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Cesare Fertonani IL GUSTO DEL PARADOSSO: A PROPOSITO DI VIVALDIANA DI GIAN FRANCESCO MALIPIERO A Emilio Sala, per aver a lungo discusso insieme di Vivaldi e di Malipiero UNA TRASCRIZIONE-ELABORAZIONE: GENESI E CONTESTO Come si sa, il rapporto di Gian Francesco Malipiero con la tradizione musi- cale italiana e nella fattispecie con la figura e l’opera di Antonio Vivaldi è stato oggetto di studi approfonditi e spesso assai acuti, ai quali senz’altro si rimanda per un inquadramento generale della questione. 1 Nella lunga, intensa relazione tra Malipiero e la musica del Prete rosso compare tuttavia anche l’omaggio com- positivo di Vivaldiana per orchestra (1952): un lavoro sinora mai affrontato o discusso nei dettagli perché in genere considerato soltanto uno di quegli «ama- bili ma poco importanti omaggi [di Malipiero] a compositori italiani di altri tempi» 2 o forse invece proprio perché conferma la complessità di una relazione in cui gli elementi di indubbio rilievo storico-culturale e fascino artistico s’inter- secano con aspetti ambigui, controversi o addirittura paradossali. Per comprendere appieno tutti questi aspetti ed elementi occorre anzitutto mettere bene a fuoco l’identità di Vivaldiana. Senza dubbio il lavoro rientra nel novero di quelle «elaborazioni» o interpretazioni di musiche del passato («ela- borazioni di musica antica» le definisce lo stesso Malipiero nel catalogo annota- to delle proprie opere), contigue alle «edizioni» vere e proprie e che da queste si distinguono di fatto per la declinazione ma non per l’essenza dell’atteggiamen- to nei confronti dei testi musicali in questione. Così come nelle «edizioni», – 395 – – 1 di 17 – Cesare Fertonani, Corso di Porta Vigentina 34, 20122 Milano, Italia. e-mail: [email protected] 1 Si vedano in particolare GUGLIELMO BARBLAN, Malipiero trascrittore, in Omaggio a Malipiero,a cura di Mario Messinis, Firenze, Olschki, 1977, pp. 21-28; LUIGI PESTALOZZA, Malipiero nella cultura italiana del Novecento, ivi, pp. 29-43; FRANCESCO DEGRADA, Malipiero e la tradizione musicale italiana, ivi, pp. 131-152; NINO PIRROTTA, Malipiero e il filo d’Arianna, in Malipiero. Scrittura e critica, a cura di Maria Teresa Muraro, Firenze, Olschki, 1984, pp. 5-19; FEDELE D’AMICO, Il pessimismo di Malipiero, in Gian Francesco Malipiero e le nuove forme della musica europea, a cura di Luigi Pestalozza, Milano, Unicopli, 1984, pp. 144-149. Per un quadro d’insieme del rapporto tra la «generazione dell’Ottanta» e la tradizione musicale italiana si vedano poi FRANCESCO DEGRADA, La «Generazione dell’80» e il mito della musica italiana, in Musica italiana nel primo Novecento. La «Generazione dell’Ottanta», a cura di Fiamma Nicolodi, Firenze, Olschki, 1981, pp. 83-96, e FIAMMA NICOLODI, Gusti e tendenze del Novecento musicale in Italia, Firenze, Sansoni, 1982, pp. 67-204. 2 JOHN C. G. WATERHOUSE, La musica di Gian Francesco Malipiero, trad. di Marcella Barzetti, Torino, Nuova Eri, 1990, p. 303.

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Cesare Fertonani

IL GUSTO DEL PARADOSSO: A PROPOSITO DI VIVALDIANA

DI GIAN FRANCESCO MALIPIERO

A Emilio Sala, per aver a lungo discusso insieme di Vivaldi e di Malipiero

UNA TRASCRIZIONE-ELABORAZIONE: GENESI E CONTESTO

Come si sa, il rapporto di Gian Francesco Malipiero con la tradizione musi-cale italiana e nella fattispecie con la figura e l’opera di Antonio Vivaldi è statooggetto di studi approfonditi e spesso assai acuti, ai quali senz’altro si rimandaper un inquadramento generale della questione.1 Nella lunga, intensa relazionetra Malipiero e la musica del Prete rosso compare tuttavia anche l’omaggio com-positivo di Vivaldiana per orchestra (1952): un lavoro sinora mai affrontato odiscusso nei dettagli perché in genere considerato soltanto uno di quegli «ama-bili ma poco importanti omaggi [di Malipiero] a compositori italiani di altritempi»2 o forse invece proprio perché conferma la complessità di una relazionein cui gli elementi di indubbio rilievo storico-culturale e fascino artistico s’inter-secano con aspetti ambigui, controversi o addirittura paradossali.

Per comprendere appieno tutti questi aspetti ed elementi occorre anzituttomettere bene a fuoco l’identità di Vivaldiana. Senza dubbio il lavoro rientra nelnovero di quelle «elaborazioni» o interpretazioni di musiche del passato («ela-borazioni di musica antica» le definisce lo stesso Malipiero nel catalogo annota-to delle proprie opere), contigue alle «edizioni» vere e proprie e che da queste sidistinguono di fatto per la declinazione ma non per l’essenza dell’atteggiamen-to nei confronti dei testi musicali in questione. Così come nelle «edizioni»,

