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Pasolini

37PICCOLA

BIBLIOTHIKI

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A mia madre

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Il presente lavoro è l’evoluzione della mia tesi di master inEditoria, giornalismo e management culturale all’Università diRoma “La Sapienza”. Ringrazio, dunque, tutta la struttura delmaster, in particolare la mia relatrice, Prof.ssa ElisabettaMondello, per i preziosi insegnamenti. La mia passione per Pasolini si è alimentata di letture ed

esperienze anche durante il tirocinio del master presso la rivistaLeggere:tutti, di cui ringrazio l’editore Sergio Auricchio. Ringrazio, inoltre, Roberto Ippolito, che mi ha scelto, insieme

ai musicisti Marta La Noce e Fabio Micalizzi per la giornatasulle “Canzoni di Pasolini” nel suo evento “Con Pasolini”. Ringrazio i miei familiari e i miei amici per il sostegno.

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Irene Toppetta

Pasolini

Asterios EditoreTrieste 2017

Perché ho accettato di scrivere...

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Prima edizione nella collana PB: Agosto 2017© Irene Toppetta 2016

© Asterios Abiblio Editore 2016posta: [email protected] – www.asterios.it

I diritti di memorizzazione elettronica,di riproduzione e di adattamento totale o parziale

con qualsiasi mezzo sono riservati.Stampato in UE.

ISBN: 978-88-9313-050-9

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Indice

Introduzione, 13

CAPITOLO IImpegno giornalistico di Pier Paolo Pasolini1.1 Scritti corsari. Gli articoli di Pasolini per il

«Corriere della Sera», 211.2 Lettere luterane, 66

CAPITOLO IIConsiderazioni sulla produzione letteraria, poetica,

cinematografica e giornalistica di Pier Paolo Pasolini, 73

Bibliografia, 93

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Molti non mi hanno mai perdonato di scrivere tra diloro senza essere infeudato ad alcun potere né vincola-to dalla legge della sopravvivenza. Il mio vero peccatoè di avere esercitato il mestiere di giornalista da pole-

mista e da poeta, nella più totale insubordinazione. P.P.P.

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Introduzione

Interrogarsi sull’impegno giornalistico di Pier PaoloPasolini a quarant’anni dalla sua morte significa interro-garsi su ciò che questo grande intellettuale ci ha lasciatoin questo ambito specifico e, naturalmente, collegarloalla sua produzione letteraria e artistica generale.Per cominciare, ci si può chiedere perché il poeta,

romanziere, cineasta abbia voluto esprimersi ancheattraverso i giornali. È Pasolini stesso a risponderci,ponendo questa domanda prima di tutto a se stesso, anti-cipando, così, chi gliel’avrebbe posta: «Perché ho accetta-to di scrivere per “Tempo” la presente rubrica? È unadomanda che faccio a me stesso [...] invoco a giustificar-mi la necessità “civile” di intervenire, nella lotta spicciolae quotidiana, per conclamare quella che secondo me èuna forma di verità. Dico subito che non si tratta di unaverità affermativa: si tratta piuttosto di un atteggiamen-to, di un sentimento, di una dinamica, di una prassi,quasi di una gestualità»1. Dunque, per l’intellettualePasolini dedicarsi alla scrittura sui giornali rappresenta-va un modo per intervenire sui temi che gli stavano acuore raggiungendo un grande pubblico, e al tempo stes-so instaurare con esso un dialogo. La produzione pasoliniana si caratterizza per un carat-

tere improntato alla mescolanza di generi diversi, dove siintrecciano forme e stili vari, che, comunque, concorronoa formare una sostanza compatta in cui non è dato stabi-

1. Pier Paolo Pasolini, Il caos, Garzanti, Milano 2015, cit. p. 7.

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lire una sorta di gerarchia tra generi. Per cogliere l’unitàdella visione pasoliniana, non si deve tralasciare nessunaspetto della vasta produzione artistica dell’intellettuale:poesia, narrativa, saggistica, giornalismo, ma anche ilteatro, i film, le canzoni e la pittura, sono tutte modalitàespressive di una personalità poliedrica. Fin da giovane, Pasolini rappresentò una specie di

guida per gli altri, iniziando dal gruppo di amici uniti alui nel progetto della rivista Officina. Pasolini non ricer-cava una posizione di potere; la sua autorevolezza deriva-va, piuttosto, da una naturale assunzione di responsabi-lità a livello etico-pedagogico-politico. Officina servì a Pasolini come mezzo di espressione

culturale, come in seguito gli servirono Nuovi Argomentie tutte le altre collaborazioni giornalistiche, attraversocui trovava un contatto diretto con le persone. Su Vie Nuove, lo scrittore tenne la rubrica “Dialoghi

