22. Disegno e immagine La fotografia come “testimone...

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Ghisi Grütter 22. Disegno e immagine La fotografia come “testimone” della città e del territorio Parte Seconda Paolo Pellegrin, Gaza 2005 10 febbraio 2016 Codice ISSN 2420-8442

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Ghisi Grütter

22. Disegno e immagine La fotografia come “testimone” della città e del territorio

Parte Seconda

Paolo Pellegrin, Gaza 2005

10 febbraio 2016

Codice ISSN 2420-8442

Le immagini fotografiche hanno sempre e comunque un note-vole impatto sulla nostra mente, nonostante la quantità d’infor-mazioni e notizie in tempo reale alle quali abbiamo accesso tra-mite i media e internet. Le foto riescono spesso ad assegnareun’immagine iconica a fatti e avvenimenti, così come sembra-no influenzare l’opinione pubblica su un evento o su un perso-naggio, secondo il modo di rappresentarli. Fin dalla sua nascitala fotografia ha sempre rappresentato la città testimoniandoneil cambiamento. A noi interessa, appunto, parlare della fotocome testimone di realtà urbane e territoriali. Gli scatti possonocambiare notevolmente la percezione degli spazi urbani e dellamanifestazione dei fenomeni a essi correlati, particolarmente neisoggetti che non li conoscono direttamente. La fotografia pae-saggistica e quella di architettura, sono settori specializzati cheforniscono una testimonianza diretta e mirata del paesaggiourbano contemporaneo. A tale proposito una grande rile-vanza hanno alcuni fotografi par-ticolari come ad esempioGabriele Basilico, con un back-

ground da architetto, che hadocumentato gli stravolgimentioperati su Beirut1 dalla guerracivile libanese negli anni tra il 1975e il 1990, ma prima di tutti EugèneAtget2 le cui foto costituiscono unimponente lavoro di documenta-zione della città di Parigi, tra lafine del ‘800 e inizio del ’900.Contemporaneamente esistetutto un mondo di fotografie chehanno altri soggetti e altre finalitàespressive, ma che indirettamen-te forniscono un’immagine parti-colare e interpretativa della cittàe dei suoi fenomeni. Altre volte lafotografia dei paesaggi urbani (edei soggetti che in essi vivono) hale caratteristiche di una rappre-sentazione indiretta che manife-sta tuttavia alcune dichiarate

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LA FOTOGRAFIA COME “TESTIMONE” DELLA CITTÀ E DEL TERRITORIOPARTE SECONDA

di Ghisi Grütter e Michele Gattini

Eugène Atget, una fioristaa Parigi.

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finalità di fornire un’immagine precisa, come ad esempio i repor-

tages di denuncia di Walker Evans negli Stati Uniti per conto dellaFarm Security Administration, durante la crisi economica deglianni Venti,3 oppure gli attuali servizi fotografici di guerra (o didisgrazie naturali come tsunami, terremoti e altro) di PaoloPellegrin. In tutti questi casi, oltre alla sensibilità e consapevolez-za dell’occhio dietro all’apparecchio, fondamentale importan-za hanno la tecnica e la tecnologia, poiché la padronanza dellamacchina fotografica (sia essa digitale o analogica, professio-nale o amatoriale) è fondamentale per raggiungere precisiobiettivi espressivi.L’espressività in fotografia si ottiene principalmente attraversol’esposizione, variando velocità dell’otturatore e apertura deldiaframma, oppure attraverso l’uso di diverse tipologie di obiet-tivi. Gli effetti della velocità dell’otturatore, che fa variare iltempo di esposizione alla luce, su una foto possono cambiaretotalmente la percezione dell’osservatore. Un tempo di esposi-zione molto breve congela l’istante dello scatto, ed è utile perdocumentare e testimoniare quello che accade in un precisoistante in un paesaggio urbano; utilizzando tempi più lunghi perritrarre lo stesso scenario significa rendere le persone e le auto-mobili in movimento delle sagome sfocate o quasi delle scie chescorrono in un luogo, invece, fermo e ben definito. Nel primocaso il protagonista dello scatto è l’insieme di paesaggio, perso-

Gli effetti della velocitàdell’otturatore che favariare il tempo di esposizione alla luce, possono cambiare lapercezione dell’osservatore.