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Cesare Fertonani, Corso di Porta Vigentina 34, 20122 Milano, Italia.e-mail: [email protected] Si vedano in particolare GUGLIELMO BARBLAN, Malipiero trascrittore, in Omaggio a Malipiero, a

cura di Mario Messinis, Firenze, Olschki, 1977, pp. 21-28; LUIGI PESTALOZZA, Malipiero nella culturaitaliana del Novecento, ivi, pp. 29-43; FRANCESCO DEGRADA, Malipiero e la tradizione musicale italiana, ivi,pp. 131-152; NINO PIRROTTA, Malipiero e il filo d’Arianna, in Malipiero. Scrittura e critica, a cura di MariaTeresa Muraro, Firenze, Olschki, 1984, pp. 5-19; FEDELE D’AMICO, Il pessimismo di Malipiero, in GianFrancesco Malipiero e le nuove forme della musica europea, a cura di Luigi Pestalozza, Milano, Unicopli,1984, pp. 144-149. Per un quadro d’insieme del rapporto tra la «generazione dell’Ottanta» e latradizione musicale italiana si vedano poi FRANCESCO DEGRADA, La «Generazione dell’80» e il mito dellamusica italiana, in Musica italiana nel primo Novecento. La «Generazione dell’Ottanta», a cura di FiammaNicolodi, Firenze, Olschki, 1981, pp. 83-96, e FIAMMA NICOLODI, Gusti e tendenze del Novecento musicalein Italia, Firenze, Sansoni, 1982, pp. 67-204.

2 JOHN C. G. WATERHOUSE, La musica di Gian Francesco Malipiero, trad. di Marcella Barzetti, Torino,Nuova Eri, 1990, p. 303.

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Malipiero rispetta nelle «elaborazioni» la sostanza e la struttura degli originali,limitandosi a modificarne la veste timbrica3 e attuando operazioni di montaggio(o rimontaggio), sicché si potrebbe ricorrere in linea di principio – e in modoparticolarmente appropriato per Vivaldiana – anche al concetto di trascrizione.Questo delle «elaborazioni di musica antica» è del resto un filone che attraversaquasi tutta l’esperienza compositiva di Malipiero (a iniziare dagli anni Venti) esi rivela parallelo, benché naturalmente non privo di canali di comunicazione ecomuni punti di snodo, rispetto a quello delle «edizioni»: dalla Cimarosiana(1921), commissionatagli da Leonid Massine, sino alla tarda Gabrieliana (1971),passando per le «interpretazioni sinfoniche per orchestra» dei Madrigali dal set-timo libro di Monteverdi (1931), le varie trascrizioni da Corelli e DomenicoScarlatti (1927), Veracini e Tartini (1927), Frescobaldi, Stradella e GiovanniBattista Bassani (1930) e, appunto, Vivaldiana.

Ora, è chiaro che, cronologia alla mano, si potrebbe dire che un conto è pro-porre nel 1921 una trascrizione di pezzi per tastiera di Cimarosa per un balletto4

– Les femmes de bonne humeur (1917) di Vincenzo Tommasini da Scarlatti oPulcinella (1920) di Stravinskij risalgono agli stessi anni – oppure lavorare nel1931 sui madrigali di Monteverdi per darne delle «interpretazioni sinfoniche perorchestra»; altra cosa è rielaborare Vivaldi negli anni Cinquanta e GiovanniGabrieli negli anni Settanta, specie se si tratta di una rielaborazione per così direrispettosa, non straniata né straniante e che comunque non comporta un inter-vento pesante, invasivo sulla sostanza e sulla struttura musicale degli originali.O almeno, questo è ciò che in generale parrebbe di dover pensare dalla prospet-tiva odierna e se non si avesse a che fare con un artista cui sono ormai da temporiconosciuti un radicale pessimismo,5 un rapporto con il passato che è istintivo,sentimentale e medianico, una profonda estraneità e anzi un vero e proprioorrore per il senso non soltanto di progresso ma di svolgimento stesso, logico erazionale, della storia. Da questo punto di vista, nella poetica e nella prassi delmusicista, non sorprende che non vi sia alcuna dualità, alcuno scarto tra l’atteg-giamento che Malipiero poteva avere nel confezionare La Cimarosiana nel 1921 eGabrieliana giusto mezzo secolo dopo.

3 FRANCESCO DEGRADA, Malipiero e la tradizione musicale italiana, cit., pp. 145-146.4 Ecco quanto si legge a proposito della Cimarosiana nel Catalogo delle opere di Gian Francesco

Malipiero, in Omaggio a Malipiero, cit., p. 185: «Quando il ballerino Massine si staccò dalla compagniadi Diaghilew, mi portò alcuni pezzi per pianoforte di Domenico Cimarosa e mi chiese diistrumentarli, cosa che feci e che chiamai La Cimarosiana (il titolo in ana data dunque dal 1921. Quantine son venuti poi con la medesima desinenza!). Seppi poi che il Diaghilew accusava il Massine diavergli carpito il manoscritto di Cimarosa. La conseguenza fu questa: il Diaghilew si impossessòdella mia partitura e, conservando persino il titolo La Cimarosiana la eseguì in tutto il mondo,centinaia di volte, senza fare il mio nome, ecc. ecc.».

5 Sul pessimismo di Malipiero si vedano in particolare MASSIMO MILA, Modernità e antimo-dernismo in Malipiero, in Omaggio a Malipiero, cit., pp. 15-20; LUIGI PESTALOZZA, Malipiero nella culturaitaliana del Novecento, cit.; ID, Malipiero e la forma, in Gian Francesco Malipiero e le nuove forme dellamusica europea, cit., pp. 15-22; PIERO SANTI, La critica malipieriana, ivi, pp. 31-46; FEDELE D’AMICO, Ilpessimismo di Malipiero, cit.

