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MAGGIO GIUGNO 2007 L’alpinismo delle evoluzioni Sul Pomagagnon Alpinismo Alpinismo Arrampicata libera Formazione Formazione Maggio Giugno 2007 Supplemento bimestrale a la “Rivista del Club Alpino Italiano - Lo Scarpone” N. 06/2007 - Sped. in abb. Post. – 45% art. 2 comma 20/b legge 662/96 - Filiale di Milano. Escursionismo Escursionismo

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MAGGIO GIUGNO 2007

L’alpinismo delle evoluzioni

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mici Delegati,Il mio primo mandato triennale alla massima carica del Sodalizio che - con tantagenerosità - mi avete affidato durante l'Assemblea dei Delegati di Genova del 23Maggio 2004, sta per volgere al termine. Si è trattato di un triennio impegnativo cheha assorbito molte delle mie energie fisiche e psichiche. Ma, nonostante tutto, nonmi sono mai risparmiato cercando di dare il massimo con spirito di sacrificio e diservizio. Anzitutto, ho voluto privilegiare il rapporto personale con tutti Voi comesegnale rivolto ad avviare quel processo di de-burocratizzazione che tutti invocano,all'interno ed all'esterno del perimetro associativo, ma che richiede tempo, coraggio,coerenza. L'impatto con una realtà complessa come quella del Club alpino italianonon è stato né semplice né indolore. Ho capito che vi sono ancora molte resistenzeculturali al cambiamento, anche se spesso abilmente mascherate. Ma chi, comeme, ha maturato - da uomo libero e senza pregiudizi - la consapevolezza di doveravviare un radicale lavoro di ri-posizionamento del Sodalizio, sa che la strada dapercorrere è ancora lunga ed insidiosa. Sarebbe molto più facile arroccarsi su di

una comoda ordinaria amministrazione, secondo laconsolidata filosofia gattopardesca del “cambiare tuttoaffinché nulla cambi”, come spesso mi capita diosservare tra le pieghe di qualche nuova normativa. Di conseguenza, ha avuto carattere prioritario laristrutturazione degli uffici dell'Amministrazione centrale(di cui, da anni, si lamentava la carenza strutturale efunzionale), portata a compimento nell'anno 2006.Certamente, vi sono ancora spazi di manovra permigliorare ulteriormente la macchina organizzativa ma nonvi è dubbio che il salto di qualità è stato fatto. I tempi dirisposta degli uffici si sono ridotti, i rapporti con lestrutture territoriali si sono intensificati, i dipendenti

preposti ai diversi incarichi hanno un nome ed un cognome certo, integrato da unindirizzo di posta elettronica. L'istanza di modernizzazione non poteva più esseredifferita anche nell'impiego delle nuove tecnologie. Il personale è portatore dicompetenze professionali di buon livello che, col tempo, potranno essere sempremeglio apprezzate e sperimentate dai nostri interlocutori. Gli uffici tecnici delpatrimonio, dell'informatica, degli affari legali, dell'ambiente sono presidiati da ottimifunzionari che, essendo in pianta stabile nell'organico dell'Ente, consentono digarantire una migliore continuità nella gestione delle pratiche ad essi affidate.Diversamente, il ricorso a consulenti esterni - come accadeva in passato - avrebbecomportato discontinuità di rendimento, costi aggiuntivi e si sarebbe posto incontrotendenza rispetto alle indicazioni degli organi di controllo ministeriali.Alla base della buona riuscita dell'Organizzazione deve però esservi il rispetto deiruoli e delle funzioni di tutti - volontari e dipendenti - senza sovrapposizioni,ingerenze, scorciatoie o astuzie, sempre in una logica di trasparenza che privilegi ilsaper fare ed il saper essere.

di AnnibaleSalsa

Relazione morale del Presidente GeneraleAssemblea dei delegatiMestre, 20 maggio 2007

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La relazione consegnata dalNucleo di Valutazionecostituito a sensi di legge ecoordinato da unprofessionista di chiara fama(valutatore aziendale epsicologo del lavoro) alloscopo di valutare ilraggiungimento degliobiettivi fissati al Direttore,delinea un ottimo profilodella dr.ssa Paola Peila inrapporto a parametrioggettivi e scientificamentetestati.Risultati tangibili sono statiulteriormente conseguiti coni rinnovi dei contratti dellepolizze assicurative, la cuiattenta e responsabilenegoziazione, condottasecondo le regole moralidel buon amministratore,ha prodotto considerevolirisparmi per l’Ente esensibili vantaggi per ilCorpo sociale comel’assistenza legale alleSezioni o l’estensione dellacopertura Soccorso Alpinoall’attività sciistica su pista.Questo terzo anno diPresidenza ha incominciato,finalmente, a dare i primisuoi frutti sui versanti chepiù direttamente riguardanola missione del Sodalizio esui quali intendo concentrareancor più l’attenzione infuturo, se mi vorreterinnovare ancora la vostrafiducia. Si tratta, infatti, diquegli obiettivi strategici delmio programmapresidenziale(comunicazione, giovani,divulgazione scientifico-culturale e ambiente) di cuiil CAI ha assolutamentebisogno per riqualificare lasua presenza nella società,nel mondo della cultura, deigiovani, delle politiche perl’ambiente. L’inversione ditendenza in positivonell’andamento delleiscrizioni di nuovi Soci(soprattutto giovani)costituisce un ulteriore

indicatore della via dapercorrere. L’apertura ainuovi mezzi diavvicinamento allamontagna (mountain bike,snow-board alpinismo ecc.)ha rappresentato un’aperturadi credito ed un atto difiducia verso nuovegenerazioni di amanti dellamontagna che, attraverso laneutralità tecnica di talistrumenti, possonoaccostarsi alla nostrafilosofia secondo la quale: “ifini trascendono i mezzi”.

ComunicazioneLa carenza dicomunicazione da parte delSodalizio, soprattutto quellaesterna, rivolta alla societàcivile, è nota da tempo.L’inadeguata conoscenza delClub alpino -frequentemente confuso conaltre Associazioni purbenemerite - costituisce laprova inconfutabile di cometroppo spesso il nostroimpegno identitario sia statoautoreferenziale edautocelebrativo. Nellasocietà di oggi non possiamopiù permetterci di dare perovvia ed acquisita ladecifrazione del nostroacronimo (CAI) e,soprattutto, delle nostreeccellenti attivitàistituzionali al servizio dellamontagna. Dobbiamo farlosapere secondo l’imperativocategorico della “pragmaticadella comunicazione”.L’accesso ai media ci hasempre visti perplessi e pococonvinti. Nondimentichiamo, a nostraparziale giustificazione, chein Italia la montagna non fanotizia se non in presenza diincidenti alpinistici,scialpinistici, escursionistici,speleologici o in presenza dicatastrofi ambientali eclimatiche. La “monoculturabalneare” fa pendant con la“monocultura dello sci” e

spesso è diffusa la credenzache i problemi economici esociali della montagna sipossano risolvere allargandol’offerta invernale. Maquesto mio impegno diattenzione ai grandi medianazionali (e non solo) hainiziato a dare i suoi frutti.Da segnalare, nel corso delmese di Gennaio 2007, bentre appuntamenti televisivirispettivamente con RAI 3“Ambiente Italia” in direttada Courmayeur (6 Gennaio)e da Lajon (13 Gennaio) suicambiamenti climatici inmontagna e sulla relativaposizione del CAI. Con Rete4 Mediaset ho partecipato alprogramma “Grandi eventidella montagna” dalla Val diFiemme con lapartecipazione di ReinholdMessner, Mauro Corona,Nives Meroi, il Ducad’Aosta (presentazione diMike Buongiorno),trasmesso in differita il 28Gennaio 2007. Altrepresenze - quale portavocedel Sodalizio - riguardanointerviste radiofoniche egiornalistiche su varie testatenazionali ed internazionali(Svizzera italiana). Seproseguiremo sulla stradatracciata i riscontri positivinon tarderanno e l’immaginedel CAI sarà megliopercepita anche attraversoun maquillage più vivace emoderno. Un altro grande evento dicomunicazione è stata lacelebrazione - da mefortemente caldeggiata -della Festa della Montagna ilgiorno 9 Dicembre 2006presso il nostro rinnovatoCentro Crepaz al PassoPordoi. La manifestazioneha avuto grande risonanzanell’opinione pubblicagrazie alla presenza delMinistro per gli AffariRegionali con delega allaMontagna On.le LindaLanzillotta. La giornata ha

avuto una prosecuzione aCavalese dove si è svolto unbrillante talk show sui temidella montagna e dove ilCAI era presente attraversola mia diretta partecipazioneal dibattito. Desidero, inproposito, ringraziare il GRVeneto per l’impegnoprofuso nell’organizzazionedella Festa al Pordoi.Auspico che talemanifestazione ponga le basiper un rilancio di questenostre strutture (Centro diFormazione e Casa alpina)dopo tanti anni di attese etrepidazioni.Anche nel settore dei nuovimedia telematici, ilcambiamento culturale hainteressato l’attivazione delprogetto “Mountain blog”,ovvero di quello strumentodi comunicazione interattivoipermoderno che vienemolto apprezzato dai giovaniper l’immediatezza dellinguaggio e perl’interazione comunicativache realizza in tempo reale.E’ stato un grande successoche ha premiato l’ottimismodella volontà anche inpresenza di non pochepreoccupazioni per ilcarattere dirompente di talemedium. Anche questo è unmodo innovativo per andareincontro ai giovani in unaforma aggiornata e fresca,meno polverosa e paludata. Il varo imminente (previstoper inizio estate) del portaleweb è destinato a colmareuna carenza che si protraevada troppo tempo e che ciattirava critiche legittime siadall’interno che dall’esternodel nostro perimetroassociativo. Anche questo èil risultato tangibile di unanuova politica del personaleche va nella direzione divalorizzare le risorseumane presentinell’organico dell’Ente.Un’altra importanteoccasione di conoscenza

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ANNO 128VOLUME CXXVI2007 MAGGIO GIUGNODirettore Responsabile:Pier Giorgio OlivetiDirettore Editoriale:Gian Mario GiolitoCollaboratore di redazione:Oscar TamariArt Director e redazione:Alessandro GiorgettaImpaginazione: Alessandro GiorgettaSegreteria di Redazione: Giovanna MassiniTel. 02/2057231.e-mail:[email protected],CAI - Sede Sociale: 10131 Torino,Monte dei Cappuccini. Sede Legale -20124 Milano, Via E. Petrella, 19 - Cas. post. 10001 - 20110 Milano - Tel. 02/205723.1. (ric. aut.) Fax 02/205723.201.CAI su Internet: www.cai.it Telegr. centralcai milano C/c post.15200207 intestato a cai Club AlpinoItaliano, Servizio Tesoreria - Via E. Petrella,19 - 20124 Milano.Abbonamenti a la Rivista del Club AlpinoItaliano - Lo Scarpone: 12 fascicoli del notiziario mensile e 6 del bimestrale illustrato: abb. soci familiari: € 10,90;abb. soci giovani: € 5,45; abb. sezioni,sottosezioni e rifugi: € 10,90; abb.non soci: € 35,40; supplemento speseper recapito all’estero: Europa - bacino del Mediterraneo € 22,92 / Africa - Asia -Americhe € 26,70 / Oceania € 28,20 Fascicoli sciolti, comprese spese postali:bimestrale + mensile (mesi pari):soci € 5,45, non soci € 8,20; mensile(mesi dispari): soci € 1,90, non soci € 3,30. Per fascicoli arretrati dal 1882 al 1978: Studio Bibliografico San Mamolo di Pierpaolo Bergonzoni & C. snc,Via XX Settembre, 42 - 40050 Dozza (BO) -tel. e fax 0542/679083Segnalazioni di mancato ricevimento vannoindirizzate alla propria Sezione.Indirizzare tutta la corrispondenza e il materiale a: Club Alpino Italiano UfficioRedazione - via E. Petrella, 19 - 20124Milano. Originali e illustrazioni pervenuti diregola non si restituiscono. Le diapositiveverranno restituite, se richieste. È vietata lariproduzione anche parziale di testi,fotografie, schizzi, figure, disegni senzaesplicita autorizzazione dell’Editore.Servizio Pubblicità G.N.P. s.a.s.di Nenzi G. & C. Sede: Via Udine, 21/a31015 Conegliano, Tv pubblicità istituzionale:Tel. 011/9961533 - Fax 011/9916208servizi turistici:Tel. 0438/31310 - Fax 0438/428707e-mail:[email protected]@serviziovacanze.itFotolito: AOG SpA - Filago (BG)Stampa: Elcograf - Beverate di Brivio (LC)Carta: bimestrale: 90 gr/mq patinatasenza legno; mensile: 60 gr/mq riciclata.Sped. in abbon. post - 45% art. 2 comma20/b legge 662/96 - Filiale di MilanoRegistrazione del Tribunale di Milano n.184 del 2.7.1948 - Iscrizione al RegistroNazionale della Stampa con il n. 01188,vol. 12, foglio 697 in data 10.5.1984.Tiratura: 213.009 copie

CopertinaLA CIMA DEL CERROSTANDHARDT(f. Ermanno Salvaterra)

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AlpinismoL’ALPINISMO DELLE EVOLUZIONIFabio Dandri 50

Rifugi storiciRIFUGIO “VENNA ALLA GERLA”Piergiorgio Repetto 54

Escursionismo storicoSUL POMAGAGNONAntonella Fornari 56

SpeleologiaNELL’APPENNINO UMBRO-MARCHIGIANOMario Menichetti 61

AmbienteI PARCHI LETTERARIMassimo Spagnoli 65

LetteraturaTRA PIEMONTE E PROVENZAFrancesco Tomatis 66

Libri di montagna 68

Monte dei Cappuccinia cura del Museo Nazionale dellaMontagna e della Biblioteca Nazionale 72

Materiali & tecnicheVITI DA GHIACCIOStefano Cracco, Giovanni Meneghetti 74

Scienza e montagnaLA VITA È UGGIANAQTUQJacopo Pasotti 78

AmbienteI BOSCHI, NON SOLO OSSIGENOAntonio Brunori 80

Alta saluteFERITE, FRATTURE, EMORRAGIESilvia Piombino 82

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EditorialeRELAZIONE MORALE DEL PRESIDENTE GENERALEAnnibale Salsa 1

Il temaMONTAGNE DI VETRO 2007Manuela Bonfioli 8

Lettere alla rivista 12

Sotto la lenteL’ANIMA DELLA VIGNARoberto Mantovani 16

Cronaca alpinisticaa cura di Antonella Cicognae Mario Manica 18

Nuove ascensionia cura di Roberto Mazzilis 22

Arrampicataa cura di Luisa Iovanee Heinz Mariacher 24

CostumeDE SENECTUTE ALPINASilvia Metzeltin 26

Dossier formazioneARRAMPICATA

I CORSI PER ISTRUTTORI NAZIONALIMaurizio Dalla Libera 30LA MIA ESPERIENZA AL CORSOAnna Ceroni 34L’ARRAMPICATANELL’ETÀ EVOLUTIVAMaurizio Dalla Libera 36

Storia/anniversariUN MITO CHE RITORNA:HERMANN BUHLIrene Affentranger 40

Alpinismo nel mondoBROAD PEAK Nancy Paoletto 46

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Chi abbia visitato la val diGenova non potrà certo averdimenticato lo spettacolodelle sue acque. Abbondanti,impetuose per i fortidislivelli ed affiorantiimprovvisamente, come permagia, in mezzo a massi ditonalite, chemeravigliosamentecontrastano con il verdecupo delle abetaie.Tutta la valle è selvaggia,preservata nel suo aspettoautentico dall'essere partedel Parco NaturaleAdamello-Brenta. Ultimobaluardo di comeimmaginiamo potesseroessere le zone montaneanticamente, essa appareaspra e persino quasiinospitale, così stretta esinuosa, e la si pensadeserta. Al contrariol'utilizzo delle sue risorse èstato in passato motivo dicontinua frequentazionedegli abitanti del luogo: iricchi boschi fornivano illegname da opera e da fuocoed i primi liutai scoprironoproprio qui l'abete rosso piùadatto alle loro casse dirisonanza. Il fiume Sarca, che si originadal ghiacciaio dell'Adamello,scorre costante formandocascate ed orridi in mezzoad enormi spezzoni di rocciagranitica. La sua forza,trasformata in energia, servìad alimentare le ruote

idrauliche di segherie emulini, numerosi afondovalle.

Un aspetto particolare stanella composizione dellerocce di queste zone.L'osservazione di una cartageologica ci fa scoprireinfatti la presenza, innumerosi punti, di venequarzifere, incluse nellaparte granitica ed anche ilvicino massiccio di Dolomiadel Brenta, ha offerto inpassato il quarzo prelevatoin numerose cave. Laricchezza di “christalli” eragià nota fin dal '600, infattidon Michel' Angelo Marianinel 1673 nel descrivere laval Rendena, accenna aquesta caratteristica come aduna potenzialità importante.Il primo sfruttamento delquarzo per fini produttivirisale però solo alla fine del'700, quando la nascenteindustria vetraria delleGiudicarie si affermòproprio per la presenzadella materia primaessenziale nella formazionedel vetro. Nell'800 infatti siinsediarono in valle quattrovetrerie: la vetreria Bormiolie la vetreria Garuti in vald'Algone, la “Fabbrica deiCristalli” Pernici e Bolognia Carisolo e la vetreriaVenini a Tione. Esserappresentarono un'industriafiorente e riconosciuta cheesportava nel Nord Italia e

Oltralpe.Nel 1805 sorseall'imboccatura della val diGenova la vetreria Pernici eBolognini che fu attiva aCarisolo per circa 80 anni,precisamente fino al 1888.In questa piccola piana ilfiume si suddivide in alcuneramificazioni e lecostruzioni del complessoproduttivo furono edificateproprio per poter utilizzarela forza dell'acqua per farfunzionare la ruota delmulino, dove venivafrantumato il quarzo.Le maestranze specializzatedella fabbrica provenivanodalle classiche zone diproduzione vetraria delcentro Europa, come laBoemia, l'Alsazia e laLorena. Giunsero fino a quiportando con se le lorospecifiche capacitàprofessionali, ma anche gliusi e le tradizioni culturalipatrie.

Si formò così, in questoremoto luogo montano unacomunità cosmopolita diprovenienza mitteleuropea,che costituì in questiinsediamenti quasi un ponteideale tra la tradizionevetraria del nord e del sudEuropa.I cristalli “ad uso diBoemia” qui prodottivenivano commerciati nellecittà della pianura Padana edottennero riscontri ericonoscimenti ufficiali invarie ed importantiesposizioni, fino dal 1811,quando a Milano la fabbricafu premiata con la medagliad'argento nel Premiod'Industria istituito daNapoleone.La statistica economicaredatta nel 1829 da JohannJacob Staffler, relativamenteal territorio del Tirolo e delVorarlberg, menziona i suoibei manufatti, dandole unimportante rilievo nel settore

a cura diManuela Bonfioli

Fondazione Maria Pernici - AnticaVetrerialocalità Antica VetreriaI - 38080 Carisolo0465-501170anticavetreria@katamail.comwww.anticavetreria.it

Montagnedivetro2007

Mulino con ruota idraulica.

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vetrario di quell'ampioterritorio.Alla fine del XIX secolotutte e quattro le vetreriedelle valli Giudicariesmisero definitivamente leloro produzioni. Spenti persempre i forni della FabbricaPernici e Bologni, calò ilsilenzio in quell'angolo diparadiso all'imbocco dellaval di Genova. Immobile lapossente ruota del mulinodel quarzo, zittito il ritmicofruscio delle lame dellaràssica, deserto il granpiazzale, un tempo animatodall'andirivieni operoso ditante maestranze,desolatamente freddi igrandi forni, tristementepriva dell'orgogliosopennacchio la svettanteciminiera, per decenni puntodi riferimento per chi sitrovava a transitare nellazonaLe costruzioni dimessedeperirono ma furonolentamente recuperate; nelperiodo della prima guerramondiale tutto il complessofu requisito ed utilizzato peril vicino fronte bellicosull'Adamello. Nella seconda metà del XXsecolo proseguì il restauro ela riconversione ad ospitalitàturistica dell'interocomplesso.Per iniziativa privata deidiscendenti dei fondatori,attuali proprietari deglistabili, è stata costituita nel2003 la Fondazione “Maria

Pernici - Antica Vetreria”. Aduecento anni di distanzaessa si prefigge di riportarealla luce e alla memoria levicende ed i personaggi chein quell'epoca di grandicambiamenti storici, politicie sociali scrissero la paginadell'attività vetrariagiudicariese. Il primo traguardo che laFondazione si è posta è statol'allestimento di quantorimaneva degli edifici delcomplesso produttivo, cometangibile testimonianza, inuna sede visitabile.Nel mulino del quarzo sonoora raccolti gli esemplari deimanufatti di cristalli risalentialla prima produzione. Sipossono osservare gli antichistrumenti di lavoro etestimonianze fotografichedel territorio negli scatti deiprimi fotografi trentiniottocenteschi. La collezioneè arricchita da modellisemoventi che ripropongonoi lavori collegati allaproduzione vetraria, come lafrantumazione del quarzonel mulino idraulico e lasegagione del legno nella“rassica”, segheria allaveneziana. Un plastico inscala ricostruisce in modorealistico la disposizionedegli stabili, rimasta alpresente pressoché invariata. E' stato allestito all'aperto ilgruppo della molazzaoriginale in granito, che erautilizzato all'interno delmulino. E' stata anchericostruita nella esattacollocazione antica la ruotain legno che mossadall'acqua azionava ilmeccanismo all'interno.Il visitatore può inoltreascoltare con l'ausilio diaudioguide il racconto dellastoria dell'insediamento e deipersonaggi che vi agirono.Al fine di raccontare l'interavicenda delle vetrerie laFondazione ha pubblicatonel 2003 il libro “C'era una

Mole per la frantumazione delquarzo.

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volta il vetro…nelleGiudicarie dell'800”.E' stato stretto ungemellaggio con la fornaceartistica Silvano Signorettodi Murano. Questo sodalizioha permessol'approfondimento delleconoscenze delle tecnichevetrarie e la realizzazione diun documentario sullalavorazione alla fornace. Ora lo sforzo si imperniasulla diffusione di iniziativeche abbiano concretezza edattinenza con l'attuale realtàeconomica della valle. Ecco che per la prossimaestate 2007 è stataorganizzata la rassegna“Montagne di Vetro”. Essasi articola in una serie diconvegni ed eventi dicarattere espositivo,

dimostrativo e teatrale. Nei cinque comuni diCaderzone, Carisolo,Giustino, Massimeno ePinzolo si svolgeranno, damaggio a settembre, mostretematiche, dimostrazioni dellavoro di soffiatura allafornace, conferenze,spettacoli rievocativi ed uninteressante parte didatticacon corsi di lavorazione delvetro, in collaborazione conla scuola europeaVetroricerca Glas&Modern

tavola.La suggestiva chiesa di sanVigilio a Pinzolo sarà lasede di una preziosacollezione di icone su vetro,realizzate con le tecnichedell'Hinterglasmalerei. AGiustino, antica areamineraria del quarzo, siammireranno, presso la sedecomunale cristalliprovenienti da tutta Europa eoriginali antiche lampade daminiera in vetro. Percorsialla riscoperta delle cave

vicenda ottocentesca dellevetrerie, offrendo lo spuntoper il recupero, in formaspettacolare, di una memoriaquasi completamente persa. Parte, in concomitanza conla rassegna, l'attivitàdidattica, che prevede corsidi lavorazione del vetro pergli scolari delle V elementaridei cinque comuni partners eper adulti e ragazzi. Gliistruttori di Vetroricercaillustreranno ai neofiti iprimi rudimenti della

di Bolzano. La Fondazionepromuove questoprogramma articolato con ilsostegno economico dellaProvincia Autonoma diTrento, il patrocinio dellaRegione Trentino Alto-Adige e la collaborazionedei cinque comuni partnersnell'iniziativa. La rassegna èrivolta alla popolazionelocale ma ben si inseriscecome proposta turisticaampia, qualificante,diversificata. Madonna di Campiglio eCaderzone, nelle prestigiosesedi del palazzo deiCongressi e delle scuderieLodron Bertelli, ospiterannorispettivamente la mostra delvetro d'artisti contemporaneie della manifattura artisticadel vetro come arredo da

dimesse verrannoorganizzati dal ParcoNaturale Adamello-Brenta.A Carisolo il maestro vetraiomuranese Silvano Signorettoeseguirà alla fornace “enplein air”, oggetti contecnica della soffiatura,lavorando con gli stessi gestisapienti di duecento anni fa.Un curioso e divertenteallestimento di un corsod'acqua trasformerà grandi epiccini in “cercatori diminerali” di fiume aMassimeno. Le vie di Pinzolo sianimeranno con una serie distands espositivi degli artistivetrai dell'arco alpino., condegustazione dei “cibi deivetrai”.Lo spettacolo rievocativo “Ilrespiro del vetro”, narrerà la

vetrofusione, lightpainting epatè de verre nella bella edantica sede di casa dei Cus aDarè.Veniamo infine alleconferenze sul tema vetro:ad aprire la rassegna sarà lacontemporaneità del vetrocon “Il vetro oggi edomani”, presso il MART,Museo di Arte Moderna eContemporanea di Rovereto.L'Auditorium di Madonna diCampiglio ospiterà lerelazioni del Presidentegenerale del CAI professoreAnnibale Salsa e delPresidente della SAT diTrento, Franco Giacomonicon i filmati del Filmfestivaldella Montagna.

Arrivederci in Rendena!

PPIl maestro vetraioSilvano Signoretto al lavoro.

Il Museo del Vetro dell’antica vetreria. Corso di lavorazione del vetro in collaborazionecon Vetroricerca Glas&Modern di Bolzano

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SI, CONOSCIAMO IL MONDO DELL’OUTDOOR

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DISAGIO PSICHICO E MONTAGNA.UNA RISPOSTA?Magari qualcuno si chiederàdi quel punto interrogativo:perchè rispondere ad unadomanda… con unadomanda. Ma l’interrogativoera d’obbligo dopo aver lettole parole della dott.ssaBorgoglio nella sua “Letterealla rivista” del numerogennaio-febbraio 2007. Mison detto “perché rispondere,non ho niente da aggiungerea quello che dice, hapienamente ragione”. Ma milancio ed inizio dicendo cheanch’io condivido appieno leasserzioni da lei formulate!E non perchè questo vengainteso come uno “scambioreciproco di cortesie”, maperché il percorso diriflessioni che lei attiva èesattamente quello cheabbiamo seguito noi; cisiamo posti le stessedomande, prima tra operatoripsichiatrici, poi con gli amicidella S.A.T.-C.A.I., infinesul campo, con le personeche abbiamo seguito, in unacostante reciproca crescita.E non voglio quindi cederealla facile tentazione diinstaurare un dialogo adistanza su questionisostanziali ma forse fintroppo tecniche; non è illuogo questo e rischieremmosolo di annoiare un lettore“non del settore”.

Quello che vorreisottolineare, la stimolazioneche vorrei rilanciare, è chenelle scienze umane le leggi,le certezze, le regole esitono,eccome, ma vanno usatecostantemente all’interno diuna dimensione i cui assiportanti sono la riflessione, ilpensiero, il confronto, lasperimentazione; oltre che,ovviamente, la passione ed ilmettersi in gioco. Gli uominie le donne sono unici, nonesiste una sofferenza ma leindividuali sofferenze, lemalattie sono diverse comediverse sono le risorse chedobbiamo (noi sanitari,scientificamente) utilizzareal meglio. Così come sono diverse lemontagne. Quelle reali equelle che abbiamo dentro.E le parole della collega(ammetto che non so benecome chiamarla perché in unrifugio ci saremmo subitochiamati per nome e dati deltu!) rimandano a questacomplessità, colgono altriaspetti del problema,allargano la visuale, a miogiudizio non in manieracontraddittoria ma diintegrazione.Con la sua lettera si sviluppaun dibattito che è quello cheall’interno di decine e decine(non oso dire centinaia) direaltà sta prendendo forma,che nasce da lontano, dallasolidarietà e dall’interessedelle persone per l’altro, eche oggi trova sempre piùinteresse e diritto dicittadinanza nel CAI.Mi piacerebbe forse dire:”ecco, il dialogo è avviato,parliamone”, ma credo chenon dobbiamo solo parlare,ma fare, trovare le praticheda mettere in atto, agirle e,parallelamente, discutere econfrontarci. Per trovaredelle azioni riabilitative cheabbiano un senso, dellenuove strategie che possanoconiugare questi mondi

(apparentemente) lontani einevitabilmente riavvicinatigrazie a confronti comequesto. Avvicinando persone(apparentemente) diverse.Le stimolazioni propostedalla collega vanno nellastessa direzione del miopensiero; per cui nessuncommento, obbiezione opeggio ancora critica. Solograzie per “essersi fattaavanti”e per aver propostoun’altra visuale, una“diversità” costruttiva edarricchente. Ripeto: questediversità sono arricchenti.Sabato sera siamo stati cometante altre volte in montagna,con un gruppo di persone delCentro di Salute Mentale diArco. Come al solito ciaccompagnava Paolo Calzà,fortissima guida rientrata ilgiorno prima dalla Patagoniadove ha salito il Fitz Roy(scusate se è poco). Edarrivati al rifugio, Bruno,uno del nostro gruppo(Sopraimille, ricordate), si èchinato ed hasimpaticamente baciato laneve; erano tre ore che loprometteva ed ha fatto unpoco di teatro per festeggiareil “SUO” Fitz Roy,faticosamente conquistato….Due monti molto diversi! Maquel che credo più conta èche tornando a valle Brunoha chiesto quando saremmoripartiti per un’altra salita!

Sandro CarpinetaCommissione Centrale Medica

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LO SKYRUNNINGL’articolo “perchè leskyrunner” pubblicato sullarivista, mi chiama in causa esento il dovere ed il diritto,in qualità di skyrunner, didare voce a questa categoriadi atleti sommariamenteliquidata come meraostentazione di forza fisica econ poca espressaintelligenza.L’origine dello Skyrunning

risale a molto tempo fa. laprima gara ufficiale a 4000metri si è svolta nel 1933 edè stata una gara di sci-alpinismo. il trofeoMezzalama.Le gare di skyrunning sonodivise in varie discipline: laskymarathon, che sulladistanza della maratonaclassica raggiunge i 4000metri di quota, la skyraceche raggiunge i 3000 metridi altitudine, il VerticalKilometer con 1000 metri didislivello in 3-5 km dipercorso, le gare di sci-alpinismo e la skybike.Dal 2001 si è costituita laFederazione sportd’altitudine che ha ilcompito di promuovere esoprattutto di disciplinare losport agonistico in altaquota, in attesa che alcunediscipline entrino a far partedell’ambiente olimpico.Correre dal mare al cielo,dalla pianura alle vette,questo è lo skyrunning, ed èrivolto a tutti quelli chesognano di fare sport all’ariaaperta.Probabilmente il sig.Rocconon ama le competizioni,nemmeno quelle con séstesso visto le barrierementali che si è posto.L’amore, la grande passioneper la montagna è il motoredi questo movimento, cheoltre all’aspetto atletico-sportivo non dimentica certola visione più romanticadell’andare per i monti.Mi permetto di invitare ilettori alle nostre gare,potranno assaporare il climadi amicizia e la solidarietàche le anima e sentire lepalpitazioni di ciò cheportiamo alla montagna: ilnostro cuore.

Corrado Morettini (Sezione di Salò)

Con analogo contenuto hannopure scritto:

Paola Didero, Luca Piccin,

Franco Soldi.

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IL PRIMO FESTIVAL DEL CINEMA DIMONTAGNA È NATO A CORTINA D’AMPEZZOA Cortina nasce nel 1938 unConvegno di cinematografiasugli sport invernali (vintoda Luis Trenker con “Lettered’amore dall’Engadina”, macon premi anche a GiorgioFerroni, con “Neve sulleDolomiti”). L’annosuccessivo si chiameràConvegno dicinematografia, dove venneproiettato “Atleti dell’Asse”.Il festival assumerà, dopo laguerra (nel 1949), il titolo diPrima mostra internazionaledi cinematografia sportiva apasso ridotto, dove ipremiati furono SeverinoCasara con “Cavalieri dellaMontagna” e “Scalate e volisulle Dolomiti” di GiuseppeGhedina e FedericoTerschak, nonché “Salita alleCinque Torri” dello stessoGhedina.Nel frattempo nasce anche ilCineclub Cortina chepartecipa nel 1950 alConcorso nazionale diMontecatini, con due film diFederico Terschak del 1948“Scalate e voli sulleDolomiti” e del 1950“Preludio alle Olimpiadi”(che si terranno nel 1956).Dapprima itinerante, dal1952 il Festival fu tenutostabilmente a Cortina: inquell’anno è da segnalare“Legni sulla neve” diAlberto Ancillotto e RenzoAvanzo. (È del 1952 lanascita del Filmfestival diTrento allora 1° Concorsointernazionale sullaCinematografia alpina).Negli anni successivi viparteciparono autori di moltenazioni e fra gli italiani,Fosco Maraini, MassimoMila, Folco Quilici, VictorAldo De Sanctis e altri.Dal 1955 assume ladenominazione di Festivalinternazionale di

cinematografia sportiva, e vipartecipano in quegli anni,fra gli altri il Mario Fantin,Giuseppe Taffarel, GuidoOddo, i cadorini AldoMolinari e G. Peruz. Dal1977 al 1979 il Festivalemigra e torna nel 1980 intre sezioni ovvero: Filmd’avventura, sport edecologia.Nel 1982 si tiene la 35maedizione e prende il nome diCortina filmfestival, c’è, frai tanti, “Front in Fels undEis” con paesaggi locali,fotogrammi di cinegiornaliaustriaci e brani di“Montagne in fiamme” diLuis Trenker. Nel 1997nasce CortinametraggioFestival internazionale delcortometraggio.

Emanuele D’Andrea(Sezione di Auronzo di Cadore)

SICUREZZA IN FERRATALeggendo tra le pagine dellaRivista di gennaio-febbraio2007, mi sono soffermatosull’articolo “Materiali etecniche, Il captator” e mi èvenuta alla menteun’esperienza analogaall’argomento trattato.Il giorno 14 luglio 2006, hopercorso la ferrata diCimalegna, partendo dallaBocchetta delle Pisse sopraad Alagna e durante la fasedi ascensione ho riscontratoche tutta la via ferrata non èmessa in sicurezza, unacaduta su quel tipo di ferratasarebbe letale per l’alpinistasfortunato.Durante un momento disosta per rifocillarmi, misono autoassicurato con ilmio moschettone al cavo disicurezza e, non appena misono rilassato un attimo, ilfittone di ancoraggio èpartito. Quel fittone eraconficcato nella rocciasolamente per tre centimetri!Ma non solo, ho potutoconstatare che molti fittonisi muovono e che altri

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addirittura sono statiposizionati su roccia marcia.Anche il cavo di sicurezzanon è per niente sicuro:quando passa sopra al fittoneva a formare un angoloretto. Di conseguenza, nelcaso di una eventualecaduta, il moschettone,andando a bloccarsi contro ilfittone, si potrebbe romperecon pericolose conseguenze.Per concludere voglioprecisare che sono un exdisgaggiatore, quindi disicurezze, fittoni,perforazioni in montagna,arrampicate e chi più ne hapiù ne metta, ho una buonaconoscenza. Dunque non soe non vorrei neanche saperechi ha progettato e costruitoquesta “arma letale” ma michiedo a cosa servano leimbracature testate, i pacchida ferrata con dissipatore anorma di sicurezza e icaschetti superleggeri ecoloratissimi quando tutto ilresto è da rivedere!

Maurizio Airoldi(Sezione di Alagna)

BORÀL DE LA BESÁUSEGAVorrei replicare alleconsiderazioni del Sig.Vittorino Mason in relazionea quanto pubblicato sullaRivista di genn./febb. 2007relativamente ai segnaviaapposti nell’estate del 2005sul sentiero n. 765 del“Boràl della Besausega” (I Pala di S. Lucano).Sono un semplicevolontario, nato e vissuto adAgordo, che frequenta lamontagna fin da bambino,che collabora con la SezioneAgordina del Cai e talvoltacon il Gruppo Ambiente diLa Valle Agordina,dedicando alcune ore delproprio tempo allasistemazione dei moltisentieri che insistono sulnostro territorio.A tal proposito facciopresente che il sentiero

n. 765 ha inizio dalladismessa cava di ghiaiasubito dopo l’abitato diTaibon Agordino e terminapresso la Casera RudelefinAlta, dopo aver superato ilBivacco M. Bedin sulla IPala, incrocia il sentiero n764 proveniente da Pont perCencenighe Agordino neipressi della Malgad’Ambrosogn ed un altrosentiero senza numerazioneproveniente dalla F.lla diGardes presso la CaseraPrademur.Pertanto l’itinerario inargomento è censito nelCatasto Regionale del Cai ecome tale deve esseresegnalato con i previstisegnavia, i quali sono unasicurezza per tutti ifrequentatori soprattutto incaso di nebbia e dimaltempo, e anche percoloro i quali intraprendonoil tracciato in discesa conpalese difficoltànell’individuazione dellostesso rispetto alla salita.Nonostante le criticheespresse, penso che ilfascino di questo percorsosia rimasto immutato sin daquando circa trenta anni fasono salito per la primavolta evidenziando che lapresenza di numerose“salamandre” è sintomo diambiente pulito eincontaminato.

Dario Dell’Osbel(Sezione Agordina)

PRECISAZIONENel fascicolo di Mar./Apr..2007, l’articolo “Pirenei:Monte Perdido” è firmato da Franco Gionco, al quale è stata attribuita la qualificadi Guida alpina. L’interessato precisa di nonessere Guida alpina.

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Sole e aria tiepidaanzitempo. È lo straccopomeriggio di una fineinverno fuori dalla norma.Una stagione anomala,dicono. Temperature oltre lamedia, siccità. Per trovare laneve bisogna salire molto inalto. Colpa del clima,dell'effetto serra, del globalwarming. Fatto sta cheanche sopra i 1000 metri diquota gli alberi hannogemme che stanno peraprirsi, nei prati spuntanoprimule e crochi, capita disentire il ronzio dei primiinsetti, e c'è pure qualchefarfalla con le ali di un belgiallo vivace. Roba da noncredere: l'anno scorso, aquest'epoca, in questi luoghic'erano almeno trentacentimetri di neve.Stamattina, salendo oltre leultime case del paeseabbiamo visto orti vangati epronti per la semina. E semanca ancora il verde deigermogli nella terra zappata,è solo per prudenza: non sisa mai, potrebbe arrivareuna gelata improvvisa. Macon questo tepore lasaggezza contadina fa apugni con la logica.Scendendo verso valle,attraversiamo una zona divecchi terrazzamenti.Vent'anni fa, quassù, c'eranoancora tante piccole vigne.Oggi molti dei vecchi coltivisono stati abbandonati.Morti gli anziani, moltigiovani hanno abdicato, e la

viticoltura eroica s'èsgretolata come l'inverno difronte ai capricci del clima.Vedere rovi, cespugli,arbusti cresciuti alla rinfusae zolle rivoltate dai cinghialidove c'erano filari ordinati ecurati mette un po' ditristezza. Capita spesso, difronte ai paesaggidell'assenza. Salvo poichiedersi, un minuto dopo,se ha senso, quassù,pretendere che i valligiani sicarichino sulle spalle lefatiche disumane dei loropadri.Fantasia per fantasia,immagino come dovevaessere un tempo il vino diqueste parti, primadell'arrivo della fillossera.Quand'ero ragazzino, ivecchi dicevano che i vitigniautoctoni, dopo essere statiimpiantati sulle vitiamericane per resistere almicidiale pidocchio dellafillossera, non davano piùl'uva di prima. La qualità eradiversa, e il vino aveva ungusto meno fine.A un quarto d'ora dal paese,oltre una grande terrazzainvasa dal bosco, accanto alsentiero scorgiamo trepersone al lavoro. Stannoriparando un muretto disostegno. Mi avvicino. Il piùanziano dei tre, quello che inapparenza dirige i lavori,dev'essere il padre; gli altridue sono ragazzi suiventicinque, trent'anni. Conla scusa di rispondere al miosaluto, la squadra alcompleto si concede unapausa. A giudicaredall'espressione stravolta deidue giovani, il lavoro diricostruzione non dev'essere

uno scherzo. Ogni pietrapeserà almeno 12 - 15 chili,e ce ne sono parecchieancora da sistemare.Chiacchieriamo un po', e inpochi minuti siamo quasiamici. In montagna, talvolta,capita; incontri casualidiventano occasione didialogo, momenti disolidarietà e di confidenzeinaspettate. Così, un attimodopo, il gruppetto al lavoro,con il nostro aiuto,raddoppia. Utilizzando ilvecchio sistema delpassamano, le pietrearrivano più velocemente eil grosso squarcio nel murocomincia a ridursi. Ma lasorpresa è lì a un passo,appena sopra il bordo dellaterrazza: un vero vignetocon i filari disposti sullalinea della massimapendenza. Viti giovani,tenute a regola d'arte.L'uomo che pensavo fosse ilcapo della squadra intercettail mio sguardo stupito eblocca subito le mieelucubrazioni. «Il merito èdi mio figlio» dice, «io sonoqui solo per aiutarlo. Giorgioha una passione per la vigna,deve averla presa dal nonno,basta guardare come la cura.Sta studiando agraria, e perqueste viti sta perdendo ilsonno».Giorgio scuote la testa. «Piùche una fissazione» spiega,«si tratta di una convinzione.Sono sicuro che, per il vinodi montagna, ci sia unfuturo. Accanto allaviticoltura delle zone nobili,c'è posto anche per i vitignidimenticati, per i gusti che èbello riscoprire. Nel vinoche nasce quassù ci sono

una storia e il recupero diuna tradizione straordinaria,ci sono l'ambiente e ilpaesaggio, la manualità e lafatica del contadino.Insomma, c'è un'anima chenon può essere ignorata».Giorgio s'è appassionato almondo delle vigne e delleterrazze da bambino.Accompagnava il nonno su egiù per le scalette chepermettono di superare imuraglioni di pietre,osservava i lavori e silasciava incantare dallestorie del passato. Avevacapito che il piccolo mondodelle vigne era solo il relittodi un passato che nascondesorprese e misteri. In quantianni, si chiedeva, era statoterrazzato l'intero fiancodella valle? Quante famiglieavevano lavorato percostruire muri, raccogliere laterra, togliere le pietre escavare il letto per i filari? Ilmaestro, un giorno, gliaveva spiegato che la vite èuna pianta mediterranea eche l'uva, per maturare, habisogno di moltissime ore diinsolazione. E allora perchéle vigne si erano arrampicatefin lassù?Un giorno d'autunno,quando già faceva le scuolemedie, Giorgio era salito conun paio di amici sulleterrazze più alte, moltosopra il paese, abbandonateda chissà quanto tempo.Infilandosi tra rovi ecespugli, i ragazzi avevanotrovato tre, quattro cespivecchissimi e contorti.Avevano la corteccia rugosae sembravano mummificati.Ma poco più in là, nascostitra erbe e ramaglia, grossi

L’animadella vigna

di RobertoMantovani

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tralci portavano grappolirigogliosi e dolcissimi.Giorgio ha tenuto a lungo ilsegreto per sé. Se n'èricordato solo all'università,e per caso ne ha parlato conun insegnante. A volte lescoperte nascono così. Dopoqualche indagine è saltatofuori che quei ceppi secolaridavano una varietà d'uva dicui si era conservato solo ilnome in dialetto.Incredibilmente le vecchieviti, piantate su terra dimorena, sabbiosa e poveradi humus, per risparmiare iterreni più fertili destinatiall'agricoltura, non eranomai state attaccate dallafillossera, che più in basso,alla fine degli anni '20 delsecolo scorso, aveva fattostrage di vigneti. Chissà,forse erano stateabbandonate prima che ilflagello facesse capolino daoltre confine. Dimenticateper molti decenni, avevanotuttavia continuato avegetare offrendo i proprifrutti a uccelli, scoiattoli eghiri, senza che nessuno sicurasse di loro. Solo i piùanziani sapevano che daquelle parti, nel passato, levigne non venivano coltivatea filari, ma ad alberello.Così chi passava di lì, nonvedendo pali e spalliere, nonsospettava che tra lavegetazione infestantefossero sopravvissute delleviti. Ma se anche loavessero saputo, chissàcos'avrebbero pensato, intempi di modernismovitivinicolo…La prima modestavendemmia dei ceppisecolari, qualche anno fa, hadato poche bottiglie di unvino dal gusto straordinario.Senza fare troppa pubblicitàall'evento, seguito dagliesperti a cui aveva rimesso ilcaso, Giorgio è riuscito aottenere le barbatelle perimpiantare nuove viti. Con

pazienza e fatica, adesso stacercando di creare unanuova vigna.«Ho deciso di sistemarla suuna delle terrazze costruitedal nonno» spiega. «È unaquestione di rispetto. Sepenso alle migliaia di ore dilavoro occorse per costruireterrazze e muretti e per lamanutenzione stagionaledelle vigne, senza parlaredella fatica per mettere adimora le viti, mi vengonole vertigini. Ma vi rendeteconto che in questi postiogni pietra ha una storia daraccontare? Stiamo parlandodel lavoro di una catenainfinita di generazioni divalligiani che si sonospezzati la schiena in questifazzoletti di terra…».A un tratto la conversazionesi anima. Si entra neiparticolari e si fannoscommesse sul futuro.Aneddoti, ricordi e curiositàsi sprecano. Il padre diGiorgio racconta del lavoroin fabbrica. Riconosce cheforse è stata una sceltasbagliata. Ma pochi, dellasua generazione, potevanopermettersi una vita diversa.Il modo di campare eraquello, obbligato. Se oggimolte delle vecchie vignesono abbandonate, la colpanon è dei valligiani. Maadesso è diverso: sevogliono, i giovani il futuropossono costruirselo. Se unoè intelligente, ha studiato eha voglia di andare avanti, lepossibilità ci sono.Quando, prima di continuarela discesa facciamo gliauguri a Giorgio, prenotandouna bottiglia della prossimavendemmia, suo padreabbassa gli occhi e non dicenulla. Ma si capisce che èorgoglioso del figlio. E unaparola in più nonaggiungerebbe nulla allasoddisfazione di poterloaiutare nel lavoro.

