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Studiare le audience nella cultura della convergenza

Prof. Romana Andò

Analisi dell’informazione e dei pubblici

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Perché studiare i media?

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Perché studiare i media?

• “ è mia intenzione sostenere che i media vanno studiati perché sono centrali per la nostra vita quotidiana, in quanto dimensioni sociali, culturali, politiche ed economiche del mondo contemporaneo e in quanto elementi che contribuiscono alla nostra capacità variabile di dar senso al mondo, di costruire e condividere i suoi significati” (R. Silverstone 2002, pag.19)

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I media: parte del tessuto generale dell’esperienza

• “i nostri media sono ubiqui, costituiscono la quotidianità, […] sono una dimensione essenziale dell’esperienza contemporanea.

• […] siamo diventati dipendenti dai mezzi di comunicazione, sia quelli a stampa sia quelli elettronici, per svago e per informazione, per conforto e per sicurezza, per un certo senso della continuità dell’esperienza e di quando in quando anche per i momenti più intensi dell’esperienza” (Silverstone, 2002, pag. 18)

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I media partecipano alla vita sociale e culturale

• “Si tratta dunque di esaminare i media come processo, come agenti e come oggetti dati, a tutti i livelli, ovunque gli esseri umani si aggreghino in uno spazio reale o virtuale, comunichino, tentino di persuadere, informare, divertire, educare; ovunque tentino, in una molteplicità di modi e con diversi gradi di successo, di connettersi l’uno all’altro” (Silverstone 2002, pag. 21)

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Lo studio dei media: partire dall’esperienza e dalla sua normalità

• Il punto di partenza per uno studio sui media è l’esperienza e la sua normalità.

• “i media sono in primo luogo normali, sono una presenza costante nella nostra vita quotidiana”

• L’azione dei media si svolge nel mondo ordinario: essi sono “parte di una realtà alla quale partecipiamo, che condividiamo e che manteniamo, giorno per giorno, attraverso i nostri discorsi e le nostre interazioni quotidiane” (Silverstone 2002, pag. 24-25)

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Noi e i media

• Possiamo “pensare a noi stessi nella nostra quotidianità e nella nostra vita con i media, come a nomadi, girovaghi che si muovono da luogo a luogo, da un ambiente mediale a un altro”

• “Ci muoviamo fra spazi privati e pubblici, fra spazi locali e globali, da spazi sacri a spazi profani e da spazi reali a spazi di finzione e virtuali e viceversa”

• “I media costituiscono il quotidiano e allo stesso tempo forniscono alternative ad esso” (Silverstone 2002, pag. 27)

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I nostri media, le nostre storie, le nostre relazioni

• “le nostre storie, le nostre conversazioni sono presenti sia nelle narrazioni formalizzate dei media, nei resoconti fattuali e nelle rappresentazioni di finzione sia nelle storie quotidiane: pettegolezzi, dicerie e interazioni causali in cui troviamo dei modi per fissarci nello spazio e nel tempo, e soprattutto per fissarci nelle nostre relazioni reciproche, connettendoci e separandoci, condividendo e rifiutando, individualmente e collettivamente, in amicizia e in ostilità, in pace e in guerra” (Silverstone 2002, pag. 32)

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Media e senso comune

• Il senso comune va inteso come “espressione e allo stesso tempo precondizione dell’esperienza, come condiviso o per lo meno condivisibile, come misura delle cose spesso invisibile.

• I media dipendono dal senso comune, lo riproducono, vi fanno riferimento così come lo sfruttano e lo fraintendono” (Silverstone 2002, pag. 25)

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Media come filatoi del mondo moderno

• Se “l’uomo è sospeso su una rete di significati che lui stesso ha tessuto” (Geertz)

• allora i media sono i i filatoi del mondo moderno, e utilizzandoli, gli esseri umani tessono reti di significato per loro stessi (Thompson1998, 22).

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Media, risorse simboliche e vita sociale

• Lo sviluppo dei media va letto come una rielaborazione del carattere simbolico della vita sociale, una riorganizzazione dei modi in cui le informazioni e i contenuti simbolici sono prodotti e scambiati nel mondo sociale, e una ristrutturazione dei modi in cui gli individui si rapportano l’uno all’altro e a se stessi (Thompson 1998, 22).

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Media e contesti sociali

• Quando studiamo i media non dobbiamo correre il rischio di concentrarci solo su

• i testi, analizzandoli in sé e per sé, senza relazioni né con gli obiettivi e le risorse di chi li ha prodotti, né con i modi in cui chi li riceve li utilizza e comprende;

• i pubblici, analizzandone la composizione e la quantità, gli effetti subiti, i bisogni alla base del consumo etc.

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Media e contesti sociali

• Quando studiamo i media dobbiamo partire dal carattere terreno dell’attività di ricezione.

• La ricezione dei prodotti dei media è un’attività pratica e di routine che gli individui intraprendono in quanto rappresenta un aspetto costitutivo della loro vita quotidiana.

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La ricezione mediale

• La ricezione dei media è un’attività = un tipo di pratica nel corso della quale gli individui si appropriano dei materiali simbolici che ricevono e li elaborano.

• La ricezione è un’attività collocata in un contesto: i prodotti dei mezzi di comunicazione sono ricevuti da individui invariabilmente situati in contesti storico-sociali precisi (da cui distaccarsi o in cui immergersi ancora di più)

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La ricezione mediale

• La ricezione dei media è un’attività di routine, ovvero una delle pratiche consuete della vita quotidiana.

• La ricezione dei media è un’attività che dipende da un ventaglio di capacità e competenze acquisite (funzione esperta).

