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4° Conferenza Nazionale del Gruppo del Colore Como Politecnico di Milano – Polo di Como Aula Conferenze di Via Castelnuovo, 7 17-19 settembre 2008 La riproduzione di opere d’arte può essere considerata un’opera d’arte essa stessa, in qualità di tecnica artistica dipende dal periodo storico nella quale è realizzata e dagli strumenti tecnici usati nel produrre “copie”. La fotografia è un linguaggio nel quale l’oggetto d’arte viene trascritto: piuttosto che servirsi del concetto di copia sarebbe più adeguato fare riferimento a quello di “traduzione” (a supporto di ciò non possono non essere richiamati gli importanti contributi teorici di Ettore Spalletti e Massimo Ferretti). Indubbiamente l’immagine prodotta dalla fotografia non è l’oggetto reale, ma altrettanto indubitabilmente essa può fornire alcune informazione dell’oggetto reale, sebbene alterando alcune sue caratteristiche. Il colore è una caratteristica che più facilmente di altre è soggetta ad essere alterata. Sfogliando alcune pubblicazioni d’arte di differenti momenti del Novecento si può facilmente notare come i colori delle riproduzioni dei dipinti siano cambiati di anno in anno. Le modificazione dell’apparenza cromatica delle immagini d’arte possono essere imputate a due principali cause: 1) lo sviluppo delle tecnologie di ripresa fotografica e di stampa 2) le metodologie e le tecniche messe in atto nel restauro d’arte.

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4° Conferenza Nazionale del Gruppo del Colore

ComoPolitecnico di Milano – Polo di Como

Aula Conferenze di Via Castelnuovo, 7 17-19 settembre 2008

La riproduzione di opere d’arte può essere considerata un’opera d’arte essa stessa, in qualità di tecnica artistica dipende dal periodo storico nella quale è realizzata e dagli strumenti tecnici usati nel produrre “copie”.

La fotografia è un linguaggio nel quale l’oggetto d’arte viene trascritto: piuttosto che servirsi del concetto di copia sarebbe più adeguato fare riferimento a quello di “traduzione” (a supporto di ciò non possono non essere richiamati gli importanti contributi teorici di Ettore Spalletti e Massimo Ferretti).

Indubbiamente l’immagine prodotta dalla fotografia non è l’oggetto reale, ma altrettanto indubitabilmente essa può fornire alcune informazione dell’oggetto reale, sebbene alterando alcune sue caratteristiche.

Il colore è una caratteristica che più facilmente di altre è soggetta ad essere alterata. Sfogliando alcune pubblicazioni d’arte di differenti momenti del Novecento si può facilmente notare come i colori delle riproduzioni dei dipinti siano cambiati di anno in anno.

Le modificazione dell’apparenza cromatica delle immagini d’arte possono essere imputate a due principali cause:

1) lo sviluppo delle tecnologie di ripresa fotografica e di stampa

2) le metodologie e le tecniche messe in atto nel restauro d’arte.

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Le origini del problema della riproduzione a colori delle opere d’arte si possono far risalire alle tecniche di stampa litografiche in tricromia e quadricromia sviluppate da Jacob Christoph Le Blond intorno alla metà del XVIII secolo.

Le scomposizioni cromatiche in lastre rosse, gialle e blu erano realizzate da Le Blond in modo empirico, in molti casi il risultato finale necessitava di ripassature a mano per correggere le imperfezioni.

Di li a pochi anni fecero i primi passi le tecniche fotografiche di produzione e riproduzione di immagini.

La fotografia stese un velo sopra il colore delle opere d’arte, riprodotte per un secolo circa e per la maggior parte in toni di grigio.

Alcuni appunti di critica d’arte

Fin dai primi anni del XX secolo importanti storici dell’arte, come B. Berenson o A. Venturi, hanno scritto a proposito dell’utilizzo delle riproduzioni nel campo della ricerca artistica, ma riferendosi esclusivamente alle tecniche in bianco e nero.

