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LA CENERENTOLA DI GIOACCHINO ROSSINI a cura di LUCIANA DISTANTE 04 VOLUME

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LA CENERENTOLA

DI GIOACCHINO ROSSINI

a cura di

LUCIANA DISTANTE

04 VOLUME

1. Introduzione.

Generazioni di bambini e di adulti sono cresciute addormentandosi con le fiabe più note, Cappuccetto Rosso, Biancaneve, il Gatto con gli Stivali, solo per citarne alcune. Tra queste una menzione particolare merita certo la fiaba di Cenerentola. L’obiettivo di questo lavoro non è tanto quello di analizzare il mito fiabesco tradizionale, quanto piut-tosto di compararlo con la sua rivisitazione in musica intrapresa da G. Rossini. A tal fine reputo utile fornire alcuni elementi che definirei propedeutici all’analisi dell’opera musicali. Tra questi non possono ovviamente mancare i cenni biografici sull’autore ed una breve percorso di analisi sull’evoluzione della fiaba, dalle sue origini sino alle ver-sioni più recenti.

1.1 L’autore: Gioacchino Rossini. Breve biografia.

Gioachino Rossini, nacque a Pesaro il 29 Febbraio 1792, chiamato dagli ammiratori, il “Cigno di Pesaro” musicò decine di opere liriche senza limite di genere, dalle farse alle commedie, dalle tragedie alle opere serie e semiserie. Era di semplici origini: il padre era suonatore nella banda cittadina e nelle orchestre locali, mentre la madre, Anna Guidarini, era una cantante di discreta bravura che tra-smise al figlio la passione del canto e della musica. Dopo la restaurazione del Governo Pontificio, il padre, sostenitore della Rivoluzione Francese, per sfuggire la cattura, fu costretto a spostamenti fra Ravenna, Ferrara e Bologna dove il giovane Rossini studiò canto (contralto e cantore presso l’Accademia Filarmonica) e spinetta1 con Giuseppe Prinetti, suo primo maestro. A quattordici (1806), si iscrisse al Liceo Musicale Bolo-gnese, studiò intensamente composizione, appassionandosi alle pagine di Haydn e di Mozart (è in questo periodo che si guadagna l'appellativo di “tedeschino”) e scrisse la sua prima opera "Demetrio e Polibio", che sarà rappresentata però solo nel 1812. A vent’anni già scriveva “opere buffe” e “opere serie” per vari teatri italiani, mostrando sorprendente freschezza e vitalità. A quel tempo la suddivisione fra questi due generi era molto rigida: l’ Opera seria cosisteva sempre in tre atti (con molte arie) che esclude-vano le scene allegre e divertenti mentre, al contrario, l’Opera buffa era in buona so-stanza una commedia musicale spesso basata sulla “Commedia dell’arte”. Inoltre l’O-pera seria si distingueva anche perche aveva uno schema fisso della situazione e dei ruoli ed era inoltre contrassegnata dal “lieto fine”, cioè dalla conciliazione dei contrasti e delle contraddizioni alla fine dell’opera. Rossini nella sua carriera contribuirà grande-mente a sovvertire molti di questi luoghi comuni operistici. Per Rossini l’esordio ufficiale sulle scene avvenne nel 1810 al Teatro San Moisé di

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1. La spinetta appartiene alla famiglia degli strumenti a tastiera con corde pizzicate, assieme al clavicembalo e al virginale. A differenza del clavicembalo, è di dimensioni contenute, cosa che ne permette un facile tra-sporto; per questo motivo, godette di una certa popolarità fino al XVIII secolo. La praticità ne permetteva l’uso in ambiente domestico.

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Venezia con "La cambiale di matrimonio" ed il successo ottenuto lo incoraggiarono nello scrivere altre opere, esattamente 37, nei successivi nove anni, opere che vennero rappresentare nei maggiori teatri italiani ed a Parigi. Dopo il successo di "Tancredi" e de "L'italiana in Algeri" cominciò un’ascesa inarre-stabile. Diviene popolarissimo grazie all’irresistibile vivacità dei suoi ritmi, alla bellez-za delle melodie e all’irrefrenabile vena e vigore teatrale che circolano nelle sue com-posizioni. Dal 1816 al 1822 Barbaja, potente e accorto impresario del Teatro San Carlo di Napoli, lo scritturò per infondere nuovo vigore al mondo operistico napoletano in declino. Di-sponendo di un teatro tutto suo, di una buona orchestra e di grandi cantanti, Rossini maturò come drammaturgo e ampliò i propri mezzi musicali che culminarono con l’o-pera "Semiramide", l’ultima del suo periodo italiano. A Napoli Rossini pose le basi della sua fortuna finanziaria e sposò la contralto spagnola Colbran che, con il suo gran-de talento vocale, contribuì al successo delle sue opere. Dopo un soggiorno a Vienna e Londra, dove vennero allestiti due festival delle sue opere, nel 1824 Rossini si recò a Parigi come direttore del Théâtre Italien. Qui fece rappresentare le sue opere migliori revisionandole per adattarle ai gusti della società parigina, poi con il "William Tell" (Guglielmo Tell) affrontò un nuovo soggetto roman-tico: con questa opera riescì a fondere gli elementi dello stile italiano e francese apren-do la strada al “grand-opera”, tipo di spettacolo dal soggetto storico, ricco di effetti scenici, balletti e masse corali. Ormai al culmine della celebrità internazionale2 Rossini chiuse tuttavia la sua attività operistica, forse per motivi di salute o forse per stanchezza creativa, dopo anni di inten-sa attività compositiva, ma anche per la raggiunta sicurezza finanziaria. Restò ancora a Parigi curando i propri affari, seguendo gli allestimenti dei compositori contemporanei e concedendosi numerosi viaggi. Fra le opere che ebbero il maggior successo e che ancora vengono rappresentate ricor-diamo: "Il Barbiere di Siviglia" (1816), "La gazza ladra" (1817), e le citate "Semiramide" (1923) e "Guglielmo Tell", rappresentato a Parigi il 3 agosto 1829 con il titolo di "Guillaume Tell" che fu l’ultima sua opera. Rossini, a 37 anni, all’apice del successo quale compositore di opera lirica, smise di scrivere musica “profana” dedicandosi allo "Stabat Mater" scritto fra il 1832 e il 1839 nella pace della campagna parigina di Passy. Il successo di quest’ultimo lavoro regge il confronto con i risultati ottenuti nell’opera lirica, ma è anche l’inizio dei lunghi anni di isolamento, durante i quale Rossini compose innumerevoli brani di musica da camera, sonate e composizioni per pianoforte. Nel 1836 fece ritorno a Bologna in uno stato di grande abbattimento fisico e psichico poi si spostò a Firenze. Rientrato a Parigi nel

2. La "Vita di Rossini" scritta da Stendhal suo principale biografo, quando il compositore aveva solo trenta-due anni, ci da testimonianza della fama raggiunta dal compositore.

