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63. Scheda storico-artistica L’opera proviene dall’altare mag- giore della chiesa delle monache agostiniane di San Daniele, costru- ito intorno al 1663, come registra l’edizione di Giustiniano Marti- nioni della Venezia città Nobilis- sima (Sansovino, Martinioni 1663, p. 23). La realizzazione della pala, a partire da Giuliano Briganti è messa in relazione con tale avve- nimento. Dipinta probabilmen- te a Roma, viene commissionata dell’abbadessa Foscarina Diedo, ipotesi avanzata da Narciso Fab- brini e ripresa concordemente dalla critica (Briganti 1962, p. 266, n. 139; Moschini Marconi 1970, pp. 138-139), in carica dal 1665 al 1658 e poi nel 1666 e 1672. Il pittore avrebbe ottenuto la com- missione attraverso i suoi rapporti con Nicolò Sagredo, ambasciatore della Serenissima a Roma (F abbri- ni 1896, pp. 135-136). Di questa composizione esistono alcuni disegni di mano del maestro e copie. Il primo di questi (Cam- bridge, Massachusetts, Harvard Art Museums - Fogg Museum, n. 1958.286), è uno studio autografo, di straordinaria freschezza e rapidi- tà esecutiva, per l’Angelo che indica l’Eterno (Morgan, Oberhuber, Bober 1988, p. 60, cat. 59). Esi- stono poi un disegno parziale con la figura di Daniele (Parigi, Musée du Louvre, Cabinet des dessins, inv. 550r) e uno con l’intera com- posizione, entrambi molto fede- li al dipinto veneziano (Londra, Victoria and Albert Museum, n. DYCE.212); ritenuti autografi da Briganti (1962, p. 266, n. 139) sono poi riconsiderati come copie da Walter Vizthum (1963, p. 50), seguito dalla critica successiva. Torniamo al dipinto che possia- mo apprezzare al meglio a segui- to del lungo intervento realizzato nell’ambito di Restituzioni. Pietro da Cortona lo realizza su un unica grande pezzatura di tela proceden- do con tecnica esecutiva rapidissi- ma e con frequenti ripensamenti in corso d’opera, taluni resi pur- troppo visibili (anche a occhio nudo), a seguito di puliture ag- gressive del passato. Ci riferiamo, ad esempio, al globo e al putto po- stovi dietro, inizialmente ipostati più in alto, o alla testa del leone dietro Daniele, originariamente rivolto verso lo spettatore, o infine alla testa del leone in primo pia- no di cui si intravede l’emersione di un diverso posizionamento del naso (si vedano le riflettografie). L’elegante cromatismo è intonato su colori freddi, sapientemente ac- costati, mentre sono espunti dalla tavolozza quelli caldi e squillanti (i rossi, i gialli). La cromia è ridotta, localmente quasi al monocromo, un timbro basso e cupo, che do- mina la metà inferiore, si va poi rialzando, senza eccessi, verso la metà superiore dove irrompe la visione sovrannaturale, accompa- gnata da un coro angelico in una luce dorata. È plausibile che l’opera giunga in chiesa ad altare ultimato rendendo necessari locali decurtazioni, per agevolarne il collocamento nell’e- dicola marmorea (dove capitello e cornice dell’ordine dovevano essere sporgenti). Sono emerse in- fatti tracce di due ampie lacune, poste all’altezza dell’attacco della centina (a destra di chi guarda), e frammenti di tela originale dipinta, adiacenti ad esse, con tracce di in- cisioni nette e di chiodature. Men- tre una parte di tela originale vie- ne eliminata, creando le lacune, i frammenti citati vengono ripiegati e inchiodati sul telaio sagomato per assecondare, in negativo, la forma Pietro da Cortona (Cortona, Arezzo, 1596 - Roma, 1669) Daniele nella fossa dei leoni 1663 ca tecnica/materiali olio su tela dimensioni 440 × 223 cm provenienza Venezia, chiesa di San Daniele collocazione Venezia, Gallerie dell’Accademia (cat. 754) scheda storico-artistica Giulio Manieri Elia relazione di restauro Isabella Bellinazzo, Alessandra Zambaldo restauro Isabella Bellinazzo, Alessandra Zambaldo; con la collaborazione di Giorgia Busetto, Barbara Bragato (fasi di stuccatura e ritocco) con la direzione di Giulio Manieri Elia (Gallerie dell’Accademia); direzione tecnica: Maria Chiara Maida (Gallerie dell’Accademia) indagini Serena Bidorini, Ornella Salvadori (Gallerie dell’Accademia) Fotografia di Tomaso Filippi, 1910, Archivio Fotografico Gallerie dell’Accademia di Venezia Fotografia storica, a conclusione del restauro di Giuseppe Arrigoni, 1955, Archivio Fotografico Gallerie dell’Accademia di Venezia

