3008797 Honore de Balzac Il Colonnello Chabert

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Honoré De Balzac Scene della vita privata IL COLONNELLO CHABERT Alla Contessa Ida Di Bocarné nata Du Chasteler - Uffa! Ancora quel pastranaccio! Così esclamò un piccolo scrivano della categoria "galoppini", come si usa chiamarli negli studi d'avvocato, il quale stava sbocconcellando con molto appetito un pezzo di pane, da cui cavò a un tratto un po' di mollica per farne una pallottola che lanciò poi, con gesto scanzonato, attraverso la finestra alla quale si era appoggiato. La pallottola, ben diretta, rimbalzò fin quasi all'altezza dei vetri dopo aver colpito il cappello d'uno sconosciuto, che stava attraversando il cortile d'una casa situata in via Vivienne, recapito dell'avvocato Derville. - Basta! Simonino, smettetela con scherzi simili se non volete che vi scacci fuori della porta. Per quanto povero possa sembrarvi, un cliente è pur sempre un uomo, diamine! redarguì il capo scrivano, interrompendo di tirar le somme su di una parcella. Il galoppino è per lo più un ragazzo tra i tredici e i quattordici anni, e tale era infatti l'età di Simonino, che sbriga il suo lavoro alle dipendenze d'un maturo scrivano, per il quale spiccia qualche faccenduola personale non esclusa quella delle missive amorose, oltre, beninteso, l'incarico normale di recapitare intimazioni presso gli uscieri e istanze al Palazzo di giustizia. E' un tipo curioso, che sta tra il birichino di Parigi per le sue abitudini e il monello litigioso per destinazione. Quasi sempre senza freno e pietà, egli è incorreggibile, improvvisatore di strofette, beffardo, avido e poltrone. Malgrado ciò, questi galoppini trovano facilmente la buona inquilina d'un quinto piano disposta ad accoglierli in casa, mercé il corrispettivo d'una parte del loro mensile, che non supera mai i trenta o quaranta franchi.

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  • Honor De Balzac

    Scene della vita privata

    IL COLONNELLO CHABERT

    Alla Contessa Ida Di Bocarn nata Du Chasteler

    - Uffa! Ancora quel pastranaccio!

    Cos esclam un piccolo scrivano della categoria "galoppini", come si usa chiamarli negli studi d'avvocato, il quale stava sbocconcellando con molto appetito un pezzo di pane, da cui cav a un tratto un po' di mollica per farne una pallottola che lanci poi, con gesto scanzonato, attraverso la finestra alla quale si era appoggiato.

    La pallottola, ben diretta, rimbalz fin quasi all'altezza dei vetri dopo aver colpito il cappello d'uno sconosciuto, che stava attraversando il cortile d'una casa situata in via Vivienne, recapito dell'avvocato Derville.

    - Basta! Simonino, smettetela con scherzi simili se non volete che vi scacci fuori della porta. Per quanto povero possa sembrarvi, un cliente pur sempre un uomo, diamine! redargu il capo scrivano, interrompendo di tirar le somme su di una parcella.

    Il galoppino per lo pi un ragazzo tra i tredici e i quattordici anni, e tale era infatti l'et di Simonino, che sbriga il suo lavoro alle dipendenze d'un maturo scrivano, per il quale spiccia qualche faccenduola personale non esclusa quella delle missive amorose, oltre, beninteso, l'incarico normale di recapitare intimazioni presso gli uscieri e istanze al Palazzo di giustizia.

    E' un tipo curioso, che sta tra il birichino di Parigi per le sue abitudini e il monello litigioso per destinazione.

    Quasi sempre senza freno e piet, egli incorreggibile, improvvisatore di strofette, beffardo, avido e poltrone. Malgrado ci, questi galoppini trovano facilmente la buona inquilina d'un quinto piano disposta ad accoglierli in casa, merc il corrispettivo d'una parte del loro mensile, che non supera mai i trenta o quaranta franchi.

  • - Se costui un uomo, perch anche voi lo avevate chiamato pastranaccio? - ribatt Simonino con il fare di uno scolaro presuntuoso che creda di cogliere in fallo il suo maestro.

    E riprese ad addentare il pane e il formaggio, appoggiando la spalla sul montante della finestra, giacch egli riposava abitualmente in piedi, come i ronzini, con una gamba lievemente alzata e accostata all'altra poggiandola sulla punta della scarpa.

    - Quale scherzo potremo giocare a quel mardocheo? disse sottovoce un altro scrivano, di nome Godeschal, interrompendo il corso d'un ragionamento che interessava un'istanza trascritta in minuta da un quarto scrivano e riprodotta in pi copie da un paio di novizi venuti dalla provincia. Poi, improvvisando, continu: - "...ma nella sua nobile e protettrice saggezza, Sua Maest Luigi Diciottesimo... (eh, mi raccomando, il tutto in lettere maiuscole, signor Desroches che state minutando) nel momento stesso in cui riprendeva in pugno le redini del suo regno, comprese... (che diavolo avr mai potuto comprendere quel grosso burlone?) tutta l'elevatezza della missione alla quale la divina Provvidenza l'aveva chiamato... (punto d'esclamazione e sei puntini; al Palazzaccio sono sufficientemente bigotti per lasciarceli passare) e il suo primo pensiero fu, come dimostra la data in calce specificata, di sanare i danni causati dagli orribili disastri dei nostri tempi rivoluzionari, restituendo ai suoi innumeri e fedeli sudditi (innumeri parola che deve tornare particolarmente gradita al tribunale) ogni loro bene non alienato, sia incorporato nei beni demaniali come in quelli ordinari o straordinari della Corona, oppure in quelli dotali delle varie amministrazioni pubbliche, cosicch noi ci crediamo e siamo autorizzati a crederci idonei a sostenere che tale lo spirito del famoso e lealissimo decreto promulgato nel"... - Un attimo - disse Godeschal ai tre scrivanelli - questa maledetta frase viene a ingolfarsi proprio alla fine della pagina. Ebbene- egli riprese dopo aver inumidito con la lingua il dorso dell'incartamento allo scopo di poter meglio voltare la spessa pagina di carta bollata - ebbene... se voi volete giocargli un brutto tiro, ditegli che il nostro padrone non pu ricevere i clienti che tra le due e le tre del mattino; vedremo un po' se avr il coraggio di farsi vedere, il vagabondo!

    - E Godeschal ritorn alla fase interrotta: - "promulgato nel"...

    Ci siete?

    - S - risposero in coro i tre copisti.

    Tutto procedeva di pari passo, l'istanza, la conversazione e la congiura.

    - "Promulgato nel"... Ehi, pap Boucard, qual' dunque questa data? bisogna pur mettere i puntini sugli i, sacripante! Ci allunga il testo...

    - "Sacripante"! - ripet uno dei copisti, prima ancora che pap Boucard, il capo scrivano, avesse risposto.

    - Per tutti i diavoli, avete scritto "sacripante"?- grid Godeschal, tra l'indignato e lo scherzoso, fulminando uno dei due novizi.

    - S, s - disse Desroches, il quarto scrivanello, curvandosi sulla copia del suo vicino - egli ha proprio scritto: "bisogna mettere i puntini sugli i" e "sacripante" con un kappa.

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  • Scoppi una risata generale.

    - Alla buon'ora, mio Hur, voi scambiate sacripante per un termine legale e poi mi venite a raccontare che siete di Mortagne! - esclam Simonino.

    - Su, cancellate con cura! - riprese il capo scrivano. Se il giudice incaricato di ricevere l'incartamento vedesse cose simili, direbbe che offendiamo la nostra nobile missione d'imbrattacarte!

    Faremmo avere delle noie al nostro padrone. Non commettiamo pi sciocchezze signor Hur! Un uomo di Normandia non pu scrivere con negligenza un'istanza, il "presentat'arm" della legalit.

    - "Promulgato nel... nel..."? - domand Godeschal. Insomma, me lo volete dire, Boucard?

    - Giugno 1814 - rispose il capo scrivano senza interrompere il suo lavoro.

    In quel mentre bussarono alla porta, interrompendo cos il corso della prolissa istanza. Cinque scrivanelli, sdentati, dagli occhi vivaci e maliziosi, dalla capigliatura spessa, alzarono il naso in direzione della porta, dopo di aver gridato in coro: - Entrate! - Boucard rimase invece mezzo sepolto in un mucchio di carte e di brogliacci, continuando a sommare cifre sulla parcella.

    Lo studio si presentava come una grande stanza, con la classica stufa che ornamento abituale di questa specie di tempio del litigio. I tubi attraversavano diagonalmente tutta la stanza per finire in un caminetto fuori uso, sul cui marmo si ammonticchiavano pezzi di pane, triangoli di formaggio di Brie, cotolette di maiale, bicchieri, bottiglie e, infine, la tazza di cioccolata di pap Boucard. L'odore di tutti quei commestibili si amalgamava alla perfezione con il puzzo della stufa, rinfocolata senza risparmio, e con l'indefinibile lezzo della cartaccia, sicch l'odore selvaggio d'una volpe non sarebbe stato neppure percettibile. Il pavimento era imbrattato di fanghiglia e di neve, portatevi dagli scrivani. Presso la finestra stava la scrivania mobile del capo e, addossato a questa, il tavolino del secondo scrivano, il quale, al momento, si occupava delle pratiche da inviare al Palazzo. Potevano essere le ore otto o le nove del mattino. Unico ornamento alle pareti della stanza quei grandi manifesti giallicci che annunciano sequestri giudiziari, vendite, aste, appalti perfezionati o in preparazione, insomma, tutti i titoli di gloria degli studi d'avvocato! Dietro la scrivania del capo, si drizzava un enorme casellario che riempiva tutta la parete con i vari scomparti ricolmi di cartelle dalle quali pendevano in numero inverosimile etichette e pezzi di spago rosso indicanti particolari incartamenti delle procedure in corso. Ai piani inferiori del casellario si affastellavano cartelle ingiallite dall'uso, bardate di carta bluastra su cui spiccavano i nomi dei clienti pi importanti, i cui affari piuttosto grassi si stavano cucinando. Dai vetri sudici filtrava a stento la luce del giorno.

    In verit, ben pochi sono gli studi parigini nei quali si possa lavorare in febbraio senza l'ausilio d'una lampada prima che scocchino le dieci, e ci non pu stupire in quanto lo stato miserando di quei locali in relazione al fatto che tutti ci entrano, se ne vanno e nessun interesse personale giustifica una qualsiasi cura di cose che sembrano banali: n l'avvocato, n i clienti, n gli scrivani desiderano trovarsi in un ambiente decoroso dal momento che, per il primo, lo studio un laboratorio, per i secondi un passaggio e per gli altri una classe. Il mobilio bisunto passa in eredit da un avvocato all'altro con uno scrupolo quasi religioso, per cui si possono....

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  • ammirare tuttora, in taluni studi, delle casse per rifiuti, degli stampi fuori uso e dei sacchetti gi appartenenti ai procuratori del CHLET, abbreviazione di CHATELET, giurisdizione che sostituiva, sotto il vecchio regime, l'attuale tribunale di prima istanza.

    Questo studio semibuio e polveroso destava dunque, a ragione, una certa qual ripugnanza nei clienti e costituiva, con tutti gli altri dello stesso livello, uno dei pi vergognosi aspetti della societ parigina.