con Pasolini” (1960-1965): si trattava di una corrispon-denza con i lettori che si attuò spesso come un dialogocon la base del PCI. Attraverso questa esperienza,Pasolini potè rendersi conto di un mutamento della figu-ra dello scrittore dovuto in parte a un mutamento socialegenerale e in parte al diverso corso del marxismo a livellomondiale. Per queste ragioni, anche la figura dello scrit-tore “compagno di strada” o tout court compagno, eracambiata. Infatti, spiegava Pasolini, lo scrittore deglianni ‘50 era una specie di “custode del fuoco sacro”, e sialui che il pubblico dei lettori operai si riferivano ideal-mente a una comune speranza. Nel mondo in cui quellasperanza era decaduta, era mutato il tipo di colloquio tralo scrittore e il pubblico. Tuttavia, Pasolini rilevava comeuna nuova «figura» dello scrittore non si fosse ancoradelineata. Durante il lavoro per la rubrica, egli si era tro-vato a vivere quel passaggio non facile, a proposito delquale scriveva: «se dovessi scegliere tra le due fasi dellamia collaborazione, in cui ho vissuto due tipi diversi difigura dello scrittore nei rapporti con la base di un parti-

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to, sceglierei questa seconda fase: perché più operativa esincera»2. Nel 1966 iniziò l’esperimento di Nuovi Argomenti. Si

trattava di: «‘una rivista che serve a preparare una rivi-sta’. Come tale non ha un programma. Al posto del pro-gramma ha una formula, che è la seguente: una serie diquattro-cinque ‘ricerche parallele’, a puntate, condotteliberamente da quattro-cinque collaboratori fissi»3.Queste ricerche erano completamente libere e condottesecondo il sistema sperimentale; dunque, ricercavano inprimo luogo se stesse. Questo desiderio di ricerca eramosso dalla necessità di dover far ripartire un dibattitoculturale, in modo libero e sincero, intorno ai temi dellacultura marxista. Dal ‘68 al ‘70 fu la volta della rubrica “Il caos” sul setti-

manale Tempo: qui, rispetto alla corrispondenza, preval-sero gli interventi liberi sulle tematiche più attuali.Interventi liberi nel senso in cui, ormai Pasolini sentivache i suoi rapporti di compagno di strada col PCI nonimplicavano nessun impegno reciproco; anzi, eranoabbastanza tesi, tanto che egli si rendeva conto di averetanti avversari tra i comunisti quanti tra i borghesi: «Seprovo delle simpatie politiche [...] sono simpatie che noncomportano nessun patto o patteggiamento»4. Lo scrittore era dunque libero e iniziava ad affrontare

quei temi che avrebbero avuto una trattazione più siste-matica nella produzione “corsara” e “luterana” degli anniseguenti. Come sottolinea Piergiorgio Bellocchio nel sag-gio “Disperatamente italiano”, in quest’ultima fase c’è:«un Pasolini che sembra dare l’ultimatum al Potere [...]Come un vulcano che, dopo aver brontolato a lungo e dis-

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2. Pier Paolo Pasolini, Saggi sulla politica e sulla società, a cura diWalter Siti e Silvia De Laude con un saggio di Piergiorgio Bellocchio.Cronologia a cura di Nico Naldini. I Meridiani, Milano 2012, cit. p.1089.3. Ivi, p. 125. 4. Ivi, p. 1096.

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perso la lava in molti rivoli secondari, abbia trovato infi-ne il canale giusto per dirigere la colata e precipitarla contutta la sua forza dirompente sull’obiettivo»5. Attraverso “Il caos”, Pasolini ebbe modo di intervenire

con forza polemica sui temi dominanti di un periodo digrande fermento: 1968/1970. La rubrica rappresentava una parte della sua attività di

scrittore, attività caratterizzata da un forte impegno civi-le. Iniziarono così quelle riflessioni che sarebbero risulta-te fondamentali per la stagione corsara dell’intellettuale.Pasolini infatti, cominciò ad affrontare i temi legati aimezzi di comunicazione, alla questione giovanile, all’eco-nomia, al ruolo della Chiesa.In tutto ciò che faceva, Pasolini si presentava qual’era,

mettendo se stesso in ogni progetto. Chiariva così la suaposizione: «scrivo questa rubrica senza abiurare dallamia condizione di facitore di versi, romanzi o film [...]credo che solo in quanto “autore” io sia stato richiesto difare questo lavoro. La natura di un uomo è unica»6. Esignificativamente, aggiungeva questa considerazione:«sarei più desiderabile (consumabile) se più dolce. Ora,c’è molta dolcezza nella mia natura [...] Ma l’uso, evange-licamente, solo coi poveri o con gli esclusi. Gli altri, oltretutto, non ne hanno bisogno, o, in nome della dignitàborghese, la disprezzano»7.Stava emergendo quella voce fuori dal coro, alla quale

si diede poi possibilità di espressione anche attraverso unquotidiano. Nel gennaio del 1973, infatti, Pasolini iniziò ascrivere per il Corriere della Sera, sotto la direzione diPiero Ottone: qui i suoi interventi riguardavano la politi-ca, la religione, il costume, la società e le sue trasforma-zioni. In questo periodo, gli articoli di Pasolini comincia-rono ad innescare una serie di reazioni che diedero luogo

