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Università degli Studi di Genova Facoltà di Lettere e Filosofia DISAM L’origine del contrasto Oriente vs Occidente nel pensiero preellenistico Tesi conclusiva del Master Universitario di I livello in “Oriente e Occidente nell’antichità: storia, archeologia, tradizione letteraria” II edizione Relatrice: Chiar.ma Prof.ssa Francesca GAZZANO Dott. Roberto MARRAS Anno Accademico 2006/2007

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Università degli Studi di Genova

Facoltà di Lettere e Filosofia

DISAM

L’origine del contrasto Oriente vs Occidente nel

pensiero preellenistico

Tesi conclusiva del Master Universitario di I livello in

“Oriente e Occidente nell’antichità: storia,

archeologia, tradizione letteraria”

II edizione

Relatrice: Chiar.ma Prof.ssa Francesca GAZZANO

Dott. Roberto MARRAS

Anno Accademico 2006/2007

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Oriente e Occidente

Una cosa si era distesa nel cunicolo della storia

una cosa adorna, esplosiva

che trasporta il proprio figlio di nafta avvelenato

al quale il mercante avvelenato intona una canzone

esisteva un Oriente simile a un bambino che implora,

chiede aiuto

e l’Occidente era il suo infallibile signore.

Questa mappa è mutata

l’universo è un fuoco

l’Oriente e l’Occidente sono una tomba

sola

raccolta dalle sue ceneri.

ADONIS, da Memoria del Vento, Guanda, 1998

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Ignorare tanto platealmente la storia extraeuropea è ben più che un riflesso

atavico, una grettezza provinciale o una mancanza di rispetto: è una

sciocchezza bella e buona che implica la rinuncia a fonti di conoscenza storica

di rilievo fondamentale.

Christian Meier, Da Atene ad Auschwitz, Bologna 2004

[Von Athen bis Auschwitz, München 2002]

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Ringraziamenti

Un ringraziamento particolare lo devo alla Prof.ssa Elisabetta Todisco,

docente di Storia Romana presso l’Università di Bari e tra i docenti del Master di cui il

presente studio è tesi conclusiva.

I suoi consigli e la sua affabile e paziente disponibilità mi sono stati preziosi.

Ringrazio comunque e indistintamente tutti i docenti del Master e in particolare

la Prof.ssa Eleonora Salomone per il suo impegno entusiasta e la Prof.ssa

Francesca Gazzano per aver tollerato con pazienza e amicizia i miei tempi lunghi.

Infine, un ringraziamento speciale lo devo all’amico tunisino Mohamed

Fatnassi, che mi ha convinto definitivamente a dedicarmi all’argomento affrontato,

un argomento che, oltre che essere decisamente inerente al tema di fondo del

Master sopra citato, interessa sicuramente la storia di entrambe le civiltà da cui

proveniamo.

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Sommario

Introduzione……………………………………………………………..p. 6

Capitolo I

Di quali Oriente e Occidente si sta parlando...…...................…..p. 7

Capitolo II

Chi ha inventato il contrasto Oriente e Occidente?..................p. 19

Capitolo III

Fortuna di un’idea ………………………......................………….. p. 27

Capitolo IV

La presunta superiorità dell’Occidente……......................…..…p. 46

Conclusione……………………………………………………………p. 58

Bibliografia e sitografia…………………………………………...…p. 60

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Introduzione

Se oggi tentassimo di ragionare in termini di “storia planetaria”, seguendo una

impostazione storiografica in voga al giorno d’oggi1, anche il contrasto tradizionale,

ma molto attuale, tra Oriente e Occidente, estrapolandolo dai contesti sincronici,

verrebbe a essere diluito in un arco storico estesissimo, oltre che molto variegato.

Sorgono di conseguenza delle domande, necessarie all’approccio storico:

• di quali Oriente e Occidente si sta parlando?

• Quando è attestata nelle fonti, per la prima volta, l’idea di una

contrapposizione tra una civiltà “occidentale” e una “orientale” e perché?

• È sempre stata viva, nell’immaginario collettivo, detta contrapposizione o ci

sono epoche storiche in cui lo è di più?

• Quando è sorta l’idea, diffusa, di una superiorità della cosiddetta civiltà

occidentale? Per quali ragioni storiche? E questa civiltà occidentale la si

può considerare monolitica o ha modificato significativamente i propri

caratteri nel corso del tempo?

Sembra trattarsi di domande quasi banali, ma risposte ben definite tanto tra

la gente comune, quanto tra gli storiografi, che io sappia, non ne esistono, mentre

esiste piuttosto una certa scontatezza, come se Oriente e Occidente fossero ormai

delle categorie consolidate nella Weltanschauung, quasi delle idee platoniche

che sottendono a una realtà di sempre e che esistono e basta.

In realtà, voglio tentare di mostrare in questo breve studio come dette idee,

sia pure evolutesi e arricchitesi in varia forma, risalgano al pensiero greco

dell’epoca dello scontro con il colosso persiano, sebbene si possa forse indovinare

anche qualcosa di pregresso, in seguito però diluitosi comunque in una

propaganda occidentalista che ha finito per caratterizzare il mondo ellenistico e poi

i suoi “eredi”, Roma e l’Europa occidentale, fino ai nostri giorni.

1 Cfr. al riguardo, anche a giustificare l’approccio metodologico da me utilizzato, l’introduzione a L.L.

Cavalli Sforza et al., a cura di G. Bocchi e M. Ceruti, Le radici prime dell'Europa, Milano 2001;

nonché l’introduzione a Mario Pani (a cura di), Storia romana e storia moderna, Bari 2005. Si

potrebbe infatti non approvare la mia riflessione che mescola antico e moderno, passato e presente,

categorie in genere ben definite. D’altronde la finalità prima che anima questo mio lavoro è quella di

tentare di intendere e spiegare meglio il presente scavando nelle sue radici del passato, affrontando

consapevolmente tutti i rischi a cui posso andare incontro.

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Capitolo I

Di quali Oriente e Occidente si sta parlando?

L’11 settembre 2001, come sappiamo tutti, si è verificato l’attentato alle

Twin Towers, un evento terribile a cui tutto il mondo ha potuto assistere in diretta,

laddove una buona parte dei commenti, sia quelli immediati emozionati, ma anche

e soprattutto quelli più ragionati successivi, sono stati dedicati all’idea che fosse

stato colpito “il cuore dell’Occidente” o anche “del mondo civile”.

Come se non bastasse, nella dichiarazione di responsabilità da parte di

Osama bin Laden, il fantasmagorico leader di al-Qā'ida ha parlato tra l’altro di

colpo inferto all’Occidente guidato dagli USA e di assunti affini.

Non ci importa, in questo studio, discutere delle questioni sull’autenticità di

tali dichiarazioni. Quanto ci interessa, piuttosto, è che tale evento e tutte le sue

conseguenze abbiano fatto (ri)emergere sia a livello politico sia a livello popolare

un dibattito che ha come oggetto un presunto, e da parte di molti soggetti voluto e

alimentato in funzione propagandistica, scontro tra Oriente e Occidente.

Nella fattispecie, l’Oriente sarebbe oggi, ma non da oggi, rappresentato dal

mondo islamico, l’Occidente dagli USA e dall’Europa occidentale, cioè, grosso

modo, l’ex blocco antisovietico dell’epoca della cosiddetta Guerra Fredda, per

giunta gli stati più ricchi e potenti del mondo, non a caso ben rappresentati tra i

cosiddetti G8, il mondo neocolonialista nella visione dei diversi movimenti di

opposizione, dai no global ai vari “terroristi”.

In realtà, quanto meno con il termine Oriente, e non da oggi, si fa

riferimento anche ad altri “orienti”2, per esempio l’India, la Cina, il Tibet e il

Giappone3, le cui culture e civiltà hanno interagito e continuano a farlo in vario

modo con il mondo occidentale. Ma di contrasti tra queste civiltà e il mondo

occidentale si può parlare solo per il Giappone, l’India e la Cina, per tempi recenti

2 Nel 1974 fu geniale, proprio a mettere in rilievo la varietà degli “orienti”, il titolo che Giorgio

Manganelli diede alle sue “note di viaggio in Oriente”: Cina e altri orienti.3 In Italia è noto che esiste il prestigioso Istituto italiano per l'Africa e l'Oriente (IsIAO), già Istituto italiano

per il Medio ed Estremo Oriente (IsMEO), che si occupa dagli anni ’30 di tutti questi “orienti” e più

recentemente anche delle civiltà africane. Anche a Genova il CELSO (Centro Ligure di Studi Orientali) si

occupa indistintamente di tutti gli “orienti”.

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e in forma talora circoscritta a scontri con singoli schieramenti “occidentali” oppure

a livello economico-culturale, ma senza conflitti armati.

Un’altra accezione di Oriente nel senso di mondo contrapposto

all’Occidente la possiamo trovare sempre nella storia recente all’epoca della già

citata Guerra Fredda, laddove l’Oriente, in tal caso, era rappresentato dal blocco

comunista guidato dall’Unione Sovietica, il quale del resto ereditava anche una

tradizione politico-culturale dell’Europa orientale ortodossa che si voleva risalisse

fino all’Impero Romano d’Oriente, che peraltro si considerava legittimo detentore

dell’eredità di Roma, attraverso il filtro degli Zar russi, almeno da Ivan Grozny

(1547) in poi4.

Tra Costantinopoli e l’Europa occidentale lo scontro, se si tralascia

l’episodio della famigerata IV Crociata, è stato soprattutto culturale e religioso.

L’impero russo si è scontrato con gli imperi dell’Europa occidentale in varie

circostanze, per esempio con la Gran Betagna e i suoi interessati temporanei

alleati nella guerra di Crimea (1853-56), nonché in Asia Centrale durante il

cosiddetto Great Game, ispiratore di appassionanti opere letterarie a cavallo tra

‘800 e ‘9005. Tuttora la Russia è una potenza economica e militare che spesso si

pone in concorrenza con l’Occidente, ma altrettanto spesso ne è anche la

determinante e interessata alleata, come al tempo della II guerra mondiale contro

la Germania di Hitler o odiernamente contro il “terrorismo” islamico, che la Russia

per giunta ospita in casa propria, non solo in Cecenia.

Decisamente, dopo questa sintetica e concisa rassegna, si deve accettare il

fatto che la contrapposizione Oriente/Occidente più antica e tradizionale, nonché,

come detto, più attuale, è quella tra la civiltà evolutasi in una forma più o meno

comune in Europa occidentale e nelle sue estensioni (in particolare gli USA)

contro le civiltà che nel tempo si sono succedute in quell’area geografica, di

antichissima umanità, che chiamiamo Vicino e Medio Oriente e che da 1300 anni

o poco più s’identificano, sia pure non omogeneamente e spesso conflittualmente,

nella religione islamica e nel cosiddetto jihād, parola araba tradotta, sia pure non

4 Anche il nome dell’attuale Romania deriva da questa tradizione: nel XIX fu adottato dai nazionalisti

rumeni, in un atto di rivendicazione proprio di questa eredità romana orientale e ortodossa, a indicare lo

stato prodotto dall’unificazione degli antichi principati di Valacchia, Moldavia e Transilvania.5 Il riferimento primo è ovviamente a Kim di Rudyard Kipling (1901), dove compare per la prima volta

questa celebre definizione, che peraltro si deve all’ufficiale britannico Arthur Conolly, attivo in Asia

Centrale alla fine dell’800. Cfr. Peter Hopkirk, The Great Game: the Struggle for Empire in Central

Asia, 1992.

8

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perfettamente, ma non ingiustificatamente, con l’espressione guerra santa, o più

propriamente continua guerra di conquista contro i nemici non credenti6.

Invero non mancano le epoche durante le quali almeno una parte

comunque rappresentativa del mondo occidentale è “amica” o alleata del mondo

musulmano vicino-medio orientale: proprio al giorno d’oggi spicca uno dei paesi

islamici più rigidi e tradizionalisti, l’Arabia Saudita, come fedele alleata degli USA,

a prescindere dai forti dubbi che non mancano in relazione a questa fedeltà, non

solo in riferimento alla gente comune di questo paese, ma anche alla sua classe

dirigente.

All’epoca della I guerra mondiale tutto o quasi il mondo arabo, coordinato

dal leggendario Lawrence d’Arabia, è stato alleato determinante della Gran

Bretagna contro l’Impero Ottomano, a sua volta alleato degli Imperi centrali,

Prussia e Austria, che contendevano alla Gran Bretagna il primato in Occidente e

nel mondo.

Dalle ceneri dell’Impero Ottomano stesso è sorta la Turchia moderna di

Atatürk, laicizzata e occidentalizzata il più possibile in maniera forzata, quindi

alleata dell’Occidente in funzione anticomunista prima, ma anche antiislamista

sino ad ora, nonostante il popolo turco abbia recentemente votato un governo

dichiaratamente islamista e vi serpeggi un diffuso sentimento antioccidentale e

antiamericano in particolar modo7.

Un classico della letteratura occidentale, le Lettere Persiane di

Montesquieu, è emblematico della simpatia che l’Occidente provava per l’allora

mondo persiano, nemico degli Ottomani come l’Occidente, quindi considerato

amico. Questa simpatia, come è noto, è durata fino alla rivoluzione islamica

khomeinista del 1979, quando di colpo l’Iran è diventato il paese musulmano più 6 Questa definizione è tratta dal Tafsīr al-Qur’ān al-‘azīm (L'interpretazione autentica del sublime

Corano), dell’esegeta e coranista Ibn Kathīr, vissuto nel XIV sec. D’altronde si tratta di un concetto

coranico accesamente dibattuto. Cfr. Paolo Branca, L'islam delle origini e la guerra. Analisi del

concetto di jihad nel Corano e nella Carta di Medina, in Paolo Branca; Vermondo Brugnatelli (a

cura di), in: Studi arabi e islamici in memoria di Matilde Gagliardi, Milano, ISMEO, 1995, pp. 43-61;

Giorgio Vercellin, Jihad - l'islam e la guerra, Firenze 1997.

7 Di un dichiarato sentimento antioccidentale, anticristiano e antiamericano è stato espressione il più

costoso – dieci milioni di dollari – film della cinematografia turca, Kurtlar Vadisi: Iraq (La valle dei

lupi:-Iraq), pubblicato nel 2006 e ispirato a un episodio realmente verificatosi in Iraq nel 2003, ma, in

perfetto stile hollywoodiano, abilmente e retoricamente “elaborato” dai produttori. In Turchia il film ha

riscosso un successo senza precedenti e persino il premier turco Tayyip Erdogan ha preso parte alla

serata di gala della prima.

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osteggiato e considerato pericoloso fino ad oggi, allorché si trova al centro di un

ciclone di tensioni internazionali.

Ma, a parte i casi della storia in cui l’Oriente islamico vicino-medio orientale

è “amico” dell’Occidente, permane, anche a livello popolare, e soprattutto

populista, un prevalente pregiudizio di ostilità assolutamente reciproco che risale

almeno all’epoca delle Crociate e che è caratterizzato anche dall'altrettanto

reciproca presunzione di superiorità a vari livelli, ideologico-religioso, morale,

economico-tecnologico, ecc.

Al giorno d’oggi, l’occidentale medio si considera in genere più “civile” del

musulmano, oltre che partecipe di una civiltà del benessere che spesso tra i paesi

a maggioranza musulmana non esiste – per quanto molti paesi musulmani, come

nel caso celebre degli Emirati Arabi Uniti, siano tra i paesi più ricchi al mondo, ma

spesso con marcate sperequazioni sociali e “razziali”.

Ma anche il musulmano fondamentalista normalmente si considera

rappresentante di una civiltà superiore fondata sui valori religiosi, e, nei casi

estremi, rifiuta la “modernità” in quanto carattere satanico occidentale8. E non

bisogna scordare nemmeno il pregiudizio un po’ snob di molti intellettuali

musulmani, anche laici, i quali si richiamano tuttora a un’indubbia superiorità

culturale del mondo islamico in epoca medievale9.

Ho provato a sondare questo pregiudizio antiislamico presso i miei alunni delle

Superiori, tra i quali è molto diffuso, alimentato non solo dai media, ma anche in

ambito familiare, in un contesto sociale tradizionale, cioè, dove sembra radicato da

secoli. E non dobbiamo stupirci, quindi, se fa notizia, allarmata, il fatto che sorga

una velleitaria moschea in qualche bugigattolo del centro storico di Genova,

mentre passa sotto silenzio indifferente il sorgere nella stessa area di una chiesa

ortodossa russa o di un centro buddista. Così come non ci si deve stupire se,

d’altra parte, presso il musulmano medio sia molto diffusa una certa diffidenza e

non sempre velata ostilità nei confronti degli occidentali. E dette situazioni erano

abbastanza tipiche anche degli anni precedenti al fatidico 11 settembre 2001: io

8 Il rifiuto plateale della modernità occidentale è per giunta un carattere tipico dei movimenti

anticolonialisti in tutti i paesi non occidentali, colonizzati o neocolonizzati, almeno dall’800 in poi. Il caso

più emblematico, in tal senso, è stato senz’altro Gandhi. Cfr. Ian Buruma, Avishai Margalit,

Occidentalism: The West in the Eyes of Its Enemies, 2004.9 Cfr. Francesco Gabrieli (a cura di), Storici arabi delle Crociate, prefazione di José Enrique Ruiz

Domènec, Torino 2006 [I ed. Torino 1957]; Amin Maalouf, Le crociate viste dagli arabi, Torino 2001;

Edward W. Said, Orientalism, 1978.

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personalmente ho lavorato e vissuto in Tunisia, un paese musulmano

forzatamente laicizzato, tra il 1996 e il 1997, nonché in Eritrea nel 1998, paese a

sia pure lieve maggioranza musulmana, dai forti contrasti interni con l’elemento

cristiano locale, e posso testimoniare personalmente riguardo all’esistenza di un

diffuso antioccidentalismo in questi paesi, sebbene spesso mescolato a

un’attrazione interessata, motivata dall’equazione Occidente = ricchezza (e libertà

d’espressione).

Come detto, questa contrapposizione è senz’altro antica e consolidata nel

tempo e risale certamente all’epoca delle Crociate o comunque dello scontro già

pregresso tra le varie entità islamiche e il mondo occidentale10.

Non a caso, due anni orsono ha riscosso un notevole successo di pubblico,

specie tra i giovani, il kolossal di Ridley Scott Kingdom of Heaven,11 titolo

tradotto in Italia con quello più esplicito Le Crociate, in un’epoca in cui anche a

livello politico si torna a parlarne anche troppo.

D’altronde, la primavera scorsa è uscito un altro film americano che ha

riscosso un enorme successo di pubblico, anche in tal caso specie tra i giovani,

ma pure roventi polemiche internazionali. Si tratta di 30012, una truculenta e a dir

poco opinabile ricostruzione della battaglia delle Termopili, basata per giunta non

su studi storici, come avviene almeno per altri film del genere, ma addirittura su un

fumetto dell’autore americano Frank Miller, già famoso, o famigerato, per la serie

Sin City.