• La ricezione dei media è un’attività ermeneutica, nel senso che gli individui si impegnano in genere in un processo di interpretazione, attraverso il quale attribuiscono significato.

• Nell’interpretare le forme simboliche gli individui le incorporano nella loro comprensione di sé e degli altri.

• Ne assimilano il messaggio e lo incorporano nella propria vita, adattandolo alla propria esistenza e contesto di vita.

• L’appropriazione è, quindi, il processo di comprensione e autocomprensione.

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Benvenuti nella cultura della convergenza ….Nuovi contesti del consumo mediale e della vita quotidiana

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… dove vecchi e nuovi media si scontrano, dove forme mediali generate dal basso e dall’alto si incrociano, dove il potere della produzione mediale e quello del consumo interagiscono in modi imprevedibili.”

H. Jenkins (Cultura convergente)

“Benvenuti nella cultura della convergenza …

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Cultura convergente

La definizione di cultura convergente di Jenkins (2007) rimanda ad uno scenario che deriva

dall’interazione tra:

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Convergenza mediale

• “per ‘convergenza’ intendo il flusso dei contenuti su più piattaforme, la cooperazione tra più settori dell’industria dei media e il migrare del pubblico alla ricerca continua di nuove esperienze di intrattenimento” (Jenkins, 2007, XXV)

• “voglio contestare l’idea secondo la quale la convergenza sarebbe essenzialmente un processo tecnologico che unisce varie funzioni all’interno dello stesso dispositivo. Piuttosto essa rappresenta un cambiamenti culturale …” (ibid.)

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Cultura partecipativa

• L’idea di cultura partecipativa contrasta con l’idea di audience passiva, che si trascina fin dalle prime elaborazione di modelli teorici della comunicazione mediata, a favore di un’audience partecipante e produttiva.

• Produttori e consumatori interagiscono tra di loro continuamente, secondo dinamiche di azione e relazione mutevoli e innovative.

• Nella cultura partecipativa non tutti devono contribuire, ma tutti devono credere di essere liberi di farlo, quando sono pronti

• e devono credere che il loro contributo sarà valutato in maniera appropriata.

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Definire la cultura partecipativa come:

• 1. con barriere piuttosto basse nei confronti dell’espressione artistica e dell’impegno civico

• 2. con grande supporto alla creazione e scambio di opere gli uni con gli altri

• 3. con qualche tipo di guida informale in base alla quale ciò che è conosciuto dalla maggior parte attraverso l’esperienza viene passato ai nuovi

• 4. dove i membri credono che il loro contributo conta• 5. dove i membri sentono qualche grado di connessione sociale con

gli altri (come minimo sono attenti a ciò che gli altri pensano a proposito delle loro creazioni).

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Intelligenza collettiva

• Nella cultura convergente, il consumo diventa un processo collettivo.

• La convergenza non avviene tra le attrezzature dei media, ma nei cervelli dei singoli consumatori e nelle loro interazioni sociali, nel loro parlare dei media, sui media e con i media.

• Avviene nella gestione, implementazione e condivisione della conoscenza mediata al punto che “nessuno di noi sa tutto; ognuno di noi sa qualcosa; possiamo mettere insieme i pezzi se uniamo le nostre conoscenze e capacità” (Jenkins, 2007, XXVI)

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Non tecnologia interattiva, ma cultura partecipativa

• “l’interattività (H. Jenkins, 2006a) è una proprietà della tecnologia, mentre la partecipazione e una proprietà della cultura”.

• La cultura partecipativa va emergendo nel momento in cui la cultura assorbe e risponde alla esplosione delle nuove tecnologie mediali, che rendono possibile per i consumatori medi di archiviare, prendere nota, appropriarsi, e far circolare di nuovo i contenuti media in nuove modalità ancora più potenti.

• Concentrarci solo sull’accesso alle nuove tecnologie ci porta lontano, se non incoraggiamo allo stesso tempo le competenze e le conoscenze culturali necessarie per sviluppare questi strumenti per i nostri stessi obiettivi.

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Non tecnologie isolate ma sistema dei media

• Piuttosto che occuparci di ciascuna tecnologia isolatamente, faremmo meglio ad assumere un approccio ecologico, ragionando sulle interrelazioni tra tutte queste differenti tecnologie di comunicazione, sulle comunità culturali che crescono intorno ad esse, e sulle attività che supportano.

• Il sistema dei media è composto di tecnologie della comunicazione e di istituzioni, pratiche e protocolli sociali, culturali, legali, politici ed economici, che le modellano e circondano (Gitelman, 1999).

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Cultura partecipativa e opportunità di civic engagement

• La nuova cultura partecipativa offre molte opportunità ai giovani per prendere parte al dibattito pubblico, partecipare alla vita di comunità, diventare leader politico, anche se spesso solo attraverso le “seconde vite” offerte dai giochi multiplayer o dalle comunità online di fan.

• La sfida è come collegare le decisioni nel contesto della vita quotidiana con le decisioni prese a livello locale, o nazionale.

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Cultura convergente e mercato

• “le media companies [sono] obbligate a rivalutare la natura dell’impegno degli utenti e il valore della partecipazione dell’audience in risposta ad un cambiamento dell’ambiente mediale caratterizzato da una digitalizzazione e un flusso mediale attraverso più piattaforme, l’ulteriore frammentazione e diversificazione del mercato mediale, e l’aumento della forza e della capacità degli utenti di plasmare il flusso e la ricezione dei contenuti mediali” (H. Jenkins 2008).

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Come cambia il consumatoreMentre i vecchi consumatori erano visti come passivi, i nuovi

consumatori sono attivi.