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ne e automobili e dunque è l’avvenimento nel luogo. Nel secon-do caso l’unico protagonista diventa il paesaggio, nel quale lepersone e le automobili sono solo un contorno che rafforza l’im-magine del paesaggio stesso.L’apertura del diaframma, influendo direttamente sulla profondi-tà di campo, può indirizzare l’occhio dell’osservatore verso unoggetto in particolare, sfocando in maniera progressiva l’intor-no, oppure restituire un’immagine piuttosto veritiera del paesag-gio mantenendo a fuoco la gran parte degli elementi che locompongono, lasciando l’occhio libero di girovagare per tuttala foto. Del resto, anche la scelta dell’obiettivo fotografico favariare totalmente la percezione di uno scatto. Con l’uso diobiettivi grandangolari si possono ritrarre ampie porzioni di pae-saggio che l’occhio umano non può vedere senza spostare losguardo. In questo modo si può mostrare la città come insiemeampio di oggetti in un modo in cui, a occhio nudo, non lovedremmo mai. Al contrario i teleobiettivi, sono utili per riprende-re i dettagli lontani dal punto di osservazione, ma anche perschiacciare la prospettiva, falsandola poichè fanno percepirevicini oggetti tra loro anche piuttosto lontani.Esistono poi obiettivi con caratteristiche estreme, che danno deirisultati molto distanti dalla realtà come la vediamo con i nostriocchi, ma sono funzionali a particolari tecniche espressive. Sonoun esempio significativo gli obiettivi fish-eye e gli obiettivi tilt shift.

Con un lungo tempo diesposizione l’unico

protagonista diventa ilpaesaggio, nel quale lepersone e le automobili

sono solo un contorno cherafforza l’immagine del

paesaggio stesso.

I primi coprono un angolo visuale anche di 180° permetten-do la visione (anche se progressivamente distorta manmano che ci si avvicina ai bordi della foto) di una porzionedi scena ampissima. Gli obiettivi tilt shift sono anche ingrado di correggere le distorsioni prospettiche, attenuandoo addirittura annullando la tendenza verso un punto difuga all’infinito dei lati di una facciata di un edificio alto.Tuttavia sono anche in grado di concentrare la messe afuoco su porzioni molto ridotte della scena sfocando il resto

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Due esempi di fotografie urbanescattate con un obiettivo tiltshift.

in un modo che fa sembrare unavista aerea di una città come unafotografia di un plastico molto bencurato. Lo stile espressivo di ognifotografo dunque dipende spessoanche da fattori che hanno a chefare con la tecnologia costruttivadegli apparecchi fotografici di ognitipologia e natura.All’interno della ricerca che vedeGhisi Grütter e Michele Gattini impe-gnati attualmente presso ilDipartimento di Architetturadell’Università Roma Tre, si sono presiin esame alcuni grandi fotografi peranalizzare come abbiano rappresen-tato il concetto di città e del territorio(ambiente, paesaggio), e in chemodo e che misura la tecnica e lasensibilità del fotografo abbianoinfluito sul risultato dell’immagine, siaesso mirato o inconsapevole.