La prima notizia che ho avuto di questo film l’ho ricevuta via email da

un’amica virtuale iraniana che vive a Toronto, in Canada, varie settimane prima

che il film uscisse in Italia. L’amica iraniana mi chiedeva di sottoscrivere una

petizione di protesta contro la Warner Bros. Picture Company, che ha prodotto il

film in questione, in quanto lesivo, a suo dire, dell’immagine dell’Iran nel mondo.

Voglio proporre per intero il testo della petizione, in inglese, a cui, dopo

intensa ma breve analisi e ricerca su internet, ho comunque deciso di aderire, per

quanto poi, ovviamente, mi sia rimasta la curiosità di vedere il film, comunque

10 Il riferimento principale è ai pirati cosiddetti barbareschi, costante minaccia per le coste italiane e del

midi francese dal VII al XIX secc. Secondo l’autorevole giudizio dello storico austriaco Hermann

Schreiber, i mori nordafricani, in seguito islamizzati, avrebbero appreso “l’arte” della pirateria marittima

dai Vandali (cfr. I Vandali, Milano 1984 [I ed. 1979]), pertanto tra Genserico e la pirateria barbaresca

non ci sarebbe stata soluzione di continuità, nemmeno dopo l’islamizzazione del Nordafrica.11 Cfr. http://www.apple.com/trailers/fox/kingdom_of_heaven/ per il trailer del film.

12 Cfr. http://wwws.warnerbros.it/300 / , il sito ufficiale italiano del film.

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massicciamente pubblicizzato, sia pure anche in negativo, altra evidente ragione

del suo successo economico:

300, an unethical movie picture

To: Warner Bros. Picture Company

Cc: Zack Snyder (director)

Dear Warner Bros. Picture Company,

We the undersigned, through this letter, protest your irresponsible, unethical and

unscientific actions.

This letter is in concern of making the movie, 300, by your company, which,

according to all historical documents, is fraudulent and distorted, and its broadcast

guarantees the violation of undeniable international legal rights.

It is a proven scholarly fact that the Persian Empire in 480 B.C was the most

magnificent and civilized empire. Established by the Cyrus the great, the writer of

the first human right declaration, Persians ruled over significant portions of Greater

Iran, the east modern Afghanistan and beyond into central Asia; in the north and

west all of Asia Minor (modern Turkey), the upper Balkans peninsula (Thrace), and

most of the Black Sea coastal regions; in the west and southwest the territories of

modern Iraq, northern Saudi-Arabia, Jordan, Israel, Lebanon, Syria, all significant

population centers of ancient Egypt and as far west as portions of Libya. Having

twenty nations under control, encompassing approximately 7.5 million square

kilometers, unquestionably the Achaemenid Empire was territorially the largest

empire of classical antiquity.

Based on the Zoroastrian doctrine, it was the strong emphasis on honesty and

integrity that gave the ancient Persians credibility to rule the world, even in the

eyes of the people belonging to the conquered nations (Herodotus, mid 5th

century B.C). Truth for the sake of truth, was the universal motto and the very core

of the Persian culture that was followed not only by the great kings, but even the

ordinary Persians made it a point to adhere to this code of conduct.

We did not expect Warner Bros. Picture company, as one of the world's largest

producers of film and television entertainment, to ignore the proven obvious

historical facts, and damage its own reputation by showing the Persian army at the

battle of Thermopylae as some monstrous savages, and thus create an

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atmosphere of public mistrust in its content, and hurt the national pride of the

millions of Persians while doing so.

While announcing our disgust at such a heresy, we demand an immediate

historical review and quick apology from the responsible people.

Sincerely,

The Undersigned13

***

Gli autori della petizione, come si può leggere nell’originale, definiscono il

film, dal punto di vista storico, non solo distorto, ma anche fraudolento.

Considerano la sua diffusione addirittura una violazione dei diritti umani, quindi

fanno seguire una sintetica e encomiastica ma significativa nota informativa

sull’impero achemenide, nella quale spicca la frase: “Fondato sulla dottrina

zoroastriana, fu la forte enfasi data all’onestà e all’integrità che diede agli antichi

Persiani credibilità per dominare il mondo, pure agli occhi di genti appartenenti alle

nazioni conquistate”. E a supporto di tale affermazione è citato, a giusta ragione,

Erodoto14, il “padre della storia” occidentale15, che presto avrà un ruolo di

protagonista in questa mia analisi.

Infine, accusano la Warner Bros. di produrre e alimentare un’acrimonia di

massa nei confronti dei Persiani, oltraggiati comunque nel loro orgoglio nazionale.

Chi ha solo visto dei brevi trailer del film non può dar torto agli autori della

petizione, laddove si accetti l’assunto dell’identificazione ideale Achemenidi/Iran vs

Spartani/Occidente attuale, che discuterò oltre.

Ho selezionato peraltro alcune recensioni di questo film su internet, che in

seguito, assieme alla petizione, ho assemblato in una prova scritta da proporre ai

miei alunni16. Da queste recensioni si trae che giudizi pesantemente negativi il film

le ha ricevute anche da critici non necessariamente iraniani:

13 http://www.petitiononline.com:80/wpci96c/petition.html

14 Cfr. I 131 segg., in particolare 136-137.

15 Il titolo di iniziatore del genere storiografico, in Occidente, Erodoto lo deve almeno a Cicerone (pater

historiae, nel De legibus, I 5), ma si tratta senz’altro di una convenzione arbitraria e opinabile (cfr.

Luciano Canfora, Storia della Letteratura greca, Bari 1989; Filippo Càssola, introduzione a Erodoto,

Storie, Milano 1984), per quanto tuttora molto diffusa.16 Sul modello della I prova d’esame di Stato, in particolare la tipologia B, ambito artistico – letterario, il

cui argomento, provocatoriamente, era: “Eran “300”, eran giovani e forti...”.

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Un film che solo uno Spartano può apprezzare,

l’epopea bellica 300

Dana Stevens [trad. Roberto Marras], 8 Marzo 200717

Se 300, la nuova epopea bellica basata sul fumetto di Frank Miller e Lynn

Varley, fosse stato prodotto in Germania alla metà degli anni ‘30, oggi sarebbe

studiato accanto all’Ebreo Errante18 come esempio di propaganda razzista e mito

nazionalista finalizzato all’incitamento alla guerra totale. Siccome è invece un

prodotto del 21° secolo post-ideologico e post-Xbox, 300 sarà piuttosto

considerato un gioiello tecnologico, l’ultimo grido in quell’area di frontiera sempre

più sottile tra il cinema e i videogames. Diretto da Zack Snyder, il cui primo film è 17 http://www.slate.com/id/2161450/ A Movie Only a Spartan Could Love: The battle epic 300. By

Dana Stevens - Posted Thursday, March 8, 2007, at 7:15 PM ET: If 300, the new battle epic based on

the graphic novel by Frank Miller and Lynn Varley, had been made in Germany in the mid-1930s,

it would be studied today alongside The Eternal Jew as a textbook example of how race-baiting

fantasy and nationalist myth can serve as an incitement to total war. Since it's a product of the

post-ideological, post-Xbox 21st century, 300 will instead be talked about as a technical

achievement, the next blip on the increasingly blurry line between movies and video games.

Directed by Zack Snyder, whose first feature film was the 2004 makeover of the horror classic

Dawn of the Dead, 300 digitally re-creates the Battle of Thermopylae in 480 B.C., where,

according to classical history and legend, the Spartan king Leonidas led a force of only 300 men

against a Persian enemy numbering in the hundreds of thousands. The comic fanboys who

make up 300's primary audience demographic aren't likely to get hung up on the movie's

historical content, much less any parallels with present-day politics. But what's maddening

about 300 (besides the paralyzing monotony of watching chiseled white guys make shish kebabs

from swarthy Persians for 116 indistinguishable minutes) is that no one involved—not Miller, not

Snyder, not one of the army of screenwriters, art directors, and tech wizards who mounted this

empty, gorgeous spectacle — seems to have noticed that we're in the middle of an actual war.

With actual Persians (or at least denizens of that vast swath of land once occupied by the

Persian empire). In interviews, Snyder insists that he "really just wanted to make a movie that is

a ride"— a perfectly fine ambition for any filmmaker, especially one inspired by the comics. And

visually, 300 is thrilling, color-processed to a burnished, monochromatic copper, and packed

with painterly, if static, tableaux vivants. But to cast 300 as a purely apolitical romp of an action

film smacks of either disingenuousness or complete obliviousness. One of the few war movies

I've seen in the past two decades that doesn't include at least some nod in the direction of

antiwar sentiment, 300 is a mythic ode to righteous bellicosity. In at least one way, the film is

true to the ethos of ancient Greece: It conflates moral excellence and physical beauty (which, in

this movie, means being young, white, male, and fresh from the gyms of Brentwood)”.18 Noto film antisemita nazista del 1940.

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stato il remake del 2004 del classico dell’horror L’alba dei morti viventi, 300

ricrea digitalmente la Battaglia delle Termopili del 480 a.C., dove, secondo la

storia e leggenda classica, il re Spartano Leonida guidò un contingente di solo

300 uomini contro il nemico persiano che contava centinaia di migliaia di guerrieri.

[…] Ma ciò che sconvolge in 300 (a parte la paralizzante monotonia che si soffre

nel vedere alcuni aitanti uomini bianchi che fanno a fettine gli scuri Persiani per

116 interminabili minuti) è che nessuno degli autori - né Miller, né Snyder, né altri

dell’esercito di sceneggiatori, art director, e maghi della tecnologia che hanno

montato questo vacuo, sfavillante spettacolo - sembra si sia accorto che siamo nel

bel mezzo di una guerra attuale. Con Persiani attuali (o comunque abitanti del

vasto spazio di terra un tempo occupato dall’impero persiano). […]

Voglia di invadere l'Iran…19

Correva l'anno 1995 e sulla prima pagina dell'albo Sin City: The Big Fat Kill di

Frank Miller compariva Leonida, il re spartano stretto nella gola delle Termopili a

“fare muro” contro un'orda di Persiani in rapporto “centomila a uno”. Si trattava di

un flash forward di una storia che sarebbe stata pubblicata in 5 albi mensili a

partire dal maggio 1998 ma che risaliva a un ricordo cinematografico del Miller

bambino che nel 1962 aveva visto il film The 300 Spartans scoprendo un nuovo

volto dell'eroe: quello di chi muore per difendere un ideale. Un autore di culto del

fumetto che trova nuovamente la strada del cinema dopo il successo di Sin City

non può che ottenere un'accoglienza favorevole da parte degli appassionati. A

questo punto il critico cinematografico dovrebbe ritirarsi in buon ordine per lasciare

spazio all'esperto di settore. Non ci si può però esimere dall'esprimere un parere

sulla differenza dei mezzi di comunicazione utilizzati. Se con il fumetto il lettore ha

un ruolo “attivo” (si sofferma a piacimento sulle tavole, prosegue rapidamente

nella lettura, torna indietro, si ferma…) in sala (in attesa dell'edizione in dvd) tutto

ciò non accade. Ci si trova così di fronte a un film in cui gli eroi supermacho (sei

settimane intensive di palestra per tutti) fanno a pezzi il ricordo di qualsiasi Conan.

Difendono la civiltà e quindi, da uomini tutti di un pezzo contrapposti a mostri, gay

sovradimensionati (Serse) e maschere crudeli non possono che odiare e

combattere decidendo che "no retreat no surrender" diventi la loro linea di

condotta. Nella struttura complessiva 300 si presenta come un film decisamente

19 http://www.mymovies.it/dizionario/recensione.asp?id=36162

1

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“avanti”, una sorta di asticella del salto in alto posizionata oltre i limiti finora

pensabili al cinema (anche se con la frustrazione di chi nelle scene di battaglia

sente di trovarsi dinanzi a un videogioco particolarmente sofisticato senza poter

intervenire schiacciando pulsanti). Se ci si ferma qui quindi tutto funziona: è un

“gioco” realizzato ad alto livello qualitativo. Se si pensa però che mentre esce

questo film un conservatore illuminato come Clint Eastwood ci sta raccontando

con Flags of Our Fathers prima e Lettere da Iwo Jima poi come di qua e di là

dalla linea del fronte (ovunque questa sia stata tracciata nel tempo e nello spazio)

ci sono degli uomini e non delle macchine di morte, allora il discorso cambia.

Woody Allen diceva che quando ascoltava Wagner gli veniva voglia di invadere la

Polonia. Vedendo 300 può venir voglia di invadere l'Iran (che una volta si

chiamava Persia per chi non lo ricordasse).

L'Iran critica 300

13/03/200720

Il presidente del dipartimento di Storia delle Arti e dello Spettacolo iraniano ha

pesantemente criticato il nuovo film di Zach Snyder, 300, accusandolo di essere

un insulto alla civiltà persiana. Jawad Shamkaderi, che a sua volta è regista, ha

detto che la pellicola fa parte di una guerra psicologica globale alla cultura

iraniana. Secondo Shamkaderi "in seguito alla rivoluzione islamica in Iran,

Hollywood e le autorità culturali statunitensi hanno iniziato a studiare un metodo

per attaccare la cultura iraniana e il film di Snyder è un prodotto di questi studi".

Tuttavia il filmmaker ha dichiarato che gli sforzi della Mecca del cinema sono inutili

perché "i valori della cultura iraniana e la rivoluzione islamica sono talmente insiti

da non poter essere danneggiati da questo tipo di insidie". Inizialmente l'idea della

Warner Bros era di fare un remake de L'eroe di Sparta21 - pellicola del 1962 di

Rudolph Maté con Richard Egan e David Farrar nei ruoli del re degli Spartani

Leonida e del re persiano Serse - con Michael Mann alla regia e Bruce Willis e

Antonio Banderas nei ruoli dei protagonisti. Se il progetto fosse andato avanti, la

sceneggiatura sarebbe stata basata sul best seller di Stephen Pressfield Le

porte di fuoco. Ma dietro suggerimento di Snyder la Warner Bros ha deciso di

cambiare rotta. L'opera di Zach Snyder, già dietro la macchina da presa ne

20 http://www.mymovies.it/cinemanews/2007/1949/

21 Titolo italiano del sopra citato The 300 Spartans.

1

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L'alba dei morti viventi, che omaggiava la pellicola di Romero, è basata sul

romanzo scritto e illustrato da Frank Miller – creatore della serie Sin City che ha

ispirato l'omonimo film di Robert Rodriguez – nel quale si racconta la vicenda

della battaglia delle Termopili dove trecento spartani fermarono le armate

persiane. Dopo essere stato presentato al Festival di Berlino 300 arriverà sugli

schermi italiani il prossimo 23 marzo.

***

Il dato che personalmente mi ha impressionato è che i miei alunni, inclusi in

una fascia di età tra i 14/5 e i 18/9 anni, che si sono cimentati in questo

argomento, si sono mostrati decisamente degli occidentalisti esaltati: hanno

elogiato il film e ne hanno apprezzato dicharatamente i valori che veicola,

compreso l’astio verso l’Oriente rappresentato nella fattispecie dal potere persiano

e stigmatizzato nel finale del film con le chiare parole che il personaggio Delios,

l’unico sopravvissuto dei 300, per ordine di Leonida, e anche voce narrante del

film – a enfatizzarne lo stile epico –, usa prima della battaglia di Platea per incitare

l’esercito spartano: “Le forze del nemico ci superano di sole tre volte! Un segno

per tutti i Greci. Quest'oggi noi riscattiamo il mondo dal misticismo e dalla

tirannia! E lo accompagniamo in un futuro più radioso di quanto si possa

immaginare! Dite grazie, soldati, a re Leonida e ai prodi 300! Alla vittoria!”.

Non c’è quindi da stupirsi se il film sia stato campione d’incassi nel 2007,

solo di recente superato da altre grande produzioni, né che impazzi tra i giovani il

videogioco che ne è stato tratto, a prescindere dalla proteste e dalle petizioni che

comunque ha suscitato!

È evidente che la sua fortuna è stata costruita e prodotta proprio in un

contesto umano in cui si sapeva che avrebbe avuto successo, lo stesso contesto

di giovani, soprattutto ma non solo, educato a temere e odiare l’Oriente islamico

del terrorista Bin Laden. L’accenno al riscatto del mondo dal misticismo e dalla

tirannia sembra un evidente riferimento al preteso oscurantismo religioso islamico

odierno e ai regimi dittatoriali che ispirerebbe, rispetto ai valori di democrazia e

laicismo che l’Occidente si arroga spesso e volentieri il diritto di affermare nel

mondo, anche talora contradditoriamente, specie nel momento in cui detti valori

sono sovente “inquinati” da richiami alle cosiddette “radici cristiane”.

1

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Ciò che potrebbe sorprendere, piuttosto, è che sia tra i giovani occidentali,

sia tra quanti hanno prodotto la petizone di protesta, l’identificazione

paradigmatica22 degli Spartani delle Termopili nei portatori dei valori dell’Occidente

attuale e dei Persiani achemenidi quali prototipo o addirittura alter ego

dell’Oriente islamico odierno e in particolare del regime islamico iraniano, è stata

immediata e automatica!

Il che induce a pensare che nella Weltanschauung, o addirittura, a dirla in

termini jungiani, nell’inconscio collettivo di una larga fetta dell’umanità, esista uno

stereotipo o un archetipo molto antico, più antico della contrapposizione

Occidente-Islam, e quindi ben radicato, che produce automatismi quali quello

appena descritto, nonostante sia come minimo opinabile il fatto che Leonida e i

suoi 300 fossero consci del fatto che stessero combattendo per la gloria del futuro

Occidente contro l’atavico – e eterno – nemico Oriente!

22 Quando uso nel presente studio il termine paradigma, mi richiamo specificatamente all’accezione

datagli da Thomas Kuhn, nel suo celebre saggio La struttura delle rivoluzioni scientifiche (1962).

1

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Capitolo II

Chi ha inventato il contrasto Oriente e Occidente?

Quando è attestata nelle fonti, per la prima volta, l’idea di una

contrapposizione tra una civiltà “occidentale” e una “orientale” e perché?

Questa è la seconda domanda che ci siamo posti.

Credo che la risposta la dobbiamo cercare nel già citato e promesso primo

protagonista di questo studio, Erodoto di Alicarnasso.

Infatti, è ben noto come il “padre della storia” occidentale abbia motivato

l’esposizione delle sue ricerche (ιστοριης απόδεξις) per immortalare le gesta degli

Elleni e dei Barbari – cioè i Persiani e gli altri popoli del loro impero –, del cui

conflitto comincia subito a raccontare le cause mitiche, nella spiegazione che lui

stesso attribuisce con voluta leggerezza a non meglio precisati “dotti persiani”

(Περσέων […] λόγιοι), secondo i quali i primi ad “iniziare” la discordia (διαφορά)

sarebbero stati i Fenici23.

