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2. L'OGGETTO DELLA SIMULAZIONE 2.1. Simulazione psicologica e intelligenza artificiale L'adozione della metodologia simulativa in psicologia ha alla base un'idea apparentemente semplice: scrivere programmi per computer che riproducano i processi che costituiscono l'oggetto di indagine della psicologia. Ammettendo di non incontrare problemi tecnici dovuti agli aspetti informatici nella scrittura di tali pro- grammi, questo progetto purtroppo pone immediatamente anche problemi di natura strettamente psicologica. La domanda più ovvia riguarda proprio la natura dei processi che sarebbe possi- bile o utile riprodurre attraverso il calcolatore. Da una parte si può pensare che la simulazione più utile in psicologia sia quella che ha per oggetto precisi comportamenti osservabili; dall'altra parte. si può ritenere necessaria la riproduzione di attività mentali variamente definibili, di natura cognitiva o affettiva. Una dicotomia così netta non si verifica davvero in pratica; anzi, i modelli generalmente proposti come simulazioni psicolo- giche non fanno mai riferimento esclusivo a variabili osservabili, essendo la loro stessa costruzione concepita come un aiuto alla comprensione di ciò che avviene dopo che uno stimolo è stato percepito o prima che una risposta sia attivata. Tuttavia, la comune denominazione di questo campo di indagine come «si- mulazione del comportamento» (behaviour simulation). probabile retaggio di un modo di esprimersi dovuto alla lunga influenza comportamentista in psicologia, appare fuorviante, in quanto farebbe pensare alla prima delle due alternative sopra prospetta- te. Più adeguata è. invece, l'espressione *simulazione cognitiva*, anche se neppure questa è del tutto corretta perché non sono simulati sempre e solo i processi cognitivi. Noi preferiamo parla-

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2. L'OGGETTO DELLA SIMULAZIONE

2.1. Simulazione psicologica e intelligenza artificiale

L'adozione della metodologia simulativa in psicologia ha alla base un'idea apparentemente semplice: scrivere programmi per computer che riproducano i processi che costituiscono l'oggetto di indagine della psicologia. Ammettendo di non incontrare problemi tecnici dovuti agli aspetti informatici nella scrittura di tali pro- grammi, questo progetto purtroppo pone immediatamente anche problemi di natura strettamente psicologica. La domanda più ovvia riguarda proprio la natura dei processi che sarebbe possi- bile o utile riprodurre attraverso il calcolatore. Da una parte si può pensare che la simulazione più utile in psicologia sia quella che ha per oggetto precisi comportamenti osservabili; dall'altra parte. si può ritenere necessaria la riproduzione di attività mentali variamente definibili, di natura cognitiva o affettiva.

Una dicotomia così netta non si verifica davvero in pratica; anzi, i modelli generalmente proposti come simulazioni psicolo- giche non fanno mai riferimento esclusivo a variabili osservabili, essendo la loro stessa costruzione concepita come un aiuto alla comprensione di ciò che avviene dopo che uno stimolo è stato percepito o prima che una risposta sia attivata. Tuttavia, la comune denominazione di questo campo di indagine come «si- mulazione del comportamento» (behaviour simulation). probabile retaggio di un modo di esprimersi dovuto alla lunga influenza comportamentista in psicologia, appare fuorviante, in quanto farebbe pensare alla prima delle due alternative sopra prospetta- te. Più adeguata è. invece, l'espressione *simulazione cognitiva*, anche se neppure questa è del tutto corretta perché non sono simulati sempre e solo i processi cognitivi. Noi preferiamo parla-

re, perciò, di simulazione psicologica o , più semplicemente, di simulazione intendendo sottinteso tale aggettivo.

A questo punto, per capire che cosa sia in realtà la simulazione psicologica, occorre introdurre una precisazione riguardante il modo di concepire i «comportamenti» che ne sono oggetto. Le attività che si intende far riprodurre al computer sono quasi sem- pre implicitamente considerate attività che richiedono intelligen- za e il termine <simulazione* viene così ad affiancarsi o a sovrap- porsi all'espressione «intelligenza artificialeu (Artificial Intelligen- ce. molto spesso abbreviato come AI). L'AI e stata definita da un autorevole studioso come *la scienza che fa compiere alle mac- chine delle cose che, se fatte dall'uomo. richiedono intelligenza» (Minsky, 1968. p.v). Su questa definizione c'è un accordo pres- soché unanime ' fra gli studiosi di intelligenza artificiale. In questo senso gli scopi dell'AI e della simulazione psicologica coincido- no.