Roberto Mantovani

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ARGENTINANuove regole al Parque Nacionalde los GlaciaresLa zona del Fitz Roy e del Cerro Torrecambia d'abito. In trent'anni i trekker egli alpinisti sono aumentati in modopiù che esponenziale. Se nei primianni Ottanta il Parque Nacional delos Glaciares era meta di qualchecentinaia di visitatori l'anno, oggi i datiparlano a sette cifre. Secondo iresponsabili del Parco i visitatori eranogià 20.000 nel 1998. A sette anni didistanza la cifra è più che raddoppiata:tra trekker (che di questo aumentosono i principali responsabili) e alpinistiil numero di visitatori nel 2005ammontava a 45.000. Situazione tantopreoccupante per la sopravvivenza e lapreservazione di questo delicatomicrocosmo, da far correre il Parqueargentino ai ripari imponendo ai suoivisitatori un “menù comportamentale”più asciutto.Primo passo in questa direzione: glialpinisti non potranno più contare sullapresenza delle storiche “baracche” dilegno costruite negli anni sia al campobase del Torre che del Fitz Roy.Durante le prolungate fasi di attesa peril mal tempo, l'obiettivo deiresponsabili del Parco è quello dispingere gli alpinisti a “far base” alpaese di El Chalten, per renderel'impatto ambientale meno pesante.A fine 2006 si è già provveduto allosmantellamento della Bridwell alCampo De Agostini (Torre). Medesimasorte spetterà alle “baracche” del RioBlanco (Fitz). All'infuori delle tende, ilParque Nacional de los Glaciaresintende vietare qualsiasi struttura.Il secondo passo, mosso perpromuovere una miglioreconservazione dei sentieri, riguarda ildivieto di avvalersi dei cavalli per il

trasporto di materiale e cibo aimassicci di Fitz Roy e Torre. Chi èdiretto ai campi base Rio Blanco o DeAgostini dovrà portarsi cibo eattrezzatura a spalla, o potrà ricorrereai portatori locali.Nulla di invariato invece per chi èdiretto al campo base di Piedra delFraile (zona nord del Massiccio del FitzRoy).

Cerro Torre 3128 mIl 5 gennaio 2007 ha portato fortunaagli americani Kelly Cordes e ColinHaley che, approfittando di una brevefinestra di bello, sono riusciti aconcatenare due capisaldi del CerroTorre. Ripetendo la via anglo-franceseEl tiempo perdido (Alla ricerca deltempo perduto), che Andy Parkin eFrançois Marsigny avevano aperto il22 e 23 febbraio 1994 sul versantesud fino al Colle della Speranza (750m, diff. TD+), Cordes e Haley si sonopoi collegati agli ultimi cinquecentometri della mitica via dei Ragni,aperta da Casimiro Ferrari, MarioConti, Daniele Chiappa e Pino Negrinel 1974 sulla ovest, per giungere incima al Grido di Pietra il 7 gennaiodopo 36 ore complessive diarrampicata. Si tratta quasisicuramente della più bellarealizzazione di questa stagionepatagonica.

Cerro Standhardt 2730 mOltre quaranta giorni di attesa, dal 13ottobre al 25 novembre 2006, prima digettare definitivamente la spugna. Su egiù dalla truna, ritorni a El Chalten,nuovi tentativi, puntate al BloqueEmpontrado, speranze in una benevolafinestra di bel tempo… Niente da fareper il progetto che ErmannoSalvaterra, in cordata con la collaudata

Antonella Cicogna e Mario Manica(C.A.A.I.)[email protected]

Foto in alto:Ermanno Salvaterra e AlessandroBeltrami lungo la via Festerville pocoprima di raggiungere la cima delCerro Standhardt.Foto © E. Salvaterra.

Qui sopra: Stuart McAleese inarrampicata lungo la via The Good,the Bad and the Ugly alla Sud dellaTorre Sud del Paine.Foto © Mike Turner.

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abbinata Alessandro Beltrami eRolando Garibotti, era partito perrealizzare in quest'ultima estateaustrale. “Sapevo che il nostroprogetto era ambizioso: la traversata diStandhardt, Herron, Egger e Torre. L'hotentato nel 1989 e nel 1990 conMaurizio Giarolli, Elio Orlandi e AndreaSarchi e i nostri tentativi si eranofermati alla cima del Cerro Standhardt.Poi nel 1991, un altro passo avanticon Adriano Cavallaro e Ferruccio Vidiquando, dopo aver salito il CerroStandhardt, per poi scendereall'intaglio che abbiamo chiamatoColle dei Sogni, eravamo riusciti asalire Punta Herron aprendo la nuovavia Spigolo dei Bimbi, raccontaSalvaterra. “Quest'anno avremmoavuto bisogno di condizioni ottimali persperare di realizzare la traversata. MaPatagonia è stata davvero avaraquanto a bel tempo. Solo i primi giornisono stati benevoli!”. A quattro giornidal loro arrivo a El Chalten, il 17ottobre 2006, i tre alpinisti sono infattiriusciti a mettere a segno la salitadello Standhardt lungo lo spigolo nord,ripetendo la via Festerville, 550 metridi difficoltà ED-, VI 5.11 W15, apertadagli americani Timothy O'Neill eNathan Martin nel 2000. PerSalvaterra si è trattata della quartavolta in cima al Cerro Standhardt,salito da tre versanti differenti. PerRolando Garibotti, la seconda volta. Dalì in poi, però, il cattivo tempo hadeciso di troncare ogni ulteriore

tentativo dei trentini e dell'alpinistaitalo-argentino.Nel febbraio 2005, il tedesco ThomasHuber e lo svizzero Andi Schnarf eranoriusciti ad arrivare fin sulla Torre Egger.La traversata di Standhardt, Herron,Egger e Torre rappresenta uno deigrandi problemi irrisolti dell'alpinismomoderno.

Fitz Roy 3405 m Il 27 gennaio scorso gli sloveni TomazJakofcic e Grega Lacen sono riusciti arealizzare 600 metri di via nuova (diff.6c/A2) lungo la nord del Fitz Royprima di essere sopraffatti dalleimplacabili bufere patagoniche. A quelpunto i due hanno deciso di portarsisulla nord-nordovest lungo gli ultimidieci tiri della via dei francesi Jean eMichel Afanasieff, Guy Abert e JeanFabre (diff. ED-, 5.9 A2 - 1979), peruscire in vetta il giorno successivo. Lavariante alla via Afanasieff è statabattezzata Los Ultimos Dias delParaiso.Paolo Calzà, Demis Lorenzi e LucaCornella hanno ripetuto la via FrancoArgentina. “Siamo partiti direttamenteda El Chalten e, dopo due ore di sostaa Rio Blanco, abbiamo continuato finoa cento metri dalla cima”, haraccontato Calzà. “Il giorno seguente, il15 gennaio, alle 6 e 30 eravamo invetta. La via è stupenda e abbastanzapulita, anche se nella parte finalesembrava di scalare su una cascata dighiaccio”.

La spettacolare parete Ovest del Cerro Torre. Foto © E. Salvaterra.

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CILETorre sud del Paine 2500 m“Tanta artificiale durissima e tempoperennemente pessimo. In vita mianon ho mai sperimentato un vento cosìforte, eppure non è la mia primaesperienza patagonica. Le rafficheerano tali che a volte nelle doppie io eStuart ci siamo ritrovati letteralmentein orizzontale. Ero sicuro che nonsaremmo mai riusciti a scendere!” Aparlare è Mike Twid Turner, tra i piùattivi e forti alpinisti inglesi degli ultimianni. Partito con Stuart McAleese,l'obiettivo era di realizzare una nuovavia all'inviolato versante sud della Torresud del Paine. Ne è nato un beltentativo di 15 tiri in stile capsula,interrotto a 300 metri dalla cima, che idue inglesi hanno comunquebattezzato in onore di Sergio LeoneThe Good, The Bad and The Ugly, Ilbuono, il brutto e il cattivo: 800 metri

(diff. VI 5.10 A3) che non sicongiungono alla via Lungo Sognolungo la cresta sudovest (Fabio Leoni,Paola Fanton, Michele Cagol, GiuseppeBagattoli e Josef Espen - 1987) ma,come spiega Turner, terminano invece“a 50 metri dallo scivolo di neve checonduce alla cima. È stato in quelpunto che siamo stati bloccati daltempo pessimo. Siamo rimasti abivaccare in tenda cinque giorni, poiabbiamo deciso di ridiscendere, nonsenza difficoltà. Io sono stato preso dauna valanga, ma per fortuna erolegato, e sono riuscito a uscirne”.

Cerro Cota 2000 mSi chiama Osa ma non troppo lanuova via di 700 metri con difficoltàmax 7b/A3 (7a obbl.) aperta sullaparete est del Cerro Cota 2000 daFabio Leoni, Rolando Larcher, ElioOrlandi e Michele Cagol dal 21 al 26gennaio 2007, con cinque notti in

parete. “Roccia fantastica quasi comea Yosemite. E anche la cima èstraordinariamente piatta, una sorta diHalf Dome in versione patagonica!”, haraccontato Leoni. “Il tempo non è maistato il massimo, siamo rimastibloccati per la pioggia due notti e ungiorno in parete, ma tutto sommatosiamo stati fortunati. Ci siamotrascinati dietro quaranta litri d'acqua,non essendoci cenge con neve dapoter sciogliere, e abbiamo scalato instile capsula, con portaledge. L'ottantaper cento della via è in libera. Le sostesono attrezzate e tutte le protezionifisse che abbiamo usato sono in sito”.Osa ma non troppo rimane a sinistradel pilastro centrale dove sale la viaKey hole aperta dagli americaniGardner Heaton e Joe Reichert nel1997. A destra del pilastro sale invecela via aperta nel 1993 dagli italianiRoberto Canzan, Ferruccio SvalutoMoreolo, Renato Panciera, AlessandroRaccanello e Mauro Valmassoi. Il CerroCota è situato nella Valle del Francés,una delle zone meno battute nelmassiccio del Paine.

CI HANNO LASCIATILe montagne del nord America portanoletteralmente la sua firma e non c'èpraticamente carta geografica di quellazona che non abbia il suo zampino.Perché lui quelle montagne non solo leha scalate, ma le ha sorvolate,esplorate e scandagliate da ogniversante per immortalare ogni lorotratto attraverso l'obiettivo della suamacchina fotografica e la punta finedel suo pennino d'inchiostro. BradfordWashburn, nato a Cambridge nelMassachussets (Usa) il 7 giugno 1910,è scomparso il 10 gennaio scorsoall'età di novantasei anni. È stato tra i

massimi divulgatori dell'alpinismoesplorativo nordamericano, conparticolare attenzione all'Alaska, e ilprimo a realizzare una mappaturacompleta del Grand Canyon. Anchel'Himalaya rientrava tra le sue passionitanto che, all'età di ottantanove anni,era stato a capo della spedizionescientifica promossa dal NationalGeographic all'Everest per ridefinirel'altezza della montagna più alta delmondo, ufficializzata in quell'occasionea 8850 metri.

Un volo nel vuoto di oltre cento metri,forse per un anello di servizio di unasosta che non ha tenuto, o perl'imbrago apparentemente logorato.Così ha tragicamente perso la vita illeggendario Todd Skinner, 47 anni,mentre stava tentato di liberare Jesusbuilt my hotrod (VI 5.7 A4) sullaLeaning Tower (Yosemite) che luiconosceva bene, avendovi ancherealizzato la prima di Wet lycranightmare (V 5.13d) con Jim Hewettnel 2004. Con Paul Piana, che loaveva instradato al verticale “duro” nel1977, anno in cui entrambifrequentavano l'Università delWyoming, nel 1988 Skinner fu il primoa liberare a comando alterno SalathèWall (VI 5.13b - El Capitan) dopo novegiorni spacca-ossa e un mese dilavoro ininterrotto. Un risultatoapripista, cui ne seguirono tanti altri,con prime assolute nelle Black Hills(prima asc. Lizzy beams desire,5.14a, mai ripetuta - Utah), al MountHooker (prima asc. The jaded lady VI5.12a - Wyoming), al Mount Proboscis(prima asc. Great canadian knife, VI5.13b - Circolo degli Inviolabili - NWTcanadesi), all'Half Dome (prima asc.Direct northwest face, VI 5.13), allaNameless Tower (Cowboy direct, VII5.13a - Pachistan) e all'Ulamertorsuaq(VI 5.12c - Groenlandia).Con Todd Skinner scompare la figuradi un climber leggendario, tra imassimi esponenti mondialidell'arrampicata su big wall.

Per le relazioni e la personalecollaborazione ringraziamo: FabioLeoni, Ermanno Salvaterra, PaoloCalzà, Mike Twid Turner.

FIOCCO ROSAIn Casa Manica.Antonella Cicogna e Mario Manica loscorso marzo hanno portato a terminela loro più bella realizzazione; unabimba denominata “Sonia”.

PPAl centro,l'imponente pareteest del Cerro Cota2000.Sulla destra il CerroCatedral, sullasinistra il CerroCastillo.Foto Archivio ©Spedizione Cota2000.

Fabio Leoni in arrampicata sulla via Osa ma non troppo,alla est del Cerro Cota 2000. Foto Archivio © Spedizione Cota 2000.

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ALPI ORIENTALIPala Del Mardenm 2475Dolomiti Orientali - Gruppo della Crodadei ToniSulla parete Nord dell'anticimasettentrionale il 26 giugno del 2006 in5 ore Marino Babudri e Ariella Sainhanno aperto una via su roccia buona,a tratti da ripulire, abbastanza varialungo diedri e paretine interrotte dacenge, in ambiente suggestivo esolitario. Sviluppo m 260 con difficoltàdi IV, V, V + e VI -. Lungo i 7 tiri(sufficienti corde da m 50) sonopresenti alcuni chiodi, cordini eclessidre. Avvicinamento alla paretedalla Val Marzon passando per ilBivacco De Toni e la Val Marden.Proseguire alcuni metri nel canaloneper la Forcella Vecellio. L'attacco èposto in prossimità dello spigolo NordEst (ore 2.30 / 3 ). La salita si svolgeall'inizio lungo lo spigolo Nord - Est,poi, raggiunta la parete Nord per unacengia esile, lungo rocce nere. Ladiscesa si effettua dal versante Sud,poi per ghiaie e canalini alla ForcellaVecellio. Quindi per un canalone alleghiaie basali.

Punta Sud (top. proposto)m 2450 circaDolomiti Orientali - Gruppo del Popera- Monte Giralba di SottoLa Punta Sud è situata nel settore piùorientale del Monte Giralba di Sotto.Culmina pochi m sotto la CengiaGabriella ed è riconoscibile perché sulversante occidentale è completamenteseparata dal massiccio principale daun marcato canale. Il 12 giugno del2006 Marino Babudri e Ariella Sainl'hanno salita dalla parete Sud lungo lerocce nere di un avancorpo e dopo

una cengia evitando una fascia gialla estrapiombante che accede alle colatenere sommitali. Via di soddisfazione eambiente solitario, su roccia buona, atratti ottima con alcuni tratti da ripulire.Sviluppo m 540 con difficoltà di IV +,V, VI, VI +, VII -. Usati una decina dichiodi e cordini su clessidre.Avvicinamento dal Rif. Carducci persentiero fino alla base dell'avancorpo(ore 0.30 ). L'attacco è indicato da undiedrino con cordino. La discesa dallacima è stata effettuata per facili roccefino alla forcelletta sottostante laCengia Gabriella che si raggiunge perun evidente camino (III + ).

Torre Val Cadin - (Top.Prop.) m 2085Dolomiti d'Oltre Piave - Gruppo Spaltidi Toro e Monfalconi - Ramo di ToroIl 18 giugno del 2005 Sergio Liessi ePaolo Pellarini hanno salito in “ primaassoluta “ questa nuova torre che sitrova di fronte alla Punta Pia e dallaquale è separata da un canaloneghiaioso raggiungibile dal sent. 384.L'attacco si trova a circa m 10 dallospigolo di destra, sulla parete Sud.Sviluppo m 270. Difficoltà dal III al Vsuperate in ore 3.30. Lasciati 10chiodi e 6 cordini lungo una serie dicamini e placche di roccia buona. Ladiscesa è stata effettuata in cordadoppia lungo la via di salita.

Cima della Miniera- m 2462

Alpi Carniche - Gruppo della Peralba -Sottogruppo del M. AvanzaSulla parete Sud, Roberto Mazzilis eFabio Lenarduzzi il 19 agosto del 2006hanno aperto la via “L'uomo con laValigia“. Denominazione ispiratadall'incontro, alle 3 di quella mattina.La via è molto difficile ed impegnativasu roccia compatta. Nella parteinferiore segue il fondo del grandediedro - fessura formato dal possentepilastro giallo addossato al limitedestro della parete centrale dellaCima. Nei primi m 100 le difficoltàsono sostenute e per lunghi tratti laroccia calcarea è spesso bagnata emolto viscida. Incrociata la via DeInfanti - Solero il tracciato si tiene sulfondo della concava parete posta adestra della via Mazzilis - Di Lenardodel ' 79, poi sale un marcato camino -colatoio di roccia meravigliosa chesfocia direttamente sulla crestasommitale. Sviluppo m 500. DifficoltàV, VI, VII, passaggi di VII + e VIII -. Usatiuna ventina di ancoraggi intermedi,oltre al materiale per le soste. Moltichiodi sono rimasti in parete, speciequelli più problematici da piantare.Effettuato anche il disgaggio di alcuni

grosse scaglie incastrate nella fessurainiziale, già salita nel primo tentativoda Mazzilis con Lisa Maraldo (fallitoper la roccia troppo viscida e unimminente temporale). Per unaripetizione sono indispensabili cordeda m 60, una quindicina di chiodi vari,una decina di friend medio - grandi.Avvicinamento in ore 1.30 - 2 dalparcheggio presso il bivio per i rif.Calvi e Sorgenti del Piave per sentierodella normale al M. Avanza e la“Cengia del Sole“. Discesa per la vianormale del M. Avanza, raggiungibiledalla Cima della Miniera toccando percresta (arrampicata fino al II + e 1doppia da m 30) la stretta insellaturache le separa (ore 0.20 per l'Avanza,tratto molto esposto in caso di fulmini,ore 2 al parcheggio).

Cima Lastrons del Lago Alpi Carniche - Massiccio del Coglians Nell'estate del 2006 Paolo Pezzolato(Fox) e Sara Gojak hanno aperto edattrezzato con gli spit numerosi nuoviitinerari di arrampicata sulle placcheche emergendo dal Passo Volaia“fasciano“ il piede occidentale dellapossente Cima Lastrons del Lago. Il 2luglio sulla Torre Carla Maria hannoaperto la via “Pinabonghi“ e la “Viadella 2“, entrambe con difficoltà finoal 6 a per 3 tiri di corda.Più a levante, sulle vaste placche delversante occidentale della CimaLastrons del Lago gli itinerari nuovisono 3 (Via del Diedro - Via delleMezze Lune - Attenti al Cuoco),perfettamente attrezzati, con spit suplacche. Lunghezze dai m100 ai 200.Difficoltà dal IV al 6 b. Per tutte questevie è necessaria una corda da m 70,10 express, 1 camalot n° 1, 1 camalotn° 0.5, cordini. Ore 1 di marcia dalparcheggio del rif. Tolazzi, ore 0.10 dalrif. Lambertenghi.

Giogaia CreteMonumenz Alpi Carniche - Massiccio Coglians -CjanevateSulle vaste placche calcaree che versoSud fanno da zoccolo alla CretaMonumenz propriamente detta, il 09luglio 2006 Omar Gubeila e MatteoCuder hanno voluto ricordare l'amicoFrancesco Plazzotta con la via “PlenCussì”: itinerario breve e divertente.Roccia ottima solcata da innumerevolirigole e marcate e fessure conosciuteda tempo perchè in prossimità delsentiero che dal Passo di Monte CroceCarnico porta al rif. Marinelli. Sviluppom 140. Difficoltà IV e V -. Lo stessogiorno Fabio Sbrizzai e AndreaPellegrina sono saliti lungo le stesse

placconate mantenendosi più a destrae su difficoltà inferiori. L'11 agostodella stessa estate Omar Gubeilahanno rivisitato questi luoghi uncentinaio di m più a destra ancorasalendo la via “I Tiratardi”: roccia edifficoltà analoghe alle altre vie.Utilissimi friend medio - piccoli,qualche fettuccia e pochi chiodi(presenti clessidre ).

Monte Serniom 2187Alpi Carniche - Gruppo del Sernio -GrauzariaIl 2 giugno del 2005 Sergio Liessi eGabriele Paladin hanno salito la pareteOvest lungo il grande incavo solcatodal colatoio della nota “Tessari” mamantenendosi all'estrema destra, neipressi di un camino. Roccia ottima sututti i m 450 di dislivello e m 540 disviluppo. Difficoltà di II e III + con 1passaggio di IV. Lasciati 4 chiodi.Tempo impiegato ore 3. L'itinerario(completamente autonomo) è statodenominato “Via Jacopo Linussio” inmemoria dell'amico e compagno dicordata che ultranovantenne scalavaancora spesso in solitaria questaparete e certamente (come ritieneLiessi) anche lungo la via che gli èstata dedicata.Il 17 luglio del 2005 S. Liessi e CelsoCraighero hanno aperto un altra viasempre sulla parete Ovest a destradell'incavo della Tessari. Sviluppo m

a cura di RobertoMazzilis ( C.A.A.I. )[email protected] di Tolmezzovia Terzo 1933028 - UDCell. 3396662724

La Pala del Marden nel gruppodolomitico della Croda dei Toni con iltracciato della via Babudri - Sain.

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600 circa. Difficoltà III, IV, V -. Tempoimpiegato ore 5. Lasciati 5 chiodi e 1cordino. Roccia buona articolata daplacche, diedri e gradoni.

Cima de Lis Codism 2380Alpi Giulie - Gruppo dello Jôf FuartSulla parete Sud il 30 luglio del 2006Roberto Mazzilis e Daniele Picilli in ore7.30 hanno aperto una via nuovamolto difficile e sostenuta mantenendola direttiva data dal pinnacolosottilissimo che si staglia,completamente isolato dalla parete,per quasi m 150 dalla Cengia degliDei (posta a metà parete eperfettamente visibile dal basso) finoalle rocce sommitali. I primi m 100della via e il penultimo tiro di corda(rispettivamente la grande scagliagialla posta all'attacco e la placca cheaccede allo spigolo di uscita) sono incomune con la via Zanderigo - Di Gallo(tale itinerario sale per le fessure adestra del pinnacolo sopracitato). Per ilresto la Mazzilis - Picilli è una viacompletamente autonoma e sisviluppa, nella parte inferiore sempredirettamente lungo una serie diplacche interrotte da pancestrapiombanti. Poi, superando unadifficilissima parete grigio - gialla estrapiombante (passaggio chiave conchiodatura distante ma ottima)imbocca un evidente fessura moltobella ed aerea che sfocia su rocce agradoni in prossimità della Cengiadegli Dei, sulla verticale del diedroformato dal pinnacolo. In tale diedro siaccede superando una fessura moltostrapiombante proteggibile con friendmedio- grandi. Il grande tetto gialloche sbarra il fondo del diedro è stato

superato sulla sinistra in placca (altropassaggio chiave rimasto chiodato ).Sviluppo complessivo m 600 condifficoltà di V, VI, VI + e tratti di VII.Usati una decina di ancoraggiintermedi.Il 1 settembre del 2006, sempre R.Mazzilis e D. Picilli, in ore 7 hannoaperto anche la “Via della FessuraObliqua”. Si tratta dell'evidentefenditura obliqua da sinistra versodestra che caratterizza la parte piùorientale della parete. L'arrampicata èinteressante e molto bella.Friabilissima nel diedro strapiombanteche dalla Cengia degli Dei consentel'accesso alla fessura. Molto aerea esuggestiva la parte superiore dove èstata effettuato un disgaggio delpietrame in bilico e più pericoloso.Sono comunque ancora presenti alcunigrossi blocchi instabili. Sviluppo m 550circa, difficoltà di IV, V, VI, passaggi diVI +. Usati una quindicina di chiodi euna decina di friend.

APPENNINICorno Piccolo -Terza SpallaAppennino Centro - Meridionale - GranSasso d'ItaliaBruno Anselmi, Graziano Lampa,Michele Cioccolanti e Francesco Frulla

(del C.A.I. Jesi / Senigallia) il 19febbraio del 2006 sul versante Sud -Ovest hanno aperto la via Cà MoscioVileda. Si tratta di un itinerario checon buon innevamento presentacaratteristiche di misto su pendenze di50° / 60° e arrampicata su rocciafriabile fino al III. Dislivello di m 350per uno sviluppo di m 600 superati inore 3.30. Usati alcuni chiodi da roccia,cordini lunghe friend piccoli.Avvicinamento dai Prati di Tivo (It. III eGuida Dei Monti D'Italia ). Si risalequasi completamente l'ampio canalonedel “ Picco Pio XI “ all'Intermesolilasciando sulla sinistra due evidenticanali che costituiscono l'imbocco diuna variante più lineare perraggiungere (su pendii innevati a 40 /50 °) la cresta sommitale. L'attaccooriginale si trova presso una rampa, uncentinaio di metri più avanti, sempresulla destra orografica. Con 6 tiri dicorda su pendenze fino a 60° siraggiunge la crestina rocciosa dell'It.49b Guida dei Monti d'Italia.Arrampicando su pendii costanti (50 e60° e misto fino al III) si raggiungono iprati sotto la Seconda Spalla del CornoPiccolo, in prossimità del SentieroPaolo Ventricini. Qui si può iniziare ladiscesa per facili canali innevati fino aiPrati di Tivo.

Corno Piccolo -Terza Spalla(Cresta del Calderone di Rio Arno -Zona compresa fra le Spalle e la ValMaone )Appennino Centro - Meridionale - GranSasso d'ItaliaBruno Anselmi - Graziano Lampa eLuigi Sassaroli (C.A. I. Jesi) il 6febbraio del 2006 hanno aperto la via“La Tela del Ragno” sul versante Nord- Ovest (lungo la parete S.O. e lospigolo N.O.). Anche questo itinerario èstato realizzato appositamented'inverno per trovare condizioni dimisto e data la quota relativamentebassa è necessaria neve abbondante eben assestata. Avvicinamento ediscesa come per l'it precedente.L'attacco si trova su un pendio di 45°posto prima delle Cascate di Rio Arno,a sinistra. Canali fino a 60 / 70° erisalti verticali solcati da rampe dimisto con passaggi friabili ed esposti(10 tiri) portano a quota m 2050 inprossimità dei pendii sotto la secondaSpalla del Corno Piccolo (nellevicinanze del Sentiero PierpaoloVentricini ). Dislivello m 450.Difficoltà complessive AD +, tratti dineve / ghiaccio 50° con un tratto a80°. Usati alcuni chiodi da roccia ecordini lunghi.

Qui sopra: Le nuove vie di Pezzolatoe Gojak sul versante occidentaledella Cima Lastrons del Lago, soprail Rif. Lambertenghi.

A destra: I nuovi itinerari diarrampicata sulla Torre Carla Maria,

salita in prima assoluta da ToniEgger (A. Carniche - Cima Lastronsdel Lago - Passo Volaia).

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CAMPIONATO ITALIANOFASI DIFFICOLTA'A PREMANA.Giunto alla 22a edizione si svolgevanella cittadina arroccata sui monti delBergamasco, organizzatodall'associazione del CAI ClimbingTeam Premana in corrispondenza dellatradizionale manifestazione MemorialTarcisio Fazzini. Sulla strutturastrapiombante, situata all'interno delpalazzetto dello sport Palasole, itracciatori Loris Manzana e StefanoAlippi creavano vie estremamanteatletiche, arricchite da numerosivolumi e stalattiti, che richiedevano ilmassimo dalla quarantina di atletiqualificati, incitati da un pubbliconumeroso ed esperto. In campomaschile già nella semifinale siconfermava il favorito Flavio Crespi,atleta delle Fiamme Gialle, unico aconquistare il top, seguito da Droetto eZardini “Canon”. Meno problematica lavia creata per le ragazze, dove 7concorrenti raggiungevano la catena.Esclusa dalla finale solo ClaudiaBattaglia, terza l'anno scorso, e quitradita da un irreparabile errore dilettura. Dopo un intervallo dedicato allequalificazioni del Campionato VelocitàOpen, si riprendeva con le finali: tra iragazzi Flavio Crespi non deludeva ipronostici, confermandosi l'atletaitaliano più performante nel campoagonistico italiano e internazionale, eraggiungeva di nuovo il top,aggiudicandosi il 5° titolo italianoconsecutivo. Secondo ilventiquattrenne Fabrizio Droetto(SASP-TO), ormai stabile sul podionazionale e terzo Donato Lella(Sportica Pinerolo), ancoraestremamente competitivo, che cadevainaspettatamente con la cordaattorcigliata intorno alla gamba. QuartoMassimo Battaglia (X-Fighter Team-VI)e ottimo quinto Luca Giupponi, atletadelle Fiamme Oro, un altro degliinossidabili atleti della vecchiagenerazione sempre in gran forma.Grande sfortuna invece per LucaZardini “Canon”, l'atleta cortinese deiCarabinieri, che era vittima di unoscivolone ancora in basso e scendeva

dal podio del Campionato Italiano perla prima volta nella sua lunghissimacarriera. Tra le ragazze in una finalesenza storia Jenny Lavarda (X-FighterVI) si confermava per l'ottava voltaCampionessa Italiana senzaconcorrenti; separate solo da un'ineziala veterana Luisa Iovane (CUS BO), e ladiciassettenne Manuela Valsecchi(Team Gamma Lecco), ormai unaconferma al top della nuovagenerazione. Per la cronaca, si trattavadel nono secondo posto per la Iovane(dopo le otto vittorie dei tempipreistorici). Quarta un'altradiciassettenne, Sara Morandi (Arco-Climbing) e quinta la quindicenneCassandra Zampar (Olympic Rock TS).La serata terminava con il Campionatodi Velocità Open, in cui Lucas Preti (X-Fighter Team) si riconfermavaCampione Italiano davanti a ManuelCoretti (Olympic Rock TS) e LucaGiupponi; tra le ragazze si riaffermavaJenny Lavarda su Cassandra Zampare Irene Bariani (B-Side TO). Nelcomplesso una manifestazioneottimamente riuscita, oltrettuttopreparata nel tempo record di duesettimane, a causa del ritiro all'ultimomomento dell'organizzatore previsto incalendario.

CAMPIONATO ITALIANOFASI BOULDERINGA ROMA.La settima edizione del campionatoveniva organizzata dell'AssociazioneRock and Walls nell'omonima palestradel Club Lanciani. 28 ragazzi e 14ragazze si confrontavano sui cinqueblocchi di qualificazione creati daitracciatori Marzio Nardi e CristianBrenna. In campo maschile guidava laclassifica un grande Gabriele Moroni,che risolveva tutti i problemi al primotentativo, seguito da Preti e Calibani.Durante la finale a 12 però siassisteva alla splendida rimonta delsavonese Christian Core, atleta delleFiamme Oro, che era l'unico asuperare tutti e cinque i blocchi,aggiudicandosi per la quinta volta iltitolo di Campione Italiano. Secondocon quattro problemi si piazzava LucasPreti, già vincitore quest'anno dellaCoppa Italia, e terzo con tre blocchicompletati al primo tentativo terminavaFlavio Crespi, una prestazioneeccellente, considerando che per tuttala stagione si è concentrato sulle garedi difficoltà. L'atleta delle FiammeGialle sorpassava così il diciannovenneMoroni, che scendeva in quartaposizione per un tentativo in più;quinto il romano Andrea Dacasto(Ecole Verticale). Tra le ragazze era

Claudia Battaglia (B-Side TO) lamigliore della qualificazione, conRoberta Longo (Arco Climbing) appenadistaccata, entrambe con quattro topsu cinque blocchi. Implacabili invece sirivelavano i quattro problemi dellafinale, e qui l'unica a risolverne dueera Roberta Longo. La ventiseienne diFiera di Primiero, recentementelaureata in giurisprudenza, conquistavacosì il suo primo titolo italiano,seconda Sara Morandi con un soloblocco e 2 tentativi, terza ClaudiaBattaglia con un tentativo in più, 4a

Irene Bariani e 5a Elena Chiappa(Skandere Cuneo). Tra gli atleti cheavevano partecipato al campionato intutte e tre le specialità veniva stilata laclassifica della “Combinata”: ilpoliedrico Luca Giupponi si affermavadavanti a Manuel Coretti e AlessandroCatalano, mentre Sara Morandisuperava Cassandra Zampar e IreneBariani.

COPPA DEL MONDOBOULDERING.La settima e ultima tappa della serie sisvolgeva a Mosca, per 47 + 28concorrenti (di cui oltre la metà

dell'Unione Sovietica). Larappresentanza italiana si riduceva aChristian Core, l'unico atleta che, per ipiazzamenti raggiunti durante la lungastagione, aveva ancora ottimepossibilità per un podio finale. In effettil'atleta delle Fiamme Oro era in testaalla semifinale, ma nel turnosuccessivo uno stiramento al ginoccholo metteva fuori gioco sul primoblocco. Finiva così sesto, e per pochipunti gli sfuggiva il terzo gradino delpodio nella classifica generale diCoppa e doveva tornare a casa con unottimo (ma deludente) quarto posto. InRussia si affermava per la secondavolta l'austriaco Kilian Fischhuber,davanti all'incredibile russo SalavatRakhmetov, che a trentotto anni nondà ancora segni di cedimento, e ilpolacco Tomasz Oleksy. Il franceseJerome Meyer si piazzava solo 8°, maaveva già vinto praticamente il trofeodopo la gara precedente, con al suoattivo tre vittorie e due secondi posti;secondo in classifica di Coppa sipiazzava Fischhuber, seguito daJerome Pouvreau. In campo femminilesi aggiudicava la vittoria di tappa larussa Yulia Abramchuk, davanti

di Luisa Iovanee Heinz Mariacher

Roberta Longo, Campionessa italiana Bouldering,vince a Roma e Milano (f. Stefano Ghidini).Flavio Crespi, Campione Italiano Difficoltà qui a Premana,3o in Coppa del Mondo (f. Daniele Crespi).

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all'ucraina Olga Shalagina e la slovenaNatalija Gros. In classifica generale eraOlga Bibik (qui a Mosca 4a) aconquistare la Coppa, con tre vittorie eun secondo posto. Grandesoddisfazione per la trentenne russa,dopo che per due anni aveva dovutoaccontentarsi del secondo posto dietroa Sandrine Levet. Seconda in Coppafiniva la francese Juliette Danion, acausa di un pessimo risultato aMosca, e terza l'austriaca diciottenneAnna Stöhr.

COPPA DEL MONDO LEADA PENNE.La cittadina abruzzese alle pendici delGran Sasso, in provincia di Pescara,aveva già ospitato negli ultimi quattroanni numerose competizioni nazionalidi vari livelli e una Coppa Europagiovanile. Incoraggiati dal grandesuccesso di pubblico e di atletil'associazione d'arrampicata sportivaVertigo 2000 guidata da Matteo Rossi,con la collaborazione del CAI di Penne,Sez. “Lino D'Angelo”, si cimentavaquindi con la nona tappa del circuitoLead, l'unica in territorio italiano. Unasettantina di concorrenti siconfrontavano sulla struttura all'internodello Sport Center Penne, su viepiuttosto strapiombanti e moltoatletiche tracciate da Riccardo Scarian,Attilio Munari e Arocena. La squadraitaliana, che per una volta giocava incasa, si comportava bene nei quarti,esclusi per poco solo Gambaro e DeMattia. In semifinale cinque catene, tracui il nostro Crespi, buona prestazionedi Fabrizio Droetto, 12° dopo unasfortunata scivolata, e ottimo risultatoper Luca Zardini “Canon”, nono eprimo escluso dalla finale. Bisognanotare qui l'età media dei finalisti, 23anni, per apprezzare la prestazione del“Canon” ancora competitivo a 34 anni.In finale, su un passaggio di blocco, sifermavano al 3° posto ex-equo Crespi,Mrazek e Puigblanque; teneva perqualche secondo la stessa presa ilsecondo Paxti Usobiaga, e solo DavidLama, il ragazzino austriaco-tibetano,passava oltre, per la sua secondavittoria in Coppa. In campo femminilele italiane presenti, Jenny Lavarda e ladebuttante Manuela Valsecchi, sifermavano in 24a e 25a posizione,mentre Angela Eiter tornava sul podiodopo lo scivolone di Shanghai,seconda Caroline Ciavaldine e terzaSandrine Levet. In complesso unasplendida manifestazione, un pubbliconumerosissimo e caloroso, la presenzadi importanti istituzioni e mediaregionali, tutto molto incoraggiante peril futuro del nostro sport anche in zonecon tradizione alpinistica limitata.

COPPA DEL MONDO LEADA KRANJ.Ormai tradizionale l'appuntamento inSlovenia per la finale di Coppa, semprealta la partecipazione degli atleti,un'ottantina tra maschi e femmine, cheapprezzano le vie create dal rodatoteam di tracciatori Simon Wandeler eTomo Cesen, quest'ultimo anche ildirettore dell'organizzazione. Per leragazze i giochi erano ormai fatti,mentre in campo maschile tutto eraancora possibile, e il nostro FlavioCrespi, rimasto per gran parte dellastagione in testa alla classificagenerale, aveva la speranza di ripetereil grande risultato del 2005 econquistare la Coppa. Speranza questacondivisa però da altri contendenti,altrettanto qualificati. Flavio iniziavabene i quarti, al top con Zardini,passava anche Droetto, mentrerestavano esclusi Manuel Coretti,debuttante in Coppa, e Nicola DeMattia. In semifinale però qualcosa nonfunzionava e Flavio otteneva il peggiorpiazzamento della stagione, 13° (comeMrazek), e poteva solo fare daspettatore alla finale. Non passavano ilturno neanche Jenny Lavarda, 20° eFabrizio Droetto, 23°, sempre piùregolare. Luca Zardini “Canon” inveceraccoglieva tutte le energie e siguadagnava ancora la finale dell'ultimagara dell'anno. Per Patxi Usobiaga ilpassaggio in finale era stato sufficienteper vincere la Coppa 2006, e senzaalcuna pressione si piazzava ancora 4°a Kranj; 3° finiva Verhoeven, 2° losvizzero Lachat, e primo si affermavaDavid Lama. Il “Canon” concludevaottavo, sempre un grande risultato, nondimentichiamo che partecipava già allaCoppa del Mondo nel 1990, l'anno dinascita di David Lama. Con questaterza vittoria di tappa Lama arrivava 2°in Coppa (nonostante avesse saltatodue prove), Flavio Crespi saliva ancorasul terzo gradino del podio, exequo conTomas Mrazek; quinto (per 5 punti!)Puigblanque, 15° Zardini (assente aquattro prove). Fortissima la squadraslovena femminile, con 4 atlete infinale, Maja Vidmar superava di misuraAngela Eiter per una splendida vittoriain casa, e Natalija Gros si piazzavaterza davanti alla Levet. Poco male perAngela Eiter, che aveva già vinto laCoppa con una prova d'anticipo, e perla Levet, che restava 2a in classificagenerale, seguita da Caroline Ciavaldini3a, Vidmar 4a e Gros 5a; Jenny Lavardafiniva 12a, pur sempre un buonrisultato, anche se inferiore alleaspettative, considerata la suacostante ottima forma e il grandeimpegno che dedica all'attivitàagonistica.

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C’è chi nel corso della vitanon ha perso il gusto diandare per le montagne e discalare ghiacci e rocce. Leriflessioni che seguonoriguardano questi tipi di luio lei. Non si riferiscono a chiha smesso per disinteresse, operché ha consideratol’alpinismo un investimentofallimentare, o perché hatrovato cose più serie e utili,o magari semplicementemeno faticose e rischiose, incui impegnarsi.E’ da specificare poichéall’alpinista che rimaneappassionato sembrainconcepibile che qualcunosmetta, o che qualcuno sisenta troppo vecchio percontinuare anche quando infondo gli piacerebbe.Tuttavia a invecchiareanagraficamente ancorariconoscendosi nella passioneattiva, a dispetto di qualchedubbio esistenziale e deivuoti lasciati dai compagniscomparsi, non sono poimolti, benché il loro numeroaumenti gradualmente daalmeno un decennio.Se meriti continuare: ognunopuò o magari devedomandarsi sul pianoindividuale se il proprioalpinismo abbia ancora unorizzonte di senso. Lerisposte saranno per forzaindividuali e con millesfumature. Ma per chirisponde affermativamente,si presenta comunquel’albero decisionale:continuare sì, ma in chemodo?Per l’escursionista la risposta

è relativamente semplice. Seha sempre gradito la socialitàe le gite in gruppo, l’offertaoggi è ampia, e comprendeperfino eventi di variogenere organizzati nei rifugi.Se invece ha privilegiatointimità e silenzi, a volte puònon trovare compagni adattiper la condivisione ediventare un solitario anchesuo malgrado. Questasolitarietà ha tuttavia ilpregio di permettere unasaggia autonomia nella sceltadegli itinerari e nellagestione delle fatiche. Inoltrepermette di evitarefacilmente il cicaleccio dellefile in convoglio a chi non logradisce.Invece mantenerel’alpinismo tecnico è piùproblematico. L’ideale èinvecchiare con uncompagno di pari forza eintenti, come ho semprepensato sia ideale iniziareallo stesso modo l’esperienzaalpinistica in gioventù.