    Se non esistessero le sacrestie dove le preghiere si soppesano e si vendono come droghe; se non esistessero i rivenduglioli i cui stracci hanno anche la funzione di rammentarci come finiscono le illusioni e i festeggiamenti; se simili ricettacoli del sentimento non esistessero, sarebbe indubbiamente lo studio dell'avvocato a mantenere un primato tra i botteghini della nostra societ. Non molto diverso lo spettacolo offerto dalle case da giuoco, dai tribunali, dalle lotterie e da taluni luoghi innominabili. Perch tutto ci? E' probabile che, in quegli ambienti, il dramma che sconvolge la coscienza umana renda trascurabile, futile ogni elemento accessorio. Si potrebbe anche spiegare, in tal modo, l'abituale semplicit dei grandi pensatori e dei conquistatori ambiziosi.

    - Dov' il mio temperino?

    - Io sto facendo colazione, non vedi?

    - Va' a farti benedire... ecco, un'altra macchia sull'istanza!

    - Sssst, amici...

    Esclamazioni e domande esplosero contemporaneamente, nel momento stesso in cui il vecchio cliente chiudeva dietro di s la porta, con un gesto di umilt che tradiva l'intima sofferenza. Lo sconosciuto abbozz un sorriso, cerc invano il pi lieve segno di simpatia in quei ragazzi spietatamente indifferenti. I muscoli del suo viso di distesero subito. Assuefatto a tollerare e a giudicare il prossimo, egli si rivolse con molto garbo a uno dei galoppini, nella fiducia che gli rispondesse con altrettanta gentilezza.

    - Prego, sapreste dirmi se l'avvocato riceve?

    Per tutta risposta, il malizioso galoppino si batt ripetuti colpi sull'orecchio sinistro, come per significare: "Sono sordo".

    - Che cosa desiderate, signore? - domand Godeschal, mentre ingoiava un pezzo di pane che sarebbe bastato per caricare un cannoncino da quattro centimetri, brandiva il suo coltello e incrociava le gambe s da portare un ginocchio all'altezza degli occhi!

    - Io vengo per la quinta volta - rispose pazientemente il vecchio - e desidero essere ricevuto dal signor Derville.

    - Per affari?

    - Beninteso, ma non posso confidarmi ad altri.

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  • - Il padrone dorme; se desiderate consultarlo per una questione importante, vi debbo dire che egli non lavora a fondo che di notte. Ma se si trattasse d'altro... noi potremmo benissimo...

    Lo sconosciuto non batt ciglio. Guard attorno di s come un cane che si intrufoli in una cucina sconosciuta e tema di essere bastonato. Per loro natura, questi scrivanelli non temono gli imbroglioni; non ebbero quindi alcuna diffidenza verso l'uomo dal vecchio pastrano, lasciando che egli cercasse all'intorno una sedia per riposarsi. Era visibilmente affaticato. In genere, negli studi d'avvocato le sedie non abbondano. Il cliente da poco, stanco di aspettare in piedi, se ne va brontolando, ma non perde almeno il suo tempo, un tempo che, secondo l'espressione d'un vecchio procuratore, non pu mai essere calcolato in parcella.

    - Vi ho gi detto - riprese il vecchio - che io non posso spiegare il mio caso che all'avvocato; aspetter quindi che egli sia disponibile.

    Boucard aveva terminato le sue somme. Sent l'odore della cioccolata, abbandon la sua sedia di vimini, mosse verso il caminetto, fiss il vecchio, sbirci il pastrano e disegn una indescrivibile smorfia. Forse pensava che, anche a spremerlo, da un cliente simile non si sarebbe cavato un centesimo. Si decise a intervenire alla spiccia pur di liberare lo studio da un pessimo acquisto.

    - Badate, vi hanno detto la pura verit. L'avvocato non lavora che di notte. Se il vostro caso grave, vi consiglio di ritornare verso l'una del mattino.

    Il cliente fiss il capo scrivano come se non avesse capito e rimase immobile a lungo. Abituati a tutte le variazioni d'umore e di fisonomia come ai singolari effetti prodotti dall'indecisione o dalla meditazione che caratterizzano gli uomini destinati a finire in giudizio, gli scrivani continuarono a consumare la colazione con un rumore di mascelle che richiamava quello dei cavalli alla mangiatoia, e non badarono pi al vecchio.

    - Ebbene... torner stasera - riprese il vecchio dopo una lunga pausa dimostrando quell'ostinazione caratteristica dei disgraziati che vogliono pescare in fallo il proprio prossimo.

    La sola protesta consentita alla miseria di obbligare la giustizia e la beneficenza a mostrarsi ingiuste. Quando gli infelici possono provare che la societ nemica, si rifugiano pi febbrilmente nel seno di Dio.

    - E' davvero un terribile seccatore - disse Simonino senza attendere che il vecchio, uscendo, avesse richiusa la porta.

    - Ha l'aspetto di un cadavere - comment lo scrivano.

    - E' un colonnello che reclama degli arretrati aggiunse il capo.

    - No! un portinaio - disse Godeschal.

    - Scommettiamo che si tratta di un nobile? - grid Boucard.

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  • - Io scommetto che stato portinaio. Soltanto loro hanno in guardaroba pastrani cos vecchi, sdruciti, bisunti, come quello che ci venuto dinanzi. Non avete osservato gli stivali scalcagnati e la cravatta che gli serviva da camicia? Egli ha dormito sotto i ponti, ve lo dico io...

    - Potrebbe essere un nobile decaduto - osserv Desroches. - Sono cose che capitano.

    - No - riprese Boucard tra le risate generali - io sostengo che stato un birraio nel 1789 e colonnello sotto la repubblica.

    - lo scommetto un ingresso a teatro per tutti, che non ha mai servito sotto le armi - disse Godeschal.

    - Accettato - replic Boucard.

    - Signore... signore... - grid il piccolo scrivano aprendo la finestra.

    - Che cosa stai facendo, Simonino! - chiese Boucard.

    - Gli chiedo se stato colonnello o portinaio, lui almeno lo sapr!

    Si ud una risata generale. Il vecchio stava gi risalendo le scale.

    - Che dirgli ora? - chiese Godeschal.

    - Lasciatemi fare - rispose Boucard.

    Il poveraccio rientr timidamente, gli occhi a terra, forse per non tradire la fame che si risvegliava davanti alle cibarie degli scrivani.

    - Volete, per favore, dirci il vostro nome affinch io possa comunicarlo all'avvocato e...

    - Chabert.

    - Il colonnello caduto a Eylau? - insinu Hur che, essendo stato zitto fino a quel momento, non voleva esser da meno degli altri maliziosi chiacchieroni.

    - Proprio lui, giovanotto - rispose il vecchio con austera semplicit. E se ne and.

    - Patatrac!

    - Bocciato!

    - Puff!

    - Oh!

    - Ah!

    - Bum!

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  • - Ah! un originale davvero!

    - Trinn, la, la, trinn trinn.

    - Battuto!

    - Signor Desroches, voi andrete gratuitamente a teatro - disse Hur al quarto scrivano, battendogli un colpo sulla spalla con tanta forza da stordire un rinoceronte.

    Fu come uno scroscio di risa, di esclamazioni, di grida; a descriverlo occorrerebbero tutte le voci onomatopeiche del vocabolario.

    - A quale teatro si va?

    - All'Opera - decise il caposcrivano.

    - Anzitutto - ribatt Godeschal - non era stato prescelto alcun teatro. Se volete, vi posso condurre presso la signora Saqui.

    - La signora Saqui non certo uno spettacolo obiett Desroches.

    - Che cos' dunque uno spettacolo? - riprese Godeschal. - Fissiamo bene il punto di partenza. Che cosa ho scommesso? Uno spettacolo.

    E che cos' uno spettacolo ? Una cosa che si pu vedere...

    - Di questo passo, voi ve la cavereste conducendoci a vedere l'acqua che scorre sotto il Ponte-Nuovo - interruppe Simonino.

    - Che si pu vedere a pagamento - corresse Godeschal continuando.

    - Quante cose si possono vedere a pagamento e non costituiscono affatto uno spettacolo. La definizione errata sentenzi Desroches.

    - Ascoltatemi, dunque...

    - Voi sragionate, mio caro - disse Boucard.

    - Curtius, ad esempio, uno spettacolo? - ribatt Godeschal.

    - No - rispose il capo scrivano - un museo delle cere.

    - Io scommetto cento franchi contro uno - riprese Godeschal - sul fatto che la sala Curtius offre tutto ci che pu costituire uno spettacolo; qualche cosa da vedere, prezzi differenti secondo i posti...

    - E "patati patatun"...

    - Bada che uno schiaffo non te lo risparmia nessuno! - minacci Godeschal. I giovani alzarono le spalle.

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  • - A pensarci su bene, non poi improbabile che quel vecchio scimmione si sia fatto beffe di noi - riprese Godeschal cambiando argomento. - Il colonnello Chabert morto defunto; sua moglie passata in seconde nozze con il conte Ferraud, consigliere di stato. La signora Ferraud una nostra cliente...

    - L'udienza rinviata a domani - disse Boucard. Al lavoro!

    Pappemolli, non concludete molto voi... Finiamo quest'istanza che dev'essere presentata prima dell'udienza della quarta sezione.

    L'affare passa oggi stesso. A cavallo, signori!

    - Se fosse veramente il colonnello Chabert, non avrebbe indirizzato la punta del piede al deretano di Simonino, quando questa canaglia si finta sorda? - obbiett Hur, persuaso che l'osservazione fosse molto pi probante di quella del compagno.

    - Dal momento che nulla stato deciso - riprese Boucard - decidiamo di andare al Teatro dei Francesi, secondi posti, a vedere Talma in "Nerone". Simonino si accontenter della platea.

    Questa decisione tronc ogni incertezza e tutti, sull'esempio del capo, si sprofondarono nelle loro sedie.

    - "Promulgato nel milleottocentoquattordici" (tutto in lettere) - dett Godeschal. - Ci siete?

    - Ci siamo - esclamarono in coro minutante e copisti.

    Si ud il fruscio delle penne sulla carta bollata, come se cento maggiolini fossero rinchiusi in quelle gabbie di carta che sono una specialit degli scolari.

    - "E noi confidiamo che i signori del tribunale"...- dett l'improvvisatore. - Un momento! Devo rileggere il tutto, perch ho perso il filo della frase.

    - Quarantasei... Eh, un guaio che deve capitargli spesso!... e tre fanno quarantanove - borbott Boucard.

    - "Noi confidiamo - riprese Godeschal dopo aver riletto il testo - che i signori del tribunale non saranno meno magnanimi dell'augusto promulgatore del decreto e che essi rigetteranno le inconsistentipretesedell'amministrazionedella grande cancelleria della Legion d'onore adottando quei pi larghi criteri della giurisprudenza che noi ci permettiamo di indicare"...

    - Godeschal, posso offrirvi un bicchiere d'acqua? chiese il galoppino.

    - Sempre scherzi, quel Simonino! Animo, sella il tuo cavallo a doppia suola, e a passo di danza porta questo pacchetto agli Invalidi.

    - "Che... che noi ci permettiamo d'indicare" riprese Godeschal - aggiungete: "nell'interesse della... (maiuscolo!) viscontessa de Grandlieu".

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  • - Viscontessa de Grandlieu contro Legion d'onore? e voi perdete il tempo in un affare " forfait"? - url Boucard. Pezzo d'imbecille!

    Mettete via quella minuta e quelle copie; mi serviranno per l'affare Navarreins contro gli Ospizi. E' tardi; butto gi due righe d'istanza, con tutti gli "atteso che"... e me ne andr io stesso al Palazzo.

    Scenette come questa faranno esclamare un giorno: buon tempo antico!

    Verso l'una del mattino, il preteso colonnello Chabert buss alla porta del signor Derville, avvocato presso il tribunale di prima istanza del dipartimento della Senna.