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5. Piergiorgio Bellocchio, “Disperatamente italiano” in Pier PaoloPasolini, Saggi sulla politica e sulla società, op. cit., p. XXXVII.6. Pier Paolo Pasolini, Il caos, op. cit., pp. 267-268.7. Ivi, p. 268.

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a numerosi dibattiti, anche accesi, trattandosi, ogni volta,di temi “caldi”. Quella dell’intellettuale era una polemicacorsara: libera, spiazzante, coraggiosa, schietta. Articoli scritti per Corriere della Sera, Tempo illustrato,

Il Mondo, Nuova generazione e Paese Sera (1973-1975),insieme a una sezione di documenti allegati redatti da variautori e alcuni scritti di critica apparsi sul settimanaleTempo nel 1974, confluiranno negli Scritti Corsari del1975. Altri articoli confluiranno nel volume postumo, del1976, Lettere luterane. Oggetto di queste pubblicazionisono i temi nodali dell’Italia contemporanea. In particola-re, la collaborazione con il Corriere della Sera verteva inspecial modo sull’analisi della società italiana dei primianni ‘70. L’intellettuale analizzava questo terreno, trovan-do che proprio nel momento in cui scriveva, i processi dicui avevano parlato la filosofia e la sociologia critica (ved.Marx, Marcuse, Horkheimer, Adorno) in Germania, inFrancia, negli Stati Uniti, giungevano, violentemente, acompimento in Italia, e per di più in un modo del tuttopeculiare rispetto a quello degli altri paesi.Negli anni Settanta in Italia ebbe luogo una grande tra-

sformazione, conseguenza dello sviluppo industriale.Tuttavia, secondo Pasolini, quel tipo di sviluppo non siidentificava con un progresso reale, ma rappresentaval’espressione e la volontà di un “nuovo potere” che favo-riva la produzione di beni superflui. Infatti, ciò chesecondo l’analisi pasoliniana distingueva quello sviluppodal progresso stava proprio nella produzione di benisuperflui anziché di beni necessari.Dunque, lo sviluppo degli anni Settanta non poteva

identificarsi con il progresso. Da tale premessa derivavala critica pasoliniana, che si esprimeva giornalisticamen-te in articoli di denuncia che non risparmiavano nessunaspetto della società italiana contemporanea. Lo stilesaggistico e polemico di Pasolini sapeva far emergere teo-ricamente quelle che per lui erano vere e proprie angoscedovute alla fine di un mondo culturale, quello italiano,

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legato a una storia secolare. Pasolini, infatti, parlava dicatastrofe, di “genocidio culturale”, per descrivere ciò chestava accadendo in Italia. Quella trasformazione epocalerichiedeva, per essere analizzata e compresa in modoadeguato, la rimessa in discussione di tutte le categorie diriferimento utilizzate fino ad allora, che ormai non risul-tavano più valide. La realtà italiana era stata sconvolta. Il nuovo potere,

che per Pasolini rappresentava una nuova forma di fasci-smo, aveva imposto un nuovo modello di suddito: il con-sumatore. A questo nuovo italiano non importava piùnulla dei vecchi valori, delle categorie tradizionali di rife-rimento, del bagaglio “storico” e “sentimentale” del suoPaese. Pasolini vedeva tutto questo emergere prepotente-mente soprattutto nei giovani, che non riusciva più ariconoscere e ad amare. Chi erano quei nuovi italiani? Ilsenso di estraneità di fronte a quella trasformazioneantropologica non poteva lasciare indifferente Pasolini,così sensibile, appassionato e attento verso tutto. Luidoveva esprimere la sua angoscia per la perdita di ciò cheamava. Lui doveva richiamare l’attenzione su quel pro-cesso distruttivo perpetrato ai danni di un’intera realtàculturale, di cui nessuno sembrava finalmente rendersiconto. Riferendosi alla produzione letteraria degli ultimi anni

di Pasolini, Alfonso Berardinelli, nella sua prefazione agliScritti corsari, parla di una “saggistica politica d’emer-genza”, fondata sullo schema retorico della requisitoria. Su quel tipo di riflessione, su quel tipo di impegno, a

mio parere bisogna riflettere molto più di quanto è statofatto in passato, e forse occorre farlo in modo diverso dalpassato, perché quelle parole sono attuali in un modosconcertante, e ciò è indice di un clima italiano ancoraavvolto da quella nube di cui l’intellettuale temeva, aragione, gli effetti nefasti. Oggetto di questo libro è dun-que la ricostruzione della critica intellettuale di Pasolininei confronti della società italiana in quel determinato