Ma ciò che rende la prospettiva della simulazione un caso par- ticolare di AI è l'aggiunta di una importante, ulteriore specifica- zione a questo requisito generale, cioè di far compiere alle mac- chine queste operazioni usando gli stessi procedimenti che usa l'uomo. In questa prospettiva. dunque, l'interesse si incentra in modo specifico sulla ricostruzione delle procedure attraverso le quali, dato un certo input (stimolo), si arriva ad un output (rispo- sta). spostandosi dai risultati - che possono essere sbagliati o non efficaci o raggiunti lentamente - alle modalità di elabora- zione delle informazioni che caratterizzano un determinato pro- cesso.

Ad esempio, se si decidesse di studiare la soluzione di problemi non interesserebbe tanto ottenere che il computer ci risolva il problema, quanto che adotti le stesse (o analoghe) strategie che un soggetto umano potrebbe adottare per la risoluzione, com- mettendo magari gli stessi tipici errori e impiegando magari lo stesso tempo.

Può sembrare un controsenso servirsi di macchine.; cui prin-

' Qualcuno. come Mc Carthy o Newell e Simon. ritiene che VAI sia lo studio dei «sistemi intelligenti,,. indipendentemente dal fatto che essi siano esemplificati in macchine. uomini o animali. Anche in questo caso. resra il fatto che quando questi esistemi intelligenti* sono macchine, non si tratta di sistemi naturali ma 4i artefatti. per la cui realizzazione si trae ispirazione da ciò che 6 (o si ritiene esse- re) l'intelligenza umana o animale.

cipali pregi sono proprio la precisione e la velocità. per ottenere prestazioni esattamente opposte. ma nel corso di queste pagine diventerà più chiara la necessità di operare questo cambiamento di prospettiva.

Se. tornando alla prima alternativa sopra delineata a proposito dell'oggetto della simulazione, supponessimo di essere interessati esclusivamente alla riproduzione, più fedele possibile. dei com- portamenti umani osservabili (compreso il linguaggio) tramite una macchina, ciò rivelerebbe da parte nostra o, appunto. l'adesione ad una concezione più ainpia di quella della simulazione psicolo- gica, ma inquadrabile ancora nell'AI se non nella robotica. oppure la classica posizione comportamentista che nega la possi- bilità o l'interesse della ricerca su entità non osservabili poste fra stimolo e risposta. Vale la pena di esaminare più da vicino entrambe queste posizioni.

Considerare oggetto della simulazione psicologica solo i com- portamenti osservabili sarebbe, oltre che discutibile da un punto di vista metodologico2. anche inutile e banale perch6 costruire macchine che imitano l'uomo non è tecnicamente difficile ed è da sempre stato l'intento di chi costruisce robot. Ma è interessante notare come neppure una prospettiva dichiaratamente robotica abbia potuto fare a meno di rivolgersi a ciò che avviene «all'inter- no». Infatti costruire un robot che sostituisca I'uomo in attività in apparenza molto semplici. come compiere dei lavori domestici o montare i pezzi di una macchina. è un'impresa complessa. non risolubile con mezzi puramente ingegneristici se si vuole che abbia caratteristiche di flessibilità e di adattamento a contesti diversi. Un tale robot dovrebbe «percepire» qualcosa del mondo in cui agisce e quindi in un certo senso «vedere»; dovrebbe compiere sequenze di azioni logicamente concatenate e indiriz- zate verso un obiettivo variabile di volta in volta e quindi elabo- rare dei «piani» possibilmente efficienti; si troverebbe a dover risolvere «problemi» e dovrebbe evitare di ripetere eventuali errori, cioè «apprendere»; sarebbe auspicabile potergli comunicare cosa deve fare in maniera più semplice e naturale che servendosi

Le critiche metodologiche che possono essere rivolte a tale prospettiva sono essenzialmente le stesse che vengono rivolte al comportamentismo (si veda ad es. l'ormai classico bilancio che ne ha fatto D. Romano nell'lntroduzione alla terza edizione di Hilgard, Bower, 1970).

di strani linguaggi come quelli di programmazione, usando invece la lingua di tutti i giorni.

Nessuna meraviglia. dunque, se le aree in cui si è sviluppata anche l'indagine AI non riguardano solo il classico pattern reco- gnition (riconoscimento di modelli) ma pure la visione, la com- prensione del linguaggio naturale, la pianificazione e l'apprendi- mento. E lo sviluppo di molte simulazioni psicologiche (l'interesse dei ricercatori e i finanziamenti degli enti di ricerca) in queste aree, che non sono comportamentali in senso stretto, è stato dovuto spesso. più che all'interesse intrinseco di conoscere qual- cosa sui processi umani, proprio all'interesse di raggiungere qual- che risultato pratico nel campo della robotica.