1855 riprese a comporre brevi pezzi da camera. Morì a Passy il 13 novembre 1868. Ven’anni dopo la sua salma venne traslata nella chiesa di Santa Croce a Firenze, accanto a quella degli altri grandi italiani. Molti sono i meriti e le strade aperte da questo eccezionale compositore italiano. Ha saputo rendere brillante e imprevedibile l’orchestra, ravvivando i colori strumentali e accentuando le dinamiche con il celebre uso del crescendo (poi denominato appunto "crescendo rossiniano"), e del concertato finale. Rossini ha inoltre regolato il cosiddet-to “bel canto”, sino ad allora lasciato al gusto degli interpreti, e imposto alle voci un inedito virtuosismo. L’espressione musicale acquista così un effetto fortemente teatrale, dall’impatto quasi fisico, che è storicamente unico e innovativo. I capolavori di Gioachino Rossini, alcuni dei quali riportati in auge, con la interpreta-zione di Maria Callas, sono ritornati ormai stabilmente nel repertorio e vengono rappre-sentati dai maggiori teatri lirici. A Pesaro viene organizzato annualmente il Rossini Opera Festival e, da tutto il mondo, giungono appassionati per ascoltare le opere del Maestro eseguite filologicamente. 1.2 La fiaba di Cenerentola.

Per quanto riguarda la fiaba di Cenerentola, che qui prenderemo in esame, abbiamo già avuto modo di affermare come questa sia una delle più celebri fiabe popolari del mon-do. Originaria probabilmente della Cina3 o, secondo altri, dell’antico Egitto4, è stata narrata in centinaia di versioni in gran parte del mondo, ed è parte dell’eredità culturale di numerosi popoli. In Occidente le versioni più note sono quelle di Charles Perrault (a sua volta basata su una precedente trascrizione di Giambattista Basile di un’antica fiaba napoletana) e dei fratelli Grimm; come versione standard moderna, però, si deve proba-bilmente indicare quella narrata nell’omonimo film d’animazione di Walt Disney del 1950. "Cenerentola" è la storia di una bellissima giovane che, alle seconde nozze del padre, viene privata del ruolo che le spetta nella famiglia e costretta a una vita di schiavitù domestica dalla crudele matrigna e dalle sorellastre. Costoro la odiano al punto di chia-marla solo col nomignolo “Cenerentola” (dalla cenere di cui la ragazza si sporca pulen-do il camino). La vita della giovane cambia quando giunge in tutta la città la notizia che a corte si terrà un ballo, organizzato dal re, durante il quale il principe potrebbe scegliere la sua promessa sposa. (In alcune varianti della storia, ci sono tre balli). Natu-ralmente, le sorellastre e la matrigna partecipano al ballo e Cenerentola viene di conse-

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3. In Cina il piede piccolo, detto loto d’oro, era considerato simbolo di bellezza e di qualità femminili; la costrizione dei piedi in scarpette sempre più piccole tramite fasciatura si sviluppò nei secoli fino all’eccesso. 4. Angelo de Gubernatis. Storia universale della letteratura. Vol VII, Ulrico Hoepli, 1883. Si veda anche Favole e racconti dell'Egitto Faraonico, Xenia, Milano, 1991 e Piera Gioda, Carla Merana, Maria Varano, Fiabe e intercultura, Emi, Bologna, 2002.

guenza esclusa (nel film della Walt Disney sono le sorellastre che strappano il vestito di Cenerentola, appena pronto per il ballo, costringendola quindi a rinunciare alla fe-sta). Con l’aiuto magico di una fata (la “fata madrina” di Cenerentola), la ragazza viene vestita di un meraviglioso abito da sera e riesce a recarsi segretamente al ballo ( a di-spetto del divieto imposta dalla matrigna). Nonostante il bellissimo gesto, la fata racco-manda alla fanciulla di rientrare a mezzanotte. Durante il ballo, Cenerentola riesce ad attirare l’attenzione del principe ma poiché l’effetto dell’incantesimo è destinato a sva-nire proprio a mezzanotte (come la fata aveva detto alla fanciulla), Cenerentola deve fuggire di corsa al rintocco; nella fuga, perde una scarpina di cristallo (nella versione con tre balli, questo accade la terza sera). Il principe, ormai innamorato, trova la scarpi-na e proclama che sposerà la ragazza capace di calzarla. Il giorno successivo, gli uomini del principe cercano la fanciulla per tutto il regno, fa-cendo provare la scarpina di cristallo a tutte le ragazze in età da marito, incluse le sorel-lastre di Cenerentola. In alcune varianti della fiaba, queste cercano di ingannare il prin-cipe tagliandosi le dita dei piedi e il tallone per cercare di indossare la scarpetta. Co-munque, alla fine, Cenerentola prova la propria identità e sposa il principe. In alcune versioni della fiaba manca il personaggio della fata madrina, e l’abito e le scarpe di Cenerentola vengono da un albero cresciuto sulla tomba di sua madre. Anche nelle versioni con la fata, è ragionevole affermare che questa figura rappresenta la vo-lontà della buona madre di Cenerentola, verso cui è indirizzata, indirettamente, la cru-deltà della matrigna. Alcuni studiosi sostengono inoltre che la fata madrina potrebbe rappresentare la Grazia Divina che premia Cenerentola per la sua costante voglia di riscatto. La stessa madre di Cenerentola compare talvolta sotto forma di un uccello che assiste il principe nella sua ricerca di Cenerentola (per esempio rivelandogli le automu-tilazioni con cui le sorellastre cercano di ingannarlo). Anche il “coprifuoco” della mez-zanotte non è presente in tutte le versioni.

1.3 Le versioni di "Cenerentola".

"Cenerentola" compare, in oltre trecento varianti, in numerose tradizioni popolari. La versione più antica è già presente, come detto, nella tradizione egiziana: Claudio Elia-no, ad esempio, riporta la Fortunata storia dell’etera Rodopi5 (o Rodope) nell’Egitto della XXVI dinastia. Non c’è da meravigliarsi che anche questa favola, come spesso succede, sia presente in tradizioni popolari molto distanti e, apparentemente, non comunicanti. La ritroviamo in Cina nella storia di Yeh-Shen, raccontata da Tuan Ch’ing-Shih. Fra gli elementi della fiaba che derivano dalla versione di Ch’ing-Shih c’è quello dei piedi minuti della protagonista, notoriamente segno di nobiltà e distinzione nella cultura cinese. In effetti, la versione cinese enfatizzava il fatto che Cenerentola

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5. Claudio Eliano, Storia Varia. Libro XIII, 23.