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momento storico, al fine di individuare e sottolineare leproblematiche ancora aperte. Quindi, innanzitutto, una ricostruzione. Tale ricostru-

zione non potrà, comunque, prescindere dal contestoconcettuale dell’ intera produzione (poetica, narrativa,cinematografica) di Pasolini.Nella Nota introduttiva agli Scritti corsari è Pasolini

stesso che dice: «La ricostruzione di questo libro è affida-ta al lettore. È lui che deve rimettere insieme i frammentidi un’opera dispersa e incompleta. È lui che deve orga-nizzare i momenti contraddittori ricercandone la sostan-ziale unitarietà». Da qui prende avvio la mia ricerca, volta a sottolineare

la grande importanza delle analisi che Pasolini espresseattraverso i suoi articoli, che nel loro aspetto “profetico”si rivelano di grandissimo interesse per la comprensionedella nostra attualità. Attraverso i suoi interventi giornalistici, Pasolini lotta-

va contro il potere dei consumi, un nuovo fascismo che,secondo lui, era addirittura peggiore di quello del passa-to, perché quello era stato totalitario, ma questo era tota-lizzante, agiva nel profondo, trasformava la gente.Il nuovo potere iniziava a dominare tutto e tutti e

secondo Pasolini i politici italiani o non si stavano accor-gendo di niente o stavano fingendo di non sapere nullarispetto al processo in atto: qualcosa era mutato nell’es-senza del potere stesso. La classe politica italiana sidimostrava totalmente inadeguata a governare un Paeseche stava andando velocemente incontro al disastro. Siera di fronte ad uno scollamento tra la società e la politicadovuto, in primis, alla prevaricazione da parte del poteredei consumi. Secondo Pasolini, i servitori del vecchio potere clerico-

fascista continuavano a stare chiusi nel Palazzo, mentre ilpotere reale agiva in modo autonomo nella società. Ilpotere dei consumi poteva ormai compiere, indisturbato,i propri genocidi culturali, poteva omologare tutto e tutti,

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distruggendo le differenze, le peculiarità che per secoliavevano caratterizzato la realtà del nostro Paese.Paradossalmente, politica, scuola e mezzi di comunica-

zione, non contrastandola, favorivano la profonda azionediseducatrice del consumismo edonistico. E allora, secon-do Pasolini occorreva una profonda azione riformatrice inItalia: un’altra scuola, un’altra tv, un altro governo. L’importanza del contributo pasoliniano nei dibattiti

degli anni Settanta emerge con forza dalle sue analisi, chesi rivelano preziose per la comprensione storica e socialedell’Italia e delle sue trasformazioni. Mia convinzione è che riflettere sui problemi attuali

con uno sguardo rivolto ai meccanismi che hanno inne-scato certe dinamiche possa gettare nuova luce su ciò cheviviamo. E in questo, certamente, Pasolini, attraverso l’a-cutissima capacità critica riscontrabile nelle sue riflessio-ni giornalistiche, ci può aiutare molto. Si tratta, infatti,del punto di vista di uno dei maggiori intellettuali delNovecento.

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CAPITOLO IL’impegno giornalistico

1.1 Scritti corsari. Gli articoli di Pasolini per il«Corriere della Sera»

Gli Scritti corsari sono un insieme di scritti giornalisticiche risalgono al periodo 1973-1975. In questo periodo,Pasolini collaborò con il «Corriere della Sera» e con qual-che rivista, concentrandosi su tematiche sociali contem-poranee. Per quanto riguarda la collaborazione con il «Corriere

della Sera», va ricordato che, sotto la direzione di PieroOttone, il giornale decise di ospitare una “Tribuna aper-ta”, attraverso la quale promosse occasioni di dibattito1.Questo tipo di collocazione ben si adattava alla polemica“corsara” di Pasolini. Tutti gli articoli scritti per il «Corriere della Sera» – che

qui prenderò in esame – sono stati raccolti da Pasolinistesso negli Scritti corsari.

1. Così Enzo Siciliano in Vita di Pasolini, Oscar Mondadori, 2015, cit. p.417: «Il quotidiano milanese, fino ad allora, non aveva mai violato ilmoderatismo della borghesia lombarda e italiana. La nuova “Tribunaaperta” fu utile a violarlo: consacrò l’espressione individuale del pensie-ro come ineliminabile elemento della dialettica politica».