Ciononostante, di tutte le «elaborazioni di musica antica», Vivaldiana rappre-senta forse, proprio per la sua datazione e collocazione storico-culturale, il caso– almeno in apparenza – più sorprendente e paradossale. Il fatto è che, come sisa, nel 1947 Malipiero assunse la direzione artistica dell’edizione di tutte leopere strumentali del Prete rosso, realizzata dall’Istituto Italiano AntonioVivaldi in collaborazione con Ricordi e conclusasi nel 1972, dunque proprio unanno prima della morte dello stesso Malipiero. L’impresa si proponeva diapprontare delle edizioni, destinate in prima istanza all’esecuzione, che fosserobasate su princìpi di maggiore oggettività – e dunque di maggior aderenza alleintenzioni dell’autore – rispetto alle edizioni pubblicate prima del punto di svol-ta emblematicamente segnato dalla fine della Seconda Guerra Mondiale,6

segnando così una discontinuità con il recente passato che d’altro canto noncoincideva ancora con l’affermarsi dei presupposti per un’edizione critica ispi-rata ad autentici criteri filologici e storico-critici.7 Al di là di quelli che oggi appa-iono i limiti e difetti dell’impresa, in larga misura riconducibili alla situazionedella musicologia italiana nell’immediato dopoguerra, nell’intento di Malipieroe di quanti vi collaborarono (su tutti Antonio Fanna e Angelo Ephrikian, i fon-datori dell’Istituto Italiano Antonio Vivaldi) l’obiettivo era comunque miratoalla pubblicazione di edizioni finalmente affidabili di tutte le opere strumentaliintegralmente pervenute del Prete rosso (insieme agli ultimi volumi furono inol-tre pubblicati com’è noto anche tredici lavori di musica sacra).

Dunque Vivaldiana nasce proprio negli stessi anni in cui inizia a dispiegarsila grande impresa di pubblicazione degli opera omnia vivaldiani, e appunto daquesta coincidenza cronologica scaturisce l’aspetto oggettivamente paradossaledella partitura. Il gusto per il paradosso è un’altra componente essenziale delcodice genetico di Malipiero, così come lo è, del resto, la vitale alternanza trautopia e disincanto; nel caso di Vivaldiana, tuttavia, questo gusto per il para-dosso, più che legittimo e anzi intrinseco alla soggettiva poetica e prassi dell’ar-tista, finisce per acquisire una dimensione storico-culturale oggettiva che ne tra-valica l’ambito e gli spazi. Negli anni Cinquanta, da una parte Malipiero è impe-gnato in prima persona come direttore artistico e curatore di centinaia di edizio-ni intese a rendere finalmente giustizia, presso gli esecutori ma anche di fronteagli studiosi, della musica di Vivaldi nella sua ‘verità’ e ‘originalità’ dopo decen-ni di «equivoche interpretazioni»,8 ovvero dopo i travisamenti, gli arbitrii e lestorpiature delle edizioni realizzate secondo il gusto del primo Novecento.

Scagliandosi contro le «esumazioni» di musiche del passato operate tra lafine dell’Ottocento e il primo Novecento in una critica che contiene ancheun’apologia della propria arte compositiva, Malipiero scrive:

6 Si veda al riguardo CESARE FERTONANI, Edizioni e revisioni vivaldiane in Italia nella prima metà delNovecento, «Chigiana», 41, n.s. 21, 1989, pp. 235-266.

7 Si vedano al riguardo FRANCESCO DEGRADA, Malipiero e la tradizione musicale italiana, cit., pp. 144-145 e 147-148, e MICHAEL TALBOT, Vivaldi. Fonti e letteratura critica, trad. di Luca Zoppelli(«Quaderni vivaldiani», 5), Firenze, Olschki, 1991, pp. 160-162.

8 GIAN FRANCESCO MALIPIERO, Antonio Vivaldi, Il Prete rosso, Milano, Ricordi, 1958, p. 8.

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La musicologia divenne allora l’unica risorsa per i compositori falliti, i quali per nonfallire una seconda volta, vestirono alla moda corrente i compositori del passato.Qualora li avessero lasciati com’erano, urtando contro il gusto corrente, avrebberoforse subito la stessa sorte dei compositori che rappresentano veramente la musicacontemporanea più vicina all’antica che a quella dell’Ottocento.Si sarebbero allargati un po’ gli orizzonti del disorientato ascoltatore, se di Palestrinanon si fosse fatto un maestro da chiesa di campagna, di Monteverdi (vedi le elabora-zioni di Vincent d’Indy) un Wagner alla casalinga e di Vivaldi un classico del primoOttocento.9

Mentre parlando dei criteri editoriali seguiti per la pubblicazione degli operaomnia, dice tra l’altro:

Purtroppo [le abbreviazioni che compaiono nei manoscritti vivaldiani] si prestano aequivoche interpretazioni ove in esse si voglia trovare il pretesto per trasformareVivaldi in contemporaneo di Beethoven.Nell’edizione di tutte le opere di Antonio Vivaldi vennero religiosamente rispettati glioriginali, prima di tutto nel fraseggio derivante dalle arcate.10

Dall’altra parte, Malipiero offre con Vivaldiana proprio una prosecuzione diquell’orientamento d’anteguerra tanto deprecato. La partitura è infatti costitui-ta dalla rielaborazione di sei movimenti, tratti da altrettanti diversi concerti perarchi, all’organico originale dei quali Malipiero aggiunge una sezione di fiati.Che il lavoro intorno all’edizione degli opera omnia si ponga all’origine diVivaldiana è raccontato dallo stesso Malipiero nella nota introduttiva alla parti-tura:11

Più di cento Concerti di Antonio Vivaldi ho dato alle stampe. Mi vanto solo di averfatto opera di umile copista, tanto corretti, precisi e indiscutibili sono i manoscrittivivaldiani. Non mi sono mai lasciato tentare dalle correzioni a scopo speculativo.Negli ultimi mesi dell’anno di Grazia 1952, non so per quale intima reazione mi fuimpossibile resistere a certe seduzioni: ho preso il povero Prete Rosso e l’ho masche-rato a modo mio. A modo mio sino a un certo punto, ché nulla è stato mutato nellaforma, nell’armonia, nel ritmo.Come trascrivendo alcuni Madrigali del VII libro, «mi convinsi che il Monteverdi liaveva, suo malgrado, pensati per l’orchestra d’oggi» (vennero pubblicati nel 1921[1931!], sotto il semplice titolo di Madrigali per orchestra) così in questa «Vivaldiana»ho aggiunto gli strumenti a fiato, perché mi sembrava che esistessero già (nei seitempi, tratti da sei differenti concerti, e qui ridotti a tre tempi più ampi) e che Vivaldili avesse semplicemente tolti perché non li aveva a sua disposizione. Non il corpo, mail vestito è stato mutato.