(chiamata Yen-Shen) avesse “i piedi più piccoli del regno”. Nelle versioni occidentali e successive, che hanno perso questa premessa, è perciò abbastanza oscuro il motivo per cui il principe si aspetta che una sola ragazza nel regno sia in grado di indossare la scarpina ritrovata. In alcune versioni non si tratta neppure più di una scarpina, ma di un anello o un braccialetto. Che la scarpina fosse “di cristallo” è vero solo nella versione di Perrault e in quelle derivate (per esempio nella Cenerentola di Disney), e la variante pare originata da un equivoco tra i due nomi francesi con lo stesso suono “vaire” (il vaio, piccolo roditore simile all’ermellino, della cui pelliccia era rivestita in versioni precedenti della fiaba la scarpina) e “verre” (vetro). Nella variante dei fratelli Grimm si trattava di una scarpetta d'oro. Fra le altre versioni si possono ricordare in particolare Il vasetto magico (fiaba persia-na), Vassilissa la bella (fiaba russa), Peldicenere (fiaba inglese) e La gatta Cenerentola riportata da Giambattista Basile nel 1634. Gli elementi variabili sono numerosi; si può correttamente dire che ogni gruppo sociale e ogni popolo abbia rimaneggiato alcuni elementi della favola, enfatizzandone alcuni ed eliminandone o modificandone altri in modo da riflettere la stessa situazione generale in contesti sociali e storici diversi. La diffusione di questa favola è tale che non pare fuori luogo collocarla nel contesto del mito, né è privo di senso tentare di metterla in relazione con archetipi psicologici e psi-coanalitici. Ancora oggi continuano a nascere nuove versioni della favola, come The Egyptian Cinderella di Shirley Climo e Cinderella Story di Mark Rosman con Hilary Duff. Per quanto riguarda gli adattamenti più famosi e meglio riusciti, dobbiamo citare, nel campo dell’Opera lirica: La Cenerentola (Gioachino Rossini), Cendrillon (Jules Masse-net), La Cenicienta (Jorge Peña Hen); nel balletto: Aschenbroedel (Johann Strauss jr.), Cenerentola (Boris Vietinghoff-Scheel), Cenerentola (Sergej Sergeevič Prokof’ev); in teatro: La gatta Cenerentola di Roberto de Simone (1976), Dodici cenerentole in cerca d’autore, con testo di Rita Cirio e illustrazioni di Emanuele Luzzati. 2. La Cenerentola, secondo Rossini.

La Cenerentola, ossia La Bontà in trionfo, è un dramma giocoso in due atti su libretto di Giacomo Ferretti, rappresentato per la prima volta al Teatro Valle di Roma il 25 gen-naio 1817. Esecutori furono Giacomo Guglielmi (Ramiro), Giuseppe De Begnis (Dandini), Andrea Verni (Don Magnifico), Caterina Rossi (Clorinda), Teresa Mariani (Tisbe), Geltrude Righetti-Giorgi6 (Angelina-Cenerentola), Zenobio Vitarelli (Alidoro). Gli autografi sono conservati presso l’Accademia Filarmonica di Bologna e presso la Fondazione

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6. Il contralto era stata già la prima Rosina del Barbiere di Siviglia.

Rossini di Pesaro. Il soggetto è tratto da Cendrillon ou la petite pantoufle di Charles Perrault, con elementi dei libretti Cendrillon di Charles-Guillaume Etienne e Agatina, o la Virtù premiata di Felice Romani. L’opera fu composta in circa tre settimane e Rossini, come in altre occasioni, affidò ad un assistente (in questo caso Luca Agolini) la composizione dei recitativi secchi e delle arie meno importanti, quelle di Alidoro e Clorinda. Per la replica del Carnevale 1821 al Teatro Apollo di Roma, Rossini scrisse l’aria di Alidoro. La prima rappresentazione ebbe luogo il 25 gennaio 1817 al Teatro Valle di Roma. La partitura di Rossini prevede l’utilizzo di: 2 flauti (anche ottavini), 2 oboi, 2 clarinet-ti, 2 fagotti, 2 corni, 2 trombe, trombone ed archi. Il debutto non fu certo quello che potrebbe definirsi un successo, ma dopo poche reci-te, l’opera divenne popolarissima e fu ripresa in Italia e all’estero. Nella composizione dell’opera, Rossini, come in altre occasioni, ricorse all’autoimprestito, ovvero riprese le musiche per alcuni brani da opere composte in precedenza: il rondò di Angelina è tratto dall’aria del Conte di Almaviva del Barbiere, "Cessa, di più resistere", mentre la sinfo-nia è tratta da quella della Gazzetta. Per una ripresa del 1820 al Teatro Apollo di Roma, avendo a disposizione l’ottimo bas-so Gioacchino Moncada, Rossini sostituì l’aria di Alidoro composta da Agolini con una grande aria virtuosistica (Là del ciel nell’arcano profondo), che nelle rappresentazioni odierne viene solitamente eseguita. Scelta che per altro obbliga a scritturare una prima parte anche per il ruolo di Alidoro, che nella versione originale era poco più di un com-primario. 2.1 I personaggi e la trama dell’opera.

Cenerentola at Chicago Lyric Opera, by Dave Schuler on October 9, 2005 Per quel che concerne i protagonisti ed i personaggi interpretati nell’opera, è interes-sante ed utile fornire un breve ritratto di ognuno: DON MAGNIFICO (basso buffo): nobile spiantato e decaduto, oltreché involontaria-mente comico (tipico esempio di basso dell’opera buffa napoletana). Padre di Clorinda e Tisbe nonché di Angelina (detta comunemente Cenerentola). Alla morte della madre di quest’ultima, incamera a vantaggio proprio e delle figlie il patrimonio di Cenerentola (che nulla sa in proposito) non solo per poter mettere assieme pranzo e cena, ma soprat-tutto per soddisfare la vanità delle stupide figlie ("per abbigliarvi, al verde l'ho ridot-ta..."). Sogna di uscire dalla voragine di debiti in cui si trova accasando una delle figlie al principe: per l’insipienza propria e dei suoi "rampolli femminini", ahilui, farà ben altra fine (anche se la bontà di Cenerentola lo salverà comunque dal peggio). CLORINDA (soprano) e TISBE (mezzosoprano): tipici esempi di donne “brutte e stupide”. Viziate, immature, sciocche, sono disposte a tutto pur di accasarsi con il prin-cipe (finto) sdegnando per superbia l’offerta di matrimonio dello scudiero (che in realtà

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è il vero principe). Anche per loro, il risveglio sarà amaro. CENERENTOLA (contralto): così come Clorinda e Tisbe rapprensentano il negativo, Cenerentola, ovvero Angelina, rappresenta il positivo. Da ciò che si ricava dal testo si desume che: − Sa di essere figlia (di primo letto) della moglie del Barone Don Magnifico (chiama

sorelle Clorinda e Tisbe - pur tra i loro rimproveri - e dice "Era vedova mia madre ma fu madre ancor di quelle");

− La madre è morta quando lei era ancora piccola, altrimenti non avrebbe tollerato che fosse trattata da serva e soprattutto le avrebbe spiegato che la lasciava erede dell’ingente patrimonio del padre naturale;

− Ignora appunto di essere ricca, e che il denaro è stato occultato da Don Magnifico; vive come una sorta di schiava, facendo la domestica per il patrigno e le sorellastre, ma sognando il riscatto. Incontra il principe travestito da scudiero e se ne innamora: grazie ai buoni uffici di Alidoro, maestro del principe, partecipa alla festa di palaz-zo. Vedrà coronati i suoi sogni e salirà sul trono con l'uomo che ama.