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Scheda storico-artistica

L’opera proviene dall’altare mag-giore della chiesa delle monache agostiniane di San Daniele, costru-ito intorno al 1663, come registra l’edizione di Giustiniano Marti-nioni della Venezia città Nobilis-sima (Sansovino, Martinioni 1663, p. 23). La realizzazione della pala, a partire da Giuliano Briganti è messa in relazione con tale avve-nimento. Dipinta probabilmen-te a Roma, viene commissionata dell’abbadessa Foscarina Diedo, ipotesi avanzata da Narciso Fab-brini e ripresa concordemente dalla critica (Briganti 1962, p. 266, n. 139; Moschini Marconi 1970, pp. 138-139), in carica dal 1665 al 1658 e poi nel 1666 e 1672. Il pittore avrebbe ottenuto la com-missione attraverso i suoi rapporti con Nicolò Sagredo, ambasciatore della Serenissima a Roma (Fabbri-ni 1896, pp. 135-136).Di questa composizione esistono alcuni disegni di mano del maestro e copie. Il primo di questi (Cam-bridge, Massachusetts, Harvard Art Museums - Fogg Museum, n. 1958.286), è uno studio autografo, di straordinaria freschezza e rapidi-tà esecutiva, per l’Angelo che indica l’Eterno (Morgan, Oberhuber, Bober 1988, p. 60, cat. 59). Esi-stono poi un disegno parziale con la figura di Daniele (Parigi, Musée du Louvre, Cabinet des dessins,

inv. 550r) e uno con l’intera com-posizione, entrambi molto fede-li al dipinto veneziano (Londra, Victoria and Albert Museum, n. DYCE.212); ritenuti autografi da Briganti (1962, p. 266, n. 139) sono poi riconsiderati come copie da Walter Vizthum (1963, p. 50), seguito dalla critica successiva. Torniamo al dipinto che possia-mo apprezzare al meglio a segui-to del lungo intervento realizzato nell’ambito di Restituzioni. Pietro da Cortona lo realizza su un unica grande pezzatura di tela proceden-do con tecnica esecutiva rapidissi-ma e con frequenti ripensamenti in corso d’opera, taluni resi pur-troppo visibili (anche a occhio nudo), a seguito di puliture ag-gressive del passato. Ci riferiamo, ad esempio, al globo e al putto po-stovi dietro, inizialmente ipostati più in alto, o alla testa del leone dietro Daniele, originariamente rivolto verso lo spettatore, o infine alla testa del leone in primo pia-no di cui si intravede l’emersione di un diverso posizionamento del naso (si vedano le riflettografie). L’elegante cromatismo è intonato su colori freddi, sapientemente ac-costati, mentre sono espunti dalla tavolozza quelli caldi e squillanti (i rossi, i gialli). La cromia è ridotta, localmente quasi al monocromo, un timbro basso e cupo, che do-mina la metà inferiore, si va poi rialzando, senza eccessi, verso la

metà superiore dove irrompe la visione sovrannaturale, accompa-gnata da un coro angelico in una luce dorata.È plausibile che l’opera giunga in chiesa ad altare ultimato rendendo necessari locali decurtazioni, per agevolarne il collocamento nell’e-dicola marmorea (dove capitello e cornice dell’ordine dovevano essere sporgenti). Sono emerse in-

fatti tracce di due ampie lacune, poste all’altezza dell’attacco della centina (a destra di chi guarda), e frammenti di tela originale dipinta, adiacenti ad esse, con tracce di in-cisioni nette e di chiodature. Men-tre una parte di tela originale vie-ne eliminata, creando le lacune, i frammenti citati vengono ripiegati e inchiodati sul telaio sagomato per assecondare, in negativo, la forma