    Il portinaio avvert che l'avvocato non era ancora arrivato. Il vecchio obiett di avere un appuntamento gi fissato e sal allo studio del rinomato uomo di legge che, quantunque giovane, era ritenuto uno dei pi brillanti avvocati. Dopo aver suonato alla porta dello studio, il sospettoso cliente fu alquanto sorpreso nel constatare che il capo scrivano stava collocando sulla tavola della sala da pranzo numerosi incartamenti relativi alle pratiche del giorno. Lo scrivano, con pari stupore, salut il colonnello pregandolo di accomodarsi.

    - Vi assicuro, signore, che avevo pensato a uno scherzo quando mi stato detto che l'avvocato riceve all'una del mattino - disse il vecchio con un tantino di falsa gaiezza, la gaiezza d'un uomo rovinato che si sforzi di sorridere.

    - Gli scrivani scherzavano e dicevano nel tempo stesso la verit - ammise il capo scrivano continuando il suo lavoro. - L'avvocato preferisce queste ore per esaminare le cause, studiare la procedura, la condotta da tenere e predisporre la difesa. La sua mente prodigiosa pi libera; il silenzio e la tranquillit sono nutrici di buone idee. Voi siete il terzo cliente che viene ricevuto a quest'ora di notte. Appena al suo tavolo, l'avvocato esamina le cause, legge tutto, trascorre quattro o cinque ore cos; poi mi chiama e impartisce le sue direttive. Il mattino, tra le dieci e le due, ascolta i clienti; il resto della giornata dedicato ai suoi appuntamenti privati. La sera, conduce vita mondana allo scopo di mantenere utili relazioni. Come vedete, non gli resta che la notte per approfondire le questioni, scovare negli arsenali del Codice quel che gli occorre e stilare piani di battaglia. Egli non vuole conoscere sconfitte; sente tutta la passione dell'arte. Non si occupa, come i suoi colleghi, di qualsiasi causa. Questa la sua vita, singolarmente attiva, che gli procura anche dei profumati guadagni.

    Nell'ascoltare queste spiegazioni, il vecchio non batt ciglio; il suo aspetto bizzarro si spogli quasi d'ogni umanit per cui lo scrivano, dopo averlo squadrato dalla testa ai piedi, non si occup pi di lui.

    Non erano passati che pochi istanti, quando Derville entr nella stanza; vestiva l'abito da societ. Il capo scrivano, dopo avergli aperto la porta, si era rimesso al suo lavoro. Il giovane avvocato fu alquanto sorpreso nel vedere, immerso nella semioscurit, il singolare cliente che lo stava aspettando. Il colonnello Chabert era immobile, proprio come quelle statue di cera della sala Curtius dove Godeschal avrebbe voluto condurre i suoi compagni.

    Tale immobilit non avrebbe destato forse alcuno stupore se non si fosse riferita a un personaggio assolutamente fuori del comune. Il vecchio soldato era magro fino a

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  • sembrare disseccato. La fronte, nascosta di proposito sotto una parrucca piuttosto rada, accentuava l'aspetto misterioso del vecchio. I suoi occhi parevano ricoperti da un sottilissimo velo; sembravano di vecchia madreperla i cui riflessi bluastri vibrassero alla luce di una candela. Un viso pallido, livido, tagliente come la lama di un coltello, se fosse lecito usare questa similitudine volgare; il volto di un cadavere. Al collo, ben stretta, una cravatta sfilacciata di seta nera. L'ombra inghiottiva totalmente il corpo sicch, con un po' d'immaginazione, si sarebbe creduto a una testa disegnata nell'aria, o a un ritratto del Rembrandt senza cornice.

    La tesa del cappello disegnava un solco d'ombra sul viso del vecchio. Effetto bizzarro, ancorch molto naturale, che determinava un netto contrasto con le bianche rughe, crudamente segnate, con l'aspetto atono di quel viso cadaverico. Una totale assenza di movimento muscolare, di calore nello sguardo richiamava a una melanconica follia, con i segni degradanti che caratterizzano l'idiozia; insomma, un non so che di lugubre che la parola stenta a esprimere. Ma un attento osservatore, e soprattutto un avvocato, avrebbero scoperto qualcosa di diverso in quell'uomo distrutto da un profondo dolore: il segno di una miseria spaventosa che aveva scavato quel viso come le gocce d'acqua riescono a scavare lentamente una lastra di marmo. Un medico, un autore, un magistrato avrebbero facilmente intuito tutta l'ampiezza del dramma che si celava in quella figura orribile e sublime, richiamante ai fantasiosi disegni che i pittori sogliono tracciare in calce alle loro pietre litografiche, distrattamente conversando con gli amici.

    Nello scorgere l'avvocato, lo sconosciuto ebbe un sussulto, un tremito, lo stesso che coglie i poeti quando, nel pieno silenzio della notte, vengono distolti dai loro sogni da un rumore inatteso. Il vecchio si tolse il cappello e si alz per salutare l'avvocato; il marocchino del cappello doveva essere talmente unto che la parrucca vi rest incollata, senza che il vecchio se ne accorgesse, mettendo a nudo un cranio orrendamente sfregiato da una cicatrice che partendo dall'occipite finiva obliquamente all'orecchio destro, formando per tutta la sua ampiezza una mostruosa sporgenza. L'incidente di quella malandata parrucca, che il poveraccio portava per nascondere la ferita, non mosse certamente al riso i due che gli stavano dinanzi, tanto orribile a vedersi era quel cranio sfregiato. Il primo impulso, a tale spettacolo, era di credere che attraverso la ferita ogni vigore d'intelligenza se ne fosse volato via.

    - Anche se non si tratta del colonnello Chabert, costui deve essere stato certamente un fiero soldataccio - pens Boucard.

    - Con chi ho dunque l'onore di parlare? - chiese l'avvocato.

    - Con il colonnello Chabert.

    - Quale?

    - Quello caduto a Eylau, - precis il vecchio.

    A questa inattesa risposta, l'avvocato e lo scrivano si scambiarono un'occhiata:

    - Deve trattarsi d'un pazzo!

    - Avvocato - riprese il colonnello - io gradirei parlarvi da solo a solo.

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  • E' naturale per uomini di legge non lasciarsi mai cogliere alla sprovvista: sia per l'abitudine di ricevere un gran numero di persone, sia per quel tono di protezione che il mestiere stesso gli conferisce, sia per una naturale considerazione del proprio ministero, si trovano a loro agio in qualsiasi situazione, come lo sono i preti e i medici. Derville fece un segno a Boucard, e questi disparve.

    - Vi devo dire, colonnello, che durante la giornata io non sono mai avaro del mio tempo; ma nelle ore della notte i minuti mi sono davvero preziosi. Vi prego, perci, di essere breve, conciso.

    Andiamo ai fatti senza divagare. Vi chieder io stesso dei chiarimenti, se mi sembreranno necessari. Dite pure...

    Dopo aver pregato lo strano cliente di prendere posto a suo agio, si pose al tavolo, dirimpetto e, disponendosi ad ascoltare la storia del fu colonnello, prese a sfogliare i suoi incartamenti.

    - Saprete forse - disse il defunto - che io comandavo un reggimento di cavalleria a Eylau. Molto mi si deve per il successo della famosa carica condotta dal Murat, una carica che decise della vittoria. Disgraziatamente per me, la mia morte ormai un fatto storico ricordato in tutti i suoi particolari nel volume "Vittorie e Conquiste". Noi spezzammo in due tronconi le tre linee russe che, essendosi ricomposte, ci obbligarono a riattraversarle, combattendo in direzione opposta. Mentre, dopo avere sbaragliato i Russi, facevamo ritorno verso il luogo dove stava l'Imperatore, presi contatto con un forte scaglione di cavalleria nemica. Mi scagliai contro la testa di quel reparto. Due ufficiali russi, veri giganti, mi attaccarono e uno di essi mi diede una sciabolata sulla testa fino a toccare il berrettino di seta nera che io portavo, spaccandomi il cranio. Caddi da cavallo. Murat si precipit in mio soccorso e pass sul mio corpo, lui e i suoi soldati, millecinquecento uomini, scusate se poco! La mia morte fu comunicata all'Imperatore che, colpito da perplessit... mi voleva un po' di bene, lui!... domand se non ci fosse pi speranza di poter salvare la vita a un uomo cui si doveva pur attribuire il merito di quell'attacco travolgente. Invi infatti due chirurghi per cercare di me e condurmi all'ambulanza dicendo loro, forse un po' troppo alla buona: "Andate a vedere se per caso il mio buon Chabert ha ancora gli occhi aperti". Si capisce, aveva ben altro a cui pensare! Quei due maledetti, avendomi veduto sotto gli zoccoli di due reggimenti di cavalleria, non si degnarono neppure di tastarmi il polso e confermarono la mia morte. L'atto di decesso fu dunque steso in piena regola, secondo le norme in uso tra di noi militari.

    Ascoltando un simile racconto, fatto con piena lucidit mentale e del tutto verosimile, ancorch non comune, il giovane avvocato aveva sospeso la lettura dei suoi incartamenti e, appoggiando il gomito sinistro sulla tavola e tenendo la testa fra le mani, fiss a lungo il colonnello.

    - Sapete voi, colonnello - interruppe l'avvocato che io sono il legale della contessa Ferraud, vedova del colonnello Chabert?

    - Mia moglie! Lo so. Per questo, dopo aver tentato cento volte, inutilmente, di esporre il mio caso ad altri avvocati, che, tutti, mi hanno creduto un pazzo, mi sono deciso di venire da voi. Delle mie disgrazie vi parler in seguito. Lasciatemi stabilire prima di tutto alcuni dati di fatto e come le cose devono essersi svolte; devono e non... si sono, perch talune circostanze, che solo il Padre eterno pu conoscere, si presentano a me come ipotesi.

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  • Dunque, riprendendo, probabile che le ferite mi abbiano causato un'infezione tetanica e, di conseguenza una crisi del tutto analoga a quella forma di malattia che viene chiamata, se non mi sbaglio, catalessi. Se non fosse stato cos, come spiegare che, secondo gli usi di guerra, io sia stato spogliato dei miei abiti e gettato nella fossa comune dai soldati incaricati di seppellire i morti? Devo qui aprire una parentesi circa un particolare di cui venni a conoscenza molto tempo dopo la mia morte.

    Ho incontrato, nel 1814, a Stoccarda un vecchio maresciallo d'alloggio del mio reggimento. Quella brava persona, la sola che abbia voluto riconoscermi, e della quale vi parler ancora, mi spieg il fenomeno della mia sopravvivenza, ricordando che il cavallo era stato colpito al fianco da una granata nello stesso momento in cui ero stato ferito. Cavallo e cavaliere erano stramazzati, come cadono i castelli di carte. Abbattendomi al suolo, a sinistra o a destra che fosse, il corpo del mio cavallo mi fece scudo, impedendo che io fossi calpestato dai cavalli e colpito dai proiettili. Allorch rinvenni, avvocato, mi trovavo in una posizione e dentro a un'atmosfera che non potrei descrivervi, parlassi fino a domani. Respiravo un'aria mefitica. Tentai inutilmente di muovermi; mancava il minimo spazio. Aprii gli occhi e non mi riusc di vedere alcunch. La mancanza d'aria era ci che pi mi preoccupava e che mi fece comprendere in quale critica situazione mi trovassi. Se rimanevo in quella posizione e senz'aria ero bell'e spacciato. Questo pensiero m'imped persino di sentire il dolore fisico acutissimo che mi aveva fatto tornare in me. Le mie orecchie ronzavano con violenza. Udii o credetti di udire dei lamenti che provenivano dal mucchio di cadaveri in cui mi trovavo sepolto. Il ricordo di quegli istanti quanto mai tenebroso; i miei ricordi sono confusi, senza contare le sofferenze che ne seguirono e che hanno sconvolto il mio cervello; eppure, talvolta, nella notte, mi pare di riudire quei gemiti soffocati distintamente. Ma pi orribile delle grida era il silenzio, un silenzio di cui non avevo mai avuto sensazione, il silenzio della tomba! Infine alzando le mie mani, tastando i cadaveri, scoprii un vuoto tra la mia testa e il carnaio che mi sovrastava. Ebbi dunque la sensazione di uno spazio e della sua ampiezza, uno spazio offertomi dal destino senza che se ne possa dire la ragione. Sembra che, nella furia o nella negligenza che si accompagnano a tal genere di lavoro, due cadaveri siano stati gettati sopra di me in modo tale da farmi volta, come avviene di due carte che i bambini appoggiano l'una all'altra per stabilire le fondamenta del loro castelluccio. Cercando di farmi luce alla svelta... non era il caso di poltrire... toccai fortunatamente, un braccio, un braccio che non apparteneva a nessuno, il braccio d'un Ercole! Un osso provvidenziale al quale devo la mia salvezza.