Nel 1905 lo scienziato e inventore C. Bonacini scrisse: “Intanto non v’è chi non veda quanto larga e benefica influenza l’eliocromia potrà esercitare nel campo artistico, in quanto viene a permettere la divulgazione delle opere d’arte nei loro colori”.

Corrado Ricci “sul nostro tavolo potemmo per essa confrontare scolture, pitture e disegni che si trovano a Pietroburgo come a Madrid, a Palermo come a Londra e se per la pitture avremo a lamentare la mancanza di colorito, in compenso qualche volta la fotografia ci rivelerà parti di pitture che la distanza o la deficienza di luce ci aveva impedito di scorgere a perfezione”.

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Nel 1946 M. J. Friedlander scrisse che le fotografie dovrebbero essere utilizzate “per destare e rafforzare il ricordo degli originali, ma, per quanto è possibile, escluderle dall’indagine critica”; precisa poi che “le fotografie a colori devono essere usate con molta diffidenza”.

R. Longhi a cavallo della metà del secolo fu uno dei pochi critici a considerare l’importanza di realizzare accurate riproduzioni a colori di opere d’arte. In alcuni articoli scrisse infatti che l’occhio del critico può essere educato a valersi delle nuove tecnologie fotografiche come si è educato alle fotografie in bianco e nero. Longhi già allora si spinse a sostenere che negli anni a seguire le più importanti pubblicazioni d’arte e le lezioni universitarie sarebbero state illustrate con immagini a colori.

Nel 1963 E. Wind scrisse che le riproduzioni in bianco e nero “sono paragonabili ad un’accurata trascrizione per pianoforte di una partitura scritta per orchestra; la stampa a colori, tranne rare eccezioni, è invece come un’orchestra ridotta con tutti gli strumenti stonati”.

Nel 1861 James Clerk Maxwell realizzò la prima fotografia a colori usando tre diverse selezioni negative in bianco e nero attraverso filtri colorati (rosso, verde e blu) e proiettando le diapositive attraverso le stesse luci colorate, sovrapponendo le immagini l’una all’altra.

Questo processo è stato in seguito ulteriormente migliorato da Luois Ducos du Hauron e Charles Cros.

Du Hauron adattò il processo della stampa al carbone al colore mediante l’uso di pigmenti complementari alle luci di ripresa, al fine di ottenere immagini stampate, a partire dal 1868 circa.

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Due differenti riproduzioni di una delle prime fotografie a colori realizzate da Louis Ducos du Hauron nel 1877.

bordi colorati

L’immagine a colori è ottenuta componendo in modo digitale i files ottenuti dalla scansione dei tre negativi di selezione su lastre di vetro realizzati tra il 1905 e il 1915 da Sergei Mikhailovich Prokudin-Gorskii

La ricomposizione digitale e il ritocco delle immagini (contrasto, grado di separazione dei colori, eventuali danni delle emulsioni) sono stati realizzati dallo staff della Library of Congress di Washington D. C.

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Tiziano, La Bella, 1536, Firenze, Galleria Palatina.

L’immagine è stata scansionata da A. Springer, Il Rinascimento in Italia,Istituto d’Arti Grafiche, Bergamo 1909.

Nel 1873 l’Istituto d’Arti Grafiche di Bergamo cominciò a pubblicare libri d’arte. Le immagini colorate erano spesso le stesse già pubblicate alcuni anni prima dagli editori di Dresda Römmler & Jonas

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Tiziano, La Bella, 1536, Firenze, Galleria Palatina.

Rodolfo Namias, un importante scienziato e fotografo, nell’edizione del 1911 del suo manuale di fotografia a colori, I processi odierni per la fotografia dei colori, spiegò il processo autochrome nel dettaglio menzionando l’attività del fotografo d’arte Adolphe Braun.

Adolphe Braun aveva adottato le nuove lastre fotografiche per la riproduzione dei capolavori di Rembrandt, Hals, Greuze, Corot e altri artisti del museo del Louvre, ottenendo risultati magnifici e “perfetti”.