Pietro da Cortona(Cortona, Arezzo, 1596 - Roma, 1669)Daniele nella fossa dei leoni1663 ca

tecnica/materiali olio su tela

dimensioni 440 × 223 cm

provenienza Venezia, chiesa di San Daniele

collocazione Venezia, Gallerie dell’Accademia (cat. 754)

scheda storico-artistica Giulio Manieri Elia

relazione di restauro Isabella Bellinazzo, Alessandra Zambaldo

restauro Isabella Bellinazzo, Alessandra Zambaldo; con la collaborazione di Giorgia Busetto, Barbara Bragato (fasi di stuccatura e ritocco)

con la direzione di Giulio Manieri Elia (Gallerie dell’Accademia); direzione tecnica: Maria Chiara Maida (Gallerie dell’Accademia)

indagini Serena Bidorini, Ornella Salvadori (Gallerie dell’Accademia)

Fotografia di Tomaso Filippi, 1910, Archivio Fotografico Gallerie dell’Accademia di Venezia

Fotografia storica, a conclusione del restauro di Giuseppe Arrigoni, 1955, Archivio Fotografico Gallerie dell’Accademia di Venezia

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Dopo il restauro

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del capitello e della cornice archi-tettonica. Anche sul lato opposto della pala, circa alla medesima al-tezza, una linea incisa, leggermen-te in diagonale ripetto al bordo del dipinto, potrebbe essere anch’essa traccia di una necessario adatta-

mento. In occasione del restauro di Giuseppe Florian, di cui a breve, i frammenti originali nascosti ven-gono riportati in luce. Due altri cambiamenti antichi di formato si registrano sulla tela: un inserto postro al vertice della

pala (di 5 × 67 cm) e una striscia di tela alla base (di 13 × 223 cm). Quest’ultimo inserto obbliga alla revisione della composizione; il le-one in primo piano, concepito in una prima versione (emersa dalle indagini riflettografiche di cui so-no grato a Ornella Salvadori e Se-rena Bidorini) con testa più piccola e zampe poste entro il limite della cucitura di giunta, viene ingran-dito. Le indagini riflettografiche hanno inoltre documentato ulte-riori cambiamenti eseguiti in corso d’opera e l’utilizzo di una tela ab-bozzata con una figura di giovane, emerso proprio sotto il Padre Eter-no, impostato in senso ortogonale rispetto all’attuale figurazione (si veda la riflettografia con il partico-lare del Padre Eterno).La più antica descrizione dell’opera sull’altare spetta a Marco Boschini (1664, p. 154), presto seguito da Giacomo Barri (1671, p. 54). Im-mediato fu il successo dell’opera, come testimoniano le due inci-sioni che gli vengono dedicate. La prima, realizzata in controparte, è l’acquaforte di Pietro Santi Barto-li, la successiva di Agostino Della Via, nel verso corretto, viene inseri-ta nel volume di Domenico Lovisa

(1709, II, n. 123). Pala e quest’ul-tima incisione sono ricordate da Anton Maria Zanetti nel 1733 e nel 1771 (Zanetti 1733, p. 202; Zanetti 1771, pp. 513 e 557). L’apprezzamento dell’immagine è anche testimonianta dall’esistenza di più versioni pittoriche: di for-mato ridotto è una copia all’Uni-versity Art Museum di Princeton (olio su tela, 69,3 × 34,7 cm), una seconda nel Museo Diocesano di Ancona e l’ultima, di qualità apparentemente superiore e con l’immagine eseguita su formato rettangolare, è nella chiesa dei Cap-puccini di Quarto.Prima della definitiva rimozione dall’altare, l’opera subisce danni antropici testimoniati da una serie continua e persistente di fori che, di-sposti parallelamente alla linea della centina (a circa 6 cm dal bordo del dipinto) ed emersi durante l’attuale pulitura (fig. 7), potrebbero ascri-versi ad antiche chiodature apposte per sostenere parati decorativi in occasione di festività. Demanializ-zata la chiesa, il 28 luglio 1806 (e poi demolita nel 1839), il dipinto viene condotto in deposito nell’ex Commenda di Malta e da qui alle Gallerie dell’Accademia, solo nel

Prima del restauro

Riflettografia, particolare con il leone

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Riflettografia, particolare con l’angelo che indica il Padre Eterno Riflettografia, particolare con il Padre Eterno