    Senza di esso, sarei all'altro mondo. Con un accanimento di cui potete immaginare l'energia, mi adoperai per rimuovere i cadaveri e giungere allo strato di terra che certamente ci copriva, dico ci copriva, come se si fosse trattato di esseri viventi! Ho fatto del buon lavoro, non vero?, se mi vedete qui. Io non so bene, neppure oggi, come sia stato capace di sfondare quella barriera di carne che mi separava dalla vita. Voi direte che disponevo di tre braccia! Gi, quella leva di cui io mi servivo con abilit mi procurava uno spiraglio d'aria tra i cadaveri, un'aria da respirare con moderazione, vi assicuro. Infine, la luce, ma attraverso una coltre di neve. In quel momento mi accorsi del mio cranio fracassato. Per fortuna, il mio sangue, quello dei miei compagni o quello fuoruscito dalla stessa pelle sforacchiata del mio cavallo, che ne so?, coagulando aveva formato una specie d'impiastro. Malgrado la crosta che ne era risultata, io svenni quando il mio cranio fu a contatto con la neve. Quel po' di calore residuo aveva fatto fondere la neve attorno a me. Quando ripresi conoscenza, dalla stretta apertura nella quale mi trovavo, urlai a pi non posso. Era appena l'alba e non avevo speranza d'essere udito. Qualche contadino era di gi al lavoro? Cercai di drizzarmi un po' di pi, puntando i piedi su quei cadaveri che avevano le reni pi solide. Voi capite che non era il momento di biascicare un... rispettate il

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  • coraggio sfortunato! In breve, dopo aver conosciuto la disperazione, ma la parola rende bene tutta la rabbia di quel momento?, nel vedere, e per lungo tempo, i Tedeschi che se la svignavano per avere inteso una voce l dove non doveva trovarsi pi anima viva, venni infine soccorso da una donna, non so se pi coraggiosa o curiosa nell'avvicinarsi a una testa che sembrava spuntata dalla terra come un fungo. La donna chiese aiuto al marito, ed entrambi mi trasportarono nella loro misera abitazione. Sembra che io sia ricaduto in catalessi, uso questo termine per descrivervi meglio uno stato fisico del quale non posso rendermi conto, ma che risponde bene, anche per quello che ne dissero i miei protettori. Sei mesi tra la morte e la vita, senza articolar parola, o vaneggiando quando mi riusciva d'aprir bocca. Infine, i miei salvatori riuscirono a farmi ricoverare all'ospedale di Heilsberg. Voi comprenderete, avvocato, che io ero uscito dalla fossa nudo come un verme; di modo che, sei mesi dopo, ricordandomi un bel mattino che ero pur stato il colonnello Chabert e volendo che i miei guardiani mi trattassero con maggior rispetto, tutti i compagni della corsia scoppiarono in una risata.

    Fortunatamente, il chirurgo, forse per amor proprio, avendo garantito la mia guarigione, si era molto interessato della mia malattia. Non appena potei parlargli con qualche nesso della mia esistenza trascorsa, quel brav'uomo, di nome Sparchmann, riusc a far constatare, nelle forme giuridiche in vigore nell'esercito, il modo miracoloso con il quale mi ero salvato dalla fossa dei caduti, il giorno e l'ora in cui fui raccolto dalla mia benefattrice e da suo marito; il genere e la posizione delle ferite, unendo a ogni verbale una descrizione della mia persona.

    Lo credereste? io non posseggo tali importantissimi documenti e neppure la copia della dichiarazione che io feci davanti a un notaio di Heilsberg allo scopo di stabilire la mia vera identit.

    Dal giorno in cui, per avvenimenti di guerra, dovetti abbandonare quella citt, ho sempre girovagato come un pezzente, mendicando il pane, facendomi trattare da pazzo ogni qualvolta accennavo alla mia avventura, e senza aver potuto n trovare n guadagnare un soldo che mi consentisse di procurarmi i documenti del tutto necessari per confermare le mie dichiarazioni e a restituirmi alla vita sociale. Spesso, per il rincrudirsi dei miei dolori mi toccava trascorrere mesi e mesi nelle piccole citt dove si prodigavano cure ai Francesi malati, ma si rideva sul naso di un uomo che pretendeva di essere il colonnello Chabert redivivo. Per lungo tempo, quelle risa, quei dubbi mi resero furioso; una collera che mi danneggi a tal punto da farmi internare come pazzo a Stoccarda. In verit, giudicatene voi stesso dopo il racconto che vi ho fatto delle mie peripezie, c'erano motivi sufficienti, senza alcun dubbio per mettere un uomo sotto catenaccio! Dopo i due anni di ricovero che fui costretto a sorbirmi, dopo aver udito mille volte i miei guardiani designarmi: "Ecco un povero diavolo che crede di essere il colonnello Chabert!" ad altre persone che rispondevano invariabilmente: "Oh, il pover'uomo!", io dovetti persuadermi dell'impossibilit di uscire una buona volta da quell'avventura e divenni triste, rassegnato, tranquillo, rinunciando al mio vero nome pur di uscire da quella prigione e rivedere la Francia. Oh, rivedere Parigi! era un sogno delirante che io non...

    Senza ultimare la frase, il colonnello Chabert si lasci trascinare dal vortice dei pensieri in un profondo fantasticare.

    Derville non fiat.

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  • - Un bel giorno - riprese poi il cliente - un giorno di primavera, mi venne consegnata la chiave... dell'aria libera e dieci talleri con il pretesto che ormai io potevo parlare di ogni cosa sensatamente e che non insistevo pi nel credermi Chabert. Se devo confessarlo, a quell'epoca e anche ora, secondo l'umore, il mio nome vero mi ripugna. Vorrei essere un altro. Il sentimento dei miei diritti mi schianta. Almeno se la mia ferita m'avesse cancellato del tutto il ricordo della vita trascorsa, sarei stato e sarei felice! avrei ripreso servizio sotto un nome qualsiasi e, chi lo pu dire?, sarei forse salito al grado di maresciallo di campo in Austria o in Russia.

    - Caro signore, voi scombussolate tutte le mie idee- obbiett l'avvocato. - Per favore, fermiamoci un attimo...

    - Voi siete l'unica persona che mi abbia ascoltato pazientemente- disse con un velo di melanconia il povero colonnello. - Non ho trovato un solo avvocato che abbia voluto anticiparmi dieci napoleoni per procurarmi in Germania i documenti indispensabili per imbastire una causa...

    - Un processo? - chiese l'avvocato quasi dimenticando, colpito com'era dal racconto di tante miserie, in quale dolorosa situazione si trovasse ora il suo cliente.

    - La contessa Ferraud non forse la mia legittima moglie? Non possiede forse una rendita di trentamila franchi, che sono miei, lei che non vuol cacciare un centesimo per me? Quando io pongo questi quesiti a degli avvocati, a degli uomini di buon senso; quando io, mendicante, mi propongo d'intentare causa a una contessa e a un conte; quando io, defunto, mi scaglio contro un atto di morte, un atto di nozze o di nascita, essi mi congedano secondo il temperamento di ciascuno, ora con la fredda gentilezza che vi anima nel trovarvi alle prese con un disgraziato, ora con la rudezza che vi abituale quando ritenete di aver a che fare con intriganti o con dementi. Sono stato sepolto sotto i cadaveri; ora sono sepolto sotto i viventi!, sotto la carta bollata, sotto gli avvenimenti che mi vogliono defunto a ogni costo!

    - Continuate, continuate - disse l'avvocato - ve ne prego...

    - Ve ne prego! - esclam il disgraziato afferrando le mani di Derville - ecco un'espressione di gentilezza che io non ho pi udito da allora...

    Il colonnello scoppi in lacrime. La riconoscenza gli impediva di continuare. L'indefinibile e penetrante eloquenza dello sguardo, del gesto, del silenzio stesso commosse l'avvocato, lo persuase della buona causa.

    - Ascoltatemi - disse - io ho vinto stasera trecento franchi al gioco; posso ben impiegarne la met per rendere felice un uomo.

    Inizier subito le pratiche necessarie per procurarvi i documenti di cui mi avete parlato; nell'attesa, vi corrisponder cento soldi al giorno. Se voi siete veramente il colonnello Chabert perdonerete facilmente a un giovane avvocato che deve farsi strada la pochezza del suo prestito. Continuate...

    Il preteso colonnello rimase un attimo sorpreso, immobile; la sua estrema indigenza aveva senza dubbio distrutto in lui ogni fede nel prossimo. Se egli rimaneva cos attaccato al suo nome illustre di militare, alla sua fortuna, alla vita insomma, ci rispondeva probabilmente

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  • a un sentimento confuso, radicato in ogni cuore, quel sentimento al quale dobbiamo le ricerche degli alchimisti, la passione della gloria, le scoperte dell'astronomia e della fisica, tutto ci che spinge l'uomo a elevarsi, moltiplicando la sua statura morale attraverso le idee e i fatti. L'ego, nel suo pensiero, diventava un oggetto del tutto secondario, allo stesso modo che, per un giocatore, la vanit di un successo e l'emozione d'una vincita contano assai di pi che non la posta stessa. Le parole del giovane avvocato ebbero quindi un effetto miracoloso su quel disgraziato, ripudiato per ben dieci anni dalla moglie, dalla giustizia e dalla societ. Pensate! ricevere dalle mani di un avvocato dieci monete d'oro che tutti e in tutti i modi gli altri gli avevano rifiutato per tanti anni! Il colonnello, in quel momento, poteva essere paragonato a una certa signora che, afflitta dalla febbre per quindici anni, non appena fu guarita del suo male credette di essere stata colpita da una malattia diversa.

    Ci sono felicit alle quali non si crede pi: quando arrivano come se scoppiasse un fulmine; vi consumano. Allo stesso modo, la riconoscenza di quel disgraziato era cos viva da non trovar modo di esternarsi. Quel contegno sarebbe apparso freddezza a un osservatore superficiale, non a Derville che vi intu il segno superiore della probit. Un imbroglione avrebbe trovato cento espressioni di ringraziamento.

    - Dove eravamo rimasti? - chiese il colonnello con l'ingenuit di un bimbo o di un soldato, confermando che, nel nostro Paese soprattutto, il bimbo si nasconde spesso nell'ambito del soldato ed il soldato quasi sempre nell'animo del bimbo.

    - A Stoccarda. Quando usciste di prigione - rispose l'avvocato.

    - Conoscete mia moglie?

    - S - conferm Derville abbassando gli occhi.

    - Come la giudicate?