Ma chi sono poi oggi questivecchi alpinisti, che vecchisono considerati dagli altri,ma loro non si sentono tali ?L’attribuzione di rigidecategorie anagrafiche sidiluisce nelle molte forme difrequentare la montagna ed èpriva di fondamento. Già dagiovani siamo molto diversiper predisposizioni emotivazioni. Considerandocome la vita abbia poiplasmato diversamente ognipersona, c’è da concludereche proprio non è lecitorinchiudere gli alpinistigenericamente anziani nellagabbia dei luoghi comuni.

Singoli esempi di pensionati,autori di prestazioni ancora

ragguardevoli in assoluto sulpiano sportivo, sfatano delresto gli schemi stabilitisull’entità obbligata dellarottamazione da correlarecon l’anagrafe. Siccome èmeglio accompagnare ilrifiuto attivo dei luoghicomuni con buon sensopersonale, è pure meglio nonlasciarsi indurre in tentazionedalle varie offerte diimpostazione competitivaspesso medicalizzate.Ho il ricordo allegro, che mifaceva tenerezza, dellacordata ginevrina di LoulouBoulaz e Georges De Rham,i quali pur trovandosi suversanti sociopolitici opposti,hanno formato per parecchiotempo una buona cordataautonoma di settantenni chearrampicavano a comandoalternato sulle rocce delSalève, quel Salève che per iginevrini è come la Grignaper i lombardi.Ho invece un ricordo triste digrandi alpinisti sessantenniche si sono appoggiati aprofessionisti o compagnimolto più giovani per tornarea grandi imprese, e ci hannolasciato le penne. Eranoesperti, allenati, preparati,ma … Inseguire i sognialpinistici rinviati in gioventùè aleatorio e rischioso. Lasicurezza dell’affidarsi agiovani e perfino guide pertali ricuperi è ingannevole.Un compagno più giovanedifficilmente sa valutare lepossibilità concrete residuedell’anziano. Men che menooggi, quando ormai siconsidera “facile” quanto perla generazione precedentecostituiva “il limite dellepossibilità umane” , mentre idiffusi alti livelli dipreparazione atletica creano

differenze enormi nellevalutazioni.

D’altra parte, le “rimpatriate”sono deludenti, quando nonpatetiche. Perché tuttocambia intorno allamontagna, anche se le roccesono rimaste le stesse, ecercare di rivivere i ricordi èpiù pericoloso che rimettersia scalare. In Yosemite,quando Salathé, che dagiovane aveva aperto anchevie sul famoso Capitan, èritornato nella “sua” vallediventata Parco nelfrattempo, per rivedere lepareti della gioventù, è statorespinto all’entrata perché,lui che viveva da solo, eraaccompagnato dal suocagnolino. Cosa volete: cheuna guardia sappia di storiadell’alpinismo e abbiariguardo per questo tipo dianziani nostalgici ?Ricordiamoci checontinuamente si sostieneche gli anziani sono un peso,e che quelli ancora in gironon servono, che le loroesperienze di vita non sonotrasmissibili perché ognunodeve farsi la propria, che leloro conoscenze sonoobsolete, quando nonsemplicemente superate.Insomma, le testimonianze“ai nostri tempi” interessanopoco e non servono. Almassimo si può richiamare aigiovani che occorrecontestualizzare il passato,che in situazioni storichemutate le imprese non sonoparagonabili. Se c’è unsuggerimento da passare aigiovani, è quello di nonrimandare i sogni alpinisticiall’età della pensione. Nonsolo perché ormai loro nonsono più sicuri di riceverla,

di Silvia Metzeltin

De senectute alpinaoppure: vecchio sarai tu

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ma non sono neppure certi diarrivare all’età alla qualeviene loro eventualmentepromessa. E poi, cambiato ilcontesto, le ascensionifamose vanno mutandoattrattiva e valore, secondo icriteri delle generazionisuccessive, quandocambiamenti geologici oclimatici non hanno giàaumentato a dismisura ilrischio soggettivo dellarealizzazione.

Con queste considerazioninon sto affatto invitando glianziani alla rinuncia o allapura contemplazione, anzi.Mi sembra semplicementeche occorra un’ottica nuova,che lasci comunque emergerela personalità di ognuno inquanto essere unico anchecome alpinista nel continuarecon la propria attività.Bisogna anche diffidare dellalimitante retorica dei sentierie fiorellini che riuscirebbefelicemente a vedere solo chinon è in grado di fare altro.L’alpinista di azione, aqualunque età, non siriconosce nel “Deserto deiTartari” buzzatiano e puòaprire gli occhi sulle moltenovità che favoriscono chivuole restare attivo.Innovazioni utili neimateriali e nelle tecniche eopportunità di preparazioneatletica offrono possibilitàconcrete per rallentare il calodi efficienza e innescaremotivazioni nuove. In tutte lediramazioni sempre piùnumerose in cui evolvel’alpinismo tradizionale,filone da cui chi è anzianoera partito in gioventù, cisono oggi opportunità dacogliere al volo.

Vorrei riferirmi a una diqueste diramazioni, perché incerto senso è la filiazione piùvicina, ma anche la piùincongruamente messa indiscussione in certi ambienti

alpinistici: l’arrampicatasportiva. Per me rimane unavariante dell’alpinismo, chemi piace definire secondoGiorgetta “alpinismo sole espit”.Non la chiamo “libera” pernon cadere in confusionistoriche. Nella nuova visionedi intelligenza motoria,l’aggettivo “libera” si applicaa un passaggio anche benprotetto ma che permette ilsuperamento con gestualitànon obbligata, altrimenti sidice “vincolata”, per esempiodove c’è un solo appiglio daraggiungere e il resto èdavvero liscio come il vetro,e chi è troppo alto o troppopiccolo non passerà mai.Vorrei parlarne perché è uncaso speciale di altaprestazione che non escludenessuno in partenza.Permette adattamenti che aprima vista parrebberoproibitivi, benché inizi dovefinisce il VI grado codificatoe ideologicamente sbarratodella nostra giovinezza.

Così cerco di fermarequalche idea venutamiarrampicando a pochi metrida mare, al sole, insieme allelucertole ma senza la loroabilità. Assaporando la gioiaserena della ricerca diarmonia nel gesto sportivo.Sportivo, sì, mica lo rinnego.Riconosco la rottura, anchese radice lontana, innescatadal ministero felice diCassarà, che nell’arrampicataintendeva porre incompetizione aperta glialpinisti, per farla finita conla confusione tra prestazionesportiva e spiritualità. Certo questa arrampicata èsfuggita verso laspecializzazione del semprepiù difficile e si è allontanatadall’alpinismo nelle sueprestazioni estreme. Mal’anziano - e non solo - oggine ha a disposizione ibenefici “sole e spit”.

E’ abbastanza saggio perrisparmiarsi gli strapiombi dacui si esce su appigli per unsolo dito. Del resto non hapiù bisogno delriconoscimento necessario algiovane e può faretranquillamente a meno diinfilarsi sul 7c, mettendostupidamente in gioco il suoamor proprio e a repentagliole sue articolazioni. Invecesfrutta le buone sicurezze chei giovani hanno piazzatosulle rocce, frequenta perfinole pareti con appigli diplastica, usa la panoplia delleattrezzature leggere evariopinte che si rinnovanoogni anno.Intanto scopre che il giocopiù bello è quello che oggi sipuò concedere proprio lui,perché adesso davvero scalaper divertirsi e si è affrancatoda mode o etiche di turno. Lasua piccola sfida personale difronte alle difficoltà deipassaggi rimane impegnosorridente.

Se si afferra a un chiodo conil gesto che un giovanepercepisce e bolla come unavergogna, l’anziano adatta lafamosa affermazione diLivanos “meglio un chiodoin più che una vita di meno,soprattutto se la vita è lamia”, al più riduttivo maugualmente valido “meglioattaccarsi al chiodo chescivolare via, dato che lagamba è la mia”. Perchéfortunatamente per lui non èd’obbligo trovare il coraggiodi volare per diventare piùbravo, né di “superare inpropri limiti” per “diventarequalcuno”. Lasciamolo a chiha ancora da strutturare lavita più lunga che ha davanti,e risparmiamoci il sottilesubdolo commento “peressere vecchio, …”.I limiti si conoscono, sirispettano, le articolazionidolenti richiamano già loscarso rispetto avuto per tanti

anni. Volare agli alpinisti nonè mai piaciuto e uno in fondorimane alpinista anchequando arrampica sopra lasabbia in costume da bagno.Perciò evita di farsi del male,vista che gli è sempre andatabene in montagna.L’arrampicata “sole e spit”, aparte il concetto del volo permigliorare l’abilità, implicapoco rischio, niente rispettoall’alpinismo tradizionale.Magnifico, da non smetteremai, fino al nostro ultimogiorno.

Quando ho dettoall’intramontabile amicoUlisse (viaggia versol’ottantina) che vorreicomunque “morire in piedi”,mi ha risposto: “In piedi ?ma va, sugli sci o in parete!”Confortante, ma per durarecosì fino a quellaconclusione bisogna nonsmettere mai. Perciòprocedere con riguardo, efrenare determinatil’inesorabile rottamazione.Ci rimane a disposizione ilmezzo più potente dellanostra vita, lo stesso che ciha guidato in gioventù: nonlasciarci fuorviare daiparadigmi dei benpensanti esalvare testardamente ilnostro alpinismo personale inautonomia di passione e digiudizio.Non dare retta alle

“evidenze” delle statistichevuol dire sapersene fare unbaffo anche della saputaautorevole sentenza “lei allasua età cosa vuole mai” -benché ciò possa risultaremolto più difficile del 7c.Però la forza per superarequesto tipo di difficoltà lapossiamo attingere in quellache abbiamo consolidato nelnostro alpinismo quando nonera unicamente “sole e spit”e che rimane alla base ditutto.

Silvia Metzeltin

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Silvio (Gnaro) Mondinelli

Se le tue montagne si chiamanoManaslu, Lhotse,

Shisha Pangma,Everest, Makalu,

se raggiungi più di 15 voltela vetta di un 8000,

allora l’Asia è a123.343 metri

sul livello del mare,la bellezza è un sogno visto dall’alto,

la forza è il coraggio di immaginareuna strada che ancora non esiste,

il tuo respiro è il vento, i muscoli roccia,

e il tuo cuore è il centro infuocato

del mondo

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ramai da diversi anni non si puòneanche più parlare di “fenome-no” dell'arrampicata libera.Anche se nata in sordina, al

momento è una pratica sportiva ben con-solidata, che vede sempre più numerosipraticanti impegnati in strutture naturalied artificiali. Oltre al gesto atletico puro esemplice, la disciplina dell'arrampicatasportiva è anche un elemento di tecnicafondamentale per aumentare le possibi-lità di arrampicata, non solo in palestrama anche e forse soprattutto in montagna.Da anni, i più forti alpinisti sono anchemolto spesso esperti in questa disciplinache permette senz'altro un innalzamentodei risultati tecnici individuali.Il CAI da diversi anni si è impegnatoseriamente in questo settore, creando lafigura di un titolato altamente specializ-zato che opera nelle Scuole di Alpinismo,Sci Alpinismo ed Arrampicata Libera.Come per altre figure delle Scuole CAI,vi sono due livelli di formazione: quellaregionale, che consente l'ottenimento deltitolo di Istruttore di Arrampica Libera(IAL) e quella nazionale, che rilascia iltitolo di Istruttore Nazionale diArrampicata Libera (INAL).Il corso nazionale, la cui nona edizione siè chiusa nel dicembre 2006, prevedecomplessivamente 16 giornate di lezionied esami, e richiede ai candidati un note-vole bagaglio sia tecnico che culturaleche dimostra la complessità delle compe-tenze necessarie per potere affrontare concompetenza la disciplina dell'arrampicatalibera.

I candidati possono partecipare a questocorso se hanno già svolto attività didatti-ca in corsi di arrampicata libera nelleScuole CAI, se sono in possesso del tito-lo IAL e se presentano un'attività in fale-sia su itinerari aventi difficoltà di 6c avista (scala francese): l'ammissione aicorsi avviene dopo presentazione e valu-tazione di un curriculum di attività siapersonale che didattico.Il 9o Corso I.N.A.L. 2006, a cui hannopartecipato 14 allievi (5 L.P.V.; 4 V.F.G.;3 LOMB; 2 TER) si è articolato in 5 fasidistinte: Modulo di Formazione all'ar-rampicata (8 giorni nelle località diGrezzana, Padova e Belluno in maggio),Modulo Formazione sulla figura

dell'Istruttore in comune con I.N.A. eI.N.S.A. (2 giorni a Grezzana di Veronain ottobre), Modulo di Verifica sulle tec-niche di arrampicata (5 giorni ad Arcodi Trento in ottobre) e Modulo diVerifica sulla Formazione Istruttore (1giorno a Longare di Vicenza inDicembre).Nella parte formativa relativa all'ar-rampicata si sono sviluppati i seguentiargomenti: a) progressione fondamentaleed evoluta secondo il metodo Caruso, b)boulder e gestione delle palestre indoorcon particolare riguardo alla preparazio-ne con prese artificiali di sequenze diarrampicata per l'insegnamento dellastessa ai neofiti, c) traumatologia in

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arrampicata, fisiologia, allenamento,esercizi propedeutici e correttivi inarrampicata sia per adulti che per ragazzi,d) didattica, allenamento ed arrampicataindoor. Le lezioni tecnico-pratiche sono state:a) gestione e problematiche dei monotiri,b) soste in arrampicata, tecniche di assi-curazione ed autoassicurazione su vie apiù tiri e corda doppia, c) materiali e tec-niche per l'attrezzatura dei siti di arrampi-cata (con attrezzatura in collaborazionecon gli allievi di un nuovo monotiro di 20m, “Ossoduro”, 6c+, nella falesia diCeredo), d) manovre (paranco mezzoPoldo e bilancino). Le lezioni teorichesono state: a) apprendimento, controllo eregolazione del gesto atletico, b) l'evolu-zione del gesto arrampicatorio c) metodo-logie didattica per l'apprendimento del-l'arrampicata, d) la catena di assicurazio-ne. Durante la giornate di formazione tecni-ca, svolta in comune con il Corso I.N.A.,a Padova con la collaborazione dellacommissione centrale materiali e tecni-che si è approfondito l'uso dei materiali esi sono condotte prove di autoassicura-zione e assicurazione grazie alla strutturadella Torre.

I contenuti didattici e culturali trasmessisono stati seguiti con molta attenzionedagli allievi, che hanno più volte dimo-strato di avere delle buone basi di cono-scenza (ed in alcuni casi ottime) relativeagli argomenti trattati. In particolare èapparso evidente che il filtro operatomediante i Corsi Regionali diArrampicata ha permesso l'accesso aiCorsi Nazionali di Istruttori che operanopresso le Scuole del C.A.I., attenti alleproblematiche didattiche ed alla respon-sabilità che impone il proprio ruolo diIstruttore. Tutti gli allievi hanno avuto un atteggia-mento positivo e di disponibilità verso ilCorso, gli altri allievi e verso gliIstruttori, proponendo, chiedendo consi-gli, riflettendo sulle proprie esperienzedidattiche passate e presenti.Particolarmente significativi sul pianoformativo i contenuti didattici proposti aBelluno da Bruno Capretta e SandroNeri. Le proposte e le metodologie pre-sentate dai relatori meritano di essereriproposte per la semplicità e l'efficaciadidattica che ne fanno degli strumenti edelle tecniche indispensabili per quantihanno il compito di “insegnare l'arrampi-cata”.

In questa ultima edizione è stato pro-grammato un modulo di formazione cul-turale che ha interessato contemporanea-mente i partecipanti ai corsi perINA,INAL e INSA con gli obiettivi difornire una comune preparazione eapprofondire il ruolo e la figura dell'i-struttore: progettazione didattica, tecni-che di comunicazione, preparazione econduzione di una lezione, gestione di ungruppo, figura del direttore di scuola,figura giuridica dell'istruttore, responsa-bilità civile e penale, polizze assicurative.

Il Modulo di verifica e valutazione havisto impegnati i partecipanti nelleseguenti Aree: AREA “Cultura generale in arrampica-ta”: 1) Apprendimento, controllo e rego-lazione del gesto arrampicatorio; 2)Anatomia e fisiologia della contrazionemuscolare e del gesto arrampicatorio; 3)Allenamento e arrampicata; 4)Traumatologia in arrampicata; 5)Materiali dell'arrampicata e Catena diassicurazione; 6) Materiali e tecniche perl'attrezzatura delle falesie; 7) Boulderinged attrezzatura e manutenzione delle

strutture indoor; 8) Storia ed evoluzionedel gesto tecnico-arrampicatorio, 9)Contenuti Culturali “FormazioneIstruttore”.AREA “Valutazione competenze Tecnico-pratiche e Didattiche Sicurezza in arram-picata” e “Competenze, prestazioni,padronanza in Arrampicata”: 1) gestionedei monotiri e delle relative manovre disicurezza; 2) conoscenza ed utilizzomateriali arrampicata e nodi; 3) parancomezzo Poldo con spezzone ausiliario; 4)bilancino, raggiungimento sosta e calatacon ferito; 5) giunzione di corde; 6) sostaper calata in corda doppia, tecniche didiscesa in corda doppia e risalita; 7) supe-ramento e gestione delle difficoltà di viea più tiri.AREA “Capacità tecniche e competenzeinsegnamento dell'arrampicata: 1) didat-tica dell'Arrampicata: progressioni fon-damentali della Tecnica Caruso; 2) didat-tica dell'Arrampicata: progressioni evolu-te della Tecnica Caruso; 3) didatticadell'Arrampicata: strategie d'insegnamen-to: mezzi, interventi, esercizi propedeuti-ci ed integrazioni didattiche.AREA “Prestazioni/Livello in arrampi-cata”: ARRAMPICATA A VISTA(DIFFICOLTÀ almeno pari al 6c):Percorrenza e superamento a vista di trepercorsi di arrampicata sportiva con diffi-coltà non inferiori al 6c.

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Torre di Padova: Prove di tenutadella catena di assicurazione.

Torre di Padova: Prove reali di volo e di trattenuta.

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Molti dei contenuti e conoscenze oggettodi valutazione cognitiva erano inseriti perla prima volta all'interno di una valuta-zione mediante Colloquio-Esame. Perquesto si è condotto l'esame medianteuna domanda a scelta per argomento, cuiseguivano altre domande più specifichedi approfondimento ed una uguale pertutti, consistente nell'analisi e commentodi una tabella di allenamento. Gli itinera-ri di Arrampicata (monotiri) si sono svol-ti nella falesia di Cavedine, mentre quellia più tiri, comprendenti anche la gestionedelle doppie di calata, si sono svolti sullepareti del Monte Colt (ogni gruppo haeffettuato due salite). Didatticadell'Arrampicata, nodi, uso dei materiali,gestione dei monotiri, delle soste e dellerelative manovre di sicurezza e calata incorda doppia e risalita, si sono tenutenella falesia di Nago. Le altre manovre,su sassi di Prabi, nell'area dei Colodri.I risultati conseguiti dagli Allievi sonostati nell'insieme positivi in tutte le Areeculturali specifiche. Si segnala la buonacompetenza nell'Area “Didatticadell'Arrampicata”.

Graditi ospiti del Corso sono statil'Accademico Fabrizio Miori, ex membrodi S.C.A. ed attuale Assessore all'ambien-te e al Turismo di Arco e l'AccademicoRolando Larcher, che ha proposto e com-mentato fra l'interesse generale degliAllievi alcuni filmati di arrampicata, fra iquali uno ove lo stesso spiegava la pro-pria tecnica e la propria etica nell'attrez-zatura dal basso di itinerari di arrampica-ta a più tiri. L'alloggiamento e il tratta-mento ricevuti ad Arco sono risultati ade-guati e molto funzionali per le esigenzedidattiche e di orario del Corso. Un rin-graziamento particolare va tributato allalocale Sezione della S.A.T., che ha con-cesso la propria struttura per la serata diRolando Larcher e quella di Verifica eValutazione di Contenuti Culturali.

Infine nel corso di una giornata si è svol-to a Lumignano (Vicenza) un esame teo-rico per verificare nei candidati le cono-scenze culturali di base, la formazionegenerale dell'istruttore e le competenzespecifiche nel settore dell'arrampicata. Itemi principali trattati sono stati: organiz-

zazione dei corsi sezionali di arrampicatalibera (AL1e AL2), la capacità di pro-grammare iniziative di formazione infunzione della tipologia di allievi cui èrivolta l'attività didattica (adulti o giova-ni), metodologie didattiche, responsabi-lità civili e penali legate all'organizzazio-ne di Corsi di Arrampicata e dei Corsi ingenere nel C.A.I., conoscenza delle poliz-ze assicurative .

I risultati conseguiti dai candidati sonostati nell'insieme più che soddisfacenti intutte le aree di conoscenza indicate edhanno ancora una volta evidenziato comela preparazione culturale ricevuta neicorsi regionali abbia creato le basi per unulteriore approfondimento culturale, chealtrimenti non sarebbe stato possibile.

Tutti i candidati hanno avuto un atteggia-mento positivo, di dialogo e di disponibi-lità verso il Corso, gli altri allievi e versogli Istruttori presenti, confermando quan-to rilevato per tutta la durata del Corso.Anche il rapporto tra Istruttori è statopositivo e caratterizzato da dialogo e col-laborazione reciproci.

La CNSASA e le scuole centrali di alpi-nismo e sci alpinismo si stanno prodigan-do per fornire al corpo docente dellescuole una preparazione e di un bagagliotecnico e culturale di notevole spessore,in modo di avere istruttori di elevato pro-filo e competenze. Questo impegno qua-lifica senz'altro la figura dell'Istruttore diArrampicata Libera del CAI come una trale più competenti ad operare nel settore, ecertamente la sola in ambito CAI a pote-re insegnare e far avvicinare a questosport gli appassionati di ogni età.

Maurizio Dalla Libera(Presidente della Commissione Nazionale

Scuole di Alpinismo e Sci Alpinismo)

Si ringrazia per la collaborazione Claudio Melchiorri(Direttore della Scuola Centrale di Alpinismo)

Dario Francese e Marino Tamanini (Direttore e Vice-direttore del IX° Corso perINAL)

Augusto Angriman

Bruno Capretta

Gli Allievi e gli Istruttori del IX° corso

per INAL

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Tecnica base di arrampicata.

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uando, nel 2004, il convegnoT.E.R. ha organizzato il primocorso per Istruttori Regionali diArrampicata Libera, non pensa-

vo che mi sarei fatta coinvolgere con taleintensità da un'attività che, per me, rap-presentava solo una delle tante da svolge-re in ambiente alpino o di bassa quota.Sin dai miei esordi, tuttavia, ho semprericercato un equilibrio, una progressionearmonica e un movimento efficaci, mache fossero allo stesso tempo eleganti,senza interessarmi alla ricerca del grado atutti i costi.Dopo aver conseguito il titolo I.A.L., misono accorta di come l'arrampicata spor-tiva, rispondendo all'esigenza di arrampi-care in ambiti meno rischiosi rispettoall'alpinismo classico su roccia e ghiac-cio, si avvicini maggiormente ai giovani,che spesso preferiscono ambienti solari,godibili e rilassanti.La voglia di aumentare le mie conoscen-ze didattiche e tecniche, nonché il deside-rio di dare un nuovo impulso alla Scuolacui appartengo, mi hanno spinta ad iscri-vermi al Corso per Istruttori NazionaliArrampicata Libera, non senza qualchedubbio dovuto al timore di non essere allivello richiesto nel bando (6c a vista), incui il grado era definito come indispensa-bile per ottenere il titolo; tuttavia, per laprima volta dall'istituzione nel 2001 deiCorsi Regionali di Formazione perI.A.L., non era prevista una Selezione sul6c, ma potevano accedere al Corso perso-ne che avessero il titolo IAL, INA, INSAo guide alpine.In attesa della valutazione del curriculumd'arrampicata, ho cominciato ad allenar-mi in modo sistematico per fare in modoche, da una realizzazione sporadica, il 6c

a vista diventasse per me un livello“costante”. Ad aprile la conferma del-l'ammissione al Corso e la comunicazio-ne del programma definitivo.Il Corso Nazionale di Arrampicata Liberaè suddiviso didatticamente in due fasi,quella Formativa svolta a Ceredo,Padova, Erto e palestre indoor, seguita daquella di Verifica e Valutazione ad Arco;quindi seguono due giornate diFormazione teorica generale, in comunecon i Corsi I.N.A. e I.N.S.A., e una diulteriore Verifica e Valutazione.I miei compagni di corso, due ragazze e11 ragazzi tutti fortemente motivati comeme, non hanno mai nascosto la tensione ela preoccupazione per le prime considera-zioni tecniche che gli Istruttori avrebberoespresso per ciascuno di noi alla finedella prima fase, nonostante il rapportocon gli stessi si sia rivelato ottimo findagli esordi. Tuttavia, è stato subito chia-ro che, indipendentemente dal risultatodel corso, quella settimana sarebbe stataun tassello importante per la nostra matu-razione tecnica quali futuri Istruttori, siaper le nuove competenze didatticheacquisite che per quelle tecniche. Infatti,a due giornate di incontro con PaoloCaruso, ideatore dell'omonimo metodo,che ci ha permesso di approfondire ulte-riormente le tecniche di progressione dibase ed evolute, ne sono seguite altre duecon Bruno Capretta, I.N.A.L., insegnantedi educazione fisica, responsabile delprogetto arrampicata nelle Scuole del bel-

lunese ed allenatore, con Sandro Neri, diuna squadra di arrampicata sportiva. Lelezioni con Bruno ci hanno calati nellapratica dell'insegnamento rivolto sia adadulti che ai bambini, fornendoci esempidi esercizi semplici, ma allo stesso tempodidatticamente “efficaci e creativi”, edintroducendoci alla capacità di trasmis-sione del concetto di gioco-arrampicata.Ovviamente non potevamo trascurare ilbouldering, l'attrezzatura, la manutenzio-ne e gestione di un sito indoor, argomen-ti sviluppati con esercitazioni pratiche instruttura con la Guida Alpina MartinoPeterlongo; ed ancora la chiodatura di sitid'arrampicata, che ci ha visti attrezzarecon gli Istruttori un itinerario (Osso duro,6c+, subito superato “flash” da alcuni dinoi) nella falesia di Ceredo ed infine leprove pratiche alla “Torre di Padova”, pertestare i materiali, valutare i diversi tipi diassicurazione, le manovre di corda di usocomune e di autosoccorso della cordata;insomma, un impegnativo ma gran belgiro di valzer sulla “pista d'arrampicata”.Alle lezioni pratiche hanno fatto da con-torno le lezioni teoriche, che si pongonocome basi per un buon istruttore, qualil'apprendimento motorio, l'anatomia e lafisiologia della contrazione muscolare,l'allenamento, la traumatologia, la storiae l'evoluzione del gesto arrampicatorio edell'arrampicata e le metodologie dellaprogrammazione didattica. Tra un modulo e l'altro sono trascorsirapidamente cinque mesi ed ecco che ci

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di Anna Ceroni

La miaesperienzaalCorso

QApplicazione delle tecniche su parete verticale.

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siamo ritrovati tutti ad Arco di Trento perla fase di “Verifica e Valutazione”.La tensione sempre alta e, ad ogni provasuperata, ciascun tassello del puzzle hapreso il suo posto, fino ad ottenere laparola “INAL”. Ad Arco abbiamo ancheavuto il piacere di avere, quale graditoospite del corso, Rolando Larcher che,oltre a presentarci due interessantissimi erecenti filmati della sua attività, haapprofondito nel dibattito seguito allaproiezione il tema dell'apertura dal bassodi itinerari di arrampicata sulle grandipareti. Dopo Arco, ci siamo trasferiti aGrezzana (VR) per completare la fase incomune con I.N.A. e I.N.S.A.: non è statofacile rimanere chiusi in una sala adascoltare lezioni sulla responsabilità giu-ridica dell'Istruttore, sul come organizza-re le lezioni, e poi ancora sulla didattica,la storia dell'alpinismo e le Scale diDifficoltà, sugli aspetti burocratici relati-vi all'organizzazione di un Corso, circon-dati com'eravamo da falesie invitanti, maoramai il più era passato e si trattava solodi “gestire” la calata. Un ringraziamento particolare da parte ditutti gli allievi al Direttore del CorsoDario Francese, al Vice-Direttore MarinoTamanini, agli gli istruttori GiacomoAmbrosino, Augusto Angriman, AngeloBonatti, Bruno Capretta, Stefano Ferro,Andrea Rigolone e Claudio Melchiorriper la loro disponibilità, correttezza esimpatia.

Anna Ceroni

Si riporta una sintesi del glossario tratto dalCapitolo “TECNICHE DI ASSICURAZIONE E DIAUTOASSICURAZIONE SUI MONOTIRI” delVolume del C.A.I. di prossima pubblicazione“Arrampicata: tecniche e sicurezza”

Lavorato: salire interamente in modo pulito e per laprima volta un itinerario, dopo averlo già percorso inprecedenza, progredendo senza mai appendersi ai rin-vii, mettendo i rinvii dal basso e la corda negli stessied utilizzando per la progressione solo appigli edappoggi: così facendo, la salita è “pulita” (negli ultimianni, vengono accettati anche i rinvii preventivamentepiazzati prima della salita, mentre un tempo la cosainvalidava la prestazione “lavorata”). Sinonimo italianodel tedesco “rotpunkt” (termine al quale va data la pri-mogenitura; vedi il termine in glossario) e dell'inglese“red point”. Rotpunkt: è sinonimo tedesco di “lavorato”e significa “Punto Rosso”. Nasce da un'idea di KurtAlbert, noto arrampicatore ed alpinista tedesco cheaveva introdotto nelle zone d'arrampicata tedesche laconsuetudine di indicare le vie liberate con un bollinorosso alla base. Rotpunkt, per l'appunto.A-vista: con questo termine, sinonimo di “on sight” siindica la percorrenza di un itinerario mai salito prima,né percorso in parte o visto in precedenza, del qualenon si hanno conoscenze (cioè non lo si è mai visto nédal vivo, né in foto, né in filmato, né si sono sentite,viste o ricevute informazioni sui passaggi e/o sui movi-menti da fare sullo stesso), salendolo senza maiappendersi ai rinvii né mai usando le protezioni o altrimezzi artificiali per salirlo: quindi superato a-vista,senza prima conoscerlo e senza mai aiutarsi con pia-strine e/o rinvii o altri mezzi, ma usando le protezionisolo per mettere i rinvii e passare la corda ai fine del-l'assicurazione.Resting: l'appendersi una o più volte ad un rinvio o aduna protezione durante la salita di un itinerario. In que-sto modo la salita non può essere né a-vista, né flash,né rotpunkt.Azzerare (o “azzero”): aiutarsi con una protezione (rin-vio, protezione fissa e simili) per la progressione lungoun itinerario. In questo modo la salita non è più in“libera”, cioè “pulita”. L'Azzerare è il primo livello del-l'arrampicata artificiale, indicato per l'appunto con“A0”.Continuità: il termine indica una lunga sequenza dimovimenti con difficoltà molto simili tra loro, che nonpermettono riposi o quantomeno li rendono assai diffi-coltosi.Flash: con questo termine si indica il superamentosenza resting di un itinerario senza mai averlo primapercorso in nessun tratto, ma avendo avuto la possibi-lità di vedere qualcuno che lo saliva (anche in un fil-mato) e/o avendo ricevuto o “sentito” informazioni diqualche genere su eventuali accorgimenti tecnici e/otattici da adottare nella salita dello stesso.Grado: è la valutazione dell'impegno complessivo, fisi-co, tecnico e psicologico, necessari ad un arrampicato-re per percorrere una via, che assume così “il grado”(d'impegno complessivo!). L'attribuzione viene fattadopo un certo periodo e dopo aver confrontato le varieopinioni tra coloro che hanno percorso la via.

Solitamente il grado di una via non viene dato “a-vista”, ma dopo averla “lavorata” cioè provata un certonumero di volte e da parte di più atleti.

Livello: indica il grado più alto fatto dall'atleta arram-picatore e si distingue in “livello a-vista” e “livello lavo-rato”. Per un arrampicatore il “livello a-vista” ha unsignificato più autentico, in quanto indice non solodelle sue qualità condizionali (fisiologiche/fisiche), maanche delle sue qualità coordinative (intelligenza moto-ria).Moulinette: chiamata anche “Top rope”, indica la sali-ta di un itinerario di arrampicata assicurati con lacorda dall'alto.Ripetizione: in arrampicata sportiva può significareche un arrampicatore ha salito “rotpunkt” un monotiro,oppure che ha salito nuovamente “rotpunkt” un itinera-rio (quindi dopo averlo già percorso in precedenza). Senon vengono chiarite correttamente le modalità di sali-ta, il termine si presta a qualche confusione.Riposo: il termine indica un punto dell'itinerario in cuil'arrampicatore può avere la possibilità di fermarsi per“recuperare” (in parte) le energie spese durante la pro-gressione in arrampicata. Di solito, i punti di ripososono posizionati nei pressi delle protezioni. Infatti, que-ste ultime dovrebbero essere realizzate nei punti piùadatti ai moschettonaggi, anche se non sempre lacosa è fattibile.Run out: termine inglese che indica un tratto dell'iti-nerario e la relativa sequenza di movimenti, a volteostici, con protezioni lontane. In questi casi è necessa-rio “essere calmi”, “valutare”, “intuire” epoi……“pedalare con convinzione!”, ma sempre pron-ti a gestire con il compagno che assicura un eventualevolo.Sosta: in arrampicata sportiva consiste nel punto di unmonotiro dove lo stesso termina e dove l'arrampicatoreche lo ha salito inizia la discesa sino a terra.Solitamente dovrebbe essere attrezzata con almenodue ottime protezioni, collegate da una catena, anelli digiunzione (maglie rapide) e da un moschettone diacciaio o un anello di calata (sempre di acciaio). Inarrampicata sportiva, a volte, il termine sosta vienesostituito con quello di “catena”.

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guida alla terminologia adottatain arrampicata sportiva

Anna impegnata in una manovra di autosoccorso.

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IntroduzioneLa Commissione Nazionale Scuole diAlpinismo e Sci Alpinismo (CNSASA)intende esprimere alcune considerazionisull'arrampicata svolta nel nostro sodali-zio da ragazzi minorenni e promossaattraverso iniziative di singole sezionioppure organizzata nell'ambito di corsisezionali di alpinismo giovanile.L'argomento fa parte di una tematica piùampia che abbraccia varie discipline alpi-nistiche; si è osservato infatti che da qual-che anno vengono organizzati attività ocorsi sezionali di base e monotematici neiquali ragazzi dai 6 ai 17 anni svolgonoattività di arrampicata in palestre indoor ein falesia, percorrono vie ferrate, compio-no salite di montagna legati in cordata eattraversano ghiacciai. La CNSASAritiene che l'attività alpinistica nei corsisezionali di alpinismo giovanile debbaessere ridotta per almeno tre motivi: lespecificità richieste, un principio educati-vo che privilegia la dimensione del cam-minare, il rispetto di un adeguato livellodi sicurezza. Ritiene di conseguenzaopportuna una riflessione tra addetti ailavori da sviluppare in un confrontocustruttivo che potrà trovare le soluzioniidonee nella neoinsediata unitàFormativa di Base con forme di collabo-razione tra le Scuole Centrali e le apposi-te strutture di didattica. L'intento di evi-denziare le problematiche che caratteriz-zano la pratica alpinistica svolta con igiovani e di stabilire con maggior chia-rezza gli ambiti di lavoro delle varie com-missioni centrali di natura operativa inmodo da evitare sovrapposizioni di com-piti che si rivelano dannose per tutti.Nel presente articolo ci si vuole occuparespecificatamente di arrampicata rivolta aiminori praticata sia in palestra indoorche in falesia: nella prima parte parlere-

mo delle principali finalità della CNSA-SA e del nostro concetto di progetto edu-cativo rivolto ai giovani mentre la secon-da parte sviluppa il tema specifico delgioco-arrampicata.

I principali compitidella CNSASA La CNSASA da 70 anni, ha lo scopo dipromuovere e favorire lo sviluppo dell'al-pinismo, dello scialpinismo e, più direcente, dell'arrampicata libera, in tuttigli aspetti tecnici e culturali, con partico-lare attenzione ai problemi della preven-zione degli infortuni. Nell'ambito dellefinalità statutarie e in accordo con gliindirizzi programmatici del ComitatoCentrale, oltre a curare l'attività delleScuole e la formazione degli Istruttori,indirizza tecnicamente e moralmente l'at-tività alpinistica delle Sezioni, collaboracon gli altri OTC per il conseguimentodell'uniformità didattica, attua ogni ini-ziativa che possa favorire la divulgazionedelle attività alpinistiche nel rispetto dellasicurezza in montagna ed in falesia. La tipologia dei corsi sezionali proposti èpiuttosto ampia: tre livelli di sci alpini-smo e due di snowboard alpinismo, duelivelli di arrampicata libera, otto corsi traalpinismo e ghiaccio. Gli obiettivi e icontenuti di ciascun corso sono ben det-tagliati in modo che siano garantite sututto il territorio nazionale uniformità diinsegnamento e modalità di accompagna-mento.

Durante i corsi si fa istruzione e accom-pagnamento: l'istruzione ha lo scopo, tra-mite la ripetizione della progressione edelle manovre di autosoccorso, di farraggiungere al partecipante un certogrado di autonomia; l'accompagnamentodiviene una ovvia conseguenza in quantole esercitazioni e le escursioni avvengonosoprattutto in ambiente. L'esperienza maturata in molti anni diattività forniscono alla CNSASA quelleindispensabili competenze che consento-no di stabilire le regole del gioco per chivuole frequentare in sicurezza i percorsialpinistici sci alpinistici e sviluppare lapratica dell'arrampicata.Uno degli elementi fondamentali ai finidella sicurezza è rappresentato dal rap-porto numerico che deve esistere all'in-terno di qualsiasi corso tra istruttore eallievi: mentre nell'attività sci alpinisticae di snowboard alpinismo su terreno scii-stico ed escludendo il ghiacciaio, unistruttore può accompagnare al massimotre allievi, nella svolgimento della praticaalpinistica un istruttore ha la responsabi-lità di uno - due allievi.Nei corsi di base di alpinismo (A1), scialpinismo (SA1) e arrampicata (AL1) siaccettono allievi con età minima di 16anni. L'organizzazione di un corso basedi arrampicata prevede almeno 6 giorna-te, 6 lezioni formativo-culturali e alcuneserate infrasettimanali per l'approfondi-mento di specifiche aree tecnico-pratiche(arrampicata, allenamento, manovre);

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L’arrampicatanell’etàevolutivaa cura dellaCommissioneNazionale Scuoledi Alpinismo eScialpinismo

Progressione di base e posizionamento delle protezioni.

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una prima parte introduttiva può esseregestita anche in palestre indoor, mentre laseconda parte di approfondimento si svi-luppa su parete naturale. Oltre a trattarela tecnica del movimento in arrampicata,i nodi e tecniche di assicurazione edautoassicurazione sui monotiri in mouli-nette, particolare cura è dedicata all'alle-namento, alla traumatologia e all'alimen-tazione.Grande importanza viene attribuita allaformazione degli istruttori che sono divi-si in tre livelli di qualifica: aiuto-istrutto-re (o istruttore sezionale), istruttoreregionale e istruttore nazionale. Prima diaffidare un allievo ad un aiuto-istruttoresi vogliono accertare non solo le attitudi-ni alle relazioni umane e il senso diresponsabilità ma soprattutto la capacitàtecniche che devono soddisfare a deirequisiti minimi; per formare unIstruttore sezionale, primo livello perpoter accompagnare e istruire un allievocon sufficiente affidabilità, sono necessa-ri almeno 3 anni. Ad esempio per poter diventare Aiuto-istruttore di arrampicata libera si chiedeuna sufficiente attività da capocordatacon difficoltà su roccia di 6 a (scala fran-cese). Una volta accettato, l'aspirantesvolge un periodo di tirocinio presso lascuola, durante il quale effettua un per-

corso formativo sul terreno e non haresponsabilità di allievi, si muove dacapocordata ed opera in affiancamento adun istruttore, apprende le principalimanovre di autosoccorso e compie unaformazione tecnica e culturale. Solo dopoquesto periodo, in cui si migliora la reci-proca conoscenza e si verificano le capa-cità e le motivazioni dell'aspirante, lascuola decide per il suo ingresso nell'or-ganico.

Le finalità educative La CNSASA condivide gli scopi enuncia-ti dal progetto educativo dell'alpinismogiovanile e tuttavia interpreta alla letterail concetto di attività - intesa come recu-pero della dimensione del camminare nelrispetto dell'ambiente geografico naturalee umano - . Si ritiene che la trattazione didiscipline alpinistiche debba avere carat-tere di approccio e di presa visione e nonnecessariamente prevederne lo sviluppoin ambiente; si deve infatti considerareche lo svolgimento delle attività alpini-stiche presenta dei rischi oggettivi e chei giovani, avendo una scarsa percezionedel pericolo, devono essere costantemen-te vigilati. Inoltre, ed è la questione piùimportante, è opinione della Commis-sione che questo primo contatto con lapratica alpinistica debba stimolare nel

ragazzo la curiosità e creare le premesseper sviluppare il suo interesse in corsiappositamente dedicati a questo scopo. IlCAI, rispetto ad altre associazioni sporti-ve il cui unico scopo è il gesto atletico ela prestazione agonistica, deve farsi por-tavoce di valori come ad esempio la tute-la dell'ambiente, la conoscenza della florae della fauna, il rispetto della persona,l'assunzione di un comportamento colla-borativo nella vita di gruppo, la solida-rietà in caso di soccorso. L'escursionismoè visto come manifestazione dell'alpini-smo, un potente strumento per conoscerela montagne e le sua cultura, per ritem-prarsi, per percepire meglio se stessi e ilmondo, per elevarsi spiritualmente.Riteniamo diseducativo applicare la filo-sofia oggi assai praticata che propugna“tutto e subito” perché ciò significa bana-lizzare tutte le esperienze e mortificare isogni. Come è ben noto chi va per i montivive di sogni. Ci sono ragazzi di 16 anniche hanno già praticato 7-8 sport e chepoi non sanno cosa fare per passare iltempo. Paradossalmente facendo far pra-tica alpinistica in forma superficiale alragazzo corriamo il grosso rischio di“saziarlo” e di togliergli la motivazioneper poter sviluppare nel tempo e con unapproccio graduale e più profondo la fre-quentazione dei monti.La CNSASA sta compiendo un conside-revole sforzo sul piano della formazionedei propri Istruttori di Arrampicata perfornire loro le competenze tecniche edidattiche in modo che essi possano dedi-carsi sia agli adulti che ai giovani . Untema che stiamo affrontando e che vienesviluppato nella seconda parte dell'artico-lo riguarda proprio il gioco-arrampicata;l'approccio didattico deve considerare daun lato che le articolazioni e le ossa dibambini ed adolescenti non possono esse-re sottoposte a “carichi” elevati come gliadulti, in quanto questo metterebbe arischio le articolazioni aprendo la strada apossibili patologie da sovraccarico.L'altro aspetto, ancora più importante, èdi natura psicologica: infatti la prestazio-ne dell'adolescente non va forzata, ma,avendo essa un orientamento diverso daquello specificatamente sportivo, deveassumere un carattere pedagogico-sporti-vo e offrire al ragazzo un ambiente digioco in cui egli possa anche valutare leproprie capacità.