G. F. M.Asolo, 28 ottobre 1952

9 Ibidem.10 Ivi, p. 32.11 GIAN FRANCESCO MALIPIERO, Vivaldiana per orchestra, Milano, Ricordi, 1953.

Se si analizza con attenzione questa nota introduttiva vi si individuano moltielementi su cui riflettere. Anzitutto il rapporto intuitivo, medianico e sentimen-tale con la musica di Vivaldi («non so per quale intima reazione mi fu impossi-bile resistere a certe seduzioni», «ho aggiunto gli strumenti a fiato, perché misembrava che esistessero già […] e che Vivaldi li avesse semplicemente tolti per-ché non li aveva a sua disposizione»). Poi la volontà di appropriarsi di questamusica fino ad assimilarla in un gioco di mascheramento quasi carnevalesco, incui il veneziano Malipiero strizza l’occhio al veneziano Vivaldi («ho preso ilpovero Prete rosso e l’ho mascherato a modo mio», «non il corpo, ma il vestitoè stato mutato»). Infine, il richiamo assai significativo, ai Madrigali daMonteverdi interpretati in chiave sinfonica vent’anni prima, a rimarcare la con-tinuità di certe idee e di un certo gusto personale.12

I SEI CONCERTI VIVALDIANI E LE LORO EDIZIONI

L’idea di Vivaldiana maturò dunque in Malipiero nel corso del lavoro intornoagli opera omnia, a ulteriore testimonianza del legame strettissimo, anzi organicoche nella personalità del musicista sussiste tra l’attività di curatore di edizioni equella propriamente creativa. Da sottolineare è l’interesse specificamente com-positivo manifestato da Malipiero per il genere del concerto a quattro o «concer-to ripieno» come lo definiva talvolta Vivaldi; genere nel quale il Prete rosso,anche sfruttando l’assenza di parti solistiche, seppe spesso produrre lavori diraffinata elaborazione compositiva ed elevata qualità estetica.13 Al riguardo, ci sipotrebbe chiedere se nella scelta di simili opere da parte di Malipiero, oltre alvalore musicale abbia avuto una qualche rilevanza anche la loro natura di con-certi senza solisti, spesso connotati da una pronunciata matrice contrappuntisti-ca (che non a caso si ritrova nel maggior numero dei movimenti utilizzati, anzi-tutto nella fuga del Concerto RV 134); insomma, ciò che alle conoscenze storico-critiche diffuse negli anni Cinquanta poteva farli ancora apparire come unasorta di particolarità rispetto alla linea maestra del concerto settecentesco. Ineffetti, sul versante dell’attività critica, tracce di questo interesse s’incontranonella monografia dedicata a Vivaldi da Malipiero nel 1958, in cui sono citati duedei concerti già utilizzati in Vivaldiana, rispettivamente RV 153, definito «uno fra

12 Sulla stessa linea delle affermazioni relative ai Madrigali da Monteverdi e a Vivaldiana è quantosi legge poi in merito a Gabrieliana nel Catalogo delle opere di Gian Francesco Malipiero, in Omaggio aMalipiero, cit., p. 223: «Come per Cimarosa, Monteverdi, Vivaldi anche a Gabrieli mi son sentito indovere di fare omaggio».

13 Sui concerti per archi si vedano in particolare KARL HELLER, Antonio Vivaldi, Lipsia, Reclam,1991, pp. 252-264, e CESARE FERTONANI, La musica strumentale di Antonio Vivaldi («Quadernivivaldiani», 9), Firenze, Olschki, 1998, pp. 512-539.

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i più bei concerti per soli archi»,14 e RV 123, sul finale del quale avanza l’ipotesiche potesse trattarsi, in origine, del movimento iniziale di un altro lavoro15 (oforse, invece, proprio dello stesso concerto RV 123).16

Comunque sia, i sei movimenti utilizzati sono tratti dai concerti in Re mag-giore RV 123 e RV 126, in Mi minore RV 134, in Sol minore RV 153, RV 155 e RV 156. Nello schema seguente, che riassume la struttura del pezzo, sono ripor-tate tra parentesi tonde le indicazioni del numero di battute di ogni movimentoutilizzato, mentre tra parentesi quadre le indicazioni di tempo e le tonalità ori-ginali dei concerti vivaldiani.

Movimenti Concerti di Vivaldi e Indicazioni di tempo Tonalitàrelativi movimenti

I RV 155, I (22) e II (45) Adagio – Allegro sol+RV 134, I (69) (Lo stesso tempo) re [mi]+ [Senza indicazione]RV 155, II: ripresa della parte finale sol

II RV 153, II, prima e seconda Andante (quasi adagio) do [sol]versione (36) [Andante]+RV 156, II (13) Più lento un poco [Adagio]sol

III RV 123, I (64) Allegro RE+RV 126, III (71) Allegro molto SOL [RE]

È rilevante notare che cinque dei sei concerti – RV 155, RV 134, RV 126, RV 123 e RV 156 – furono pubblicati nell’ambito dell’edizione degli opera omniacon la revisione ed elaborazione dello stesso Malipiero tra il 1947 e il 1951, dun-que negli anni immediatamente precedenti Vivaldiana. Il sesto concerto, RV 153,esiste in almeno quattro versioni diverse. Nella prima e nella seconda versione,l’Andante comprende 36 battute; in questa forma il movimento si ritrova poi nelConcerto RV 126. L’edizione curata da Malipiero e pubblicata nel 1958 riproducela quarta versione dei due primi movimenti, dove l’Andante è ridotto da 36 a 31battute, e la prima versione del finale.17 Con ogni probabilità, la decisione diricorrere nel 1958 alla versione più breve del movimento centrale si spiega colfatto che la versione più lunga era già stata pubblicata sette anni prima nell’edi-zione del Concerto RV 126. Ecco comunque, nel prospetto seguente, i concerti, le

14 GIAN FRANCESCO MALIPIERO, Antonio Vivaldi. Il Prete rosso, cit., p. 12.15 Ivi, p. 24.16 PETER RYOM, Répertoire des œuvres d’Antonio Vivaldi. Les compositions instrumentales,

Copenaghen, Engstrøm & Sødring, 1986, p. 188.17 Ivi, pp. 212-213.

fonti manoscritte utilizzate da Malipiero, il tomo e l’anno di pubblicazione delleedizioni Ricordi.