Dopo il restauro, particolare con gli angeli

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1829 (Moschini Marconi 1955, pp. 138-139; Franzoi, Di Stefano 1976, pp. 519-520; Zorzi 1977, II, p. 326). La ragione del ritardo può essere ascritta a motivi conservativi e a carenza di spazio espositivo; il dipinto, dopo essere stato restaurato da Giuseppe Florian, viene colloca-to in uno dei grandi saloni (attuale n. X) costruiti per dare respiro alla collezione. Il preventivo di Florian viene redatto il 20 ottobre 1828 (ASABAVe, Atti 1828, b. 31) ma l’intervento tarda ad avviarsi e, due anni dopo, l’opera risulta ancora tra quelle da restaurare in una lista re-datta da Antonio Diedo (ASABAVe, Atti 1830, b. 35, n. 159). L’istituto fa pressioni crescenti per la conclu-sione dei lavori: nel dicembre 1830 e il 23 febbraio 1831, giungendo a minacciare di escludere Florian dall’elenco dei pittori restauratori (ASABAVe, Ristauro quadri della Pinacoteca Accademica 1821-37, b. 56, n. 42). Ciò non è sufficiente; in-torno alla metà di luglio il dipinto, che apprendiamo necessita di esse-re foderato e intelaiato, risulta non ancora restaurato e conservato su rullo (ibidem, inserta s.d. in doc. n. 205). La presidenza accademica, che si riserva di procedere per vie legali, concede un ultimo mese a Florian, scaduto il quale, si sarebbe presenta-ta istanza per la radiazione dall’isti-tuto (ibidem, doc. n. 205). La storia minuta di antica ina-dempienza, aggiunge un elemen-to importante per la conoscenza conservativa dell’opera che, fragile nell’adesione degli strati pittorici (tanto da determinarne la foderatu-ra), permane per almeno un anno collocata su rullo. Tale condizione potrebbe aver agevolato fenomeni di degrado, ci riferiamo, in partico-lar modo, ad alcune aree omogenee di pigmento caratterizzate da effetti di micro cadute, fitte e persistenti, emerse durante la pulitura. Si distri-buiscono, ad esempio, sui massimi scuri del mantello blu di Daniele, in alcune parti della veste di mede-simo colore di uno angelo a sinistra, sulle nubi sopra il protagonista o sulla vegetazione sotto l’arco (fig. 7). Da ascriversi ancora a disatten-Dopo il restauro, particolare con san Daniele e il leone

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zione conservativa sono una serie di cadute nella pellicola pittorica, anch’esse emerse con la pulitura, distribuite ordinatamente secondo due linee parallele verticali e due al-tre orizzontali (distanti tra loro 13,5 cm), che si intersecano al centro del dipinto. È credibile che tali lacune, che riprendono l’andamento delle traverse ortogonali del telaio, siano state create perché la tela, a lungo non tensionata, le colpiva.Daniele nella fosse dei leoni entra, ul-timato infine l’intervento di Florian, nel percorso espositivo delle Galle-rie, documentato dal 1835 (Guida 1835, p. 27). Permane appeso sulle pareti in questa collocazione, senza alcun moderno criterio museogra-fico, per circa sessant’anni prima di essere rimosso, in occasione del primo riallestimento condotto, se-condo criteri scientifici dettati dalla nuova disciplina storico-artistica, da Giulio Cantalamessa tra 1894-1895. Nell’intento di diradare l’e-sposizione e disporre i dipinti su di un solo livello, superando la distri-buzzione ‘a quadreria’, Cantalames-sa è costretto a sacrificare opere verso le quali mostra minore interesse cri-tico come il capolavoro cortonesco (Venezia, Archivio Polo Museale del Veneto, Archivio delle Gallerie dell’Accademia, Carte Vecchie, II b., G. Cantalamessa, Relazione sull’ordi-namento delle RR. Gallerie, lettera al Ministero della Istruzione Pubblica, 28 gennaio 1895).Una fotografia di Tomaso Filippi, eseguita il 5 febbraio 1910 (Vene-zia, Archivio IRE, Archivio Filip-pi, Registro commissioni contabili, b. 5, p. 42), amplia, con il nuovo secolo, la nostra conoscenza del di-pinto e ci testimonia la rettifica del formato della pala da centinato a rettangolare, com’era d’uso fare sui dipinti che venivano esposti nelle Gallerie, ad opera di Florian. Veniamo al restauro successivo, che precede l’attuale e spetta a Giusep-pe Arrigoni. Vittorio Moschini e Francesco Valcanover danno sin-tetica ragione dell’intervento alla «generale ossidazione» del dipinto (Venezia, Gallerie dell’Accademia, Archivio restauri, scheda n. 87). Il