Mentre i vecchi consumatori erano prevedibili e stavano dove gli ordinavi, i nuovi consumatori si spostano, mostrando una fedeltà

in declino nei confronti dei network o dei media.

Se i vecchi consumatori erano individui isolati, i nuovi consumatori sono maggiormente connessi tra loro.

Se il lavoro dei consumatori mediali un tempo era silenzioso e invisibile, i nuovi utenti sono rumorosi e pubblici” (Jenkins 2006).

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Perché studiare le audience?Approcci teorici e ricerca empirica

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Da dove partiamo …

• Il primo obiettivo da porsi, è quello di chiarire cosa intendiamo per audience e, quindi:

• riflettere sull’annosa questione della sostituibilità o meno dei concetti di audience e pubblico.

• indagare le differenze tra audience e pubblico in termini di risultati/rappresentazioni della ricerca quantitativa o qualitativa.

• ragionare sull’uso del concetto di pubblico e/o di audience al singolare o al plurale.

• definire i termini dell’attività dell’audience e del pubblico.

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Audience o pubblico?

• Il ‘pubblico’ può essere inteso, in senso qualitativo, come un insieme di gruppi sociali impegnati in pratiche quotidiane che comprendono il consumo mediale.

• Il concetto di pubblico deriva dalla tradizione ottocentesca del teatro e segnala quindi un insieme di individui che sceglie consapevolmente di partecipare ad uno spettacolo: una forma istituzionalizzata di comportamento collettivo.

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Audience o pubblico?

• ‘Audience’, generalmente, indica una lettura quantitativa, ovvero l’insieme dei consumatori di un dato mezzo o contenuto mediale (audience = ascolto)

• È una definizione più di pertinenza del marketing, associata all’idea di rilevazioni quantitative, percentuali di ascolto, soggetti passivi (Livingstone).

• L’audience è una mera costruzione discorsiva a uso e consumo delle istituzioni mediali interessate a conoscere, quantificare e controllare particolari segmenti di pubblico.

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Audience e pubblico come rappresentazione. Contro il realismo ingenuo

• Se il problema audience vs pubblico è di ordine metodologico (ricerca quantitativa vs qualitativa), allora bisogna ricordare che:

• ogni genere di ricerca empirica sfocia sempre, necessariamente, in una rappresentazione, in un racconto, per quanto di tipo diverso sulla base degli strumenti utilizzati.

• Esiste forse una realtà al di fuori della sua rappresentazione?

• È possibile dire che l’audience/pubblico descritta/o quantitativamente sia più reale, di quello osservata/o sul campo, di quella/o raccontata dalla stessa audience/pubblico?

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I discorsi della ricerca quantitativa

• “la rilevazione dell’audience è la produzione di un discorso che ‘formalizza’ e riduce lo spettatore ad esemplare calcolabile, a membro il cui comportamento può essere oggettivamente determinato, oltre che categorizzato in modo preciso” (Ang).

• La ricerca quantitativa tratta gli spettatori come numeri, come unità dello stesso valore nel calcolo della misura dell’audience (ibidem).

• Il discorso sugli indici di ascolto descrive gli spettatori e le differenze tra essi in termini di poche generalizzate e standardizzate variabili di comportamento di consumo televisivo (ibidem).

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Cercasi audience disperatamente

• Le emittenti hanno costante necessità di conoscere quali pubblici sono “alla loro portata”.

• Per le routine produttive e per la sopravvivenza organizzativa di un mezzo è necessario poter contare su un pubblico, definibile come “corpo fisico di spettatori assidui ed identificabili” (Ien Ang)

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Difficoltà nella definizione delle audience

• “ Quando si raggruppano meccanismi di risposta individuale […] necessariamente si devono restringere, se non addirittura eliminare, le condizioni contestuali esterne e puntuali che potrebbero delucidare la prospettiva di ciascun individuo. Aggregare è un processo di totalizzazione che pone in secondo piano la riflessione sul modo in cui i contesti puntuali e le risposte individuali contribuiscono a formare un’immagine più completa della situazione in esame” (Ien Ang)

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Difficoltà nella definizione delle audience

• Se è vero che le cifre delle statistiche forniscono stime sull’ampiezza dell’audience, compensandone la mancanza di visibilità immediata,

• È anche vero che “concepire l’audience televisiva come collettività classificabile significa negare il disordinato mondo sociale delle audience effettive” (Ien Ang)

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Le rilevazioni audiometriche

• Consentono agli operatori di poter contare su numeri, percentuali che fotografano con immediatezza le dimensioni della platea e ne delineano le scelte di consumo.

• Questi strumenti offrono agli operatori la certezza illusoria di avere il polso della situazione, celando, dietro la forza convincente dei numeri, l’insicurezza derivante da comportamenti di consumo sempre meno spiegabili e giustificabili quantitativamente.

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Osservare per controllare?

• Riprendendo il discorso di Foucault sul Panopticon, che entra in funzione “ogniqualvolta l’imperativo è quello di collocare gli individui o le popolazioni entro una griglia in cui possono essere resi produttivi e osservabili”

• Ien Ang spiega lo sviluppo delle pratiche di rilevazione sulle audience e ne segnala le forti debolezze implicite:

• la natura del consumatore, non essendo la stessa indirizzabile nel comportamento, come prevede, invece, il panopticon, è l’elemento che fa sì che l’osservazione e, quindi, la conseguente visibilità, possano essere solo uno strumento indiretto di controllo sulle audience.