Quindi, fino al quinto capitolo del libro I, Erodoto passa in rapida rassegna i

miti di Io, Europa, Medea e della guerra di Troia, secondo il costume tradizionale

di richiamarsi al mito per spiegare il presente, mostrando subito dopo, del resto,

tutto il suo scetticismo, tributario dell’“illuminismo” ionico della sua formazione,

allorché nota come, se queste storie sono quelle che raccontano Persiani e Fenici,

paternità molto opinabile24, lui racconterà invece del primo personaggio, orientale,

23 Non mi soffermerò sull’identificazione di questi Fenici provenienti dal Mare Eritreo e poi stabilitisi “in

questo mare”, cioè il Mediterraneo orientale, dal punto di vista di un greco. Ma ritengo utile e

interessante prendere in considerazione le ipotesi formulate da Sergio Frau, Le Colonne d'Ercole -

Un'inchiesta, 2002.24 Già in questa attribuzione delle spiegazioni mitiche del conflitto all’elemento orientale, si può leggere

una volontà da parte di Erodoto di distinguere l’uomo greco razionalista e concreto, oltre che

caratterizzato da un libero spirito critico datogli dall’esercizio della democrazia (ateniese), rispetto al

suddito orientale che si accontenta di verità mitiche e fantastiche, in quanto dettate dall’autorità. È in

realtà evidente che i miti citati da Erodoto sono greci, o comunque grecizzati, e hanno ben poco di

orientale, pertanto si tratta di una chiara operazione di propaganda. Cfr. Luciano Canfora, Op. cit., e

nota successiva.

1

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che, a quanto ne sapesse personalmente25, fu il primo a inziare le ostilità contro i

Greci, ossia Creso di Lidia.

Si può dire, insomma, e questa è la prima importante riflessione relativa ad

Erodoto che ci interessa per l’argomento di questo studio, che la storiografia

occidentale sia iniziata con lui – ammesso e non concesso che tale merito gli vada

effettivamente riconosciuto26 – in seguito al sentito e non casuale stimolo di

divulgare le ragioni del conflitto tra Oriente e Occidente, quest’ultimo, come è

evidente, rappresentato dal mondo ellenico evolutosi dopo le guerre persiane e

facente capo al faro politico-culturale che fu l’Atene periclea27.

È noto infatti come Erodoto di Alicarnasso, nato cioè nella Caria dorica

proprio all’epoca delle guerre persiane28, si sia a un certo punto trasferito ad

Atene29, partecipando, assieme ad altri importanti intellettuali provenienti dalla

Ionia e dalle altre terre greche d’Asia, invitati da Pericle e/o fuoriusciti, alla

fondazione della colonia panellenica di Turii sulle rovine di Sibari, voluta nel 444/3

a.C. dal carismatico uomo politico ateniese, vera anima dell’epoca classica di

Atene e della Grecia in genere.

Ed è altresì noto come Erodoto, con i λόγοι delle sue Storie divulgati in letture

pubbliche (l’ακρόασις), possa essere considerato, lui greco d’Asia fuggito dal

dispotismo orientale, lo strumento principale – o comunque uno dei principali –

della propaganda della democrazia ateniese dell’epoca del lungo governo di

Pericle30, propaganda finalizzata a conseguire il primato politico nel mondo

25 Cfr. Hdt. I 5,3. Cfr. Luciano Canfora, Op. cit., in relazione a questa assunzione di responsabilità

personale dell’autore rispetto ai fatti che racconta, già tipica dello stile di Ecateo di Mileto, modello di

Erodoto che pure se ne discosta nettamente sul piano politico-ideologico.26 Cfr. infra una più compiuta riflessione al riguardo.

27 Cfr. Pietro Rossi, L’identità dell’Europa, Bologna 2007, p. 16; cfr. altresì Eschilo ne I Persiani,

dove la rappresentazione dello scontro tra i Greci, difensori della libertà delle πόλεις, e i Persiani che li

cercano di sottomettere al loro governo dispotico, peccando di ύβρις, è emblematica.28 Secondo Gellio, Erodoto era nato nel 484 a.C. Cfr. Luciano Canfora, Op. cit.

29 Le circostanze e la data precisa del trasferimento di Erodoto ad Atene non sono note. Di certo si sa

che nel 454 a.C. Alicarnasso si trovava nella lista delle πόλεις che pagavano il tributo ad Atene e che il

suo nome è presente nella lista dei fondatori più prestigiosi di Turii dieci anni dopo.30 Cfr. Luciano Canfora, Op. cit.; su Erodoto e la sua opera non mancano ovviamente visioni diverse,

frutto di ricerche anche più recenti. Cfr. David Asheri, introduzione a Erodoto, Le Storie - Libro I - La

Lidia e la Persia, Fondazione Lorenzo Valla, 1998; Giuseppe Nenci (a cura di), Hérodote et les

peuples non Grecs, Genève 1990; Jacqueline de Romilly, “Les Barbares Dans la Pensée de la

Grèce Classique”, in Phoenix, Vol. 47, No. 4 (Winter, 1993), pp. 283-292; Carolyn J. Dewald, John

Marincola (a cura di), The Cambridge Companion to Herodotus, Cambridge University Press 2006,

2

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ellenico, grazie al quale poter contrastare efficacemente la prevaricante potenza

persiana e averne ragione, almeno in funzione del controllo del Mediterraneo

orientale e magari anche di tutta l’Anatolia31.

Il progetto della conquista dell’Anatolia, previa affermazione del proprio

primato politico-militare in Grecia, caratterizzerà più tardi la politica internazionale

di Filippo II di Macedonia, vero erede dell’imperialismo ateniese, ma in realtà è

noto come sia di matrice ionica: si tratta infatti dell’attraente prospettiva che

Aristagora di Mileto propone a re Cleomene di Sparta in cambio del suo aiuto

militare in occasione della rivolta ionica del 500 a.C., secondo il preciso racconto

dello stesso Erodoto32.

Il fatto stesso che Cleomene abbia rifiutato, secondo Erodoto

impressionato dalla distanza, tre mesi di viaggio, tra la Ionia e la Persia – secondo

altre interpretazioni perché impegnato nella coeva guerra contro Argo –, dimostra

comunque come i Greci dell’Ellade, i Greci occidentali, tra cui Sparta a

quell’epoca, come è noto, godeva non tanto di un vero e proprio primato politico,

ma senz’altro di un prestigio superiore, erano molto lontani da concepire uno

scontro con il colosso persiano, considerato troppo distante non solo dai loro

interessi e dalla loro portata, ma anche geograficamente: non potevano sentirlo

nemmeno come una minaccia.

Lo stesso sostegno che in seguito Aristagora ottenne dagli Ateniesi, 20

navi al comando di Melanzio33, nonché dagli Eretriesi, appena 5 navi – dagli uni

perché, secondo Erodoto, al contrario delgli Spartani, sarebbero stati abilmente

in particolare i contributi di Sara Forsdyke, Herodotus, political history and political thought;

Michael Flower, Herodotus and Persia; Tim Rood, Herodotus and foreign lands; e ancora Rosaria

Vignolo Munson, Telling Wonders – Ethnographic and Political Discourse in the Work of

Herodotus, University of Michigan 2001, secondo la quale lo scopo principale di Erodoto era duplice:

usare la tradizione dei logografi, genealogisti e etnografi per spiegare il presente e descrivere ai Greci i

costumi dei Barbari onde insegnare loro a comprendere meglio loro stessi. Le Storie erodotee,

insomma, sarebbero state ispirate da un paradigmatico γνωθι σαυτόν riflesso sullo specchio dei Barbari,

del resto rappresentati dall’Oriente persiano.31 Da notare come furono invece chiaramente filopersiani altri celebri “connazionali” di Erodoto, come

Scilace di Carianda, ammiraglio di Dario I il Grande, per il quale, tra il 519 e il 516 a.C. compì un

celebre periplo delle coste del Mar Rosso, del golfo Persico fino all’India, nonché soprattutto Ctesia di

Cnido, medico alla corte di Artaserse II e autore dei Περσικά elogiativi del potere achemenide, in cui

accusò esplicitamente Erodoto di essere ψεύστης και λογοποιός. Cfr. Luciano Canfora, Op. cit.;

Francesco Prontera (a cura di), Geografia storica della Grecia Antica. Tradizioni e problemi, Bari

1991.32 Cfr. Hdt. V 49.

2

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soggiogati dalla retorica e dalle promesse di Aristagora34, dagli altri per pagare un

debito di riconoscenza nei confronti dei Milesi, che avevano aiutato Eretria nella

guerra di Lelanto contro Calcide circa 150 anni prima! – è evidente che fu

assolutamente quasi simbolico e decisamente poco convinto e naturalmente non

incise positivamente sugli esiti della rivolta, laddove peraltro servì in seguito ai

Persiani come pretesto per la prima spedizione in Grecia.

Tutt’altro discorso va fatto per gli Ioni, i primi Greci a scontrarsi con i

Persiani e prima ancora, come Erodoto, rimontando a ritroso, sottolinea nel passo

citato35, con i Lidi di Creso. I quali, prima della conquista da parte di Ciro il Grande

nel 547 a.C., furono i potenti orientali più prossimi e pericolosi per i Greci d’Asia in

genere, con i quali peraltro condividevano affinità di vario tipo36.

Si può anzi dire che probabilmente è sorta tra i Greci d’Asia la matrice

ideologica del contrasto tra Oriente e Occidente, in origine corrispondente alla

dicotomia propagandistica tra i potenti regni orientali, Lidi prima e Persiani poi, e le

città greche della costa egea anatolica, sfociata nel conflitto con Creso prima e

nella rivolta antipersiana del 500 a.C. decenni dopo37.

Solo in seguito tale dicotomia è stata “trasferita” in Grecia38, in primo luogo

ad Atene, in seguito alle spedizioni persiane.

Solo allora si può dire che anche tra i Greci occidentali si sia diffuso un vero

sentimento antiorientale, laddove lo stesso Erodoto, che pure, come detto, aveva

tutto l’interesse a diffondere tale sentimento, in funzione della propaganda

33 Cfr. Hdt. V 97, capitolo che Erodoto conclude con la significativa riflessione: “Queste navi furono

principio di sciagure per i Greci e per i Barbari”.34 In realtà, Erodoto stesso lascia intendere che gli Ateniesi, da poco liberatisi dai Pisistratidi, erano

animati intanto da una crescente ambizione di potenza (cfr. V 66 e 78), inoltre tra loro e i Persiani, e in

particolare il satrapo di Lidia Artaferne (cfr. V 96), era già in atto un “incidente diplomatico” provocato da

Ippia che, giunto alla corte di Sardi dopo essere stato cacciato da Atene, sobillava l’intervento persiano

per riconquistare il potere.35 I 5, cfr. supra.

36 Cfr. Hdt. I 94 e passim. Lo storico lidio, coevo di Erodoto, Xanto di Sardi è sicuramente il

personaggio più emblematico di questa affinità. Peraltro, Eoli, Ioni e Dori avevano molto in comune in

genere con tutte le altre popolazioni anatoliche limitrofe: significativo in tal senso il passo erodoteo (I

146) in cui afferma che tutti gli Ioni avevano sangue cario.37 Senza dimenticare la “punizione” che Ciro inferse a Ioni, Eoli e Dori (ma anche Cari e altre etnie

dell’area) dopo la conquista della Lidia per non essersi sottomessi prima, ma aver aspettato le sorti della

guerra tra Lidi e Persiani. Cfr. Hdt. I 141 e segg. e infra.38 Non a caso da intellettuali greco-orientali come Erodoto stesso.

2

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ateniese d’epoca periclea, si è lasciato sfuggire delle considerazioni che

testimoniano del precedente distacco ideologico tra Greci d’Asia e d’Occidente39,

per esempio quando rileva che mentre Creso sottometteva Eoli, Ioni e Dori di

Caria, si alleava con Sparta40.

E sempre Sparta non rifiutò l’aiuto agli Ioni solo in occasione della rivolta

fomentata da Aristagora, ma anche all’epoca della conquista della Lidia da parte

di Ciro, che volle punire per la tardiva sottomissione gli Ioni e gli Eoli, i quali allora

inviarono messi a Sparta a chiedere aiuto. Gli ambasciatori dei Greci d’Asia furono

respinti in malo modo dagli Spartani, che pure in seguito inviarono in Lidia dei loro

propri ambasciatori a sincerarsi della situazione e a ingiungere al nuovo potente

despota orientale di guardarsi bene dal devastare le città della Grecia perché loro

non l’avrebbero permesso. Come a dire: in Asia fai pure quello che vuoi, ma non

venire in Occidente! La risposta di Ciro fu sprezzante e già carica di un marcato

contrasto culturale: il Gran Re, al vertice di un’aristocrazia di tipo feudale che

basava il proprio potere su tradizioni religiose, disse di non temere uomini che

nelle loro città hanno un luogo apposito – ovvio riferimento all’αγορά – dove

incontrarsi per imbrogliarsi negli scambi commerciali41.

Giudico come minimo straordinaria l’analogia con i tempi odierni, in cui

appunto assistiamo a un presunto scontro tra l’Oriente di un’aristocrazia islamica

tradizionalista ben rappresentata da Osama bin Laden e l’Occidente di

39 Cfr. Hdt. I 143 (e la nota relativa di Daniela Fausti in Erodoto, Storie, Milano 1984) riguardo al fatto

che gli Ateniesi, pur essendo di etnia e lingua ionica, non amassero essere chiamati Ioni, almeno

all’epoca di Erodoto, ma forse anche prima. Detta dicotomia, infatti, crebbe presso i Greci d’Occidente

fino a raggiungere livelli razzistici all’epoca delle guerre persiane e durante la πεντηκονταετια, in quanto

gli Ioni erano visti come troppo orientalizzati, anche moralmente, e quindi infidi. Erodoto stesso, pur

essendo di origine asiatica, non ha esitato a mettere in cattiva luce soprattutto gli Ioni, compreso il suo

modello Ecateo di Mileto. Forse in tal senso va interpretata la lezione alternativa Erodoto di Turii in

luogo di Erodoto di Alicarnasso nel proemio della sua opera: è possibile che Erodoto abbia ripudiato la

sua origine di greco d’Asia! I Greci d’Asia, in definitiva, a prescindere dal proclama politico della Lega

delio-attica di voler liberare la Ionia dal giogo persiano, erano considerati (e invero lo erano) dei

μιξέλληνες, “meticci” greco-orientali, nei confronti dei quali il pregiudizio durò fino all’epoca ellenistica e

conobbe la più aspra provocazione politica nelle nozze di Susa volute da Alessandro nel 324 a.C.,

allorché il conquistatore macedone, 91 eteri e 10000 soldati presero mogli iraniche. Persino Cimone,

figlio di Milziade vincitore di Maratona e di una principessa trace, nonché importante leader di Atene

durante la prima fase della πεντηκονταετια, impegnatosi soprattutto a cercare un’intesa con Sparta in

funzione antipersiana, fu pesantemente attaccato, disprezzato e beffeggiato in quanto “meticcio”!40 Cfr. I 6.

41 Cfr. Hdt. I 152-3 e la nota relativa di Daniela Fausti in Op. cit.

2

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un’America e un’Europa occidentale laiche, liberiste e liberali, impegnate a

imporre al mondo i valori della democrazia e dell’economia di mercato. E mi

ritornano in mente le battute del personaggio Delios nel finale del film 300,

allorché proclama il riscatto del mondo dal misticismo e dalla tirannia!

Se poi si pensa che ci si trova di fronte all’atavico contrasto culturale tra

l’arcaica tradizione orientale del potere assoluto giustificato dalla religione del

sovrano universale, che rimonta come minimo a Sargon – o meglio Shar

Rukenu – di Akkad, ma quasi sicuramente già almeno ai re sumeri Lugal-Anne-

Mundu e Lugalzagesi vissuti in Mesopotamia oltre 4500 anni fa42, rispetto

all’individualismo e alla propensione democratica, quando non anarchica, degli

“occidentali”, allora non si può non essere colti dalle vertigini!

Si potrebbe allora tentare di andare oltre cercando di capire se esistesse

già prima del conflitto tra Greci d’Asia e Orientali questo archetipo/stereotipo del

contrasto Oriente/Occidente.

Certo, è interessante in tal senso rilevare che già la Περιήγησις di Ecateo di

Mileto pare che fosse strutturata in due parti, una dedicata all’Europa, l’altra

all’Asia43. È vero che questo può solo significare semplicemente una naturale

distinzione geografica del mondo greco tra la costa asiatica e quella balcanica

dell’Egeo, ma è altrettanto vero che tale distinzione sembra già comportare una

marcata dicotomia culturale, come si è già rilevato.

E il mito della guerra di Troia tema dell’opera omerica e che tanto ha

caratterizzato la cultura ellenica e occidentale in genere, non è del resto basato

sul conflitto tra gli Achei, occidentali, e i Troiani, orientali, per giunta gli uni e gli

altri sulle opposte coste dell’Egeo come più tardi Greci e Persiani? Non si può dire

che il potente archetipo che rappresenta abbia non a caso marcato indelebilmente

il carattere nazionale ellenico e successivamente delle civiltà che ne hanno

ereditato l’identità culturale?

E volendo andare oltre ancora, con i pochi mezzi e competenze che pure

abbiamo, non si può scorgere un ricordo remoto di una dicotomia Oriente e

Occidente anche in alcuni toponimi come Europa, Etolia e Italia, per esempio, i

quali sembrano richiamare al significato di Occidente, non solo in quanto punto

cardinale, in antichissime lingue orientali44?

42 Il mito biblico di Nimrod è pure esemplare, in negativo, di tale tradizione mesopotamica.

43 Cfr. Luciano Canfora, Op. cit.

44 Cfr. in particolare l’opera del filologo Giovanni Semerano.

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E non è forse da trovare lo stesso significato nel nome Atlantide, il cui

mito/archetipo, con tutte le sue implicazioni varie, a seconda dell’epoca e

dell’autore che lo ha usato, tanto ha condizionato comunque la cultura

occidentale45?

Ma preferisco fermarmi qui e lasciare aperte tali questioni, ardue, seppure

intriganti, ma soprattutto al di là dei propositi, anche metodologici, che mi sono

prefissato.

Più interessanti per il presente studio gli sviluppi successivi dell’idea di un

conflitto culturale e politico tra Oriente e Occidente affermatosi in Grecia nel V

secolo a.C.

Nei prossimo capitoli mi sforzerò di passare in concisa ma significativa

rassegna l’itinerario di questo antico potente archetipo.

45 Cfr. Sergio Frau, Op. cit., in relazione all’identificazione degli Atlantidi con i Popoli del Mare e in

particolare con gli Shardana della Sardegna nuragica; nonché Giovanni Feo, Prima degli Etruschi,

Roma 2001.

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Capitolo III

Fortuna di un’idea

È sempre stata viva, nell’immaginario collettivo, l’idea di una

contrapposizione tra Oriente e Occidente o ci sono epoche storiche in cui lo è di

più?

La risposta a questa domanda è ovviamente data da una semplice

osservazione a quanto assistiamo nella nostra epoca, quando la contrapposizione

tra l’Occidente e l’Oriente islamico – tralasciando gli altri “orienti” –, a livello

politico, ideologico, culturale, purtroppo anche militare, è decisamente all’ordine

del giorno e suscettibile di acuirsi, per quanto non sia generalizzata e si tenti di

sminuirla diplomaticamente.

Ma è indubbio che la stiamo vivendo, al punto che ha ispirato decisamente

questo mio lavoro, basato essenzialmente sulla domanda radicale: perché e da

quando esiste questo conflitto tra i cosiddetti Oriente e Occidente?