Le lastre autochrome potevano essere proiettate o stampate su carta attraverso il procedimento Utocolor. Tuttavia, nel campo della riproduzione d’arte il procedimento della separazione dei tre negativi continuò ad essere il metodo dominante per scattare fotografie per lungo tempo a seguire.

Nel 1904 I Lumières presentarono all’Accademia delle scienze il processo Autochrome

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Autochrome realizzata tra il 1905 e il 1920 riproduzione di un acquerello di John Singer Sargent (1856-1925) dipinto tra il 1904 e il 1905.

Autochrome eseguita da Arnolde Genthe (1869-1942) riproduzione di un dipinto di Bernardo Cavallino (1616-1666).

Bibbia di Borso d’Este Bible,manoscritto miniato, 1455-1461, riproduzione fotografica, 1937.

La riproduzione fu commissionata da Giovanni Treccani

Furono eseguite 1240 fotografie del formato 27 X 37 per le tavole in nero (rotocalco) e altre 330 circa per le 24 tavole a colori (fotolito).

Le tavole a colori furono realizzate con 14 negativi di selezione a colori per ogni tavola.

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Nel 1950 l’editore Albert Skira avviò la pubblicazione della collana d’arte Lesgrands siècles de la peinture, dirette da Lionello Venturi; queste pubblicazioni erano dedicati ad importanti temi di storia dell’arte (storia della pittura italiana, francese, olandese) e includevano esclusivamente riproduzioni fotografiche a colori. L’editore Skira concentrò particolare attenzione alle immagini a colori, generando una sorta di Skira-mania, ma anche sollevando molte critiche (sull’apparenza dei colori, sul taglio dei particolari giudicati eccessivamente arbitrari, sull’incompletezza dei testi).

Michelangelo, Giudittae Oloferne.

L’immagine di sinistra è stata scansionata dall’edizione francese di Peinture Italienne,Skira, 1952.

L’immagine di destra dall’edizione italiana pubblicata nel 1956.

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In 1935 Kodak lancia il processo Kodachrome, sviluppato da Mannes e Godowsky. Processo multistrato basato sullo sviluppo del colore. L’immagine è formata dagli strati blu, verde e rosso

In 1938 il processo viene semplificato e la Kodak introduce il Kodachrome in fogli pre-tagliati

In 1941 Kodak introduce il primo servizio di stampa a colori utilizzando un materiale da stampa multistrato. Stampe Minicolor realizzate da diapositive Kodachrome.

In 1942 pellicole negative Kodacolor e servizio di stampa

In 1946 pellicola Ektachrome (ASA 8) sul mercato statunitense. È la prima pellicola reversibile a copulanti cromogeni incorporati (E-2)

In 1961 viene introdotta la pellicola Kodachrome II (ASA 25)

In 1963 nuova generazione di Ektachrome ASA 64 con procedimento chimico E-4

In 1976 pellicola professionale Ektachrome procedimento chimico E-6

Nel 1953 nasce l’ Istituto Fotografico Editoriale Scala S.A.S. grazie al lavoro di John Clark e Mario Ronchetti promosso dallo storico e critico d’arte Roberto Longhi.

La specifica missione dell’archivio era, e ancora oggi è, la creazione e la gestione del primo database italiano di immagini d’arte a colori, al servizio di editori, studiosi e università

Usando un banco ottico per realizzare immagini di grande formato e pellicole Ansco (20 x 25 cm) la compagnia Scala cominciò la sua attività con negativi stampati su carta. Negli anni seguenti ci fu il passaggio al procedimento negativo/positivo e le pellicole Kodak presero il posto di quelle Ansco. La compagnia si occupò inoltre di realizzare diapositive da destinare al mercato turistico e alle università, usando I materiali negativo/positivo Ferrania e dal 1961 le pellicole Kodak.

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Nella tabella sottostante è illustrato un breve campionamento di immagini d’arte stampate in relazione alle loro variazioni cromatiche.