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Il limite dell’osservazione

• Se l’esigenza delle industrie che commissionano le ricerche sulla audience è proprio quella di conoscere per controllare, osservare, acquisire casistiche, numeri che possano legittimare previsioni attendibili sui comportamenti delle audience, essa si scontra con il suo stesso limite:

• infatti, per quanto gli strumenti di misurazione e monitoraggio possano portare a rappresentazioni minuziose e accurate, il loro realismo descrittivo può non essere sufficiente per il controllo, perché non prescrive un comportamento.

• In un circolo vizioso, allora, l’incertezza che ne deriva tormenta l’industria fino alla messa a punto di un sistema ancora più analitico.

• Salvo poi “capitare che, più si fa microscopico lo sguardo sullo spettatore, più ci si accorga di quanto sia sfuggente il <<comportamento di consumo [mediale]>>

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• Le “tecnologie per i feedback di mercato” (Auditel, sondaggi telefonici, etc.),

• assumono una funzione strategica in una situazione strutturale di lotta per la conquista delle posizioni sul mercato;

• hanno l'obiettivo di costruire l’audience televisiva “come una categoria che oggettiva il pubblico in modo da poterlo controllare, nell’interesse di uno scopo istituzionale prestabilito” (Ien Ang): consegnare target agli inserzionisti pubblicitari.

L’audience come collettività classificabile

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L’audience come strategia discorsiva

• Raggruppare il pubblico in un’unica categoria capace di discriminare tra chi è e chi non è effettivamente parte dell’audience è, d’altra parte, una strategia discorsiva che trova radice

• nei tratti dominanti del broadcast e• nell’esigenza di legittimare l’obiettivo di controllare e conquistare e ,

allo stesso tempo, la presenza di un oggetto da controllare e conquistare

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Le premesse della ricerca quantitativa

• 1) non misura la fruizione tv come tale: misura qualche altro fattore (lo schermo acceso, la presenza nella stanza) come indicatore del vedere la tv.

• 2) assume che accendere la tv sia un indice del vedere lo specifico programma in onda in quel momento.

• 3) assume che qualunque comportamento di fruizione sia il risultato di processi individuali di decision-making

• 4) assume che le decisioni su cosa guardare possano essere trattate significativamente come indipendenti dal contesto ed equivalenti.

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Il mondo sociale delle audience effettive

• “concepire l’audience televisiva come collettività classificabile significa negare il disordinato mondo sociale delle audience effettive” (Ang)

• “il modo in cui le audience effettive si rapportano alla televisione [o ai media in generale n.d.a.] eccede ogni quantificazione, ogni categorizzazione, e ogni rappresentazione omogenea e oggettivante” (ibidem)

• che miri al controllo.

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Essere audience

• “L`audience televisiva non è una categoria sociale come la classe, la razza o il genere - ognuno scivola continuamente dentro e fuori di essa in un modo che rende privo di senso qualunque tentativo di definirne i confini:

• allo stesso modo, quando ne fanno parte, le persone tendono a costituirsi come audience in modi differenti in momenti diversi:

• io sono un' 'audience' televisiva diversa quando guardo la mia squadra di football giocare, quando guardo una puntata di A - Team con mio figlio, o ' Days of our Lives' con mia moglie” (Fiske 1989).

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L’audience c’è (ci sono): il ruolo dei discorsi

• Per quanto noi possiamo conoscere le audience solo attraverso i discorsi, esse di fatto esistono al di fuori dei termini di questi discorsi.

• Tuttavia, l’audience come entità singola, quantitativamente tangibile, non esiste se non nei discorsi;

• le audience come insiemi mutevoli di relazioni tra soggetti esiste invece nei contesti micro e macro e viene conosciuta attraverso i discorsi.

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I discorsi della ricerca qualitativa

• Anche la ricerca qualitativa ha a che fare con rappresentazioni, discorsi:

• quando si utilizza l’osservazione partecipante, il ricercatore costruirà la sua storia-narrazione (necessariamente parziale) di ciò che vede.

• Nel caso delle interviste, il ricercatore produce storie (report) sulle storie, che le audience scelgono di raccontare sulla propria fruizione di storie mediali.

• Raccontando storie su di sé le audience in più fanno emergere gli schemi culturali e linguistici che utilizzano per interpretare le storie mediale e per raccontarle.

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Il patrimonio discorsivo delle audience

• “Le interpretazioni o decodifiche delle storie mediali sono influenzate, e riflettono anche, i codici e i discorsi che differenti parti di audience usano abitualmente,

• e i modi in cui queste decodifiche sono determinate dalla distribuzione, socialmente regolata, di codici culturali tra e attraverso diverse porzioni dell’audience” (Morley 1983).

• “Il significato del testo sarà costruito in modo differente in base ai discorsi (conoscenze, pregiudizi, resistenze ecc.) che il lettore porta con sé, e il fattore determinante nell’incontro tra audience/soggetto e testo sarà il range di possibili discorsi a disposizione dell’audience” (Ibidem)

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Le audience.

• “Dovremmo utilmente pensare all’audience dei media non tanto come una massa indifferenziata di individui

• ma come una complessa struttura di individui socialmente organizzati in un numero indefinito di sottogruppi e subculture,

• ciascuna delle quali ha la sua storia e le sue tradizioni culturali” (Morley, 1983)

• “Le categorie si basano sulle similarità: l’audience è più vicina ad una moltitudine di differenze” (Fiske 1989).

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La mappa culturale dell’audience

• “Per capire i significati potenziali di un dato messaggio, abbiamo bisogno di una mappa culturale dell’audience alla quale il messaggio è rivolto:

• una mappa che mostri i vari repertori culturali e le risorse simboliche a disposizione dei sottogruppi posizionati in modo diverso all’interno dell’audience.