    - Molto bella, sempre...

    Il vecchio comment con un semplice cenno del capo e sembr macerarsi in una segreta sofferenza con quella rassegnazione ampia e solenne propria degli uomini che hanno superato le prove del sangue e del fuoco sui campi di battaglia.

    Egli riprese il suo dire quasi con gaiezza, con la gioia di chi torna a respirare liberamente, perch gli pareva di risuscitare una seconda volta, di veder fondersi una coltre nevosa pi spessa di quella che gli aveva quasi congelato il cranio, di godere di una pi fresca libert dopo una seconda prigionia.

    - Se in giovent - disse - fossi stato un moscardino, tante disgrazie non mi sarebbero piombate addosso. Le donne credono a coloro che condiscono tutte le loro frasi con la parola amore.

    Allora filano come il vento, si fanno in quattro, si affannano, giurano, mettono tutto a soqquadro per l'essere amato. Come avrei potuto destare interesse in una donna? Con la mia faccia da funerale, sbrindellato, sembravo un Esquimese e non un Francese, io che nel 1799 ero considerato uno dei pi brillanti cavalieri!

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  • io, Chabert, conte dell'Impero! Infine, nello stesso giorno in cui ero stato cacciato sul lastrico come un cane, incontrai quel maresciallo d'alloggio di cui vi ho gi parlato. Si chiamava Boutin. Tutti e due, insieme, costituivamo la pi bella coppia di ronzini che si sia mai vista in piazza. Io lo scorsi al pubblico passeggio, lo riconobbi; egli non riusc a indovinare chi fossi.

    Entrammo insieme in un caff. Allorch gli rivelai il mio nome, la sua bocca non riusc a contenere le risa e parve un mortaio che scoppi. Quel riso mi caus uno dei pi cocenti dolori della mia vita. Mi rivel senza inganni quanto io fossi mutato. Dunque, non ero neppure riconoscibile da uno dei pi cari e riconoscenti amici che avessi. Gli avevo salvato la vita, un giorno, ma ci costituiva un debito per me. Vi dir come. Eravamo a Ravenna, in Italia. La casa dove Boutin mi salv da una pugnalata non era delle migliori. A quell'epoca non avevo il grado di colonnello; ero un semplice cavaliere come lui. Per buona fortuna, i particolari di quel fattaccio erano noti soltanto a noi due; quando glieli rammentai ogni suo dubbio svan. Gli raccontai in seguito tutti i fatti della mia bizzarra esistenza. Quantunque i miei occhi e la mia voce fossero irriconoscibili, e io gli apparissi bianco come un albino, come egli mi disse, pure fin, dopo le mille domande alle quali risposi vittoriosamente, per ritrovare nel mendicante il suo antico colonnello. Mi raccont allora le sue avventure davvero straordinarie come le mie; era tornato dalle frontiere della Cina, dove era penetrato dopo esser fuggito dalla Siberia. Mi svel il disastro della campagna di Russia e la prima abdicazione di Napoleone. Notizie che mi causarono tanto male! Eravamo entrambi dei curiosi rottami, che abbiano vagato sull'intero globo, come fa l'Oceano che li sospinge da una riva a quella opposta sotto l'infuriare della tempesta.

    Avevamo percorso l'Egitto, la Siria, la Spagna, la Russia, l'Olanda, la Germania, l'Italia, la Dalmazia, l'Inghilterra, la Cina, la Tartaria, la Siberia; mancano solo le Indie e l'America!

    In breve, Boutin che si trovava pi in gambe di me si offr di andare a Parigi per segnalare a mia moglie lo stato miserando in cui mi trovavo. Scrissi una lettera alla signora Chabert con i pi minuti particolari della vicenda. La quarta, la quarta lettera, avvocato! Se avessi avuto qualche parente cui rivolgermi, tutto questo non mi sarebbe capitato; ma, devo confessarlo, io sono un trovatello, un soldato che ha per solo patrimonio il suo coraggio, per famiglia il mondo, la Francia come patria, e il Buon Dio come protettore. Mi sbaglio: un padre l'ho avuto anch'io, l'Imperatore.

    Ah, se fosse ancora al suo posto, l'adorato, e vedesse il "suo Chabert" in queste condizioni, nulla tratterrebbe la sua collera.

    Il "suo Chabert", com'egli mi chiamava! Che volete? Il nostro sole tramontato; ora siamo tutti infreddoliti. Poteva anche darsi che gli avvenimenti politici fossero una delle cause del silenzio di mia moglie. Boutin part. Egli era un uomo felice, in compagnia dei suoi due orsi ammaestrati che gli procuravano di che campare.

    Io non potei accompagnarlo; i miei acciacchi non mi consentivano lunghi tragitti; piansi quando ci separammo, dopo che lo ebbi seguito, lui e i suoi orsi, pi a lungo che mi fu possibile. A Carlsruhe, terribili dolori al capo mi obbligarono per sei settimane sulla paglia, in un alberguccio! Ma non finirei pi, avvocato, se dovessi raccontarvi tutte le peripezie della vita di mendicante. Le sofferenze morali, che sono mille volte pi gravi di quelle fisiche, non muovono a piet; forse perch sono nascoste. Mi ricordo di aver pianto sulla porta di un albergo di Strasburgo, nel quale un giorno lontano ebbi a organizzare una festa; non vi ottenni un solo pezzo di pane! Avendo stabilito con Boutin l'itinerario che

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  • avrei dovuto seguire, mi trascinai da un ufficio postale all'altro per vedere semmai mi fosse pervenuta qualche notizia e del denaro. Giunsi a Parigi, senza aver nulla ricevuto. Ne ho dovuta ingoiare della disperazione! A volte pensavo: "Boutin sar morto". In realt, egli era trapassato a Waterloo. Seppi della sua morte pi tardi, per puro caso. La sua missione presso mia moglie fu certamente infruttuosa. Entrai in Parigi mentre vi affluivano i Cosacchi. Strazio su strazio.

    Vedendo i Russi a Parigi, dimenticavo persino di essere scalzo e senza un soldo. I miei vestiti erano a brandelli. La vigilia ero stato costretto a pernottare all'addiaccio, nel bosco di Claye. La frescura della notte mi caus la recrudescenza di non so quale malattia, tanto che, dopo aver attraversato il quartiere Saint- Martin, caddi svenuto davanti alla bottega d'un negoziante di ferramenta. Mi risvegliai in un letto dell'Albergo dei poveri. Vi trascorsi un mese abbastanza bene, poi dovetti andarmene; ero sempre senza un quattrino, ma in discreta salute e sul magnifico selciato di Parigi. Con quanta gioia e con quale gagliardia mi diressi alla via du Mont Blanc dove, nel mio palazzo, doveva alloggiare la mia consorte! Bah! la strada aveva cambiato nome:

    via Chausse-d'Antin. Del mio palazzo nessuna traccia: venduto, demolito. Alcuni speculatori avevano costruito alcune case nel mio parco. All'oscuro del nuovo matrimonio di mia moglie, non riuscii ad avere notizie di lei. Mi recai allora da un vecchio avvocato al quale, in passato, affidavo abitualmente i miei interessi. Il brav'uomo era morto, dopo aver ceduto la clientela a un giovane avvocato. Fu questi che mi comunic, con mio sommo stupore, esser stata a suo tempo aperta la mia successione, liquidata; mia moglie aveva contratto nuove nozze da cui erano nati due figli. Quando gli ebbi detto che ero il colonnello Chabert, scoppi in una risata cos franca, che io non ebbi il coraggio di riaprire bocca.

    La mia detenzione a Stoccarda mi fece pensare al pericolo di essere rinchiuso in manicomio, a Charenton, e alla necessit di agire con molta prudenza. Ora, per, che conoscevo l'indirizzo di mia moglie, credetti di presentarmi a lei, il cuore gonfio di speranza. Volete saperlo?- continu il colonnello con un moto di incontenibile sdegno presentandomi sotto finto nome non fui ricevuto, e, la seconda volta, sotto il mio vero nome fui addirittura scacciato. Per rivedere la contessa, allorch rientrava da un ballo o da uno spettacolo, io ero capace di passare delle notti intere, come fossi incollato alla sua porta.

    Cacciavo lo sguardo nella vettura che passava davanti ai miei occhi con la rapidit d'un fulmine e appena appena mi riusciva di distinguere la donna che era mia moglie, senza esserlo pi. Oh! da quel giorno io non vissi che per vendicarmi - grid Chabert con voce sorda, levandosi in piedi improvvisamente e fissando Derville. - Lei sa che io sono vivo; ha ricevuto, dopo il mio ritorno, ben due lettere scritte di mio pugno. Non mi ama pi. Io non so se l'amo ancora o se la detesto; ora la desidero, ora la maledico. Mi deve la sua fortuna e la sua felicit, non si degnata d'inviarmi il pi tenue aiuto. In certi momenti, non so che cosa farei...

    Dopo questo sfogo, il vecchio soldato si accasci sulla sedia e rimase immobile. Derville lo guard a lungo, senza fiatare.

    - E' un affare molto serio - mormor poi, quasi macchinalmente. - Pur ammettendo l'autenticit dei documenti che si trovano a Heilsberg, non affatto sicuro il nostro

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  • successo. Il processo si trasciner davanti a tre tribunali. Bisogna riflettere a mente serena su questo caso, del tutto eccezionale.

    - Se dovessi soccombere - ribatt il colonnello con fierezza - sapr come si deve morire, ma in compagnia di qualcuno... parola di Chabert!

    Il vecchio si era come trasformato, sembrando ora un uomo pieno di energia, i cui occhi fiammeggiassero di desiderio e di vendetta.

    - Forse bisogner trovare un accomodamento...

    - Transigere? - ribatt pronto Chabert. - Ma sono dunque morto o vivo?

    - Calmatevi - riprese l'avvocato - voi seguirete i miei consigli, lo spero. La vostra causa anche la mia. Voi constaterete quale interessamento io ponga in questa faccenda, senza precedenti negli annali giudiziari. Nel frattempo, vi consegner due righe per il mio notaio, che vi rimetter, dietro ricevuta, cinquanta franchi ogni decade. Sarebbe inopportuno che gli aiuti vi fossero consegnati qui. Un colonnello Chabert non deve dipendere da alcuno. Anticiper le somme a titolo di prestito, Voi possedete di che garantirlo; siete ricco.

    A quest'ultima manifestazione di delicatezza, il vecchio non pot trattenere una lacrima. Derville si alz bruscamente, quasi a nascondere un'emozione inammissibile per un avvocato; si ritir per un attimo nel suo studio personale e, rientrando nella stanza, consegn una lettera aperta al conte Chabert. Afferratala, il povero vecchio, sent sotto le sue dita lo spessore di due monete d'oro.

    - Elencatemi i documenti, indicatemi il nome della citt, dello Stato - disse l'avvocato.

    Il colonnello acconsent, verificando con cura l'ortografia dei nomi di localit; poi, tenendo il cappello in una mano, fissando in volto Derville, tese l'altra mano, una mano callosa, e disse con semplicit:

    - Vi assicuro che, dopo l'Imperatore, a nessun'altra persona io dovr tanta riconoscenza. Voi siete un uomo di coraggio!

    L'avvocato strinse calorosamente la mano del vecchio e facendosi lume con una lucerna, lo accompagn fin sulle scale.

    - Boucard - confid Derville al suo capo scrivano mi stata raccontata una vicenda che mi coster forse venticinque luigi. Se sar stato truffato, non rimpianger il mio denaro perch avr conosciuto il pi abile commediante di questo secolo!

    Giunto in strada, sotto un lampione, il colonnello estrasse dalla busta le due monete da venti franchi ciascuna e le contempl a lungo. Da nove anni, non gli era pi capitato di toccare dell'oro.