restauratore, nel preventivo del 10 giugno 1955, completa le infor-mazioni, ricordando che l’opera necessita di «foderatura con ap-plicazione delle fasce di rinforzo ai bordi. Pulitura e rimozione vecchi restauri alterati, stuccatura, nuovi restauri e verniciatura» (Lurano, Bergamo, Associazione Giovanni Secco Suardo, Archivio storico na-zionale e banca dati dei restauratori italiani, Archivio Giuseppe Arrigoni, faldone 13, n. 3, doc. 5; ringrazio l’Archivio storico nazionale e ban-ca dati dei restauratori italiani). La pulitura parrebbe piuttosto drasti-ca e ampia la revisione pittorica che ne consegue. Viene alterata, solo per dare un’idea, l’altezza dei due gradini in primo piano, abbrasa la superficie dipinta sotto il mantello del santo, rendendo quasi illeggibi-le il plinto su cui è seduto. Si con-frontino in proposito la fotografia del 1910 e quella eseguita a conclu-sionde dell’intervento di Arrigoni. Quest’ultimo reintegra infine il formato centinato eliminando il completamento dei peducci.Il restauro attuale, descritto di se-guito, ha visto uno straordinario recupero, ottenuto mediante un lungo lavoro di pulitura e di ritoc-co pittorico, che, asportando uno spesso strato di vernice alterata e gli ampi ritocchi fuori tono coprenti, ha reintegrato l’elegante croma-tismo e il corretto equilibrio nei rapporti tra campiture, restituen-do profondità alla scena. L’opera, dopo molti anni, verrà a breve rein-serita nel percorso di visita delle Gallerie dell’Accademia, nel nuovo allestimento delle sale terrene.

BibliografiaSansovino, Martinioni 1663, p. 23; Boschini 1664, p. 154; Barri 1671, p. 54; Lovisa 1709, II, n. 123; Zanetti 1733, p. 202; Zanetti 1771, pp. 513 e 557; Giuda 1835, p. 27; Fabbrini 1896, pp. 135-136; Moschini Marconi 1955, pp. 138-139; Briganti 1962, p. 266, n. 139; Vizthum 1963, p. 50; Mo-schini Marconi 1970, pp. 138-139; Franzoi, Di Stefano 1976, pp. 519-520; Zorzi 1977, II, p. 326; Morgan, Oberhuber, Bober 1988, p. 60, cat. 59.

Relazione di restauro

Tecnica artistica, stato di conservazione e interventi precedentiLa grande pala d’altare presentava un degrado legato prevalentemente alle tecniche esecutive e al naturale deterioramento dei materiali so-prammessi nei precedenti interventi di restauro. La lettura dell’immagine e dei suoi valori cromatici originali apparivano completamente alterati per lo stato di generale ingiallimento e sbiancamento degli strati di pro-tettivo e dei materiali di consolida-mento di restauro ossidati posti sulla superficie; a questi si aggiungevano: il disturbo generato da piccoli e dif-fusissimi ritocchi alterati distribuiti ‘a macchia di leopardo’ (si veda la

veste blu dell’angelo in alto a sini-stra e la vegetazione) e vaste aree di ripresa pittorica fortemente virate (si veda soprattutto il manto blu di san Daniele e tutto il bordo della centina per una fascia di circa 15 cm; fig. 1). Sotto lo strato semitrasparente, inol-tre, si osservava una generale consun-zione della materia pittorica dovuta a passati interventi aggressivi di pu-litura. Questi ultimi hanno anche gravemente compromesso la strut-tura cromatica con la rimozione di velature finali, soprattutto riguardo alle campiture di intonazione bruna, e favorito l’affioramento di numero-sissimi pentimenti originali.Uno studio approfondito – con-dotto attraverso analisi ravvicinata dell’opera (in luce riflessa, radente e utravioletta), indagini diagnostiche

1. Prima del restauro, particolare con san Daniele

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in infrarosso (eseguite da Ornella Salvadori e Serena Bidorini, Gallerie dell’Accademia di Venezia, con foto-camera Osiris Opus Frestaments), ricerca dei documenti archivistici e fotografici (condotta da Giulio Ma-nieri Elia) – ha permesso di ricostru-ire una storia conservativa travagliata fin dalla primissima esecuzione (fig. 2 e immagini riflettografiche non numerate in scheda storico artistica).Il dipinto è realizzato a olio su una tela, composta da una vela unica di tessuto spesso (con rapporto trama-ordito 1:1), originariamente ancorato a un telaio ligneo munito di crociera, la cui battuta è ancora visibile sul fronte, come rilevabile dalla forma di alcune vecchie lacu-ne stuccate.