Concerti di Vivaldi Fonti manoscritte Tomo ER Anno di pubblicazione

RV 155 in Sol minore I-Tn: Giordano 35, cc. 188-193 11 1947RV 134 in Mi minore I-Tn: Foà 31, cc. 166-171 56 1949RV 126 in Re maggiore I-Tn: Giordano 30, cc. 22-26 113 1951RV 123 in Re maggiore I-Tn: Giordano 29, cc. 23-28 114 1951RV 156 in Sol minore I-Tn: Giordano 29, cc. 29-53bis 115 1951RV 153 in Sol minore I-Tn: Giordano 29, cc. 98-107 e 287 1958

Giordano 30, cc. 27-30.

SCOMPOSIZIONE E RIMONTAGGIO

Come afferma lo stesso Malipiero nella nota introduttiva alla partitura, ilmascheramento creativo degli originali vivaldiani è consistito essenzialmente indue tipi d’intervento. Il primo riguarda l’estrapolazione di sei movimenti da seidifferenti concerti; movimenti poi, a loro volta, «ridotti a tre tempi più ampi». Inaltri termini, i sei movimenti prescelti sono stati riassemblati e accoppiati daMalipiero così da configurare i tre macromovimenti di una sorta di nuovo iper-concerto. Nell’applicare questo tipo di intervento, il compositore ha all’occasio-ne trasportato le tonalità originali dei movimenti vivaldiani per conseguirequella consequenzialità e coerenza tonale che altrimenti non avrebbe potutoottenere nel rimontaggio dei brani. Va da sé che, per esempio, l’interpolazionedella fuga che apre il Concerto RV 134, originariamente in Mi minore, tra il primomovimento del Concerto RV 155 in Sol minore (in realtà si tratta di un doppiomovimento articolato in Adagio-Allegro) e la ricapitolazione della sua parteconclusiva può essere effettuata senza la necessità di inserire passaggi modulan-ti di nuova composizione trasportando la fuga un tono sotto, in Re minore.

Proprio la porzione del primo macromovimento ricomposto da Malipierosuccessiva alla fuga di RV 134 costituisce inoltre l’unica vistosa eccezione a unimpiego rispettoso e letterale della sostanza musicale vivaldiana. Alla fine dellafuga s’incatena infatti un breve passaggio di collegamento (tratto dalle bb. 31-33, parte di viola, dell’originale vivaldiano) che conduce a una ricapitolazionedella parte conclusiva del movimento mosso di RV 155 (bb. 52-68 nella numera-zione di Vivaldiana, bb. 30-45 dell’Allegro di RV 155). Un’altra libertà comparenell’epilogo del terzo macromovimento ricomposto da Malipiero, che si conclu-de con l’Allegro molto del Concerto RV 126, ma è di entità davvero minima. Le71 battute dell’originale vivaldiano diventano 73 nella rielaborazione diMalipiero soltanto perché la clausola cadenzale viene ripetuta a valori aggrava-ti, accompagnata dall’indicazione «un poco rallentando», a formalizzare sullacarta un riflesso dell’abituale prassi esecutiva con cui si suonava Vivaldi all’ini-zio degli anni Cinquanta.

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Per meglio cogliere la relazione che sussiste tra la curatela degli opera omniae la rielaborazione si possono confrontare le edizioni dei sei concerti – conside-rate com’è ovvio in rapporto alle fonti originali utilizzate da Malipiero – con letrascrizioni di Vivaldiana. Ora, già alcuni elementi di ordine generale lascianointendere come tra gli impulsi a monte del lavoro di trascrizione-rielaborazionevi sia quello di suggerire, se non di fissare, un modello di prassi esecutiva einterpretativa. Libero dai doveri impostigli dal ruolo di curatore degli operaomnia, Malipiero agisce con la disinvoltura di un compositore che concepisce latrascrizione-rielaborazione come atto creativo o ancora meglio, nella fattispecie,ricreativo. In primo luogo, rispetto alle edizioni degli opera omnia, poiché la par-titura è esplicitamente destinata a un’orchestra moderna, la parte del basso con-tinuo in quanto tale con la relativa realizzazione proposta viene eliminata peressere ridotta alle parti di violoncelli e contrabbassi. Non è difficile riconoscerein questo l’atteggiamento molto personale e comunque storicamente assaidiscutibile di Malipiero nei confronti del problema della realizzazione del bassocontinuo (egli sostiene infatti che, nella musica del XVIII secolo e con particola-re riferimento a Vivaldi, «il compito dell’accompagnatore al cembalo» sarebbeconsistito nell’«accennare timidamente gli accordi per aiutare la intonazione delcantante, o degli istrumenti a suono non fisso»).18 In secondo luogo, in testa aimovimenti sono inserite precise indicazioni di metronomo che contribuisconoin misura decisiva e prescrittiva a determinare lo stacco dei tempi.