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Bambini in palestra.

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Il gioco-arrampicata:un'attività con iminori che richiedecompetenze eresponsabilitàL'arrampicare, intendendo con ciò l'e-spressione naturale del salire su di unospazio verticale, fa parte degli schemimotori di base dell'uomo e precede l'ap-prendimento della stazione eretta e quin-di del camminare. L'arrampicare rappre-senta per ogni bambino una “naturale”esperienza, osservabile nelle sue attivitàquotidiane di “scoperta” ed è anche unmodo per “superare” quei vissuti di paurache spesso emergono quando ci si allon-tana da terra. Quindi, l'arrampicare rap-presenta per il bambino sia una forma didisinibizione, sia una forma di scoperta edi conquista personali. Questa attivitàludica (non stiamo parlando ancora dellosport arrampicata) ha il grande pregio difavorire il potenziamento delle abilitàmotorie, senso-motorie e, in ultima anali-si, anche di quelle più propriamentecognitive, stimolando in positivo tutto ilsistema nervoso e ampliandone le poten-zialità. È per questo che in paesi europeimolto attenti al potenziale educativo eformativo dello sport, l'arrampicare,ovvero l'arrampicata, è un'attività cheviene sostenuta ed incentivata sin dallaScuola per l'Infanzia, proprio per le suecomponenti in grado di favorire un posi-tivo sviluppo di schemi motori e cogniti-vi, ma nel contempo essa viene propostasecondo modalità adeguate e mirate alle

esigenze dei bambini e dei ragazzi. Ilgioco-arrampicata non è solo l'arrampica-ta come questa comunemente è conosciu-ta e praticata. Il gioco-arrampicata èun'attività ludico-sportiva rivolta a bam-bini e ragazzi di età compresa all'incircafra i 6 e i 14-15 anni, che attraverso lagestualità propria dell'arrampicata (l'ar-rampicarsi) e alcuni strumenti (i materia-li), tuttavia si propone delle finalità spor-tive ed educative. Queste non hannocome fine il raggiungimento di una “pre-stazione arrampicatoria”, bensì di favori-re lo sviluppo attività motorie nello spa-zio verticale (e non solo) in grado dipotenziare nei ragazzi dei processi diapprendimento e potenziamento motorioe senso-motorio. Quindi, dei processi ingrado di sostenere e migliorare nei bam-bini e nei ragazzi le componenti psicolo-giche e fisico-organiche, mediante pro-grammi educativi scientificamente strut-turati in momenti ludico-didattici cheprevedono l'utilizzo di tecniche per l'inse-gnamento e miglioramento delle capacitàcoordinative e di strumenti adatti a questoscopo (a volte assai semplici come sedie,panche, materassini, scale, spalliere). È inquesto senso che quando ci si appresta adinsegnare un'attività ludico-sportiva (osportiva) ad un utente, ancor più se unminore, si devono avere chiari i principiche sottostanno all'attività proposta e levariabili individuali fisiche ed organicheche ne sono coinvolte. Per questo, chiun-que si appresti a fare ciò, deve avere chia-ri gli aspetti di tutte le componenti coin-volte nel concetto di “carico motorio”.Con questo termine s'intende l'insiemedelle attività proposte dall'insegnante (nel

nostro caso l'Istruttore) le quali da un latodevono favorire lo sviluppo degli schemimotori e posturali e delle abilità motorie,dall'altro devono offrire una gamma diesercizi e un'insieme di strumenti chesiano motivanti e formativi. Il tutto deveessere in grado di evitare nei ragazzi,relativamente allo sviluppo ed al raggiun-gimento degli obiettivi, eventuali involu-zioni o, peggio, abbandoni, ma ancheeccessi pericolosi per il fisico e l'equili-brio psicologico del minore. Si fa notare che le articolazioni e le ossadi bambini ed adolescenti non possonoessere sottoposte a “carichi” elevati comegli adulti, in quanto questo metterebbeautenticamente a rischio le articolazionied aprendo la strada a possibili patologieda sovraccarico (tendiniti, entensopatie,artrosi, ecc..). Anche la colonna vertebra-le necessita di molte attenzioni in fase diesercizio fisico, soprattutto nelle fasi dimaggior crescita della statura.Per quanto riguarda la mobilità articolare,così importante nell'attività arrampicato-ria, questa è abbastanza sviluppata neibambini, ma è dai 10 anni in poi che sicreano le condizioni più idonee per farlo(più specificatamente, nelle bambine dai9 ai 12 e nei bambini dagli 11 ai 14). Essanecessiterebbe di essere esercitata conuna certa continuità, in quanto, con lamaturazione puberale può subire una dra-stica diminuzione. È comunque impor-tante ricordarsi che dai 6 ai 14 anni sideve evitare il più possibile l'utilizzo diesercizi passivi per la mobilità articolare(cioè esercizi svolti con l'aiuto esterno diun compagno o un sovraccarico), inquanto le articolazioni sono ancora in

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Esercizi per lo sviluppo dell’equilibrio e delle abilità di base.

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fase di crescita e potrebbero subire deidanni rilevanti. Anche in questi casi èpreferibile ricorrere all'utilizzo di metodiindiretti, contenuti in esercizi tecnico-ludici. L'allenamento fisico di base potràessere anche di costruzione e proseguiredai 15 ai 18 anni con una sempre mag-giore specializzazione, ma sempre man-tenendo come obiettivo una corretta inte-grazione con le capacità tecniche e senzamai dimenticare che l'aspetto ludicorimane fondamentale in attività sportivepraticate a questa età e per coinvolgere emotivare nel modo più appropriato unsoggetto ancora molto giovane e quindipsicologicamente e fisicamente ancora in“divenire”. È necessario anche ricordarsiche i soggetti in età evolutiva hanno livel-li di affaticamento superiori a quelli degliadulti. Conoscere gli indicatori dell’affa-ticamento sportivo e muscolare propriodei giovani è importante, al fine di saper“dosare” il “carico” ludico-sportivo e persaperlo interrompere quando compaionoi primi segnali dell'affaticamento. Quindi, la responsabilità dell’educatore/Istruttore è a questo riguardo notevole,ancor più in quanto l'allievo è un bambi-no, o tutt'al più un giovane ragazzo, congli apparati fisici e psicologici in via diformazione e con un mondo esperenzialevolto al “divenire”. Chiunque si apprestia proporre il gioco-arrampicata deveconoscere l’evoluzione/maturazione psi-cologica dell’infanzia e della preadole-scenza e dell’adolescenza, il funziona-mento dell’organismo umano e in parti-colare quello infantile, le conoscenzedelle varie tipologie di carico fisico (eser-cizi) e sulle modificazioni che le stesse

inducono sugli apparati e sui sistemiorganici e psicologici e sulle leggi che licaratterizzano e li regolano. Ma avereanche chiaro che quando si “lavora” consoggetti così giovani, il concetto di pre-stazione ha un orientamento diverso daquello specificatamente sportivo degliadulti, in quanto, con i minori, esso hacome fondamento una prestazione acarattere pedagogico-sportivo, intesacome espressione dell’insieme dellecapacità individuali (fisiche e psicologi-che), al cui sviluppo e potenziamentoessa dovrebbe essere rivolta e, per suafinalità intrinseca, è “votata”. Quanto esposto da un’idea delle proble-matiche con le quali è necessario con-frontarsi nel momento in cui si opera condei minori, verso i quali ogni formato-re/Istruttore ha delle grandi responsabi-lità. Ciò significa conoscerle bene econoscere altrettanto bene anche ciò chesi deve trasmettere. È proprio alla luce delle conoscenze ine-renti l'arrampicata (componenti tecnico-coordinative e condizionali) e dei princi-pi che sottostanno al suo insegnamento,in relazione con le esigenze psicologiche,didattiche e formative sia degli adulti chedegli adolescenti, che la CNSASA stacompiendo un considerevole sforzo sulpiano della formazione dei propriIstruttori Nazionali di Arrampicata,creando momenti di approfondimento esussidi didattici. A questo proposito sisegnala la prossima pubblicazione delmanuale “Arrampicata; tecniche e sicu-rezza” e del manuale “Arrampicata: prin-cipi e metodi dell’allenamento”; al temadell’arrampicata nell’età evolutiva è

dedicato un apposito capitolo in cui sisviluppano le tecniche, gli esercizi e igiochi. Inoltre per chi volesse approfon-dire l’argomento riportiamo una serie ditesti ai quali si è attinto per la redazionedel suddetto capitolo.È noto che, già da qualche anno, in alcu-ni istituiti scolastici o presso associazionisportive i bambini svolgono manifesta-zioni e gare di arrampicata. Riteniamoche, da un lato mettere a disposizionedegli altri conoscenze, scambiarsi espe-rienze, mettersi in discussione e dall’altroporsi in competizione siano due faccedella stessa medaglia e vadano educateinsieme; dipende dagli adulti come avvi-cinare i ragazzi a questa attività.L’arrampicata deve e può essere sia unmezzo che un fine dipende molto dalcome viene proposta dai grandi: con igiovani noi trasmettiamo spesso ciò chesiamo e non ciò che diciamo, valori com-presi, e crediamo che anche nell’espe-rienza dell’arrampicata questi non man-chino. Una volta un vecchio istruttoredisse ai propri allievi: “anche i gattiarrampicano, ma noi diamo un senso, deisignificati alla cosa”.

Bibliografia di riferimento

• Capretta B., De Nicu G.P. - “L'arrampicata sportivacome esperienza nella scuola” - DispensaProvveditorato Studi Belluno - 2001

• Carbonaro G., Dal Monte A., Faina. M., Manno R.,Merni F., Nicoletti I., Nicolini i., - L'AllenamentoGiovanile - Divisione Attività Didattica Scuola delloSport C.O.N.I. - Roma -1999

• C.O.N.I. e Istituto Enciclopedia Italiana -L'educazione motoria di base - Roma - 1987

• C.O.N.I. e Istituto Enciclopedia Italiana - CorpoMovimento Prestazione - Parte Generale - Roma -1984

• C.O.N.I. e Istituto Enciclopedia Italiana - CorpoMovimento Prestazione - Avviamento Allo Sport -Roma - 1984

• Cratty B.J., Pigot R.E. - Psicologia dello Sport -Società Stampa Sportiva - Roma - 1988

• Giupponi L. - Totem: i bambini e l'arrampicata -Rivista Alp Wall - n° 204 - Primavera 2002

• Isaacs S. - Aspetti psicologici dello sviluppo delbambino - Ed. Giunti-Barbera - FI - 1972

• Neri S. - I valori educativi dell'arrampicata sportiva.Proposte metodologiche e didattiche - Tesi diplomaI.S.E.F.

• Ranzato G. - Guida tecnica arrampicata sportiva -Ed. CONI - 1999

Maurizio Dalla Libera

(Presidente della CNSASA)

Si ringrazia della collaborazione:Augusto Angriman

Bruno Capretta

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Progressione evoluta da primo di cordata.

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Chiusa la parentesi della secondaguerra mondiale con i suoi orrori e isuoi sconvolgimenti, fra gli alpinisti dipunta era ripresa a livello internazionalequella che potremmo chiamare la corsa

agli Ottomila. L’Himalaya diventaterreno di gioco privilegiato dispedizioni, teatro di tentativi più o meno fortunati e come su un immensoscacchiere vengono abilmente mossele pedine che nel giro di quindici anni(1950-1964) permetteranno di salirele 14 più alte montagne della terra.Tappe miliari di questa “grandeconquista” sono i successi all’Everest e al Nanga Parbat nel 1953 e al K2 nel 1954.Il ricordo di quegli eventi straordinari siproietta nelle commemorazioni diquesti ultimi anni che voglionoriproporre all’attenzione del mondoalpinistico di oggi personaggi e impreseper sottrarli all’erosione del tempo.E il 2007 è l’occasione per portare allaribalta uno scalatore fuori classe,Hermann Buhl, il cui nome èindissolubilmente legato a unamontagna tragica e fatale – il NangaParbat – e che 50 anni fa, dopo avereffettuato la prima ascensione delBroad Peak, scomparve negli abissi dighiaccio del Chogolisa percorrendouna cresta dalla quale sognava dispiccare il volo verso orizzonti ancoraavvolti nel mistero.

Prime imprese sui mondi di casaHermann Buhl, nato a Innsbruck il 21 set-tembre 1924 da padre austriaco e damadre originaria della Val Gardena, nonaveva di certo il fisico per diventare ungrande alpinista: mingherlino, di mediastatura, non eccelleva né per bicipiti pos-senti né per doti particolari di costituzio-ne. Eppure, sin da bambino una voce chenulla può far tacere lo spinge verso queimonti che saranno la passione esclusivadella sua breve vita.

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HermannBuhl

Un mitocheritornadi Irene

Affentranger

Qui sopra: Il drappello di punta dal quale partìl’iniziativa dell’attacco al Nanga Parbat. Da sinistraa destra: Walter Frauenberger, Hans Erti, HermannBuhl.

A sinistra: L’ultima traccia di Buhl sul Chogolisa(f. Kurt Diemberger)

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Ragazzino ancora, è felice quando alladomenica gli riesce di compiere le sueprime scalate sui monti di casa: ilBrandjoch, le Torri del Grubreissen ol’Hafelekar. E dalle montagne resteràammaliato per sempre: né rimproveridomestici, né difficoltà economiche, néimpedimenti di lavoro valgono a tenerlolontano dalla rude scuola di arrampicatacostituita dalle pareti del Wilder Kaiser,del Wetterstein, del Karwendel, deiKalkkögel. All’adolescente avido dinuove vittorie, curioso di sempre più emo-zionanti esperienze, si dischiude il regno aben pochi concesso del sesto grado. E tut-tavia Hermann Buhl, pur ricorrendo là oveè indispensabile ai mezzi di scalata artifi-ciali, mai cade nell’eccesso di chi in un’a-scensione vede unicamente un succedersidi singoli passaggi. L’impeto del suo idea-lismo gli permette di superare, anche pra-ticandolo, il tecnicismo più funambolesco.Per lui, nulla è così incomparabilmentebello come l’arrampicata libera, in cuil’alpinista avanza non costretto da legami,confidando solo in sé stesso. Anzi, nessu-na scalata gli appare banale: “Il vero alpi-nista, anche il più spinto, trova in una faci-le ascensione o in una passeggiata esatta-mente la stessa gioia che gli avviene diprovare quando si agita, lottando, al limi-te delle possibilità umane”. Perché con ilcorpo è anche lo spirito che s’innalza acontemplare il creato, è anche il cuore chesente nei grandi silenzi la presenza di Dio.Poi improvvisa, brutale, scoppia la guerra.

Buhl combatte sul fronte italiano aCassino, è fatto prigioniero: una durapausa di due anni. I monti sembrano con-finati tra i sogni definitivamente infranti.Ma alla fine, come sempre, la vita rico-mincia. A dispetto delle rovine, dellerestrizioni alimentari, dei lutti.

Dolomiti e Alpi occidentali:le pareti dell’affermazioneNuovi campi d’azione si dischiudono allasua bruciante sete dell’ignoto: il “paesemeraviglioso delle Dolomiti”, le muragliedi ghiaccio delle Alpi Occidentali. E ungiorno Buhl scende in Italia e in Francia adar prova di sé sui più terribili fra i colos-si alpini. Tappe di questa prodigiosa atti-vità sono la Marmolada per il pilastro sud,la parete nord dei Grands Charmoz, lasud-ovest della Marmolada (invernale), lanord delle Grandes Jorasses, la prima tra-versata completa delle Aiguilles deChamonix, la nord dell’Eiger. Poi, lanord-est del Badile (6-7 luglio 1952): uncapolavoro di giovanile esuberanza, unacavalcata nel senso anche letterale dellaparola, in cui bicicletta è il destriero che loporta ai piedi dell’agognata parete. La per-correrà in prima solitaria nel tempo recorddi quattro ore e mezzo. Il capitolo in cuiBuhl nella sua autobiografia descrive l'in-credibile exploit si legge come un epicoracconto: l’arrivo in vetta dove è festosa-mente accolto da Carlo Mauri e VittorioRatti, fra i massimi esponenti dell’alpini-smo italiano di allora, il rientro in biciclet-

ta finito con un bagno mattutino nelleacque limacciose dell’Inn in piena… iltutto finanziato con un capitale di cinquefranchi moltiplicato da un entusiasmosenza compromessi.Nel febbraio successivo è la volta della estdel Watzmann, la più alta parete delle AlpiOrientali, nel fantastico scenario di unanotte di plenilunio. Alle quattro del matti-no Hermann Buhl giunge sulla cima: dilassù gli appaiono finalmente concretizza-te, accostabili, visioni di monti diversi, dimonti che toccano il cielo e per i quali sista temprando con rigore assoluto.

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Qui accanto:Hermann Buhlin vetta alBroad Peak conil G4 sullo sfondo(f. K. Diemberger)

Sotto: Pareticalcaree delKarwendel neipressi di Innsbruck(da: Achtausend-Druberund Drunter;NimphemburgerVerlag, Monaco, 1954).

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L’avventura Himalayana:Il Nanga ParbatIl capitolo Himalaya si apre anche per lui:ha dimostrato di avere tutti i titoli peraffrontare avventure al limite dell’umana-mente possibile. Il dott. Herrligkoffer diMonaco lo chiama infatti a far parte dellasua imminente spedizione al Nanga Parbat(8125 m), chiamato “la montagna fataledei tedeschi” che in diverse spedizioni(1932, 1934, 1937, 1938 e 1939) ne tenta-rono invano la conquista. A nulla valsel’olocausto di ben 31 esseri umani fra iquali scalatori di classe come WilloWelzenbach, Willy Merkl, Uli Wieland equasi tutti i componenti della spedizionedel 1937 (sette alpinisti e nove sherpa)sepolti nottetempo nelle loro tende alcampo IV da una valanga di dimensionigigantesche. E proprio su questa monta-gna moloc che sembra pretendere solo vit-time senza nulla offrire in cambio,Hermann Buhl sarà il protagonista diun’impresa leggendaria. Poco prima delcalare della notte arriva sulla cima: unadrammatica scalata solitaria che lo proiet-ta sui confini fra mito e realtà. Talunodefinì Buhl “splendido folle”, un invasatodella montagna, ma è un folle che benconosce il valore dell’esistenza e di quan-to – affetti familiari, vincoli dell’amicizia– la rende preziosa. “Non eravamo deipazzi. – scrive – La nostra volontà eraanche guidata dalla ragione. Ma ci brucia-va il fuoco di un giuramento fatto allamontagna e ai suoi morti: tentare tutto,fino al limite delle nostre forze. Mi sonoassunto io solo il rischio dell’ascensionefinale. È mio diritto proclamarlo”. E ricor-dando Mummery, il grande alpinista

inglese, scomparso sull'inviolato versantedi Diamir del Nanga Parbat, Buhl dichia-ra: “Mummery pose nel 1895 la pietrafondamentale di quella piramide che sichiama storia del Nanga Parbat. È il primoche debbo ragguagliare, cui devo rendereconto. Posso ben guardarlo dritto negliocchi, stare in piedi dinanzi a lui mentregli annuncio: non ho conquistato il NangaParbat servendomi dei mezzi tecnicimoderni, ma assolutamente come egliintendeva, by fair means, con mezzi leali,con le mie sole forze”.E l’uomo dal viso disfatto, dall’andaturabarcollante, che la sera del 4 luglio 1953s’accosta come un risuscitato alla tendinadel campo V, ha vissuto, al di là delladebolezza del corpo, degli incubi e delleallucinazione, la sua giornata di luce esal-tante, ha intravisto quegli stessi lidi ultra-terreni che per altre vie si disvelano nellavisione del mistico, nell’estasi creativa alpoeta. È stata l’ora divina, lo spiragliodischiuso per un attimo sulla soglia del-l’inconoscibile. “Naturalmente continueròa salire verso queste cime superbe! – con-fiderà più tardi all’amico KurtDeimberger – Ma adesso sono certo chequanto ho vissuto sul Nanga Parbat puòsuccedere una volta sola nella vita. Eracome un sogno: il compimento del miodesiderio supremo. È una esperienza chenon rivivrò mai più…”.Ma la montagna ha preteso da lui un dolo-roso tributo: gravi congelamenti ai piediche gli consteranno l’amputazione di duedita. E più che la sofferenza fisica loopprimerà il vedere la sua vittoria accetta-ta quasi con sopportazione, le sue feritetrascurate e quasi passato sotto silenzio il

suo apporto decisivo alla conquista – uncammino ai confini tra la vita e la morte. Icapi hanno premura di raggiungere ilprimo piroscafo in partenza per l’Europa eprecedono con la maggior parte delle vet-tovaglie e delle medicine. Buhl, ormaiincapace di camminare, e i suoi compagnipiù fidi formano la melanconica retro-guardia di una spedizione che giù di granlunga li sopravanza sulla via del ritorno aGilgit. Eppure, a parte il doveroso sfogo –obiettiva constatazione di avvenimentiincresciosi piuttosto che vero e propriorisentimento – l’animo del vincitore soli-

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Qui a sinistra: Il Nanga Parbat dalla Valle diRakhiot. Nel centro, la grande morena aipiedi della quale si trova il campo basedella spedizione del 1934.

Foto sotto: La traccia che sale alla Testa diMoro. Contro il cielo, nel centro della foto, laSella d’Argento.

Qui a destra: Il prato delle fate e il versantenord del Nanga Parbat (8125 m). In primopiano la grande morena e il tratto inferioredel ghiacciaio Rakhiot.

A fronte a destra: Il Nanga Parbat da nord,con i campi ed il percorso di salita del 1953.

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tario ha spaziato su troppo vasti orizzontiper immiserirsi in una sterile polemica,per lasciarsi sopraffare dall’amarezza. Alrientro in Europa e dopo il necessarioperiodo di cure, la carriera alpinistica diHermann Buhl è una parabola ascendentein cui fanno spicco le ascensioni più arri-schiate, compiute con una facilità e intempi che sembrano incredibili. Ennesimaprova di quanto possano in un fisico pernulla eccezionale, una fede cieca, unavolontà ferrea e uno spirito di sacrificiospinti quasi all’esasperazione… Là ovealtri lottarono a denti stretti e vinsero dopoestenuanti bivacchi, il giovane scalatore diInnsbruck passa con piede leggero, sidirebbe sfiorando appena la roccia ecoglie ogni volta il frutto di una nuova vit-toria. Parete est del Grand Capucin in 15ore con un bivacco, parete ovest del Druin un giorno e mezzo, parete suddell’Aiguille du Midi in 7 ore, da solo esenza mezzi artificiali, spigolo nord dellaLalidererspitze in 8 ore…Poi torna ad echeggiare il richiamo deilontani ottomila. Qui Buhl accarezza unprogetto ardito e lo realizza con fermadeterminazione: tentare la conquista di

uno di quei giganti di ghiaccio “in stilealpino”, cioè con un gruppetto di pochifidati amici, senza l’aiuto di portatori d’al-ta quota, spostando le proprie tende dicampo in campo. È una vera rivoluzionenella storia dell’alpinismo himalayano,una rivoluzione che, se guardiamo allasituazione attuale, ha fatto largamentescuola. Purtroppo la spedizione del 1957ad Broad Peak (8047 m) è incrinata findall’inizio dall’equivoco sulla personadesignata a dirigerla: Hermann Buhl chel’ha concepito o Markus Schmuck, nonsolo ottimo alpinista ma anche perfettoorganizzatore che ha curato i contatti conil Club Alpino Austriaco ottenendoneanche l’appoggio finanziario? Si viene aun compromesso: Buhl fungerà da capo-spedizione, ma solo durante l’attività sullamontagna. Nonostante i problemi di unasituazione compromessa in partenza, laspedizione sarà coronata dal successo:tutti e quattro gli alpinisti raggiungono lameta, Hermann Buhl con l’amico KurtDiemberger. Ma poco sotto la cimaHermann è costretto a fermarsi. Il piedemutilato lo fa troppo crudelmente soffrire.E mentre l’amico prosegue verso la meta

ormai prossima, egli affissa i suoi sguardia occidente, su un solitario gigante. IlNanga Parbat. La sua montagna, a cui orasa di dovere questa triste rinuncia.Kurt scende dalla vetta conquistata eall’improvviso, negli ultimi raggi del sole,distingue un puntolino giallo che sale:Hermann Buhl ha ripreso con penoso sfor-zo l’ascesa. Di nuovo insieme, i due com-pagni raggiungono la cima. Luce e silen-zio, tutt’attorno. E la neve della cupolasommitale che s’infiamma di rosso, comeper un supremo sacrificio. La stretta dimano lassù suggella senza bisogno di

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Qui a destra: La tomba diAlfred Drexel poco sopra ilcampo base della spedizioneMerkl del 1934.

(Tutte le foto, salvo ovediversamente indicato, sonotratte dal libro di Paul Bauer“Das Ringen um den NangaParbat 1856-1953).

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parole il compimento di un’amicizia vera-mente al di sopra dei normali rapportiumani. Poi la notte li inghiotte, felici. E laluna li scorta nell’interminabile discesa…Di nuovo altri progetti urgono, sogniappena balenati anelano a divenire realtà.La nuova meta è il Chogolisa (un tempoconosciuto sotto il nome di Bride Peak,7668 m), la cuspide di ghiaccio con laquale nel 1909 si era già cimentato il Ducadegli Abruzzi, raggiungendovi la quota di7493 m – allora un primato d’altezza –con le guide valdostane Giuseppe Petigax,Enrico ed Emilio Brocherel. Ma il rischiodi avventurarsi nella nebbia fittissimasulle enormi cornici sporgenti nel vuotol’aveva indotto a rinunciare. Quasi cin-quant’anni dopo, Hermann Buhl ci ripro-va… 27 giugno 1957. Sulla cresta sud-estdel Chogolisa, il “tetto scintillante delcielo”, due uomini avanzano instancabili.

Non sono che le dieci del mattino. Lavetta, a 400 metri, sembra già protendersisu di loro. Ma ad un tratto una nuvolettasale lungo il versante della montagna,s’ingrossa, li avvolge… Si scatena l’infer-no.Scendono nella tormenta più feroce, acce-cati dai turbini, costeggiando bastioni diinsidiose cornici. Un boato. Un fremito,come di terremoto. E un balcone di neve,sospeso nel vuoto, si stacca dalla cresta.Quando Kurt si volge a cercare l’amico,non scorge dietro di sé che il deserto.Scomparso, precipitato negli abissi dellaparete nord.Vane saranno le ricerche: il corpo diHermann Buhl, il primo alpinista che con-

divise con lo sherpa Gyaltsen Norbu lagloria di aver vinto due ottomila, nonverrà più ritrovato. La montagna lo havoluto indissolubilmente con sé. Ora, fra ighiacci, le sue spoglie riposano incorrutti-bili, in un’atmosfera sempre pura da con-taminazioni umane. Sulla tomba a tuttiignota non vengono deposti fiori né cre-scono le stelle alpine, ma brillano comepiccole lampade votive i fuochi di mille emille cristalli. E al di sopra s’inarca inve-ce di un freddo mausoleo eretto dagliuomini, la volta costruita dall’Arteficedivino…Nel silenzio, non di morte, bensì di affet-tuoso commiato, nella certezza di un lumi-noso rivedersi, echeggiano le parole del-

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Qui accanto: Il K2 dalla vettadel Broad Peak al tramonto.

Foto sotto: Buhl in salita sullacresta sommitale del Broad Peak, a 7800metri, a sinistra la vetta principale(f. K. Diemberger).

Sotto a sinistra: K2 E Broad Peakdalla sella NE del Gasherbrum IV(f. Fosco Maraini).

A destra: Hermann Buhl in salita al BroadPeak e, nella foto in basso,al Campo I (f. K. Diemberger)

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l’amico Kurt: “Ignoro quando potrò torna-re: me ne vado così lontano, ora… Ma nonsei tu dovunque?… Anche sulle vettedella patria, quando i tuoi compagni, i tuoiamici nel loro saluto al monte penserannoa te… Io pure da lassù ti saluterò spesso, econ me saranno tutti i giovani, ai qualifosti sempre di esempio. Non ti dimenti-cano: in essi continua a vivere lo spiritodelle tue gesta…Ma non i giovani soltanto: nessuno tidimenticherà! Finché gli uomini scaleran-no i monti si ricorderanno della tua impre-sa suprema: la solitaria ascensione alNanga Parbat.La montagna splenderà in eterno… e turimani con essa”.

La vita e le imprese eccezionali diHermann Buhl sono rievocate nelle pagi-ne del suo unico appassionato libro chetradussi nel 1960 dandogli il titolo “È buiosul ghiacciaio” perché con la sua scom-parsa fra i ghiacci del Chogolisa si spenseuna luce che sarebbe stata guida e fiacco-la trascinante per gli alpinisti di allora.L’amico giornalista Kurt Maix avevacurato il lavoro redazionale del manoscrit-to, purtroppo andato perduto, interpretan-do con aggiunte e riscritture il personag-gio Buhl in chiave sentimentale ed eroica.Ma il vero Buhl era molto più naturale,più istintivo e moderno, come dimostra ilvolume di Reinhold Messner e HorstHöfler “Hermann Buhl - in alto senza

compromessi” (uscito in traduzione italia-na nel 1998 - Ed. Vivalda) in cui sonopubblicati estratti delle sue annotazioni discalata a parte dei diari delle spedizioni inHimalaya e Karakorum.Fondamentale per una comprensione edesatta valutazione del “fenomeno”Hermann Buhl è però la nuova edizionedel suo libro curata da Kurt Diemberger(2005 - Malik Verlag) che contiene inte-gralmente i diari del Nanga Parbat, delBroad Peak e del Chogolisa, questi ultimitrovati nel 1958 dalla vittoriosa spedizio-ne giapponese nella tendina rimasta sullacresta del Chogolisa a 6700 metri e presiin consegna dal nostro Walter Bonatti chein quei giorni si trovava nella zona comemembro della spedizione italiana alGasherbrum IV.Con encomiabile iniziativa, la Casa editri-ce Corbaccio ha voluto affidarmi la tradu-zione di questa nuova edizione e la pub-blicazione è imminente. Affinché anche inItalia la figura di Hermann Buhl, brillanteprecursore dell’alpinismo moderno, siariproposta all’ammirazione e comemodello a quanti alle montagne dedicanopassione ed aneliti e il mito divenga tra-scinante, coinvolgente realtà.

Irene Affentranger(CAI Torino - DAV München - GISM)

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il 3 giugno 2004… finalmente èarrivato… finalmente unanuova esperienza di montagna.Siamo a Milano Malpensa,

destinazione Islamabad, in Pakistan,dopo uno scalo a Londra.Non sono naturalmente da sola… dalTrentino siamo partiti Maurizio Giordanied io, dalla Lombardia Luca Maspes eGiovanni Pagnoncelli e dalla Valled’Aosta Hervè Barmasse ed EzioMarlier; sono quindi in compagnia di benquattro guide alpine. Non so perché ma lamia sensazione è duplice… da una partemi sento in una “botte di ferro”, dall’al-tra… “l’inadeguata”.Il viaggio, studiato da Maurizio Giordanie dalla sua esperienza, prevede una venti-na di giorni nella valle di Chogolisa, dallaquale si hanno ben poche informazioniessendo quasi inesplorata; poi, con 4-5giorni di trekking, il raggiungimentodella spedizione vicentina ADIQ(Alpinisti Diabetici In Quota) al BroadPeak, alla quale appunto ci siamo appog-giati (permesso cumulativo) per tentare lasalita di questo bell’8000.La mattina del 4 giugno arriviamo adIslamabad (ci sono 3 ore in più rispetto

all’Italia) e lo stesso giorno riusciamo afare il briefing, recandoci al Ministero delTurismo, per entrambe le destinazioni(Chogolisa e Broad Peak); per il briefing,la guida locale, i portatori, il cibo, cisiamo appoggiati ad un’agenzia delposto, la Blu Sky Trek & Tours, di cui faparte anche il famosissimo Little Karim(un nome, una garanzia) che ci farà daguida.Il 5 giugno, visto che il tempo è sereno,riusciamo a volare a Skardu (se il temponon lo permette ti devi sciroppare duegiorni di jeep lungo la KarakorumHighway… esperienza da provare…almeno una volta); tra le viuzze del mer-cato facciamo la spesa per il campo basein compagnia di Karim e del suo contrat-tare (uova, verdura, frutta, farina, zucche-ro…).Il giorno dopo, con due jeep e circa 6 oredi viaggio arriviamo ad Husce, a circa3000 m di altezza; Karim, vivendo inquesto sperduto paesino del Pakistan, ciospita a casa sua per cena. Già ci imma-giniamo il menù (dhal, chapati, riso inbianco) ed invece si festeggia con pasta aifunghi e patate al sugo di pomodoro.Il 7 giugno, zaino in spalla e una ventina

di portatori, iniziamo l’avvicinamento;tre giorni di trekking su morena e ghiac-ciaio prima di giungere a quello chediventerà il nostro campo base… nonmanca proprio nulla… il terreno è verdee pianeggiante, l’acqua del torrente è fre-

K A R A K O R U M

di NancyPaoletto

ÈIl mio primo 8000

BroadPeakA sinistra: Sui pendiiverso il Campo III

Qui sotto: La selletta a7800 metri fra le due cime.

A fronte: Il Broad Peak dal Baltoro.

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sca e pulita (siamo naturalmente gli unicipresenti nella valle)… il tutto circondatoda montagne maestose, picchi che siinnalzano verso il cielo, guglie meravi-gliose e tanta neve… siamo a quota 4300metri.In 12 giorni di permanenza, nonostante iltempo fosse incostante, siamo riusciti afare qualche bella salita, anche su cimeinviolate.Il 22 giugno è tempo di lasciare il grup-po… anche se nevica e piove salutiamo inostri compagni (che si fermeranno finoai primi di luglio) e con 2 portatori riper-corriamo la valle di Chogolisa scendendoa Saicho. Qui troviamo ad aspettarciKarim che ci guiderà, attraverso ilGondogoro Pass (5800 m) fino a CircoConcordia e poi, destinazione finale, ilcampo base del Broad Peak.Per il cattivo tempo dobbiamo fermarci alGondogoro Camp (quota 4600 m) per 5giorni… i primi tre passati praticamentein tenda perché continua a nevicare. Il 27

finalmente è sereno; dobbiamo peròattendere anche il giorno seguente affin-ché venga attrezzato il passo con le cordefisse, altrimenti impossibile per i portato-ri con i loro carichi.E con il bel tempo ci si guarda attorno…e l’occhio clinico di Giordani “scopre”una cimetta proprio sopra il campo. Il 28,in circa 9 ore, siamo i primi a raggiunge-re i 5400 m di questa cima (neve, ghiac-cio ed alcuni tiri di corda sulla rocciosaparete terminale)… che per l’occasione“battezziamo” Nancy Peak… Wow, inPakistan c’è un picco che porta il mionome… anche se praticamente non lo sanessuno, ne sono proprio felice!È il primo di luglio, dopo 3 giorni di avvi-cinamento (Gondogoro Pass, Alicamp eCirco Concordia), che raggiungiamo laspedizione vicentina ADIQ; loro sonoarrivati qualche giorno prima direttamen-te da Skardu, attraverso il ghiacciaio delBaltoro.Il campo base è posto su morena a quota

4900 m circa. Avendo a disposizione solo10 giorni, i nostri tempi sono veramenteristretti.Partiamo dunque il giorno 3, alle 5 delmattino, per salire il più in alto possibile.Dal campo base in circa un’ora attraversi,con un continuo sali scendi, il ghiacciaioche ti porta alla base del canalino (lungocirca 400 m con pendenze che vanno da40° ai 55°). Evito di guardare cosa milascio alle spalle, vista la pendenza ed ilcarico dello zaino… preferisco sempreguardare verso l’alto! Il canalino ècomunque stato attrezzato con le cordefisse; inizialmente non me ne servo… poila “tentazione” e la pendenza aumentanoe così, per proseguire un po’ più veloce-mente ed in sicurezza, attacco il jumar…inutile dire che Maurizio, durante tutta lasalita, non ne toccherà un centimetro difissa, ed anzi mi prenderà in giro com-mentando che è come usare l’ossigeno,come salire in ascensore, che è un com-promesso… so che lo dice per pungolar-

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mi ma lo lascio parlare… la sua prepara-zione è anni luce dalla mia!!!Ecco il campo 1 (5600-5700 m) ma siprosegue; il campo 2 mi appare come unmiraggio (6200 m)… sono proprio stancama fortunatamente sono solo le 14 quindiavremo tutto il tempo per riposare. Esono soddisfatta… come prima tappaessere riuscita, con lo zaino carico, a rag-giungere direttamente il campo 2 senzasosta dal campo 1 è già una buona cosa…se poi fisicamente ti senti bene ed informa (la stanchezza ormai è solo unricordo), è il massimo.Prima notte in quota, temperatura internadella tenda -7°C… soddisfatissima delsacco a pelo che pesa nello zaino masvolge egregiamente il suo dovere!Il giorno seguente purtroppo nevica… siscende al base perché non abbiamo vive-ri a sufficienza per più di altri 2-3 giorni.Le previsioni meteorologiche cheapprendiamo al campo base sono dellepiù disparate ed inaffidabili; il 6 luglio èl’ultimo giorno utile per partire dal base(entro l’11 luglio dobbiamo iniziare ilrientro a Skardu) e quindi, nonostantenevichi copiosamente, si parte alle 5 delmattino. Speriamo che il tempo ci siaamico e che il Broad Peak sostenga lanostra veloce ascesa.Raggiungo il campo 2 quando il mio oro-logio segna le 12,30 (Maurizio ci arrivamezz’ora prima così ha tutto il tempo perriprendermi con la videocamera mentre“arranco” verso la nostra tendina!).Siamo i primi a raggiungere questocampo e, visto che è nevicato parecchionelle ore precedenti, è Maurizio che battela traccia. Il tempo è in miglioramento; ilcielo infatti è quasi libero da nuvole.Cerco di riposare un po’ mentreMaurizio, addetto al fornelletto, scioglieneve per reintegrare i liquidi (in quota cisi disidrata parecchio ed occorre berealmeno 4-5 litri al giorno).Durante la notte il termometro dell’orolo-gio scende a -11 °C; lo tengo appeso intenda sopra la testa così, quando mi sve-glio, con il frontalino mi rendo subitoconto dell’ora e soprattutto della tempe-ratura.Mercoledì 7 la giornata è serenissima…si sale! Dopo colazione, rifacciamo glizaini, smontiamo la tenda, ci carichiamotutto sulle spalle e siamo pronti per rag-giungere il campo 3.Siamo sempre su pendenze ripide… con-trollo la quota sull’orologio… o l’altime-tro non funziona più o sono io che non

faccio dislivello… 20 m, 40 m eppure misembra di averne fatti molti di più. Acirca 7100 m decidiamo di fermarci e farecampo, vista la stanchezza; alcuni com-ponenti di altre spedizioni proseguonocirca 200 m più in alto ma hanno con loroalcuni portatori d’alta quota stracarichidel loro materiale.Cominciamo ad essere orgogliosi di noistessi, vedendo come si muovono gli altrialpinisti su questa montagna…Sono le 13,30 quindi il pomeriggio è tuttoa disposizione per ammirare quanto ci staattorno (e non è poco), bere, mangiare erilassarci. Il K2 con la sua meravigliosalinea stagliata contro il cielo ci “guarda”silenzioso… è proprio una meraviglia…sembra quasi di riuscire a toccarlo quan-to appare vicino a noi!È la prima volta che trascorro una nottecosì in alto… 7100 m… aspetto il mal ditesta che però arriva leggerissimo; un’a-spirina prima di infilarsi nel sacco a pelo,anche per fluidificare il sangue, e la nottetrascorre ottimamente.È l’8 luglio; sentiamo la sveglia dell’oro-logio… quindi dovrebbero essere le 4…temperatura interno -16 °C… fuori èsereno!Dopo colazione siamo pronti (con la tutad’alta quota ed il passamontagna mi sentoun palombaro) ed è verso le 5 che inizia-mo la nostra ascesa. Ci accorgiamo benpresto che prima di riuscire a vedere ilsole, di tempo ne passerà… stiamo infat-ti procedendo sul versante nord-ovestquindi finché non saremo in forcella nonsentiremo il calore dei suoi raggi. Il respi-ro è più affannoso ma la mia mente è“distratta” dal freddo, che provo ai piedie alle mani, e da un continuo “check up”

del mio corpo… sì mi sto attentamenteanalizzando per capire come mi sento,cosa sto provando, se la mia mente è luci-da… in effetti sto bene… per essere aqueste quote, “tralasciando” il freddo e lafatica, potrei dire di stare ottimamente!Davanti a noi, in distanza, ci sono duegruppi, una decina di persone, ed i primi,alternandosi, battono la traccia… e così,lentamente, si procede. I respiri, tra unpasso e l’altro, per non continuare a fer-marmi, sono arrivati a quattro; riesco cosìa mantenere un ritmo tra i dieci, minimoche mi sono imposta, ed i venti passi… ilproblema maggiormente sentito restaquello di raggiungere il più in fretta pos-sibile la forcella… lì c’è il sole!Credo siano le 12,30 che, superato untratto verticale attrezzato, giungiamo alColle… e alzando lo sguardo verso destraprendo un colpo! Siamo a circa 7800 m,manca “solo” la cresta finale (anche setecnicamente rappresenta la parte più dif-ficile che si incontra nella parte alta; cisono infatti alcuni tratti di roccia di III);ma non è questo che mi spaventa bensì iltempo, che sta velocemente cambiando,ed il vento che sulla cresta non fa certo unbell’effetto.Dubbi, incertezze, paure… Decido moltopoco convinta di non proseguire e dico aMaurizio che non me la sento. Lui cercadi farmi coraggio, mi dice che prosegui-remo legati, che non è pericoloso… madal Colle non è ancora partito nessuno.Quando 5 persone davanti a noi si avvia-no per proseguire in cresta, i dubbi si atte-nuano ma poi è la paura che ha il soprav-vento e con la morte nel cuore dico aMaurizio di salire da solo e che lo atten-derò in forcella.