Dall’alto a sinistra al basso a destra, in ordine cronologico:

(1) Tiziano: I maestri del colore, Istituto d’Arti Grafiche, 1934;

(2) Enciclopedia Italiana di scienze, lettere ed arti, Istituto della Enciclopedia Italiana, 1950;

(3) Tiziano: I maestri del colore, Istituto d’Arti Grafiche, 1965;

(4) Tiziano: I classici dell’Arte, Rizzoli, 1967;

(5) Tiziano: Amor Sacro e Amor Profano, Electa 1995, prima del restauro;

(6) Tiziano: Amor Sacro e Amor Profano, Electa 1995, dopo il restauro;

(7) John Pope-Hannessy, Tiziano, Electa, 2004;

(8) Tiziano e il manierismo veneto, Scala Group, 2007.

Differenze di colori

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1934 1950 1965 1967

1995 1995 2004 2007

In alto a sinistra: Storia di Venezia, Istituto della Enciclopedia Italiana, 1994, prima del restauro

In alto a destra: Tiziano: Amor Sacro e Amor Profano, Electa 1995, dopo il restauro

sotto: Tiziano: Amor Sacro e Amor Profano, Electa 1995, prima del restauro.

Tiziano, Amor Sacro e Amor Profano, differenti immagini prima e dopo il restauro

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Alcune note critichesulla relazione tra apparenza fotografica

e restauro dei dipinti

Alessandro Conti, importante storico dell’arte italiano, nel commentare l’apparenza cromatica delle riproduzioni fotografiche ritiene che possano rappresentare un riferimento visivo sbagliato per i colori durante I lavori di restauro, specialmente durante le fasi di pulitura.

“Lavoriamo quotidianamente su riproduzioni e fotografie, siamo quindi inevitabilmente portati a privilegiare gli aspetti di un dipinto a cui queste fonti di informazione ci hanno assuefatto. Vediamo i dipinti dimenticando lo spessore della loro stesura e finiamo per non fare più attenzione a trasparenze ed opacità neppure quando osserviamo i dipinti nell’originale”.

Philippot, scrisse che le puliture radicali dei dipinti tendono a “trasformare l’opera nella sua propria riproduzione. Slittamento tanto più pericoloso in quanto l’influenza crescente delle versioni a colori, con la loro carta lucida, sul ‘museo immaginario’ del pubblico finisce per esigere questa conformità delle opere con le loro stesse riproduzioni”.

La relazione tra restauro e riproduzione di opere d’arte si esplica anche in una direzione opposta a quella sopra indicata.

Nel 1861 il Giornale con incisioni e con gli atti ufficiali della R. Commissionedell’annuale Esposizione italiana definiva i colori delle pitture “antifotogenici”, specificando come, tra le opere d’arte, quelle più difficilmente fotografabili fossero i “quadri classici antichi, in paragone de’ moderni, per l’oscuramento in quelli delle tinte, cagionato dal tempo”.

Il restauro e la pulitura dei dipinti – con la conseguente celebrazione della riscoperta dei colori “originali” delle opere – diventano in molti casi le necessarie premesse alla riproduzione fotografica e finalmente cromatica, dei capolavori dell’arte, di un cromatismo forse attualizzato alle nostre assuefazioni visive.

Importanti luoghi artistici come la Cappella Brancacci affrescata da Masaccio e Masolino a Firenze, la Cappella Scrovegni di Giotto a Padova, gli affreschi di Piero della Francesca ad Arezzo, gli affreschi del Palazzo Pubblico a Siena, restaurati negli ultimi anni, sono stati oggetto di capillari campagne fotografiche eseguite a colori da parte della Società Editoriale Alinari di Firenze

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L’imponente restauro degli affreschi di Michelangelo della Cappella Sistina èstato sponsorizzato per una consistente parte di finanziamenti dalla rete televisiva di Tokyo, Nippon Television Corporation, che ha così acquisito l’esclusiva sullo sfruttamento dei diritti di riproduzione di tutte le immagini durante e dopo il restauro fino al 1995. Le fotografie sono state scattate dal fotografo giapponese Takashi Okamura.