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7 gennaio 1973. Il «Discorso» dei capelli2

In questo articolo, Pasolini analizza il fenomeno di costu-me dei “capelloni”, focalizzando l’attenzione sul linguag-gio dei loro capelli.La lunghezza dei capelli rappresentava un segno, che

lanciava un messaggio. Pasolini ricorda che la primavolta che vide i capelloni fu a Praga, e ciò che trasse daquella esperienza visiva fu una comunicazione esclusiva-mente fisica: erano i capelli a comunicare, e comunicava-no protesta. Protesta contro la società consumistica. Nel1968, i capelloni furono assorbiti dal MovimentoStudentesco, nel 1969 avevano assunto un peso ideologi-co e a quel punto non si esprimevano più soltanto attra-verso i loro capelli: «era tornato in funzione l’uso tradi-zionale del linguaggio verbale»3. Ma Pasolini cercò diprestare ancora ascolto al discorso silenzioso di queicapelli, che non si era interrotto. Cosa dicevano a quelpunto? Essi dicevano: «Sì, è vero, diciamo cose di sini-stra; il nostro senso – benché puramente fiancheggiatoredel senso dei messaggi verbali – è un senso di Sinistra…Ma…Ma…»4. Pasolini si impegnò a decodificare quel lin-guaggio, e ne individuò il messaggio equivoco. Equivocoperché destra e sinistra si erano fisicamente fuse, inquanto ormai anche i provocatori fascisti potevano averei capelli lunghi. Insomma, i capelli lunghi erano diventatisolo una moda, assecondata e sostenuta dalle immaginitelevisive e pubblicitarie «dove è ormai assolutamenteinconcepibile prevedere un giovane che non abbia icapelli lunghi: fatto che, oggi, sarebbe scandaloso per ilpotere»5. Dunque, quei capelli non esprimevano piùlibertà, e perciò, per Pasolini, non erano più difendibili.17 maggio 1973. Analisi linguistica di uno slo-

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2. Nel «Corriere della Sera» con il titolo Contro i capelli lunghi.3. Pier Paolo Pasolini, Scritti Corsari, Garzanti, Milano 2015, cit. p. 8.4. Ibidem.5. Ivi, p. 10.

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Anche in quest’articolo, Pasolini si occupava di comuni-cazione. Iniziava col parlare del linguaggio dell’azienda,che è un linguaggio puramente comunicativo. I tecnici,infatti, parlano fra loro un gergo specialistico. Esisteperò, un caso in cui è riscontrabile una certa forma diespressività anche nel mondo dell’industria: si trattadello slogan: «Lo slogan infatti deve essere espressivo,per impressionare e convincere. Ma la sua espressività èmostruosa perché diviene immediatamente stereotipa, esi fissa in una rigidità che è proprio il contrario dell’e-spressività, che è eternamente cangiante, si offre a un’in-terpretazione infinita»7. Così, la finta espressività delloslogan rappresentava il culmine della nuova “lingua tec-nica” che sostituiva la “lingua umanistica”. Ciò portavaPasolini a prefigurare un futuro mondo caratterizzatodall’inespressività, un mondo privo di particolarismi ediversità di culture «un mondo che a noi, ultimi deposi-tari di una visione molteplice, magmatica, religiosa erazionale della vita, appare come un mondo di morte»8.All’interno di questa analisi pasoliniana, c’era il confron-to con un fenomeno nuovo: quello dello slogan dei “jeansJesus”: «Non avrai altri jeans all’infuori di me». Questoslogan appariva, appunto, allo scrittore, come un’ecce-zione nel canone fisso dello slogan, rivelandone unaimprevista possibilità espressiva. Prevedibile fu la reazio-ne al fenomeno da parte dell’«Osservatore Romano» tra-mite un articolista che, dietro il tono lamentoso “nel suoben compitato italiano” aveva alle sue spalle un potereche lavorava per schiacciare i colpevoli di quell’affronto.Nell’ambito del vecchio capitalismo e della prima rivolu-zione industriale, la Chiesa aveva la possibilità di sfrutta-re il meccanismo secondo cui una parte del potere statale

CAPITOLO I. L’IMPEGNO GIORNALISTICO 23

6. Sul «Corriere della Sera» con il titolo “Il folle slogan dei jeans Jesus”.7. Pier Paolo Pasolini, Scritti corsari, op. cit., p. 12.8. Ibidem.