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Maurizio parte, anche perché i tempistringono… ed io mi ritrovo da sola conla mente che “macina”… andare? Nonandare? Era meglio proseguire!… no,meglio aspettare… quanto dovrò aspetta-re? e se il tempo peggiora ancora?Arriva la soluzione al mio conflitto inte-riore; vedo infatti le due persone che pro-cedevano molto lentamente, anzi troppolentamente dietro di noi, giungere alColle e proseguire proprio verso la cre-sta… “ma se vanno loro, posso farcelaanch’io!!” Cerco Maurizio con lo sguar-do; anche lui si è appena voltato verso dime e con un semplice gesto della manomi invita a raggiungerlo… non ho piùdubbi e con la picozza ed il cordino perlegarmi a lui, parto per il tratto finale.Il vento soffia molto forte ma sono trop-

po concentrata per sentirlo… superoabbastanza facilmente i tratti su roccia esulla cima nord scoppio a piangere per-ché non riesco ancora a crederci… sì,dopo tanta fatica, alle 15,30, siamo a8030 m sulla cima rocciosa del BroadPeak.Purtroppo non possiamo goderci il pano-rama, né proseguire lungo la cresta chepermetterebbe di raggiungere la cimasud, 17 metri più alta; il tempo sta peg-giorando visibilmente ed attorno non sivede quasi nulla. In fretta scattiamo 3foto e facciamo qualche ripresa… è ora discendere!In 2 ore siamo nuovamente al Colle everso le 20, al campo 3… sopra e sottouna neve e una nebbia irreale; disidratatie stanchi ci infiliamo velocemente nei

sacchi a pelo.La notte non passa più; si è alzato unvento patagonico e nevica abbondante-mente… c’è da sperare che la tenda resi-sta; verso le 8 del mattino successivoEolo si è stancato, almeno temporanea-mente, di soffiare e in un momento direlativa calma, decidiamo di scendere.Disfiamo il campo e lentamente, perchésiamo avvolti nella nebbia, ci avviamoverso il campo 2. Anche se continua anevicare, man mano che ci si abbassa lavisibilità migliora.Dopo circa 5 ore arriviamo in vista delcampo base; Little Karim ci accoglie conentusiasmo congratulandosi… Neppurelui credeva possibile; un ottomila concosì poco tempo a disposizione e duezaini di materiale… Siamo stanchi ma cel’abbiamo fatta e già in tenda mensa,dopo un piatto di pasta al pomodoro, lafatica è un ricordo, resta solo la soddisfa-zione e nella mente le parole scritte daKurt Diemberger nel 1984 sul suo diario“Un 8000 è tuo solo quando ne sei sceso,prima sei tu che gli appartieni”.

Le immagini raccolte durante questa avventuraconcludono un DVD dal titolo “Viaggio verso gli 8000metri”, video disponibile per raccontare dal vivo ilBroad Peak ma anche ciò che l’ha preceduto: lo HieloContinental in Patagonia, il Biafo – Hispar in Pakistan,la punta Nelion sul Kenia, l’Island Peak in Nepal,l’Aconcagua in Argentina.Per contatti 347/4144500 (Nancy).

Nancy Paoletto

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A sinistra: Sui pendiiverso la sellettaa 7800 metri trala cima medianaa sinistra ela cima principale a destra.

Qui accanto e sotto:Panoramicasul Baltoro e Nancysulla cresta pressola vetta.

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Qui a destra: Sulla via Couzysullo strapiombo Norddella Cima Ovest di Lavaredo.

Sotto: Sulla via degli Spagnolialla Cima grande.

…evoluzione dell’alpinismo?«Può sentirsi sicuro lo spaventoso stra-piombo Nord della Cima Ovest che ungiorno, con una caterva di mezzi mecca-nici, non si penserà e arriverà a superar-lo?» Era il 1956. Berti si poneva questadomanda scrivendo l’introduzione allasua guida Dolomiti Orientali, mentre sisorpassavano «con gioco di chiodi, cordee carrucole, tetti di 6, 7 e più metri…».Aveva ragione, lo strapiombo Nord, anon sentirsi sicuro. Infatti in tempi piùrecenti Alex Huber ci ha tracciatoBellavista, una via estrema «nel posto piùimpressionante delle Dolomiti. Tanto dicappello…» diceva Bubu, dopo averneeffettuato la ripetizione. Tempi in cui imezzi meccanici non sono più gli stru-menti per l’arrampicata artificiale, bensìsono al servizio della sicurezza e di quelfine ultimo che è il superamento dell’iti-nerario in arrampicata libera.Alpinismo?Forse è uno dei figli o dei nipoti dell’al-pinismo classico. Una delle sue evoluzio-ni. Lo stesso Berti scriveva che «è l’ar-rampicamento sportivo, l’acrobatismo,quello che è destinato ad ulteriore pro-gresso, non è l’alpinismo». È difficileoggi individuare i confini di questa oquella tendenza; è vero che talvolta la

Su “Le Nez” alla Nord della PuntaCroz delle Grandes Jorasses.

di Fabio Dandri

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cima passa in secondo piano, però riman-gono gli avvicinamenti, l’ambiente seve-ro, il freddo, la roccia marcia, ... La tec-nica è quella delle falesie ma stiamoancora parlando di grandi pareti, di tirifriabili, quaranta-cinquanta metri allavolta su chiodi precari e blocchi a inca-stro.Probabilmente mai come in questi tempi,le persone sono state libere di scegliersile proprie regole, di costruirsi o inventar-si il proprio “alpinismo” attingendo fra letante discipline e attività e variabili.Storiche, alpinistiche, sportive. Una diqueste persone è il triestino Mauro Bole,o - più semplicemente - Bubu

L’alpinismo delle evoluzioniEvoluzioni nell’aria, piroette, passi didanza a testa in giù. Magari è cominciatotutto proprio su quello spaventoso stra-piombo Nord con la ripetizione in liberadella via Couzy. A Bubu sono scattate unagrande passione per le Tre Cime ed una,ancora più grande, per le big wall.Ed è così che è arrivata Le Nez, la vianuova sulla Nord delle Grandes Jorasses,«la parete più himalayana delle Alpi, unaparete veramente grande, sia per ledimensioni sia perché ha in sé tanta storiadell’alpinismo» ha detto Mauro. Gli hochiesto di spiegarmi cosa intende quando

definisce sportivo il suo itinerario.«Io e Mario Cortese, il compagno di que-st’avventura, con la parola "sportivo"vogliamo indicare un approccio diversifi-cato. Certo, l’avvicinamento è lungo eper arrivare all’attacco si sale coi rampo-ni e in cordata tra i crepacci, ma poi siarrampica in scarpette e magnesio, lasalita è tutta in libera ed è sicura perché èesterna alle scariche di sassi, le sostesono sempre buone, sono utilizzabili perle corde doppie e in qualsiasi momento sipuò decidere di tornare a casa!» Gli fac-cio presente che non mi sembrano argo-menti sufficienti, che le protezioni inter-medie sono quasi tutte nuts e friends, chele doppie sono 38, che quando mi ci haportato a far le foto in settembre eravamoin mezzo al freddo, alla neve e al vetrato,e chiudiamo con una grande risata.Le vie di Bubu prendono forma in modolento, qualche lunghezza al giorno, tal-volta una lunghezza sola. Gli spit perrinforzare le soste e metri e metri di cordafissa per agevolare la discesa e la risalita(e, alla fine, per massacrare il fotografo).La ripetizione della via degli Spagnolialla Cima Grande di Lavaredo avevarichiesto lo stesso tempo della prima sca-lata di Gallego e compagni. Per allestireil "cantiere" e poi, su e giù, a provare ipassaggi fino a percorrere l’intera via inarrampicata libera. Le Nez invece, come

già Women and Chalk sullo ShiptonSpire, è nata a vista. Con l’unica eccezio-ne del 26° tiro, proprio sotto il secondonevaio; la neve sciolta nel pomeriggiostava bagnando gli appigli e Bubu ha pre-ferito scendere e aspettare la mattinaseguente per passare in libera. «Abbiamousato delle corde fisse in parete e di que-sto non ci vergognamo! Io rispetto moltolo stile alpino, solo che una via così tec-nicamente difficile e con le condizioniatmosferiche sempre proibitive io nonsarei stato in grado di salirla senza unmetro di corda fissa. Questi sono i mieilimiti, perché non riuscirei a tirare unchiodo per saltare un passo difficile, acosto di stare dei giorni interi a provare eriprovare».

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evoluzioni…

In questa pagina:Due passaggisu “Le Nez”alla parete Norddella Punta Crozdelle Grandes Jorasses.

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Mauro ammette che il suo alpinismo nonsegue un percorso definito e programma-to. Le sue salite nascono all’ultimomomento cavalcando l’entusiasmo delperiodo. Per un paio d’anni si è dedicatoa salire in libera le vecchie vie in artifi-ciale e poi, forse stufo, ha provato adaprire «qualcosa» di nuovo; quel suoqualcosa ha un filo conduttore, e sono legrandi pareti verticali, su cui disegnareuna linea logica, il più possibile a gocciad’acqua. Tra queste linee c’è anche quel-la dedicata a Patrick Berhault sulla TorreTrieste. «Ho avuto il piacere di conoscer-lo solo qualche anno fa, in ascensore. Per

un paio di minuti mi sono trovato di fron-te alla persona che aveva condizionatogran parte della mia vita di arrampicato-re. Sono minuti in cui ti tremano legambe e non dimentichi mai più!»Poi c’è la già citata Women and Chalk, inPakistan. E c’è Le Nez. Mille e 300 metripercorsi tra luglio e settembre del 2005per raggiungere, con difficoltà fino al 7c,la Punta Croz delle Grandes Jorasses.Dieci giorni effettivi di arrampicata alter-nati a ritirate e discese, risalite, viaggi traTrieste, Montenvers e la truna scavataalla base della parete.Nell’ultimo viaggio c’ero anch’io.Programma: partenza da Trieste per pren-dere, di sera, il trenino da Chamonix esalire al rifugio Leschaux. L’indomaniraggiungere la parete e salirne la primametà, fino al portaledge, e poi effettuarele riprese.Purtroppo, non c’è volta che si rispettinoi programmi.Perso il trenino, siamo dovuti partire lamattina dopo. E ci siamo sorbiti la salitatutta in un colpo. Con parte delle cordefisse sepolte nel ghiaccio, siamo arrivatial portaledge dopo mezzanotte.Per me era già abbastanza, avrei potutodormire per un paio di giorni. Inveceabbiamo dormito solo poche ore, ammas-sati in tre dentro al portaledge. Quellatendina appesa sulla parete ghiacciatadelle Jorasses aveva posto a malapena perdue perciò, invece di riposare, passavo iltempo nella ricerca di posizioni piùcomode. Con l’inquietante consapevolez-

za che mancavano ancora 350 metri dicorda per raggiungere il ventiseiesimotiro, quello con i passaggi più difficili.Grande scomodità, a cui va aggiunto ilsarcasmo del soprannome HotelLeschaux rifilato al bivacco dai duearrampicatori, ma grande anche l’emo-zione. Per un po’ mi ero seduto sul bordodel portaledge coi piedi penzolanti nell’a-ria, cinquecento metri di aria. Nel cuoredi uno dei monti più severi e suggestivi

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Qui accanto:La parete Norddelle GrandesJorasses.

Foto sotto:Alla sommitàdel pendìo diattacco a “Le Nez”.

In basso:Sulla via Berhaultalla TorreTrieste

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delle Alpi, di uno dei templi dell’alpini-smo, osservavo incantato i tenui riflessid’argento sul ghiacciaio e quel cielo cosìdiverso, così pieno di stelle. Ascoltavocon attenzione quel silenzio profondo. Lavoce delle grandi montagne.Solo qualche scarica di roccia e ghiaccio,per fortuna sufficientemente lontana, midistraeva di tanto in tanto dalla contem-plazione. Il sibilo delle pietre nel vuotoriesce sempre a scuotermi e allarmarmi,da quando presi in pieno viso un sassodello Shipton Spire. Anche quella voltaero nel portaledge. Il 12 agosto 2001,appena in tempo perché potessi trascorre-re il mio compleanno - il 13 - tutto il gior-no nel sacco a pelo, dolorante e a digiu-no.I disagi chiaramente non riguardavanosolo il dormire. «Il bagno è dall’altraparte... dovresti fare due tacche nellaneve dura per le punte dei piedi e appog-giarti col gomito al portaledge... per sicu-rezza tieni un cordino sotto le ascelle...».«Ah sì...» ha continuato Bubu «gira latesta verso valle e sorridi, i gestori delrifugio ci binocolano continuamente...».La seconda notte non è stata miglioredella prima. Ma era necessaria, perchéoltre a scattar le foto dovevamo togliere imateriali impiegati per riportarli a casa.Abbiamo ridisceso il ghiacciaio colprimo buio, barcollando come ubriachisotto il peso degli enormi zaini, a zig zagtra i crepacci. Verso le 10 della sera, stan-camente, stavo ancora risalendo quel cen-tinaio di metri di scalette che porta al

rifugio Leschaux e pensavo intimoritoall’ultima fatica che mi stava aspettandolà sopra: la festa per la chiusura della sta-gione. Il ritorno al Montenvers mi preoc-cupava di meno, avrei avuto tutta ladomenica a disposizione.Bubu era arrivato in cima alla Punta Crozesattamente tre settimane prima, alle23.30 del 4 settembre. Il giorno dopo miaveva prontamente telefonato, con l’entu-siasmo per la scalata conclusa mal celatodietro una certa timidezza, dovuta al fattoche - come sempre - nell’occasione pre-cedente gli avevo giurato che quella eral’ultima, che non ci sarei più andato a farfatica sulle sue corde fisse.Sarà stata la presenza di Mario, amicod’infanzia, ma ci sono cascato di nuovo.E anche stavolta è stato peggio di quellaprima.Le condizioni e i dislivelli delle Jorassessono stati peggio della lunga tirata su perla parete Sud della Torre Trieste. Che erastata peggio delle calate dal triangolo dialluminio traballante fissato in modo dasporgere dalla via End of Silence alFeuerhorn. Che era peggio del freddod’ottobre su quell’unica corda statica diduecento metri penzolante dal tetto dellavia Minuzzo alla Grande di Lavaredo.Che era peggio dei volteggi e dellemanovre sui tiri obliqui della Couzy, inmezzo al grande vuoto dello spaventosostrapiombo Nord alla Cima Ovest.

Fabio Dandri(Sezione XXX Ottobre - Trieste)

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Qui accanto:Sulle placcheverticali dellavia dedicata aPatrik Berhaultsulla Sud della TorreTrieste.

Qui sotto: Sullavia Minuzzoalla Nord della CimaGrande di Lavaredo.

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Proseguendo nellarassegna sui “Rifugi storicidel CAI” ci portiamo questavolta sulla fascia alpinaall’estremo Nord dellanostra Penisola a considerareuna struttura che èposizionata al confine conl’Austria, tale da dividerecon questo territorioaddirittura i muri perimetralidella struttura stessa : ilRifugio “Venna alla Gerla(Landshuter Hütte)” oggi“Rifugio Europa”.Il Rifugio sorge proprio acavallo della catenaprincipale alpina, in modotale che le acque piovaneche scendono da una partedei pluviali del suo tettohanno come destinazione,attraverso il Rio Vizze(scorrenti nell’omonimavalle), i fiumi Isarco prima eL’Adige poi, per finire nelMare Adriatico; le altreacque, che scendono dallaparte opposta dello stessotetto, si raccolgono neltorrente in territorioaustriaco del Vennbach equindi confluiscono nelfiume Inn che le versa a suavolta nel grande Danubio.Aldilà di questadiscriminante orografica efisica imprescindibile, lostorico annota che èintervenuta la politica; con il“trattato di St. Germain” del10 settembre del 1919,firmato al termine della

prima guerra mondiale, sonostati tracciati i confini conl’indifferenzaproverbialmente salomonicadi chi non teneva conto dellerealtà locali, per cui dueterzi del rifugio si vennero atrovare in territorio italianoed un terzo in territorioaustriaco. Alla fine deglianni ottanta un sodaliziocomune tra le Sezioni DAVdi Landshut, città tedescadella Baviera, e CAI AltoAdige di Vipiteno, inprovincia di Bolzano, posemano alla ricostruzione della struttura danneggiata dai dueconflitti bellici e dalleingiurie del tempo. Quella linea di confine untempo perentoria, oggi, conl’appartenenza dei due statiall’Unione Europea non hapiù un senso né didiscriminante territoriale, nédi divisione storica. Perqueste ragioni soprattutto lanuova struttura è statadenominata “RifugioEuropa”.

Come e quandonasce il Rifugio Correva l’anno 1875, siamoai primordi dell’Alpinismo,epoca mitica in cui siformavano le Sezioni piùimportanti dei Club AlpiniEuropei. In quell’anno sicostituisce anche la SezioneAlpenverein di Landshut,

l’antica città ducale dellabassa Baviera. Fu nel 1899 che la secondagenerazione di queglialpinisti eresse la primastruttura del rifugioLandshuter Hütte che sorsecosì a cavallo della linea dispartiacque, come descrittonella premessa, e che a queltempo non costituiva linea diconfine in quanto la predettadispluviale era compresaentro i confini dell’imperoasburgico.

Le vicissitudini del Rifugio Alla fine della prima GuerraMondiale il rifugio dellacittà bavarese, come si èdetto nella premessa, fudiviso in due da una lineaimmaginaria tracciata daltrattato sulla cartatopografica con effettoirrevocabile, per cui i dueterzi della struttura sivennero a trovare interritorio italiano. Nella bella pubblicazioneedita dalla Sezione CAIA.A. di Vipiteno inoccasione del cinquantenariodella Sezione, curata daAlberto Perini, si fa cenno amolti particolari inediti esignificativi che hannocaratterizzato la storia, omeglio le due storie separatedel Rifugio Venna alla Gerla– Landshuter Hütte. Da una relazione del 1924 si

hanno notizie sullacostruzione che così sidefinisce: “ in muratura a 2piani con sotterraneo, inbuone condizioni,attualmente per una parte interritorio austriaco. La parteaustriaca è adibita a scopoturistico, la parte italiana èoccupata dalla R.G. diFinanza”. Nella pubblicazionesopracitata si fa un’analisiprofonda e dettagliata degliavvenimenti, a voltecontraddittori, a volteincalzanti, a volte dilatori.Eun’alternanza di progettifatti e disfatti di cui sarebbeassai lungo e forsemonotono parlare, per cuioccorre uno sforzo di sintesiper rendere edotto il lettore.Durante la seconda guerramondiale ci furonovandalismi e saccheggi. Solonel 1957 la Sezione DAV diLandshut torna a riaprire laparte in territorio austriacoper breve periodo, perchégià nel 1966 è costretta arichiudere il rifugio:intervento imposto damisure di sicurezza causatedagli attentati dinamitardi adopera dell’irredentismotirolese. La struttura tornerà inesercizio solo nel 1972. Conil 1979 inizia una campagnadi stampa dapprima inGermania e successivamentein Austria e in Italia per far

I R I F U G I S T O R I C I D E L C A I

Testo e fotodi PiergiorgioRepetto

Il Rifugio “Vennaalla Gerla”

oggi “Rifugio Europa" nelle Alpi Noriche, Gruppo Breonie – Aurine

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conoscere le tristivicissitudini di questorifugio e richiamarel’attenzione dell’opinionepubblica, con articoli escritti e un filmato televisivodella televisione bavarese,sino al 1983.A quel periodorisalgono infatti i primicontatti tra il CAI diVipiteno e il DAV diLandshut che avevano comeprincipale problema darisolvere la complicataquestione della proprietà delterreno e dell’immobile e iprogetti di risanamento dellastruttura.Da parte sua il Comune diPrati di Vizze concede alCAI di Vipiteno il diritto disuperficie per 29 anni. Efinalmente, a favorireulteriormente le cose giungela dichiarazione di pienacollaborazione da parte dellaDAV di Landshut.

L’impegno comunedi DAV e CAI A.A.nella ricostruzione Il rinnovato entusiasmosoprattutto degli Italiani e ladeterminazione piùcontrollata dei Tedeschifurono l’impasto checonsentì agli uni e agli altridi affrontare le ultimedifficoltà prima di procedereai primi lavori cheiniziarono nel 1984,proseguendo poi neisuccessivi anni 1985 e 1986.Da questo momento glisforzi delle due associazionialpinistiche procedono allagrande. I lavori di rifinitura,compreso l’arredamento,proseguono a pieno ritmonel 1987; nel 1988 si ponemano anche al risanamentodella parte di rifugio interritorio austriaco. Il 2 e 3settembre 1989 si svolgono ifesteggiamenti ufficiali, alla

presenza di numerosissimeAutorità dei tre Paesi (Italia,Austria e Germania), conl’intitolazione della strutturacome “Rifugio Europa”.L’avvenimento ebbe unagrande risonanza a livelloeuropeo. La Rivista Aironein riconoscimento del grandelavoro svolto nello spirito di amicizia e solidarietàconsegnò alle dueassociazioni il prestigiosopremio “ Airone Europa1989”.

Il Rifugio Europaoggi Il Rifugio sorge sul crinaledella grande catena di Tux(compresa nelle Alpi delloZillertal) che da Flaines,presso Vipiteno, si sviluppacon andamentosemicircolare fino al Passodi Vizze, con direzione SO-NE . E’ raggiungibile con comodisentieri: da Brennersee in 4ore e mezza; dal Passo diVizze (sentiero n° 3) in 3ore; da Piazza (sentiero n°3A) in 3 ore e mezza. Per tutti i percorsi: grado didifficoltà: E. Il Rifugio èdominato da Ovest dallaPunta del Lago Romito /Wildseespitze (m 2733).Si riassume qui di seguito inuna semplice scheda lenotizie più significative sullastruttura:Denominazione: RifugioVenna alla Gerla/Europa(Landshuter Hütte)Altitudine: m 2690Località: Val di Vizze eVennatalComune: Val di Vizze (BZ)Posti letto: 100Periodo di apertura: 15Giugno – 30 SettembreTelefono: 0472/646076

Percorsi alpinistici edescursionisticiAscensioni principali:La Gerla – Punta del LagoRomito

Traversate: al RifugioGenziana per la CimaVallaccia – al Rifugio Passodi Vizze

Conclusioni La volontà di creare ilRifugio Europa, alimentatada uno spirito montanaroautentico, intriso di solidisentimenti europei, fu ungrande evento che espresselo spirito più alto difraternità tra i popoli. Essafu un’intesa sorprendente estupenda, un simbolo diamicizia e collaborazione fragente di lingua e costumidiversi.Un caldo invito ai nostrilettori: salire lassù perrespirare l’aria della nuovaEuropa!E alla fine doverosi iringraziamenti a quantihanno collaborato: a Vittorio Pacati, Consigliere centraledel CAI, a Giulio Todesco,Presidente del CAI A.A.della Sezione di Vipiteno e atutti coloro che con gli scrittie atti concreti hannocontribuito a far conoscerela stupenda esperienza delRifugio Europa e hannoaiutato nella ricerca dellefonti storiche e per tuttol’intreccio degliavvenimenti.

Piergiorgio Repetto

BibliografiaManfrini, I rifugi dell’AltoAdige di W. Dondio, ed.1988.Panorama Edizioni,Guida ai Monti dell’AltoAdige di A. Gadler, ed.1980CAI/VIPITENO, I 50 annidella Sezione di A. Perini,ed. 1999Guida dei rifugi Alto Adigedi H. Konmarer, Ed. 1992CAI/VIPITENO – DAVLandshut, Rifugio EuropaVenna alla Gerla - DieLandshuter Europa Hütte, ed1989.

Qui sopra: Il Rifugio Europa prima dei lavori di ristrutturazione,visibili nella foto a fronte.

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a Pezorìes” vengonochiamate dagli ampezza-ni quelle belle cime cheocchieggiano sulla

Strada d'Alemagna chiudendo alla vistala recondita Val Granda.Forse il toponimo deriva proprio da“pezuò”, dall'abete rosso che cresce sicu-ro e rigoglioso sui ripidi pendii.Qui - durante il primo conflitto mondiale- il Regio esercito italiano vi stabilì unaposizione avanzata ed un valido osserva-torio della artiglieria supportato da ungrosso villaggio di baracche.Una zona delle nostre montagne che sisvela soltanto a chi ne vuole conoscereveramente il cuore e che porta le traccedegli inizi della guerra, di un lontano 26maggio quando una grossa pattuglia di 16soldati del 55° Reggimento di Fanteriadiscese dal Passo Tre Croci in ValPadeon.A Ospitale, i soldati austriaci sbarraronoloro il passo e i cannoni del Son Pousesfecero sentire la loro voce riversandoparole di morte sull'abitato di Cadin.Dalle altissime posizioni, ben celate tra lerocce, tutti osservavano una Cortina stra-namente silenziosa e triste.I negozi chiusi. Le campane mute. Lestrade deserte. Era sicuramente la calmache precede la tempesta.

Tutti erano in attesa. Gli Austriaci didifendersi. I soldati ampezzani di proteg-gere le loro case.E forse tutti avrebbero voluto che quell'i-stante durasse per sempre, valicasse que-gli eventi - inutili e crudeli - che avrebbe-ro portato fratelli ad osteggiarsi e ad ucci-dersi.Tutti laggiù, in quella valle splendidaprotetta da angeli di pietra, avevano qual-cosa o qualcuno di caro.A questo penso mentre, quasi come in unsogno, vedo appoggiato alle finestre dellegrandi caverne un cappello alpino. Nell'ombra soffusa il contorno dellapenna nera.Nel silenzio sacro del luogo, le voci ovat-tate di chi è ad aspettarci.

22 Luglio 2006Ancora una volta il miracolo si è ripetuto,un miracolo popolare fatto di piccolecose e di gesti semplici, della voglia distare insieme e di ricordare.E' la terza volta che viviamo questa espe-rienza: un miracolo di intenti ancora unavolta voluto dalla Sezione del ClubAlpino Italiano di Sacile e dallaAssociazione Nazionale Alpini di Tarzocon la preziosa collaborazione delComando Truppe Alpine rappresentatodal Maresciallo Capo Paolo Negri e da un

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D O L O M I T I A M P E Z Z A N E

“R

di AntonellaFornari

Una notte ai piedi dellaTerza Pala de Ra Pezorìes:

c'erano i Fanti… e anchegli Alpini. 22 e 23 luglio 2006: la singolare esperienza di “due giorni in trincea”

sul Pomagagnon

Qui sopra: Postazioni italiane al Col dei Stònbe.

In alto: Incendio sulle Tofane dall'ingresso dellacaverna dei cannoni.

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piccolo drappello di “Alpini in armi” del6° Reggimento, Battaglione “Bassano”.In silenzio, in abiti civili, ma presente conil suo cuore fortemente alpino nonostantela giovane età, anche il Ten. EdoardoEger.Mi guardo attorno.La fatica della salita ai 2200 metri dellaforcella si è appena conclusa.Poso lo zaino: la ripercorro passo dopopasso fin dal momento in cui ci siamolasciati alle spalle la piccola chiesa di SanNicolò protettore dei viandanti eretta nel1226 in località “Ospitale”.Ore 9,30. Siamo una ventina oltre il pic-colo gruppo dei militari. Per ora, soloqualche saluto formale e qualche sorrisoforse dettato dall'incontro.Breve, solo pochi passi, la discesa verso

stupito.Lo zaino è pesante.Guardo il nostro profilo disegnato dairaggi di un pallido sole sul fondo disse-stato della mulattiera. Penso alla “dote” dei nostri Alpini fattaappunto di carichi giganteschi, gavettemastodontiche, scatoloni di cartucce,viveri, coperte…Il sentiero, ora, diventa sempre più ripido.A volte pare quasi di non potere respirare,ma il rosa della muraglie che si adergonoinvitanti oltre la vegetazione, la sottilearia piena di promesse che si insinuasilenziosa sotto la pelle e i vestiti, induco-no a procedere.Ogni passo è scoperta.Ogni passo meraviglia: ora, come allo-ra…

E quando la fatica sembra prendere ilsopravvento, il paesaggio cambia a cattu-rare il cuore e tutto precipita in una bol-gia di massi di una ciclopica rovina cao-ticamente dispersa ai piedi della Bujèlade Padeon che emerge isolata, titanicatorre a guardia di un mondo dal fascinoapocalittico e ancestrale.A sfidare il mondo delle rocce, laricialtissimi e perfetti e pini cembri contortie sofferti.Ghiaie rosa e balze di verde si alternano asprazzi di cielo.Maurizio (Accompagnatore titolato delCAI di Sacile), compare al ciglio dellaincredibile prateria che ci sovrasta: èsempre allegro, sempre disponibile, sem-pre sorridente e disposto alla battuta.Avrebbe potuto essere veramente unbuon ALPINO!…E ora, lui in testa, ci inoltriamo fra impo-nenti resti di strade e di costruzioni.Stiamo in fila indiana per calpestare ilminor suolo possibile: sembra sacrilegiosconvolgere con il nostro passaggio quelverde e quei fiori!Ci lasciamo così alle spalle sopravvissutimuri di una bella casermetta.Vecchie tracce portano alle caverne deicannoni da cui allegre voci ci fanno pre-gustare l'abbraccio con Leonardo e i suoiragazzi (sono “i ragazzi” dellaAssociazione Nazionale Alpini di Tarzo,saliti lassù già di buon mattino a prepara-re tutto il necessario per il nostro arrivo). Ognuno di noi riconosce l'amico dell'an-no precedente. Ognuno di noi un saluto.Ognuno di noi una stretta di mano.Come taciti incontri d'altri tempi, le“penne nere” di oggi ricalcano ammutoli-te i ricordi.Hanno un chiaro accento del sud, questiAlpini di “oggi”!Ma poco importa. E se una volta si dice-va: “Alpini si nasce”, oggi si dice:“Alpini si diventa!”… E forse, tutto ciò serve per riaccendere lamemoria di storie solo all'apparenzasepolte…Rivedo lo zaino…Rivedo il cappello alpino…Sono qui, ora, a rivivere la realtà dellaavventura.L'aria è festosa e stelle alpine cresconorigogliose fra cuscini rosa di potentilla.Spalancano occhi curiosi su ciò che oggiaccade e che, forse, da tanto tempo nonaccadeva più.Una pioggia leggera, lacrime di cielo, ci

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il tracciato dell'ex ferrovia, quella lineaferroviaria che già dal 1918 il GenioMilitare Austriaco aveva deciso di portarea termine nella tratta Dobbiaco/Cortina.La guerra lo imponeva.Il silenzio di un mattino d'estate ancoragiovane diventa così carico di ricordimentre insieme ai miei compagni di viag-gio raggiungo le parole di cristallo delRio Felizon per poi imboccare il primoripido tratto della Val Granda.Io racconto storie. L'atmosfera è soffusa evelata, stillante lacrime di pioggia e dirugiada.Il bosco, a tratti, si apre per consegnareallo sguardo squarci di emozioni che spa-lancano le porte della Val di Fánes sbar-rata dai colossi del Taë e del MonteVallon Bianco.Profumo di muschio mentre solitariebetulle cantano dolci canzoni ad un cielo

Qui sopra: Postazioneblindata permitragliatrici sulla cimadel Col Tondo dei Canópimentre dietro incombela potente muraglia dellaCroda Rossa d'Ampezzo.

Qui accanto: Le Pale dera Pezorìes con in primopiano la Terza Pala aipiedi della quale èvisibile il rudere dellacasermetta Italiana.

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fa gustare l'ingresso alla ariosa cavernadove tutto sembra essere tornato indietrodi 90 anni…Gli occhi si abituano alla luce soffusa chepenetra come dardo dorato e intuisco glioggetti e le forme che prima apparivanosenza senso.La mente ricostruisce i ricordi e cosìimmagino l'ingresso ai ricoveri con alli-neati davanti gli stivaloni di feltro con legrosse suole in legno per la sentinella.Ci sono le nostre giacche umide di piog-gia che pendono da vecchi chiodi e rive-do i pioli a cui erano appese mantelline epellicce per chi era di guardia e poi corde,tascapani, piccozze e ramponi, pinze eforbici tagliafili, lanterne per fare luce suun domani dai contorni confusi ed incerti…L'arcobaleno attraversa la valle e, quasiper chiamare a sé le ombre e riunirci nellasacralità del ricordo, ci spinge a salirefino alla cima della antistante PuntaFiames e godere dell'ultima luce.Laggiù, intravedo gli occhi cupi dellacaverna che - almeno per questa notte -non saranno più tali offrendo lo sguardo acuori semplici riuniti intorno ad unfumante piatto di pasta e fagioli.E mentre un caldo vino profumato rin-cuora gli animi e l'incombere del buio, miguardo attorno.Vedo solo volti sereni e felici. Mi accor-go che all'uomo basta poco per esseretale: basta allontanarlo dalla superficia-lità del mondo di sempre.Sono ancora qui i nostri Fanti e i nostriAlpini, chiusi quassù, protetti dai monti!Le rocce conservano i gesti di sempre: ledivise logorate dalle trincee e dalle batta-glie che venivano riparate; le scarpe rab-berciate, le armi ispezionate e rimesse inordine mentre si attendeva il postino chedispensava sorridendo tesori per tutti.Erano sempre contenti perché quel bran-dello di vita serena e la lucente aria deiMonti riuscivano a dare loro il buonumo-re.E anche noi siamo contenti.Il cielo è una cupola blu e pare che - ora- le stelle alpine occhieggino là in alto.Le voci si perdono nell'oscurità. Intorno,solo l'abbraccio dei monti.Tuoni d'estate e brontolii in lontananza,cupi, come quelli delle artiglierie.Nella notte si intuisce la fosca sagoma delSon Pouses mentre il fioco lume dellagalleria del treno che taglia il MontePezovico appare come l'unico collega-

mento con la Terra che sembra scompar-sa da sotto i piedi.La nostalgia avvolge tutto e tutti: rientria-mo nel nostro ricovero.L'aria sottile e odorosa di roccia accom-pagna il sonno facendoci stringere addos-so una coperta tessuta di emozioni.Mi piacerebbe entrare nella mente diognuno e capire che cosa proviamo…Senza accorgermene passo dalla realtà alsogno mentre l'odore pungente della cartacatramata che rivestiva il vecchio soppal-co di legno penetra sotto la pelle e nelcuore.Esile soffio di vento mi sfiora il viso: ilsole, alto nella volta tinta di viola e dirosa, accende di improbabili giochi diluce il Col Rosà.Guardo l'antistante Punta Fiames sullacui cima - tra poco - numerose piccoleformiche si contenderanno uno spicchiodi cielo.Ma noi stiamo bene qui, in questo angolosolitario e recondito, lontano dal brusio diinutili parole.“… buongiorno… ciao…!”, una “pacca”sulla spalla, l'odore del caffè, le ossa unpo' rotte dalla notte trascorsa sul rozzopavimento.Ma siamo tutti incredibilmente, straordi-nariamente sereni, riuniti dallo stranoforte senso di cameratismo che nascedallo “spartirsi” il poco e le difficoltà;che nasce dai piccoli gesti come divider-si il pane e il vino bevuto dallo stesso bic-chiere.Il cappello alpino è ancora lì, sulla fine-stra, come dimenticato volutamente nel-l'incontro di questa notte…

Ma gli Alpini di oggi sono con noi e noi,con il ricordo, abbiamo creato una sortadi lungo nastro che li ha uniti a quelli diieri e li ha resi consapevoli gli uni deglialtri.Saliamo tutti insieme e godiamo il breveripido tratto che ci separa dalla cima dellaTerza Pala, là dove resistono profondetrincee e i resti dell'osservatorio.Ora non ci resta che tornare.Come al solito, due giorni insieme hannolegato profondamente molti di noi chefino a ieri non si conoscevano neppure.Siamo un po' tristi mentre uno dietro l'al-tro cominciamo a calarci lungo il ripidosentiero fino ad Ospitale, alla piccolachiesa, simbolo di pace che emerge dal-l'astio e dalle difficoltà in cui affiorano igiorni di sempre. Penso a noi.Penso agli uomini che vissero lassù.Al loro vivere di Monti e per i Monti, dicielo e per il cielo, a contare stelle, adaspettare albe.A contemplare la Luna sempre ugualecon il suo sguardo attonito e stupito difronte al fuggire di tempi che non ciappartengono più.Ma negli uomini nulla è cambiato.Gli uomini non sono cambiati.L'aria è la stessa.Il cielo, pure.E sarà lo stesso cielo che veglierà su dinoi fra un anno quando ci ritroveremo…Dove?Dove ci riporteranno le Penne Nere deinostri Alpini… e l'Amore per le “nostre”Montagne…

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Qui sopra: Le Tofane dalla cima della Croda de r'Ancona.Foto a fronte: Postazioni austriache sul crinale degli Zuoghe.Nella cartina il Gruppo del Pomagagnon (da GMI Dolomiti Orientali Io, p. la, di A. Berti, CAI-TCI 1971).

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G l i i t i n e r a r i

TERZA PALA E DINTORNI

1) Terza Pala de ra Pezoríes(m 2300)Itinerario: alla cima della Terza Pala(m 2300) per la Val Granda e la Val Pomagagnon.Segnavia nr: 202 - 203 - rosso - tracce.Discesa: per la stessa via fino al bivio per la ValGranda, poi, per mulattiera di guerra a riprendere iltracciato della ferrovia e al punto di partenza.Itinerario escursionistico in gran parte su strade esentieri militari. Di grande suggestione per la bellezzadella natura e le opere di guerra, (E).Dislivello: 800 metri circa.Tempo di percorrenza: 6 ore.Lasciata l'auto ad Ospitale (m 1490), nei pressi dellapiccola chiesa, si scende verso il tracciato dell'exferrovia per poi imboccare il primo ripido tratto dellaVal Granda (segn. 203). Si supera la località detta“Casonate” (m 1720) e poi si prosegue ancora perpoco fino a trovare - sulla nostra destra - il ponte cheattraversa il Rio Bosco. Si prosegue lungamente fino albivio dove un segnavia (nr. 202) indica la direzione perla Val Pomagagnon. Il sentiero diventa ripido, scomodo,chiuso fra cespugli e rami.Poi, all'improvviso, tutto si apre ai piedi della Bujèla dePadeon, titanica torre che sorge isolata in mezzo ad unmare di sfasciumi.Fra ghiaie rosa, si supera un'altra ripida balza mentresulla destra - in lontananza - ai piedi delle Palecompaiono le prime vestigia della guerra.L'esile traccia sale ora veloce e conquistarel'incredibile prateria sovrastante, appena al di sottodella testata della valle.Resti di imponenti strade e costruzioni testimonianol'esistenza di un grosso villaggio di baracche conpresumibile funzione di punto d'appoggio e di raccordo

con la conca ampezzana e le posizioni avanzate.Ci si lascia alle spalle i muri di una diruta casermetta e- per stentate tracce - si rinviene il resto dellamulattiera di guerra che conduce alle postazioni deicannoni da cui un ardito sentiero - oggi in gran partefranato - attraversava da nord a sud tutta la crestadelle Pale.Si ritorna alla caserma e, appena oltre il muro, unregolare sentiero militare conduce alla cima nei pressidi quello che resta del vecchio osservatoriodell'artiglieria italiana.Il ritorno è per la stessa via.

2) Col dei Stònbe (m 2168)Itinerario: al Col dei Stònbe da Ospitale (m. 1490)

per Val Padeon. Poi, eventuale salita e visita alle posta-

zioni di guerra del “Testaccio” e della Cresta dello

Zurlon (m. 2363).Segnavia nr.: 203 - rosso.Discesa: per la stessa via.

Da qui, una mulattiera di guerra sale con regolaritornanti e moderata inclinazione fino al tappeto erbosoche ricopre il colle dove vi era un caposaldo dellaartiglieria italiana, quel colle che prende il nome daicespugli di “stonmboréi” che d'autunno si vestono dibacche rosse.Se ora si vuole proseguire verso la cresta, bisognaseguire la traccia scolpita ora nelle ghiaie, ora nellaroccia rosa del Testaccio.Con fatica si risalgono le rosse terre che precipitanodalla Forcella dello Zurlon (m 2200) dove, tra denticariati e muri sbrecciati, emergono possenti le paretidel Vécio del Forame (m 2868). Da qui, le primeattrezzature della via ferrata che conducono attraversoscalini ad arte intagliati nelle rocce lisce e consunte. E'un attimo guadagnare l'esile crinale lungo il quale sisgrana sotto gli occhi una vera e propria città.

3) I Zuoghe (m 2053)Itinerario: a “quota 2053”, da Ospitale (m

Segnavia nr.: rosso - 203.Itinerario di incredibile suggestione, ricco di ricordidella guerra. Escursionistico fino al Col dei Stònbe, (E).La salita al “Testaccio” e alla Cresta dello Zurlonpresenta qualche tratto esposto. (Si tratta del primotratto della Via Attrezzata “Ivano Dibona”, EEA).

Dislivello:680 metri per il Col dei Stònbe; circa1000 per la

Cresta dello Zurlon.

Tempo di percorrenza: 4 - 5 ore.Da Ospitale, (m 1490), si scende ad attraversare iltracciato della vecchia ferrovia per imboccare lamulattiera della Val Padeon. Dapprima la strada saleripida e rinchiusa fra alti alberi. Poi la carrarecciadiventa meno impervia. Essa fa parte di quella reteviaria che rimase come patrimonio civile anche dopo ilconflitto. Infatti, tra il 1915 e il 1918, l'Italia costruìben 5400 chilometri di strade di cui 3280 transitabilicon mezzi e 1780 chilometri di strade ferrate.Si procede tranquilli fino alla località detta “Casonate”(m 1720) dove una tabella - sulla sinistra - indica ladirezione per la via ferrata “Ivano Dibona”.

1490) per tracce di guerra.Segnavia nr.: rosso - tracce.Discesa: a Ospitale da “Quota 2053” per Forcella

Lerosa (m 2020), l'ex polveriera e l'ex ferrovia.

Segnavia nr.: tracce - 8.

Itinerario turisticamente facile su strade e sentieri

militari, (E).

Dislivello: 500 metri circa.

Tempo di percorrenza: 3 - 4 ore.Si parte sempre da Ospitale (m 1490). Appena oltre ilmuro dell'albergo, si imbocca il ripido sentiero cheall'inizio ha piuttosto l'aspetto di una carrareccia.Ma ben presto si stringe e si inerpica rapidocatturando l'attenzione necessaria per trovare letracce.La fatica si fa sentire mentre radi segni rossi guidanoalle postazioni armate, al piccolo bunker in cementodalla forma strana, al culmine del lungo crinale. Pocopiù in là, un altro bunker simile al primo,l'imperversare del rosso delle rocce scavate dacunicoli e gallerie, il dedalo delle trincee che solcano il

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pianoro senza apparente motivo.Sempre seguendo radi segni rossi, si piegaleggermente a sinistra puntando al fondovalle indirezione di Forcella Lerosa (m 2020) e alla mulattieradella Val di Góttres, nomi dal significato incerto purconservando il ricordo di una presenza celtica dellaquale, tuttavia, non restano tracce di insediamenti fissi.Al culmine della Forcella, quello che resta di in piccolocimitero di guerra.La bella strada, fra acque e boschi, ci conduce neipressi dell'ex polveriera di Cimabanche e - con brevepasseggiata sul tracciato dell'ex ferrovia - si torna alpunto di partenza.

4) Croda de r'Ancona(m 2366)Itinerario: alla cima de la Croda de r'Ancona

(m 2366) dalla Strada d'Alemagna (loc. Torniché, m

1400) per Malga Ra Stua (m 1668) e la mulattiera di

guerra di Forcella Lerosa (m 2020).

Tempo di pecorrenza: 6 - 7 ore.Sulla strada che da Cortina porta a Dobbiaco, siraggiunge il caratteristico tornante detto appunto“Tornichè” (m 1400) da cui molti e comodi sentieriportano al fiabesco alpeggio del “Pian de Ra Polenta”(m 1690) dove sorge “el brite de Ra Stua”, luogo cheprobabilmente prende il nome da un briglia di pietreesistente fin dal 1600 con cui si tentava di fermarel'acqua che scendeva dal Ciànpo dei Cròsc.Appena oltre la malga, la mulattiera di guerra (segn. 8)risale dapprima ripida e poi con ampi tornanti versoForcella Lerosa.In prossimità della forcella, sulla destra, sulla grigiaparete della Croda de r'Ancona, si notano le traccedell'obsoleto sentiero magramente segnalato da bollirossi ed ometti.Per ghiaie e poi facili salti di roccia si guadagna unalarga spalla sconvolta dalle trincee e poi la vetta (m2366). Il panorama è superbo.Dalla cima, qualche salto di infida roccia e di terrenoinstabile, fra stelle alpine e resti di guerra, si arriva alla

Segnavia nr.: rosso - 8 - tracce.