Eugène Atget e la Parigi sconosciutaEugène Atget nasce a Libourne nel1857 e muore a Parigi nel 1927. Nel1875 si arruolò nella marina mercanti-le lavorando come mozzo per dueanni. Nel 1879 studiò Arte drammati-ca presso il Conservatorio e sei annidopo entrò a far parte di una com-pagnia teatrale itinerante: nonostan-te gli scarsi risultati della compagnia,conobbe quella che diventerà ladonna della sua vita, ValentineDelafosse-Compagnon. A causa diun'infezione alle corde vocaliabbandonò poi il teatro per dedicar-si alla pittura, al disegno e alla foto-grafia. Decise quindi di approfondireparticolarmente la fotografia perchériteneva di poter fornire a pittori, dise-gnatori e architetti le documentazio-ni di base di cui avevano bisognoper svolgere il proprio lavoro.Cominciò così a vendere i suoi sog-getti cittadini in giro per Parigi, finchéla Biblioteca Nazionale di Francia si

Immagini di Parigi scattate da Eugène Atget.

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Parigi vista da Eugène Atget.

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accorse di lui e acquistò l'intera collezione delle foto. Gli anni suc-cessivi al 1900 furono difficili per Atget e sua moglie. Nonostantel'ottima clientela (Braque, Derain, de Vlaminck), i due non versa-vano in buone condizioni economiche, tanto che negli anni VentiAtget smise gradual-mente di fotografare.Valentine morì nel 1926ed Eugène nel 1927.Atget fotografò unaParigi non convenziona-le e forse sconosciuta algrande pubblico: imma-gini fatte di gente chelavora, di operai, di vico-li, di cortili, di circo, dimanichini in vetrina, disedie vuote davanti aibistrot, di famiglie di zin-gari e così via.L’importanza e la fortu-na (sostanzialmentepostuma) di Atget, infat-ti, dipendono dal sog-getto dei suoi scatti,cioè la Parigi reale nellasua interezza, che spes-so prescinde dai luoghiiconici e dall’immagineclassica dell’immagina-rio comune. Le sue foto-grafie non sono “cartoli-ne” dei boulevardes edella Tour Eiffel, ma sonola testimonianza dellacittà a quei tempi, con isuoi vicoli e i suoi scorcipiù nascosti.Interessante è il fattoche nei suoi scatti appa-iano le persone chevivono nei luoghi ritratti,spesso come sagomeevanescenti (risultato

Immagini di Parigi scat-tate da Eugène Atget.

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dovuto in gran parte agli apparec-chi fotografici dell’epoca chenecessitavano di tempi di esposi-zione lunghi) che arricchiscono ilpaesaggio urbano. Il suo immensolavoro documentaristico rappre-senta per questi motivi una testi-monianza importantissima sui luo-ghi meno usuali, ma non per que-sto di minor valore, della capitalefrancese nei primi vent’anni del XXsecolo.Nonostante il successo del suolavoro arrivasse a morte avvenuta,un grande esponente delDadaismo come Man Ray, suovicino di studio a Montparnasse,

aveva già da tempo apprezzato il suo lavoro e pubblicato unasua fotografia sulla copertina della rivista La Révolution

Surréaliste. Grazie a Berenice Abbott, assistente di Man Ray, e algallerista Julian Levi, una gran parte del suo archivio è statapreservata, dal 1968 è conservata dal Museum of Modern Art di

New York. Definito da BereniceAbbott il "Balzac della fotografia",è oggi considerato tra i grandifotografi del Novecento.

Gabriele Basilico e la città rappre-sentata Le mostre e i libri di GabrieleBasilico (Milano 1944-2013) costitui-scono sempre un importantemomento di riflessione sulla foto-grafia di paesaggio urbano. La suaricerca, che spazia ben al di là deiconfini della mera fotografiadocumentaria, è un punto di riferi-mento obbligato per quanti oggi sioccupano di fotografia e di archi-tettura. Basilico, infatti, è un foto-grafo molto amato dagli architettiche inizia a fotografare nei primianni ’70. Laureatosi lui stesso inArchitettura al Politecnico diMilano nel 1973, si dedicherà concontinuità alla documentazionedella città e del paesaggio urba-no. Il suo primo progetto fotografi-

Gabriele Basilico, sopraGenova 1985, sotto Mosca2007.