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(ad es. magistratura e polizia) assumeva una funzioneconservatrice mettendosi al suo servizio. C’era una sortadi scambio, per cui la Chiesa accettava lo Stato borghese,e lo Stato, attraverso il patto con la Chiesa, in quantoinstrumentum regni, poteva mascherare il propriosostanziale illiberalismo e la propria sostanziale antide-mocraticità.Secondo l’intellettuale, non c’era contraddizione più

scandalosa che quella tra religione e borghesia, poichéquest’ultima era il contrario della religione. Dunque, laChiesa aveva compiuto il suo più grave errore accettandoil modello borghese: «L’accettazione del fascismo è statoun atroce episodio: ma l’accettazione della civiltà borghe-se capitalistica è un fatto definitivo […] un errore storicoche la Chiesa pagherà probabilmente con il suo declino»9.Questo perché la Chiesa non aveva capito che la borghe-sia rappresentava un nuovo spirito, che si sarebbemostrato dapprima competitivo con quello religioso, eavrebbe finito poi col prendere il suo posto, fornendo agliuomini una visione totale della vita. Certo, ammettevaPasolini, alle lamentele dell’articolista dell’«OsservatoreRomano» avrebbe fatto seguito l’azione della magistratu-ra e della polizia. Ma si sarebbe trattato solo di un caso disopravvivenza. Il futuro apparteneva alla giovane bor-ghesia, che presto non si sarebbe più servita degli stru-menti classici per esercitare il potere. La Chiesa apparte-neva a quel mondo umanistico del passato che rappre-sentava un impedimento alla nuova rivoluzione indu-striale. Il nuovo potere borghese voleva creare dei consu-matori dotati di uno spirito completamente pragmaticoed edonistico; quindi, per la Chiesa non c’era più spazio.Il caso dei “jeans Jesus” era una spia di tutto ciò. I pro-duttori dei jeans, che avevano usato uno dei DieciComandamenti per lo slogan, avevano dimostrato di nonporsi già più certi problemi, ovvero si collocavano giàoltre una certa mentalità. Nel cinismo di quello slogan,

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9. Ivi, p. 14.

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Pasolini vedeva qualcosa di assolutamente nuovo: «essodice appunto […] che i nuovi industriali e i nuovi tecnicisono completamente laici, ma di una laicità che non simisura più con la religione»10. Quella laicità era un nuovovalore, maturato in un clima in cui la religione si svuota-va della sua autorità e sopravviveva solo come forma fol-cloristica da sfruttare per fini consumistici. L’analisipasoliniana di quello slogan non si esauriva solo in que-sto aspetto negativo; Pasolini vi rintracciava, infatti,anche un interesse positivo: lo slogan dei jeans non silimitava solo a comunicare la necessità del consumo, masi presentava anche come la nemesi che puniva la Chiesaper aver accettato il modello consumistico borghese. Ecosì, anche se, come voleva l’«Osservatore Romano», imanifesti con quello slogan sarebbero stati strappati daimuri, qualcosa era avvenuto: «ormai si tratta di un fattoirreversibile anche se forse molto anticipato: il suo spiri-to è il nuovo spirito della seconda rivoluzione industrialee della conseguente mutazione dei valori»11.

9 dicembre 1973. Acculturazione e accultura-zione12

In quest’articolo, Pasolini spiegava perché nessun cen-tralismo fascista fosse riuscito a fare quello che avevafatto il centralismo della civiltà dei consumi. Sotto il regi-me fascista, le diverse culture particolari (contadine, sot-toproletarie, operaie) continuavano a portare avanti ipropri antichi modelli, il loro consenso era solo “a paro-le”. Invece, nel caso del nuovo fascismo (il consumismo),l’adesione ai modelli imposti dal Centro era totale. Era in atto la peggiore delle repressioni della storia,

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10. Ivi, p. 16.11. Ibidem.12. Sul «Corriere della Sera» con il titolo “Sfida ai dirigenti della televi-sione”.

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esercitata attraverso due rivoluzioni: quella delle infra-strutture e quella del sistema delle informazioni. Le stra-de avevano unito la periferia al Centro abolendo ledistanze materiali. La rivoluzione del sistema delle infor-mazioni, attraverso la televisione, aveva fatto sì che ilCentro giungesse ad assimilare l’intero paese, dando ini-zio ad un’opera di omologazione volta a distruggere ogniforma di autenticità. Si volevano imporre i modelli dellanuova industrializzazione, la quale non solo voleva chel’uomo consumasse, ma pretendeva anche che egli avesseun’unica visione ideologica: quella del consumo.In precedenza, il potere aveva voluto un’ideologia reli-