    - Toh! potr finalmente fumare un sigaro!

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  • Erano trascorsi tre mesi da quel singolare colloquio notturno tra Chabert e Derville, quando il notaio incaricato di pagare il "mezzo stipendio" fissato dall'avvocato per il suo eccezionale cliente venne a conferire per una questione molto grave, non dimenticando, come premessa, di chiedere la restituzione di seicento franchi gi consegnati al vecchio militare.

    - Ti diverti, dunque, a stipendiare la vecchia guardia? - disse in tono scherzoso il notaio, di nome Crottat, un giovane che aveva da poco rilevato lo studio in cui aveva fatto il suo tirocinio di scrivano, dopo che il cedente si era reso irreperibile a seguito di un clamoroso fallimento .

    - Hai fatto bene a ricordarmi quell'affare... La filantropia non superer in ogni modo i venticinque luigi; temo fin d'ora che il mio patriottismo mi abbia giocato un brutto scherzo.

    Nel terminare la frase, Derville fu colpito nel vedere, tra i molti plichi che Boucard gli aveva collocato sulla scrivania, una lettera che a giudicare dai bolli oblunghi, quadrati, triangolari, rossi, blu doveva aver viaggiato con le poste prussiane, austriache, bavaresi e francesi.

    - Ecco, ecco - disse Derville faceto - qui sta il finale della commedia; vedremo finalmente se siamo stati gabbati.

    Apr la lettera, ma non pot capirne il testo, che era scritto in tedesco. Affacciandosi alla porta del suo studio, tese il documento a Boucard.

    - Traducetemi alla svelta questa lettera.

    In effetti, il notaio di Berlino al quale si era indirizzato Derville rendeva noto che i documenti richiestigli sarebbero stati spediti entro pochi giorni. Ogni cosa, egli assicurava, era in perfetta regola, legalizzata, in modo da poter essere prodotta in giudizio. Inoltre, gli comunicava che quasi tutti i testimoni citati nei vari atti erano in vita a Prussich-Eylau, mentre la donna che aveva salvato la vita a Chabert dimorava ancora in un quartiere di Heilsberg.

    - L'affare diventa serio - esclam Derville, non appena Boucard gli ebbe tradotto il testo, nella sua sostanza. Ma senti un po', mio caro Crottat, tu mi devi aiutare con qualche dato che si deve trovare nel tuo studio. Non forse vero che quel brigante di Roguin...

    - Diciamo piuttosto lo sfortunato Roguin, l'infelice Roguin - corresse il notaio sarcasticamente.

    - Non forse lui, l'infelice che ha alleggerito di ottocento mila franchi i suoi clienti e ridotto alla miseria molte famiglie, ad aver provveduto alla successione Chabert? Mi pare di averlo appresso attraverso il nostro incartamento relativo ai Ferraud.

    - Certamente - rispose Crottat: - in qualit di scrivano io ho copiato e studiato attentamente gli atti di quella successione.

    Rosa Chapotel, sposa e vedova di Giacinto, di cognome Chabert, conte dell'impero, grande ufficiale della Legion d'onore; i due si erano sposati senza contratto, in piena comunit di beni. Se ben ricordo, il patrimonio residuo era di seicentomila franchi. Prima del suo matrimonio, il conte Chabert aveva, per testamento, disposto che un quarto della

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  • sua fortuna andasse, alla sua morte, agli Ospizi di Parigi; al demanio sarebbe toccato l'altro quarto.

    Dopo la licitazione, la vendita e la divisione dei beni, durante le quali gli avvocati s'ingrassarono parecchio, quel mostro che governava allora la Francia restitu con decreto alla vedova del colonnello quanto sarebbe toccato al fisco!

    - A tanto ammonterebbe, dunque la fortuna del conte Chabert?

    - Precisamente! - rispose Crottat. - Voi, avvocati, l'azzeccate quasi sempre, anche se vi si accusa di patrocinare con assoluta indifferenza il pro e il contro...

    Il conte Chabert, stando all'indirizzo che aveva dato nel firmare la prima ricevuta consegnata al notaio, abitava nel quartiere di Saint-Marceau, via du Petit Banquier, presso un vecchio maresciallo d'alloggio, di nome Vergniaud, divenuto poi commerciante in generi alimentari.

    Derville, giunto in quel quartiere, fu obbligato a scendere di carrozza e ad andarsene a piedi alla ricerca del suo cliente, poich il fiaccheraio rifiut d'inoltrarsi in viuzze prive di selciato e solcate da carreggiate cos profonde da spaccare le ruote. Guardando a destra e a sinistra, l'avvocato fin per scorgere, proprio in quella parte della via che converge sul viale, tra due muri costruiti di fango e calcinacci, due pilastri in ciottolato, slabbrati dal passaggio dei carri, quantunque i bordi fossero difesi da tavole di legno. I pilastri reggevano una traversa incappucciata di tegole, sulla quale si potevano leggere, dipinte in rosso, queste parole: "Vergniaud, alimentazione". Sulla destra, dipinte in bianco, delle uova e una mucca. La porta era spalancata, e cos doveva certamente rimanere giorno e notte. In fondo al cortile, assai vasto, si ergeva, proprio di contro alla porta, una di quelle catapecchie, cos comuni alla periferia di Parigi, che non meritano il nome di case e che non possono essere paragonate neppure alle pi modeste abitazioni di campagna, di cui condividono forse la miseria, ma non la poesia. Nella distesa dei campi, anche le capanne conservano una loro particolare grazia conferita dalla purezza dell'atmosfera, dal verde dei campi, dall'insieme delle forme e delle cose: colline, viottoli tortuosi, vigne, siepi di cespugli, muschio sui pagliai, utensili campestri; a Parigi, invece, la miseria non pu trovare grandezza che nell'orrido.

    Ancorch costruita di recente, la catapecchia era gi in rovina.

    Nessuno dei materiali impiegati aveva ricevuto la sua logica destinazione, provenendo essi dalle demolizioni che si operano giornalmente in Parigi. Su di una imposta costruita con le tavole di un'insegna, Derville lesse: "Alla casa delle novit". Le finestre erano dei tipi pi svariati e come disposte a caso. Il pianterreno, che appariva come la parte abitabile dell'edificio, rialzato da un lato era mezzo interrato dall'altro, per un monticolo che vi si addossava. Davanti alla casa una larga pozza, un letamaio nel quale si scaricavano non solo le acque... del cielo, ma anche quelle domestiche. Il muro a cui si appoggiava quella fragile costruzione in apparenza assai pi robusto degli altri era, per cos dire, abbellito da una serie di capannucce con graticolato, dietro il quale dei conigli, dei veri conigli, prolificavano abbondantemente. Sulla destra della porta carraia c'era la stalla, con il pagliaio sovrastante; essa comunicava con la casa attraverso un locale destinato alla lavorazione del latte.

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  • A sinistra, la parte del cortile riservata agli animali domestici, una scuderia e un porcile di tavolacci mal connessi e malamente coperto di giunchi. Come in tutti i luoghi in cui si preparano i vari ingredienti destinati a placare ogni giorno la fame di una grande citt come Parigi, l dove Derville aveva affondato i suoi piedi, si scoprivano le tracce di un va e vieni precipitoso, legato a un tirannico orario. I grandi recipienti di latta destinati al trasporto del latte e quelli, pi piccoli, riservati alla panna, con i loro tappi di straccio, erano gettati confusamente davanti al locale di cui vi abbiamo parlato. Gli strofinacci sbrindellati di cui ci si serviva per una sommaria pulizia erano stesi al sole su corde sostenute da picchetti. Un pacifico ronzino, della razza che appartiene soltanto ai lattai, si era allontanato di qualche passo dalla sua carretta e se ne stava tranquillo davanti alla porta sprangata della stalla. Una capra brucava i pampini di una vite esile e polverosa che s'inerpicava sul muro gialliccio e sconnesso della casa. Un gatto s'era accovacciato presso i recipienti della panna e ne leccava i bordi. Le galline, disturbate dall'arrivo di Derville, fuggirono in gruppo; il cane da guardia abbai.

    A custodia della casa non erano rimasti che tre ragazzi. Il primo arrampicatosi sul colmo di un carico di fieno ancora verde, lanciava dei sassi nelle aperture dei camini della casa adiacente, sperando di farli cadere in qualche marmitta. Un altro spingeva a tutta forza un porcello sul piano di una carretta, stanghe all'aria; il terzo, aggrappato a una stanga, faceva da contrappeso, attendendo che l'operazione fosse a buon punto per far da leva!

    Alla domanda di Derville, se abitasse in quella casa il signor Chabert, nessuno dei tre apr bocca, accontentandosi di sbirciare lo sconosciuto con la pi intelligente stupidit (se fosse possibile accoppiare questi due termini). Derville ritorn alla carica senza risultato. Spazientito, indirizz ai tre monelli una serie di quei piacevoli "moccoli" che gli adulti sono talvolta autorizzati a profferire. Soltanto allora i tre proruppero in una sghignazzata. Derville usc dai gangheri.

    Il colonnello Chabert, che aveva inteso tutto ci, se ne usc da una stanzetta ricavata presso la latteria, flemmaticamente, con quella tipica flemma propria dei militari di professione. Teneva in bocca una pipa ben "grumata" (termine tecnico dei fumatori), una modestissima pipa di terra cotta, chiamata volgarmente "infernetto". Alzando la visiera di un berretto inverosimilmente bisunto, scorse Derville e si precipit verso di lui attraversando la concimaia, mentre gridava ai monelli:

    - Silenzio! Ai vostri posti! - I tre zittirono, confermando cos l'autorit di cui godeva il vecchio militare. Perch mai non mi avete avvertito? - disse a Derville. - Piano, tenetevi lungo il muro della vaccheria, il fondo migliore consigli in seguito al suo benefattore che, non volendo finire nella concimaia, non sapeva davvero dove posare i piedi.

    - Qui dovrebbe abitare l'uomo che decise della vittoria di Eylau... - mormor Derville, dopo aver abbracciato con lo sguardo tutto l'insieme di quell'immondo spettacolo.

    Alla meglio, Derville riusc a raggiungere la porta dove Chabert s'era affacciato. Questi fu molto spiacente di doverlo ricevere nella stanza in cui dormiva e che disponeva di una sola sedia. Il letto consisteva in mezza balla di paglia, che la proprietaria di casa aveva coperto con vecchie stoffe, d'ignota provenienza, abitualmente impiegate dalle lattaie per rendere soffici i sedili delle loro carrette. Il pavimento era di terra battuta. I muri, verdastri di salnitro e fessurati, trasudavano umidit da ogni parte, sicch si era dovuto difendere con una stuoia la parete alla quale si addossava il giaciglio del colonnello. Il famoso pastrano pendeva a un chiodo; in un angolo, due paia di scalcagnati stivali. Nessuna

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  • traccia di biancheria. Su di un tavolino tarlato, i "Bollettini della Grande Armata", editi da Plancher; la lettura preferita da Chabert che, in quell'ambiente di estrema miseria, mostrava attraverso il suo sguardo, una olimpica serenit. E' certo che l'incontro con Derville aveva mutato il suo volto, tanto che l'avvocato vi scorse il riflesso dell'ottimismo, di una luce accesa dalla speranza.

    - La mia pipa vi disturba, avvocato? - chiese Chabert offrendo l'unica spagliatissima sedia.

    - Mi pare, colonnello, che il vostro... domicilio lasci terribilmente a desiderare!