DON RAMIRO (tenore): personaggio di scarso spessore, inserito sol perché necessa-rio nell’economia dell’opera (vedi il Don Ottavio nel Don Giovanni di Mozart). Si tra-veste da scudiero perché "in questa simulata sembianza, le belle osserverò". DANDINI (baritono): lo scudiero che fa da principe per un giorno. Non ha le profondi-tà o il ruolo di un Figaro (paradigma della voce baritonale nella musica rossiniana), ma a differenza del padrone anche musicalmente vive di luce propria. ALIDORO (basso): deus ex machina dell’opera, è il sostituto della fatina. Lui che invita il principe a scambiarsi di posto con Dandini per cogliere dal vero i caratteri del-le pretendenti. Lui che entra per primo in casa di Don Magnifico travestito da mendi-cante per indagare sulla situazione. Lui che, infine, progetta ed attua la partecipazione alla festa di Cenerentola nonché un falso incidente per consentire a Ramiro di ritrovar-la. Di seguito la trama dell’opera rossiniana: ATTO I

Scena I

Sala nel malandato castello di Don Magnifico. Le due figlie del barone, Clorinda e Tisbe, sono intente a soddisfare la loro vanità: l’u-na prova compiaciuta alcuni passi di danza, mentre l‘altra si pavoneggia davanti allo specchio. Entrambe sono convinte di possedere un fascino irresistibile ("No, no, no: non v'e`). Nel frattempo, la loro sorellastra Angiolina, chiamata Cenerentola, sta soffiando sulla brace per preparare un caffè; oltre a dover eseguire ogni ordine dei suoi familiari, è infatti lei a provvedere a tutti i lavori casalinghi. Per tirarsi su di morale, canticchia una

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canzone che racconta di un re il quale è alla ricerca di una moglie e che deve decidersi fra tre aspiranti; alla fine sceglie la ragazza dal cuore gentile e affettuoso, preferendola alla bellezza e ricchezza ("Una volta c'era un re") delle altre. Le sorelle, stanche di sentirla, minacciano di picchiare Cenerentola se non smetterà di cantare. L’alterco è interrotto da alcuni colpi alla porta. Cenerentola va ad aprire e fa entrare un mendicante che chiede la carità. Si tratta di Alidoro, il saggio consigliere del principe Don Ramiro, che gira travestito di casa in casa per mettere alla prova il carattere delle ragazze in età di marito. Clorinda e Tisbe lo vogliono mettere subito alla porta, ma Cenerentola gli dà di nascosto un pezzo di pane e del caffè. Quando Clorinda e Tisbe se ne accorgono, cominciano a sgridare e a picchiare Cenerentola. Alidoro sta per accorrere in suo aiuto, quando entrano i cavalieri della scorta del principe. Sono venuti ad annunciare l’arrivo del loro signore: il principe le inviterà ad un ballo nel suo palazzo, dove sceglierà la più bella fra le fanciulle presenti per farla sua sposa ("O figlie amabili"). Appena compreso di che si tratta, Clorinda e Tisbe cominciano ad impartire a Cenerentola una ventata di ordini perché porti loro vestiti e gioielli ("Nel cervello una fucina"). Clorinda e Tisbe litigano in merito a chi delle due andrà ad informare il padre di questa emozionante novità. Ancora mezzo addormentato, compare Don Magnifico, il quale rimprovera le figlie per averlo svegliato da un sogno assai piacevole e straordinario; procede quindi a raccontar loro in ogni particolare questo sogno, fornendone inoltre la sua interpretazio-ne. Secondo lui presagisce un improvviso miglioramento nelle sorti della famiglia e la propria futura ascesa sociale: le figlie diverranno principesse ed egli sarà nonno di una dinastia di re ("Miei rampolli femminili"). Le due sorelle informano immediatamente il padre dell’imminente visita del principe e dei propositi “matrimoniali” di quest’ultimo; Don Magnifico è entusiasta della notizia e scongiura le figlie di far tutto il possibile per conquistare il cuore dello ricco principe; poi le manda ad agghindarsi. La sala è rimasta vuota. Il principe Don Ramiro vi entra con qualche esitazione, trave-stito da scudiero. Alidoro gli ha fatto capire che nella casa di Don Magnifico avrebbe trovato una fanciulla leggiadra e dal cuore d’oro, e che sarebbe questa la sposa ideale per lui; per verificare meglio tutto ciò, il consigliere gli ha suggerito di recarsi da loro sotto false spoglie ("Tutto è deserto"). Entra Cenerentola, assorta nel pensiero, e rimane così sorpresa alla vista di Ramiro, che lascia cadere la tazza da caffè e il piattino che stava portando. I due provano fin dal primo istante un’attrazione l’uno per l’altra ("Un soave non so che"). Quando Ramiro chiede a Cenerentola chi essa sia, lei rimane così imbarazzata che gli dà solo una risposta confusa. Intanto si sentono le voci di Clorinda e Tisbe che chiamano impazienti Cenerentola. Questa spiega a Ramiro che tutti i doveri in casa ricadono su di lei. Il principe ne è colpito ed al tempo stesso rimane sempre più affascinato dalla ragazza. Anche Cenerentola sente da parte sua di essersi innamorata di Ramiro. Cenerentola sì è appena allontanata quando entra Don Magnifico in abito di gala. Ramiro lo informa che “Sua Altezza” arriverà fra poco. Don Magnifico agitatissi-

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mo, corre dalle figlie per sollecitarle. Il presunto principe, che in realtà è Dandini, il domestico di Don Ramiro, entra accompagnato dai cavalieri della sua scorta. Questi lo esortano a scegliere al più presto una sposa, o altrimenti la dinastia principesca si estin-guerà. Ma Dandini deplora di non aver ancora trovato la ragazza giusta, nonostante tante ricerche ("Scegli la sposa..... Corre un’ape"). Clorinda, Tisbe e Don Magnifico sono confusi per il grande onore che il principe sta facendo loro con la sua visita. Dan-dini fa a tutti e tre i complimenti più esagerati, assicurandosi ogni tanto dell’approva-zione di Don Ramiro per la parte che sta recitando. Clorinda e Tisbe sono già convinte del loro successo, e Don Magnifico è addirittura fuori di sé al pensiero che una sua figlia possa sposare un partito del genere. Ramiro intanto non vede l’ora che torni Ce-nerentola. Dandini spiega che, secondo la volontà espressa dal padre prima di morire, egli è ora costretto a scegliersi subito una moglie, altrimenti verrà diseredato; così ha invitato tutte le ragazze in età da marito ad un ballo per poter fare meglio la sua scelta. Detto ciò, si congeda per ritornare al palazzo. Clorinda e Tisbe lo seguono. Ramiro indugia, nella speranza di vedere ancora una volta Cenerentola che è andata a prendere il cappello ed il bastone per Don Magnifico. In presenza di Ramiro e di Dandini, che è frattanto ritornato, Cenerentola prega Don Magnifico di portarla, anche per poco tem-po, al ballo ("Signore, una parola"). Don Magnifico la respinge bruscamente e quando infine minaccia di picchiarla, intervengono Ramiro e Dandini. Don Magnifico spiega loro che la ragazza non è che una sguattera che si dà arie di gran signora. Cenerentola prega Ramiro e Dandini di intercedere per lei. In quel momento entra Ali-doro, questa volta nel suo abbigliamento consueto. Ha in mano l’elenco di tutte le ra-gazze da marito del vicinato. Secondo quest’elenco Don Magnifico dovrebbe avere una terza figlia: anche lei è invitata alla festa del principe. Ma il barone replica che la terza figlia è morta. Quando l’ingenua Cenerentola si fa avanti per contraddirlo, egli la mi-naccia di morte all’istante se solo osi dire una parola. Si avviano quindi tutti al palazzo del principe con l’eccezione di Cenerentola che rimane a casa. Poco dopo ritorna Ali-doro, nuovamente travestito da mendicante. Invita Cenerentola ad andare con lui al ballo come sua “figlia”, e le assicura che in quello stesso giorno il suo destino cambierà nel modo migliore possibile (" Là del ciel nell'arcano profondo"). Intanto, Dandini ha parole lusinghiere per la grande erudizione enologica di Don Magnifico. Lo manda poi nelle cantine reali a gustare i suoi vini, con la promessa di promuoverlo alla carica di Cantiniere Reale se saprà farsi onore come assaggiatore di vini. Accordatosi con Ramiro, Dandini volge ora le sue attenzioni a Clorinda e Tisbe, che si contendono i suoi favori, e riesce a convincere ognuna delle due che è lei la preferita. I gentiluomini di corte celebrano la grande resistenza ai vini dimostrata da Don Magni-fico: ha già assaggiato trenta botti e ancora non vacilla. Il barone si vede conferire mol-ti titoli onorifici dal principe, e con la testa un po’ confusa dal vino promulga un editto in cui si fa divieto di acquistare il vino; questo manifesto dovrà essere affisso in tutta la città ("Noi Don Magnifico"). Poi tutti vanno al banchetto. Poco dopo entrano di sop-