Discesa: traversata, per tracce, fino al Bus de

r'Ancona e agli “Zuoghe” (m 2053). Poi, per la mulat-

tiera di Forcella Lerosa, fino a Cimabanche (m 1530)

nei pressi dell'ex polveriera.

Segnavia nr.: tracce - rosso - 8 .

Itinerario escursionistico su strade, sentieri e tracce

delle guerra. Di grande fascino ambientale ed interes-

se storico. La discesa per il Bus de r'Ancona e la tra-

versata fino agli “Zuogh” è turisticamente non facile

con passaggi su terreno esposto ad instabile.

Necessita passo sicuro, assenza di vertigine, senso di

orientamento, (EE).Per la traversata meglio disporre di due auto dalasciare rispettivamente alla partenza e all'arrivo.

Dislivello: 950 metri circa.

grande finestra del Bus de r'Ancona (m 2142).Si prosegue fra mughi e rarissimi segni fino ad unsalto di roccia che incombe sul “Dorso del Cammello”e su tutto il crinale degli “Zuoghe”.Una vecchia corda ancorata ad un tronco indicheràl'esatta direzione. Attraverso la cresta, poi, a cercare letracce che condurranno a Forcella Lerosa e poi - comeper l'itinerario precedente - alla ex polveriera diCimabanche.

5) Col Tondo dei Canópi(m 2204)Itinerario: al Col Tondo dei Canópi (m 2204) da

Cimabanche (m 1530) attraverso la Val dei Canópi.

Segnavia nr.: 18 - tracce.

Discesa: per la strada militare della Val di Specie a

Carbonin (m 1432).

Segnavia nr.: tracce - 37.

Itinerario escursionistico su strade e sentieri militari.

Necessitano due auto da lasciare al punto di partenza

e all'arrivo. Oppure bisogna attraversare per un buon

tratto il tracciato dell'ex ferrovia e raggiungere

Cimabanche, (E).

Dislivello: 700 metri circa.Dal Passo di Cimabanche, si attraversa la statale perimboccare il sentiero nr. 18 che si inoltra nellarecondita Valle dei Canópi, nome che deriva, con tuttaprobabilità dal tedesco “Knopp”, termine un tempoimpiegato per indicare il minatore, colui che scava laMontagna. Questa valle, infatti, che si apre fra austerepareti, era anticamente percorsa dai minatori che dalnord scendevano per lavorare nelle miniere di piombodel Giau o fors'anche per estrarre materiale dallostesso Col Tondo.Si sale fra acque e verde di boschi mentre unarutilante cascata precipita dalla testata della valle.Dopo l'incanto della cascata, il tratturo spiana nellosmeraldo assoluto dei prati.Da qui, sulla destra, si segue per breve tratto la tracciadivenuta mulattiera fino ad individuare uno sbiaditosegnavia che porta ad alzarsi sulla prorompentebellezza del Prato Piazza (m. 1990).Lunga è la traversata fra ghiaie dure e smosse, fraresti di guerra, appostamenti, ridotte blindate.Si raggiunge così una prima elevazione da cui diparte -in direzione Cimabanche - un incredibilecamminamento, in parte tagliato nelle rocce rosa cheprecipitano sulla valle appena lasciata.La traccia prosegue per circa due chilometri. E' unacima modesta quella a cui si arriva, ma attorno èmagia di Universo conquistato.Alle spalle compaiono improvvisamente le Tre Cime diLavaredo, come fossero misteriosamente esplose dalcuore della Terra mentre il Gruppo del Cristallo è cosìvicino da poterlo quasi toccare con le mani.Seguendo a ritroso il sentiero percorso, si riconquistala prima elevazione fino alle caverne di guerra.Da qui, sulla destra, sfiorando i resti di una ridotta incalcestruzzo, ci si dirige verso l'ampio valico prativo diPrato Piazza nel pressi del melanconico forte eretto frail 1888 e il 1895.Attraverso la comoda strada della Val di Specie i passiseguono il ritorno fino a Carbonin.

RIFERIMENTO CARTOGRAFICO- FREITAG BERNDT WKS 10: Sextener Dolomiten,Ampezzo, Marmarole. Scala 1: 50.000- HOCHPUSTERTAL: Wanderkarte (Mapgraphic, EditionBozen). Scala 1: 25.000- KOMPASS FOGLIO 973: Fronte Dolomitico1915/1917. Scala 1:50.000- ISTITUTO GEOGRAFICO MILITARE FOGLIO 12 I N.O.:Tre Cime di Lavaredo. Scala 1: 25.000- ISTITUTO GEOGRAFICO MILITARE FOGLIO 12 IV N.E.:Croda Rossa. Scala 1:25.000- ISTITUTO GEOGRAFICO MILITARE FOGLIO 12 IV N.O.:Alpe di Fànes. Scala 1:25000- ISTITUTO GEOGRAFICO MILITARE FOGLIO 12 IV S.E.:Cortina d'Ampezzo. Scala 1:25.000- TABACCO FOGLIO 1: Cortina d'Ampezzo - Cadore;Dolomiti di Sesto. Scala 1:25.000

Antonella Fornari(Sezione Calalzo di Cadore)

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La Bujèla de Pomagagnon mentre il Gruppo del Cristallo si accende di rosa.

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Che le grotte costituisseroun mondo a parte all'internodelle nostre montagne è unacosa nota.Meno noto è che all'internodi alcune grottedell'Appennino umbro-marchigiano potesserocelarsi veri e propriecosistemi autosufficientinei loro cicli vitali. Essisono completamenteindipendenti dalla catenaalimentare superficialeconnessa al ciclo delcarbonio e della fotosintesiclorofilliana.Questi ecosistemiautosufficienti, costituiti siada semplici batteri che daorganismi più complessicome ragni e scorpioni,traggono la loro energiavitale attraverso il ciclodello zolfo che risale nelleacque sulfuree presente innumerose grotte.

Le grottedell'Appenninoumbro-marchigianoLe grotte dell'Appenninoumbro-marchigiano ed inparticolare i sistemi carsicidel Monte Cucco e dellagola di Frasassi sono tra ipiù studiati in Italia e dasempre costituiscono unvero e proprio laboratoriosotterraneo naturale. Si trattadi grandi complessisotterranei che conservano al

loro interno importanticoncrezionamenti che sisono sviluppati a partiredall'ultimo milione di anninel corso della più recentestoria geologicadell'Appennino. La grotta diMonte Cucco si sviluppaall'interno di rocce dell'eraGiurassica, per oltre 30 kmattraverso una serie digallerie inclinate checollegano ampi saloniconnessi verticalmente dagrandi pozzi su un dislivellocomplessivo di 941 metri.In prossimità di questa cheviene considerata la grottaprincipale, ma sul versanteoccidentale del M.Cucco, siapre la grotta di FaggetoTondo. Si tratta di un

insieme di gallerie inclinateche si diramano per oltre 3km su un dislivello di oltre350 m e hanno lastraordinaria particolarità diessere quasi completamenteriempite da alcune migliaiadi metri cubi di gesso microe macro cristallino.Nella gola di Frasassi siaprono numerosi sistemisotterranei tra i quali il piùimportante è il complessogrotta grande del Vento -grotta del Fiume che sisviluppa per oltre 25 kmall'interno del M.Valmontagnana sulla destraidrografica del T. Sentinosempre all'interno di roccecalcaree del Giurassico.Questo sistema carsico è

molto noto al pubblicoanche perchè viene visitatoin alcune parti da oltre300.000 turisti all'anno cheposso ammirare lespettacolari concrezionipresenti nei vasti saloni,come l'abisso Ancona che haun volume di oltre unmilione di metri cubi.Questo complesso carsicosotterraneo è costituito da uncomplicato sistemalabirintico di galleriesuborizzontali che sisviluppano su diversi pianialtimetrici collegatiattraverso pozzi e salonidalla parte più alta dellamontagna fino al fondovalledove è localizzata la faldafreatica e le sorgenti di

Il mondo delle grotte

nell’Appenninoumbro-marchigianoLa recente scoperta di nuove grotte e il loro studioci rivelano nuovi aspetti sulla formazionedelle grotte e sull'origine del mondo sotterraneo

Testo e fotodi MarioMenichetti

Grotta di Faggeto Tondo - Cupola riempitaparzialmente da gesso microcristallino che derivadalla corrosione dal basso del calcare ad operadell'acqua sulfurea.

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acqua sulfurea. Altre grotteimportanti si sviluppanonella gola di Frasassi comeil Buco Cattivo e la grottadel Mezzogiorno-grotta dellaBeata Vergine di Frasassi, lagrotta Sulfurea , la grottaBella e presentanomorfologie econcrezionamenti assaisimili tra loro.E' proprio in questi sistemicarsici sotterranei che daoltre trent'anni le teorie sullaformazione delle grottevengono testate e reinventateattraverso l'osservazionediretta della circolazionedell'acqua all'interno deimassicci carbonatici, delleforme carsiche sotterranee,dello studio dei diversiminerali che riempiono lecondotte carsiche fino allostudio della fauna chepopola le grotte.

La formazione dellegrotteLa formazione delle grotteviene comunemente legataall'azione corrosiva, che haluogo sia in superficie chenel sottosuolo, delle acquesulla roccia calcarea.Corrosione chimica che siesplica grazie all'anidridecarbonica che sciogliendosiin acqua le conferisce uncerto grado di acidità equindi di aggressività neiconfronti delle rocce ricchedi carbonato di calcio.Questa anidride carbonicaviene acquisita soprattutto allivello del suolo dovel'intensa attività biologica neproduce concentrazionimolto elevate. Così laquantità di roccia corrosa eportata in soluzione èfunzione dellaconcentrazione di anidridecarbonica presente in acquae che a sua volta risultaessere in equilibrio conquella dell'atmosferapresente nel suolo.Con questo delicato evolubile equilibrio l'acqua

inizia il suo percorsosotterraneo attraverso lamontagna. Quandoraggiunge la volta di unagrotta, dove l'aria internacontiene una quantità dianidride carbonica normale equindi più bassa di quellapresente nel suolo, l'acquatende a liberare l'anidridecarbonica stessa e deposita ilcarico di carbonato di calcioprecedentemente sciolto.E proprio attraverso questadeposizione di calcare cheiniziano a formarsi lestalattiti che scendono dallavolta della grotta. Le gocced'acqua cadendo dallestalattiti impattano con ilpavimento della grottaliberando ulteriormenteanidride carbonica e il caricodi carbonato di calcio,formando le stalagmiti.E' questo il meccanismo diformazione di gran partedelle morfologie carsichesuperficiali come i campisolcati e le doline osservabilisulle montagne calcareedelle Alpi e dell'Appennino.La formazione di moltegrotte, come i maggiorisistemi carsici alpini (Splugadella Preta nei montiLessini, grotte delMarguareis nelle Alpi

occidentali, gli abissi delM.Canin nella Alpi orientali,etc), ad andamentoprevalentemente verticale,devono la loro genesi aquesto meccanismo chetende ad amplificarsisoprattutto in presenza digrandi masse d'acqua,meglio se fredde (l'anidridecarbonica si scioglie tantopiù quanto l'acqua è fredda )e quindi connesse adesempio alla bocca digrossi ghiacciai. Si tratta diun' azione di corrosione chetende a progrediredall'esterno verso l'internodella montagna e adallargare progressivamentele fratture e le condottecarsiche.Fino ad alcuni anni fa questomeccanismo di formazionedelle grotte veniva invocatoanche per molti sistemicarsici dell'Appennino, manon permetteva dirispondere a moltiinterrogativi riguardanti inparticolare la formazionedelle grotte più grandi, siaperché la corrosione legataall'anidride carbonica èmolto lenta e richiede tempida molte centinaia dimigliaia di anni a milionidi anni, sia proprio per la

mancanza di grandi massed'acqua che potesseropenetrare il massicciocalcareo. Le prime risposte aquesti interrogativi sonolentamente emersesoprattutto sulla sciacombinata di scoperte dinuove grotte e aumento delleconoscenze scientifiche suifenomeni carsici.

Le nuoveosservazioniLa scoperta della grotta diFaggeto Tondo, situata adoltre 1200 m slm sulM.Cucco, nei primi anniottanta del secolo XX, eparticolarmente ricca di

Qui accanto: Grotta del Fiume nellagola di Frasassi - Colonie di batteriche corrodono la rocciacalcarea danno luogo a forme notecome “pelle di leopardo”.

Foto sotto: Grotta del Fiume nellagola di Frasassi - Cristalli di gessosui quali si sono sviluppatecolonie di batteri con filamenti noticome mucoliti, per il loro aspettogelatinoso. Le gocce terminalihanno un acidità simile a quelladell'acido solforico (pH=0,5).

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depositi di gesso, harichiesto l'elaborazione dinuove teoriespeleogenetiche. In verità idepositi di gesso erano giànoti da tempo sia nellavicina grotta di MonteCucco che nelle grotte diFrasassi ma anche adAcquasanta Terme (AscoliPiceno) nelle grotte del Rio

dell'Appennino dove sonopresenti acque solfuree,indicano che la formazionedi queste cavità staavvenendo ancheattualmente attraverso lacorrosione operata dell'acidosolfidrico presente nelleacque che risalgono dalbasso e sciolgono la rocciacalcarea. Il prodotto di

ad esempio, forme dellegallerie sotterranee a cupola,con pozzi ciechi verso l'alto,che indicano che l'azionedella corrosione avviene dalbasso verso l'alto. Questoper altro permette dicomprendere il perché alcuniimportanti sistemi carsicicon grandi galleriesotterranee hanno un

Garafo, alle grotte diParrano vicino ad Orvieto,ma venivano relegati adepositi del tutto secondari.Nella grotta di FaggetoTondo il riempimento digesso è così imponente chenon poteva essereconsiderato secondario.Osservazioni più dettagliatenelle grotte di Frasassiindicavano che questominerale si forma soprattuttoa spese della roccia calcareain prossimità dei corsid'acqua sulfurea.Osservazioni dirette e analisichimiche eseguite sulleacque sotterranee a Frasassie nelle altre grotte

questa corrosione è laparziale trasformazione delcalcare in gesso che poirimane all'interno dellagrotta a testimoniare ilpassaggio di queste acquesulfuree, come nelle grottedi Monte Cucco e nei livellicarsici delle grotte diFrasassi. Ma il gesso è unminerale molto solubile inacqua e non sempre rimanelì a testimoniare lacorrosione ad opera delleacque sulfuree nelle grotteche si sono formateattraverso questo processo.Esistono in verità anche altretestimonianze di questomeccanismo speleogenetico;

ingresso non corrispondentein dimensione.In sintesi questo è unmeccanismo speleogeneticoche agisce dal basso versol'alto dall'interno dellamontagna verso lasuperficie.Una serie di misuresperimentali sulla velocità dicorrosione del calcare adopera delle acque sulfuree,unitamente alladeterminazione dell'età dellestalagmiti, indicano chequesto fenomeno diformazione delle grotte èvelocissimo ed almeno centovolte maggiore di quellolegato all'azione

dell'anidride carbonica.Attraverso questomeccanismo speleogeneticoestremamente rapido, è statopossibile realizzare glienormi vuoti carsici dellegrotte dei Frasassi e dellegrotte di Monte Cuccoin maniera estremamenterapida, in meno di unmilione di anni. Ovviamentela formazione dellestalattiti e delle stalagmitiall'interno di queste grotte èlegata sempre alladeposizione di carbonatodi calcio ma le grandiconcrezioni come i Gigantidell'abisso Ancona nellagrotta grande del Vento aFrasassi hanno potutoformarsi grazie alla rapidacorrosione del calcare dellavolta e alla grande quantitàdi carbonato di calcio puroche queste acque potevanotrasportare.Lo studio più recente deimeccanismi di corrosione adopera delle acque sulfureeha poi portato alla scopertache queste reazioni chimichein natura avvengono graziealla presenza di batteri cheagiscono da veri e propricatalizzatori. Grazie a questimicrorganismi è possibileaddirittura la formazione diacido solforico checonferisce alle acquesotterranee una notevolecapacità di corrodere laroccia calcarea inpochissimo tempo.

I batteri e la vitaNelle gallerie più interne delcomplesso carsico dellagrotta grande del Vento -Grotta del Fiume, lontanodall'ingresso dove daprofondi pozzi allagati risaledal basso l' acqua sulfurea, èstato scoperto un complessoecosistema con una propriaed autonoma catenaalimentare costituito sia dabatteri che da specie viventipiù complesse come ragni e

Grotta del Fiume nella gola di Frasassi - Lago di acqua sulfurea. Sulle pareti i puntini bianchi sono costituiti da gessoche si sta formando per la corrosione del calcare ad opera dell' acido solfidrico.

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scorpioni. Questa ecosistemasopravvive in assenza dellaluce grazie alla sintesi dellozolfo utilizzato dai batteriper ricavarne energia vitale.In superficie, dove gliecosistemi sono legati allafotosintesi clorofilliana,sappiamo che l'energia vitaleviene fornita dal sole. Tuttauna serie di sofisticateanalisi sugli isotopi

dell'azoto e del carbonioorganico di queste organismisotterranei, hanno poipermesso di escludere inqualsiasi modo, ancheper vie remote o secondarie,un collegamentodell'ecosistema sotterraneocon la catena alimentaresuperficiale.In verità meccanismi similisono conosciuti nei vulcani e

Grotta del Fiume nella gola diFrasassi - Filamenti di colonie dibatteri osservate al microscopioelettronico (foto A. Rossi, Universitàdi Modena).

Grotta del Fiume nella gola diFrasassi - Dettaglio di un filamentodella foto precedente.I bastoncini che si possonoosservare sono sempre colonie dibatteri (1 µm è pari ad un millesimodi un millimetro - per esempio un capello hadimensioni di circa 100 µm ) (fotoA.Rossi, Università diModena).

fumarole sottomarine doveesistonocolonie di organismi moltosviluppati ed evolute anche agrandi profondità. Ma questiecosistemisono in un mare aperto doveè possibile una relazioneanche indiretta con lasuperficie.Nelle grotte di Frasassil'ecosistema è proprio isolatodalla superficie, come sitrovasse su di unaltro pianeta. Ed è proprioqui l'interesse di moltiscienziati di diverse parti delmondo per questoecosistema dettochemioautotrofico ( cioè chetrae la propria fonte dienergia e di cibo daiprocessichimici), perché potrebbe siapermetterci di comprenderemeglio l'origine della vitasulla Terra, chedare interessanti indicazionisulle possibili forme viventisu altri pianeti, come adesempio Marte,dove ad una certa profonditàdalla superficie la presenzadi acqua e zolfo potrebbepermettere losviluppo di forme di vitaprimordiali.La luce e la vita sembranoessere state semprecollegate, ma l'oscuromondo delle grotte

all'interno delle nostremontagne sembra indicarciche esistono tante altrepossibilità. E poi, che le nostremontagne celasseroall'interno del loro “grembo”una propria vita segreta, infondo lo percepivamoun po’ tutti.

Mario Menichetti(Sezione di Gubbio)

NOTA 1

I risultati delle ricerche che hannoportato alla formulazione di questenuove teorie sono statiottenuti nel corso di molti anni diesplorazioni e studio dei sistemicarsici dell'Appennino umbro-marchigiano grazie al contributo dimoltissime persone. In tutto questohanno avuto un ruolodeterminante le occasioni diconfronto fornite nell'ambito dellaScuola Nazionale di Speleologia delCAI dai numerosi corsi sia di tecnicaspeleologica che di specializzazionesu tematiche scientifichesvoltosi a partire dagli anni ottantadel secolo XX presso il CentroNazione di Speleologia (oggi CENS)di Costacciaro.

Grotta del Fiume nella gola diFrasassi - Cristalli di gesso sullepareti di calcare. I sottilifilamenti sulla parte terminale deicristalli sono colonie di batteri.

Grotta del Fiume nella gola di Frasassi - Prelievo di campioni di materiaorganica lungo un corso sotterraneo d'acqua sulfurea. Gran parte della materiaorganica tende a concentrarsi sulla superficie di contatto tra l'ambientesotterraneo e quello superficiale soprattutto per la presenza dell'ossigeno chetende a favorire le reazioni chimiche utili alle diverse forme di vita.

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Le montagne, i boschi, ifiumi, le aree protette e tuttiquegli spazi che hanno unapura connotazionenaturalistica, difesi davincoli e dalla intangibilità,sono da considerarsi beniculturali oltre che ambientali.Si può pensare che questisiano visibili o invisibili, iprimi rientranti nellavalorizzazione dellemolteplicità identificative deiluoghi ai quali si associanole varie forme dell’identitàdel sito, della natura e deibeni che la madre terra haprodotto in milioni di anni, isecondi rientrano invecenella logica della cultura edel sapere.Questa si sa, per sua proprianatura, è costituita daprocessi sociali, economici eda tradizioni antiche chesono arrivate fino a noiattraverso la storia di unpopolo. Questi sono, quindi,una risorsa inesauribile nonsolo per il mondo, maspecialmente per i territoriprotetti, particolarmente perle aree slow.Ad esempio: pensiamo allacultura locale, alleesperienze dei vecchi pastorie dei montanari ancoraviventi, alle tradizioni e alleconsuetudini delle vecchiegenerazioni della montagna,ai costumi, alle memorie eleggende di questi popoli,tutto è inserito nell’identitàdel luogo.Questi beni invisibili sonoquindi le vie di accesso checonsentono unaprogettazione perl’identificazione di unturismo delle aree protette,rivolto non solo adesperienze sportive o di

dolce e tranquillo riposo, maanche ad una funzionedivulgativa del sapere.Un escursionismo inmontagna può essereaffrontato anche attraversotesti letterari che hannosaputo esprimere i temi delterritorio, fornendo unarappresentazione dei siti, deisentieri, delle località cheevidenziano gli eventi, isignificati e tutte ledinamiche delle Terre Alte.La storia, essendo un veicoloinformativo potenziale,valorizza la conoscenza deiluoghi che altrimentisarebbero tutti uguali edidentici, li rende diversiperché gli autori di questestorie vissute hannoimpresso una atmosferamultisensoriale che porta lospirito dell’escursionista inun mondo ultradimensionale, sempre insituazioni mentali diverse.Sono nati così i “PARCHILETTERARI”, unostrumento di progettazioneper lo sviluppo culturale eturistico a livello territorialelocale, il cui valore dovrebbeessere ampliato ericonosciuto anche al ParcoNazionale dei MontiSibillini.“I parchi letterari”consistono nel far conoscerenon solo il patrimonioambientalistico e naturale,specialmente quello rimastoimmacolato, ma anche unaricerca di uno spazio fisicomentale riferito alle cosesuccesse nel passato.Nelle Marche sono statielaborati due progetti diParchi Letterari, quellodedicato a GiacomoLeopardi che rappresenta il

centro storico di Recanati equello di Paolo Volponi,comprendente 53 comuninell’area appenninica delPescarese.Realizzare nuove aree saràl’obbiettivo futuro,naturalmente lo studio saràrivolto all’identificazione disiti nei quali insistono aspettistorici legati ad importantiavvenimenti che possonoessere definiti esperienze diapprendimento, inoltre ilsistema potrà essereutilizzato per una nuovarealtà imprenditoriale legataanche a percorsi culinari.Se poi si unisse il binomioParco Letterario con leesperienze del Gruppo TerreAlte del Club AlpinoItaliano, si realizzerebberoproposte di intrattenimentocon azioni atte allaconoscenza delle localitàmontane e la valorizzazione,ahimè poco sentita, di questiambienti storico naturali.Nella nostra nuova provinciadi Fermo chi meglio puòambire alla realizzazione diParco Letterario se nonquello dei monti Sibillini ?La molteplicità dei suoielementi folkloristici in uncontesto culturale delleleggende della SibillaAppenninica, che hannovarcato i confini dell’Italia,fino all’estremo nordd’Europa, i poemicavallereschi con il GuerinMeschino e numerosi altrisaggi composti da famosieruditi nel medioevo,indicano una diversificazioneed una caratteristica forseunica in tutto il territorionazionale.

Massimo Spagnoli(Sezione di Fermo)

I Parchiletterari

di Massimo Spagnoli

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Michelangelo Bruno, sociovitalizio della sezione diCuneo del Club AlpinoItaliano e membro onorariodel Club Alpin Monegasque,è da tempo noto per lepreziose pubblicazioni cheda più di trent’anni vaoffrendo all’attenzione dialpinisti e studiosi di culturaalpina. Rinomato per lemeticolose descrizioni diitinerari alpinistici, dalvolume Alpi Marittime.Nodo Clapier-Maledia-Gelàs(Istituto Grafico Bertello,Borgo San Dalmazzo 1974)a Monte Viso. Alpi Coziemeridionali della collana“Guida dei Monti d’Italia”(Club Alpino Italiano-Touring Club Italiano,Milano 1987) e sino adalcuni tomi della collana “Incima”: In cima. 70 normalinelle Cozie Meridionali(L’Arciere-Blu, Cuneo-Peveragno 1995, 2002) e Incima. 73 normali nelle AlpiMarittime. volume I (Blu,Peveragno 1996, 2001),senza contare le coedizioni ecollaborazioni ad altrivolumi delle citate collane,egli è anche apprezzato pergli altrettanto capillari epazienti lavori di raccolta escavo etimologico dei nomidi luogo e delle cime dellostesso territorio a lui caro, leAlpi Marittime e Cozie

Meridionali, dalle raccolteGuida dei nomi di luogodelle Alpi Cozie meridionalie Guida dei nomi di luogodelle Alpi Marittime(Sezione di Cuneo del ClubAlpino Italiano, Cuneo 1991e 1993) ai più recenti: Alpisud-occidentali tra Piemontee Provenza. I nomi di luogo,etimologia e storia.Dizionario toponomastico(L’Arciere, Cuneo 1996) eValichi di Provenza(Coumboscuro-Gribaudo,Monterosso Grana-Savigliano 2002; premioS.A.T. 2002).La sua ultima fatica, Alpisudoccidentali. Viaggio traimmagini e nomi di luoghi(Coumboscuro-Gribaudo,Monterosso Grana-Savigliano 2006, con unsaggio di Sergio Arneodo,100 foto a colori, 19 cartine,3660 voci), non èsemplicemente una secondaedizione ampliata delvolume citato del 1996.Infatti non solo si passa dai1210 lemmi contemplati dalprimo dizionario alle 3660voci dell’attuale, a toccare lacifra di circa 8000 nomicomplessivamentemenzionati, ma al “Glossariogeoetimologico” e al“Prontuario dei valorialtimetrici” delle cime dellaregione presa in esame, moltinuovamente verificati, si

affiancano diciannove“Cartine schematiche” esessantanove “Tavolepanoramiche”, nonché, oltreall’“Introduzione”dell’autore, un preziososaggio, intitolato “Montagnecontrocielo”, dovuto al poetain lengo d’oc, di ispirazioneprovenzale, Sergio Arneodo.Il valore del volume diMichelangelo Brunopotrebbe sembraremeramente documentale,benché accuratissimo epressoché esaustivo, sia nelleimmagini panoramiche dellecime sia, soprattutto, neldizionario dei nomi: di vette,colli, laghi, luoghi, paesi,con loro etimologie, storie,stratificazioni linguistiche eculturali. Tuttavia, a benvedere, gli originari nomi deimonti e le loro immaginipanoramiche, costituenti dadifferenti punti di vistasempre un orientanteorizzonte, simboleggianoassieme l’unitariacomprensione dellamontagna a cuiMichelangelo Brunosapientemente sa introdurci.Non soltanto perché l’origineetimologica greca dimontagna è óros, derivanteda eós, aurora, e dunque asua volta origine del terminehóros: confine, limite,orizzonte, secondo unreciproco rimando e

coappartenersi dellemontagne e degli orizzonti,del limite e dell’illimite. Ma soprattutto poichétantopiù riusciremo adefinire la singolarità propriaad ogni luogo o vettamontana, unica e irripetibile,realissima nella suatangibilità fisica e definibilitàattraverso un proprio nome,carico di tutta la cultura e laumana storia che l’abbiacontemplata, quantopiùsaremo stati capaci dicollocarci in una peculiareprospettiva, assumendo ilimiti, le specificità, lamarginalità anche etransitorietà del nostro puntodi vista particolare, tuttaviaattraverso il quale soltanto èpossibile orientarsi, esistere,vedere ed esperire la realtàche ci circonda, accedere allemontagne che esigonosempre una via personale diaccesso, un orizzontesingolare per mezzo di cuielevarsi alla loro visione,sino al pienezza del vuotodell’estrema cima, ancorarigettanteci al nostro metodoe limite e orizzonte piùestrovertizzantementeinteriore. E naturalmente,secondo una reciprocità frapanoramica orizzontante daun punto di vista finito edenominabilità singolaredell’immensità montana,anche viceversa.

Tra Piemonte e ProvenzaNomi e immagini delle Alpi secondo Michelangelo Bruno

di FrancescoTomatis

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La montagna più di ognialtra realtà esperibile ci dicecome accedere ad essa siapossibile solo e soltanto daun punto di vista particolare,attraverso una via personaledi salita, a partire da unavisione panoramicapeculiare, tuttaviaorizzontante il nostrosguardo altrimenti smarrito.Sappiamo come soloattraverso la misura ecomprensione delle nostrecapacità e forze, potremoprocedere in montagna, daun punto di vista alpinistico,ma anche riusciremo avivere nelle e delledifficoltose terre alte, comeabitanti lavoratori dellevallate alpine, in quantomontanari. E questoradicamento differenziale,dischiudente tuttavia unaperto orizzonte, sempre piùampio a spaziare, per unverso è possibile - e per altrone è ulteriormenteattingimento e fecondazione- perché ogni minima ogrande cosa montana, ognivetta o luogo, pietra o vita,germoglio o abitato, vienedenominata, delineataattraverso un nome,personale, irripetibile, adefinirla come unica e vera,realissima e pura, netta,colorita e acuminata.Risale almeno a Confucio, ilsaggio maestro cinese, laconsiderazione massima delvalore dei nomi. Egli infattirispose, a chi gli domandòquale sarebbe stato il suoprimo atto in caso di unincarico governativo:«Zheng Ming», «rettificare inomi» (Dialoghi, XIII 3).Questo valore massimoconferito al nome da parte diuna della maggiori civiltà diogni tempo e fra le piùantiche è riscontrabile nelleculture montane, per le qualiogni realtà, seppur minima,ha un nome, addirittura ogniminimo lembo

apparentemente anonimo diterra, roccia, fiume. Disse unmontanaro di Elva, nella altaval Maira, ai confini con laVaraita: «Bisognerebbeandare a chiedere aglianziani come si chiama[coume se sono] quelpezzettino lì e quelpezzettino là» (DiegoAnghilante-MichelangeloPellegrino, Elva, un paeseoccitano, Blu, Peveragno2002). Non c’è metro diterreno, fazzolettino di terrache non abbia (o avesse)nome, per le genti dimontagna, la cui eccelsaspiritualità va dunque di paripasso con un realismoaccurato.Michelangelo Bruno accostai nomi con delicatezza,ascolto, precisione, qualipreziosi «fossili linguistici»di un passato non semprefacilmente documentabilecon i normali mezzistoriografici, spesso destinatialla consumazione materiale,nello scorrere del temponaturale. I nomi sono veri epropri monumenti linguisticidel passato, capaci didefinire e orientare ovenull’altro, culturalmente, ciassicuri. Relativamente alterritorio preso in esame, leAlpi Marittime e Cozieindividuabili fra Piemonte eProvenza, tre sono le epocheprincipali dalle qualiemersero e di cui ancoraricordano i significanti suonii loro peculiari nomi. Da unperiodo preindoeuropeo(2000-700 a.C.) giungonoancora sino a noi nomicomposti da radicali come*ar, *bal, *bren, *cal, *clap,*cuc, *gar, *mat, *pel, *sal,*tab, *van e altri ancora, adefinire essenzialmente glielementi naturali: l’aria ol’altezza o il cielo, la terra ola pietra o la bassezza,l’acqua o lo scorrere o lavita. Invece a lingueprelatine celto-liguri (600-

400 a.C.) risalgono le radici*brec, monte, *calanca,colatoio, *ischia, scivoloso eripido, *kumba, valle strettae profonda, *magos, campo,*pelvo, rilievo emergente,*sapp, abete, *serre, dossosoleggiato, *stur, acquacorrente, per non fare chealcuni esempi. Infine dallelingue romanze, in seguitoalla dissoluzione del latino,abbiamo principalmente illinguaggio dell’abitare edella casa: baita, chasal,forest, gias, grange, mas,meiro..., oppure dellaspecificazione morfologicadelle cime: baus, brec, buc,caire, uia... Aigo e aiglo nonsono però da confondersi,infatti come in latino, daaqua e aquila, indicanol’acqua e l’aquilarispettivamente. Così anchelàus e làusa, lago e lastra dipietra.Dopo l’accurataricostruzione linguistica dioronimi e toponimi in generesvolta per le Alpisudoccidentali daMichelangelo Bruno, fruttodi più di un trentennio dilavoro e fatica, occorreormai porsi almenol’interrogativo se non siagiunto il momento diadeguare le documentazionicartografiche I.G.M. italianee I.G.N. francesi alle scienzelinguistiche, rettificando lecomprensibili ignoranze daparte dei cartografi, spessomilitari, impiegati a suotempo nei rilievi, non certopreparati alla topografiastorica e alla linguisticaromanza. Inoltre va anchedetto che le tavolepanoramiche diMichelangelo Bruno nonvogliono certo sostituirsi allacartografia, di cui egli stessodà anzi saggio in diciannovecartine schematiche del testo,tuttavia sia nella correttadenominazione delle cime edei loro valori altimetrici, sia

nella fotografia naturalmenteprospettica, avvicinano benpiù il reale che nonun’appiattita geometria,attraverso l’intrascendibilepunto di vista, valido perogni essere umano.Nella sintesi delineata daMichelangelo Bruno traimmagine prospettico-panoramica e nomietimologicamente-culturalmente documentati,ecco che le montagne, fraProvenza e Piemonte,emergono nella loro realtàpiù viva, naturalistica eassieme culturale, alpinisticae montana assieme. Nonestrinseca, seppur preziosa eoriginale, suona dunquel’introduzione al volume diMichelangelo Brunocostituita dal saggio diSergio Arneodo, “Montagnecontrocielo”. Il poetaoccitano qui individua lasituazione di confine delterritorio alpinosudoccidentale. Sia frafondovalle aperto e apertiorizzonti montani, sia,soprattutto, in un concresceredi prospettive e radicamentinaturali e culturali assieme,nella scissione - degli ultimitre secoli, dal trattato diUtrecht del 1713, fissantesciaguratamente i confininazionali sugli spartiacquealpini - della unitaria(seppure sempre nel rispettodelle differenze) lingua,cultura, civiltà alpina fradiverse nazioni, Francia eItalia infine. Ecco allorafigure emblematiche di vitedivise, come dando Mainòt,la zia Maddalena sposatasinella Provenza francesizzata,per poi far ritorno vedovaalle terre d’origine montane,proprio come quella non solomitica Reino Jano, la reginaGiovanna d’Angiò, allaricerca di se stessa fra AlpiMarittime e Cozie dopo ilperiodo napoletano.Ma anche quelle di Sergio

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Arneodo stesso e dell’amicodi sempre Touàno, Antonio.Attratti dagli orizzontisempre ulteriori delle lorocatene montuose, di quandoin quando giovani sisottraevano agli impegniquotidiani della itinerantepastorizia, agricolturafrugale, pazienteartigianalità. Per slanciarsi inavventure alpinistiche... einfine in eventi poetici dirara umanità, dilatata nellasua marginalità fra i diversinon separati né estremi chesono il divino e la naturalità.Sergio Arneodo e l’amicoAntonio non erano alpinistidi professione, né turistid’elezione o per mera noiadella vita borghese,industriale e cittadina.Ma nemmeno montanaririgidamente incasellati,ghettizzati, come in unariserva etnica o in un parconaturale. Più che scissi fradiverse condizioni, piuttostoabitanti di una soladimensione, quella montana,ancora capace di far esperireall’uomo integrale, con lesue piccole o grandicapacità, limiti, singolari dotie predilezioni, la realtà vivanel suo esistere e morire, nelsuo esser sempre singolare,eppure a tutto correlazionale,se vista da una prospettivaautentica in quantoimprescindibilmenteparticolare, prospettivistica,orizzontale e verticaleassieme. Una via sulla qualeil cittadino MichelangeloBruno e il montanaro SergioArneodo, e noi con loro,ancora faranno fare passi incomune, differenziati masenza divisioni, verso unasola e molteplicemente riccarealtà montana.

Francesco Tomatis

Marco Marrosu

ITINERARI SUL LIMBARAEdizioni Orizzonte Sardegna,Ghilarza (OR), 2006.72 pagg.; 15 x 21 cm; foto col. € 12,00• Le montagne del MonteLimbara, nel cuore dellaGallura, sono state le primedi tutta l’isola ad essere stateesplorate alpinisticamente: equesto avveniva nel 1921,quando il torinese GuidoCibrario sbarcò a Olbia e sidiresse subito a visitare lemontagne da lì ben visibili.Oggi la Sardegna montana èstata percorsa in lungo e inlargo, dalle coste piùprecipiti all’interno piùnascosto. Qualche zona èdiventata famosa a livellointernazionale, mecca diun’arrampicata gaudente esolare, come pure ditrekking anche avventurosi.La zona del Limbara invece,dopo le prime esplorazionidi Cibrario e la mia visitadel 1981 per Mezzogiorno diPietra, era caduta neldimenticatoio, come a voltesuccede a montagne troppobelle per essere apprezzateda molti.A riprendere in mano lasituazione ci ha pensato ilsassarese Marco Marrosu,grande espertodell’arrampicata sarda e nonsolo, dottore in ScienzeNaturali, ma soprattuttoinnamorato della sua terra.

Dopo anni di gite, ricerche eprime ascensioni, eccoloriassumere la sua esperienzain una guida che condensauna microregione: dopo unaesauriente panoramica sullenotizie utili al visitatore,abbiamo la serie delleescursioni, delle arrampicatee perfino delle possibilità dibouldering.L’ambiente selvaggio epraticamente inalterato delMonte Limbara è dunquedescritto quel tanto che bastaper avere le primeindicazioni senza azzerarel’avventura, nello spirito diquelle Aree Clean che ilLimbara ben rappresenta:aree che la comunità (anchequella alpinistica earrampicatoria) riconoscecome meritevoli di esserelasciate integre, senzasegnaletiche eccessive esenza attrezzatura di vieferrate o itinerari a spit.

Alessandro Gogna

Giuseppe Saglio,

Cinzia Zola

IN SU E IN SE’Alpinismo e psicologiaPriuli & Verlucca, Editori,Scarmagno, 2007.300 pagine, 14x21,5 cm; € 14,90 • Si diventa alpinistiquando si trova unamontagna. Un ritrovamentomai casuale, conseguenza diuna ricerca ed espressione diun bisogno.L’incontro con la montagnapuò essere l’inizio di unrapporto più intenso con sestessi e con il mondo: si èportati a contatto condimensioni materiali espirituali, umane e animali,naturali e artificiali. Puòessere anche una fuga, unosmarrimento o l’inizio di unannullamento.Nel salire e nel scendere lemontagne si riconoscecomunque unarappresentazionedell’esistenza, una metafora

della vita. La dimensionealpina è satura di percezionidi vita e di morte: il baglioreaccecante dell’alto, lasensorialità del mantoerboso, la temporaneità delghiaccio, la corporeità dellaroccia confermatanell’abbraccio verticale.Una dimensione che habisogno, a volte, di prenderele distanze dalla riflessioneintrospettiva. Prima di agire,per poter andare oltre, non sideve troppo pensare. Dopol’attività, per dare senso aciò che è stato fatto, si deveguardare dentro sé. In quelmomento nasce l’alpinismo.Quando si diventa alpinistici si regola secondo un fareche non può più prescinderedal pensare. In ognimomento, in ogni atto siincontra l’inizio e la fine delpercorso, il pericolo deglieventi, l’andare oltre purriconoscendo i limiti, lapropria inferiorità altermine di un progetto diaffermazione di sé ol’espressione della propriaindividualità attraverso illegame –apparente- allacorda dell’altro. L’alpinista,avendo conosciutol’ambiente circostante,incontra il mondo interno. Insu e in sé. Il monte e lamente.Queste e molte altre ancorasono le suggestioni cheGiuseppe Saglio e CinziaZola ci offrono con il lorolibro: interessante e curioso

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per il versante psicologico,importante e inevitabile perquello alpinistico. Un lavoroche ha richiesto passione,competenze tecniche espinte creative: gli stessipresupposti di ogni impresain montagna. Gli autori, adottando questicriteri, hanno intrapreso vienuove e coraggiose traavventura e ricerca, rigorescientifico e modalitàartistica. Un percorso che liha portati ad incontrarepersonaggi esemplaridell’alpinismocontemporaneo, portatori distili differenti e comunqueappartenenti all’universovariegato e ricco che locontraddistingue.Alpinismo e psicologia –cidicono- sono disciplinediverse tra loro, eppurelegate da una trama comuneche acquista significato eimportanza nell’unitàindivisibile di mente e corpoe di individuo e ambiente.Da qui la scoperta di unalinea intermedia, di unpercorso continuo sulconfine e sulla cresta, dellapossibilità di abitare quellaterra di mezzo che permettedi andare in su restando insé. La proposta che ci vienefatta è di percorrere ilversante della montagnasopeso tra quello reale equello immaginario, senzapoter escludere l’una ol’altra parte, secondo ilprogetto che fu già diDaumal con Il monteanalogo e che ogni alpinistasi ritrova a considerareancora oggi. Scrivono Saglioe Zola: «Pensiamo di seguireuna verticale materiale, main realtà arrampichiamo suuna verticale immaginaria.La afferiamo per poterlapensare, per poterla astrarre.Per sentirla e per renderlareale. Solo così sappiamo diessere in alto. Così siamoalti. Dalle cime e dai vertici

si alzano le vere verticali: levie delle vertigini dellamente».Dalle seduzioni estetichealle spedizioni extra-europee, dal free-climbingall’alpinismo eroico, dallospirito romanticoall’arrampicata sportiva,dall’esplorazione geograficaalla ricerca introspettiva,dalle mitologie delle vette aquelle delle vie siamocondotti, attraverso lepagine, a considerare chel’alpinismo è fatto di passi edi appigli, ma soprattutto dipensieri e che le mani e «ipiedi hanno bisogno dellatesta come le nuvole hannobisogno della terra».