    Una frase, questa, che non era soltanto frutto di spirito critico, caratteristico negli avvocati, ma anche di quella cocente esperienza che essi accumulano, fin dall'inizio della loro carriera, come testimoni di tante spaventose miserie!

    - Ecco un uomo - pens Derville - che avr sicuramente scialacquato il mio denaro per soddisfare le tre virt teologali del soldato di mestiere: il gioco, il vino e le donne!

    - Avete ragione, avvocato, qui non si nuota nel lusso. E' un bivacco ingentilito dall'amicizia ma... - il soldato s'interruppe fissando profondamente l'uomo di legge non facendo male a una mosca e non inimicandomi alcuno, ci dormo sonni tranquilli.

    Derville si rese conto che sarebbe stato molto indelicato chiedergli come avesse impiegato il denaro prestato, tuttavia non pot fare a meno di osservare:

    - Non capisco perch non abbiate voluto restare a Parigi, dove avreste potuto vivere altrettanto modestamente, ma con qualche comodit di pi.

    - Le brave persone che mi ospitano sono le stesse che mi hanno raccolto e nutrito gratis per tutto un anno! Non avrei potuto lasciarle proprio quando nelle mie tasche piovevano i primi quattrini! Aggiungo che il padre di quei tre marmocchi un "egiziano"...

    - Un egiziano?

    - E' un nostro modo di dire... un reduce della spedizione in Egitto alla quale ho partecipato anch'io. Quelli che vi hanno salvato la pelle sono come fratelli; non solo, ma Vergniaud era del mio reggimento e ci siamo scambievolmente aiutati, dividendo nel deserto la nostra razione d'acqua. E poi, avvocato, io non ho ancora finito la mia opera di maestro di scuola; insegno a quei tre monelli...

    - Comunque, il vostro camerata avrebbe potuto alloggiarvi un po' meglio.

    - Bah! i suoi figli dormono come me sulla paglia; lui e sua moglie non dispongono di un letto pi soffice; sono molto poveri, come potete constatare. Ma se un giorno o l'altro dovessi ricuperare i miei averi... Mah! Non parliamone!

    - Ricever probabilmente domani i vostri documenti da Heilsberg.

    La donna che vi ha salvato vive ancora!

    - Maledizione al danaro! e a chi non ne ha... grid il colonnello gettando in terra la pipa.

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  • Una pipa ben grumata un tesoro per i fumatori; ma quel gesto di dispetto, generato da un impulso di generosit esemplare, era tuttavia cos naturale, che qualsiasi fumatore e la rega stessa gli avrebbero perdonato un simile reato di leso-tabacco. E forse gli angeli avrebbero raccattato i cocci.

    - Colonnello, la vostra causa molto complicata disse l'avvocato uscendo dalla camera per fare quattro passi al sole, lungo il muro della casa.

    - Eppure, a me sembra molto semplice. Mi hanno creduto morto.

    Eccomi qua. Ridatemi moglie e quattrini; ridatemi il grado di generale al quale ho pieno diritto, poich ho servito con quello di colonnello nella guardia imperiale, la vigilia della battaglia di Eylau.

    - Le cose non si svolgono cos facilmente nel mondo giudiziario- obiett Derville. - Ascoltatemi. Voi siete il conte Chabert, d'accordo. Ma si tratta di dimostrarlo in giudizio, davanti a persone che hanno tutto l'interesse a negare la vostra identit.

    Conseguenza: una causa. Dieci o dodici settimane soltanto per i preliminari. Di contraddittorio in discussione, andremo fino alla corte suprema; processi uno dopo l'altro, tutti costosi, lunghi, per quanto zelo io possa dimostrare. I vostri avversari richiederanno delle indagini che noi non potremo in alcun modo rifiutare e per le quali si render necessaria una commissione rogatoria in Prussia. Ma supponiamo per un momento che tutto vada per il meglio e che la giustizia decida con prontezza sulla vostra identit di colonnello Chabert. Sappiamo noi che ne sar dell'altra questione delicatissima: la involontaria bigamia della contessa Ferraud? In questo vostro caso, la questione di diritto non pu essere risolta dal Codice, bens dalla coscienza, come capita ogni qualvolta i giudici si trovano alle prese con i casi pi strani della vita. Dal vostro matrimonio non nato alcun figlio, mentre il conte Ferraud ne ha due; orbene, i giudici potrebbero benissimo dichiarare nullo quel matrimonio che stato senza effetti, a vantaggio del secondo i cui legami sono pi forti, tanto pi che non si pu mettere in dubbio la buona fede dei contraenti. Quale sarebbe la vostra posizione morale, infine, se alla vostra et e nelle condizioni in cui vi verreste inevitabilmente a trovare vi toccasse di convivere con una donna che non vi ama pi? Avrete contro di voi la contessa vostra moglie e un marito, due persone che sono in grado di esercitare pressioni sui tribunali. Comunque, sulla durata della causa non illudiamoci.

    Avrete tutto il tempo d'invecchiare, tra le pi amare delusioni!

    - E la mia sostanza?

    - Credete che sia ingente?

    - Non godevo forse di una rendita annua di trentamila franchi?

    - Mio buon colonnello, voi avete destinato, nel 1799, per testamento un quarto dei vostri beni agli Ospizi di carit.

    - Verissimo.

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  • - Quindi, stabilito il vostro decesso, si compilato un inventario e si proceduto a una liquidazione per poter prelevare quel quarto. Non vi pare? Vostra moglie non ha avuto molti scrupoli nell'imbrogliare i poveri. Non c' ombra di dubbio che sar riuscita a sottrarre a ogni inventario il denaro contante, i gioielli, oppure avr dichiarato una parte soltanto dell'argenteria; il mobilio sar stato valutato a un terzo del suo valore reale, sia per favorire vostra moglie, sia per ridurre i diritti fiscali, e sia per la responsabilit personale dei commissari periti; un inventario fatto in tal modo ha fissato la vostra fortuna in seicentomila franchi. La vedova doveva venire in possesso della met. Tutto stato venduto e riacquistato da lei, di tutto essa ha tratto vantaggio; cosicch ai poveri sono toccati, in tutto e per tutto, settantacinquemila franchi.

    Dobbiamo ricordare ancora che pure il fisco era interessato in qualit di erede; dal momento che voi non avete fatto alcuna menzione di vostra moglie nel testamento, l'Imperatore ha restituito alla vedova, per decreto, la quota parte toccante al fisco. Allo stato attuale, a quanto si eleva la vostra fortuna? A trecentomila franchi in tutto, salvo le spese.

    - E voi chiamate giustizia tutto questo?

    - Proprio cos.

    - Esemplare davvero!

    - Non altrimenti, mio povero amico. Vi persuadete che la soluzione meno facile di quanto lo pensavate? La contessa Ferraud potrebbe anche sostenere il diritto di conservare per s quanto l'Imperatore ebbe a restituirle.

    - Dal momento che non vedova, il decreto di donazione nullo...

    - D'accordo. Ma tutto opinabile. Ascoltatemi. In questa situazione, io ritengo che una transazione sarebbe per entrambi quanto si pu sperare di meglio. E a voi toccherebbe una sostanza, in definitiva, assai maggiore di quella alla quale avreste diritto.

    - Insomma, dovrei vendere mia moglie...

    - Con una rendita di ventiquattromila franchi, nelle condizioni in cui vi trovate, non vi sar difficile trovare una compagna che vi si addica e che, soprattutto, vi renda felice. Ho deciso di vedere oggi stesso la contessa Ferraud; voglio sondare il terreno; ma ho ritenuto mio dovere di parlarvene prima...

    - Verr con voi...

    - No, no, colonnello. In questo stato, no. Il vostro... processo sarebbe perduto senz'altro!

    - Ma potr poi sicuramente vincerlo?

    - Credo di s. Dovete riflettere, caro colonnello Chabert, su di un altro punto. Io non sono ricco, e le mie prestazioni non potranno essere subito soddisfatte. Se i tribunali vi assegneranno una provvisionale, cio un anticipo sulla somma totale, voi potrete riscuoterla soltanto dopo le constatazioni legali circa la vostra identit di conte Chabert, grande ufficiale della Legion d'onore...

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  • - Oh, bella, non ci pensavo pi; sono grande ufficiale della Legion d'onore - comment ingenuamente il colonnello.

    - Fino a quel momento - riprese Derville bisogner pur agire, pagare degli avvocati, iniziare e concludere atti, far muovere degli uscieri, e, in pi, vivere. Solo per le istanze d'impianto occorreranno, all'incirca, dodici o quindicimila franchi. Io non dispongo di tale somma, schiacciato come sono dal peso di interessi che devo corrispondere a chi mi ha anticipato il denaro occorrente all'inizio di una carriera. E voi, dove troverete le somme che sono necessarie?

    Grosse lacrime sgorgarono dagli occhi stanchi del povero soldato solcando le sue gote raggrinzite. Davanti a tante difficolt, come avere coraggio? La societ e la giustizia costituivano per lui un incubo.

    - Andr presso la colonna di piazza Vendome e grider a tutti:

    "Sono il colonnello Chabert, Chabert che ha sfondato il quadrato dei Russi a Eylau!". Quel bronzo mi riconoscer, ne sono sicuro...

    - E gli altri vi rinchiuderanno a Charenton.

    A quel nome tanto esecrato, l'esaltazione del militare si plac.

    - Ma non si potrebbe tentare presso il Ministero della guerra?

    - Oh, gli uffici! Nessuno vi impedisce di metterci piede, ma munito di regolare atto che dichiari nullo e non avvenuto il vostro decesso. I burocrati sono oggi i peggiori nemici dei vecchi quadri dell'Impero!

    Il colonnello non fiat; rimase immobile, guard attorno di s senza pi vedere, oppresso da un disperato dolore. La giustizia militare pi agile, schietta, rapida; decide alla turca, ma giudica quasi sempre con equit; e questa giustizia era la sola che Chabert conoscesse. Ora, accorgendosi di esser in un dedalo di difficolt dalle quali non era facile cosa l'uscirne, considerando le spese da sopportare per destreggiarsi in esso, si sent come mortalmente colpito in quella che la pi grande forza dell'uomo, la volont. Gli sembr impossibile una vita trascorsa in litigi; meglio, cento volte meglio campare in povert, mendicando, oppure tentare l'ingaggio come cavaliere, semmai qualche reggimento potesse ancora accoglierlo.

    Le sofferenze fisiche e morali avevano ormai consunto il suo potere di resistenza. Era malato di un male che la medicina non classifica, di un male che non ha un focolaio, una sede particolare, diffuso e vagante come certe affezioni nervose, un male che dovrebbe essere chiamato: lo "spleen" della disperazione.

    Per quanto grave fosse, la guarigione era ancora possibile e dipendeva da una favorevole conclusione di quella triste vicenda.

    Per distruggere totalmente la forte fibra del vecchio sarebbe bastato un nuovo ostacolo, un fatto imprevisto; la sua resistenza gi cos indebolita avrebbe lasciato libero campo al manifestarsi di quelle esitazioni, di quelle incoerenze che i fisiologhi riscontrano negli esseri debilitati dal dolore.

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  • Il profondo abbattimento nel quale era caduto il vecchio fece esclamare a Derville: - Su, su, coraggio; la soluzione non potr che essere favorevole. Desidero tuttavia che mi diciate sinceramente se vi fidate in tutto e per tutto di me e se accetterete senza discutere quanto star per fare nel vostro interesse.

    - Mi rimetto a voi...

    - Sta bene, ma lo dite con voce di uno che sia trascinato al patibolo.

    - Non sar forse privato del mio stato, del mio nome? E' tollerabile questo?