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piatto Ramiro e Dandini ("Zitto, zitto; piano, piano"). Dandini fa un quadro assai poco lusinghiero delle due ragazze, ma Ramiro ricorda che Alidoro insisteva nel dire che una delle figlie del barone sarebbe stata la sposa ideale per lui. Ma le parole di Dandini lo confermano nella risoluzione di non prendere in moglie nessuna delle due sorelle. So-praggiungono Clorinda e Tisbe, tutte e due alla ricerca del principe ("Principino, dove siete?"). Dandini fa notare loro che non potranno sposarlo in due, e propone di sposar-ne una lui e di dare in moglie l'altra al suo “scudiero”. Entrambe le ragazze sono disgu-state al solo pensiero di sposare un uomo così volgare e “dozzinale”. Successivamente, appare Alidoro che annuncia l’arrivo di una dama sconosciuta e velata. Clorinda e Tisbe intuiscono che sarà per loro una rivale, e rimangono costernate. Appa-re allora Cenerentola in ricco abbigliamento. Quando essa risponde al saluto della corte ("Ah se velata ancor..... Sprezzo quei don"), Ramiro pensa di aver già sentito quella voce. Su preghiera di Dandini, Cenerentola toglie infine il velo e tutti rimangono stupiti alla vista di tanta bellezza ("Parlar, pensar, vorrei"). Arriva in quel momento Don Ma-gnifico ("Signor..... Altezza, è in tavola"). Scorge allora la bella sconosciuta e gli sem-bra di riconoscere in lei Cenerentola; Clorinda e Tisbe cercano però di rassicurare il padre. Dandini invita infine tutti a tavola; egli sceglierà poi la sua futura sposa al ballo dopo cena. ATTO II

Scena I

Nel palazzo di Don Ramiro. Don Magnifico è convinto che una sua figlia diventerà principessa. Ammonisce Clorin-da e Tisbe a non dimenticare nella buona sorte il loro povero vecchio padre. Da sogna-tore incorreggibile quale è, si vede già sommerso da tutti i regali di quei numerosi po-stulanti immaginari i quali, con la sua intercessione, intenderebbero acquistare dei fa-vori a corte ("Sia qualunque delle figlie"). Dopo che Don Magnifico sì è allontanato entra Don Ramiro; egli riflette sulla somiglianza fra la dama sconosciuta e la modesta ragazza il cui fascino l’aveva colpito quella mattina stessa. Si accorge che sta arrivando la bella incognita, incalzata da Dandini che le fa la corte, e si nasconde per sentire quel che dicono. Dandini è anche lui affascinato da Cenerentola, che però lo respinge con-fessandogli di amare un altro, lo “scudiero” di “Sua Altezza”. A questo punto Ramiro, fuori di sé dalla gioia, si fa avanti; Cenerentola aggiunge che grado e ricchezze non hanno alcuna importanza per lei; solo l’amore e la vera virtù contano. Tuttavia non permette a Ramiro di seguirla subito, ma gli dà uno dei due braccialetti che porta, e gli ingiunge di cercarla là dove vive: potrà riconoscerla dal braccialetto, gemello dell’altro, che lei porta al braccio destro. Se egli allora la vorrà ancora, sarà sua. Uscita Ceneren-tola, Don Ramiro decide di finire all’istante la mascherata e fa preparare subito carroz-za e cavalli per mettersi alla ricerca dell’amata ("Sì, ritrovarla io giuro"). Mentre Dan-dini riflette sulla sua improvvisa “deposizione” gli si avvicina Don Magnifico, impa-

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ziente di sapere se “Sua Altezza” ha fatto la sua scelta. Quando sente che la scelta è stata compiuta, non riesce più a frenare la sua curiosità. Con un’aria di mistero Dandini si fa promettere dal barone che manterrà il più stretto segreto su quanto sta per dirgli ("Un segreto d'importanza"). Allora Dandini chiede a Don Magnifico come dovrà trat-tare una sua figlia nel caso che egli la sposi veramente. Don Magnifico, sollecitato nel-la sua vanità, si diffonde in elaborati e prodighi dettagli: generosi banchetti, lacchè a dozzine, carrozza e cavalli splendidi, e così via. Dandini gli replica che tutto ciò non sarà possibile: mangia solo gli avanzi, non frequenta la nobiltà e, non possedendo una carrozza, va sempre a piedi. E quando poi rivela allo sconcertato Don Magnifico che tutto è stato una finzione e che lui non è altri che il carrettiere del principe, allora il barone, indignato ed offeso, dichiara di voler chiedere subito soddisfazione dell’ ingan-no al vero principe. Dandini gli consiglia però di andarsene via subito; Don Magnifico dapprima protesta energicamente, ma poi non gli rimane altro che seguire il consiglio di Dandini. Scena II

Sala nel castello di Don Magnifico come nell'atto primo. Cenerentola ha indossato i suoi abituali, logori vestiti e canta la solita, triste canzone ("Una volta c'era un re"). Sta osservando pensierosa il braccialetto, gemello di quello che ha dato a Ramiro, quando ritornano il patrigno e le sorellastre, tutti di pessimo u-more. Il loro malumore si accresce quando constatano la somiglianza di Cenerentola con la bella dama sconosciuta. Scoppia improvvisamente un temporale, e si sente il fracasso di una carrozza che si ribalta. Dandini e Don Ramiro entrano per chiedere ri-paro dalla furia degli elementi finché non sarà pronta un’altra carrozza. Don Magnifico, che ha compreso ora chi è il vero principe, pensa che Don Ramiro sia venuto a casa sua per chiedere la mano di una delle sue due figlie. Anche Cenerentola riconosce stupefat-ta in Don Ramiro il vero principe, e nello stesso momento quest’ultimo scorge il brac-cialetto che la ragazza porta sul proprio braccio destro. Tutti rimangono confusi e stupi-ti ("Questo è un nodo avviluppato"). Don Ramiro dichiara che sposerà Cenerentola, ma Clorinda, Tisbe e Don Magnifico cercano di convincere la ragazza che il principe si sta facendo gioco di lei. Don Magnifico cerca per l’ultima volta di attirare l’attenzione del principe sulle sue figlie, ma Don Ramiro lo respinge e prega Cenerentola di venire con lui nel palazzo reale. La ragazza è fuori di sé per la gioia, che nemmeno l’arroganza delle sorelle e di Don Magnifico riescono a turbare. Quando tutti si sono allontanati, Alidoro ringrazia il cielo per aver esaudito i suoi desideri e fatto trionfare la bontà. Scena III