Jacques Chatelain

MOBILI TRADIZIONALIDELLE ALPI OCCIDENTALIPriuli & Verlucca, editori,Scarmagno, 2006.192 pagg.; 22,5 x 28 cm, foto col.• Dopo aver scritto emostrato sul legno e suilegni, precisamente suiLegni antichi dellamontagna (sempre diPriuli&Verlucca, editori),tutto quello che c’era dascrivere e da mostrare, conla sola dichiarata esclusionedei mobili, ecco che JacquesChatelain ci offre, con lostesso benemerito editore,Mobili tradizionali delleAlpi Occidentali.Un libro così si fa anzituttonotare per la prima el’ultima pagina disovraccoperta; poi uno – almodo di Italo Calvino –comincia a rigirarselo tra lemani, sbirciando sotto lasovraccoperta e scoprendo larobustezza di copertina elegatura fatte per durare neltempo; poi, fatalmente, loapre e lo sfoglia.Soffermandoci ancora unpoco notiamo che siamoattratti dalle didascaliesingolarmente ampie, alcuneveri e propri testi esplicativi,

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che ci soccorronopuntualmente quando noncomprendiamo odesideriamo approfondirequalche impressione visiva.Poi è la voltadell’Introduzione di JeanGuibal, etnologo e dirigentedel Patrimonio nazionalefrancese, che chiarisce findal titolo la piena dignitàartistica dell’arte popolare, isuoi rapporti con l’arteaccademica (una volta sidicevano “minore” e“maggiore”), il suo senso, lasua anima, identificata conquella del focolaredomestico.Poi l’ampio saggio diChatelain – viaggiatore delmondo e delle Alpi, espertoe specialista di mobili alpini,membro e amministratore diaccademie e musei francesi,autore organico a Priuli &Verlucca – chiarisce scopi elimiti del libro.Tra gli scopi spicca lavolontà di testimoniarel’autentica cultura dellecomunità montane percapirne la profondaoriginalità, la stupefacentericchezza di produzione,l’unità nella diversità,identificando una sorta di“età dell’oro” delle societàalpine dalle quali ci è stata

tramandata una prodigiosaeredità artistica che sta a noiconoscere, conservare evalorizzare.Il limite, dichiarato fin daltitolo, è quello geografico,identificando nelle Alpioccidentali, – di qua e di làdel confine, privo di sensonei secoli passati come oggiper le popolazioni locali,immerse in una koinèfrancofona senzainterruzioni – il proprioambito di ricerca: quindiSavoia, Delfinato, Valled’Aosta e Piemonte,specialmente nelle zone delMoncenisio e del Monviso,in confronto alle quali lealtre valli sembrano esserestate, quanto ai mobili, menofeconde.Un breve ma utilissimo“Lessico” spiega al nonspecialista termini tecnicialtrimenti astrusi come“monossilo” o “traversafuggente”.Al fondo, una brevepostfazione di HermannDaenzer che, citandoChatelain, afferma: “…ilcirmolo [un pino ottimo perla falegnameria. N.d.R]vuole il coltello…” e,aggiungiamo, il coltello è lapenna dell’ebanista che lousa per lavori di fino e per

scrivere, con caratteri latinio gotici, in volgare ( nelcaso delle Alpi occidentali,francese) o latino, solomonogrammi e date o frasicosì lunghe da costituireesse stesse la decorazionedel mobile, a dimostrazionedell’ormai notaalfabetizzazione precoce,rispetto ai contemporaneipianuricoli, di molte zone,cosiddette arretrate, dellemontagne.E non si venga a dire che sitratta di sola arte naïve ospontanea o incolta: ecco,andiamo a vedere leimmagini, finalmente.Si passa dal Romanico alGotico (ancora nel XVIIsec.), dal Rinascimento(volute, rami ricurvi, fiori,frutti, in gran simmetria) alBarocco Luigi XIII e XIV;da volti evoluti (v. fig. n. 98)al profilo di cavalierealtomedievale da colonnaromanica (v. fig. 108.2); damanufatti arcaici (v. la seriedi sgabelli a tre piedi) asoluzioni “moderne” dimobili a incasso (v. fig. n.149), il tutto nello spaziodegli stessi anni o di qualchedecennio.Concludiamo con unapregnante osservazionedell’Autore, valida per

qualsiasi oggettomusealizzato e/o fotografato,in particolare per i mobili inesame: “Per meglio capiremolti aspetti delladecorazione dei mobili…èimportante collocare –nell’immaginazione – imobili nel loro ambienteoriginale. Nelle stanze pocoilluminate, il volume deimobili scompare nellapenombra…Una fiammaposta vicino a questi motivisagomati e traforati neproietterà la forma sulsoffitto o sul muro opposto,immergendo la stanza inun’atmosfera quasi teatralegrazie al gioco di luci eombre”.Visione magari un po’idilliaca, ma glieloconcediamo, perchésicuramente rende giustiziaall’espressione artistica deiMobili tradizionali delleAlpi Occidentali.

A.G.

Tarcisio Bellò

STORIE DI CONFINEAlta Via dell’Alpi VicentineEditrice La Serenissima,Vicenza, 2006.€ 22,00• Con il doppio volume“STORIE DI CONFINE -Alta Via dell’AlpiVicentine” Bellò ripercorreidealmente il viaggiointrapreso a fine ‘500 dalconte Francesco Caldogno,Provveditore ai confini dellaSerenissima Repubblica interra vicentina, cioè dallavalle del Chiampo a quelladel Brenta. In sostanza FrancescoCaldogno era una sorta digenerale alpino antelitteram, e fra i suoi meritiannovera anche l’idea diistituire le truppe alpinearruolando giovanimontanari “fra quei popoliferocissimi, nati e allevatinel ghiaccio e in continuefatiche...”

T i t o l i i n l i b r e r i aMarco Benedetti

CIASPOLARE IN TRENTINOTrenta facili itinerari con le racchette da neveAlcionEdizioni, Lavis (TN), 2006.144 pagg.; 11,5x17,5 cm; foto col. cartine. € 12,00.

M. Puato, M. Pozzi, M. Nardi

POSTI DI BLOCCOGuida all’arrampicata sui massi di Chiomonte e ExillesLa montagna Libreria Editrice, Torino, 2006.44 pagg.; 15x21 cm; foto b/n, schizzi it. € 8,00.

Felix Wilhelm Hecht von Elda

DIARIO DI GUERRA DAL CORNO DI CAVENTODIARIO DI GUERRA DAL CADRIA E DALLOSTIVOnote a cura di Dante Ongari

Editrice Rendena, Tione (TN), 2006.126 pagg.;/168 pagg.; 16,5x23 cm; foto b/n.

D. Mabboni, M. Mabboni, D. Martini

NON SOLO GHIACCIOTra ghiaccio e dry tooling attorno alla Val d’AmpolaThe Move Editrice, 2006.96 pagg.; 15x21 cm; foto col, schizzi it.

Francesco Cappellari

GHIACCIO VERTICALELe più belle cascate delle Alpi OccidentaliVol. I: Alpi Bresciane. Trentino Occidentale. Alto Adige.Vol. II: Dolomiti Centrali e Orientali. Alpi Giulie.Idea Montagna Edizioni, Selvazzano (PD), 2006.304 pagg./446 pagg.; 11,5x16,5 cm, foto col. schizzi it.€ 18,00/€ 22,00.

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Il suo lavoro ispettivoconfluì sia nella notissima“Relazione dell’AlpiVicentine e de Passi, Boschie Popoli loro” inviata nel1598 al Doge MarinoGrimani, che in centinaia dilettere ducali inedite allegateal poderoso manoscritto,conservato in bibliotecaBertoliana a Vicenza.Il libro di Tarcisio Bellòimpreziosito dalla notaintroduttiva di Mario RigoniStern, si presenta come unostraordinario viaggio cheparte da Recoaro e giungefino al Grappa, attraverso lastoria e le bellezze naturali eartistiche delle montagnevicentine.Documenti inediti,riproduzioni di mappeantiche, fotografie storiche,scorci paesaggistici, scopertadi vecchi cippi confinari...invitano a percorrere ipercorsi segnalati dallapubblicazione, sentieri che

pur essendo facilmenteaccessibili aprono inattesipanorami rivolti al passato ead un contesto più ampio eapprofondito del sempliceescursionismo.

C. Arnò ed E. Lana

RAGNI CAVERNICOLI DELPIEMONTE E DELLA VALLED’AOSTAEdito da Associazione GruppiSpeleologici Piemontesi eRegione Piemonte, 2005.256 pagine, molte foto in b.n. e acolori• Gli artropodi (insetti,ragni, scorpioni, millepiedi,ecc.) non sono consideratianimali simpatici, e inparticolare i ragni sonoquelli meno amati dallagente comune. Eppure ancheloro sono un anelloindispensabile di tutta labiosfera ed è giustoconoscerli e studiarli. Gliautori di questo trattato cioffrono un elenco completo

di tutti i ragni reperiti nelleregioni considerate, citandoligrotta per grotta.La loro base di partenzasono i dati della letteratura,decisamente scarsi, per cui,molte delle notizie riportatesono frutto di ricercheoriginali compiute dagliautori stessi, che hannoampliato enormemente, e inmodo inatteso, leconoscenze precedenti. Essipassano in rassegna tutte legrotte citate nel catasto dellegrotte piemontesi, comeanche alcune grotte nonancora catastate e tanteminiere e gallerie artificiali.In 260 di queste cavità sonostati reperiti ragnicavernicoli.Di ogni grotta, o cavitàartificiale vengono riportati idati topografici essenziali euna breve descrizione,spesso accompagnata da unafotografia dell’ingresso.Quanto alle fotografie, sono

particolarmente pregevoliquelle che ritraggono i“protagonisti” dell’opera,ovvero i ragni; alcune sonostate fatte col microscopioelettronico.Si tratta naturalmente di unapubblicazione scientificadedicata prima di tutto aglistudiosi. Ma penso che verràconsultata con piacere datutti gli speleologi che,entrando in una grotta,desiderano conoscerla il piùpossibile, anche nei suoiaspetti meno noti. Lo stileletterario è semplice e lenotizie sono esposte informa schematica, facile perconsultazione.Il Libro è diffuso a curadell’Associazione GruppiSpeleologici Piemontesi; lasegreteria è presso il CAI-UGET, galleria Subalpina,10100 Torino.Carlo Balbiano d’Aramengo

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IL LIBROParole e immagini: MonteBianco e altre Vette.Sulle tracce di Vittorio Sellae Guido Rey, prosegue neiprimi decenni del ’900l’attività di eccellentifotografi alpinisti che

lasciano tracce importantianche nell’editoria. Tra i rarilibri di montagna italiani chesi possono considerareclassici e in cui la fotografiaha un ruolo centrale,emergono Trent’anni dialpinismo nella catena delMonte Bianco, del 1929, dicui la Biblioteca conservauna copia della tiratura ditesta del 1928, con ex-libris.L’autore è Adolfo Hess. tra ifondatori del CAAI epresidente del Fotogruppoalpino. Solo un anno prima,per opera di altri accademicifondatori, era uscito Vette:ricordi di esplorazioni enuove ascensioni sulle Alpinei gruppi del Monte Rosa,del Cervino e del MonteBianco dal 1896 al 1921 diGiuseppe Fortunato eGiovanni BattistaGugliermina e GiuseppeLampugnani, edito in

proprio nel 1927 auspice laSezione di Varallo del CAI.È un volume ricercato nellaprima sontuosa edizione,illustrato da cinquantottofotoincisioni calcografichesu tavole fuori testo, viratein seppia o blu. Uno degliesemplari posseduti dallabiblioteca proviene dallatiratura a parte, destinataagli omaggi, rilegata inpiena tela blu e titoli oro,impreziosito dalla dedicaautografa. Le fotografie oltreche degli autori sono diFrancesco Ravelli compagnodi tante difficili ascensioni,di Vittorio Sella e di CesareGiulio. Si susseguonopagine avvincenti,nonostante lo stile datato,ma efficace nel resocontodell’azione. Le fotografiesono parte integrante delracconto alpinistico. Scattatecon una particolare cura sulastre 13x18 anche durantele salite più impegnative;alcune sono panorami, altreanimate dai protagonisti inazione. I fratelliGugliermina segnarono dallafine dell’800 al 1920 tappefondamentali nella storiadell’alpinismo italiano.Iniziarono l’attività sulversante valsesiano delMonte Rosa (primatraversata del Colle Vincent,del Colle Zurbriggen, ColleSesia e Punta Gnifetti, primasalita alla Punta Parrot dallaCapanna Valsesia). Sidedicarono poi allasistematica esplorazione delversante meridionale delMonte Bianco. Nel 1899fecero la prima salita etraversata del Colle EmilioRey, nel 1901 la primaascensione del Picco LuigiAmedeo 4470 m; cruciale fupoi la salita della ovestdell’Aiguille Verte, dalversante Nant-Blanc,difficilissimo se si pensa agliscarsi mezzi tecnici eassenza di ramponi e chiodi.

LE NOTIZIE1. Il 19 marzo, Addis Abeba(Etiopia), circa 500 personesono accorse all’IstitutoItaliano di Cultura perl’inaugurazione della mostrae la proiezione dei film sullaspedizione del duca degliAbruzzi all’Uabi-UebiScebeli del 1928-29,progetto delMuseomontagna, conRegione Piemonte eEthiopian Airlines.All’inaugurazione sonointervenuti: E. Longhi,direttore dell’Istituto, R. diLutio, Ambasciatore d’Italia,M. Dirir e M. Gass,rispettivamente Ministro eViceministro della Culturad’Etiopia, R. Marchiori,direttore regionale e AldoAudisio, direttoreMuseomontagna. La mostrasarà allestita nel 2008 alMonte dei Cappuccini.2. La Biblioteca Nazionaleha realizzato un catalogo deiperiodici del CAI, pubblicatiin 144 anni di vita, con leschede delle riviste sezionaliin occasione della mostra IlCAI fa notizia allestita aMontagnalibri dal 24-aprileal 6 maggio a Trento, alloscopo di promuovere unpatrimonio molto vasto evariegato, ma difficilmentereperibile. Esaurite le copiecartacee, gli interessatipotranno richiedere copia sufile in formato pdfscrivendo [email protected].

A cura del MUSEO NAZIONALEDELLA MONTAGNA – CAI -TORINO e della BIBLIOTECANAZIONALE CAI

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LA MOSTRASul limite dell’ombra,Cesare Giulio fotografo èla nuova esposizione alMuseomontagna dal 17maggio. La mostra, curatada Pierangelo Cavanna,costituisce la primaimportante occasione dipresentazione monograficadell’opera di Cesare Giulio(1890-1946), tra le piùsignificative figure dellafotografia italiana nelperiodo compreso tra le dueguerre mondiali, ben notoanche sulla scenainternazionale per la suapartecipazione a decine diesposizioni in Europa, negliStati uniti e in Sud America.Accanto alla sua produzionepiù nota, fatta di abbacinantipaesaggi di neve su cuicomponeva calligrafichetracce di sciatori, ombrefluttuanti di abeti e raffinatemodulazioni del bianco, sipresentano ora le sue primeimmagini inedite, ancorafortemente debitrici dellacultura pittorialista di primoNovecento, rappresentata aTorino dagli autori legatialla Società FotograficaSubalpina e da unaprestigiosa rivista come “LaFotografia Artistica”.La sua militanza nelGruppo Piemontese per laFotografia Artistica, nato inseno alla SocietàFotografica Subalpinanell’inverno del 1921, e nelFotogruppo Alpino dellasezione del CAI di Torino,di cui fu Presidente dopoAdolfo Hess (1929)contribuì a cementare unarete fitta di relazioni coimigliori nomi della scenafotografica locale enazionale, da cui Giuliotrasse suggestioni edoccasioni di riflessione chelo portarono a misurarsi consoggetti per lui nuovi ediversi come le nature mortedi fiori, le vedute urbane e

una bella serie di paesaggiitaliani. Tutte opere digrande rilevanza e interesse,nuove e compiute, chefanno di Cesare Giulio unadelle figure paradigmatichedella fotografia italiana dellaprima metà del Novecento.

LA FOTOUna delle immagini diCesare Giulio esposte alMonte dei Cappuccini.Tutte le foto in mostraappartengono al CentroDocumentazioneMuseomontagna.

IL FILMPremièr de Cordée, del 1944,regista Louis Daquin, è unnotissimo film d’alpinismo.Tratto, dall’omonimoromanzo di Roger Frison-Roche, ha avuto una notevolediffusione internazionale.Pierre Servettaz, figlio diJean, famosa guida alpina diChamonix, vieneincoraggiato dai genitori almestiere di albergatore perallontanarlo dalla montagna.In seguito a un incidenteaccaduto mentre conducevaun cliente sui Drus con ilportatore Georges, Jeanmuore e Pierre, perrecuperare il corpo, partecipaalla spedizione di soccorsorestando pure lui vittima diuna caduta. Purtroppo, comegià l'aveva avvertito ilmedico, soffre di vertigini, equesto gli nega la possibilitàdi seguire le orme paterne.Con molta pazienza,determinazione e con l'aiutodi Georges - a sua voltaconvalescentedall'amputazione di un ditodel piede - riuscirà a vincerele vertigini e a diventareguida alpina come il padre.

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Dopo aver introdotto l'argomento nellaprima parte, in questa seconda siriportano una breve sintesi dei risultatidelle prove ed alcune indicazioni chepossono interessare l'utilizzatore.Ulteriori ricerche sono in corso percomprendere meglio alcuni elementiemersi durante i test.

Definizione deiparametri di provasperimentale In accordo con la convenzioneintrodotta da Harmston [1], conriferimento alla fig. 1, si definisce

positivo un angolo α di infissione convite inclinata nella direzione del carico.Si definisce condizione di caricoradiale quella configurazione in cui ilcarico (FR) agisce parallelamente allasuperficie di infissioneindipendentemente dall'angolo α concui è infissa la vite; è definita invececondizione di carico assiale quella incui la retta di applicazione della forza(FA) coincide con l'asse del tubo.Si sono usate le due modalità di caricoper verificare quanto i due tipi di filettopotessero mostrare un differentecomportamento e influenzare larelazione tra le tenute nelle duedirezioni.Le figure 2 e 3 mostrano larealizzazione in laboratorio delleconfigurazioni di carico.Nelle prove realizzate, il carico radialeè stato applicato utilizzando la placca,cioè la parte della vite a cui si applicail carico nell'uso pratico (fig. 2). Ilcarico assiale è stato invece applicatoin modo che esso non generasseflessione (fig. 3). Chiameremo “bloccoo supporto” il corpo in cui la vite vieneinfissa (fig. 2).

Risultati delle provecon carico radialeA tutti gli angoli di infissione e pertutte le lunghezze, con carico radiale,

al crescere della forza applicata simanifesta innanzitutto un cedimentodel supporto nella zona dicompressione vicino alla placca cuicorrisponde l'inizio della “rotazione”della vite sul piano del carico. Quandol'angolo fra l'asse della vite e laperpendicolare al “blocco” raggiunge i50° circa, la rotazione termina e la vitefuoriesce dal solco creatosi (fig. 4).In laboratorio il tempo di estrazionedipende dalla lunghezza delle viti edalla velocità di carico. Con la velocitàdi trazione utilizzata (3,4 cm/s) essoera circa 1÷ 5 secondi. Si ritiene cheanche usando blocchi di ghiaccio alposto del cemento si sarebberoriscontrati tempi di questo genere,poiché il processo di estrazione, contrazioni “lente”, è analogo.In condizioni reali, al variare dellaqualità del ghiaccio e della velocità diapplicazione del carico, ci si aspettanoalcune differenze, quali ad esempio undifferente angolo di fine rotazione oestrazioni caratterizzate da una durataestremamente più breve.È evidente che la tenuta dipendefortemente dalla risposta del mezzo disupporto allo stato di tensione che viinduce la vite. Ad esempio, in figura 5,si evidenzia come, secondo l'angolo diinfissione, il carico solleciti con undiverso braccio di leva l'imbocco delforo e come sia diversa l'orientazionedel “labbro resistente” del materiale,cioè come il volume su cui si appoggiala vite sotto carico presenti verso lasuperficie un diverso angolo resistente.Con infissione ad angoli negativi lacomponente assiale del carico è dicompressione e dovrebbe quindifavorire l'affondamento della vite;tuttavia “labbro resistente” e braccio dileva della componente radiale delcarico sono tali che la condizionecritica di cedimento del supporto si

raggiunge con carichi più piccoli diquelli necessari con angoli positivi.Con angoli positivi la componenteassiale del carico è di trazione, ma ilfiletto con la sua tenuta riesce acontrastare l'azione di estrazione; lacondizione critica si raggiunge concarichi applicati maggiori, ancheperché, come detto, ad un meglioorientato “labbro resistente”corrisponde il braccio di leva minore.In un totale di 90 estrazioni -utilizzando materiale Grivel (viti modelli360° ed Helix da 12, 15, 17 cm.) confiletto inverso e Black Diamond (viti da13, 19, 22 cm) con filetto dritto -nessuna vite ha presentato rottura nédel tubo né della placca. Le viti lunghesino ai 17 cm non si sono piegate; itubi da 19 cm presentano frequenticasi di piegamento del gambo neltratto non filettato, tutti i tubi da 22 cmsi sono piegati.La tenuta delle viti risulta dipenderelinearmente dalla lunghezza, qualsiasisia l'angolo e il tipo di filetto.Includendo nell'interpolazione l'originedegli assi (nessuna vite - nessunatenuta), le “rette di tenuta” sonodefinite con un buon coefficiente dicorrelazione per ogni tipo di filetto. Lafigura 6 riporta la tenuta ai diversiangoli senza distinguere il tipo difiletto; si può dedurre come la stessanon dipenda dal filetto. Per ledimensioni radiali considerate

Viti daghiaccioUno studio sulla tenuta seconda parte

di Stefano Craccoe Giovanni Meneghetti

Figura 5: Il braccio di leva B ecolorato il “labbro resistente”dipendono dall'angolo di infissione.

Figura 4: Solchi di estrazione,le frecce nere indicano le direzioni

di infissione, le linee gialle le “rette di estrazione”.

Figura 1: Definizione dell'angolo diinfissione e dei carichi sulla vite. Le condizioni di carico studiate sonoα = 0°, α = ±20° con carico radialeFR, e carico assiale FA (α = 0°).

Figura 2: Carico radiale. Figura 3: Carico assiale.

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(praticamente uguali nei due marchi) eil mezzo utilizzato (cemento Ytong) èpossibile concludere che ad ognicentimetro di infissione corrisponde unincremento di tenuta di circa 70 - 90daN (1 daN ≈ 1 kg) a secondadell'angolo di infissione. A parità dilunghezza della vite, la massimatenuta si ha con angolo di infissionepari a 0°.Questo ultimo fatto risulta confermatoper tutte le viti, tutte le lunghezze edentrambi i tipi di filetto comeevidenziato dalla fig. 7; si noti chequesto risultato differisce da quantoindicato da Harmston e Semmel [1, 3],che trovano i migliori risultati conangoli di infissione positivi, è invece inaccordo con Alziati e Custer [2, 5].Si può supporre che l'effettocombinato della componente assialedel carico e del braccio di leva dellacomponente radiale, assieme alladiversa orientazione del “labbroresistente” indotta ai diversi angoli,

renda più gravosa l'infissione ad angolinegativi.Nei confronti della tenuta con angoli diinfissione negativi (fig. 1), la migliortenuta con infissione a 0° (viteperpendicolare alla superficie delblocco) sembra dovuta alla piùfavorevole ripartizione del carico sulbordo del foro relativamente al “labbroresistente”.I risultati esposti sembrano suggerireche, la tenuta possa dipendere inmaniera non trascurabile dallecaratteristiche geometriche dellaplacca e dalla sua possibilità, o meno,di disporsi parallela alla superficie diinfissione.La disponibilità pratica di un solodiametro di tubo e la predominanteinfluenza della lunghezza della vitesulla tenuta sembrano indicare che,una volta decisa la lunghezza, la sceltadell'attrezzo possa essere fattaessenzialmente in base alla capacità dipenetrazione e all'avvitabilità.

Figura 6: Correlazione tra lunghezza della vite e carico di estrazione radialeper diversi angoli di infissione (dati non separati per tipo di filetto).

Figura 7: Valori medi di tenuta a carico radiale misurati per i diversi angoli diinfissione (BD viti Black Diamond, modelli Grivel le altre).

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Risultati delleprove con caricoassiale Nelle 15 estrazioni assiali (fig. 3) sisono utilizzate le viti corte con 3 tubidifferenti per filetto e lavorazionesuperficiale. A differenza del caricoradiale il comportamento e la tenutadipendono in maniera evidente dalfiletto (fig. 8 e 10).Il filetto inverso Grivel (tubo di 12 cm)mostra un gran cono d'estrazione (fig.8 e 9) ad indicare che vi è unadistribuzione efficace del carico nelcemento. Con questo filetto si ha la

tenuta media maggiore (737 daN).Il filetto dritto BD (tubo di 13 cm)mostra cedimento del materiale incorrispondenza del diametro esternodel filetto senza quindi asportazionedi un cono di materiale, oppure conasportazione minima di materiale. Purcon una profondità di infissionesuperiore di 1 cm rispetto agli altridue tubi, si è misurata una tenutainferiore (592 daN). Questosembrerebbe indicare che i filetti chesopportano la componente assiale delcarico sono i primi verso l'esterno.Con il filetto dritto Grivel (tubo di 12cm) privo di nichelatura il conod'estrazione è più piccolo rispetto alfiletto inverso, ma ancora benevidente, e pertanto la tenuta (639daN) risulta l'intermedia tra le tre. Nelconfronto con il filetto dritto BD lapresenza del cono di estrazione èimputabile, probabilmente, allafinitura superficiale più grossolana.A conclusione del presente paragrafosi ritiene utile ribadire che il differentecomportamento dei vari tipi di filetto,ottenuto con carico assiale, nonsembra invece influenzare la tenutacon carico radiale, dove la rotazioneche si produce provoca ladisintegrazione del materiale attornoal foro e la distruzione delle cresteche si erano formate durantel'avvitamento. Una volta innescatotale fenomeno, il filetto non è più in

grado di resistere al carico assiale(fig. 4).

Conclusioni esuggerimentiIl confronto con i dati da prove inghiaccio è molto interessante: sia imeccanismi di cedimento descritti [1,2, 5] che i valori di tenuta misurati[1-6] sono in buon accordo con leprove in calcestruzzo cellulare.Dai dati a disposizione, i test in Ytongsembrano simulare in modosoddisfacente molte prove inghiaccio. Potranno dunque essereusati per integrare ed estenderevalutazioni ottenute da test inghiaccio.Dal confronto con le tenute misuratedai vari autori, si potrebbe azzardarel'ipotesi che test con velocità dicarico di qualche cm/s e uso dicalcestruzzo cellulare sianorappresentative di tenute con certi tipidi ghiaccio e velocità di carico nonmolto elevate. Le prove che il ClubAlpino ha in programma potrannofornire informazioni interessanti.A conclusione, pur se nondirettamente in tema con lo studio inoggetto, alcuni suggerimenti sonopossibili e, se superflui per ilghiacciatore esperto, possono essereutili spunti di riflessione per chi siavvicina a questo mondo.• L'attività alpinistica in genere

comporta sempre rischi; il buonsenso dice che questidiminuiscono con preparazionefisica, psicologica e tecnicaadeguate. A maggior ragione, datala sua natura “effimera” evariabile, il ghiaccio e l'ambientein cui per esso ci si muove vannoaffrontati con conoscenza econsapevolezza particolari.

• A differenza dell'arrampicata in falesia, dove protezioni ottimesono già presenti, nell'arrampicatasu ghiaccio i punti diassicurazione devono essereposizionati durante laprogressione e la tenuta dipendestrettamente dalle qualità delghiaccio. E' quindi evidente come,pur con attrezzature valide, il“fattore umano” e l'esperienza risultino basilari per attuare valutazioni e comportamentcorretti.• Le viti in accoppiamento con ghiaccio buono hanno la capacità di garantire la tenuta di un ottimo ancoraggio in roccia, ma bisogna operare considerando che questaè solamente un'ipotesi e spesso,proprio per la sua morfologia, il ghiaccio si presenta “cattivo” doveaumenta la necessità diproteggersi; il ghiaccio deveessere considerato a tutti glieffetti un “terreno d'avventura”.• ista la precarietà possibile delle protezioni (si ricorda inoltre che corde bagnate o ghiacciate riducono almeno del 50% le proprie caratteristiche di resistenza), devono essere presi tutti i possibili accorgimenti del caso per ridurre i picchi di sollecitazione (costruzione di sosteappropriate, corretta disposizione delle protezioni, adozione dimetodi di assicurazione idonei all'attuazione di trattenute morbide, ecc….). In caso di voloquesta è l'unica maniera razionaleche consente di stare il piùlontano possibile dal complessoinsieme di fattori che definisce illimite di cedimento

Figura 8: Le viti corte utilizzate per le estrazioni assiali.

Figura 9: Cono di estrazione delfiletto inverso.

Fig. 10: Valori medi della tenuta acarico assiale; da sx a dx, filettidrittoBD, inverso e dritto Grivel.

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dell'ancoraggio.• Non posizionare le viti ad angolinegativi, come il senso comune potrebbe far pensare. Tutte lericerche mostrano come questa sia l'infissione peggiore conriduzioni di tenuta stimabilinell'ordine del 20% - 50%. Sealcune esperienze in ghiaccioconsigliano angoli di infissionepositivi, l'incertezza legata alcomportamento più o meno fragiledel ghiaccio e la correttavalutazione dello stesso orientano verso l'infissione a 0° (viteperpendicolare al ghiaccio, comedel resto indicano altreesperienze). Questo vale amaggior ragione in sosta, quandoviti inclinate verso il bassoverrebbero a lavorare con angolonegativo in caso di ribaltamentodella sosta.• In ghiaccio buono anche le viticorte (12-13 cm) possono fornire un'adeguata tenuta, ma quando il ghiaccio e le condizioni della salitalo consentono è sempre preferibileuna vite media (15-18 cm); le viti lunghe possono avere la loroutilità in sosta o per lacostruzione di Abalakov.• Una fresa affilata, oltre a renderepiù agevole e veloce l'infissione,riduce i danni prodotti nel ghiacciocon effetto favorevole sulla tenuta.I filetti dritto o inverso, se con paridiametri e proporzioni delle viti,non mostrano differenze percarichi radiali, certamentedistribuiscono diversamente lacomponente assiale del carico concomportamento migliore confiletto inverso.• Infissioni parziali possonodeterminare bracci di leva troppoelevati riducibili attraverso unafettuccia; tuttavia, quandopossibile è certamenteconsigliabile l'utilizzo di viti di lunghezza adeguata allo spessore del ghiaccio.• L'utilizzo di rinvii o fettucce infilati sul gambo della vite porta allariduzione della lunghezza utile diinfissione con proporzionaleriduzione della tenuta. Inoltre, perinfissioni parziali il braccio di leva che può formarsi per scorrimento della fettuccia stessa, sotto carico induce un pericoloso aumentodella sollecitazione all'imbocco delforo, zona critica nella frattura delghiaccio.

Riferimentibibliografici1. Chris Harmston (1997) - Myths,Cautions and Techniques of Ice ScrewPlacement - Ricerca Interna BlackDiamond, Salt Lake City, Utah.2. Warren Bennett, Stefano Alziati(Spring 2003) - Simulating andTesting Ice Screw Performance in theLaboratory - Final Report, MITUniversity, Cambridge,Massachusetts.3. Von Chris Semmel, DieterStopper (2005) - Eiskalt und dochbrandheiß? - DAV Panorama2/2005.4. Jon Heshka - Holding strength ofIce Screws vs. Placement Angle -Final Report, Research year2004/2005, Thompson RiverUniversity, Kamloops, Canada.5. K. Blair, D. Custer, S. Alziati, W.Bennett (2004) - The effect of loadrate, placement angle, and ice typeon ice screw failure - TheEngineering of Sport 2004, Volume2 p.283.6. J. Marc Beverly, Stephen W.Attaway - Dynamic shock loadevaluation of ice screws: a real-worldlook - MRA Annual Report 2006.7. Richard Lionel (1998) -Elaboration d'un matériau desubstitution a la glace, RicercaLaboratorio APAVE Lyonnaise,Tassin Cedex, France.8. AA. VV. Commissione CentraleMateriali e Tecniche (2002) - Letecniche di assicurazione in parete,Quaderni CCMT.

RingraziamentiSi ringrazia Giuliano Bressan, PatrizioCasavola e Carlo Zanantoni, per il lorosupporto materiale e i preziosisuggerimenti. Collaborazione econsigli sono stati dalla GRIVEL. Dallediscussioni con Maurizio Pretto eMaurizio Gallo abbiamo attintoelementi importanti in più diun'occasione.In laboratorio Sandro Bavaresco eRenzo Segafreddo sono statiindispensabili.

Chi avesse esperienze oconoscenze a proposito dicedimenti di viti da ghiaccio puòscrivere a [email protected]

Stefano CraccoScuola Sengio Alto - CAI

Sezioni di Valdagno, Recoaro,Arzignano

Giovanni MeneghettiDipartimento di Ingegneria

Meccanica - Università diPadova

Distribuito da:

AMORINI srl - Perugia

Tel. 075/691193 - Fax 075/5913624

www.amorini.it - [email protected]

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Il tempo è sempre piùuggianaqtuq. È sotto gliocchi di tutti, anche inEuropa, a sud e a nord delleAlpi. Uggianaqtuq. Nonconoscete la parola? Si trattadi un termine dei cacciatoriInuit dell'isola di Baffin,nell'artico canadese. Perintuirne il significato bastapensare al tempo degliultimi anni. Nel nord dellaSvizzera non c'era mai statoun autunno così caldo negliultimi 500 anni. In unrapporto della SocietàMeteorologica Italiana silegge: “Il trimestre dicembre2006 - febbraio 2007 è statoil più mite dall'inizio dellemisure meteorologiche sututto il Nord-Ovest italiano,compresa l'alta Toscana.”Poi ci sono estati piovosecome non mai, venti e tifonisenza precedenti. E nevicatetutte di un botto come nel2005, anno in cui l'invernopiù rigido si fece sentire aMarzo, tipicamente il mesedelle prime fioriture.Quindi non ci sarebbe dastupirsi se da domani in tuttolo stivale, il panettiere, lamaestra di scuola,l'impresario e chiunqueincontriamo ci confidasse albar: “non c'è niente da fare:il tempo si è fatto

uggianaqtuq.” La lingua simodifica, si fa globale,allora appropriamoci deltermine Inuit che descrive iltempo quando diventaimprevedibile, sconsiderato,capriccioso.Sull'isola di Baffin il sistemadi monitoraggio ambientaleè il più antico del mondo:l'osservazione personale deifenomeni ed un catalogostorico riassunto in raccontiorali. Il sitema è più anticodei satelliti, e si avvale diinformazioni prese sulluogo, quotidianamente.

Consideratelo un progetto dicatalogazione cominciatocirca 10mila anni fa daimassimi esperti di ghiaccio eneve. Nel 2001, Shari Fox,una ricercatrice canadesedella Università delColorado, ha intervistato icacciatori di una regioneartica dell'isola di Baffin.Erano tutti d'accordo: iltempo stava diventandosempre più uggianaqtuq.

Ora era difficileprogrammare la caccia allefoche o la pesca.I torrenti erano impetuosi einguadabili in periodi in cuinormalmente non lo erano.Alcuni ghiacciai si stavanoritirando, ma altriavanzavano al galoppo.La neve si comportava inmaniera strana e questoinfluiva sui movimenti deicaribù.

P O P O L I A R T I C I

La vita èuggianaqtuqGli Inuit dicono che il tempo è diventato imprevedibile.A noi questo crea problemi nella organizzazione dellescialpinistiche, a loro nella caccia e nella pesca.

di JacopoPasotti

Qui sopra: Nei primi del 1900l'esploratore americano Robert Pearysi fece accompagnare verso il polonord da guide Inuit. Nella foto,l'esploratore e le guide mentrecercano di misurare la profondità delfondale marino nell'artico.

L'isola di Baffin (foto: NOAA).

Qui sotto: Ricostruzione del luogo incui svernò il Duca degli Abruzzi sulfinire del XIX secolo, sulla rotta per ilpolo nord, al museo Polare SilvioZavatti, a Fermo.

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Fino a qualche decade fa gliscienziati non vedevanoalcun interesse nel saperelocale. Era un sapere “nonscientifico” secondo laricetta scientificaoccidentale. Ma è un sapere,ed ora aumentano gli sforziper integrare questaconoscenza millenaria allascienza tradizionalemoderna. Nel 2005 unostudio influente sull'effettodel clima dell'artide, l'ArcticClimate Impact Assessment,avvertiva che il sapere localeera un aspetto a cui gliscienziati avrebbero dovutoprestare maggioreattenzione. Ora che l'Annopolare internazionale pone lasostenibilità e le prospettivefuture delle società artichetra i temi prioritari nellaagenda dei ricercatori, c'è unnuovo stimolo peravvicinare le due forme distudio della natura.In Italia la collaborazionecon i popoli artici è giàiniziata. Ad occuparsene cisono Gianluca Frinchilluccied i suoi collaboratoridell'Istituto GeograficoPolare (IGP) di Fermo, nelle

Marche. Tra questi c'è LauraBacalini che ha appenaterminato una tesi inCooperazione Internazionalealla università di Urbino.Bacalini racconta la storiadelle popolazioni Ciukchi,allevatori di renne epescatori-cacciatori dellaSiberia orientale. DeiNemets, sempre in Siberia,nella penisola Taymir. Deipiù noti Inuit canadesi egroenlandesi e dei Sami, inLapponia. Un insieme dipopolazioni che siaffacciano su quello cheBacalini chiama ilMediterraneo artico. Sonopopolazioni che si sonoinsediate nell'artico 10milaanni fa, al terminedell'ultima glaciazione. Inquelle regioni oggi vivonocirca 4 milioni di persone, dicui la maggior parte direcente immigrazioneeuropea.Il team dell'IGP ha lanciatoun progetto di mappaturadelle popolazioni artiche chenon è un puro eserciziogeografico, ma una idea percercare di capire meglio lesingolarità di questi gruppi

etnici e la relazione conl'ambiente fisico che lecirconda. Questo è un passoper migliorare il dialogo congli abitanti dell'Artico.Perchè, per strano che possasembrare, non esiste ancorauno studio sulle società delleregioni circumpolari nel loroinsieme.Per decenni il tema non èstato considerato importantedai governi delle medielatitudini. Dalla Russia alNord America i governicentrali pensavano di esseredi fronte a minoranzefacilmente assimilabili. Si ètentato di cambiare questeculture con mezzi forzati diacculturazione qualil'istruzione obbligatoria, imedia e le mode culturali daessi indotte. Mode che,evidentemente, in quelleregioni non hanno senso edhanno prodotto un senso difrustrazione ed abbandono.“Gli Inuit ora pensano che ledecisioni vengono preseintorno a loro e per loro”dice Laura. Intorno agli anni'50 e ' 60 fu imposta inalcune nazioni l'educazionenella scuola dell'obbligo

anche per le popolazioniindigene. I bambinidovettero frequentare scuolelontane dalle loro famiglie,con la perdita della fluiditànell'uso della loro linguamadre e l'alienazionerispetto alle tradizioni diorigine, spiega la ricercatricemarchigiana.Per questo ora serve lascienza: costruire una mappadi queste società e poiiniziare un dialogo mirato,per prepararsi aicambiamenti ambientali chegli scienziati prevedono.“I cambiamentirappresentano una costantenell'Artico”, dice ancoraBacalini.Ci vorrà del tempo perl'analisi etno-antropologicache la ricerca richiede, mafinalmente i governi centralihanno un nuovo sguardo suqueste popolazioni. Tral'altro le civiltà artiche sonoabituate ai cambiamenti,meglio della nostra società.Sono sopravvissute acambiamenti climatici chehanno schiacciato, si pensa,civiltà come quelle Maya oquelle Mesopotamiche,collassate circa 3000 anni fa.Finalmente abbiamo capitoche c'è molto da impararedalle società che vivononell'artico. Meglio tardi chemai: cambiando la nostraattitudine avremo lapossibilità di apprenderedalle culture circumpolaristrategie utili per adattarci alclima che cambierà.

Jacopo Pasotti

Maggiori informazioni sulle attivitàdell'Istituto Geografico Polare sitrovano in:www.museopolare.it

Il clima e le società del passato sonooggetti di un libro molto interessante:La lunga estate. Come le dinamicheclimatiche hanno influenzato lacivilizzazione. Fagan Brian, Codice.2005

Bambini di tutto il mondo unitevi. Gioco sulle coste artiche (foto: NOAA).

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Primavera e fiorituraanticipata, stagione sciisticadimezzata, ghiacciai inarretramento, caldo afoso efiumi in secca a marzo: inpoche parole “cambiamentoclimatico”!Anche se non c’è la provascientifica che sial’inquinamento prodottodall’uomo e ladeforestazione globale acausare tutto questo, bastaun po’ di buon senso percapire che se il clima stacambiando, lo sta facendotroppo rapidamente, conritmi che non sono perniente naturali. Letemperature della Terrastanno aumentando a causadella crescita repentina edeccessiva degli stessi gasche da milioni di annitrattengono il caloreall’interno dell’atmosfera,permettendo lo sviluppo e ilsuccessivo mantenimentodella vita vegetale eanimale. In poche parole,con l’avvento dell’eraindustriale, da 100 anni sista alterando quella misceladi condizioni chimichedell’aria che permetteva, inequilibrio dinamicomillenario, al cosiddetto”effetto serra” di essere unfenomeno positivo per tuttinoi!La società civile ha lanciatoda anni l’allarme e anche i

Governi di (quasi) tutto ilmondo hanno deciso di farequalcosa, almeno per ridurrel’inquinamento.Il “Protocollo di Kyoto” èuno di questi atti formali.

Il ruolo delleforeste eil cambiamentodel climaNegli ultimi anni si èverificata una granderivoluzione culturale che hapermesso alla collettività divedere i boschi in manieradiversa. Da sempre i boschisono stati visti come“i polmoni della terra”perchè produttori d’ossigenoe “i difensori del suolo”perchè grazie al loroapparato radicaledifendevano la stabilità dellemontagne. Ma oggi loscenario è totalmentecambiato e i boschi giocanoun altro ruolo fondamentale,sia dal punto di vistaambientale che economico,grazie al proprio ruolo diassorbimento di anidridecarbonica, cioè la CO2:attori nella lotta all’effettoserra.L’eccesso di anidridecarbonica è considerato lacausa principale dell’effettoserra a livello planetario,insieme ad altri cinque gas“climalteranti” (tra cui ilmetano (CH4), il protossidodi azoto (N2O) e i

clorofluorocarburi (CFC)).Il continuo aumentonell’atmosfera di anidridecarbonica è imputabile inbuona parte all’attivitàumana, attraverso l’utilizzodi combustibili fossili, maanche alla progressivariduzione della superficieforestale nelle aree tropicali(circa 9 milioni di ettaril’anno secondo la FAO).La vegetazione forestale èparticolarmente efficace intermini di sottrazione diCO2 atmosferica eimmagazzinamento dellastessa sia nel legno che nelsuolo attraverso lafotosintesi; le forestecomunque contribuiscono aridurre per circa il 25% leemissioni dovute all’uso dicombustibili fossili, quindilo strumento più efficace perridurre l’inquinamento èl’abbattimento dell’uso delpetrolio e del carbone e/ol’aumento dell’efficienzaenergetica degli impianti.