Del resto, una risposta compiuta non può prescindere da una concisa

rassegna della storia di questa dicotomia, a partire ovviamente da quando ho

ritenuto di poter scorgere, nel capitolo precedente, la sua origine nella Grecia in

conflitto con la Persia nel V secolo a.C.

In particolare è da analizzare il presunto rapporto di filiazione storica tra la

Grecia di allora e il comunque variegato Occidente di oggi46, nonché e ancor più

tra l’impero achemenide e il confuso mondo islamico di oggi.

Se infatti Erodoto ha scritto e divulgato le sue Storie per interpretare e

propagandare la politica antipersiana della democrazia ateniese e soprattutto

periclea, è ben noto che la guerra del Peloponneso, in cui peraltro i Persiani non

sono stati affatto a guardare, ma hanno sapientemente fomentato il conflitto tra

46 L’analisi del retaggio greco, e poi romano, dell’Occidente è confortata da molteplici e anche antichi

studi, ma in particolare faccio riferimento ai recenti lavori di Martin Bernal, Atena Nera. Le radici

afroasiatiche della civiltà classica, Milano 1997 [Black Athena. The Afroasiatic Roots of Classical

Civilization, London 1987]; Jean-Pierre Vernant, Tra mito e politica, Milano 1998 [Entre mythe et

politique, Paris 1996]; L.L. Cavalli Sforza et al., a cura di G. Bocchi e M. Ceruti, Le radici prime

dell'Europa, Milano 2001; Christian Meier, Da Atene a Auschwitz, Bologna 2004 [Von Athen bis

Auschwitz, München 2002]; Pietro Rossi, Op. cit.. Notevole, in particolare, la periodizzazione di

Christian Meier.

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Greci, ha rappresentato il fallimento di questa politica oltre che dell’imperialismo

ateniese rispetto al mondo greco e del Mediterraneo in genere.

A questo proposito, sarebbe interessante intendere meglio i rapporti tra

Cartaginesi e Persiani: gli uni, Fenici originari di Tiro, è noto come avessero

mantenuto intensi rapporti con la madre patria, che, come tutti i Canaanei, aveva

accolto i Persiani come liberatori dal giogo caldeo e ne era fedele suddita47, gli

altri, evidentemente, non casualmente interessati a espandersi verso occidente,

verso il Mediterraneo: il proposito di punire Atene e Eretria per aver appoggiato la

rivolta ionica, con la spedizione del 490 a.C., fu decisamente un pretesto e sembra

piuttosto finalizzato a saggiare il terreno per un’invasione ben più ambiziosa,

quella che poi organizzerà Serse dieci anni dopo e che, formalmente, conseguirà

lo scopo ufficiale di punire Atene, data alle fiamme dagli invasori48, ma non quello

contro cui si mobilita l’Ellade, cioè di conquistarne il territorio e assoggettare tutto il

mondo greco fino alla Sicilia e all’Italia. È forse un caso che contemporanea alla

spedizione di Serse fu un’offensiva cartaginese49 respinta dai Siracusani a Imera

nel 480 a.C.? Ed è forse un caso che l’imperialismo cartaginese nel Mediterraneo

occidentale sia di poco posteriore all’affermazione del dominio persiano in

Occidente?

Si tratta di domande le cui risposte non rientrano tra gli obiettivi primari del

presente studio, pertanto non mi ci soffermerò, ma aggiungo che la conferma

dell’importanza strategica del Mediterraneo occidentale – pure in un contesto di

scontro niente affatto archiviato con la Persia – è palese anche nella condotta

della guerra del Peloponneso da parte degli Ateniesi, che, pur impegnati

intensamente in Grecia e nell’Egeo contro i nemici guidati da Sparta, si lanciano, e

si debilitano fatalmente, nelle due spedizioni fallimentari contro Siracusa del 427

a.C. e soprattutto del 415-3 a.C., finalizzate ad acquisire il dominio in primo luogo

47 A testimonianza di questa fedeltà la feroce resistenza che Tiro oppose ad Alessandro, indice, tra

l’altro, di un antico odio mai del tutto sopito tra Fenici e Greci, lo stesso di cui parla Erodoto all’inizio

della sua opera. Cfr. supra.48 150 anni dopo Alessandro “vendicherà” Atene facendo dare alle fiamme Persepoli, ma neppure

questo fu certo lo scopo della sua spedizione.49 Peraltro, va congiunto l’attacco dei Cartaginesi in Sicilia a quello dei loro alleati Etruschi, fermato

anch’esso dai Siracusani a Cuma 6 anni dopo. Il tiranno di Siracusa Ierone I, dopo quest’altra vittoria,

porterà offerte al santuario di Olimpia, per solenizzare lo scampato pericolo e per legare la vittoria

siracusana a quella dei Greci d’Ellade contro i Persiani.

2

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tra i Sicelioti e gli Italioti, quindi a contendere a Cartaginesi e Etruschi la

talassocrazia tirrenica.

E non trascurò questo fronte nemmeno Alessandro allorché, mentre lui

preparava la partenza per l’Asia, inviò in Italia il giovane zio Alessandro d’Epiro,

la cui impresa peraltro fu pure fallimentare e gli fu fatale.

In ogni caso, fallito l’imperialismo della democrazia ateniese, non si assopì

il sentimento antipersiano: del resto il colosso achemenide, nonostante i momenti

di crisi, soprattutto dinastiche, che pure ha attraversato, rimaneva incombente e

minaccioso nei confronti del mondo ellenico, in cui, come è noto, non ha cessato

di ingerire in varia forma anche nei decenni successivi alla guerra del

Peloponneso, decenni confusi e complessi per l’Ellade, ma anche fervidi sul piano

culturale e politico.

È ben noto altresì che una certa aristocrazia ateniese reazionaria e

filospartana, ben rappresentata dal personaggio di Senofonte, il vanaglorioso

“eroe” della marcia dei Diecimila, abbia incarnato un tentativo di conciliazione con

il Gran Re persiano, idealizzato appunto nella Ciropedia.

Ma prevale senz’altro l’acrimonia antipersiana che anzi finisce per

assumere contorni che non esito a definire matrice dell’Occidentalismo, inteso

come affermazione ideologica di superiorità dell’Occidente rispetto al resto del

mondo e che in tal senso tenterò di analizzare più dettagliatamente nel capitolo

seguente.

Basti comunque pensare all’azione politica di Isocrate e a quella

soprattutto intellettuale di Aristotele, personaggi, per il resto, tra loro non certo

affini, volte a condizionare Atene e tutto il mondo ellenico a coalizzarsi in una

confederazione che avesse lo scopo precipuo di mobilitarsi contro la Persia a cui

strappare almeno l’Anatolia.

E, a suffragio di dette azioni, è interessante rilevare che tanto Platone e la

sua scuola, quanto Aristotele e seguaci, s’impegnarono nello studio delle

πολιτειαι varie degli staterelli ellenici, con un fine che, a ben vedere, sembra

essere stato quello di ricercare e enfatizzare i punti in comune50, onde

caratterizzarli come fondamenti di un unitario stato ellenico confederato.

Anche i viaggi di Platone a Siracusa, soprattutto il secondo, potrebbero

aver avuto il proposito di ispirare non solo la costruzione dello stato ideale, con

50 Cfr. gli studi relativi della Prof.ssa Gabriella Ottone, tra l’altro presentati in conferenza presso il DISAM

a Genova con il coordinamento della Prof.ssa Francesca Gazzano.

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l’aiuto dell’amico Dione che pure, come è noto, non riuscirà ad accattivare nei

confronti del filosofo le simpatie del tiranno Dionisio II, ma anche quello di

indirizzare tale stato ideale verso la suddetta confederazione ellenica, il cui

carattere antipersiano è più chiaro, come si vedrà, nei progetti dei già citati

Isocrate e Aristotele.

Prescindendo ora da tali considerazioni, l’apparato di propaganda che

Filippo II di Macedonia prima e suo figlio Alessandro III poi, promossero in

funzione antipersiana fu pari alle loro azioni politico-militari. Ed ebbe successo. Ma

non va dimenticato che tale propaganda riprese e esacerbò motivi già presenti

nella retorica antipersiana ateniese durante la πεντηκονταετια e soprattutto

durante l’epoca periclea, su cui Erodoto, come visto, basò la sua opera storica.

D’altra parte, Alessandro mutò sensibilmente, a un certo punto, questa

politica e la propaganda relativa in seguito all’assunzione del suo dibattutissimo

orientalismo51, allorché impose, cioè, la trasformazione della sua monarchia sulla

base del modello orientale persiano, contro la posizione “occidentalista” degli eteri

macedoni e le aspirazioni confederali dei Greci.

La morte precoce, e misteriosa, del macedone non impedì né rallentò

questa trasformazione, che, come è noto, caratterizzò invece la struttura dei regni

ellenistici, pure non ispirati agli ideali universalistici di Alessandro il Grande, ma di

certo improntati a un assolutismo decisamente di tradizione orientale. Anzi, si può

scherzare sul famoso aforisma oraziano e dire che Oriens captus ferum

victorem cepit!

Ma il fatto contingente che in questo studio mi interessa più di tutto rilevare

è che comunque Alessandro diventerà nei secoli successivi alla sua impresa un

potente archetipo occidentalista: la propaganda del suo regime lo aveva dipinto

come un eroe conquistatore e civilizzatore delle terre dei barbari d’Oriente –

51 L’orientalismo di Alessandro, adottato nell’autunno del 330 a.C., quando fu informato che Besso

aveva assunto la tiara e la veste reale (cfr. A.B. Bosworth, Alexander and the Iranians, in “JHS”, 100,

1980, pp.1-21; ID., A missing year in the history of Alexander the Great, in “JHS”, 101, 1981, pp.17-

39; Pierre Briant, “Alexander the Great”, in EIr, I, 1985, pp.827-30.), è stato più correttamente definito

da R.N. Frye (La Persia preislamica, trad. Q.Maffi, Milano 1967 [I ediz. The Heritage of Persia,

London 1966], p.142) “persianization” o “achaemenidization”, in quanto indirizzato peculiarmente alla

precedente etno-classe dominante, i Persiani (cfr. Curt. VIII 8,10-2; Paul Goukowsky, Essai sur les

origines du mythe d’Alexandre, I, Nancy 1978., pp.43-4, 55, 276 n.122), fino ad allora perlopiù epurati

nelle satrapie conquistate a vantaggio dei nobili locali, sia pure mantenuti operanti in una struttura

burocratico-amministrativa di stampo achemenide.

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opinabilmente allegati come inferiori agli Elleni, gli Occidentali, sul piano socio-

culturale52 –, e come tale sarà ricordato a lungo nella letteratura e nella cultura,

dagli storiografi alessandrini a Curzio Rufo al Roman d’Alexandre sino ad oggi53,

nonché persino nella letteratura persiana islamica con l’Eskandarname di

Nezâmi, scritto a cavallo tra i secoli XII e XIII, tanto l’eco di tale propaganda fu

imponente.

E, in quanto archetipo, è ben noto il fatto che Alessandro conobbe

frequenti tentativi di emulazione, da Crasso a Cesare ad Antonio a Traiano fino

a Napoleone e oltre.

Questo archetipo, durante il basso Medio Evo e nell’età moderna, all’epoca

cioè dell’espansione dell’Occidente outremer, in “Terra Santa” prima, nelle “Indie”,

in Africa e nel Nuovo Mondo in seguito, ha quindi trovato continuità nell’altrettanto

potente archetipo del Crociato e Cristoforo, l’eroe conquistatore e civilizzatore

cristiano, una volta che l’Occidente si era caratterizzato e definito tramite

52 Già Erodoto aveva rappresentato i nomadi iranici Saka/Sciti come barbari e diversi per eccellenza,

“aldilà dello specchio” rispetto alla civiltà greca, cfr. François Hartog, Lo specchio di Erodoto, Milano

1992 [I ediz. Le miroir d’Hérodote: essai sur la representation de l’autre, Paris 1980]. Su tale

retroterra, tra l’altro, fiorì il mito di Alessandro “eroe civilizzatore” della propaganda imperialista d’epoca

ellenistica, sunteggiata per esempio da Plut. mor. 328C-F, allorché racconta: “Alessandro insegnò agli

Arachoti a coltivare la terra (cfr. Curt. VII 3,6 sgg. circa la barbarie dei Paropamisadi, presso cui era

assente l’humanus cultus), indusse i Sogdiani a mantenere i genitori anziché ucciderli (cfr. Strabo XI

11,3 C 517, da Onesicrito di Astipalea, dove l’uso “scitico” di gettare ai cani “becchini” [ενταφιασται] gli

anziani e i malati, prima di Alessandro è attribuito anche ai Battriani: distorsione stumentale dell’uso di

esporre i cadaveri, testimoniato tra i Parti da Iust. XLI 3,5) e gli Sciti a seppellire piuttosto che mangiare

i cadaveri (da notare che l’endocannibalismo patrofagico era più estraneo alla cultura classica che a

quella cristiana, dove l’eucaristia è una metafora di tale uso, tant’è vero che, come è noto, i primi

cristiani furono tacciati di “mangiare i bambini”); portò gli dei greci a Indi, Battriani e popoli del Caucaso

(nome esteso dai Macedoni a tutte le catene tra Caspio e Himalaya: cfr. Strabo XI 8,1 C 511; XV 1,11 C

689) e ai Gedrosi le tragedie di Euripide e Sofocle (cioè impose la cultura greca); se Alessandro non li

avesse conquistati, non si sarebbero mai civilizzati (ουκ αν ήμερώθησαν, ει μη εκρατήθησαν)!”. Cfr.

Pierre Briant, ‘Brigandage’, dissidence et conquête en Asie achéménide et hellénistique, in

“DHA”, 2, 1976, specie pp.184-5, 201 sgg.; ID., État et Pasteurs au Moyen-Orient Ancien, Paris-

Cambridge 1982, pp. 212 sgg., 226-7; F.L. Holt, Alexander the Great and Bactria, Leiden 1988,

pp.25-6; M.A. Levi, I Nomadi alla frontiera, Roma 1989, specie pp.60-1.53 L’ultima grande produzione culturale, e commerciale, dedicata alla figura del conquistatore macedone

è stato senz’altro il kolossal del regista americano Oliver Stone Alexander, del 2004, peraltro poco

apprezzato dalla critica, ma soprattutto dal pubblico americano, forse perché poco occidentalista. Cfr.

l’intervista al regista americano da parte di Arianna Finos, de La Repubblica, del 21 gennaio 2005

(http://www.repubblica.it/trovacinema/detail_articolo.jsp?idContent=284535).

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l’ideologia cristiana, a sostituire, o meglio “arricchire” e “rivitalizzare” con elementi

chiaramente orientali i valori sovrastrutturali romani della pax e soprattutto della

civitas.

Nel frattempo, fu appunto Roma a ereditare dal mondo ellenistico il ruolo di

prima potenza occidentale con tutto l’apparato propagandistico e culturale relativo,

compresa la struttura sempre più orientalizzata dello stato, cioè l’impero – a

sostituire l’originale Res publica oligarchica – con il suo carattere di monarchia

assoluta, specie, come è noto, nelle aspirazioni di alcuni tra i primi imperatori

come Caligola e Nerone. Si trattò di un processo molto chiaro, per esempio, a

uno storico ancora di età augustea come Pompeo Trogo, che costruisce le sue

Historiae Philippicae proprio su una periodizzazione54 che ha come punto di

partenza i regni orientali come detentori del ruolo di civiltà dominanti, la dinastia

macedone degli Argeadi – Filippo II e Alessandro il Grande – come perno della

svolta “occidentalista” di tale ruolo, Roma come punto d’arrivo, in polemica con

l’ideologia dominante che coltivava il mito di Roma spontaneamente e

naturalmente trionfante sul mondo conosciuto a partire da origini umili e pure,

propria della coeva opera di Tito Livio55.

54 Cfr. Maurizio Bettini (a cura), Letteratura Latina: Storia letteraria e antropologia romana, Firenze

1995.55 Interessante e significativa, in tal senso, l’analisi ucronica che lo storico di Padova opera nel capitolo

19 del libro IX della sua opera Ab Urbe Condita, allorché riflette sull’esito di uno scontro tra

Alessandro il Grande, se fosse vissuto di più e avesse potuto realizzare i suoi progetti di conquista

dell’Italia e del Mediterraneo occidentale, e Roma, eventualmente alleata con Cartagine, come era

all’epoca, concludendo che Roma avrebbe senz’altro avuto ragione del Macedone, abituato a vincere

nell’”imbelle Asia” cum feminis, come avrebbe detto in punto di morte in Italia Alessandro d’Epiro.

Peraltro in queste considerazioni liviane si può pure scorgere l’idea di fondo di un Occidente, in tal caso

Roma antica, libero, sebbene più povero e arretrato, ma più bellicoso in quanto tenace difensore della

propria libertà, rispetto a un Oriente – in cui era ormai inclusa la Grecia da Alessandro il Grande in poi

–, magari ricco, ma abitato da sudditi imbelli e abituati a rassegnarsi passivamente al potere di eventuali

nuovi padroni. Si tratta della stessa, opinabile, linea propagandistica occidentalista e antiorientale che

aveva caratterizzato la cultura greca dopo Erodoto fino al pensiero preellenistico. Da notare che la

“nostalgia” per una Roma primitiva e genuina e pertanto più libera e bellicosa rispetto all’età imperiale

animò anche l’opera di altri storici e letterati romani, come Sallustio e Lucano, ma soprattutto Tacito,

nella Germania, allorché esaltò la primitiva purezza e strenua libertà dei Germani rispetto ai civili ma

infiacchiti Romani, mito stereotipo paragonabile al “buon selvaggio” tanto vitale nell’età moderna e oltre

da Montaigne e Rousseau fino ad oggi, del resto già presente nella retorica cinica greca, incarnato per

esempio nel personaggio di Anacarsi Scita.

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Come è noto, il primo impero di impronta augustea si afferma sulla base di

una etno-classe italica56 detentrice della civitas e pertanto dominante su sudditi

peregrini, su cui era stata appunto imposta la pax romana, nuova forma esteriore

di “civilizzazione” dei popoli vinti.

Sallustio e Tacito sono i nomi più illustri tra gli autori e pensatori romani

che hanno manifestato, attraverso i personaggi delle loro opere, pesanti dubbi

circa la liceità e moralità di questa pax. Il primo fa dire a Giugurta, re della

Numidia, che i Romani, “ingiusti”, sono “i nemici comuni di tutti”57, e a Mitridate, re

del Ponto, che "i Romani un solo e ormai vecchio motivo hanno di far guerra alle

nazioni, ai popoli, ai re tutti quanti: la smisurata brama di dominio e di ricchezze"58;

il secondo è ancora più esplicito allorché nell'Agricola, fa pronunciare al capo

caledone Calgaco, a proposito della pax romana, la celebre frase: "Ubi

solitudinem faciunt, pacem appellant"59.

Questa propensione romana, invero già ellenica, all’autocritica del proprio

imperialismo, è noto come sia legata al movimento di opposizione senatoriale,

d’ispirazione stoica, nei confronti dell’assolutismo dell’imperatore, ma, proprio per

questo, le si può dare una chiave di lettura anche antiorientalista, laddove s‘è visto

che l’ispirazione dell’impero stesso rimanda all’influenza ellenistica e a sua volta

persiana fino all’antico ideale del sovrano universale assoluto e legittimato dalla

religione, di origine mesopotamica.