Coloro che sono interessati alla costruzione di robot non han- no. come si intuisce da quanto si è detto, una particolare prefe- renza per un modo o l'altro di risolvere un problema o di svol- gere un'attività: ciò che a loro importa realmente è che una mac- china esegua in maniera corretta e soprattutto efficiente i compiti che le sono affidati; potrà anche succedere (e, come vedremo, succede spesso)3 che il procedimento incorporato nel programma fornito alla macchina sia ispirato a quello che gli uomini usano nelle stesse condizioni (e alle teorie psicologiche esistenti) ma ciò potrà esser effetto di fattori contingenti più che intenzionali. In particolare, lo studio delle risorse umane in questo contesto non è motivato inizialmente da interessi psicologici o da una forma di umanesimo. ma dalla pura constazione della difficoltà di ottenere certi risultati con le macchine mentre l'uomo sembra riuscirci così facilmente.

Un analogo discorso si può fare a proposito dei cosiddetti «si- stemi esperti», cioè programmi costruiti allo scopo di fornire all'utente umano una consulenza su problemi specialistici, la cui soluzione comporta conoscenze complesse. Anche in questo caso, il programma potrebbe fare uso dei dati memorizzati (le «cono- scenze~) in maniera diversa da quella umana. ma in molti casi scegliere di ispirarsi al modo in cui gli uomini fanno uso di conoscenze risulta più conveniente.

Se allora, come si è detto, l'interesse precipuo della cosiddetta «simulazione del comportamento>> non è il comportamento in sé

Cfr. la citazione di Schank n e l l 6.1

quanto le procedure da cui scaturisce, ne consegue che questo tipo di riproduzione si orienta anche ad essere una riproduzione delle operazioni di manipolazione dello stimolo e di elaborazione della risposta, in una parola dei processi mentali che da parte dei comportamentisti avevano ricevuto la suggestiva collocazione all'interno di nna «scatola nera» dentro la quale non si poteva curiosare.

L'uso della metafora cibernetica ha fornito, per lo meno. l'op- portunità di «aprire» questa famosa scatola, per prendere in considerazione le attività che si svolgono dentro (in quanto at- tività mentali, psicologiche. e non in quanto eventi neurofisiolo- g i ~ i ) ~ ; questa metafora, come avremo modo di osservare nelle conclusioni. lungi dal favorire interpretazioni meccaniciste e riduzioniste in senso neurofisiologico del problema «mente-cor- po*, può incoraggiare concezioni genuinamente psicologiche dei processi interiori.

2.2. «Scienza cognitiva,, e psicologia cognitivista

Parecchie ricerche di cui parleremo e parecchi modelli che pre- senteremo non sono nati nell'ambito dell'intelligenza artificiale e neppure in un contesto propriamente definibile di psicologia sperimentale ma, almeno programmaticamente, appartengono ad una nuova disciplina definita «scienza cognitivan. Il primo libro che ne annunciava la nascita, cioè Representation and understan- ding. Studies in cognitive science, uscito a cura di Bobrow e Col- lins nel 1975. la presentava così: un campo in cui confluiscono «ele- menti di psicologia. scienza del calcolatore (computer science), linguistica, filosofia ed educazione ma qualcosa di più dell'inter- sezione di queste discipline. La loro integrazione ha prodotto una serie di strumenti per affrontare un'ampia gamma di problemi» (ivi, p. IX). Due anni dopo nasceva ufficialmente una nuova rivista. appunto intitolata Cognitive Science. Allan Collins. nel presentarla, spiegava chiaramente:

' Ci occuperemo nell'ultimo capitolo delle critiche che negano alla metafora cibernetica qualunque valore euristico, come quella di Weizenbaum (1976). che ha sostenuto che. mentre i comportamentisti fra S e R vedevano una scatola nera. i cibernetici l'hanno sostituita con un computer.

Di recente si è formata una comunità di persone provenienti da diverse discipline. che si ritrovano ad affrontare un insieme di problemi comuni nel campo dell'intclligenza naturale e artificiale. Le particolari discipline da cui provengono sono la psicologia cognitiva e sociale. l'intelligenza artificiale, la linguistica computazionale, la tecnologia didattica e perfino l'epistemologia. . . . La scienza cognitiva definita principalmente dall'in- sieme di problemi di cui si occupa e di strumenti che usa. I problemi più immediati sono la rappresentazione della conoscenza. la comprensione del linguaggio, la comprensione delle immagini, la risposta a domande, l'inferenza. l'apprendimento, la soluzione di problemi e la pianificazione. ... Gli strumenti della scienza cognitiva consistono in un insieme di tec- niche di analisi e di formalismi teorici. Le tecniche di analisi compren- dono l'analisi di protocolli, l'analisi del discorso e una varietà di tecniche sperimentali sviluppate dagli psicologi cognitivisti negli ultimi anni. I formalismi teorici comprendono l'analisi dei mezzi e del fine, reti di discriminazione. reti semantiche, linguaggi orientati allo scopo, sistemi di produzione, grammatiche ATN. cornici, ecc. A differenza della psicolo- gia o della linguistica, che sono scienze analitiche, e dell'intelligenza artificiale che è una scienza sintetica. la scienza cognitiva si sforza di trovare un equilibrio fra l'analisi e la sintesi. (Collins. 1977)

(Alcuni termini compresi in questa citazione appariranno per ora un po' oscuri, ma saranno chiariti nel corso del volume).