• Tale mappa aiuterà a mostrare come i significati sociali di un messaggio siano prodotti attraverso l’interazione dei codici inscritti nel testo con i codici attualizzati da differenti segmenti dell’audience” (Morley 1983)

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Le audience attive

• Sia i media studies (cfr. usi e gratificazioni) sia le teorie critiche (cfr. negoziazione, rapporto testo/lettore) sono pervenuti alla concezione di “spettatore attivo”, pur oscillando sempre tra due estremi, teoricamente non sostenibili.

• La “scomparsa del messaggio”, in alcuni ambiti dei media studies, a causa della sottovalutazione del potere del testo (usi e gratificazioni).

• La “scomparsa del pubblico”, in alcuni ambiti delle teoria strutturaliste del testo, che sottovalutano il contesto di produzione e di consumo rincorrendo il “vero significato” del testo. (Livingstone)

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La confluenza dei modelli verso lo spettatore attivo

• Il concetto di attività, molto usato e poco definito, ha rappresentato soprattutto una “rottura con le passate concezione elitarie degli spettatori passivi (e dell’analista superiore)”.

• Ne emerge uno spettatore attivo che “attribuisce senso ai programmi in modo relativamente libero dalla struttura del testo, servendosene per i suoi interessi, le sue conoscenze e le sue esperienze” (Livingstone)

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Tradizioni di ricerca sull’audience negli studi sulla ricezione1. Cultural Studies: con l’encoding-decoding,

l’attenzione per la produzione e riproduzione della cultura collega analisi del testo e analisi della ricezione.

2. Usi e gratificazioni: il pubblico è selettivo di fronte all’offerta mediale e il ricercatore è interessato a capire cosa il consumatore fa con i media.

3. Il cambiamento della prospettiva critica dall’attenzione all’egemonia mediale e culturale allo spettatore resistente.

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4. Il passaggio dalla Screen Theory (approccio strutturalista al testo) al concetto di ‘lettore modello’ o ‘lettore implicito’.

5. L’approccio femminista alla cultura popolare che ha ridefinito il concetto di pubblico attivo e passivo, testo aperto e chiuso e i confini dei generi mediali maschili e femminili.

6. La svolta etnografica porta l’osservazione a concentrarsi sul quotidiano, sulla contestualizzazione dei riti e delle pratiche della comunicazione.

Tradizioni di ricerca sull’audience negli studi sulla ricezione

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I risultati della ricerca sul pubblico

• L’elemento più importante degli studi sulla ricezione è che hanno reso visibile un pubblico fino a quel momento sottovalutato, dato per scontato o marginalizzato.

• Concentrarsi sull’attività di decodifica ha permesso di ragionare sull’esistenza di pubblici diversi e non di un solo pubblico.

• Il contesto culturale in cui il consumo si svolge è divenuto centrale per la comprensione del consumo stesso.

• Tuttavia, gran parte della ricerca è stata condotta con toni polemici: più per smentire le posizioni precedenti, che con uno sguardo al futuro.

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I limiti della ricerca sull’audience attiva• “Finora la ricerca sullo spettatore attivo

tende ad essere troppo costruttivista, negando il ruolo del testo, troppo cognitivista, trascurando il ruolo delle emozioni e delle azioni, troppo individualistica, riducendo l’atto sociale del guardare all’atto individuale del conoscere”.

• Si deve invece lavorare ad una “teoria dell’interazione tra lettori e testi, o spettatori e programmi”. (Livingstone)

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L’equilibrio testo lettore

• Negli studi sui media siamo passati da una fase di scomparsa del pubblico (pubblico passivo, media potenti), ad una di scomparsa del testo (pubblico attivo e resistente) per ritornare di nuovo ad una forma di determinismo testuale (encoding-decoding, lettura preferita).

• Riportare l’equilibrio nel rapporto testo lettore e superare la spinta all’immobilismo del canone, consentirà di aprire verso una maggiore molteplicità e varietà di temi per la ricerca etnografica.

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La vita quotidiana come contesto

• Il momento del consumo è l’interfaccia tra i determinanti testuali e quelli sociali.

• Il ruolo del contesto emerge nel passaggio dall’interrogarsi sul significato attualizzato di un testo, da parte di un soggetto, al ragionare sull’intellegibilità del testo stesso (intesa come potenzialità contestuali di attualizzazione).

• È necessario ricollocare analiticamente il momento della ricezione, focalizzandosi sul caleidoscopio della vita quotidiana.

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L’audience come nucleo centrale

• Invece di chiedersi cosa faccia la gente con i testi, o quale siano i significati dei testi, “sarebbe meglio domandarsi in che modo i testi entrano a far parte delle pratiche della vita quotidiana e come agiscono al suo interno” (Livingstone).

• L’audience research deve rimanere dentro al testo e contemporaneamente esplorare le relazioni fra testo e contesto.

• L’audience non sarà più allora un’entità cui gli individui possono appartenere ma insiemi di relazioni fra individui e fra questi e i media.

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Quale contesto per le audience

• Nella definizione di audience diffusa, Abercrombie e Longhurst si riferiscono al fatto che la pervasività dei media nella nostra società fa sì che:

• “essere un membro di un’audience non è più tanto un evento eccezionale, e neanche un evento quotidiano. Piuttosto è parte della vita quotidiana” (Abercrombie, Longhurst 1998)

• Nella società attuale “qualsiasi evento può essere trasformato in performance e chi vi partecipa vede se stesso come performer” (ibidem)

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La performatività

• Per performatività si intendono, nelle parole della Butler, quegli atti e gesti, generalmente costruiti, che regolano i principi di organizzazione dell’identità,

• nel senso che “l’essenza o identità che essi dichiarano di esprimere sono fabbricazioni prodotte e mantenute attraverso segni corporei e altri mezzi discorsivi” (Butler 1990).