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Beirut vistada Gabriele

Basilico,1991.

co è Milano ritratti di fabbriche 1978/80, un lavoro esteso che hacome soggetto la periferia industriale milanese. Negli anni 1984/85partecipa (unico italiano) con il progetto Bord de mer alla Mission

Photographique della DATAR, il grande mandato governativo affi-dato a un gruppo internazionale di fotografi con lo scopo di rap-presentare la trasformazione del paesaggio francese. Da questacampagna fotografica nasce il libro omonimo. La sua ricerca e ilsuo lavoro sono incentrati principalmente sulla forma della città edel paesaggio urbano, con attenzione particolare alle trasforma-

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Gabriele Basilico: sopraPiazza del Campidoglioa Roma, 2011, sotto Berlino 2000 eMilano 1978.

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zioni contemporanee. Il suo stile è simile a quello di Atget, può essere defi-nito documentaristico e analitico, diverso dallo stile dei reporter, molto piùgrezzo e fatto di scatti fugaci. I suoi scatti sono principalmente in bianco enero, e in essi è evidente la sua formazione architettonica: attenzione perle forme e i volumi, rappresentati con oggettività o misurazione. Nel 1991partecipa alla mission su Beirut una città devastata dalla guerra civile dura-ta quindici anni. Gabriele Basilico ha prodotto e partecipato a numerosiprogetti di documentazione in Italia e all’estero, che hanno generatomostre e libri, tra i quali Porti di mare (1990), L’esperienza dei luoghi (1994),Sezioni del paesaggio Italiano (1998), Interrupted City (1999), Cityscapes

(1999), Scattered City (2005), Intercity (2007). Tra gli ultimi impegni: SiliconValley su incarico del San Francisco M.O.M.A., Roma 2007 realizzato perconto del Festival Internazionale di Fotografia 2008, e Mosca Verticale, pro-getto fotografico sul paesaggio urbano di Mosca, ripreso dalla sommitàdelle Sette Torri Staliniane. In un’intervista Basilico ha dichiarato: «È certoche io faccio fotografie in relazione al principio e all’esperienza esteticadella “visione”. In questo senso io sono pienamente fotografo. Ma è anchevero che la fotografia, e non solo come linguaggio, è entrata da parec-chio tempo, e a buon diritto, nel mondo dell’arte. Sono convinto però cheun’unità della fotografia nel grande bacino della ricerca artistica è un’ideatroppo riduttiva: una cosa è usare la fotografia come linguaggio per comu-nicare un’opera concepita in modo diverso (per esempio un’installazione),un’altra cosa è pensare “fotograficamente”, interpretandola, la realtà».

GabrieleBasilico, foto di

Milano 1998.

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Roberto Bossaglia e il paesaggio italianoRoberto Bossaglia nasce a Cagliari nel 1942, vive e lavora a Roma.Collabora con numerose testate di architettura ed è titolare dellacattedra di Fotografia presso l'Accademia delle Belle Arti di Roma.

Nel 1975 inizia la suaattività di fotografo,prima per l'editoriae poi per artisti earchitetti seguendosempre un propriolinguaggio fotogra-fico, affiancando illavoro su commit-tenza a una perso-nale ricerca sullafotografia in quantostrumento per la let-tura del paesaggio.In quegli anni gliarchitetti più sensibi-li si rivolgevano sem-pre a lui per le foto-grafie e Bossaglia,prima di ogni scat-to, tornava nelluogo da fotografa-

Roberto Bossagliasopra foto di Roma1976, sotto Stabilimento Saffa,Magenta 1995.