Il Protocollodi Kyoto,come funziona?Proprio per ridurre l'effettoserra, nel dicembre 1997l’Italia e altri 83 Paesisottoscrissero a Kyoto, inGiappone, un accordointernazionale: il Protocolloper la riduzione dei gasclimalteranti. Il protocollo,successivamente ratificato

da 164 Paesi ed entrato invigore il 16 febbraio 2005,ha definito per la maggiorparte dei Paesiindustrializzati una riduzionedell'emissione di gas serra dialmeno il 5,2% (6,5% per l'Italia) rispetto al quantitativoemesso nell’aria nell’anno1990, nel periodo diadempimento che va dal2008 al 2012. I Paesi piùindustrializzati inoltre,devono realizzare un sistemanazionale per la stima delleproprie emissioni gassose,che verranno considerate dalProtocollo per un sistemaglobale di compensazioneeconomica, in caso di nonraggiungimento degliobiettivi di riduzione nelleemissioni dei gas“climalteranti”. La riduzione in questi Paesisi può “rendicontare”investendo sia a livellonazionale che attraversoprogetti realizzati in altriPaesi, basandosi sulprincipio generale cheessendo il serbatoioatmosferico dei gas serra ditipo “globale”, gli interventisia di contenimento sia diassorbimento delle emissionisaranno efficaciindipendentemente dal luogodel pianeta in cui essi siverificheranno.Quindi il Protocollo diKyoto riconosce che si

I boschi,non soloossigeno!Il protocollo di Kyoto spiegato in parole semplici

di Antonio Brunori,a cura del CAIAmbiente e dellaCommissioneCentrale TutelaAmbiente

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possono guadagnare “creditidi carbonio” applicando, adesempio, tecnologie ad altaefficienza energetica,sostituendo energie fossilicon energie rinnovabili,aiutando i Paesi in via disviluppo ad evitareemissioni inquinanti(esportando quinditecnologie pulite), ma ancheattraverso le attività agricole

e forestali. Gli impegni di riduzionedell’inquinamento assuntisottoscrivendo il Protocollodi Kyoto sono vincolanti peri Paesi firmatari e darannoorigine, nel caso nonvengano rispettati, a dellevere e proprie multe, che siraffigurano comecompensazioni finanziariealle nazioni aderenti al

Protocollo che hannoraggiunto i propri obiettivi. Per tale motivo molti Paesicon obbligo di riduzionedelle emissioni sonodiventate attive peracquistare quantità dicarbonio che altri Paesiavevano virtuosamenteaccumulato, anche grazie alproprio abbondantepatrimonio forestale. Le “quote di emissione delCarbonio” sono quindidiventate di fatto una merceche può essere liberamentescambiata a livelloplanetario e il cui prezzo èpertanto fissato da un liberogioco di domanda-offerta.Attorno allo scambio diquote di emissione èrapidamente nato un mercatoin cui operano brokerspecializzati nel “commerciodel carbonio” (il carbontrading) e, recentemente, sisono tenute sia in Italia cheall’estero le prime “fiere del carbonio”. Qualche movimentoambientalista, purriconoscendo l’impegno dimolti governi verso la lottaal riscaldamento globale,hanno definito questomercato un formale“semaforo verde” acontinuare ad inquinare e aimpegnarsi di meno allariduzione delle emissioni.

ConclusioniLe conseguenzedell’eccessivo sfruttamentodelle risorse naturali e deglisprechi tipici della societàconsumistica sono oraevidenti con i cambiamenticlimatici, ma l’allarme è datempo comunicato dastudiosi e ricercatori,climatologi e botanici.Che possiamo fare permigliorare la situazione? A livello statale l’Italia èuno dei Paesi europei chenel passato, pur avendofirmato il Protocollo diKyoto, ha fatto di meno perla sua applicazione. Taleimpegno, morale ed etico,riguarda la responsabilitàche le nazioni ricche hannonei confronti dellaconservazione dellabiodiversità, la lotta alladesertificazione, la lotta alcambiamento climatico,come sancito dalle treconvenzioni quadro emersedall’Earth Summit di Rio deJaneiro del 1992. Qualcosa sta cambiando alivello statale. Nell’attesache le odierne promettentiazioni governative diventinooperative nel settore delleenergie rinnovabili edell’efficienza energetica, èimportante che l’impegnoper migliorare la situazioneparta dai singoli, da noistessi, affinché si riducanogli sprechi e si rispetti di piùl’ambiente.Tale comportamento, che èinnato nell’iscritto al CAI,dovrebbe essere trasmesso ediffuso con l’esempio e lapratica, nei gesti semplici equotidiani. Il rispetto dellerisorse naturali, oltre aportare degli indubbivantaggi economici, ha delleragioni pratiche edessenziali: questa è l’unicaTerra che abbiamo!

Antonio Brunori(dottore forestale

[email protected])

Cosa è il Protocollo di KyotoIl Protocollo di Kyoto sui cambiamenti climatici è un accordointernazionale che stabilisce precisi obiettivi per i tagli delleemissioni di gas responsabili dell'effetto serra, delriscaldamento del pianeta, da parte dei Paesi industrializzati. E' l'unico accordo internazionale che sancisce una limitazionedelle emissioni ritenute responsabili dell'effetto serra, deglistravolgimenti climatici, del surriscaldamento globale.Si fonda sul trattato United Nations Framework Convention onClimate Change (Unfccc), firmato a Rio de Janeiro nel 1992durante lo storico Summit sulla Terra (Conferenza di Rio). Perattuare il trattato, nel 1997, durante la Conferenza di Kyoto, inGiappone, è stato studiato un "protocollo" che stabilisce tempie procedure per realizzare gli obiettivi del trattato sulcambiamento climatico.Nel 2001 gli USA, al primo posto per quantitativi di gas serraa livello globale, si sono ritirati dal tavolo dell'accordo,dicendo che avrebbe danneggiato l'economia USA e avrebbeingiustamente favorito i Paesi in via di sviluppo (gli USAriversano in atmosfera il 33,6% delle emissioni di gas serramondiali). La Cina, al secondo posto per le emissioniinquinanti, se ne disinteressa. Nel novembre 2004 il parlamento russo ha aderito alprotocollo. Il protocollo di Kyoto è entrato in vigore nelfebbraio 2005.

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Roberto è partito di buonmattino. La giornata èsplendida, fa caldo e sulsentiero ha incontrato moltiescursionisti che hannoapprofittato delle ottimeprevisioni per trascorrere ladomenica in montagna. In unpaio d'ore ha raggiunto ilrifugio ed ora si staincamminando verso la cima.L'ultimo tratto del percorsosi svolge su facili roccette.Oramai mancano circa uncentinaio di metri alla vetta,si scorgono la croce edintorno alcune persone. Adun tratto una signora davantia lui inciampa, cade e batteviolentemente la gamba suun sasso. Roberto si avvicinavelocemente e nota che ilsangue esce copioso da unaferita in cui si intravede unmoncone osseo. Il panico loassale, la signora urla per ildolore, sopraggiungono altriescursionisti, qualcuno estraeun fazzoletto dallo zaino eprova a tamponare, in duediscutono su cosa sia megliofare, alla fine uno tira fuoriun telefono cellulare echiama concitato il 118.Nonostante le domandedell'operatore a causadell'agitazione leinformazioni appaionoconfuse e frammentate.L'infortunata è pallida esudata, il sanguinamento nonsi arresta. Dopo circa dieci

minuti arriva l'elicottero, ilmedico presta le prime curee la signora viene trasportatain ospedale mentre i presentitirano il classico “sospiro disollievo” per non essererimasti coinvolti in unatragedia. Si discute per unpo' sull'accaduto,sopraggiunge qualchecurioso che aveva osservatola scena a distanza. Robertosale alla cima un po'sconvolto, si siede davantialla croce e pensa: se avessisaputo cosa fare.. beh,l'importante è allertare isoccorsi, per fortuna cheesistono i telefoni cellulari! In realtà questa riflessione famolto bene alla nostracoscienza e ai nostri doveridi cittadini, molto meno peròalla salute dell'infortunato.Vi sembrerà inverosimilecome può esserlo perRoberto ma talvolta, e inmontagna più che mai, ivostri interventi potrebberoanche salvare la vita di unapersona. E' questo il caso diuna emorragia arteriosa incui la situazione puòprecipitare in pochi minuti.Vediamo allora qualcheconcetto teorico per chiarircile idee sulla pratica. Innanzitutto è opportunodefinire in cosa consiste unaferita che è l'interruzionedella cute, la barriera delnostro organismo verso le

aggressioni di agenti esterni,con la possibilità di lesioni atessuti più profondi qualisottocute, muscoli, tendini,articolazioni e come nel casocapitato al nostro Robertoanche di ossa. Alcuni esempisono rappresentati dallasemplice abrasione (lesionesuperficiale), dalla classicaferita lacero contusa (quellaforse più frequente, quandoin una caduta il dannoavviene con meccanismocontusivo), dalle lesioni dapunta e da taglio (le primecausate da un corpoappuntito e per questo avolte anche profonde, leseconde a margini netti comeda lame o bordi affilati). In linea generale come vatrattata una lesione di questotipo? Vale la regola dicercare prima di tutto di

lavare con acqua. Incondizioni ideali sarebbeopportuno detergere consoluzione fisiologica equindi disinfettare con uncomposto dello iodiopulendo la lesione conmovimenti circolari dalcentro della ferita stessaverso i bordi. Una voltaeffettuata la disinfezione ènecessario coprire con dellegarze sterili che oltrepassinoi margini della lesione erendere la medicazione“occlusiva” ovvero nondevono essere presenti vie dicomunicazioni tra l'internodella medicazione stessa el'ambiente esterno. (figura 1)In mancanza di questi presidiperò ci accontenteremo dilavare con acqua e coprireper provvedere in seguito aduna pulizia più approfondita.

Ferite, frattureedemorragiein montagna quando l'ospedale non è a portata di mano!

a cura della CommissioneCentrale MedicaTesto di Silvia Piombino

Fig.1: Esempio di medicazione occlusiva.Sotto: Punta Berrino (f. Nicola Bazzanella).

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Sono comunque da evitaretutti i composti alcoliciperché irritanti, dolorosi elesivi per i tessuti. Fin quitutto bene, se mi sonolimitato alla solamedicazione probabilmentesi trattava di una lesione dipoca importanza. Ma quandoinvece mi devo preoccuparee soprattutto come mi devocomportare di fronte ad unsanguinamento importante?Apriamo quindi il sipario sulcapitolo delle emorragie chealtro non sono che lafuoriuscita di sangue dalnostro sistema circolatorio.Tale sistema è costituito dalcuore che pompa il sanguenelle arterie, i vasi cheoriginano dal cuore stesso.Più si va in periferia e più learterie danno origine a ramisempre più piccoli cheterminano nei capillari doveavvengono gli scambi con lecellule dei vari tessuti. Icapillari confluiscono in vasivia via di maggior calibrofino alle grosse vene cheritornano al cuore. Quandoun vaso viene leso laconseguenza è che il sanguefuoriesce. Nel caso di unarottura di un capillare laperdita è di poca importanzama quando sia interessatauna vena di grandidimensioni o nel peggioredei casi una arteria viene adessere a rischio la vitadell'individuo. Dobbiamoinnanzitutto distinguere seuna emorragia è esterna,ovvero il sangue fuoriesce daun vaso attraverso una feritadella cute all'esterno (comenel caso descritto all'inizio) ointerna. Quando infatti nonvi sia una interruzione dellanostra barriera il sangue puòugualmente raccogliersi inuna cavità all'internodell'organismo. Spessoqueste situazioni sono moltogravi perché celanoimportanti lesioniapparentemente non evidenti.

A seconda del tipo di vasocoinvolto avremo poiemorragie arteriose, venose ocapillari. Le prime mettono arischio la vita di unapersona. Il sangue esce afiotti, zampilli sincrono conl'attività del cuore. In pochiminuti la perdita può causaredanni irreversibili. Se ilsistema circolatorio si svuotatroppo velocemente siinstaura una situazione dishock detto emorragico. Lapersona appare pallida, consudore freddo, il polso èveloce e la pressionediminuisce. Nelle emorragievenose, più frequenti inquanto le vene scorrono piùsuperficiali, il sangue puòfuoriuscire anche in modonotevole ma la perdita ècontinua e non a fiotti. Perultimi i sanguinamenticapillari tipici delle lesionipiù banali e dovute a rotturadi vasi microscopici. In tuttele tre situazioni il compito diRoberto come il nostro èquello di fermare l'emorragiain corso. La prima manovrada utilizzare è rappresentatadalla compressione direttache consiste nell'effettuaretramite del materiale (adesempio un rotolo di garza)una pressione direttamentesulla ferita (tale pressione vamantenuta per diversiminuti). Nel caso in cui lamedicazione si impregnassedi sangue è importante nonrimuovere il materiale giàapplicato e sovrappornedell'altro. Se ilsanguinamento è ad un arto èopportuno sollevarlo (salvo icasi in cui sia fratturato o sisospettino altre lesioni). Unamisura aggiuntiva può esserequella di applicare delghiaccio (mai a direttocontatto con la cute). Nellastragrande maggioranza dellesituazioni queste tecnichesono sufficienti a fermarel'emorragia (figura 2). E secosì non fosse? Esistono

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delle manovre non scevre darischi e da utilizzare solo nelcaso avessero fallito quelleelencate sopra. Nelleemorragie arteriose se noninterveniamo prontamentenon vi è un arrestospontaneo. In tal caso esistela tecnica dei punti dicompressione. In tali puntidel nostro corpo le arteriescorrono vicino ad unasuperficie ossea di modo cheuna pressione in direzionedell'osso stesso permette diinterromperne o quantomenoridurne il flusso. Sonorappresentati dall'arteriaomerale per il braccio e daquella femorale per lagamba. Alternativa a questamanovra che ci rendeimpossibilitati a qualsiasi

movimento è l'applicazionedel famoso e controversolaccio emostatico che non ècome molti credono il tubodi gomma che si utilizza peri prelievi venosi. Qualsiasioggetto (ad es. di stoffa) dilarghezza di almeno cinquecentimetri e non taglientepuò fungere da laccioarterioso. Questo si puòapplicare esclusivamente allaradice del braccio e dellagamba per ottenere unainterruzione del circolo avalle del suoposizionamento.E' fondamentale ricordarsidi scrivere sulla frontedell'infortunato l'oradell'applicazione e nonrimuoverlo fino all'arrivo delsoccorsi. Questa manovra è

ad ogni modo da utilizzaresolo quando tutte le altreavessero fallito. Come abbiamo spiegatosopra in caso di notevoleperdita di sangue la personapuò andare incontro alloshock detto emorragico. E'importante quindi stenderlaper favorire un maggiorcircolo a livello cerebrale.Una cosa che non bisognamai dimenticare quando sisoccorre un infortunato è chequesto risulta sempre arischio di ipotermia. Lacopertura termica rivestequindi un ruoloimportantissimo. Il telotermico oro-argento èleggero e di piccoledimensioni ma utile in talisituazioni. Per concludere affrontiamo ildiscorso delle fratture per lequali valgono poche esemplici regole. Di fronte alsospetto di una lesione osseadevo a tutti i costi evitarequalsiasi tipo di movimento.I movimenti possonoaggravare il danno e il doloreconseguente stimolare deiriflessi negativi. Nel caso incui si sospetti una fratturachiariamo per prima cosaquello che non dobbiamofare. Tentare di riallinearel'osso o far rientraresegmenti ossei sporgentisono manovre da evitaresempre. Dobbiamo alcontrario cercare diimmobilizzare precocementecon mezzi di fortuna, nelcaso di frattura espostaesercitare la compressione adistanza se il sanguinamentoè importante e proteggere ilmoncone stesso con unamedicazione. Anche inquesta situazionel'isolamento termico èfondamentale. Non facciamoaffidamento sulle elevatetemperature esterne!!Allora diamo una secondapossibilità a Roberto. Partedi buon mattino, ad un certo

punto sul sentiero unasignora davanti a luiinciampa e batteviolentemente la gamba.Roberto si avvicina, cerca ditranquillizzarla parlandolecon calma. Sono presentialtre persone, chiede ad unadi queste di chiamare il 118,di riferire che c'è una signoracosciente con una fratturaesposta alla gamba sinistra edi descrivere in manieraprecisa il luogodell'incidente. Nel frattempose possibile sdraia la signoraper terra cercando di ridurreal minimo i movimenti.Estrae dallo zaino dellegarze, disinfetta e applicauna medicazione intorno almoncone esposto cercandodi proteggerlo e se ciò nonbastasse esercita unacompressione all'inguine(sull'arteria femorale).Prende il telo termico e viavvolge l'infortunata inattesa dei soccorsi. Arrival'elicottero, Roberto spiegal'accaduto e la donna vienetrasportata in ospedale. Salealla cima e pensa: perfortuna che ho dovutofrequentare quel corso diprimo soccorso sul luogo dilavoro! Apre la cassetta allabase della croce ed estrae illibro di vetta:

La via d'imparare è lunga se si vaper regole, breve ed efficace se siprocede per esempi.Seneca

P.S.i fatti e i personaggi del racconto sonodi pura fantasia.Pur ricordando a tutti che qualsiasimanovra descritta ed in particolare latecnica dei punti di compressione cosìcome l'applicazione di un laccioemostatico necessita sempre diesercitazioni pratiche, questo articolovuole essere uno spunto per unariflessione sull'importanza di conoscerele principali tecniche di primo soccorso,soprattutto quando l'ospedale non èproprio “a portata di mano” !!

Silvia Piombino(Comm. Centrale Medica)

Il kit di medicazione da inserirenello zaino Telotermico oro/argento (lato oro all'esterno per evitare la dispersione delcalore)Garze sterili (per la detersione e l'antisepsi di una ferita)Bende tamponi emostatici (per la compressione diretta)Cerotto (tessuto non tessuto)Due bende elasticheDue bende orlateDue triangoli (di stoffa, utili per immobilizzazioni e come laccioemostatico)Un paio di forbiciUn paio di guanti (non dimenticate la vostra sicurezza)Disinfettante a base di povidone iodio 10% in soluzione acquosa (la soluzionealcolica è controindicata sulla cute lesa).

Fig. 2: Medicazione e compressione diretta.

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delle nostre strutture hariguardato la mia proposta,accolta con entusiasmo, diorganizzare due incontri conil Gruppo di Lavoro“Popolazione & Cultura”della Convenzione delle Alpialla presenza delleDelegazioni dei Governidegli 8 Stati dell’arco alpino(dal Principato di Monacoalla Repubblica di Slovenia)rispettivamente a Torinopresso la nostra Sede socialeal Monte dei Cappuccini(Salone degli Stemmi) ed aBergamo presso il Palamonti(sede della locale Sezione).Per l’ottima organizzazionelogistica degli eventidesidero ringraziare AldoAudisio (Direttore delMuseomontagna) e PaoloValoti (Presidente dellaSezione di Bergamo). La comunicazione internacostituisce un altrofondamentale tassello delprogetto riformatore. Anchesu tale versante gli sforzisono stati rilevanti ma,nonostante tutto, vi è ancoraqualcosa da migliorare. Il Club alpino italiano, tra imolti aspetti della suaatipicità istituzionale, ècontrassegnato daun’ambivalenza storica estrutturale. Quella di essere -a livello centrale - un Ente didiritto pubblico noneconomico (con tutte leimplicazioni normativeconnesse e nonostante lesemplificazioni della riformaBassanini adattata, a suotempo, pro domo nostra) e -a livello territoriale - uninsieme di Associazioni didiritto privato con o senzapersonalità giuridica. Ciòcomporta diverse velocità ditrasmissione e di gestionenell’iter degli adempimentiper cui diventa difficile,sebbene auspicabile,

garantire “isocronismo”(stessi tempi) ed“isomorfismo” (stesseprocedure formali).Come ho già detto, le nuovetecnologie ci hanno aiutatomolto ma non sonosufficienti a surrogare i ruolidelle persone. I rapporti fraOrganizzazione centrale estrutture territoriali devonoessere aggiornati e facilitatinel rispetto sia di chi lavoraprofessionalmente sia di chilavora volontaristicamente. I nuovi Raggruppamentiregionali (GR) dovrannoessere, pertanto, destinatariprivilegiati dellacomunicazione interna. La diffusione delle News invista di un ulteriorepotenziamento dell’UfficioStampa, unito allo sforzo direndere la Stampa sociale(“Lo Scarpone” in primis)sempre più in linea con itempi nella velocizzazionedelle informazioni,rappresentano preziosistrumenti di conoscenza e diapprofondimento (nellospecifico: “La Rivista”) pertutti quanti i Soci. Sidovranno, comunque,studiare forme di rilancioattraverso un sapienterestyling ed un accuratostudio di nuovi target.Anche il settore dellepubblicazione dovrà servirecome veicolo di trasmissionedell’immagine del CAI fuoridal Sodalizio: i tempi sonomaturi per mettere mano adun coraggioso rinnovamento.

Formazione e giovaniIl miglioramento dellacomunicazione versol’esterno ha come finalitàprincipale quella di attrarreverso il Club alpino nuoviSoci, soprattutto Giovani,che possano garantire per ilpresente e, soprattutto per ilfuturo, un auspicato eprovvidenziale ricambio. Il

rinnovamento e la crescitanon passano attraverso unaragionieristica politica deinumeri, bensì attraverso undiligente lavoro diformazione e di educazioneai valori associativi ed aquelli della montagna. Valoriche sappiano conciliarel’immutabilità di certiprincipi fondativi (il nobilepassato delle origini) con lamutevolezza storico-culturale delle situazioni. Senon abbiamo chiari talipresupposti, rischiamodavvero la deriva“gerontocratica” della qualenon potremmo mai prenderecoscienza se non impariamoad assumere il punto di vistadell’outsider, di chi sta fuori.Il salto culturale risiede,infatti, nella lungimiranzadel non “avvitarci su noistessi”. La vera saggezza“sapienziale” sta nellacapacità di aprirci al nuovosenza cedere alle seduzionidel nuovismo o del suorovescio, il passatismo: duefacce di una stessa medaglia.Ecco perché ho voluto dareimpulso alla Commissionedi Alpinismo giovanile edalla neonata Scuola Centraledi Alpinismo giovanile.Attraverso questi nostriorgani tecnici possiamovincere la battaglia internasul fronte della formazioneintra-associativa. La ricognizionesull’associazionismogiovanile (Scoutismo)avviata lo scorso anno e dicui ho dato comunicazionenella passata relazionemorale 2005, procede nellosforzo di intensificarecontatti ed aprire porte efinestre su mondi con i qualidobbiamo fare i conti, ameno che non vogliamorinchiuderci nella torred’avorio di un effimero“splendido isolamento”. Intal senso, ho raccolto l’invitodi portare il saluto del CAI

al Meeting giovanile diRimini insieme con il Corodella SAT. L’obiettivo finaleresta quello di prendere - noi- l’iniziativa nel promuovereuna sorta di Stati generalidella Gioventù, in grado difar dialogare culturegiovanili diverse su proposteeducative con al centro lamontagna ed i suoisignificati etici, ambientali,pedagogici e sociali. Conqueste finalità, ho ripreso icontatti con la Fondazioneper la Scuola dellaCompagnia di San Paolodopo l’insediamento delnuovo Direttore. E così pureprosegue l’operazione perl’accreditamento del CAI inqualità di “Ente diformazione” presso ilMinistero dell’Istruzione.Ma nell’ambito dell’offertaformativa dovrà svolgere unruolo particolare la neo-insediata “Unità Formativadi Base” (UNICAI) nelraccordare i diversi OrganiTecnici Centrali (OTC) edaltre strutture didattiche(Scuole centrali) e culturali.Nel corso dell’anno 2006 sisono intensificati i contatti ele convenzioni con alcuneUniversità per attivitàcomuni di formazione(tirocini, stages). Tuttavia,desidero anticipare unanotizia maturatanell’autunno 2006 e cheall’inizio di quest’anno hatrovato una sua traduzioneconcreta. Essa, a mio avviso,dovrebbe rappresentare unfiore all’occhiello daglisviluppi molto interessanti.Si tratta del riconoscimentoal CAI, da parte dellaFacoltà di Agrariadell’Università di Milano(Polo di Edolo -<<Università dellaMontagna>>), di 4 creditiformativi (CFU), pari a 40ore di lezioni frontali e sulterreno, da inserire in formastrutturata nel piano di studi

Editorialecontinua da pagina 2.

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ufficiale del Corso di Laureain “Valorizzazione e tuteladell’ambiente e del territoriomontano”. Ciò significa che,- all’interno del Corsouniversitario - le docenze acura del CAI avranno pienoriconoscimento accademico,rappresentando materiad’esame. Evento senzaprecedenti, che rimanda alleorigini del Sodalizio, natoall’ombra di quella Scuola diIngegneria di Torino (oggiPolitecnico) dove operavanoQuintino Sella e BartolomeoGastaldi. Un modoaccademicamente escientificamente corretto dicostruire - attraverso sinergiedidattico-formative - unavera Università dellaMontagna condivisa fra CAIe Atenei. Nel pacchettofigura anche la proposta direalizzare insieme una“Summer Scool” che porterànel CAI giovani studenti deinuovi corsi per “Managerdella Montagna”. Ringraziopertanto il Presidente delCorso di Laurea, prof. CarloLozzia, per la fiducia ripostanel Sodalizio.Sono in corso altri contatticon altre Sedi che, spero,porteranno Soci Giovani epreparati al nostro interno.

CulturaL’offerta culturale è stataintensa e qualificata. La promozione e ladivulgazione della culturaalpinistica è passata,anzitutto, attraverso leconsolidate strutture diproduzione e diffusionequali:

• il Filmfestival di Trento,che ha registrato unasensibile crescita qualitativae di partecipazione;

• la Biblioteca Nazionaledel CAI Centrale che hasviluppato progettiinteressanti (“Leggere lemontagne”) rivolti ancheall’esterno, proprio sulla

linea di quella politica dellacomunicazione cui ho fattocenno precedentemente;

• il Museomontagna delCAI-Torino che, dopo avercompletato laristrutturazione, si presentain una veste molto decorosa,degna di un contenitore ditanta rilevanza.

Foto EventiInoltre, devo registrare lapartecipazione del CAI alFestival del documentarionaturalistico di Sondrio(ASSOMIDOP), alFilmfestival Cervino, alPremio Gambrinus.

E’ proseguito l’impegno afavore del riordino degliarchivi storici avviatonell’anno precedente efinalizzato ad arricchirci dialtri preziosi beni culturali.Grande successo hannoriscosso le iniziativericonducibili al ProgettoRifugi come PresidiCulturali, che si sonoconcluse al Centro Crepazsul Passo Pordoi, dove sonoconfluiti numerosi Soci ma,soprattutto, non-Socirichiamati dall’interessanteed innovativo tema dellaMontagna-terapia. Tra diloro, moltissimi operatorisocio-sanitari, educatoriprofessionali, psicologi epsichiatri di ASL provenientida diverse parti d’Italia.Particolari apprezzamentisono pervenuti dall’alpinista, guida e sciatoredell’estremo Tone Valeruz,partecipe entusiastadell’evento. In riferimento a taleprogetto, si sono intensificatii contatti con l’Associazione“Slow Food” per alcuneiniziative comuni divalorizzazione dei Rifugi dimedia montagna daintendersi quali vetrine delterritorio e “luoghi” dellacultura materiale di terroir.

Nei locali della prestigiosaSocietà del Giardino diMilano è stato presentato, inuna cornice culturale diprim’ordine, l’“AtlanteSOIUSA” con lapartecipazione di eminentistudiosi di scienzegeografiche e storiche.

Altri settoriprioritariL’anno 2006 ha impegnatola Presidenza in un’intensaattività di sensibilizzazionedelle Rappresentanzeparlamentari e di Governosulla rilevanza del nostroSodalizio nella società e nelmondo della montagna. Ilcomplesso iter della Leggefinanziaria per il 2007 harichiesto molte presenze aRoma e colloqui adaltissimo livello: dalPresidente del Consiglio, aMinistri e dirigenti deiMinisteri competenti, aParlamentari di tutte le forzepolitiche raccordati nelGruppo Amici dellaMontagna (GAM) delParlamento Italiano.L’ascolto e l’attenzione perle nostre legittime istanze èstato sempre alto edinteressato e di ciò desideroringraziare tuttisentitamente. In particolare, è stataribadita la centralità delruolo del CAI in materia diRifugi e Sentieri chedevono rappresentare lepriorità operative(giustapposte a quelleformative e informative cheho illustrato nei puntiprecedenti) e su cui il Clubalpino deve lavorare perquella funzione pubblica cheriveste nel compartoturistico-ambientalemontano del nostro Paese.Le strutture di accoglienzain quota della Sede centralesono state oggetto diattenzione competente eresponsabile anche grazie

all’apporto determinante delnuovo Ufficio tecnico.Lavori importanti sono statirealizzati alla CapannaOsservatorio ReginaMargherita con la fornitura eposa in opera di un nuovogeneratore di energiaelettrica. Sono statideliberati interventi diadeguamento alla normativaantincendio e dimiglioramento ambientale alRifugio Quintino Sella alMonviso e di affidamentolavori per l’apertura dellaCasa Alpina al Passo Pordoi.Sono stati completati i lavorirelativi ai progettifinanziati dal Ministerodell’Ambiente nel Rifugio“Pomilio” (Parco Nazionaledella Majella) - inauguratoalla presenza del Presidentedel Senato -e nel Rifugio“Longo” (Parco Nazionaledel Pollino), inaugurato allapresenza di molte Autoritàlocali. Segnalo, inoltre,l’avanzamento del progettoCAI-Energia 2000.Sul fronte della problematicadei Rifugi, esisteun’importante emergenzarelativa ai Rifugi ex-MDE(Ministero Difesa Esercito)ubicati in Alto Adige ed inconcessione al CAI Centralefino al 2010, data oltre laquale è previsto il passaggioalla Provincia Autonoma diBolzano. Ho avuto, in talsenso, colloqui diretti con ilPresidente della ProvinciaLuis Durnwalder e con ilPresidente dell’Alpen VereinSuedtirol (AVS) LuisVonmetz, oltre che con inostri dirigenti del CAI-AltoAdige e con ilrappresentante delle Sezioniaffidatarie ubicate fuoriProvincia.La propostadell’Amministrazioneprovinciale è quella ditrovare una soluzionecondivisa tra le dueAssociazioni alpinistiche

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(CAI-AVS) che consenta digestire - secondo unaripartizione ancora tutta dadefinire - tali preziosi Rifugiai quali va l’affetto dei Sociche, con molti sacrifici,hanno contribuito a tenerli invita decorosamente.L’anno 2006 ha visto anchela risoluzione dello spinosoproblema del ricerca di uncapannone/magazzino aVillafranca Padovana cheospitasse le attrezzaturedella Commissione Materialie Tecniche.Per quanto concerne isentieri e le problematichecartografiche (catastoinformatizzato) desiderosegnalare la ricostituzionedel Gruppo SIT-CAI perl’importanza strategica cheriveste nei rapporti con leRegioni interessate allamappatura sentieristica,nonché l’interessanteConvegno di Maresca (PT)organizzato incollaborazione con laRegione Toscana nel luogodove è nata l’idea dellasegnaletica CAI.Vigile e responsabile èl’attenzione alle politicheambientali della montagnaanche con il supporto delnuovo Ufficio TecnicoAmbiente (UTA) presso laSede centrale. Esse esigonodal Club alpino rispostesollecite, ponderate e maturesoprattutto in rapporto alletrasformazioni che icambiamenti climatici diquesti anni stannoproducendo sui fragiliterreni montani. LaPresidenza ha patrocinatonel corso dell’anno ilConvegno di Pesaroorganizzato dall’OTC TAMsulla “proposta di legge diaccesso ai sentieri con mezzimeccanici fuoristrada” persottolineare l’urgenza di unamaggiore salvaguardia delledelicate infrastrutturesentieristiche sempre più

soggette a dissesti. E cosìpure l’eccessivosfruttamento sciisticomeccanizzato, in particolaresui sempre più esiguighiacciai, richiede risposteserie da parte nostra, nonideologiche o integraliste,ma confortate da datiscientifici. Si dovrà perciò,in tempi brevi, definire unmanifesto del CAI, chedefinisca le prioritàambientali in montagna ed irischi per l’alpinismoconseguenti aldisgregamento dellemontagne per effetto delclima. Un documento in cuiproporre le nostre soluzioniattraverso il continuocostruttivo confrontodialettico con le altreAssociazioni ambientaliste,in particolare con laconsorella “MountainWilderness”, autorevolmentepresieduta dal nostro SocioOnorario Fausto De Stefani.Importanti sono stati irisultati sul versante deirapporti internazionali che civedono inseriti in organismiquali UIAA e CAA. Inproposito, è stato da meaffidato al Consiglierecentrale Silvio Calvi(Coordinatore del CCIC) ilcompito di rappresentarmipresso tali organismi. Ladifficile situazione venutasia creare negli scorsi anni inUIAA fra “board” e“council” si èfavorevolmente sbloccatadopo tante incomprensionigrazie alla separazione fraattività tradizionalialpinistiche ed attivitàsportive agonistiche, neldovuto rispetto di storie eculture diverse. La miaintenzione è di creare unapostazione dedicata agliaffari esteri del Clubalpino italiano che prendain esame anchel’allargamento a livelloeuropeo del CAA.

ConsiderazioniconclusiveAl termine del mio primotriennio presidenzialedesidero ringraziare tutti gliAmici del CDC che hannocondiviso con me gioie(poche) e sofferenze (molte).Un ringraziamentoparticolare va agli uominidello Staff: VPG ValerianoBistoletti ed il ComponenteGianfranco Garuzzo chehanno garantito una presenzacontinuativa in Sede centralealleviando non poco le miefatiche. Ma il rapporto fra ledue sensazioni di gioia e disofferenza non è un rapportodi natura quantitativaaltrimenti ci sarebbe dachiedersi per quale stranaperversione psicopatologicasi intenda continuare. Sonoinvece l’intensità dellesoddisfazioni e l’entusiasmogiovanile - che non mihanno mai abbandonato eche mi fanno guardare avanti- a compensare qualcheinevitabile delusione. Sono icontatti umani con i molti“Soci di buona volontà esenza preconcetti” che fannosperare in un futuro miglioree di ciò mi sento moralmenteappagato.

Anche l’anno 2006 ha fatto,purtroppo, registrare laperdita di Soci che “sonoandati avanti”, oltrel’orizzonte ultimodell’esistenza e che desideroqui ricordare con profondocordoglio:

• Alessandro VISENTINI(Scuola Alpiteam, caduto inmontagna al SassoRemenno);

• Livio e RenzoVISINTINI (Sezione diVarese, deceduti perannegamento nel Lago diVarese);

• Luciano PEDRINI eDaniele DE LUCCHI(Sezione di Chiavari, caduti

in montagna al Monviso);

• Annibale (Bruno)CALLERI (Sezione diSavona);

• Diego COLLINI(Presidente dellaCommissione VFG diAlpinismo giovanile);

• Franco PACIFICO eCaterina FRUTTERO(Sezione di Savigliano,caduti in montagna al MonteArarat);

• Giulio GALLER (gestoredel Rifugio Calvi alPeralba);

• Giuseppe (Pino) CRESPI(Reggente della Sottosezionedi Courmayeur);

• Alberto PICCININI(Sezione Castelnuovo diGarfagnana);

• Giancarlo GALLI(Sezione di Savona, cadutoin montagna alRocciamelone);

• Giancarlo GIBERTONI(past-VPG);

• Vigilio IACHELINI (pastPresidente del Collegio deiRevisori dei Conti);

• Pasqualino QUARTIANI(Sezione di Melegnano);

• Nerio NERI (Sezione diRavenna).

• Enrico CATTANEO(Sezione di Carate Brianza)

• Lorenzo TRUCCOLO(Sezione di Canzo)

• Debora LIMI (Sezione diErba) tutti deceduti per unincidente alpinistico nelLecchese.

Cari Amici Delegati,nel triennio oggi concluso hooperato sempre per il benedel Club alpino italiano. Miripropongo a Voi per ilsecondo triennio con lostesso spirito, ma con unpatrimonio di esperienzaaggiuntiva, che mi saràpreziosa per portare acompimento il programma.

Excelsior!Annibale Salsa

Presidente generale

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Attenzione Chiunque desiderasse ricevere gratuitamentemateriale illustrativo sulla nostra struttura alberghiera o sulla zona, èpregato di inviare il seguente coupon (anche in fotocopia) al nostro alber-go completandolo dell’indirizzo dove poter inviare il materiale in oggetto.

NOME ______________________ COGNOME ______________________

INDIRIZZO ______________________________________ CAP ___________

CITTÀ _______________________________ PROVINCIA ________________

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Informativa ex D.Lgs. n. 196/03: Hotel Laurin, titolare del trattamento, tratta i dati personali liberamente conferiti per fornire i servizi indi-cati e, se lo desidera, per aggiornarla su iniziative e offerte del titolare del trattamento. Potrà esercitare i diritti dell'art. 7 del D.Lgs. n.196/03 rivolgendosi al Titolare del trattamento e al direttore dell'Hotel Laurin, via al Lago, 5 - 93034 Dobbiaco (BZ). I dati potranno esse-re trattati da incaricati preposti agli ordini, al marketing, all'amministrazione, al servizio clienti e a società esterne per l'evasione dellerichieste e per l'invio di materiale promozionale. Consenso attraverso il conferimento del suo indirizzo e-mail del numero di telefax o ditelefono (del tutto facoltativi), esprime il suo specifico consenso all'utilizzo di detti strumenti per l'invio di informazioni commerciali.

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Hotel molto tranquillo ed accogliente, recentemente ristrutturato. Offre ai suoi ospiti 70 posti letto in 29 con-fortevoli camere, tutte con servizi privati, TV-Sat e balcone. La cucina vanta specialitá gastronomiche locali

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FRIULI CARNIA VENETO CADORE - VAL BOITE - VAL ZOLDANA

Facilmente raggiungibile in auto, situato in zona panoramica stu-penda sulla strada che da Ampezzo sale al Pura e scende a Sauris.

É particolarmente adatto per escursionisti e gruppi. Dispone di 14camere (40 posti letto) tutte con servizi. La cucina è molto curata, conpiatti a base di prodotti tipici locali, formaggi di malga, salumi diSauris, selvaggine e grigliate. Primi piatti fatti in casa. E’ ottimo puntodi partenza per escursioni verso il sentiero naturalistico Tiziana Weiss,il sentiero Colmayer o il sentiero didattico Bosco Flobia. Possibilitànoleggio di mountain-bike. E’ aperto dal 13 Maggio al 10 Ottobre.

SCONTO A SOCI C.A.I. 10% ESCLUSO AGOSTO1/2 pensione da € 34,00 a € 42,00 pensione completa da € 38,00 a € 48,00

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B ellissimo “garnì”, recentemente ristrutturato, ricavato da un antico fie-nile e situato nel centro del paese. Ambiente rustico, curato a gestio-

ne famigliare. Dispone di 10 camere con servizi per un totale di 22 postiletto. Può essere ottima base di partenza per escursioni in tutta la zona.Servizio di Bed & Breakfast oppure trattamento di pensione o mezza pen-sione presso il vicino ristorante. Accogliente “stube” dove vengono ser-vite le colazioni a buffet con torte casalinghe. Ampio parcheggio.

Per escursioni , trekking e mountain-bike rivolgersi a Luca.

B&B da € 60,00 a € 75,00 in camera doppia(da € 30,00 a € 37,50 per persona)

SCONTO A SOCI C.A.I. 10%non in alta stagioneGARNÌ PLUEME

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Antico edificio com-pletamente ristrut-

turato, che però conser-va tutto il fascino e ilcalore dell’antica tradi-z ione del Comel ico.Tutte le camere sonodotate di servizi, TV ealcune sono per portato-ri d’ handicap. L’abergodispone di una terrazzapanoramica, mountainbike e, a richiesta, mas-s a g g i b e n e s s e r e .Eccellente la cucina chepropone piatti interna-zionali e tipici. E’ puntodi partenza ideale perescursioni in tutta laz o n a D o l o m i t i c a .

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Ottimamente posizionato nel cen-tro di Cortina, sul celebre Corso

Italia, questo eccellente tre stellegode della tranquillità caratteristicadi una zona pedonale e, allo stessotempo, della pratica vicinanza ai sen-tieri di montagna. Le 49 camerehanno servizi e TV color. Saloni diintrattenimento, ascensore, parcheg-gio privato, bar e gelateria. Un pano-rama mozzafiato sulle Dolomiti, unitoal comfort dell’ambiente interno ealla qualità dei servizi, sono lamiglior pubblicità e la garanzia perla riuscita della vostra vacanza.

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passeggiate, vie di arrampicata classica e sportiva. L’abitazione, una vecchia casa del1600 restaurata nel rispetto della struttura originale, offre una calda accoglienza (6 came-re - 15 posti letto - con balcone, servizi privati e TVsat, sala soggiorno). Possibilità di sog-giorni anche in appartamenti da 3 a 6 posti. B&B € da 25,00 a € 35,00 a personaSCONTO A SOCI C.A.I. e piccoli gruppi 10% per soggiorno min 2 notti escluso Agosto

B&B Dormì & Disnà 32012 Forno di Zoldo (BL)Via Ruis, 11/15 Fornesighe cell. 340-1043882E-mail: [email protected] www.fornesighe.it

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TRENTINO VAL DI FASSA

Nel cuore delle DOLOMITI, in VAL DI FASSA, appena fuori Moena, inuna zona soleggiata ai margini di un bosco, sorge l’Hotel Malga

Passerella, un tre stelle recentemente ristrutturato sotto il cui tetto spio-vente trovano posto 24 camere con servizi privati, telefono, balconepanoramico. Difficile decidere in che direzione partire per passeggiate edescursioni: tutto intorno si stendono i verdi prati delle Dolomiti, e la stes-sa Moena è raggiungibile con una passeggiata di 30 minuti attraverso ilbosco. Al termine delle escursioni ci si può ritemprare grazie a idromas-saggio, bagno turco, thermarium e solarium. Oppure si possono trascor-rere momenti di relax presso la stube tirolese, il bar o, gustando le preli-bate proposte del ristorante tradizionale. Giardino, terrazzo e parcheggio.

Prezzi da € 41,00 a € 76,00 secondo periodoSCONTO A SOCI E GRUPPI C.A.I. escluso Agosto-Natale-Epifania e Febbraio

HOTEL MALGA PASSERELLA ★★★Moena Val di Fassa (TN) Via Ronchi, 3

☎ 0462-573487 fax 565788 cell. 333-9366703E-mail: [email protected] www.malgapasserella.it

L’Hotel Crepei è situato nelpaese di Pera, nel centro

della Val di Fassa, in posizionetranquilla e soleggiata. Agestione familiare dispone dicomode camere con TV colorSAT, telefono, cassaforte eservizi. Disponibili inoltresauna, solarium, bagno turcoed idromassaggio, sala nonfumatori, parco giochi perbambini, gioco delle bocce egarage. Posizione centrale perescursioni estive ed invernali.SCONTO A SOCI C.A.I. per un soggiorno minimo di 1 settimana esclusa alta stagione

HOTEL CREPEI ★★★ Pera di Fassa (TN)

☎ 0462-764103 fax 764312 www.hotelcrepei.com

Eccellente Hotel che garanti-sce ospitalità ed efficienza, è

situato in zona tranquilla e tutta-via centrale. Dispone di camerecon ogni servizio, TV e telefono.Sarete seguiti personalmentecon cura e cortesia in tutti imomenti della giornata. Dalledelizie della cucina al sonno tramorbidi guanciali. L’Hotel èsituato in posizione strategica

per escursioni o gite in zona Marmolada, Pordoi, Sella e Catinaccio.Bassa stagione 1/2 pens. da € 36,00 a € 44,00 Alta stagione 1/2 pens. da € 48,00 a € 58,00

SCONTO A SOCI C.A.I. e GRUPPI secondo periodo (min. 1 settimana)SPORT HOTEL ENROSADIRA ★★★ Fam. Rizzi

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SPORTHOTEL BELLAVISTA ★★★ (1933 mt.) 38032 Canazei/Pecol

Dolomiti (TN) Streda de Pordoi, 12 ☎ 0462-601165 fax 601247

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Fassa, a soli 2 Km da Canazei.Dispone di comode camerecon servizi, telefono, TV SAT,phon, cassaforte, quasi tuttecon balcone. Ascensore eparcheggio. Gestione fami-liare, colazione a buffet.Partenza ideale per escur-sioni in zona Marmolada,Sella, Pordoi e Sassolungo.

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38031 Campitello di Fassa (TN) Piazza Vecchia, 13 ☎ 0462-750095 fax 750134E-mail: [email protected] www.hotelfiorenza.com

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