsa definizione tuttavia permette un riconosci-mento molto parziale di grani, eccezion fatta per una tavola fotografica colorata a mano 47; molto più utili si sono rivelate le foto dei corredi esposti nel Museo Nazionale Romano realizzate dall’Istituto Archeolo-gico Germanico di Roma negli anni Trenta del secolo scorso48, e quelle purtroppo parziali dell’archivio del Museo Nazionale Romano49. Complessivamente la documentazione visuale riguar-da 24 collane, una delle quali è ripresa solo a metà (tomba C); la loro ricostruzione materiale è stata condizionata da una parte, come si è già detto, dal grado di leggibilità della documentazione edita e di archivio, generalmente in bianco e nero, dall’altra dalla sussistenza effettiva dei grani ad esse originariamente pertinenti. Una parte di essi è risultata dispersa o con-fluita, seppure in percentuale minima, nei materiali non pertinenti della necropoli di Nocera Umbra50. Inoltre, solo ventidue delle collane documentate sono riferibili con sicurezza ad una tomba51, mentre per le rimanenti due mancano elementi sufficienti per l’identificazione del corredo di provenienza. Al termine del defatigante processo di ricomposizione è rimasto privo di identificazione un numero abbastanza cospicuo di grani (Tav. 204), attribuiti dall’inventario del Museo a questo o quel corredo, ma che devono ritenersi pertinenti a collane non identificabili e che, a meno di un fortunato ritrovamento di nuove foto

d’archivio, sono destinati a rimanere tali. Essi, poiché appartenevano certamente alla necropoli, sono stati inclusi nella tipologia dei grani di pasta vitrea che verrà pubblicata nel III volume. In questa sede sono illustrate altre 3 collane che secon-do la didascalia dell’Istituto Archeologico Germanico di Roma, che ha effettuato le riprese nel 1940, si trovavano nel Museo Civico di Ascoli Piceno (Tavv. 187-188). Poiché di queste collane non vi è traccia in quella sede e almeno in una di esse sono presenti (Tav. 187.1) alcuni grani estremamente distintivi che sono stati identificati nel materiale adespota conservato a Roma (Tav. 203), non si può escludere del tutto un errore della didascalia. In tal caso almeno una delle tre collane potrebbe appartenere alla necropoli. Dopo le collane sono forse i recipienti in vetro la classe che presentava lo stato di marasma più grave, malgrado il numero molto contenuto degli esempla-ri presenti nei corredi (una trentina). Due di essi52, integri al momento della scoperta, sono dispersi da gran tempo, confusi probabilmente nelle collezioni del Museo Nazionale Romano, da dove sono stati “ripe-scati” anche in anni molto recenti altri pezzi mancanti delle due necropoli che sono stati così ricongiunti ai corredi di origine53. Per quanto riguarda il resto dei vetri trasferiti al Museo dell’Alto Medioevo, non è esagerato affermare che essi non solo erano ridotti quasi sempre in frammenti, ma che, salvo alcuni esemplari più caratteristici per forma e decorazione e quelli illustrati nella pubblicazione, tutti gli altri era-no o privi di attribuzione o erano attribuiti a corredi sbagliati. La capillare opera di restauro condotta su tutti i vetri della necropoli in parte presso il Museo dell’Alto Medioevo, in parte presso l’Istituto Centrale per il Restauro ha permesso di ricostruirne la forma e di reinserirli con un certo grado di sicurezza nei corredi grazie alla integrazione dei dati d’archivio con quelli della pubblicazione del Mengarelli. Un risultato altrettanto brillante non è stato invece raggiunto per il vasellame in ceramica, sebbene le sue condizioni di conservazione fossero decisamen-te migliori rispetto a quelle dei vetri, e ciò a causa del numero notevolmente più alto degli esemplari presenti, della maggiore serialità dei pezzi, assai meno differenziati dal punto di vista morfologico e decorativo. Per le brocchette in particolare è stata

46 Le eccezioni sono minime: si tratta delle collane delle tombe R, 93 e 164 risultate quasi indenni da rimescolamenti. 47 MENGARELLI 1902, tavv. VI (tomba 7) (fotografia in b/n colorata a mano), VII (tomba G), XI (tomba 115), XIII (tomba 128) e XIV (tomba 169). 48 Cfr. infra, Tavv. 177.2, 183.1-184 e 186.2. 49 Cfr. infra, Tavv. 177.1, 183.2 e 186.1. 50 L’identificazione di queste perle, nell’ordine di una ventina di grani, è avvenuta quando il lavoro di ricomposizione e documentazione delle collane era già concluso e non è stato possibile procedere al loro inserimento nelle collane. Un quadro comprensivo di tutti i materiali identificati verrà presentato in sede di pubblicazione della tipologia dei grani di collana nel III volume, in corso di preparazione. 51 Sono le collane delle tombe C, E, G, H, I (2), K, L, N, O, R, S, 7 (2), 30, 93, 108, 115 (2), 128, 164, 169.