giosa: formalmente, essa era il cattolicesimo, l’unico feno-meno culturale che omologava gli italiani. Ma, con il con-sumismo, il cattolicesimo stesso rappresentava un concor-rente dell’edonismo di massa. Gli italiani avevano, infatti,accettato il nuovo modello che la televisione gli avevaimposto. Tuttavia, averlo accettato non significava esserein grado di realizzarlo, e, se non ci si riusciva, subentravaun sentimento di frustrazione. Quello che preoccupavamolto Pasolini era che, a causa di tutto ciò, i ragazzi sotto-proletari avevano cominciato a provare vergogna per laloro ignoranza e contemporaneamente avevano ancheacquisito, mimeticamente, la caratteristica piccolo-bor-ghese del disprezzo della cultura. Allo stesso tempo, iragazzi piccolo-borghesi, volendosi adeguare al modelloimposto dalla televisione diventavano “stranamente rozzi einfelici”. Dunque: «se i sottoproletari si sono imborghesiti,i borghesi si sono sottoproletarizzati. La cultura che essiproducono, essendo di carattere tecnologico e strettamen-te pragmatico, impedisce al vecchio “uomo” che è ancorain loro di svilupparsi. Da ciò deriva in essi una specie dirattrappimento delle facoltà intellettuali e morali»13.Secondo Pasolini, la responsabilità della televisione eraenorme. La critica pasoliniana era rivolta alla televisionenon in quanto “mezzo tecnico”, ma in quanto strumento

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13. Pier Paolo Pasolini, Scritti corsari, op. cit., p. 24.

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del potere, e potere essa stessa, perché non si limitava aveicolare i messaggi, ma li elaborava, diffondendo la men-talità che il nuovo potere voleva imporre. Le parole dell’intellettuale, in merito al cambiamento

della mentalità dell’italiano, erano durissime: «il nuovofascismo, attraverso i nuovi mezzi di comunicazione e diinformazione (specie, appunto, la televisione), non solol’ha scalfita, ma l’ha lacerata, violata, bruttata per sem-pre…»14. Pasolini era tornato più volte sul tema della televisione

negli anni. Un saggio inedito del 1966 si intitolava, signi-ficativamente, “Contro la televisione”. Qui, l’intellettualeesprimeva tutto il suo disappunto nei confronti di quelmezzo di comunicazione di massa, che veicolava la volga-rità e bandiva il sacro. Secondo Pasolini, come mezzo diespressione dello Stato piccolo-borghese italiano, la tele-visione era: «depositaria di ogni volgarità, e dell’odio perla realtà (mascherando magari qualche suo prodotto conla formula del realismo). Il sacro è perciò completamentebandito. Perché il sacro, esso sì, e soltanto esso, scanda-lizzerebbe veramente, le varie decine di milioni di piccoliborghesi che tutte le sere si confermano nella propriastupida “idea di sé” davanti ai video»15. Attraverso la sua cortina di falsi realismi, la televisione

compiva la discriminazione neocapitalistica tra buoni ecattivi. Essa presentava tutto (persone, fatti, cose e idee)in un modo falsamente oggettivo, perché in realtà que-sto “tutto” era il risultato di una selezione ordinatriceche dava solo determinate notizie al fine di disegnare undeterminato quadro dell’Italia: «L’importante è una solacosa: che non trapeli nulla mai di men che rassicuran-te»16. Nel 1972, in un intervento su «Paese sera» – risposta a

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14. Ivi, p. 25.15. Pier Paolo Pasolini, Saggi sulla politica e sulla società, op. cit., p.130. 16. Ivi, p. 137.

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un’inchiesta sul programma di varietà Canzonissima –Pasolini si esprimeva con toni estremamente severi eforti: «Quando gli operai di Torino o di Milano comince-ranno a lottare anche per una reale democraticità di que-sto ente fascista che è la Tv, si potrà realmente comincia-re a sperare. Ma finché tutti si ammasseranno davanti ailoro video, borghesi e operai, a lasciarsi umiliare in que-sto modo, non resta altra soluzione che la più impotentedisperazione»17.

10 giugno 1974. Studio sulla rivoluzione antro-pologica in Italia18

In questo articolo, fondamentale per comprendere la suaposizione, Pasolini partiva dall’analisi di due elementi: lavittoria del “no” del 12 maggio 1974 al referendum abro-gativo sul divorzio e la strage fascista di Brescia del 28maggio. Il primo elemento, secondo l’intellettuale, stava ad

indicare una sconfitta sia per i cattolici che per i comuni-sti. Infatti, sia gli uni che gli altri, non si aspettavano unrisultato simile; dunque, non capivano il popolo italiano:«sia il Vaticano che il partito comunista hanno dimostra-to di aver osservato male gli italiani e di non aver credutoalla loro possibilità di evolversi anche molto rapidamen-te, al di là di ogni calcolo possibile. Ora il Vaticano piangesul proprio errore. Il PCI, invece, finge di non averlo com-messo ed esulta per l’insperato trionfo»19.Ecco, secondo Pasolini, in realtà non si era trattato di

un vero trionfo. Egli riteneva, infatti, che il 59% dei “no”non indicasse una vittoria del laicismo, del progresso edella democrazia. Quel 59% indicava, piuttosto, che i

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17. Pier Paolo Pasolini, Saggi sulla politica e sulla società, op. cit., p. 839.18. Sul «Corriere della Sera» con il titolo “Gli italiani non sono più quelli”.19. Pier Paolo Pasolini, Scritti corsari, op. cit., p. 40.