Sala del trono nel palazzo di Don Ramiro. I gentiluomini di corte salutano Cenerentola ("Della Fortuna instabile"). Questa non riesce ancora a credere al repentino cambiamento del suo destino ("Sposa..... Signore,

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perdona"). Desidera perdonare il padre e le arroganti sorelle, e chiede a Don Ramiro grazia per loro ("Nacqui all'affanno"). Dimenticata ogni sofferenza, li abbraccia, e tutti i presenti, commossi, celebrano la sua bontà. 2.2 Analisi dell’Opera.

«Stanco dal proporre e mezzo cascante dal sonno, sibilai in mezzo a uno sbadiglio: ‘Cendrillon’. Rossini che, per esser meglio concentrato, si era posto a letto, rizzatosi su come il Farinata dell’Alighieri: ‘Avresti tu core scrivermi Cendrillon ?’, mi disse: ed io a lui di rimando: ‘E tu di metterla in musica?’, ed egli: ‘Quando il programma?’, ed io ‘...a dispetto del sonno, domani mattina’, e Rossini: ‘Buona notte!’». Così Jacopo Ferretti, nelle sue Memorie , ricorda la notte in cui Rossini decise di porre in musica la favola di Cenerentola. Mancavano due giorni al Natale 1816 e il composi-tore, che si era impegnato con il Teatro Valle di Roma a scrivere una nuova opera per il prossimo carnevale, si trovava in gravi difficoltà perché la censura pontificia aveva bocciato il previsto soggetto di Ninetta alla corte, una delle «meno morali commedie del teatro francese», come ci ricorda lo stesso Ferretti. In quella ‘tempestosa’ notte, Rossini si trovò quindi in tutta fretta a scegliere, insieme al librettista e all’impresario Cartoni, un nuovo argomento. La scelta cadde su Cendrillon ou La petite pantoufle, la celeberrima fiaba di Perrault. È però noto come Rossini e Ferretti abbiano eliminato dal racconto qualsiasi implicazione magica e fiabesca: forse la dimensione del meraviglio-so non piaceva al pubblico romano dell’epoca, o forse Rossini non la sentiva, in quel momento, congeniale alla sua ispirazione. Di fatto nel libretto del Ferretti non appare il fondamentale personaggio della fata, né l’incantesimo che permette a Cenerentola di presentarsi al ballo magnificamente vestita. E, soprattutto, non si fa nemmeno menzio-ne della promessa che costringe la fanciulla a fuggire, allo scoccare della mezzanotte, dalle braccia del principe perdendo la fatale scarpetta. In Rossini, peraltro, la scarpetta viene sostituita da uno «smaniglio», un braccialetto che Cenerentola, forse non senza malizia, affida al principe affinché la possa più facilmente ritrovare. Ciò che più colpisce in Cenerentola è la cura di Rossini, inusitata per un’opera buffa, nel tratteggiare il carattere della protagonista. Fin dalle prime battute dell’opera Cene-rentola mostra il suo distacco e la sua alterità nei confronti dei personaggi che la cir-condano. Dalla malinconica canzone iniziale "Una volta c’era un re", alla scena e ron-dò finali "Nacqui all’affanno, al pianto", è evidente l’intenzione di dipingere una figura pateticamente sospesa fra sogno e realtà. Quasi un’eroina da opera seria, insomma, forse più vicina ai languori di Elena, la protagonista della Donna del lago, che non alle funamboliche esplosioni di vitalità di un’Isabella dell’Italiana in Algeri o di una Rosina nel Barbiere di Siviglia. Anche l’ornamentazione vocale, fittissima per il suo ruolo, ha lo stesso fine. Una scrittura estremamente virtuosistica che, pur con altri intenti, ha modo di farsi valere anche nel personaggio di Dandini durante il suo travestimento da principe, e in quello di Alidoro al momento di mostrarsi in tutta l’autorevolezza del suo

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ruolo. Il personaggio meno delineato è in fondo Don Ramiro, che solo a fatica si diffe-renzia dal tradizionale ruolo di amoroso. La sua aria del secondo atto, "Sì, ritrovarla io giuro", è piuttosto convenzionale e tutto sommato appare molto più significativo, per la caratterizzazione del personaggio, il bellissimo recitativo accompagnato "Tutto è deser-to", con il quale il principe si presenta, in bilico fra stupore e incantamento. È questo il punto in cui l’opera sembra adeguarsi all’atmosfera della fiaba. Non a caso il seguente duetto fra Cenerentola e il principe è forse il più bel duetto d’amore che Rossini abbia mai composto. Veramente sbalorditiva, in quella pagina, è la capacità di tradurre in poche battute tutti i trasalimenti e il turbamento dei due giovani, con una fulminante pittura musicale del più classico coup de foudre. Don Magnifico, Clorinda e Tisbe appartengono invece al più tradizionale mondo dell’-opera buffa, con tutto l’armamentario di sillabati ed effetti onomatopeici che ne conse-gue. Relegato alla funzione di semplice riempitivo, il coro non ha modo di farsi valere quale protagonista attivo dell’azione. Il ‘vuoto’ che si crea di conseguenza attorno ai protagonisti è forse all’origine di quel senso di straniamento e irrealtà che a tratti perva-de il racconto. Nonostante le connotazioni buffe e realistiche del libretto, Cenerentola rimane quindi un capolavoro di stilizzazione e di drammaturgia antinaturalistica. La Cenerentola è un’opera importante anche perché, es-sendo immediatamente successiva all’Otello7, si colloca in un momento fondamentale dal punto di vista dell’evoluzione del linguaggio rossiniano. Non è un’opera comica, bensì un dram-ma giocoso, al quale Rossini si rivolse con particolare entu-siasmo, risoluto tuttavia a modificarne il carattere, rinuncian-do, come detto, ad ogni elemento fiabesco. È stato per molto tempo affermato come Rossini riveli la sua grandezza più nel genere serio che in quello comico, ma ad un attento esame di tutta la sua produzione appare chiaro come egli sia grande in entram-be i generi. In questa opera, così come aveva fatto altre volte, Rossini ricorre al cosiddetto “auto-imprestito”: infatti la sinfo-nia della Cenerentola è presa integralmente dalla Gazzetta e, tuttavia, funziona perfettamente in questo nuovo contesto mu-sicale. Il ritmo rossinia-no,infatti, avendo la caratteristica di avvicinarsi al ritmo del linguaggio verbale, possiede una vivacità sua pro-pria, in grado di garantire esiti sempre eccellenti. Come tutte le tessiture mezzosopranili, il ruolo di Angelina ha una vocalità molto com-plessa anche perché Rossini potendo disporre di cantanti dalla grande tecnica, lavorò sulle loro voci per utilizzare al meglio le caratteristiche vocali che nascevano da una tecnica oggi pressoché scomparsa e che probabilmente consentiva agli interpreti di abbandonar-