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Audience attive e performative

• È performativa l’audience che per una spinta narcisistica cerca di entrare nel mondo dei media in cerca di visibilità, in cerca di audience.

• È performativa l’audience che si immedesima nel programma televisivo o nel personaggio, attraverso meccanismi di identificazione e proiezione, ovvero abbandonando per un momento la propria identità per vestirne un’altra, o proiettando piuttosto la propria coscienza in quella di diversi personaggi (Di Fraia).

• È performativa l’audience che condivide con gli altri i racconti delle storie mediali, per come le ha vissute rispetto al proprio contesto sociale e culturale, per come utilizzerà queste narrazioni per creare relazioni con altri.

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Per una nuova definizione di pubblico/audience

• “dovremmo piuttosto concettualizzare il pubblico come costrutto relazionale o interazionale,

• una sorta di scorciatoia capace di focalizzarsi sulle diverse relazioni che intercorrono fra le persone […]

• in quanto mediate sia da specifici contesti storici e culturali, sia da specifiche forme tecnologiche, storiche e culturali” (Livingstone)

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In sintesi quando parliamo di audience intendiamo …• L’audience non è: 1. un’entità singola;2. quantitativamente

misurabile e controllabile;3. composta di soggetti da

conquistare4. le cui decisioni sono

necessariamente individuali e indipendenti dal contesto,

5. e i cui comportamenti sono indirizzabili e/o prevedibili attraverso il controllo.

• L’audience è:1. sinonimo di pubblico nel

senso di gruppo sociale collettivamente impegnato in pratiche sociali

2. sinonimo delle relazioni tra soggetti e soggetti e media, collocate nel contesto;

3. attiva, mutevole e imprevedibile;

4. non necessariamente resistente;

5. ma performativa; 6. sempre al plurale.

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Etnografia + Media.Perché l’analisi etnografica del consumo?

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L’etnografia come studio del ‘normale’

• L’etnografia va a vedere fenomeni e pratiche sociali nelle loro ‘apparenze normali’, smontando la ‘normalità’ di tali ‘apparenze’.

• L’etnografia, come l’etnometodologia, tratta quello che è ovvio e dato per scontato (il mondo del ‘senso comune’) come strano e problematico e viceversa.

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Etnografia come rottura del senso comune

• L’etnometodologia è lo studio (-logia) dei metodi (-metodo-) utilizzati dagli individui (etno-) per rendere spiegabile e intelligibile (accountable) la realtà che li circonda.

• L’etnografo analizza le spiegazione e i racconti (accounts) forniti dagli stessi attori sociali, i quali a loro volta li impiegano nella vita quotidiana, attingendoli dalla conoscenza di senso comune.

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Una cassetta degli attrezzi per costruire racconti…

• L’etnografia è una “cassetta degli attrezzi”, cioè una modalità con cui ci si può avvicinare ai fenomeni sociali osservando le pratiche degli attori sociali in determinati contesti, con l’aiuto di una varietà di tecniche (Clifford, Marcus 1986).

• Questo significa anche pensare all’etnografia come ad una “costruzione” ad opera dell’osservatore: il racconto autobiografico è necessariamente una fiction, nel senso che è “qualcosa di fatto [o] fabbricato – secondo il significato originale di ‘fictio’ – non che sia falso” (Geertz 1973).

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Etnografia come fiction: interpretazione di interpretazioni

• Leggere l’interpretazione dei testi fornita dagli intervistati vuol dire interpretare testi che, a loro volta, sono resoconti del comportamento di fruizione mediale degli intervistati stessi.

• Il ricercatore qualitativo deve affrontare la difficoltà di raccontare storie sulle storie che gli intervistati hanno scelto di raccontargli.

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Tra etnografia e autobiografia

• Nell’interpretazione etnografica entra sempre, in modo trasparente, la dimensione autobiografica del ricercatore.

• Nel suo racconto, il ricercatore si riferisce in maniera ‘oggettiva’ ed accademica all’oggetto osservato:

• ma il resoconto, legittimato, scientificamente è comunque una forzatura rispetto alla dimensione dialogica dell’osservazione e della raccolta dei dati.

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L’ orientalismo etnografico

• Quando il ricercatore racconta, anche autobiograficamente, dell’oggetto studiato, emergono:

• una serie di costruzioni discorsive che definiscono ‘un’alterità’

• del tutto inventata e fittizia, esotica e affascinante,

• portatrice di stereotipi e di senso comune.• Un ‘orientalismo’ (Said) che vive di senso

comune e che legge il mondo attraverso il senso comune.

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Alcuni esempi di ‘orientalismo mediale’

• L’audience è attiva• Audience critica=audience resistente• Ipersemplificazione delle letture del

rapporto media-minori (modelli causa-effetto)

• La lettura è attiva, la visione di tv passiva.• Cultura popolare=cultura bassa• Fan=sogetto passivo e fanatico• I media (nuovi-potenti) hanno effetti negativi

sul pubblico.

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I tratti dello stile etnografico

1. Privilegiare l’osservazione e la descrizione delle pratiche sociali sull’analisi semantico-strutturale

2. Abbandonare ogni pretesa di oggettività a favore dell’illustrazione originale e per forza parziale di “aspetti, mondi o dimensioni della vita sociale”

3. Adottare uno sguardo non ingenuo, scettico anche sui propri risultati

4. Utilizzare una pluralità di metodi5. Mettere in correlazione le descrizioni con lo stile

adottato dall’osservatore (narratore di un racconto).