13re più volte finché non ci fosse stata la luce giusta: ogni foto era pen-sata e vissuta. Roberto Bossaglia «percorre la città guidato dalla ricerca di situazionicapaci di suscitare stupore e contemporaneamente sentimento difamiliarità, una ricerca che non ha un preciso oggetto, se non la cittàstessa nei suoi molti modi di essere, nelle sue "apparizioni"».4 Lungoquesti percorsi di frequentazione abituale il fotografo dunque coglieimmagini che raccontano l'accumulo di segni lasciato dall'uomo, chesi depositano sulle superfici della scena urbana interferendo gli uni congli altri e generando nuove prospettive. Nel progetto dell’Atlante italiano003, il Ritratto dell’architettura che

cambia allegato a "Casabella“ n. 712, giugno 2003, si trovano le testi-monianze poetiche che Bossaglia dei piccoli centri toscani che costel-lano le arterie principali di architetture comunicazionali prevalente-mente commerciali e che contribuiscono a cambiare l’assetto territo-riale.

Roberto Bossaglia,foto della ex GIL di

Luigi Moretti inViale Induno a

Roma, primi anni‘80.

Alcune sue fotografie fanno parte di col-lezioni private e musei come la MaisonEuropéenne de la Photographie eBiliothéque Nationale di Parigi, loStadtmuseum di Monaco e l'IstitutoNazionale per la Grafica di Roma. Ha par-tecipato a progetti che hanno avutocome tema la lettura del paesaggiourbano e del territorio. Tra questi: Napoli,

città sul mare con porto (1982); Roma, un

itinerario nella memoria (1986); Cerreto

Sannita, laboratorio di progettazione

(1990); Roma, i rioni storici (1990);Cernusco (1993); Cambiago e Cavenago

(1995); Magenta e il Ticino (1996); nell'am-bito dell'iniziativa della Provincia di MilanoL'archivio dello spazio; Lo spirito dei luoghi

per la Regione Piemonte (1999); T.A.V.

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Roberto Bossaglia,edificio residenziale invia della LegaLombarda diInnocenzo Sabatinisopra e di lato, CittàUniversitaria a Romadi Arnaldo Foschini,Roma primi anni ‘80.

Roma-Napoli e la Ferrovia metropolitana di Roma per Italferr (dal1998 al 2000).

I luoghi urbani come background di fatti umani: Walker Evans ePaolo Pellegrin.Se per Atget, Basilico e Bossaglia si può parlare di interesse consa-pevole e mirato per il paesaggio architettonico e urbano, esiste unvasto mondo di fotoreporters che non si occupano direttamente dicittà e architettura, ma che con i loro scatti ci si trovano diretta-mente “invischiati”. Seguendo costantemente i fatti umani, il lorolavoro inevitabilmente ambienta spesso i soggetti in un back-

ground urbano che rafforza i concetti espressi dalle loro fotografie.Walker Evans (Saint Louis 1903 – New Haven 1975) è stato un foto-grafo statuniense, uno dei più influenti fotografi del XX secolo. Lesue fotografie eleganti e crystal-clear e le sue articolate pubblica-zioni hanno ispirato molte generazioni di artisti da Helen Levitt, concui ha lavorato, e Robert Frank a Diane Arbus e Lee Friedlander.Evans diventò famoso per aver rappresentato gli Stati Uniti dellacrisi economica degli anni Trenta. La sua è una fotografia sociale,documentaristica e di denuncia sia della condizione umana sia diquella economica. I suoi soggetti sono spesso i volti della gente, maanche le case e i paesaggi in cui abitavano. È stato un pionieredella straight photography e della fotografia in bianco e nero, ma

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Walker Evans, Foto diCuba 1933.

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Fotografie di Walker Evans:di lato Johnstown housing,Pennsylvania, 1935, sottoNew Orleans 1935.