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7. Nello stesso periodo della Cenerentola, Rossini aveva scritto un’ altra opera che per moltissimi anni domi-nerà il re-pertorio dei teatri italiani: roteilo. Sebbene l’Otello di Ros-sini sia stato oscurato dall’omonima opera di Verdi, indub-biamente più moderna, non va tuttavia trascurato soprattutto per la sua caratterizzazio-ne psicologica.

si ad un virtuosismo particolarmente arduo. Quando compose la Cenerentola, inoltre, era ancora in auge Isabella Colbran, ce-lebre cantante, nonché moglie del compositore, la quale, se-condo le testimonianze dell’ epoca, pare che avesse una tessi-tura di un’esten-sione incredibile. Oltre a Rossini, infatti, anche musicisti quali Bellini e Donizetti erano soliti costruire queste tessiture pensando alla Malibran, alla Pasta, alla Crisi; e, in genere, ai più grandi cantanti del momento, i quali erano in grado di eseguire con estrema disin-voltura passaggi virtuosistici di grande bravura che testimoniano la straordinarietà delle loro voci. Nella Cenerentola Rossini sottolinea l’elemento patetico; nel personaggio di Angelina vengono esaltati infatti i momenti di languore, di malinconia, che sono propri del vero e grande Rossini. Angelina è un personaggio completamente diverso da quello di Rosina, una figura di donna volitiva e sicura di sé, sempre pronta a tirare fuori le unghie, a difendere la sua perso-nalità. Al contrario, Angelina, aspetta il momento giusto e spera nella sorte beni-gna che la ripaghi delle sue sofferenze. Nonostante cio, una lettura approfondita del testo della Cenerentola contraddice qualsiasi sdolcinatura attribuibile alla protagonista. Già nelle scene d’apertura mentre le sciocche sorellastre sono tutte prese da pura vanità, Angiolina, con assoluta indifferenza si occupa invece di fare un buon caffè, con la mente altrove. E intanto canta una ballata assai appropriata su di un re che sposa una ragazza innocente e buona preferendola alle due eleganti e vistose pretendenti che se lo contendono. Sembra già che essa sogni (o addirittura progetti!) il proprio futuro. Al-l’ingiunzione delle sorellastre di tacere, caparbiamente ella ripete la canzone, assumen-do un’aria provocatrice. Certo, essa compie subito dopo un atto che il vecchio catechi-smo definisce un’opera materiale di carità: sfamando un affamato, rappresentato in questo caso da un vagabondo mendicante. Parente più prossima dell’opera rossiniana era Agatina, o La virtù premiata di Stefano Pavesi, opera che debuttò a Milano nell'aprile del 1814, meno di tre anni prima della composizione della Cenerentola. Può darsi che Ferretti la conoscesse, e quasi certa-mente era ben nota a Rossini il quale aveva avuto due premières sue alla Scala durante quella stessa stagione, (Aureliano in Palmira e Il turco in Italia). Per essere un angelo, l’Angiolina di Ferretti, mostra dei busti piuttosto frivoli e terreni, fra cui il più impor-tante nella fattispecie è l’amore per i ritrovi sociali. Ciò viene abbondantemente sottoli-neato dalla sua insistente supplica al patrigno perché la porti con sé al ballo del palazzo reale. Al suo ripetuto rifiuto essa è pronta ad accettare senza indugio l’invito dell’ex mendi-cante che si offre di portarla al ballo sotto la sua protezione. Quando poi arriva al ballo, deve fare ben poco. La sua stupenda apparizione, simile alla prima esilarante comparsa della Turandot, costituisce di per se stessa il grande evento. Quando viene presentata alla compagnia, immediatamente e con ammirevole concisio-ne essa rende note le proprie intenzioni al principe (in quel momento travestito da val-letto di se stesso), dichiarando: "Spezzo quei don che versa/Fortuna capricciosa/

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M'offra, chi mi vuol sposa/Rispetto, amor, bontà". Ma mentre per lei il primo desiderio è il rispetto, per gli altri invitati viene prima la cena, e l’atto si chiude con i commenti di tutti i presenti sulla qualità da sogno della festa. All’inizio del secondo atto, tallonata dal valletto del principe travestito da principe, la giovane ha un’altra opportunità di esprimere le proprie idee sul matrimonio. Sarebbe felicissima di sposare un semplice stalliere, a patto che sia virtuoso ed amorevole: "Mio fasto è la virtù, ricchezza è amore"; e quando il vero principe si dichiara interessato (pur senza svelare la sua vera identità), lei gli propone una prova, come se avesse già ella stessa assunto rango regale. Alla maniera dei corteggiatori nelle favole, egli la deve cercare e trovare. Ovviamente non gli costa molto. Con la segreta complicità di Alidoro, il principe trova Cenerentola, ma non prima che essa abbia ancora una volta ribadito le proprie idee matrimoniali. Non le interessa la superficialità: "Amo solo bel volto e cor sincero", e finalmente la donna lascia trapelare un lembo di sessualità. All’arrivo del principe, per la prima volta nelle vere vesti, la sorpresa di Cenerentola ("Voi pence siete?") ed il si-lenzio sbigottito che contorna la scena del riconoscimento sono richiami brevi ma po-tenti al fatto che si tratta dopo tutto di un “dramma giocoso” (situato già oltre il con-venzionalismo dell’opera buffa), e che l’accento dell’opera è libero di spostarsi veloce-mente dal giocoso al drammatico. L’atmosfera si fa ancora più tetra dopo il sestetto seguente, quando non solo una delle malvage sorellastre chiama Cenerentola "donna sciocca", ma le si rivolge anche come "alma di fango", insulto ancora più sconvolgente al tempo. Anche il patrigno è altrettanto brutale come la giovane ricordandole la sua posizione all’interno della casa, rimbrottandola come "serva audace" e "serva indegna". E perfino quando il principe li chiama "alme vili", padre e figlie sono ancora incapaci di comprendere la passione del giovane per una serva, e provano ad insistere "Ma una serva.....". Cenerentola, ormai certa della vittoria, intercede chiedendo il perdono del principe e, scivolando correttamente al congiuntivo, implora "Trionfi la bontà". Si rife-risce alla bontà del principe o, con mal celato orgoglio spirituale, alla propria? Ma ciò non vale a mutare l’atteggiamento dell’insensibile famiglia Magnifico: all’unisono tutti e tre la deridono come ipocrita, e quando il principe annuncia che Angiolina sarà sua sposa, l’ottuso terzetto continua a ritenerlo uno scherzo. La futura principessa allora, conciliante, tenta di baciare la mano del patrigno e di abbracciare le stupide sorellastre, ma esse la respingono indignate. In un breve attimo, Cenerentola dubita di sé: per un momento non crede possibile la propria buona sorte. "È un inganno?" chiede, preoccupata di doversi svegliare e trovare una realtà differente. Ma il principe la rassicura. "Amor ti guida", le dice; ed ormai i fatti incalzano con una dinamica incontrollabile. Alla successiva comparsa, Cenerentola è già seduta al trono