La pittura è eseguita di getto con continui ripensamenti e sposta-menti di parti nelle figurazioni (si vedano i numerosi pentimenti af-fioranti e le riprese in infrarosso), ed è realizzata su una preparazio-ne di colore bruno-rossastro che traspare intenzionalmente in più punti, dato l’uso di pennellate sot-tili e trasparenti prive di spessori di materia. La tavolozza è fredda, ricca di gradazioni violette di chi ha consuetudine con la tecnica ad af-fresco, come denota la stessa com-posizione in tre registri sovrapposti a fascia orizzontale che ricordano le ‘giornate’ di lavoro proprie dell’ese-cuzione pittorica su muro.Attualmente il supporto tessile si presenta foderato ‘alla veneta’ con

una doppia tela, tipo patta, fine della medesima grammatura; sulla centina e lungo tutto il lato inferio-re sono stati individuati due sottili innesti a fascia (a trama levantina, con rapporto trama-ordito 1:2) posti come ingrandimento del supporto originale. Tali aggiunte non sono cucite ma incollate sotto la pezzatura maggiore per circa 10 cm, sia nel lato inferiore che supe-riore. Sul fronte, in corrisponden-za dell’innesto inferiore, è dipinta l’alzata di un gradino e la rifletto-grafia ha evidenziato un generale ripensamento delle dimensioni del leone frontale, posto a fianco di san Daniele: si tratta probabilmente di una revisione del formato dell’o-pera in una fase di adattamento

strutturale all’altare. Le due stesse grandi lacune alla base della cen-tina, assieme ad alcuni coincidenti segni superficiali che disegnano la forma di un capitello, sono ricon-ducibili a questo allestimento.La tessitura del supporto origi-nale appare fortemente impressa sul fronte con linee ben definite, che corrono orizzontalmente e soprattutto verticalmente, in cor-rispondenza ai punti di maggiore spessore del filato. Questa forte impronta della tramatura sulla pellicola pittorica e l’estremo ap-piattimento delle scabrosità di su-perficie sono imputabili alle stira-ture durante le foderature eseguite nei due restauri documentati nei secoli scorsi.

3. Durante il restauro, particolare della veste di san Daniele, tassello di pulitura 2. Prima del restauro, particolare ai raggi UV della veste di san Daniele

4. Prima del restauro, particolare degli angeli 5. Durante il restauro, particolare degli angeli, tassello di pulitura

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L’opera mantiene complessivamen-te una buona planarità e tensione garantita da una struttura lignea centinata che è ancora estensibile nonostante alcuni difetti struttu-rali dovuti alla costruzione con il riassemblaggio di elementi di recu-pero pertinenti ai precedenti telai lignei. Il telaio è infatti composto da assi di diverso spessore e larghez-za (mediamente 2-3 cm di spessore per 20-22 cm di larghezza); ha una centina formata dall’incastro e in-collaggio di otto elementi sagoma-ti, due traverse e un’asse di base di risulta con la battuta interna chio-data e quella esterna spessorata.In corrispondenza degli incastri a forcella, con apertura tramite doppia pendola, sono presenti dei rinforzi di essenza lignea diversa, applicati probabilmente nel corso

del restauro di Giuseppe Arrigoni del 1955, posti a rinforzo e mi-glioramento della stabilità. In par-ticolare l’asse di rinforzo collocata presso l’angolo sinistro si estende dalla base fino alla prima traversa per la presenza di un innesto con incastro a mezzo legno a 50 cm circa dalla base, che provoca una leggera deformazione con imbar-camento dello stesso lato. Presso lo stesso angolo inferiore sinistro era presente una fessurazione lignea che causava una deformazione con spanciamento del supporto tessile. Sopra la testa di san Daniele si rile-vava un’inflessione del supporto di forma circolare e soprattutto lungo i margini si notavano diffuse lacu-ne di colore con supporto a vista.