Catone il Censore è sicuramente il più acceso e emblematico

rappresentante dell’opposizione romana nei confronti di tale idea di potere

orientale e allora veicolata a Roma attraverso il mondo ellenistico60 che, nella

percezione di un tradizionalista quale lui era, non era semplicemente sentita come

56 L’etno-classe dominante italica, come è noto, fu sancita da Ottaviano Augusto, ma derivava dagli

sviluppi delle vicende delle guerre intestine, dalla guerra sociale alle varie guerre civili.57 Iug. 81: Romanos iniustos, profunda avaritia, conmunis omnium hostis esse.

58 Hist., Epistula Mithridatis ad Arsacem, Cod. Vat. 3864, Mithr.: Namque Romanis cum nationibus

populis regibus cunctis una et ea vetus causa bellandi est: cupido profunda imperi et divitiarum.

Notevole il fatto che questa lettera Mitridate l’avrebbe inviata, per sollecitarne l’alleanza, al sovrano dei

Parti, cioè del popolo orientale, apertamente dichiaratosi erede degli Achemenidi, che, almeno da Carre

in poi, divenne l’Oriente nemico dell’Occidente romano.59 Agricola 30.

60 Catone, è noto che esercitò questa opposizione soprattutto in quanto censor, in particolare tra il 184 e

il 181 a.C., ma già almeno dal 187 a.C. aveva iniziato ad attaccare gli Scipioni, il cui famoso circolo

culturale era la porta d’accesso privilegiato alla cultura ellenistico-orientale a Roma. Cfr. Maurizio

Bettini, Op. cit.

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estranea, non c’era in lui, cioè, solo semplice e irrazionale xenofobia61, ma anche

la consapevolezza che tale idea avrebbe corrotto irrimediabilmente lo spirito

genuino dei Romani che, pure loro come gli orientali e i graeculi, sarebbero stati

trasformati, parafrasando il citato passo di Tito Livio, in “imbelli donniciuole”.

Questa retorica “machista” antiorientale, del resto, animerà la propaganda

antipartica romana all’indomani di Carre62: se tuttora in Occidente si usa

l’espressione “la freccia del parto” a indicare un atteggiamento meschino, codardo

e proditorio, e se tuttora, in un film come il citatissimo 300, il nemico orientale è

rappresentato con queste caratteristiche, lo si deve proprio a detta propaganda.

Ora, come detto, il processo di “orientalizzazione” della cultura e della

politica romana in ogni caso continuò, al punto che, allorché Caracalla concesse

la civitas a tutti gli abitanti dell’impero, con la Constitutio Antoniniana de

Civitate del 212 d.C., fu proprio perché non esistevano più cives romani,

nemmeno in Italia, bensì sudditi a cui far pagare le tasse.

E nelle provincie orientali è noto come tale legge abbia costretto il diritto

romano ad adeguarsi alle antiche e coriacee tradizioni locali.

La stessa cristianizzazione dell’impero romano, come accennato, fu un

momento, di importanza epocale, di questo processo di orientalizzazione della

romanità, il cui carattere dominante della civitas era appunto scaduto e andava

sostituito con altri che al tempo stesso rivitalizzassero l’identità romana e

giustificassero, d’altra parte, il potere assoluto dell’imperatore, secondo appunto il

modello orientale della religione come instrumentum regni.61 Xenofobo fu, semmai, l’atteggiamento di Giovenale, anche lui del resto preoccupato dello scadere

della genuinità dello spirito romano. Cfr. Maurizio Bettini (a cura), Op. cit.62 Vorrei approfittarne per raccontare un anedotto tratto dalla mia esperienza di vita e professionale, che

comunque ritengo estremamente significativo per l’argomento del presente lavoro. A Belo Horizonte, in

Brasile, dove ho lavorato quattro anni presso la locale Scuola italiana, la “Fundação Torino”, ho

conosciuto una collega di Lettere che aveva vissuto una lunga esperienza di lavoro presso la Scuola

italiana di Teheran, la “Pietro Della Valle”. Mi ha raccontato che agli inizi della sua esperienza in tale

Scuola, presentandosi ai colleghi locali, uno le abbia chiesto che materie insegnasse, laddove, alla sua

risposta che insegnava Italiano, Latino e Storia, l’iraniano le avrebbe risposto: “allora, mi raccomando,

insegni bene ai nostri alunni di quando vi abbiamo battuto a Carre!”. Tenuto conto del fatto che la quasi

totalità dell’utenza della Scuola italiana di Teheran è costituita da alunni iraniani, è da considerarsi

notevole comunque questo processo di identificazione nazionalista degli attuali Iraniani negli antichi

Parti – da notare come la parola farsī pahlavan, “eroe”, deriva proprio dalla pronuncia persiana del

nome dei Parti (cfr. R.N. Frye, Op. cit.) - nonché del fatto che riconoscano in noi Italiani i discendenti

degli antichi Romani – mito propagandistico “risorgimentale” peraltro molto antico, risalente almeno al

Petrarca!

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Si tentò, con Elagabalo e soprattutto con Aureliano, di fondare l’identità

romana in tal senso sul culto imperiale, peraltro sempre di origine orientale63, del

Deus Sol Invictus, in polemica con il paleocristianesimo caratterizzato invece da

un acceso carattere antiimperialista, come è noto, sfumato appena negli apologeti

polemisti cristiani quali l’intransigente e preparato avvocato e giurista

Tertulliano64.

Ma se il Deus Sol Invictus di Aureliano era anticristiano e semmai più

affine alla divinità all’epoca principale concorrente di Cristo, Mitra, per giunta pure

di origine orientale65 – anzi addirittuta persiana, proveniente cioè dalla cultura della

nazione dell’Oriente nemico, al di là dello specchio, parafrasando Hartog66, di

Roma –, fu Costantino67, come è noto, dopo aver sconfitto il rivale Massenzio

nella battaglia del Ponte Milvio presso i Saxa Rubra il 28 ottobre 312 – battaglia

che fu anche tra i soldati cristiani di Costantino contro quelli mitraici di Massenzio

– ad orientare, per convenienza politica, il culto del Deus Sol Invictus verso

Cristo68.

L’editto di Milano del 313 e soprattutto il primo concilio ecumenico di Nicea

nel 325, da Costantino stesso presieduto, furono gli inevitabili e necessari passi

successivi verso l’affermazione del cristianesimo da religione sovversiva a

religione di stato, processo invero ufficializzato da Teodosio con l’editto di

Tessalonica solo il 27 febbraio 380.

Questo non significò la fine del paganesimo e di un sentimento anticristiano

– e antiorientale – che animò ancora a lungo la tradizionalista e paganeggiante

classe senatoriale rappresentata soprattutto da Rutilio Namaziano, l’ultimo

poeta di Roma – come fu definito da Augusto Rostagni –, il quale, nel suo De

63 Era il culto dominante della città siriaca di Emesa (l’odierna Homs), dove la divinità aveva il nome

locale di El Gabal. Cfr. Gaston H. Halsberghe, The Cult of Sol Invictus, Leiden1972.64 Cfr. Maurizio Bettini, Op. cit.

65 Cfr. Joseph Campbell, Occidental Mythology: The Masks of God, New York 1964; Alexander von

Prónay, Mitra: un antico culto misterico tra religione e astrologia, Firenze 1991.66 Op. cit.

67 Cfr. Lorenza Bonifazi, Angela Fontemaggi, Orietta Piolanti (a cura), Itinerari didattici lungo il

percorso della mostra Costantino il grande: la civiltà antica al bivio tra Occidente e Oriente,

Rimini, Castel Sismondo, 13 marzo – 4 settembre 2005.

68 Il Dies Natalis Solis Invicti, festeggiato il 25 dicembre, divenne così una festa cristiana, il giorno del

natale di Gesù bambino. Cfr. le lezioni delle Prof.sse Polonio, Bianchini e Scarsi del Master di cui il

presente studio è tesi conclusiva.

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Reditu69, addebitò senza mezzi termini le cause della decadenza di Roma proprio

al cristianesimo70, che favoriva, secondo lui, la prevaricazione dei barbari sugli

ormai completamente imbelli71 romani, linea di pensiero che, come è noto, ebbe

un notevole successo nei secoli successivi fino ad oggi, basti pensare al

fondamentale Decline and Fall of the Roman Empire pubblicato da Sir Edward

Gibbon nel 1776.

Solo la crisi definitiva della parte occidentale dell’impero di Roma aprì la

strada a un potere sempre maggiore della Chiesa romana, che all’epoca dei Regni

romano-barbarici ormai si considerava ed era considerata, almeno agli occhi della

popolazione latina che mal gradiva i germanici di culto ariano, l’unica depositaria

di un’eredità romana in Occidente72.

Il compiersi di tale processo si ebbe senz’altro allorché nella notte di Natale

dell’800 papa Leone III incoronò imperatore del “rinato” Sacro Romano Impero il

potente re dei Franchi Carlo Magno73.

È ben noto come tale operazione, tra l’altro, fu allo stesso tempo un timido

tentativo di riavvicinamento e addirittura di “riunificazione”74, ma anche di

69 De Reditu Suo, a cura di Alessandro Fo, Torino 1992.

70 Rutilio Namaziano condivideva piuttosto con i cristiani un altrettanto acre antisemitismo, ben

presente infatti nel già citato Tertulliano che, tra le altre sue opere, scrisse un Adversus Iudaeos, e

peraltro erede dell’astio che i Romani coltivarono verso i Giudei almeno dalla rivolta ebraica del 66 in

poi. L’antisemitismo, come è noto, diventerà in seguito un carattere peculiare dell’Occidentalismo

estremo, ufficializzato dal Concilio Laterano IV del 1215, nei capitoli LXVII-LVXX, e sfociato in età

contemporanea nella Shoah. Cfr. http://www.totustuus.biz/users/concili/ Concili Ecumenici della Chiesa

Cattolica.71 È evidente la filiazione tra la polemica anticristiana di Rutilio Namaziano e quella antigreca e

antiorientale da Catone il Censore in poi a Roma. Cfr. supra.72 Già all’epoca della grave minaccia rappresentata dagli Unni di Attila, alle fiacche difese militari

romane sopperirono spesso le più organizzate sedi vescovili. Emblematica in tal senso la leggenda di

papa Leone I che avrebbe fermato il condottiero barbaro alle porte di Roma. Cfr. Mario Bussagli,

Attila, Milano 1986.73 I Franchi rimasero l’unica grande potenza romano-barbarica in Occidente, allorché i Goti erano stati

annientati dall’Impero romano d’Oriente di Giustiniano in Italia e nella penisola iberica dai musulmani,

respinti invece dalla Francia da Carlo Martello, nonno di Carlo Magno, nella famosa battaglia di

Poitiers del 10 ottobre 732. Per giunta, erano più graditi ai Latini, in quanto “cattolici” e non ariani,

dall’epoca della conversione di re Clodoveo I nel 496. Cfr. Franco Cardini, Carlomagno. Un padre

della patria europea, Milano 2002.74 Nel 787 l’imperatrice reggente di Costantinopoli Irene stipulò in tal senso un’alleanza con il sovrano

franco e progettò un matrimonio dinastico tra suo figlio e erede al trono Costantino VI e una delle figlie

di Carlo, Rotrude. Ma il progetto fallì, in seguito a una rivolta dell’ala armena dell’esercito romeo nel

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affermazione di pari dignità nel rivendicare l’eredità romana, rispetto alla corte e al

patriarcato di Costantinopoli75. È altrettanto ben noto come la riunificazione non ci

fu, laddove crebbe piuttosto la presa di distanza, sia politica sia teologica – la

questione del filioque76 fu solo la più grave tra tutte le altre – tra l’Occidente e

l’Oriente cristiani e “romani”.

Ed ecco emergere anche in seno al mondo romanizzato e cristianizzato un

conflitto Oriente vs Occidente!

790. Ci ritentò, dopo aver esautorato e fatto accecare il figlio ed essersi fatta nominare Imperatore e

Autocrate dei Romani, in corrispondenza dell’incoronazione di Carlo Magno a Sacro Imperatore,

stavolta proponendo un matrimonio tra lei stessa e il franco. Ma alla fine dell’802 il generale Niceforo la

rovesciò e più tardi la esiliò a Lesbo. Anche presso la curia romana non mancò il boicottaggio

dell’eventuale accordo. Cfr. Georg Ostrogorsky, Storia dell'impero bizantino, Torino 1968; Alain

Ducellier, Bisanzio, Torino 1988.75 È ben noto altresì come, dopo la deposizione dell’ultimo ufficiale imperatore romano d’Occidente

Romolo Augustolo da parte di Odoacre, l’imperatore di Costantinopoli si sia arrogato il titolo di unico

legittimo erede di Roma e del suo impero, compreso l’Occidente considerato caduto in mano ai barbari

e suscettibile, quindi, di essere rivendicato e riconquistato, come tentò Giustiniano. I Romei, come si

chiamavano più correttamente gli impropriamente noti come Bizantini, si distinguevano quindi

nettamente sul piano socio-culturale-ideologico rispetto ai “Latini” barbarizzati di Occidente, dall’epoca

delle Crociate e sino ad ora dai Greci chiamati “Franchi”, come nell’Oriente musulmano, spesso con

contorni dispregiativi.76 Come è noto, l’espressione filioque corresse e integrò in Occidente il credo niceno-costantinopoliano,

in riferimento allo Spirito Santo: qui ex patre (filioque) procedit, cioè "che procede dal Padre (e dal

Figlio)", in funzione di una più recisa affermazione della consunstazialità, il dogma dell’ομοούσιον, tra

Padre e Figlio, sancita a Nicea nel 325 contro l’opinione di Ario. Questa clausola fu inserita per la prima

volta a Toledo, in Spagna, nel 587, in contrasto all'arianesimo della nobiltà visigotica. L'uso passò in

Francia, dove fu temporaneamente ripudiato al concilio di Gentilly del 767. Ma Paolino di Cividale,

patriarca di Aquileia tra il 787 e l’802 e santo per la Chiesa cattolica, molto attivo nell’opera missionaria

nei confronti delle genti slave, la riaffermò, probabilmente in seguito alla pressione di Carlo Magno che

intendeva prendere le distanze rispetto al clero e alla corte di Costantinopoli. Mutate le condizioni

politiche, Carlo Magno stesso convocò un concilio ad Aix-la-Chapelle nell’809 nel quale papa Leone III

proibì l'utilizzo del filioque sotto minaccia di anatema e ordinò che il Credo niceno-costantinopolitano

venisse scolpito su tavole d'argento cosicché il testo non subisse ulteriori variazioni. Ma in Occidente

permase come indice di un’identità romana “occidentale” distinta, contro la quale si batté energicamente

il patriarca di Costantinopoli Fozio. Nel 1014 fu adottato per la prima volta nella liturgia di incoronazione

dell'imperatore Enrico II da parte di papa Benedetto II, quale omaggio all’imperatore in cambio

dell’aiuto che il papa aveva da lui ricevuto contro l’antipapa Gregorio. Tale atto preluse allo scisma del

1054. Attualmente, nella Chiesa romana, il filioque è utilizzato nelle liturgie latine, mentre i riti orientali e

la Chiesa dei Vecchi Cattolici utilizzano la versione ortodossa. Cfr. F. Dvornik, Lo scisma di Fozio.

Storia e leggenda, ed. it. a cura di G. Pacchiani, Roma. 1953 [The Photian Schism. History and

Legend, Cambridge 1948].

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Retaggio peraltro di quello, antico, e già analizzato, tra Roma e il mondo

ellenistico, che comunque lasciò indelebile alla parte orientale dell’Impero romano

il carattere linguistico e culturale ellenico.

A tale conflitto e alle sue conseguenze sino ai tempi odierni ho accennato

brevemente già nel primo capitolo. Mi interessa rimarcarlo comunque come

fenomeno storico di questa potente dicotomia archetipica anche nel contesto degli

eredi dell’impero di Roma, il cui nome in ogni caso è tuttora riconosciuto tra quelli

degli “antenati” dell’Occidente.

L’impero romano d’Oriente, non fosse altro che per la prossimità

geografica, ereditò da Roma anche il tradizionale conflitto con l’Oriente nemico del

potente impero dei Persiani Sasanidi77, che già in passato avevano spesso

sconfitto e umiliato gli imperatori romani78. Per giunta il conflitto era anche

diventato religioso, allorché, in concorrenza con l’affermazione del cristianesimo

quale religione di stato a Roma, i sovrani sasanidi imposero in forma sempre più

intollerante lo zoroastrismo quale religione ufficiale del loro stato. Il momento più

critico di tale conflitto, anche in chiave religiosa, si ebbe, come è ben noto,

allorché lo Shāhanshāh Khosrau II, nel 614, conquistò Gerusalemme79 e

s’impossessò, come trofeo di guerra, della reliquia della Vera Croce, inaugurando

così la contesa politico-religiosa tra Oriente e Occidente sul controllo e possesso

di Gerusalemme e di tutta la Palestina, tuttora tragicamente attuale.

L’imperatore romeo Eraclio, come è noto, riuscì in modo pervicace e

geniale a sconfiggere il sovrano sasanide e a recuperare i territori perduti,

destabilizzando pesantemente la dinastia sasanide. Ma, dopo circa diciotto anni di

guerra continua, anche Costantinopoli si era indebolita fatalmente.

Questa logorante e lunga – al punto da poterla considerare paradigmatica e

emblematica – guerra tra Oriente e Occidente fu la vera causa predisponente

dell’imminente e travolgente dilagare degli eserciti arabi islamici a conquistare, e

77 I Sasanidi furono una dinastia originaria del Fars discendente da Sasan, sacerdote di un tempio della

dea Anahita e padre di Papak (o Babak), che riuscì a rendersi re indipendente della provincia persiana.

Il figlio Ardashir I sconfisse il re partico Artabano IV e successe al potere agli Arsacidi nel 226. Cfr.

R.N. Frye, La Persia preislamica…Op. cit.78 Il caso più emblematico fu quello di Valeriano, catturato da Shāpūr I a Edessa nel 260 e morto in

cattività.79 Da notare come gli ebrei di Gerusalemme accolsero i Persiani, che massacrarono i cristiani, come

liberatori, in ossequio, certo, alla tradizione biblica relativa all’amicizia tra i due popoli, ma soprattutto in

contrasto al già acceso antisemitismo cristiano.

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islamizzare, tutto l’impero sasanide80 e la parte sudorientale di quello romeo:

l’Egitto, la fascia siro-palestinese, l’Anatolia sudorientale.

E il califfato di Baghdad che ne sorse, proprio in virtù del fatto che gli

islamici non conseguirono la conquista di tutto l’impero di Costantinopoli – che

quindi ne divenne il primo nemico occidentale, ar-Rum – fu, in tal senso, il diretto

erede dell’impero persiano per quanto concerne il ruolo di Oriente nemico

dell’Occidente81, ruolo che, come ampiamente visto, si ripropone al giorno d’oggi82.