    - Io vedo le cose in un modo diverso. Noi potremo tentare un componimento amichevole, ottenere un giudizio che annulli l'atto di morte e quello di matrimonio in modo che voi riacquistiate in pieno i vostri diritti. Voi potreste anche ottenere, con l'aiuto dello stesso Ferraud, di essere reintegrato nei quadri dell'esercito e di riscuotere una pensione.

    - E cos sia! io mi fido completamente di voi.

    - Mi rilascerete una procura, s'intende. Coraggio e arrivederci.

    Se vi mancasse del danaro, sono a vostra disposizione.

    Chabert strinse con calore la mano dell'avvocato e rimase addossato al muro, senza la forza di accompagnare il suo protettore, se non con lo sguardo riconoscente. Come avviene di tutti quelli che non hanno molta dimestichezza con il giure, egli era affranto per tutte le difficolt che veniva incontrando.

    Durante il colloquio, Chabert aveva notato, oltre i pilastri della porta carraia, la presenza di un uomo che sembrava aspettasse la partenza di Derville per avvicinarglisi. Si trattava di un vecchio, in giacchetta bleu, con un grembiule bianco a pieghe del tipo comune ai trattori e con un berretto di lontra. Il suo viso incavato e rugoso mostrava sul bruno della pelle quel rossore caratteristico di chi compie estenuanti lavori all'aria aperta.

    - Scusate il mio ardire - disse fermando Derville con un braccio - ma mi sono convinto, solo al vedervi, che voi siete un amico del nostro generale.

    - E come pu interessarvi? chi siete? - ribatt l'avvocato.

    - Sono Vergniaud, Luigi Vergniaud. Ho da scambiare con voi due sole parole.

    - Ah, siete voi che avete offerto a Chabert quel magnifico alloggio?

    - -Vogliate credermi, gli ho ceduto la stanza migliore. Gli avrei dato la mia, sicuro, la mia, se avessi potuto disporre di un'altra; avrei magari dormito nella stalla. Ci pensate... un uomo che ha sofferto quanto lui, che insegna a leggere ai miei fringuelli, un generale, un egiziano, il primo tenente che io ho avuto sotto le armi! La sua stanza la migliore fra tutte. Ho diviso con lui tutto quello che ho; certo, non molto, del pane, del latte, delle uova. Bah! alla guerra come alla guerra. Cuore alla mano. Tuttavia egli ci ha fatto dei torti...

    - Lui?

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  • - Sicuro, proprio lui... dei torti. Mi sono sobbarcato al peso di questo commercio; al disopra delle mie forze. Lui mastica amaro e mi governa il cavallo! Mi oppongo... "Mio generale, voi siete matto!". "Oh", mi risponde, "debbo vivere a ufo?". E' un pezzo che ho imparato come si liscia il pelo a un coniglio. Io mi ero messo d'accordo con un certo Grados per un prestito sulla mia vaccheria.... ma lo conoscete questo Grados...?

    - Mio buon uomo, io non ho molto tempo per starvi ad ascoltare. Ma non mi avete spiegato quali siano i torti del colonnello...

    - Torti, come vero che mi chiamo Luigi Vergniaud e com' anche vero che mia moglie ne ha pianto. E' venuto a sapere dai nostri vicini che non abbiamo il becco d'un quattrino per pagare i debiti. Che ha fatto? Quel soldataccio ha utilizzato tutto quanto voi gli passate e ha pagato lui. Una prodezza... E non immaginavamo neppure, mia moglie e io, che in quel modo s'era ridotto a non avere un pizzico di tabacco; e non se ne lamentava.

    Ma ora, caschi il mondo, ogni mattina trova i suoi sigari.

    Venderei tutto per procurarglieli. Questi sono i suoi torti. Ecco, ho saputo che siete un uomo di gran cuore, non potreste prestarmi un centinaio di scudi garantiti sullo stabilimento, in modo da potergli acquistare degli abiti, da mettere in ordine la sua stanza? Egli ha creduto di sdebitarsi e, in definitiva, ci ha indebitati... e contrariati. Non doveva farlo, lui, un amico!

    Parola di galantuomo, com' vero che mi chiamo Luigi Vergniaud, andrei a ingaggiarmi piuttosto di non fare onore ai miei impegni...

    Derville squadr il vecchio, poi arretrando di qualche passo gir lo sguardo all'intorno: casa, cortile, concimaia, stalla, conigli, marmocchi...

    - E' fin troppo evidente che l'onest non si accompagna sempre alla ricchezza - comment.

    Poi, rivolto a Vergniaud: - Sta bene, avrete i cento scudi e qualche cosa di pi. Ma non sar io a darveli; il colonnello abbastanza ricco per potervi aiutare e io non voglio privarlo di questa giusta soddisfazione.

    - E lo potr far presto?

    - Certamente.

    - Sia ringraziato il cielo! Mia moglie ne sar felice, e come!

    Il viso abbronzato di Vergniaud si illumin di gioia.

    - Ora dobbiamo filare dritti dal nostro avversario- pens Derville rimontando in carrozza. - Non scoprire il proprio gioco, indovinare quello dell'avversario e fare il colpo maestro.

    Intimorirla? No, una donna. E poi, di che s'intimoriscono oggi le donne? Esse non temono che...

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  • Studi attentamente la situazione della contessa, con quel procedimento mentale proprio dei grandi uomini politici che, nel concepire i loro piani, cercano di penetrare nei pi riposti segreti della politica avversaria.

    Gli avvocati, sotto un certo punto di vista, possono essere considerati come uomini di Stato incaricati di trattare gli affari privati.

    A questo punto, necessario un breve cenno sui rapporti esistenti tra il conte Ferraud e sua moglie per mettere in luce la geniale abilit dell'avvocato.

    Il conte Ferraud era figlio d'un antico consigliere parlamentare a Parigi. Emigrato sotto il Terrore, aveva salvato la testa e perduto le sostanze. Tornato in patria sotto il Consolato, si mantenne fedele a Luigi Diciottesimo, alla cui corte era vissuto suo padre. Apparteneva quindi a quei gruppi del quartiere Saint- Germainche resistettero orgogliosamente alle seduzioni napoleoniche.

    Il giovane conte era molto stimato - in quel tempo era semplicemente il signor Ferraud - tanto da attrarre l'attenzione di Napoleone, il quale, come ognuno sa, era altrettanto fiero di poter conquistare l'aristocrazia quanto di redigere un bollettino di vittoria. Venne promessa al conte la restituzione dei beni, la reintegrazione dei titoli nobiliari, gli si fece balenare la prospettiva di un ministero, di un posto al senato. L'imperatore fall il suo scopo. Ferraud, all'epoca della morte del conte Chabert, era un giovane signore sui ventisei anni, privo di fortuna, piacente nell'aspetto, intraprendente; una gloria, insomma, del quartiere Saint-Germain. La contessa di Chabert, dal canto suo, aveva cos ben manipolato la successione alla morte del marito che dopo soli diciotto mesi di vedovanza, la sua rendita era salita a quarantamila franchi circa. Il suo matrimonio con il giovane conte non dest alcuno scalpore nell'ambiente del quartiere Saint-Germain, in quanto rispondeva felicemente alle idee dominanti in materia. Napoleone restitu alla Chabert la parte di eredit che era toccata al fisco e ancora una volta il suo disegno and a vuoto.

    La signora Ferraud non vedeva soltanto nel marito l'uomo che si ama, ma anche uno strumento per entrare in quella societ molto disdegnosa che, pur non godendo pi dell'antico prestigio, era pur sempre dominante presso la corte imperiale. Ogni vanit e ogni stimolo passionale erano in ugual misura soddisfatti. La signora Ferraud stava per diventare, sotto ogni rapporto, una "donna di conto". Quando nel clan del quartiere Saint-Germain si seppe che il matrimonio non significava diserzione, i salotti accolsero la sposa del giovane conte. Venne la Restaurazione. La fortuna politica del Ferraud non fu rapida. Egli si rendeva conto della particolare situazione in cui si trovava il Sovrano e attese accortamente che l'"abisso delle rivoluzioni fosse colmato", una frase, pronunciata dal Re, che suscit tanti sarcasmi da parte dei liberali e che aveva un recondito significato politico. A ogni buon conto l'istanza di cui abbiamo citato una lunga frase clericaleggiante all'inizio di questo nostro racconto aveva procurato al Ferraud la restituzione di due boschi e di un fondo il cui valore si era molto accresciuto durante il sequestro. Al momento attuale, quantunque egli fosse Consigliere di Stato e Direttore generale, poteva considerare la sua posizione come un promettente inizio di fortuna politica. Assillato da un'ambizione sfrenata, si era messo al fianco un avvocato dissestato, di nome Delbecq, uomo di abilit diabolica che conosceva a meraviglia tutti i sotterfugi litigiosi, affidandogli la cura dei suoi affari privati. Il furbo leguleio, conscio della sua posizione privilegiata, ostentava una onest disinteressata, sperando di sfruttare un giorno o l'altro la sua nuova posizione presso il conte, i cui beni erano oggetto delle sue cure! La sua condotta mascherava cos bene i suoi veri propositi che ogni sfavorevole giudizio sul suo passato sarebbe apparso

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  • calunnia. Con il fiuto e la scaltrezza che costituiscono in diversa misura le armi di tutte le donne, la Contessa aveva intuito la vera natura del suo amministratore e sapeva trattarlo con arte cos sottile da cavarne, come primo risultato, un ragguardevole accrescimento della sua fortuna personale. Era riuscita, infatti, a convincere Delbecq sulla sua autorit coniugale a tal punto da assicurargli un posto di presidente di tribunale di prima istanza in una delle maggiori citt di Francia se avesse accudito con zelo ai suoi interessi. La promessa di una carica inamovibile, la conseguente possibilit di un buon matrimonio e la probabilit di conquistare, con pi elevate funzioni, anche uno scanno di deputato, tutte queste prospettive fecero di Delbecq l'anima dannata della Contessa. Cominci con lo sfruttare tutte le favorevoli congiunture della Borsa e il rialzo dei beni fondiari che si verific a Parigi durante i primi tre anni della Restaurazione.

    Egli riusc in tal modo a triplicare il capitale della sua protettrice, un compito che gli era stato in tutti i modi facilitato dalla nobildonna stessa. Gli emolumenti spettanti al marito erano da lei utilizzati per le spese domestiche, e le proprie rendite regolarmente capitalizzate. Delbecq si prestava a tali forme di avarizia senza tuttavia spiegarsene la ragione; uomini come lui non ficcano il naso se non nelle cose dalle quali sanno di trarre un utile. D'altra parte, quella sete di ricchezza era comune a tante parigine e poteva sembrare indispensabile per sostenere le ambizioni del conte; tanta avidit era forse una conseguenza dello stesso attaccamento per il conte, del quale era pi che mai innamorata.

    La contessa teneva celati i suoi propositi nel pi profondo del cuore. Segreti che avevano per lei il valore della vita e della morte. In essi sta il filo di questo racconto.

    Sull'inizio del 1818, la Restaurazione sembr del tutto consolidata; le nuove dottrine politiche, accettate dagli spiriti eletti, lasciavano presagire un'era di prosperit per la Francia.

    La societ parigina mut volto. La contessa Ferraud aveva contratto un nuovo matrimonio che riassumeva felicemente l'amore, la ricchezza e l'ambizione. Giovane e piacente, la Ferraud viveva la vita di corte, come un'aristocratica di primo piano. La sua ricchezza personale unita a quella di un marito, che vantava l'amicizia del Re e pareva destinato alla carica di ministro, le consentiva di brillare nell'aristocratico splendore di quell'ambiente. Ma il suo trionfo di donna fu, a un tratto, offuscato da una gravissima crisi morale. Ci sono aspet