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ha usato anche il colore. Evans studiò in Pennsylvania, Connecticut eMassachusetts, prima di trasferirsi per un anno a Parigi, per poi ritorna-re negli Stati Uniti e stabilirsi definitivamente a New York per tentare disfondare nel campo della letteratura. Nel 1930, dopo vani tentativi didiventare uno scrittore professionista, decise di dedicarsi alla fotogra-fia. Il suo reportage su Cuba (1933) durante la rivolta popolare controil dittatore Machado costituisce a tutt'oggi un eccezionale documen-to storico. Walker Evans fu incaricato nei primi anni ’30 dalla FSA didocumentare con le sue fotografie gli effetti della grande depressio-ne (conseguente alla crisi del ‘29) sugli abitanti nel Sud degli Stati Uniti,e in particolare nelle zone rurali. Nel 1936 iniziò a collaborare conJames Agee che preparò i testi da associare alle foto di Evans nel libroLet us now praise famous men (1941), frutto di un viaggio nel sud agri-colo degli Stati Uniti e testimone di una profonda e diffusa povertà. AHale County (Alabama), i due furono presi per agenti sovietici da trefamiglie locali, le cui immagini diventarono l'emblema della GrandeDepressione. Evans e Agee raggiunsero Hale County per conto dellarivista Fortune, che però a suo tempo scelse di non pubblicare lavicenda sulle proprie pagine. Nel settembre 2005, Fortune ha deciso di

Walker Evans, Fotodi Road side Stand,

Birmingham,Alabama, 1936.

tornare ad Hale County per visitare lefamiglie in occasione del 75º anniver-sario dalla nascita della rivista. Manmano che Evans prosegue nel suolavoro, mostra sempre di più il pae-saggio urbano, che diventa testimo-ne al pari delle persone. Ne emergeuno scenario di povertà e di abban-dono. Questa serie di fotografie fini-sce per utilizzare lo sfondo urbanocome enfatizzazione della condizionedelle persone, la cui desolazione siriflette sui luoghi in cui esse vivono. Trail 1938 e il 1941 Evans lavorò con HelenLevitt; a questo stesso intervallo ditempo risalgono anche i famosi scattiche compongono i Subway portraits.Con l'aiuto di una fotocameraContax formato 35 mm nascostasotto il suo cappotto ed utilizzandouna pellicola piuttosto sensibile perquei tempi, Evans scattò una serie difoto nella metropolitana di New Yorka soggetti inconsapevoli. Il tuttovenne pubblicato in un libro dal titoloMany are called nel Settembre 1966,e ripubblicato nel 2004 in occasionedel centenario della metropolitananewyorkese. Per una serie di ragioni abbiamo volu-to accomunare Pellegrin a Evans:entrambi si occupano quasi esclusi-vamente di esseri umani, ma li inseri-scono nei loro contesti di vita permeglio raccontare le loro storie;entrambi rendono i loro scatti carichidi drammaticità per suscitare ecomunicare forti emozioni all’osserva-tore; entrambi riescono a comunicaregrande emotività nonostante l’usodel bianco e nero, utilizzandolo alcontrario per sottolineare l’emozione;entrambi riescono ad essere estrema-mente soggettivi nonostante faccia-no reportage.

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Fotografie di Paolo Pellegrin: dall’alto Beirut Libano 2006, Polje, kosovo 2000 e Gaza, Israele 2009.

Paolo Pellegrin, di cui abbiamo avuto modo di parlare già nellaparte prima, è riconosciuto come uno dei maggiori fotogiornalistidi guerra. Nato a Roma nel 1964 ha lavorato per Agence VU perdieci anni prima di entrare nella Magnum Photos nel 2001 ediventarne full member nel 2005. Collabora con importanti testa-te giornalistiche quali Newsweek e New York Times magazine.Pellegrin ha ricevuto molti premi prestigiosi inclusi otto World Press

Photo tra il 1995 e il 2007 e vari Photographer of the Year Awards,la Leica Medal of Excellence, l’Olivier Rebbot Award, l’Hansel-

Meith Preis, e il Robert Capa Gold Medal Award. Già nel 1996aveva vinto il Kodak Young Photographer Award - Visa d'Or – e ilVisa pour l’Image festival of photojournalism a Perpignan inFrancia. Nel 2000 ha ricevuto l’Hasselblad Foundation Grant for