Il conflitto Occidente vs Oriente islamico, ovviamente, si accentuò al tempo

delle Crociate, cioè dell’esplodere dell’aggressività antiislamica83 del cristianesimo

occidentale che “usurpò”, tra l’altro, a quello orientale, il ruolo di riconquistatore del

Santo Sepolcro84.

80 Decisiva fu la battaglia di al-Qadisyya, del 637. È notevole il fatto che Saddam Hussein aveva

esaltato la guerra contro l’Iran di Khomeini (1980-88) come la “nuova Qadisyya”. Cfr. Giorgio

Vercellin, Iran e Afghanistan, Roma 1986.81 Da notare che anche l’impero islamico di lingua araba si è presto diviso in un Occidente, il Maghreb,

corrispondente al Nordafrica già berbero-romano dalla Libia alla Mauretania, e in un Oriente, il Mashraq,

dall’Egitto all’Iraq, distinzione che pare riprodurre, in gran parte, quella tra l’Impero Romano d’Occidente

e l’Impero Romano d’Oriente più la Mesopotamia e che anche nel mondo islamico ha prodotto divisioni

politiche talora nette e conflittuali. Cfr. Bernard Lewis, Gli Arabi nella storia, Bari 2001 [I ediz.

Princeton 1950]; Igor Man, L'Islam dalla A alla Z, Milano 2001.82 Cfr. Bernard Lewis, Op. cit.; Igor Man, Op. cit.; Franco Cardini, Europa e Islam. Storia di un

malinteso, Bari 2001.83 Fino a quell’epoca non si può parlare di “crociate” in Europa occidentale, i cui numerosi staterelli

feudali e gli emergenti comuni italiani mantenevano un relativo equilibrio con gli stati islamici nella

penisola iberica, in Nordafrica e in Sicilia, per non parlare delle presenze barbaesche, pure temute, in

Italia meridionale e altrove. Queste entità musulmane, da un lato, erano politicamente distanti

dall’Oriente islamico (cfr. supra), dall’altro lo stesso Occidente era disunito culturalmente e

politicamente. Solo nel 1016 si può intravedere un precedente allorché Pisani e Genovesi, rispondendo

a un appello di papa Benedetto VIII, si coalizzarono e vinsero contro il condottiero musulmano Mujāhid

al-Āmirī (noto tra gli autori occidentali coevi con i nomi di Museto, Musetto o Mugetto), che,

proveniente da Denia, presso Valencia, e dalle Baleari, intendeva conquistare la Sardegna. Cfr. Manlio

Brigaglia (a cura di), Storia della Sardegna, Sassari 1995. Notevole la coincidenza onomastica tra tale

condottiero, per giunta ex schiavo di origine slava convertito, e il mujāhid di oggi, cioè il combattente

islamico impegnato nel jihād contro gli infedeli, figura (ri)sorta nell’Afghanistan occupato dai sovietici tra

il 1979 e il 1989 e in cui tuttora s’identificano i cosiddetti terroristi islamici, nonostante il mujāhid

antisovietico sia stato esaltato, appoggiato e anche addestrato dall’Occidente e dai suoi alleati: caso

emblematico in tal senso è proprio quello di Osama bin Laden.84 La Prof.ssa Lia Raffaella Cresci, del DISAM, è stata chiara e esaustiva in tal senso durante le lezioni

del Master di cui il presente studio è tesi conclusiva. Cfr. in merito l’ampia bibliografia relativa alle

Crociate, per esempio l’intervista a Franco Cardini, in Enciclopedia Multimediale delle Scienze

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Determinante fu in particolare il vitalismo dei Normanni85, che conquistarono

l’Inghilterra anglo-sassone grazie all’iniziativa del duca Guglielmo il

Conquistatore, con i suoi soldati che, per incitarsi, cantavano durante la battaglia

di Hastings nel 1066 i versi della Chanson de Rollant. Questa straordinaria saga,

assieme a El Cantar del Mio Cid, più o meno coevo in Castiglia come epopea

orale, ha segnato al contempo l’inizio della letteratura volgare e il sorgere e la

diffusione dello spirito crociato in Occidente.

E non fu un caso, perché i Normanni stavano già militando come mercenari

nelle file romee in Anatolia e in Italia meridionale da decenni, al punto che fu da

un’esperienza di mercenariato al servizio dell’Impero Romano d’Oriente che

furono ispirati a conquistarsi – grazie all’iniziativa di Roberto il Guiscardo e del

fratello Ruggero, della famiglia degli Altavilla – un regno nell’Italia meridionale, a

spese dei Romei stessi e dei superstiti duchi longobardi, nonché in Sicilia,

strappata agli Arabi dopo una guerra trentennale tra il 1061 e il 1091.

Quattro anni dopo, al Concilio di Clermont (18-28 novembre 1095)

approfittando della richiesta, nel marzo dello stesso anno, da parte dell’imperatore

romeo Alessio I Comneno di un aiuto contro i Selgiuchidi incalzanti, papa

Urbano II bandì la prima crociata, alla quale, come è noto, risposero

positivamente, tra gli altri principi occidentali, sia i Normanni di Normandia, sia gli

Altavilla, con Boemondo I, figlio di Roberto il Guiscardo.

Alessio I Comneno, in realtà, non chiedeva affatto l'intervento degli eserciti

occidentali, men che meno di una crociata, sentita come un’ingerenza

inaccettabile da parte dei Latini negli affari interni romei. Voleva solo altri

contingenti di mercenari, con cui difendere Costantinopoli e riconquistare i territori

da poco perduti, per esempio Antiochia86.

Ma l’Occidente stava iniziando il suo espansionismo, che doveva passare

necessariamente attraverso lo scontro con l’Oriente islamico, volens nolens

l’Impero Romano d’Oriente, che non a caso entrerà sempre più in crisi sino a

scomparire nell’indifferenza diffusa dell’Occidente.

Filosofiche (http://www.emsf.rai.it/interviste/interviste.asp?d=515), La crociata, l'idea, la storia, il mito,

del 14 aprile 2000.85 Cfr. supra le lezioni della Prof.ssa Lia Raffaella Cresci.

86 Cfr. la straordinaria opera epica della figlia dell’imperatore Alessio I, Anna Comnena, l’Alessiade, in

cui i Normanni e i Latini in genere sono descritti come barbari rozzi, per quanto guerrieri notevoli, ben

lungi dall’essere animati da intenti spirituali più che dalla sete di ricchezze. Cfr. supra le lezioni della

Prof.ssa Lia Raffaella Cresci.

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In tale contesto si afferma l’archetipo, già citato, del Crociato e del

Cristoforo87, del cristiano occidentale, cioè, che a differenza di quello orientale, si

lancia in guerre sante di conquista, a “portare la croce”, contro i musulmani e in

genere i non cristiani88.

Un Cristoforo di nome e di fatto fu Cristoforo Colombo, il quale promosse

con la sua “scoperta” la cristianizzazione violenta delle Americhe, in una crociata a

tutti gli effetti, il cui esito fu l’occidentalizzazione del Nuovo Mondo, primo vero

fondamentale passo dell’affermazione dell’Occidente nel mondo fino ad oggi.

Per giunta, il navigatore genovese era realmente animato da propositi

crociati, in quanto è ben noto come aspirasse a raccogliere ricchezze nel Nuovo

Mondo per sostenere il progetto di una nuova crociata89 contro l’impero ottomano,

la potenza orientale islamica di allora.

Anche la conquista delle Americhe, quindi, nonché l’esplorazione e la

diffusione coloniale in Africa e nelle Indie da parte dell’Occidente, vanno quindi

inquadrate in uno scenario di conflitto, o almeno di concorrenza, con l’Oriente

rappresentato allora dall’impero Ottomano, il quale, peraltro, come è noto,

realmente impediva o comunque rendeva problematici all’Occidente i contatti

diretti con le vie delle spezie e degli altri prodotti pregiati orientali tramite la

87 La leggenda del Cristoforo, o di San Cristoforo, è antichissima nel mondo cristiano e risale almeno

alla vulgata di Jacopo da Varagine (sec. XIII), ma in realtà è attestata già nel VI sec. Fu un archetipo

potentissimo, legato alla pratica del pellegrinaggio e del proselitismo, del cristiano che doveva “farsi

carico del mondo”. Cfr. Gian Domenico Gordini in Enciclopedia dei Santi, Roma 1995 sgg.; Claudio

Risé, Il maschio selvatico, Milano 2002.88 La santificazione della guerra, e del guerriero, contro l’infedele musulmano, sancita peraltro al citato

Concilio di Clermont da parte di papa Urbano II, rappresenta un’altra inconciliabile differenza tra il

cristianesimo occidentale e quello orientale: il patriarca di Costantinopoli non riconobbe mai la

santificazione della guerra, sia pure contro i musulmani, neppure di fronte alla pressante richiesta

dell’imperatore Niceforo II Foca (912-969), in quanto in stridente contrasto con i principi della religione.

Cfr. supra le lezioni della Prof.ssa Lia Raffaella Cresci.89 Detta crociata era voluta veentemente dal papa, anche lui genovese, Innocenzo VIII (1484-1492), al

secolo Giovanni Battista Cybo – appartenente cioè alla famiglia patrizia genovese di origine rodiota dei

Cybo –, il quale è ormai documentato che abbia appoggiato in modo determinante il navigatore

concittadino. Cfr. Maurizio Parenti, Marco Tangheroni, “Cristoforo Colombo, ammiraglio genovese

e defensor fidei, in Cristianità n. 203, 1992. Alla storia di Cristoforo Colombo è stata dedicata anche

una recente puntata della trasmissione di Rai Due Voyager: La controversa storia di Cristoforo

Colombo, http://www.raidue.rai.it/R2_popup_articolofoglia/0,7246,121%5E3133,00.html

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tradizionale via mediterranea e carovaniera a tagliare tutta l’Asia, al punto da

indurre gli occidentali, i Portoghesi in testa90, a cercare altre vie91.

Certo, senza il “risveglio” umanista promosso in Italia a partire dal XIV

secolo, l’Occidente non avrebbe costruito lo spirito comune, la storia fondante, né

si sarebbe appropriato delle competenze e delle abilità necessarie – in breve, non

avrebbe recuperato il legame culturale con il mondo classico –, che gli sono stati

fondamentali per vincere il confronto con l’Oriente islamico, fino ad allora

superiore sul piano culturale e da allora in poi, non a caso, in graduale crisi fino ad

oggi92.

La stessa idea di Occidente in quanto specifico culturale si è gradualmente

affermata proprio a partire da allora, fino a compiersi definitivamente durante il

Romanticismo, in virtù del recupero del citato legame culturale con il mondo

90 Ma non vanno dimenticati i precursori italiani, specie genovesi, come i fratelli Ugolino e Vadino

Vivaldi, a cui allude Dante nel canto XXVI dell’Inferno, i quali, dopo la caduta di San Giovanni d’Acri nel

1291, data ormai l’impraticabilità delle vie delle spezie in Asia occidentale, furono sostenuti dai mercanti

e patrizi genovesi, ispirati da Tedisio Doria, in una vana spedizione che avrebbe dovuto giungere ad

partes Indiae per mare oceanum, alle Indie attraverso cioè la circumnavigazione dell’Africa, antica

archetipica aspirazione occidentale, anch’essa “inventata” da Erodoto, ma realizzata infine da

Bartolomeu Dias nel 1488. E i Portoghesi ebbero a modello Genova anche nella prima forma di

colonizzazione del Brasile, cioè nel sistema delle capitanias donatárias hereditárias, applicato nei

primi diciassette anni di presa di possesso della costa brasiliana a partire dal 1534, ma già sperimentato

con successo nei decenni precedenti nelle tuttavia disabitate isole di Madeira, Porto Santo, Açores,

Cabo Verde, São Tomé e Príncipe. Cfr. Alberto Magnaghi, Precursori di Colombo? il tentativo di

viaggio transoceanico dei genovesi fratelli Vivaldi nel 1291, Genova 1935; T.O. De Negri, Storia di

Genova, Firenze 2003; Gabriella Airaldi, Guerrieri e mercanti: storie del Medioevo genovese,

Genova 2004; ID., Dall’Eurasia al Nuovo Mondo. Una storia italiana (secc. XI-XVI), Genova 2007;

Hélio Vianna, História da República e História diplomática do Brasil, São Paulo 1961 [I ed. 1957];

Paolo Lingua, La Storia del Brasile, Genova 2000.91 Cfr. K. N. Chaudhuri, Trade and Civilization: An Economic History from the Rise of Islam to

1750, Cambridge 1985; K. N. Chaudhuri, Asia before Europe, Cambridge 1991.92 Cfr. Christian Meier, Op. cit.; Bernard Lewis, Op. cit., il quale ha individuato le ragioni del regresso

del mondo islamico nel suo scarso interesse nei confronti dell'Occidente, nel senso di superiorità di cui

si era a lungo nutrito e che aveva effettivamente ragione di sussistere sino ad almeno il XVI secolo,

quando la civiltà islamica era indubbiamente più progredita di quella occidentale. Molti osservatori sono

convinti del fatto che oggi stia verificandosi il processo inverso, laddove sarebbe l'Occidente a ritenere i

musulmani barbari incolti (cfr. infra, cap. IV), mentre in Medio Oriente intere generazioni crescono

studiando e giovandosi della civiltà occidentale che li ha momentaneamente superati in questo atavico

confronto.

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classico e della crisi sempre più acuta della dominante idea precedente di una

Res Publica Christianorum, tipica della concezione medievale93.

E questo Occidente “rinato” dal recupero della cultura classica ha poi

conosciuto importanti conseguenti “rivoluzioni”, o meglio evoluzioni, tra le quali

quella scientifica, quella industriale e quella liberale94 e laicista, quest’ultima a

imporre, gradualmente, i valori dello Stato di diritto, della democrazia e della

libertà e persino quello eudemonistico della felicità individuale, per i quali i richiami

al mondo classico, specie alla democrazia ateniese, punto di partenza del

presente studio, nonché alla Res publica romana, sono stati espliciti e dichiarati95.

L’Oriente islamico non ha vissuto alcuna di queste evoluzioni, se non

passivamente o marginalmente: non è azzardato sostenere, da un punto di vista

molto umanistico, che, allorché è finito il Medio Evo occidentale, è iniziato quello

dell’Oriente islamico, tuttora in atto96.

E l’Occidente, il suo archetipo dell’eroe civilizzatore, già caratterizzatosi

come Alessandro e Cristoforo, lo raffina e arricchisce ulteriormente a partire dal

XIX secolo come propagatore della modernità97, a costruire una specie di novello

Prometeo, tanto per rimanere legati al retaggio classico98. Il colonizzatore

occidentale dell’età contemporanea inaugurata da Napoleone è colui che porta al

mondo la civiltà della modernità, della tecnologia industriale, pacificamente o più

93 Cfr. Christian Meier, Op. cit.; Pietro Rossi, Op. cit.

94 All’affermazione del liberalismo politico, di modello anglo-sassone, ha corrisposto anche quella del

liberismo e dell’economia di mercato, non sempre in sintonia con il pensiero da cui sono ispirati. Cfr., tra

le tante letture possibili, il tuttora valido saggio di Max Weber, L'etica protestante e lo spirito del

capitalismo [Die protestantische Ethik und der Geist des Kapitalismus], 1904-5.95 Cfr. Christian Meier, Op. cit.; Pietro Rossi, Op. cit.; Gustavo Zagrebelsky, “Quando la Chiesa

detta legge allo Stato”, in La Repubblica 17 ottobre 2007, estratto da "L'autonomia etica degli

ordinamenti democratici", relazione letta al Incontro sul tema: "Religione e Stato liberale: una

prospettiva post-secolare", Centro Studi Americani, Roma 7 ottobre 2007.96 Come è ben noto, il grande Averroè, cioè Abū l-Walīd Muḥammad ibn Aḥmad Muḥammad ibn

Rushd (Cordova 1126 – Marrakech 1198), molto tempo prima di Galilei e Cartesio in Occidente, aveva

elaborato il concetto della “doppia verità”, una della fede, una della filosofia (e della scienza). Ma

incontrò la critica e la censura dei teologi musulmani come al-Ghazzālī, nonché l’esilio e la

persecuzione da parte delle autorità di Al-Andalus all’epoca, gli Almoravidi. Cfr. M. Geoffroy, Averroè,

in C. D’Ancona (a cura di), Storia della filosofia nell’Islam medievale, 2 voll., Torino 2005, vol. II.97 Cfr. supra e lo straordinario saggio di Ian Buruma, Avishai Margalit, Op. cit.

98 Ma il collegamento principe è con l’opera di Mary Shelley, Frankenstein or The Modern

Prometheus, del 1816-1818, in cui il mostro creato dal dottor Victor von Frankenstein è anche

potente metafora romantica proprio della modernità.

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spesso violentemente, comunque sempre a prevaricare le culture locali e a

sfruttarne l’area di mercato e la manodopera, ridotta a livelli servili sia pure in

stridente contraddizione con l’affermazione dei diritti umani promossi dai

philosophes illuministi e proclamati nella dichiarazione d’indipendenza degli Stati

Uniti d’America il 4 luglio del 1776 e, in forma universale, nella Déclaration des

Droits de l'Homme et du Citoyen di tredici anni dopo.

Intanto, a risvegliare bruscamente un sentimento antioccidentale anche

presso l’Oriente islamico ormai sempre più umiliato e sempre più arretrato rispetto

all’Occidente99, ci vorrà l’invasione dell’Egitto proprio da parte di Napoleone

(1798-99), a inaugurare il colonialismo europeo nel Dar el-Islam100.

Come è ben noto, in tale circostanza non furono coinvolti solo i militari, ma

anche un esercito di scienziati e studiosi di ogni tipo, i quali ci offrono la chiara

immagine di saccheggiatori, spesso de facto, delle vestigia e delle conoscenze

delle splendide civiltà orientali di ogni tempo ormai inerti di fronte alla

prevaricazione dell’antico avversario. Da tale saccheggio sono sorte le scienze

moderne101, comprese l’archeologia e la storiografia102.

La vittoria dell’Occidente sull’Oriente e il saccheggio delle sue spoglie,

coniugati all’entusiasmo scientifico-positivista, da un lato, e alla volontà di

potenza103 d’ispirazione romantica, veicolati dall’archetipo della modernità,

produssero nuove, sofisticate e, perché no?, affascinanti forme di Occidentalismo,

quale l’ideologia della supremazia della razza ariana, gravida di conseguenze

nefaste in tempi recenti fino ad oggi.

Ne parlerò più specificatamente nel capitolo successivo, in corrispondenza

all’analisi del cosiddetto Sonderweg, per il quale mi baserò sulle riflessioni di

Christian Meier e Martin Bernal.

99 Per l’Occidente, peraltro, l’Oriente islamico non era più da tempo l’avversario, bensì un oggetto di

contesa coloniale, o l’oggetto del mito esotista, a sfumare il desiderio romantico e già decadente ante

litteram di allontanarsi dal proprio ambiente soffocante e di conseguire la propria individuale libertà

d’espressione “al di là dello specchio”, nell’altro idealizzato, o un oggetto di studio “scientifico”, spesso

però a velare comunque l’interesse colonialista.100 Cfr. Massimo Introvigne, Osama bin Laden. Apocalisse sull'Occidente, Torino 2001.