In terzo luogo, la partitura di Vivaldiana accoglie in modo esplicito e imme-diato tutti quei segni – relativi alle dinamiche, all’articolazione e ai modi d’attac-co del suono – che nelle edizioni sono indicati, in linea di principio, tra parente-si in quanto aggiunti dal curatore. A tale riguardo può apparire curioso che peril soggetto di fuga del Concerto RV 134, a tre anni di distanza dall’edizione degliopera omnia, Malipiero proponga in Vivaldiana un’articolazione leggermentediversa del fraseggio (nell’edizione del 1949 è suggerita una legatura tra laprima nota, lunga, e la seconda nota, corta, di ogni battuta, laddove in Vivaldiananon compaiono segni di articolazione eccettuati i trattini orizzontali che marca-no gli ottavi delle prime tre battute).

18 GIAN FRANCESCO MALIPIERO, Antonio Vivaldi. Il Prete rosso, cit., p. 33. Su questo aspetto si vedaancora FRANCESCO DEGRADA, Malipiero e la tradizione musicale italiana, cit., pp. 147-148.

Esempio 1a. Tacciono Violoncelli, Contrabbassi e Cembalo + 1b: Tacciono le altre parti

Nel caso della trascrizione dell’Adagio del Concerto RV 156, Malipiero tra-sforma la dinamica piano («p») suggerita nell’edizione in pianissimo («pp»),richiedendo inoltre la sordina agli archi, e aggiunge al basso passeggiato dei vio-loncelli l’indicazione gustosa «nè legato, nè stacc.[staccato]».

L’INTEGRAZIONE DEI FIATI

Il secondo tipo d’intervento operato da Malipiero riguarda invece la cospi-cua aggiunta dei fiati – due flauti, due oboi, due clarinetti, due fagotti e duecorni – all’organico originale costituito da quattro parti di archi e basso. Legni ecorni a due, uniti al già menzionato sdoppiamento del basso in due parti pervioloncelli e contrabbassi, trasformano l’organico vivaldiano in un’orchestra«classica». Il sogno di un Vivaldi «classico» si era già delineato nelle edizioni

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proposte negli anni Trenta da Alberto Gentili,19 ed è piuttosto sorprendente ritro-vare qui un analogo tipo di proiezione storica. Inevitabilmente, l’orchestrazioneproposta da Malipiero tende proprio a fare di Vivaldi un «classico di primoOttocento», un «contemporaneo di Beethoven»: ovvero a riprodurre quell’im-magine d’anteguerra del Prete rosso contro la quale lo stesso Malipiero esprimedisappunto o addirittura disprezzo.

È pur vero che la scelta di un organico «classico» richiama alla mente le con-siderazioni che Malipiero aveva formulato oltre trent’anni addietro sul ruolocruciale di tale organico nella storia dell’orchestra moderna.20 Ma ciò non fa cheaccrescere il senso di un’operazione che sembra ancora rivelare, così come erasuccesso tante volte tra gli anni Venti e Quaranta, l’imbarazzo nei confronti diuna musica ritenuta senz’altro di grande valore estetico ma al contempo perce-pita distante, irrimediabilmente lontana e dunque perduta. Da qui, l’horror vacuie la necessità del restauro, l’ansia di attualizzare, integrare, completare se non lasostanza la forma e la veste timbrica della musica vivaldiana, giudicata per alcu-ni aspetti troppo povera e primitiva e al tempo stesso mitizzata e bloccata nelsuo divenire storico in funzione di una personale poetica compositiva. Ancorauna volta, il processo di adeguamento e perfezionamento della musica del pas-sato tradisce la consapevolezza di una doppia inadeguatezza: l’inadeguatezzadi una musica che non è più riproponibile alla lettera nel presente e quella delpresente nel saperla apprezzare nella sua specificità storico-stilistica.21

Dal momento che le parti dei fiati non introducono materiale di nuova com-posizione ma sono ricavate dalla sostanza musicale dei concerti originali, que-sto tipo d’intervento si qualifica essenzialmente come un lavoro di orchestrazio-ne. Va anche detto che l’integrazione dei fiati nella partitura è consona all’insof-ferenza manifestata da Malipiero per i raddoppi dei fiati agli archi che s’incon-trano nella musica di Vivaldi; insofferenza che gli deriva beninteso da un’ideadell’equilibrio e del suono dell’insieme strumentale improntata a organici emodelli orchestrali moderni o comunque di molto posteriori rispetto al primoSettecento, ma che nel lavoro di edizione degli opera omnia lo indusse a interve-nire in modo pesante sul dettato delle fonti originali (eliminando in genere i rad-doppi da parte dei fiati).22

Se dunque si confrontano le fonti e le edizioni pubblicate negli opera omnia daun lato con la partitura di Vivaldiana dall’altro, si coglie come l’orchestrazione diMalipiero segua alcune direttrici fondamentali. La prima consiste nell’impiegodei fiati come rinforzo timbrico e collante armonico del tessuto degli archi,secondo modalità caratteristiche dell’orchestra classica: si vedano, per esempio,

19 CESARE FERTONANI, Edizioni e revisioni vivaldiane in Italia nella prima metà del Novecento, cit., pp. 250-256.

20 GIAN FRANCESCO MALIPIERO, L’orchestra, Bologna, Zanichelli, 1920, pp. 29-33.21 FIAMMA NICOLODI, Gusti e tendenze del Novecento musicale in Italia, cit., p. 152.22 GIAN FRANCESCO MALIPIERO, Antonio Vivaldi. Il Prete rosso, cit., pp. 33-34. Su questo aspetto si

veda ancora FRANCESCO DEGRADA, Malipiero e la tradizione musicale italiana, cit., pp. 144-145.

le bb. 31-36 e 58-65 (corrispondenti nell’originale vivaldiano rispettivamente allebb. 9-14 e 36-43) dell’Allegro del Concerto RV 155. Nel portare a compimentoquesto genere d’intervento, può accadere che la ridistribuzione delle parti vival-diane a un organico che comprende anche i fiati, o quanto meno alcuni di essi,renda necessario la scrittura di nuove linee desunte dalla struttura armonica ecompositiva degli originali. Si prendano, per esempio, la linea dei corni, chepure trae spunto dalla parte di viola, proprio in apertura (bb. 2-4), oppure di lìa qualche misura, il disegno di accordo spezzato dei violini II (bb. 10-16) (il con-fronto da fare è, naturalmente, con le stesse battute dell’Adagio introduttivo delConcerto RV 155).