Photography e nel 2006 gli è stato assegnato il W. Eugene Smith

Grant in Humanistic Photography. È uno dei membri fondatoridella mostra itinerante “Off Broadway” con Thomas Dworzak,AlexMajoli and Ilkka Uimonen. Il suo libro As I was Dying’ ha vintoil Deutsche Fotobuchpreis nel 2008. Ha pubblicato vari libri comeraccolte di foto, tra cui si ricordano Paolo Pellegrin (Kunstfoyer der

Versicherungskammer Bayern 2012); e Dies Irae (Contrasto, Italy,2011), Paolo Pellegrin (Actes Sud, 2010); As I Was Dying (ActesSud, France, 2007), Double Blind (Trolley, 2007), Kosovo 1999-2000:

Paolo Pellegrin,Rochester, stato di New

York, 2012.

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The Flight of Reason (Trolley, USA, 2002), L'au delà est là (Le Point duJour, France, 2001), Cambogia (Federico Motta Editore, Italy, 1998),and Bambini (Sinnos, Italy, 1997). Recentemente per il New York

Times magazine (settembre 2015) ha elaborato il Desperate

Crossing un suggestivo servizio fotografico e video, insieme ai testidi Scott Anderson, sulla situazione degli immigrati che sbarcanonell’isola Lesbo, in Grecia. Così dice Paolo Pellegrin in un’intervista: «L’astrazione del bianco enero permette alle foto di parlare più in termini simbolici, i colori tal-volta sono troppo realistici».5

Molti dei suoi scatti sono ritratti ambientati, con il paesaggio urba-no a fare da sfondo. Grazie al suo stile naturale e molto comunica-tivo e all’uso del bianco e nero fortemente contrastato, lo sfondourbano, spesso devastato dai combattimenti, assume un’impor-tanza notevole nei suoi scatti. Il paesaggio urbano diventa sogget-tivo e in grado di influenzare l’osservatore, proponendogli un’im-magine drammatica dei luoghi in questione. Ci sono immagini nelsuo repertorio in cui la desolazione viene dal silenzio che è prota-gonista. Pellegrin è particolarmente sensibile all’importanza delluogo, dello spazio fisico, dell’ambiente sia esso urbano o territoria-le; la presenza dell’assenza umana è predominante nelle fotogra-fie dello Tsunami del 2005 ed è molto più espressiva di quantosarebbe se avesse rappresentato un qualsiasi essere umano. Cosìpure le devastate periferie di Dahia nel Libano del 2006 o le imma-gini di Ramallah in Israele del 2002 con le lunghe e monumentaliombre.

fPaolo Pellegrin, Foto deldopo-terremoto aYamada-cho, Giappone,2011.

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NOTE

1 Beirut 1991, Baldini Castoldi Dalai editore, Ottobre 2003.

2 Eugène Atget: Paris 1898-1924, Frits Gierstberg, Carlos Gollonet,Francoise Reynaud, Guillaume Le Gall, Geoff Dyer, Thomas MichaelGunther, Anne Cartier-Bresson, Marsha Sirven, T.F. Editores, S.L.C. ,Dicembre 2011.

3 Walker Evans, Maria Morris Hambourg, Jeff L. Rosenheim, DouglasEklund, Mia Fineman, essays, editore Princeton University Press - TheMetropolitan Museum of Art, 2000.

4 R. Valtorta, Roberto Bossaglia, Cahier Parisien, Roma 2008.

5 Paolo Pellegrin’s Desperate Crossing, intervista di Natalie Rigg del 13gennaio 2016 in http://www.anothermag.com/art-photogra-phy/8203/paolo-pellegrins-desperate-crossings.

Roma 10 febbraio 2016

Paolo Pellegrin,foto a Mitrovica, Kosovo,

2000

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