Intervento di restauroIl retro è stato pulito con pennelli a setola morbida e aspirazione a bas-sa pressione mentre il telaio ligneo è stato trattato con antitarlo a base di permetrina. Le fessurazioni sono state risanate con incollaggi di resina vinilica e riempimenti con stucco a base epossidica, Balsite K. Sulle superfici del telaio è stata applica-ta cera d’api per limitare gli scambi igrometrici del legno con l’ambiente di conservazione. Le biette mancanti sono state integrate e si è provveduto al controllo della funzionalità delle aperture angolari tramite lo sblocco dei rinforzi e successiva registrazione della tensione generale del supporto e nuova chiusura dei blocchi.La tela, in corrispondenza della fessurazione angolare del telaio, è stata schiodata per permettere il ri-

sanamento della crepa tramite ade-sivo vinilico. Sui bordi di tessuto svincolato sono stati incollati, con adesivo Beva O:F: gel, falsi margini di tela in poliestere. Una volta recu-perata la deformazione strutturale angolare si è proceduto al tensiona-mento del margine sul telaio.La deformazione concava del sup-porto individuata sopra la testa di Daniele è stata riappianata tramite umidificazioni ripetute lasciate cicli-camente in forma con piastre metalli-che coperte da veline di carta giappo-nese e calamite, in modo da esercitare una leggera pressione per ripristinare la planarità. Sulla superficie dipinta sono stati realizzati test di solubilità per stabilire la sostanza idonea alla ri-mozione degli strati di resina ossidati e delle riprese pittoriche alterate. La fase di pulitura è stata costantemente

6. Durante il restauro, particolare della centina con tassello sporco

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controllata mediante ingrandimenti e indagine in ultravioletto per veri-ficare la corretta eliminazione degli strati da rimuovere. Al fine di realizzare un interven-to equilibrato tra le diverse aree dell’opera, dato l’evidente squi-librio esistente per le cause di cui

si è fatto cenno, è stata eseguita una pulitura graduale con sostanze differenziate (figg. 3-6): un primo passaggio è stato fatto tramite ap-plicazioni di gel a base di alcool etilico, alcool benzilico e acetone, rimosso a tampone con acetone, al fine di asportare in modo selettivo

gli strati di pulviscolo e la resina naturale pigmentata presente sulla superficie e di solubilizzare parzial-mente i ritocchi alterati a vernice/olio non invecchiato; un secondo passaggio con solvent gel, a base di acido citrico, tritanolammina e acqua demineralizzata, asportato a tampone con acetone, ha permesso di rifinire la pulitura rimuovendo i residui di ritocco e uno strato proteico di colore grigio dovuto a spessi resti di consolidanti e colle naturali riconducibili a fasi di ve-linature, fermature e foderature passate.Le stuccature di maggiore estensio-ne, in particolare le due alla base della centina sul lato destro sog-gettivo, sono state asportare con impacchi di acqua demineralizzata e mezzi meccanici.La pulitura ha evidenziato sulla su-perficie due tipi di riprese pittori-che realizzate in tempi diversi: una prima più puntuale posta su aree di abrasione, su preparazione affio-rante e su stuccature di gesso e colla di colore chiaro più antiche; una seconda più recente molto debor-dante sull’originale e su stuccature di colore bruno rossastro simile alla preparazione.Le lacune sulla pellicola pittorica sono state stuccate con gesso di Bologna e colla di coniglio legger-mente pigmentata addizionata a fungicida, e lisciate in modo da ri-proporre una superficie con anda-

mento simile all’originale (fig. 7). Sulle stuccature sono state quindi realizzate velature ad acquerello, soprattutto in corrispondenza delle campiture scure, al fine di limita-re l’affioramento della base bianca delle stuccature e ricreare una ri-frazione più similare alla prepara-zione scura del dipinto. Gli stucchi in corrispondenza degli incarnati e del fondo chiaro non sono stati invece trattati ad acquerello al fine di limitare, nel corso del successivo ritocco a vernice, l’uso del pigmen-to bianco sfruttando il tono dello stucco.La verniciatura preliminare è stata realizzata con la sovrapposizione leggera a tampone di un film a base di vernice per ritocco Royal Talens. La reintegrazione pittorica è stata effettuata con colori vernice. Si è optato per l’integrazione a mimeti-co per le micro-lacune e, per le la-cune di maggiori dimensioni, per un intervento differenziato a pun-tinismo identificabile solo a una di-stanza ravvicinata. La verniciatura finale è stata realizzata mediante nebulizzazioni di vernice Regalrez 1094, che garantisce una maggio-re resistenza ai raggi ultravioletti e all’alterazione (fig. 8).

7. Durante il restauro, stuccatura

8. Dopo il restauro, centina

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Abbreviazioni

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