In questo caso, forse più che in altri, sembra saltare all’occhio uno stretto legame tra restauro e riproduzione di opere d’arte.

Cesare Chirici, teorico e storico del restauro, scrive a proposito “Il veroMichelangelo non è altro, per molte ragioni, che una sorta di illusorio miraggio in vista del quale la grossa macchina vaticana si muove per oliare i meccanismi d’attrazione e accelerazione dei movimenti turistici nonché procedere al necessario aggiornamento, al maquillage ringiovanente dei suoi simulacri”.

Michelangelo, volta della Cappella Sistina, Sibilla Delfica, 1508-1512; prima e dopo il restauro completato nel 1989.

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Caravaggio una “Mostra Impossibile”. Il progetto di Renato Parascandolo è consistito nella riproduzione ad alta definizione di tutto il catalogo delle pitture dell’artista.

Le opere sono state fotografate utilizzando un tradizionale banco ottico, in seguito le diapositive sono state digitalizzate. I files, infine, sono stati stampati su pannelli di dimensioni originali retro-illuminati.

Tutte le immagini digitali, stampate ed esposte, sono inoltre disponibili su un sito web.

Caravaggio, Giovane con un canestro di frutta, 1592-1593

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Caravaggio, Canestradi frutta, 1595-1596

Leonardo, Ultimacena, refettorio di Santa Maria delle Grazie, Milano, 1494-1498

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P. Veronese (1528-1588), Le nozze di Cana, Paris, Louvre. Riproduzione in facsimile realizzata da Factum Arte

Factum Arte è un laboratorio artistico indipendente con base a Madrid che si occupa sia di collaborare a progetti di artisti contemporanei sia di realizzare facsimili di opere d’arte del passato che possano essere usati per scopi conservativi.

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Il dipinto è stato scansionato con uno scanner non a contatto costruito per l’occasione (600 dpi e 16 bit di profondità colore) ed è stato fotografato utilizzando un dorso digitale Phase One H25 montato su un corpo Hasselblad di medio formato (22 mega pixel, con una dimensione di pixel di 9x9 microns e 48 bit di profondità colore.

Particolare attenzione è stata data alla riproduzione del colore. Durante I procedimenti di scansione e fotografici sono stati raccolti numerosi campioni cromatici corrispondenti a specifici punti della superficie del dipinto.

Lo scopo della correzione digitale del colore è stato quello di far combaciare il colore di una immagine stampata su gesso utilizzando una stampante prodotta per Factum Arte al colore dei campioni registrati al museo del Louvre.

Infine, i due files sono stati stampati su due diversi strati, uno sopra l’altro, cominciando con quello della Phase One. I dati fotografici sono stati stampati con una ricchezza di colori e una brillantezza che sembrano particolarmente fotografici. La stampa eseguita sopra con i dati della scansione aggiunge complessità ai toni di colore e produce una immagine che non sembra affatto una fotografia. Quando le due stampa si sovrappongo alla reale superficie di una tela l’illusione, anche da molto vicino, è quella di trovarsi di fronte ad una superficie dipinta e non ad una stampa.

Immagine HDR

Le tecnologie fotografiche Hdr o gli algoritmi di trasformazione di immagini digitali, come quelli derivati da Retinex o Ace, potrebbero essere impiegati nella riproduzione dell’arte al fine di fotografare le opere nelle loro condizioni di illuminazione naturale.

Le decorazioni architettoniche come affreschi o mosaici spesso conservate in ambienti caratterizzati da forti contrasti di luci, ma anche dipinti conservati in cappelle di chiese o nei musei potrebbero essere riprodotti evitando l’uso di illuminazioni realizzate ad hoc, particolarmente diverse da quelle in cui tali opere sono normalmente conservate e percepite.

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Applicazione di un algoritmo Retinex