101 L’aggettivo “moderno” in tal caso si riferisce proprio all’archetipo della modernità dell’Occidente della

prima età contemporanea.102 Cfr. Edward W. Said, Op. cit. sia pure con tutte le riserve che gli si può opporre.

103 Con volontà di potenza parafraso consapevolmente il concetto nietzschano della Wille zur Macht,

applicandolo però alla psicologia imperialista dominante e privandolo del suo valore spirituale.

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Nel frattempo, nell’Oriente islamico, come detto, qualcosa si mosse.

Notevole fu la rivolta sobillata tra il 1882 e il 1898 in Sudan104 da

Muhammad Ahmad ibn as Sayyid Abd Allah riconosciuto come il Mahdī105 tra i

suoi seguaci. Con il suo carattere marcatamente islamista fanatico, a coniugarsi

con un diffuso sentimento anticolonialista e quindi antioccidentalista, ha

prefigurato in forma straordinariamente, e sospettamente, analoga l’attuale

scontro tra l’Occidente a primato USA e il terrorismo islamico guidato da Osama

bin Laden106.

104 Nel caso del Sudan, occorre privarsi momentaneamente del punto di vista occidentale, che lo vuole

paese dell’Africa sahariana, e calarsi in quello islamico, per il quale invece è un’estensione meridionale

dell’Egitto, comunque parte del mashraq del Dar el-Islam. Cfr. supra.105 Mahdī, il “ben guidato da Dio”, è l’equivalente del mito messianico ebraico-cristiano nel mondo

islamico, in cui è ben presente sin dalle origini. Cfr. Timothy Furnish, Holiest Wars: Islamic Mahdis,

Jihad and Osama Bin Laden, Westport 2005.106 Cfr. Timothy Furnish, Op. cit.

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Capitolo IV

La presunta superiorità dell’Occidente

Quando è sorta l’idea, diffusa, di una superiorità della cosiddetta civiltà

occidentale? Per quali ragioni storiche? E questa civiltà occidentale la si può

considerare monolitica o ha modificato significativamente i propri caratteri nel

corso del tempo?

Se Erodoto, come visto, ha infatti motivato la sua opera sulla necessità

propagandistica di illustrare un conflitto in atto tra l’impero persiano achemenide,

l’Oriente, e l’Ellade, l’Occidente, non pare comunque corretto sostenere che sia

stato lui a inventare l’idea dell’Occidentalismo, inteso, come detto, nel senso di

superiorità della civiltà occidentale. Lo storico di Alicarnasso, infatti, si produce

abbastanza spesso nel riconoscimento di meriti e pregi alla civiltà persiana, per

esempio nei capitoli a cui hanno alluso anche gli autori della petizione di protesta

contro il film 300 riportata nel primo capitolo.

Per vedere nascere questa idea occorre piuttosto aspettare l’epoca

preellenistica, come accennato, dopo la fine della guerra del Peloponneso e prima

e durante l’epoca di Filippo II, in particolare occorre ricercare i caratteri di un

nascente Occidentalismo nell’opera di personaggi della cultura e della politica

ellenica di allora quali i già citati Isocrate e Aristotele, del resto non gli unici, ma

certo i protagonisti più illustri della loro elaborazione.

All’epoca, come è noto, l’Ellade conobbe una situazione di crisi politica tra i

vari stati e al loro interno, che si riassume in sostanza nel fallimento tanto di una

politica conservatrice e tradizionalista rappresentata da Sparta, quanto di quella

finalizzata alla creazione di una confederazione ellenica in funzione antipersiana.

L’egemonia spartana, appoggiata dalla Persia, seguita alla vittoria nella

guerra del Peloponneso fu di brevissima durata, a causa soprattutto del

sentimento antipersiano delle altre πόλεις elleniche. In particolare, allorché nel 401

a.C. Sparta permise la partenza per l’Asia di un corpo di 13.000 mercenari a

sostenere Ciro il Giovane nel suo tentativo di usurpare il fratello Artaserse II e

Ciro fu sconfitto ed ucciso nella famosa battaglia di Cunassa107, il prestigio di

107 Gli eventi di questa drammatica impresa militare, come è noto, sono narrati da Senofonte nella

celebre Άνάβασις, in cui peraltro esalta il suo personale ruolo nel rimpatrio dei mercenari sopravvissuti,

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Sparta quale paladina della libertà delle πόλεις elleniche fu compromesso

gravemente nel momento in cui Artaserse II, per rivalsa, riaffermò la sovranità

persiana sulla Ionia.

La spedizione di Agesilao non ottenne risultati soddisfacenti, in quanto lo

scaltro Artaserse II sobillò e sovvenzionò le altre πόλεις in funzione antispartana

e la Grecia fu sconvolta da una nuova guerra intestina, la cosiddetta guerra

corinzia, dal nome della città dove si era formata la lega antispartana tra Tebe,

Atene, Argo e appunto Corinto, conclusasi con l’umiliante Pace di Antalcida del

387 a.C., nota anche come la Pace del Re, in quanto fu proprio il Gran Re a

dettarne le condizioni a Susa all’ambasciatore spartano Antalcida: gli Elleni

furono costretti a rinunciare ai territori conquistati nell'Egeo e ad accettare il

controllo persiano delle πόλεις della Ionia e di Cipro, sia pure riconosciute

autonome.

Nel frattempo, anche i contrasti socio-politici interni alle πόλεις crescevano

d’intensità. Le classi medie, sia urbane, che agrarie, che avevano rappresentato

l’origine e il pilastro dei sistemi di governo democratici sorti in epoca classica, tutti

più o meno fondati sul ridimensionamento dei poteri politico-economici dell'antica

nobiltà latifondista, nonché sull'affermazione, sia pure non ovunque egualmente

netta, dei valori di libertà individuale e di partecipazione attiva alla vita politica

della propria comunità da parte di tutti i cittadini, erano entrate in crisi durante

l’epoca dell’egemonia spartana, che aveva favorito invece la formazione di nuovi

gruppi di potere di tipo aristocratico, per quanto non più solo di latifondisti, ma

anche di “borghesi”. Questa realtà decretò, seppure spesso in forma non esplicita,

la decadenza morale e sostanziale delle democrazie, il cui risultato più gravoso fu

l’acuirsi delle sperequazioni sociali e di una miseria generalizzata in spiccato

contrasto con l’arrogante ricchezza di pochi.

Fu per queste ragioni che crebbe in modo incontrollabile il fenomeno del

mercenariato, in cui confluiva la crescente massa di diseredati d’Ellade.

Il mercenariato era un’antica “tradizione” ellenica, ben attestata per

esempio in Egitto: già il faraone Psametek I Wahibra, della XXVI dinastia egizia,

che, per non urtare il Gran Re, non poterono comunque tornare in patria subito e dovettero adattarsi ad

aiutare il re trace Seute II, nella sfera d’influenza persiana, a recuperare il trono usurpatogli, finché alla

fine furono affidati al generale spartano Tibrone. Ma intanto l’Ellade tutta era in fermento antipersiano e

antispartano e lo stesso Gran Re si rese conto che non poteva fidarsi della capacità di Sparta di

contenere l’Ellade e la sua minaccia “occidentalista”.

4

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aveva riconquistato l’indipendenza dell’Egitto nei confronti dell’Assiria nel 653 a.C.

anche grazie al massiccio arruolamento di mercenari greci, sia pure in

associazione a Fenici, Ebrei, Cari e Lidi. E mercenari ellenici furono usati anche

dal nipote Psametek II Neferibra nelle sue campagne in Nubia del 593/2 a.C. e

aiutarono anche Inaro che guidò una rivolta, non riuscita, contro i Persiani tra il

460 e il 456 a.C.108, nonché Amonirdisu/Amyrteos, che invece riuscì a liberare

l’Egitto dai Persiani nel 404 a.C., approfittando proprio della crisi dinastica tra

Artaserse II e suo fratello Ciro il Giovane. La presenza di contingenti ellenici in

Egitto si mantenne costante presso i faraoni di tutte le dinastie, dalla XXVIII alla

XXX, che si mantennero indipendenti dalla Persia fino al 342 a.C., allorché

l’energico Artaserse III riuscì a riconquistare la vale del Nilo, che mai più riottenne

l’indipendenza109.

Ma anche la stessa Persia110, fino alla conquista di Alessandro, si servì

profusamente di mercenari ellenici e non solo nei tentativi di usurpazione come nel

caso descritto di Ciro il Giovane o nelle velleitarie periodiche secessioni dei

satrapi occidentali. Anzi, il rischio che prima o poi i Persiani si servissero dei

mercenari greci contro la Grecia stessa era una minaccia sempre più viva, favorita

anche dal fatto che tra questi mercenari era senz’altro diffuso un sentimento di

rivalsa sociale nei confronti delle élites elleniche.

Ecco perché, già nel Panegirico del 380 a.C., Isocrate, figura di spicco

dell’aristocrazia ateniese, propugnava la tesi della riconciliazione tra Atene e

Sparta e tutti gli altri Greci, allo scopo di fronteggiare uniti la tradizionale nemica

Persia, a cui strappare terre – la solita Anatolia! – dove sistemare i diseredati ed

evitare quindi il collasso socio-politico della società ellenica senza intaccare i

privilegi delle classi dominanti.

Più tardi anche Aristotele formulò un progetto analogo, sia pure in tempi

molto mutati.

Con la battaglia di Leuttra del 371 a.C. Tebe pose fine all’egemonia

spartana e inaugurò la propria, che durò una decina d’anni fino alla morte di

108 La stessa Atene e la Lega di Delo avevano inviato contingenti ad aiutare i rivoltosi egizi, sempre in un

contesto di continua e costante ostilità antipersiana, oltre che in omaggio a un’antica simpatia nei

confronti della cultura egizia. Cfr. infra circa le riflessioni di Martin Bernal al riguardo.109 Cfr. Cyril Aldred, Gli Egiziani: tre millenni di civiltà: origine, splendore e declino di un antico

popolo sulle sponde del Nilo, Roma 2005.110 Prima della Persia, anche la Lidia e altri stati asiatici si erano serviti di mercenari ellenici. Cfr. C.

Bearzot, Storia greca, Bologna 2005.

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Pelopida nella pur vittoriosa battaglia di Mantinea contro Ateniesi e Spartani

alleati nel 362 a.C. L’ingerenza persiana in queste guerre intestine tra Greci

permase costante.

Alla fine, non trovandosi fattori di coalizione che convincessero tutti, si

dovette cedere alla potenza macedone di Filippo II, salito sul trono macedone nel

360 a.C. e che, come detto, realizzò di fatto il progetto imperialistico già ateniese,

curiosamente e beffardamente alle spese tra l’altro di Atene stessa, invano incitata

dalle Filippiche di Demostene e altrettanto invano difesa dalle armi nella decisiva

battaglia di Cheronea del 338 a.C.

L’anno successivo Filippo II fondò la Lega di Corinto, formalmente

un'alleanza tra la Macedonia e le πόλεις elleniche, eccetto Sparta – di fatto

strumento giuridico-istituzionale del potere macedone sull’Ellade –, con lo scopo

ufficiale di allestire una spedizione contro la Persia, il tradizionale nemico della

Grecia, scopo più tardi realizzato da Alessandro, una volta che suo padre Filippo

II fu assassinato nel 336 a.C.111

Aristotele, in questo contesto, tentò di influenzare il suo allievo

Alessandro soprattutto con l’opera, perduta in originale, ma conservata in

traduzione araba, Ad Alessando, sulle colonie112, in funzione del progetto di

colonizzare i territori persiani, oltre che della preservazione dell’istituzione della

Lega di Corinto, a garantire l’autonomia degli stati ellenici. La sistemazione dei

diseredati greci in Asia fu tra le finalità ufficiali primarie della spedizione di

Alessandro il Grande, il quale però, come detto, non mantenne viva la

confederazione ellenica, in quanto pensava piuttosto a un regno su modello

achemenide113.

Ora, passati in rapida rassegna gli eventi che hanno costituito lo scenario in

cui Isocrate prima e Aristotele poi hanno operato, l’aspetto innovativo delle tesi di

entrambi e che più è inerente al tema del presente studio è che si basavano, in

sintesi, sul postulato che gli Asiatici erano già schiavi del Gran Re, quindi si

trattava, tramite “guerre giuste”, di renderli tali a vantaggio invece degli Elleni,

uomini liberi e intellettualmente superiori ai Persiani e agli Orientali tutti grazie alla

παιδεια, l’educazione ellenica.

111 Cfr. C. Bearzot, Op. cit.

112 Cfr. Paul Goukowsky, Op. cit. ; Paul Faure, Alessandro Magno, Roma 1989 [Paris 1985].

113 Cfr. supra.

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Per Isocrate schiavizzare gli Orientali a vantaggio degli Elleni avrebbe

permesso a quest’ultimi di trasformare la loro povertà in ricchezza, per Aristotele,

addirittura, di dedicarsi alla filosofia114!

Su questo postulato si fonda l’origine dell’Occidentalismo, che allora si nutrì

del mito/archetipo di Alessandro eroe civilizzatore, in seguito passato a Roma e

sostituito/arricchito dal mito cristiano del Crociato/Cristoforo, a sua volta

soppiantato, in età moderna, dall’europeo colonizzatore e propagatore della

modernità, come già descritto.

È interessante notare, in tal senso, come il mito di Alessandro, eroe

giovane, bello e forte, ma anche conquistatore e civilizzatore occidentale, sia

ancora molto vivo nella cultura giovanile odierna. Un esempio ne è il testo di una

famosa canzone, dal titolo esplicito Alexander the Great (356-323 B.C.), del

gruppo britannico heavy metal Iron Maiden, celebre tra i giovani già a partire dalla

fine degli anni ’70, e famigerato per i frequenti richiami, nei loro testi, al satanismo

e a ispirazioni comunque decisamente reazionarie e occidentaliste, quando non

fascistoidi. La canzone, firmata dal fondatore del gruppo, Steve Harris, è parte

dell’album Somewhere in Time, pubblicato nel 1986, ed è ancora considerata un

classico del genere. Il testo, caratterizzato da un registro non casualmente

arcaicizzante, è il seguente:

“My son, ask for thyself another kingdom, / For that which I leave is too

small for thee (King Philip of Macedonia – 339 B.C.). / Near to the east, in a

part of ancient Greece, / In an ancient land called Macedonia, / Was born a

son to Philip of Macedon, / The legend his name was Alexander. / At the age

of nineteen, he became the Macedon king, / And he swore to free all of Asia

minor / By the Aegian Sea in 334 B.C., / He utterly beat the armies of Persia. /

Chorus: / Alexander the Great / His name struck fear into hearts of men, /

Alexander the Great / Became a legend 'mongst mortal men. / King Darius

the third, / Defeated fled Persia, / The Scythians fell by the river Jaxartes, /

Then Egypt fell to the Macedon king as well / And he founded the city called

Alexandria. / By the Tigris river, he met King Darius again / And crushed him

again in the battle of Arbela, / Entering Babylon and Susa, treasures he

found, / Took Persepolis, the capital of Persia. / Chorus: / Alexander the

114 Cfr. Paul Goukowsky, Op. cit., pp.52 sgg.; Pierre Briant, Colonisation... Op. cit., pp.78 sgg.;

W.W. Tarn, The Greeks in Bactria and India, Chicago 1985 [I ediz. 1938, II 1953], pp.35 n.1; R.N.

Frye, The History of ancient Iran, München 1984, p.132; F.L. Holt, Op. cit., p.80 n.120.

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Great / His name struck fear into hearts of men, / Alexander the Great /

Became a god amongst mortal men. / A Phrygian King had bound a chariot

yoke, / And Alexander cut the "Gordion knot", / And legend said that who

untied the knot, / He would become the master of Asia. / Helonism115 he

spread far and wide, / The Macedonian learned mind, / Their culture was a

western way of life, / He paved the way for Christianity. / Marching on,

Marching on. / The battle weary marching side by side, / Alexander's army

line by line, / They wouldn't follow him to India, / Tired of the combat, pain

and the glory. / Chorus: / Alexander the Great / His name struck fear into

hearts of men, / Alexander the Great / He died of fever in Babylon”.

Come si può leggere, il testo è palesemente occidentalista, esplicitamente

nella caratterizzazione del concetto di Ellenismo, opinabilmente definito: a

western way of life.

Ho voluto inserire il testo di questa canzone degli Iron Maiden nel mio

studio in quanto lo ritengo emblematico, sia pure a livello di sottocultura popolare

e giovanile dei giorni d’oggi, di un’ideologia occidentalista che in epoca moderna si

è comunque arrogata l’ascendenza dalla civiltà classica e dell’Ellade in particolare,

pure caratterizzata in seguito dal cristianesimo – come è evidenziato nel testo

della canzone stessa: “He paved the way for Christianity” –, laddove detta

ascendenza è del tutto opinabile, tutto sommato, e in ogni caso frutto di

un’evoluzione del pensiero in Occidente dettata da una precisa evoluzione politica.

Il già citato Martin Bernal, nel suo notevole Black Athena, ma anche nel

contributo in Le radici prime dell'Europa116, individua nel tempo i due modelli che

avrebbero interpretato e “assimilato” a sé le origini della civiltà ellenica.

Il primo lo definisce modello antico, elaborato dagli stessi Greci e in

seguito variamente dominante nella cultura europea sino al tardo XVIII secolo.

Secondo questo modello, la civiltà ellenica, nelle sue diverse manifestazioni

culturali, sarebbe erede del sapere sviluppato sin almeno dal III millennio avanti

Cristo in Mesopotamia e nel resto dell’Asia occidentale per irradiazione e

soprattutto in Egitto, civiltà nei confronti della quale effettivamente i Greci

coltivavano una peculiare ammirazione117. La civiltà ellenica ne sarebbe stata

erede in senso proprio, in quanto le più importanti città dell’Ellade arcaica e

115 Sic per Hellenism!

116 L.L. Cavalli Sforza et al., a cura di G. Bocchi e M. Ceruti, … Op. cit. pp. 318-347.

117 Basti solo pensare allo spazio che Erododto dedica all’Egitto.

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classica, tra cui Micene, Cnosso, Tebe e Atene, sarebbero state colonie egizie e

fenicie118, fatti che Bernal afferma siano riflessi nella mitologia, per esempio nelle

leggende di Danao e Cadmo119.

Il secondo lo definisce come modello ariano, sorto nell'Europa moderna

del tardo XVIII secolo e affermatosi soprattutto nel XIX secolo: la civiltà greca

sarebbe nata in seguito all'invasione di popoli indoeuropei, sarebbe quindi una

civiltà autoctona europea sorta in contrapposizione a un “Oriente” asiatico e

africano considerato immobile e decadente. Tale modello avrebbe trionfato in

Occidente non per una sua maggiore plausibilità, ma per una serie di cause

esterne: l’affermarsi degli ideali romantici, tra cui l’esaltazione delle presunte

radici nazionali, l'ascesa del razzismo europeo giustificativo del colonialismo,

infine un fraintendimento, da parte della storiografia e della filologia del XIX

secolo, soprattutto ma non solo, di scuola tedesca, del concetto di oggettività120.