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Il compito del ricercatore

• “1) osservare e rilevare il comportamento di routine di tutti i tipi caratteristici di soggetti che si stanno studiando,

• 2) fare questo all’interno degli scenari naturali ove il comportamento accade e

• 3) trarre inferenze accuratamente dopo aver considerato i particolari del comportamento comunicativo, con particolare attenzione posta ai modi spesso sottili, sebbene rivelatori, in cui differenti aspetti del contesto si informano l’uno con l’altro” (Lull, 1987)

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Metodologia e metodi

• “Per ‘metodologia’ si intende il discorso relativo alla legittimazione delle scelte che hanno portato all’adozione di determinati strumenti considerati funzionali agli scopi della ricerca” (Bennato 2001).

• “Per metodi di ricerca o tecniche di ricerca si intendono quelle pratiche con cui si cerca di pervenire alla raccolta delle informazioni che sono ritenute sufficienti a soddisfare il fabbisogno informativo richiesto dagli obiettivi della ricerca” (ibidem).

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Metodologia e metodi dell’etnografia delle audience

• La prospettiva metodologica è quella di studiare con metodi qualitativi il consumo dei media come pratica sociale, condotta da soggetti attivi, ponendo attenzione al contesto in cui tali pratiche e rituali si realizzano e in cui tali soggetti vivono la propria esperienza di essere audience.

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I tratti distintivi delle etnografie del consumo

• Morley e Silverstone (1991) individuano tre tratti nelle etnografie del consumo:

1. l’attenzione al contesto;

2. l’uso di strumenti qualitativi di indagine;

3. Il ricorso alla triangolazione (di fonti diverse; di metodi diversi; di gruppi di ricerca/ricercatori diversi).

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Le audience nel contesto

• “l’esperienza dell’audience di un medium specifico e del suo contenuto non possono essere separati da come esso viene usato (…)

• se dobbiamo capire la realtà vissuta, dietro le misurazioni, abbiamo bisogno di rivolgerci al contesto d’uso, alla struttura fisica dove la ricezione ha luogo, e chiederci, qual è il senso del guardare la tv per l’audience” (Jensen, 1987)

• Il contesto sociale fornisce un laboratorio per l’analisi naturalistica del consumo e della produzione di significato.

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Che cosa intendiamo per contesto

• Possiamo definire il contesto come un insieme di “micro-setting quotidiani”, cioè di ambienti fisici (casa) e relazionali (famiglia, amici) che abitualmente ospitano le pratiche di ricezione (Moores 1993).

• Questi setting locali sono incorporati in ampie strutture sociali (macro-contesto) e intrecciati con esse.

• La ricerca etnografica più spesso si concentra sui micro-setting locali (nucleo domestico).(Casetti, Di Chio 1998)

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L’osservazione partecipante

• “Con osservazione partecipante si intende quel metodo nel quale l’osservatore partecipa alla vita quotidiana delle persone sotto studio, o apertamente nel ruolo di ricercatore o mascherato in altri ruoli, osserva ciò che accade, ascolta ciò che viene detto e interroga le persone in un periodo di tempo esteso”(Becker, Geer).

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Il ruolo del ricercatore

1. Partecipante interno: il ricercatore fa parte del fenomeno osservato ma i membri del gruppo sociale non sanno che sta svolgendo una ricerca su di loro.

2. Partecipante/osservatore: il ricercatore entra nel contesto adottando il punto di vista dei partecipanti e cercando di farsi accettare dal gruppo.

3. Osservatore partecipante: il ricercatore osserva il suo oggetto di studio, anche interagendo con i soggetti partecipanti;

4. Osservatore esterno: il ricercatore osserva senza essere osservato e senza prendere parte al contesto di partecipazione del gruppo. De Blasio, Gili, Hibberd,Sorice 2007)

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Alcune regole per l’osservazione partecipante

• Stabilire una soglia di durata minima o massima per l’osservazione (per il consumo tv da 3 a 7 giorni)

• Curare la fase di ingresso e di accettazione (fiducia) nel contesto/gruppo: la presentazione può essere mediata (istituzioni religiose e ricreative) e accompagnata da doni.

• L’esplicitazione degli obiettivi di ricerca: svelarli può essere una risposta alla fiducia riposta dal gruppo, ma svelarli troppo può minare l’obiettività dei risultati raccolti. (Casetti, Di Chio, 1998)

• La rilevazione dei dati è affidata alla memoria del ricercatore e ai suoi appunti: l’uso di registrazioni audio e video dipende dai contesti e dall’oggetto di studio.

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Le domande da porsi per l’osservazione partecipante

1. Chi sono gli attori nella ‘scena’

2. Come è organizzata la scena

3. Come nascono e si sviluppano le forme di interazione fra soggetti

4. Quali sono gli eventi significativi per il gruppo. (De Blasio, Gili, Hibberd,Sorice 2007)

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Le fasi dell’osservazione partecipante

• 1° fase: nei primi due giorni vengono registrati appunti sulla storia della famiglia/gruppo, sulle biografie dei membri e sullo spazio fisico in cui si realizza la fruizione;

• 2° fase: “acclimatamento” del ricercatore con la famiglia o gruppo studiato (l’osservatore viene inserito nelle attività quotidiane)

• 3° fase: alla fine dell’osservazione, il ricercatore effettua interviste in profondità con i membri della famiglia o del gruppo (Lull 1990 in Boni)

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La natura sociale delle audience nell’intervista

• Considerare le audience come individui che nelle pratiche di consumo portano le proprie esperienze e conoscenze maturate nel processo di socializzazione,

• e considerare che, nel momento del consumo, le audience si riferiscono a significati sociali, socialmente negoziati,

• ci consente di utilizzare come metodo etnografico anche le interviste individuali,

• perché l’intervistato farà comunque riferimento alle sue esperienze sociali e ai significati sociali dell’atto di consumo e ricezione.