La seconda direttrice d’intervento affida ai fiati, soli o accompagnati dagliarchi, determinate frasi o sezioni che vengono a essere così enucleate, per giu-stapposizione timbrica, nel decorso dello svolgimento musicale. È quanto acca-de alle bb. 18-20 dell’Adagio introduttivo del Concerto RV 155, e alle bb. 44-49(originale: bb. 22-27) dell’Allegro dello stesso Concerto RV 155, mentre una siste-matica alternanza di sezioni tra archi e fiati denota l’intero secondo macromovi-mento, dove alla realizzazione per così dire a cori alternati dell’Andante di RV153 segue quella dell’Adagio di RV 156, affidata ai soli archi con sordina. Questiprimi due criteri dell’orchestrazione contribuiscono a segnare l’articolazionestrutturale del periodo musicale, con modi che ricordano spesso le tecniche con-certanti settecentesche negli effetti di chiaroscuro (con contrasti del tipo «tutti»/ «soli») e nella distribuzione di diverse volumetrie sonore. Nella trasposizionedella fuga tratta dal Concerto RV 134 si riscontra l’orchestrazione più varia. Dopoche l’esposizione è stata suonata dai soli archi, i fiati sono chiamati a interagi-re in un dialogo mosso e multiforme sino ad appropriarsi del soggetto (corni:bb. 91-94; viole: bb. 24-27 in RV 134) e a prendere parte attiva agli stretti (flau-ti, oboi, clarinetti, corni: da b. 104; da b. 37 in RV 134) e quindi anche agli stret-ti conclusivi su pedale (oboi, clarinetti, fagotti: da b. 125; da b. 58 in RV 134).

Il terzo macromovimento manifesta una terza e una quarta direttrice d’inter-vento nell’orchestrazione. L’elaborazione dell’Allegro del Concerto RV 123 offreprobabilmente il momento di maggiore invenzione timbrica di Vivaldiana. Qui lacontinua pulsazione delle quartine di sedicesimi, che nell’originale è per lo piùsuddivisa tra i violini I e II in imitazione, viene scomposta in un prezioso intar-sio timbrico tra flauti, oboi e clarinetti, mentre fagotti e corni la punteggiano conun inciso tratto dalla parte del basso; nel frattempo i violini I (con l’arco) e i vio-lini II (pizzicati) rispondono gli uni agli altri con il motivo di arpeggio discen-dente (bb. 205-213; bb. 1-9 in RV 123).

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Esempio 2a.

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Esempio 2b.

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L’effetto è molto novecentesco, laddove il completamento del periodo inizia-le del movimento riutilizza l’alternanza tra sezioni dell’orchestra e il dialogoconcertante pur con una nettezza di contorni che appare anch’essa sfacciata-mente moderna (bb. 213-225; bb. 9-21 in RV 123).

Nella trascrizione dell’Allegro molto del Concerto RV 126, Malipiero optainvece per una soluzione uniforme per l’intero movimento. La condotta melodi-ca è assegnata ai legni, in particolare a oboi e clarinetti all’unisono (in Vivaldi sidà ai violini I e II all’unisono), con gli archi sempre tutti pizzicati e ridotti a unruolo di sostegno armonico-timbrico così da far suonare il tutto come una viva-ce aria di danza accompagnata da una specie di grande chitarra; in conseguen-za di ciò, le parti originali di viola e di basso sono scomposte e riscritte per ilquintetto orchestrale coll’intento di mantenere una certa leggerezza di tocco.

Esempio 3a.

Esempio 3b.

Malipiero affida peraltro i ricorrenti salti di quinta discendente che compaio-no nella melodia come una sorta d’interpunzione (per esempio alle bb. 272 e274; bb. 4 e 6 di RV 126) non già all’unisono di oboi e clarinetti bensì ai corni: l’ef-fetto della linea spezzata apporta un tocco novecentesco e sottilmente ironico,ulteriormente accresciuto quando ai rintocchi dei corni Malipiero fa immediata-mente seguire, di propria mano, un’imitazione letterale ai fagotti che suonacome uno sberleffo (bb. 286-289; bb. 18-21 di RV 126).

L’analisi mette insomma in luce come nella trascrizione di Vivaldiana conver-gano tecniche di orchestrazione molteplici e di diverse epoche, dal primoSettecento al periodo classico fino alla modernità novecentesca: in tale versionei concerti vivaldiani appaiono proiettati nella dimensione fantastica di unamusica che, dal punto di vista storico e stilistico, non è mai esistita se non nel-l’immaginazione dello stesso Malipiero.

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CONTESTUALIZZAZIONE E PARADOSSI