Quest’ultimo modello, in particolare, avrebbe mosso i suoi primi passi a

partire dall’affermazione dell’idea “laica” e “scientifica” – cioè emancipata dalla

precedente caratterizzazione di Res Publica Christianorum121 – di Europa, a

partire, sia pure non omogeneamente, dal 1675, data che Bernal sceglie come

118 In particolare Bernal sostiene che l’influenza egizia fu importante e determinante nella Grecia

micenea e poi in quella tardo arcaica e classica dei secc. VI e V a.C., mentre quella fenicia sarebbe

stata dominante durante il cosiddetto medio evo ellenico e nella prima età arcaica, a influenzare, per

esempio, lo sviluppo delle πόλεις.119 Cfr. Anche Sergio Frau, … Op. cit., e Giovanni Feo, … Op. cit., le cui visioni sono simili, ma

differenti nei dettagli. Cfr. pure i già citati lavori di Giovanni Semerano.120 Bernal, da parte sua, ripropone un modello antico riveduto. Secondo la sua ipotesi la civiltà

ellenica sarebbe sorta da colonie egizie e fenicie, ma in seguito avrebbe ricevuto l'apporto, anche se

non determinante, degli invasori di lingua indoeuropea. Bernal, peraltro, rifiuta la visione secondo cui

solo l’Ellade sarebbe stata in grado di elaborare un pensiero razionale, filosofico, artistico e scientifico

superiore a quelli di un “Oriente” asiatico e africano incapace di riflessione autonoma e schiacciato dalla

religione o dal dispotismo. Cfr. le riflessioni al riguardo supra. Secondo Bernal già nell'Egitto e nella

Mesopotamia è possibile immaginare la presenza di un elevato pensiero scientifico e speculativo da cui

quello ellenico sarebbe derivato. In particolare, la maggior parte della divinità elleniche sarebbe di

origine egizia, infatti l'interpretatio tra divinità elleniche ed egizie operata in epoca ellenistica avrebbe

riproposto paralleli già noti da secoli. Inoltre Bernal propone molte altre revisioni di nozioni

correntemente accettate, ma che nel presente studio non ci interessano in forma contingente.

Naturalmente, le sue tesi hanno trovato molti estimatori, ma anche molti detrattori, che gli contestano in

particolare una metodologia giudicata poco scientifica. Personalmente, ritengo che la sua tesi di fondo

sia valida e accettabile, tanto più in quanto trova conferme nell’analisi di Christian Meier e altri. Cfr.

infra.121 Cfr. supra.

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paradigmatica, in quanto in quest’anno fallisce l’assedio ottomano di Vienna e i

Russi compiono l’esplorazione-colonizzazione della Siberia fino al Pacifico, e

contemporaneamente inizia l’età di Isaac Newton, Gottfried W. Leibniz e John

Locke, i più marcanti eredi e divulgatori del metodo scientifico già affermato da

Galileo Galilei, Evangelista Torricelli, Blaise Pascal e René Descartes122.

Prima, sempre secondo Bernal123, “il primo concetto ben definito di Europa

come entità culturale fu quello creato dall’Islam. L’Islam straziò il cuore della

cristianità, intesa come successore religioso dell’impero politico romano. Tuttavia,

la cristianità sopravvisse sia in una posizione subordinata, all’interno dell’Islam, sia

indipendentemente, al di fuori dei suoi confini. […] l’impero bizantino e i territori

dell’Europa occidentale di Italia e Francia costituivano il più vasto frammento del

mondo cristiano frantumato. […] il termine Europa veniva usato come sinonimo

letterario di cristianità, […] I concetti gemelli di cristianità e Europa furono

utilizzati nella campagna a sostegno delle Crociate, […] il concetto di Europa

come cristianità si rafforzò nel XV e nel XVI secolo, quando i paesi dell’Europa

occidentale, partendo dalla riconquista delle terre precedentemente sottratte loro

dall’Islam, procedettero a nuove occupazioni, sia nel mondo antico di Africa e

Asia, sia nel Nuovo Mondo, l’America”.

Dissoltosi, come descritto prima, il legame tra cristianità e Europa,

“l’espansione europea non fu più giustificata in riferimento al compito

evangelizzante del cristianesimo, ma sempre più come processo di civilizzazione,

[…] soprattutto, avanzava la convinzione che [il continente europeo] fosse abitato

da una razza superiore, gli europei, da quel momento indicata come la razza

bianca (il colore che, tra i cristiani, designava convenzionalmente virtù e purezza).

[…] Questa distinzione razziale si affermò, sia intellettualmente che

istituzionalmente, come tratto discriminante tra schiavi e uomini liberi124. Il

razzismo divenne un paradigma dominante o una struttura intellettuale. […] Un

continente così sacro, con una così nobile popolazione, doveva necessariamente

legare al mito le proprie origini. La sorgente più immediata era chiaramente Roma

ma, come i letterati del Rinascimento stabilirono, (visto che Bisanzio non faceva

122 Cfr. Martin Bernal in L.L. Cavalli Sforza et al., a cura di G. Bocchi e M. Ceruti, … Op. cit. p. 319.

123 Id.

124 Cfr. supra la retorica propagandistica di Isocrate e Aristotele!

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più parte delle forze dominatrici), dietro Roma si stagliava l’immagine della

Grecia”125.

Appare evidente come la retorica paradigmatica europea, occidentale,

illustrata da Bernal, riproponga, fino a tutto il XVIII secolo ancora ispirata al

modello antico, dopo il romanticismo ispirata invece a quello ariano, tesi

decisamente analoghe a quelle descritte sopra di Isocrate e Aristotele in epoca

preellenistica, quindi da ribadire come antesignane e prototipe degli ideali

occidentalisti di epoca moderna e contemporanea.

Non c’è assolutamente soluzione di continuità, per esempio, tra l’affermarsi

dell’idea di europeo civilizzatore del mondo e appartenente alla razza superiore

bianca discendente dalla civiltà ellenica e il posteriore successo del mito della

fantomatica razza ariana, la razza superiore destinata a dominare il mondo.

Come è noto, tale mito si è sviluppato in seguito agli studi linguistici di Sir

William Jones, magistrato della Compagnia delle Indie Britanniche, pubblicati nel

1786 in una famosa conferenza, nella quale avanzava l'ipotesi che il latino, il

greco, il celtico, il gotico e il sanscrito derivassero “da una fonte comune che forse

non esiste nemmeno più”, l’ipotesi indoeuropea, appunto126.

Tale ipotesi, poco più tardi, fu ripresa e sviluppata con successo da

Friedrich Schlegel e Franz Bopp, i quali immancabilmente la introdussero nella

cultura tedesca che in quegli stessi anni del primo ‘800 si stava caratterizzando

con gli ideali romantici e del nascente nazionalismo germanico promosso da

Fichte e altri filosofi e intellettuali, in origine in funzione antinapoleonica.

La ricerca della Urheimat indoeuropea, o ariana – dal nome in cui si

riconoscevano gli antichi indoari e iranici e che si pensava di scorgere anche nel

nome gaelico dell’Irlanda, Eire –, fu la conseguenza inevitabile di questo incontro

125 Id. p. 320.

126 È altresì noto come William Jones non fu il primo, in realtà, a notare le somiglianze tra le lingue

indoeuropee, in quanto dobbiamo ricordare almeno i precedenti del mercante fiorentino del XVI secolo

Filippo Sassetti, che nel 1585 notò nelle sue lettere diverse somiglianze tra il sanscrito e l’italiano,

nonché di James Parsons, medico e scienziato britannico che ne 1767 aveva pubblicato The remains

of Japhet, being historical enquiries into the affinity and origins of European languages, dove

evidenziava similitudini lessicali in numerose lingue in seguito riconosciute come indoeuropee:

irlandese, inglese, tedesco, russo, latino, spagnolo, greco, bengalese, persiano. Cfr. Jean-Claude

Muller, “Early stages of language comparison from Sassetti to Sir William Jones (1786)”, in

Kratylos 31 (1986), pp. 1-31; J.P. Mallory, In search of the Indo-Europeans. Language, Archaelogy

and Myth, London 1989; Francisco Villar, Gli indoeuropei e le origini dell'Europa. Bologna 1997;

L.L. Cavalli Sforza et al., a cura di G. Bocchi e M. Ceruti, … Op. cit.

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tra romanticismo tedesco e linguistica indoeuropea, la quale apparentemente

dimostrava un’antica diffusione mondiale dei popoli ariani, immaginati presto come

popolo di conquistatori destinati al dominio del mondo, come ormai gli europei si

consideravano all’epoca del colonialismo tra età moderna e prima età

contemporanea127.

Ci vollero poi le opere pseudoscientifiche e paraepiche di Joseph Arthur

de Gobineau e più tardi di Houston Stewart Chamberlain, genero del

compositore Richard Wagner, a indirizzare sempre più il mito della razza ariana

verso il suo esito ultimo e consequenziale, la mitologia nazista, che purtroppo non

si limitò a rimanere mitologia, ma ispirò la pratica dello sterminio sistematico e

“scientifico” delle razze cosiddette inferiori, in particolare, ma non solo, gli ebrei

che soffrirono l’immane tragedia della Shoah, una volta che l’occidentalismo

ariano del nazismo aveva anche ereditato l’antisemitismo già proprio della sua

variante cristiana128.

Nel frattempo, a favorire questo processo, non mancarono gli interventi di

nomi illustri della pur celebre scuola storiografica e filologica tedesca, quella che

ha avuto quali principali rappresentanti Theodor Mommsen (1817-1903), premio

Nobel per la letteratura nel 1902 per la sua monumentale Römische Geschichte,

unico a ricevere sinora l’ambito premio grazie a un'opera di storia, nonché il

genero Ulrich von Wilamowitz-Moellendorff (1848-1931), tra l’altro determinante

detrattore delle tesi di Friedrich Nietzsche, di cui stroncò la carriera di filologo

classico.

Detti interventi spesso legavano opinabilmente, ma sempre sulla linea del

modello ariano sopra descritto, per esempio Sparta e la cultura dorica allo “spirito

germanico” o descrivevano l’impero romano come antesignano di quello

prussiano, il cui imperatore, non a caso, si chiamava Kaiser.

Analogie dello stesso tipo hanno ispirato anche polemiche tra storici

dell’Oriente ellenistico quali il britannico W.W. Tarn – che nel 1938 aveva

pubblicato la prima edizione del suo fondamentale The Greeks in Bactria and

India, in cui esaltò la conquista di Alessandro e la storia dei regni ellenistici

127 È ben noto come i Britannici si servirono del mito della razza ariana per essere accettati come

dominatori nel sistema castale hindu, nonché per crearsi delle solidarietà “ariane” in Iran, Afghanistan e

presso le altre genti iraniche dell’Asia centrale, gioco geopolitico che più tardi tentarono anche i

Prussiani e i Nazisti.128 Cfr. supra. Cfr. in generale M.F.A. Montagu, La razza. Analisi di un mito, Torino 1966.

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posteriori quale opera civilizzatrice secondo il modello/archetipo sopra descritto129

– e l’indiano A.K. Narain, il quale rispose al primo nel suo notevole The Indo-

Greeks, pubblicato a Oxford nel 1957, sostenendo per esempio che “Bactria was

not a ‘fifth Hellenistic state’...Their [degli Indo-greci] history is part of the history of

India and not of the Hellenistic states; they came, they saw, but India

conquered”130. Insomma, anche negli studi storici fu ed è molto vitale il confronto

Occidente/Oriente, anche se in questo caso l’Oriente indiano, di antica civiltà e

soprattutto di lunga e celebre tradizione politica anticolonialista.

Non deve quindi stupire il titolo dell’opera citata di Christian Meier, Da

Atene a Auschwitz, in cui lo storico tedesco ha studiato il Sonderweg europeo,

cioè la via speciale “che l’Europa ha percorso nella storia universale: di quella via

per la quale l’Europa […] si è avviata a partire dai Greci […];sulla quale l’Europa, a

partire dal 500 circa, ha finito per trascinare con sé il mondo intero, diventando per

alcuni secoli il cuore e il centro propulsore della storia del mondo; […] sulla quale

essa ha infranto alcuni “muri” nel campo della scienza, nell’affermazione della

razionalità, della cultura politica e così via, in un processo generale caratterizzato

da rapidità, ampiezza e profondità crescenti. Un processo nel quale, però, il

Vecchio Continente è ormai in ritardo rispetto ad altri soggetti (soprattutto gli Stati

Uniti) e in cui è tornato complessivamente ad essere, nonostante le sue specifità,

uno dei tanti attori, una civiltà accanto alle altre”. E questo processo, il

Sonderweg europeo, secondo l'intensa riflessione di Meier, si è interotto appunto

a Auschwitz, allorché la declamata eredità morale e scientifica131 che ha reso

l’Europa quello che tuttora è, grazie ai fenomeni storico-culturali sopra descritti, ha

raggiunto, come detto, l’esito negativo estremo prodotto dall’enfatizzazione

iperbolica del proprio ruolo nel mondo, enfatizzazione nata dall’idea della

129 Ancora nel 1984 il numismatico greco-statunitense Al. N. Oikonomides (in Eukratides the Great

and hellenistic Bactria, in “AncW”, IX, 1984, p.29), scriveva che in Battriana – l’attuale nord

dell’Afghanistan e Tagikistan – nemmeno Alessandro e i Seleucidi sarebbero riusciti “in bringing lasting

peace to the troubled lands inhabited by the Bactrians”, anche se, ancora per molto tempo dopo la

morte di Alessandro, i coloni greci di queste terre avrebbero costituito la frontiera orientale del mondo

ellenistico e i suoi “warrior-kings” “were still leading their armies to new glorious conquests and victories

by continually invading the rich lands of Punjab and N.W.India”. Posizione decisamente occidentalista.130 A.K. Narain, The Indo-Greeks, Oxford 1957, p.11.

131 Tale eredità morale e scientifica deriva appunto dalla matrice ellenica, attraverso il diritto romano, la

religione cristiana, il Rinascimento italiano e la rivoluzione scientifica, quella industriale e quella laicista,

che, secondo Meier, hanno dato vita a una civiltà multiforme, policentrica e mobile, caratterizzata dai

valori dominanti dell’individualità, della libertà e della solidarietà.

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superiorità degli Europei, a giustificarne il colonialismo. E, come ho ampiamente

descritto, tale idea deve il suo sorgere al confronto tra Ellade e Persia dal V secolo

a.C. ad Alessandro, che ha prodotto, tra l’altro il prototipo dell’Occidentalismo,

non a caso ripreso in epoca moderna nella caratterizzazione del concetto di

Europa, secondo il modello antico e poi ariano già visti.

Gli Stati Uniti, citati non casualmente da Meier, dopo il fallimento del

Sonderweg europeo a Auschwitz, hanno ereditato il ruolo di potenza dominante

dell’Occidente, richiamandosi anche stavolta direttamente ad Atene e al valore

della democrazia, di cui si considerano propagatori, congiuntamente al più pratico

valore dell’economia di mercato. Gli eventi contemporanei e il riaccendersi del

conflitto tra Oriente, nella fattispecie quello islamico, e Occidente, fanno temere

che il Sonderweg americano presenti rischi analoghi a quelli in cui è incorsa

l’Europa, al cui modello positivo, infatti, quello che sta ispirando l’Unione Europea,

si stanno richiamando in contrasto importanti politologi e osservatori anche

americani132.

Insomma, la civiltà occidentale, tanto per rispondere all’ultima delle

domande fondamentali con cui ho introdotto il presente capitolo, e concludere il

capitolo stesso e lo studio, non è certo da considerarsi monolitica nel corso della

tempo, d’altra parte ha modificato significativamente i propri caratteri solo per

adeguarli alle esigenze contingenti di ricerca di un’identità forte e allo scopo, tra gli

altri, di prevalere nell’antico atavico confronto con l’Oriente, il quale pure, nel corso

della storia, ha conosciuto rilevanti evoluzioni – o involuzioni – senza perdere

comunque il ruolo di antagonista dell’Occidente.

132 Il nome più celebre è quello dell’economista di fama mondiale Jeremy Rifkin, il quale nel 2004 ha

pubblicato il saggio dal titolo significativo The European Dream.

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Conclusione

Tirando le somme di quanto nel presente studio ho tentato di analizzare,

posso concludere intanto con l’asserzione che viviamo a tutt’oggi in un’epoca non

tanto dissimile, dal punto di vista paradigmatico, quanto meno per quanto

concerne una certa retorica di propaganda, da un passato apparentemente

remoto quale l’età preellenistica, durante la quale, invece, era viva e gravida di

conseguenze la contrapposizione tra un Occidente ellenico, e un Oriente persiano

achemenide, esattamente come oggi, tra l’Occidente a primato statunitense e

l’Oriente islamico. Allora, come oggi, l’Occidente presumeva una superiorità

morale e giuridica indirizzata a giustificarne le iniziative belliche finalizzate

all’occupazione di territori e allo sfruttamento delle risorse di ogni tipo.

Anzi, forse si può sostenere e magari auspicare che stiamo vivendo l’ultima

fase, quella culminante, di un processo storico avviatosi in quell’epoca in cui il

piccolo Occidente ellenico ha mostrato al mondo come si poteva conquistare un

vasto impero, di proporzioni inimmaginabili e mitologiche per l’uomo comune di

allora, a partire da un ridotto territorio e attraverso un’operazione preliminare che,

a ben vedere, può considerarsi l’antesignana della propaganda odierna, fatta di

molto marketing, condizionamento subliminale delle masse, geopolitica,

distribuzione di privilegi, ecc.

Negli scontri periodici in cui da allora si sono affrontati l’Occidente e

l’Oriente, via via mascheratisi di nuove sovrastrutture adeguate ai tempi, ma

sempre seguendo un filo rosso che li collegava alla tradizione, seppure talora

unilateralmente, sono poi quasi sempre intervenuti agenti esterni e spesso

imprevisti a sovvertire gli inevitabili equilibri che si creavano e a modificarne i

caratteri e le prospettive, anche linguistici e culturali in genere: i vari popoli

“barbari” dell’Europa nordorientale, ma anche dell’Asia centrale, nonché gli Arabi

islamici, tutti soggetti in seguito assimilati e deglutiti in questo binomio di opposti

Occidente vs Oriente, al punto che l’uno, al giorno d’oggi, è diretto erede del

mondo greco-latino germanizzato, l’altro degli imperi e delle civiltà più antiche

dell’Asia occidentale, pesantemente rivestiti della marcata identità islamica.

Si può prevedere che a sovvertire di nuovo e magari definitivamente questo

gioco di opposti possano intervenire altri agenti esterni, forse le già ben visibili

immigrazioni dai paesi svantaggiati, nonché la crescente importanza economica e

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politica di entità “nuove” quali l’India e la Cina, per giunta alle prese con

emergenze demografiche e ambientali che ne promuoveranno una sempre più

intensa emigrazione.

Si può sperare che l’Occidente e l’Oriente valorizzino piuttosto il prezioso

patrimonio comune e quindi investano congiuntamente su un futuro caratterizzato

dal principio della riconciliazione che permetta la dissoluzione di un millenario

confronto e ponga le basi dell’affermazione di un’era di pace e di reciproca e

proficua comprensione nel contesto della civiltà umana. Lo studio della Storia

deve promuovere questo urgente obiettivo.

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