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I media partecipano alla vita sociale e culturale

• “Si tratta dunque di esaminare i media come processo, come agenti e come oggetti dati, a tutti i livelli, ovunque gli esseri umani si aggreghino in uno spazio reale o virtuale, comunichino, tentino di persuadere, informare, divertire, educare; ovunque tentino, in una molteplicità di modi e con diversi gradi di successo, di connettersi l’uno all’altro” (Silverstone 2002, pag. 21)

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L’intervista in profondità

• L’intervista in profondità è un metodo che si pone a metà strada tra colloquio clinico e intervista direttiva.

• Rispetto al primo, ha una traccia più strutturata e una vocazione più operativa; l’oggetto di indagine è stabilito dal ricercatore, che indaga attraverso le domande la relazione tra il soggetto e l’oggetto di indagine.

• Rispetto alla seconda è meno rigida e la traccia meno stretta.

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Difendere le interviste

• Il metodo dell’intervista deve essere difeso non solo per l’accesso alle opinioni e alle dichiarazioni consapevoli che esso offre alla ricerca, ma anche per l’accesso che fornisce ai termini e alle categorie linguistiche con cui gli intervistati costruiscono le loro parole e la loro comprensione delle proprie attività (Morley).

• L’atto di fruizione mediale resta comunque opaco all’osservatore che lo osserva solo come comportamento e non come racconto.

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Il focus group

• Il focus group è …• … un metodo qualitativo, una tecnica di ricerca

qualitativa o per la raccolta di dati qualitativi• Il focus group è …

• una tecnica intermedia: tra l’intervista e l’osservazione (Corrao, 2000)

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Una discussione di gruppo

• Il focus group non è … • … un’intervista di gruppo• .. ma è una discussione di gruppo.

• La rilevazione non è basata sulle risposte dei singoli partecipanti alle domande del mediatore, bensì sulla loro interazione (Corrao, 2000)

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• Estraneità dei partecipanti tra loro e con il moderatore vs precedente conoscenza dei partecipanti

• Omogeneità interna del gruppo vs eterogeneità interna del gruppo

• Mini group vs Full Group• A uno stadio vs A più stadi

La composizione dei gruppi

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• Gruppi autogestiti• Focus group con guida d’intervista

contenente i punti da trattare• Focus group semistrutturati• Focus group con tecniche, anche

standardizzate per stimolare il dibattito o raccogliere informazioni supplementari

Il grado di strutturazione

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• Molto marginale. Il moderatore propone il tema e le regole di interazione, lasciando che i partecipanti discutano tra loro.

• Limitato. Il moderatore interviene per agevolare l’andamento della discussione o contrastare deviazioni dal tema e per equilibrare gli interventi.

• Ampio. Notevole controllo sul contenuto della discussione e sulle dinamiche di gruppo

Il ruolo del moderatore

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• La numerosità del campione non può essere predeterminata rigidamente in fase di progettazione.

• Per individuare i soggetti si ricorre a campionamenti non probabilistici, detti “a scelta ragionata”.

• Si può anche ricorrere al ruolo di un mediatore

Il campionamento

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• Il materiale informativo emerso dai focus può essere trattato:

• come semplice descrizione narrativa basata sulle note prese durante la discussione di gruppo;

• come trascizione verbatim delle registrazioni.• Il materiale viene sottoposto ad una griglia di

lettura guidata dagli obiettivi e dalle domande di ricerca

L’elaborazione dei dati

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Le storie di vita

• Le storie di vita sono interviste particolari in cui si chiede ad un soggetto di raccontare la propria esistenza, per es. in relazione al consumo dei media.

• Rispetto all’osservazione e all’intervista in profondità, consentono una presa diacronica o ‘storica’ sul fenomeno (come sono cambiati i consumi e le abitudini di consumo negli anni);

• danno conto delle dimensioni micro e macro sociali del consumo, superando i limiti degli altri metodi

• e arricchiscono l’approccio etnografico di una capacità previsionale che altri metodi non possiedono. (Casetti, Di Chio, 1998)

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Storie di vita

• “una metodologia di ricerca che comprende la storia degli eventi, la storia della memoria degli eventi, la revisione degli eventi attraverso la memoria” (Molinari 2002)

• Non importa che la storia di vita rappresenti fedelmente comportamenti effettivi, ma “che questi fossero i particolari accounts che gli spettatori si sentivano di dare del proprio comportamento rimane un fatto sociale di interesse considerevole”.(Morley 1986)

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I racconti orali

• “ci informano non solo sui fatti, ma su quello che essi hanno voluto dire per chi li ha vissuti e li racconta; non solo su quello che le persone hanno fatto, ma su quello che volevano fare, che credevano di fare, che credono di aver fatto; sulle motivazioni, sui ripensamenti, sui giudizi e le razionalizzazioni.[…]

• L’interesse della testimonianza orale non consiste solamente nella sua aderenza ai fatti, ma nella sua divaricazione da essi; perché in questo scarto si insinua l’immaginario, il simbolico, il desiderio” (Portelli 1999)

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L’intervista narrativa

• Generalmente il ricercatore lascia parlare “il testimone” senza interromperlo, mostrando interesse per quello che dice.

• Solo alla fine, può tornare sulla traccia e sui punti eventualmente non considerati.

• In un’intervista aperta, anche l’ordine con cui il testimone costruisce il racconto è un’informazione importante per conoscere le sue priorità e i suoi interessi (Morley, 1980)