52 Si tratta di due bottigliette, una della tomba 144, fortunatamente illustrata dal Mengarelli (1902, tav. XIII, 8), l’altra della tomba 165, non illustrata, ma appartenente ad una tipologia ben nota.53 L’ultimo recupero in ordine di tempo è il piatto in terra sigillata nordafricana della tomba 37 di Castel Trosino; il caso più eclatante è rappresentato comunque dalla riscoperta nei depositi del Museo Nazionale Romano di due sedie pieghevoli in ferro ageminato della necropoli di Nocera Umbra (ARENA, PAROLI 1994, pp. 7-10).

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L A NECROPOLI DI CASTEL TROSINO DALL A SCOPERTA AI NOSTRI GIORNI

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fatale la perdita dei cartellini o l’asportazione delle etichette inventariali del Museo Nazionale Romano, cosa che ha determinato qualche confusione anche con analoghi reperti della necropoli di Nocera Um-bra. Il boccaletto della tomba 115 di Castel Trosino, ad esempio, era stato attribuito alla tomba 90 di Nocera Umbra, e solo grazie alla fortuita conserva-zione dell’etichetta originale del Museo Nazionale Romano è stato possibile attribuirlo correttamente. Va detto che le possibilità di controllo per i tipi più usuali sono molto limitate e che pertanto per un certo numero di pezzi il rischio di una attribuzione sbagliata permane. Ci sono altre due classi in particolare che hanno subìto perdite considerevoli a causa della fragilità del materiale costitutivo (pettini d’osso) o dei processi di ossidazione (oggetti in ferro). I pettini, piuttosto numerosi in origine (19 esemplari registrati dal Men-garelli), ma già molto frammentari al momento della scoperta, sono ridotti oggi a poco più della metà e si conservano in condizioni abbastanza miserevoli. Tra gli oggetti in metallo o lega, sono le guarnizioni in ferro e in ferro ageminato pertinenti alle cinture maschili e all’equipaggiamento equestre quelle più danneggiate dalle vicende successive allo scavo. Il restauro sistematico di questa classe di reperti presenti in abbondanza in entrambe le necropoli, ha portato al recupero della forma e della decorazione54 e, per quanto il rimescolamento sia stato spesso radicale causando la trasmigrazione di pezzi da una necropoli all’altra, in molti casi si è potuto procedere al riaccor-pamento e alla ricomposizione più o meno completa delle cinture. Cionondimeno sono molto numerosi

i pezzi che sfuggono ancora ad ogni tentativo di attribuzione e che vengono pertanto pubblicati in appendice al catalogo nella sezione dedicata ai mate-riali non attribuibili, per lasciare aperta la possibilità di identificazioni future. Un caso a parte è costituito dalla corazza lamellare della tomba 119 di Castel Trosino, di cui si sono restaurati e disegnati tutti i frammenti, senza poter peraltro procedere ad alcuna ricomposizione, a causa delle modalità molto sommarie con cui fu effettuato all’epoca il prelievo dal terreno e della grave lacunosità del materiale superstite. Perdite o rimescolamenti, in genere meno significativi, si registrano anche per altri oggetti in ferro, come i coltellini, le maniglie di scudo, etc., mentre una con-fusione non indifferente si è verificata per gli spilloni, almeno in parte superata dall’opera di ricognizione e restauro, e per gli spilli o aghi crinali, quelli in bronzo in particolare. Tuttavia, data la notevole omogeneità tipologica degli esemplari che non incidono in modo significativo nella valutazione generale del corredo e considerato che ulteriori ricerche non avrebbero dato risultati particolarmente apprezzabili, si è preferito mantenere – in tutti i casi non risolvibili con sicurezza – l’attribuzione attestata dall’inventario del Museo. In definitiva, sebbene ulteriori, piccoli aggiustamenti sarebbero ancora possibili, è sembrato preminente non procrastinare oltre questo genere di ricerca, avvertendo tutta l’urgenza di fissare in un catalogo ampiamente illustrato lo stato attuale del complesso archeologico prima che parti più o meno significative di esso siano trasferite in altre sedi nel quadro del preventivato spostamento, e conseguente smembramento, delle col-lezioni che hanno costituito per appena quarant’anni l’unico, piccolo, ma non insignificante museo italiano interamente dedicato all’Alto Medioevo.

LIDIA PAROLI

54 Il restauro iniziato negli anni ’70 (cfr. MELUCCO VACCARO, Il restauro, cit. a nota 33) è stato completato negli anni ’90 sotto la direzione di chi scrive.