Dunque gli interventi cui Malipiero sottopone i concerti prescelti in Vivaldianasono solo apparentemente neutri e riferibili alle esigenze di una pura e semplicetrascrizione. Sono piuttosto interventi che, sotto la maschera, tradiscono aneliti eoscure pulsioni: «negli ultimi mesi dell’anno di Grazia 1952, non so per qualeintima reazione mi fu impossibile resistere a certe seduzioni», dichiara del restoil musicista nella nota introduttiva. Alla forza di queste oscure pulsioni va ricon-dotta l’elaborata operazione di smontaggio e rimontaggio, decontestualizzazio-ne e ricontestualizzazione, ripensamento e risignificazione cui Malipiero sottopo-ne gli originali di Vivaldi. Se si somma il criterio antologico, che fa scegliere aMalipiero sei movimenti da altrettanti differenti concerti, all’aggiunta dei fiati,l’esito è una specie di concerto ideale, utopico, un iperconcerto o, se si vuole, un‘concerto dei concerti’ che non è mai esistito: il perfetto concerto di Vivaldi secon-do Malipiero. E a questo punto viene da chiedersi se Vivaldiana non esprima,negli anni che vedono l’avvio della pubblicazione degli opera omnia, anche unaspecie di nostalgia, altrimenti inconfessata e inconfessabile, per il periodo d’an-teguerra in cui Vivaldi era riproposto in varie salse attualizzanti. Sempre inMalipiero le critiche rivolte ai rimaneggiamenti altrui di musiche del passato sot-tintendono l’orgogliosa rivendicazione della qualità artistica e dell’ideale rispet-to degli originali che invece contraddistinguono i suoi personali restauri. Nellamonografia su Vivaldi, tra le «equivoche interpretazioni» cui si è prestata lamusica del Prete rosso, Malipiero cita anche le trascrizioni di Bach ma per diresubito che esse «rispettavano naturalmente lo stile dell’epoca» e che, tagliandocorto con uno di quei suoi tipici cortocircuiti d’intuizione critica, «poi Bach eraBach».23 Lasciando intendere, come sottotesto di quest’ultima affermazione, chedopo tutto, per la dedizione pluridecennale nel restituire la musica del passato eper il talento compositivo, anche Malipiero è Malipiero.

In Vivaldiana sembra che per un attimo il compositore veneziano metta indiscussione, sospendendoli, i presupposti e gli obiettivi che orientano l’edizionedegli opera omnia per lasciare sfogo all’umore incontrollabile e bizzarro dellapropria urgenza ricreativa. In questo attimo, comunque, egli non esita per cosìdire a ridimensionare la portata delle edizioni vere e proprie per fornire accan-to a esse, della stessa musica, una visione parallela, svincolata da eccessivi obbli-ghi nei confronti del testo originale.

Il paradosso, come si accennava, e le ambiguità sono solo apparenti, se sipensa che Malipiero era un compositore che disdegnava la qualifica di musico-logo e ancor di più quella di filologo. Ma al di là dell’attenzione dovuta alle inti-me ragioni di una raffinata poetica creativa, all’estro saturnino e alle impennateimprevedibili di un artista di razza, non si possono trascurare gli aspetti di con-traddizione e di paradosso che Vivaldiana fa scoppiettare intorno a sé anzituttoper la sua contestualizzazione storico-culturale. La partitura, che segna un epi-

23 GIAN FRANCESCO MALIPIERO, Antonio Vivaldi. Il Prete rosso, cit., p. 8.

sodio importante nella recezione di Vivaldi nel Novecento, illumina in pienaevidenza il rapporto come si diceva soggettivo di Malipiero con la figura e lamusica del Prete rosso: quel rapporto che lega, come un filo sospeso sulla storia,il musicista del Novecento a Vivaldi da compositore a compositore, con tutte leambiguità e le compromissioni del caso. Ma al tempo stesso la partitura si col-loca al centro di un complesso intreccio di ruoli e di funzioni (Malipiero compo-sitore e direttore artistico degli opera omnia), personali ragioni di poetica e istan-ze culturali (la necessità di riscrivere la musica antica e quella di approntare edi-zioni più rispettose degli originali rispetto a quelle del recente passato): dunqueal centro di un intreccio tra prospettiva storico-critica e appropriazione sogget-tiva, tra lavoro editoriale e prassi compositiva. E a questo proposito si potrebbeanche ricordare come nella prima metà degli anni Cinquanta si assista a una fasedi transizione stilistica nell’esperienza creativa di Malipiero, non priva di ripen-samenti anche radicali e momenti di crisi.24

Quanto vitale potesse essere il malipieriano gusto del paradosso lo si vedeancora oggi. A oltre mezzo secolo di distanza dalla sua composizione, Vivaldianasembra aver in qualche modo anticipato certe pratiche musicologiche ed esecutiveche ricorrono a varie forme di manipolazione e integrazione delle fonti testuali(anche delle più autorevoli), come testimonia l’accanimento di ricostruzione e/ointegrazione che in anni recenti si è rivolto anzitutto, ma non soltanto, sulle parti-ture operistiche di Vivaldi; pratiche, queste, che implicano spesso un cospicuointervento sugli organici. Basti pensare, per ciò che riguarda l’aggiunta dei fiati alcomplesso degli archi, ad alcuni concerti conservati a Dresda ed eseguiti con l’ag-giunta di parti non originali composte da musicisti dell’orchestra di corte (anzitut-to da Pisendel), oppure a certe versioni «impasticciate» delle Quattro stagioni.

Naturalmente non è nel tentativo di recupero di prassi strumentali antiche –legate a tradizioni esecutive non formalizzate né formalizzabili nella scritturacompositiva oppure a specifiche consuetudini locali – che Vivaldiana può darel’impressione di preconizzare per certi versi queste tendenze odierne (del restoMalipiero, per ovvie ragioni storiche e culturali, si dimostrò insensibile al richia-mo di una prassi esecutiva antica che non fosse quella del proprio immaginariomitico e soggettivo),25 quanto piuttosto nella ritrovata libertà dell’approccio per-formativo (e ricreativo) alla lettera dei testi musicali. Eppure, al di là dell’incol-mabile distanza che separa nei presupposti e nelle finalità il mondo di Malipierodalle attuali tendenze della prassi esecutiva, il contenuto di profezia riscontra-bile in Vivaldiana non appare meno suggestivo.

Chissà quale sarebbe la reazione di Malipiero, se oggi potesse ascoltare qual-cuna di queste rinnovate, «equivoche interpretazioni». Forse l’accoglierebbe conuna delle sue sferzanti battute di spirito; forse, invece, si limiterebbe a sorride-re, riconoscendovi soltanto l’ennesima prova dell’assenza nella storia di qualsia-si razionalità e coerenza.

24 JOHN C. G. WATERHOUSE, La musica di Gian Francesco Malipiero, cit., pp. 185-227.25 Si veda ancora FRANCESCO DEGRADA, Malipiero e la tradizione musicale italiana, cit., pp. 147-148.

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