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“ceti medi” erano radicalmente – antropologicamente –cambiati. I valori positivi dei “ceti medi” non erano più ivalori sanfedisti e clericali, ma erano i valori dell’ideolo-gia edonistica del consumo e della conseguente tolleran-za modernistica di tipo americano. Tali valori eranoancora solo vissuti e non “nominati”, ma si erano impo-sti: «È stato lo stesso Potere – attraverso lo “sviluppo”della produzione di beni superflui, l’imposizione dellasmania del consumo, la moda, l’informazione (soprattut-to, in maniera imponente, la televisione) – a creare talivalori, gettando a mare cinicamente i valori tradizionali ela Chiesa stessa, che ne era il simbolo»20.L’Italia contadina e paleoindustriale non c’era più, al suo

posto c’era un vuoto che aspettava, probabilmente, dicevaPasolini, di essere riempito da una borghesizzazione totale,modernizzante, falsamente tollerante, americaneggiante…L’intellettuale parlava di una “mutazione” della cultura ita-liana, che si allontanava tanto dal fascismo tradizionalequanto dal progressismo socialista. L’Italia non avevaavuto una grande Destra perché non aveva avuto una cul-tura capace di esprimerla; l’unica espressione di cui erastata capace era stata quella del fascismo. Pasolini parlava,inoltre, di un neofascismo parlamentare, “fedele continua-zione del fascismo tradizionale”.Il Potere aveva voluto lo “sviluppo” e tale sviluppo si

era realizzato in una sorta di epochè, che aveva trasfor-mato, in modo radicale, e in pochi anni, l’Italia. Il feno-meno aveva riguardato fascisti e antifascisti: «la cosa, inrealtà, è enorme: è un fenomeno, insisto, di “mutazione”antropologica. Soprattutto forse perché ciò ha mutato icaratteri necessari del Potere»21. A causa del mutamento,infatti, la “cultura di massa” non aveva potuto più essereuna cultura ecclesiastica, moralistica e patriottica, e siera trasformata in cultura consumistica, proprio perchéera direttamente legata al consumo. Il consumo presen-

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20. Ivi, p. 40.21. Ivi, p. 41.

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tava infatti – spiegava Pasolini – delle sue leggi interne eun’autosufficienza ideologica che aveva creato un Potereche non aveva bisogno di Chiesa, Patria, Famiglia ecc..., eaveva prodotto un’omologazione che aveva finito perriguardare tutti: popolo, borghesia, operai, sottoproleta-ri. A causa di questa omologazione culturale: «la matriceche genera tutti gli italiani è ormai la stessa. Non c’è piùdunque differenza apprezzabile – al di fuori di una sceltapolitica come schema morto da riempire gesticolando –tra un qualsiasi cittadino italiano fascista e un qualsiasicittadino italiano antifascista. Essi sono culturalmente,psicologicamente e, quel che è più impressionante, fisica-mente, interscambiabili»22. Ciò che l’intellettuale trovava impressionante era che si

poteva ormai parlare con un giovane fascista dinamitar-do anche per ore senza accorgersi di chi si aveva di fron-te, mentre fino a pochi anni prima, un fascista si ricono-sceva subito. Questo perché, spiegava l’intellettuale, ilcontesto culturale dal quale questi fascisti provenivanoera molto diverso da quello tradizionale.Lo stesso meccanismo profondo aveva prodotto sia

questi nuovi fascisti, sia coloro che avevano votato “no” alreferendum. La loro cultura era la stessa. Dunque, perPasolini, il fascismo delle stragi era un fascismo nomina-le, senza un’ideologia propria; un fascismo artificiale,voluto dal Potere che aveva deciso di mantenere delleforze da opporre all’eversione comunista. Il nuovo fasci-smo nominale e artificiale era caratterizzato da un estre-mismo che era la somma di conformismo e nevrosi, edera addirittura peggiore di quello tradizionale. Se questaforma di fascismo dovesse prevalere, diceva Pasolini:«non sarebbe più precisamente fascismo. Sarebbe qual-cosa che già in realtà viviamo, e che i fascisti vivono inmodo esasperato e mostruoso: ma non senza ragione»23.24 giugno 1974. Il vero fascismo e quindi il

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22. Ivi, p. 42.23. Ivi, p. 44.

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