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del palazzo, con tanto di paggi e damigelle a sua disposizione. L’assemblea riunita dichiara che la bontà ha trionfato (senza congiuntivo questa volta, ma con un inflessibile indicativo) e la neoprincipessa si sente ancora per un momento perduta, rammentando come poco prima vivesse fra la cenere, mentre ora siede su un trono. L’insensato patrigno tenta finalmente di riappacificarsi con Cenerentola gettandosi ai suoi piedi. Lei convince il principe furente ad accettare questo atto di sottomissione e quindi, volgendosi a Don Magnifico e alle sorelle, chiede loro di asciugarsi le lacrime (sebbene manchino le prove della loro commozione fino a quel punto). Cenerentola ha già affermato che la propria “vendetta” sarà di perdonare le due sorelle, tattica mirata a sconvolgere ancor più. Certo, si tratta di bontà, ma di una bontà tagliente come il vetro. E negli ultimi voli di coloratura di Angiolina, forse è il trionfo che conta più della bon-tà. A parte il benevolente ma irrilevante (dal punto di vista psicologico) “principe az-zurro”, gli altri personaggi della storia rossiniana non provengono tanto dal repertorio delle favole quanto dai noti tipi dell’opera buffa: il vanaglorioso Dandini, il padre fatuo (se Angiolina, sotto la sua custodia, fosse stata ricca, senz'ombra di dubbio avrebbe fatto di tutto per sposarsela lui, alla Dott. Bartolo), le due stupidelle snob. Per Dandini e Don Magnifico (come nel caso di Pantalone e Brighella nella precedente Commedia dell'arte), sta agli interpreti riempire ed arricchire i loro ruoli. I bassi comici hanno sempre sfruttato ogniopportunità offerta dalla Cenerentola per sfoggiare la propria in-ventiva (a Napoli, Don Magnifico cantava sovente in dialetto napoletano.). Per quanto concerne Angiolina invece, se l’interprete non se la sente di presentarla come una gio-vane di sentimento e di fuoco, è possibile cavarsela con una lettura bi-dimensionale: nella maggioranza dei casi questa lettura è patetica ed alla fine felice. Angiolina può essere semplicemente angelica, da capo a piedi. Ma un mezzosoprano che osi lavorare il personaggio con un pò più di fantasia può trasformare la servetta tutta acqua e sapone in una lavoratrice colla testa sulle spalle (pur sempre con un cuore in seno). Alcuni critici, sostengono che il testo della Cenerentola permette poca azione, include troppa comicità estranea ed impiega il coro come mera decorazione musicale, senza coinvolgerlo nell’azione. In realtà sono ben pochi i momenti statici dell'opera; e sin dall’inizio c’è un grande conflitto fra i vari personaggi. Un fatto significativo (la prima comparsa di Alidoro travestito) mette in moto l’intera storia, ed un altro propellente è l’ulteriore impresa dello stesso personaggio nel portare Angiolina al ballo. Forse alcune delle scene comiche, soprattutto quella di Don Magnifico che assaggia il vino, contribuiscono poco al progredire dell’azione; ma il personaggio di Don Magnifi-co, il vero antagonista di Angiolina deve avere adeguato spazio. E comunque, non si deve dimenticare che l’opera fu composta per la stagione del Car-nevale. La presenza di scene comiche è perciò ben giustificata. Alla prima romana, come visto, La Cenerentola ebbe una prima accoglienza ostile. Gran parte della musica passò inosservata, e qua e là si sentirono dei fischi. Si dice che

Rossini dicesse al librettista rattristato: “Sciocco! Non si terminerà il carnevale senza che tutti se ne innamorino; non passerà un anno che sarà cantata dal Lilibeo alla Do-ra.....”. E così fu: le ultime esecuzioni romane ebbero una calorosa accoglienza e l’opera diven-ne una delle favorite del pubblico romano. Presto raggiunse altre importanti città italia-ne, e quindi il resto dell’Europa (Londra, Haymarket, 1820) e dell’America (New

York, 1826). Per la maggior parte dell’Ottocento la sua fama agognò e a volte addirit-

tura superò quella del Barbiere. Poi, quando la voce del contralto di coloratura divenne

sempre più rara (e Rosina invase il territorio del soprano leggero), l’opera più tarda

andò scomparendo dai repertori, per rivivere soltanto quando qualche interprete ecce-

zionale (Giulietta Simionato, Teresa Berganza, Fanny Anitua) riuscì a farla funzionare.

In tempi più recenti, con il fiorire dell’irresistibile rinascenza rossiniana e la comparsa

di una nuova generazione di mezzosoprani rossiniani, come Rosina è ritornata al suo

fascino originale, così Angiolina ha reclamato il proprio trono. La virtù, e con essa il

virtuosismo, ha ancora una volta trionfato.

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INDICE

LA CENERENTOLA

DI GIOACCHINO ROSSINI.

1.0 Introduzione. 1.1 L’autore: G. Rossini. Breve bibliografia. 1.2 La fiaba di Cenerentola. 1.3 Le versioni di Cenerentola. 2.0 Cenerentola secondo Rossini. 2.1 I personaggi e la trama dell’Opera. 2.2 Analisi dell’Opera.

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Bibliografia

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BIBLIOGRAFIA

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Blyth, Alan. Cinderella = La Cenerentola, the story of Rossini's opera, with pictures by

Emanuele Luzzati, London, Julia MacRae Books, 1981.

Cinderella; from the opera by Gioacchino Rossini in a version written and illustrated by

Beni Montresor, New York, Random House, 1973.

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Ferretti, Jacopo 1784-1852. La Cenerentola, melodramma giocoso in due atti, Jacopo

Ferretti, musica di Gioacchino Rossini. Milano, G. Ricordi & C., 1946

Ferretti, Jacopo1784-1852. La Cenerentola, Dramma Giocoso Per Musica, Giacchino

Rossini, libretto: Giacomo Ferretti. Venezia, Casali.

Indice della collana, pubblicata con la rivista ASSODOLAB del 20

dicembre 2013.

1. Giuseppe Verdi: L’uomo, l’artista e le sue Opere.

2. Il trittico di Puccini: Fonti e Librettisti

3. Il superamento dell’opera: L’Otello di Giuseppe Verdi.

4. La Cenerentola di Gioacchino Rossini.

5. Le folli donne di Gaetano Donizetti.

6. L’Orientalismo di Puccini.

7. Pietro Mascagni e i suoi librettisti.

8. Romeo e Giulietta: L’opera di un amore impossibile.

9. Voce e registri nell’Opera Lirica.

10. Le nozze di Figaro di Wolfgang Amadeus Mozart.

Volume n. 4

Allegato alla rivista ASSODOLAB - Anno XIV n. 3 del 20.12.2013.

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04 VOLUME