Coloro che. a volte con un po' di spirito polemico, presentano i propri modelli come appartenenti alla scienza cognitiva e non alla psicologia o ali'intelligenza artificiale intendono con ciò sottolinea- r e lo spirito nuovo con cui vengono usate metodologie, tecniche o teorie appartenenti alle «vecchie» discipline. Tale enfasi è necessaria perché non sempre, anche nello stesso ambito dell'AI, la novità è stata ben compresa.

A d esempio Simon (1980) sostiene che in fondo la scienza cognitiva non è una novità in quanto la sua nascita è avvenuta con il riconoscimento che un certo numero di discipline si occupavano delle stesse cose, cioè che avevano a che fare con sistemi di ela- borazione di informazioni (information processing systems). I n questo, è molto esplicito: questa nascita si può fare risalire almeno al fatidico 1956. l'anno d'oro (già esaltato anche in Humanproblem solving: Newell, Simon, 1972) che «segnalava un nuovo approc- cio ... un nuovo paradigma scientifico che oggi chiamiamo il paradigma dell'elaborazione d'informazione» (Simon, 1980, p. 34). E un inciso, più avanti, ribadisce: «Se posso considerare, quindi, il 1956 l'anno di nascita della scienza cognitiva - deli'a-

nalisi della mente umarra in termini diprocessi di informazione - gli anni successivi hanno testimoniato uno sviluppo continuo ... » (ibid.. corsivo nostro).

La portata della scienza cognitiva, secondo Simon. può essere estesa allo studio della natura dell'intelligenza, ma solo perche questo studio è più generale. non limitato all'intelligenza umana, e comprende tutte le specie di sistemi intelligenti. il computer in primo luogo.

Il lettore che abbia dato un'occhiata all'indice avrà già notato che la grande maggioranza dei modelli discussi nel presente volume sono definibili .cognitivi», tranne quelli di cui si parla nel cap. 4. Ed aver letto che questi modelli sono nati o cresciuti nell'ambito di discipline chiamate «intelligenza artificiale» e «scienza cognitiva~ può avergli dato l'impressione che lo studio di ampi settori che sono sempre stati parte integrante di qualunque manuale di psicologia (la personalità, l'emozione, l'inconscio, ecc.) sia stato volontariamente trascurato dall'autore oppure che sia considerato tabù secondo le tendenze più recenti. Lo stesso enorme successo della psicologia «cognitivista» potrebbe essere interpretato come un segnale della fine di un certo tipo di psico- logia. Se poi il lettore andasse effettivamente a leggere subito ciò che diremo a proposito della simulazione della personalità, la sua delusione crescerebbe perché si accorgerebbe che davvero poco è stato fatto in quel campo e quasi tutto da un unico studioso, Kenneth Colby.

Dobbiamo chiarire che la sproporzione fra la parte dedicata ai modelli «cognitivi>> e quella dedicata agli altri modelli non è dovuta a preferenze o idiosincrasie dell'autore ma proprio al reale stato delle ricerche. La predominanza delle indagini sui processi cognitivi è stata sempre giustificata affermando che lo studio di questi ultimi comporta minori difficoltà metodologiche ed anche con i'argomentazione che tutto sommato non si possono simulare variabili di personalità (particolari «stili» di elaborazione delle informazioni) se prima non si conosce come avvengono le elaborazioni intelligenti di base. Questa situazione destinata a cambiare e di ciò si intrawedono i segni.

Gli psicologi cognitivisti sono stati avvertiti dall'ultima opera di Neisser (1976) della necessità di superare le anguste ricerche di laboratorio per considerare i processi cognitivi in maniera più «ecologica». più vicina all'uso che ne facciamo nella vita quotidiana (e, anche se Neisser non l'ha detto esplicitamente, ciò non pub

non comportare una riconsiderazione del ruolo dei processi non cognitivi). Nell'ambito della scienza cognitiva, poi, si sono levate voci che apertamente hanno messo in guardia dall'errore di costruire, come ha detto Norman (1980), <<teorie della pura ragione». Proprio Norman ha proposto che l'indagine della scienza cognitiva si allarghi a problematiche inusuali come la coscienza, l'emozione, lo sviluppo. Norman ritiene che non si possa andare avanti come se esistesse solo un %puro sistema cognitivon: gli esseri viventi hanno a che fare con i problemi che comporta la vita, come la sopravvivenza o lo sviluppo, e quindi il sistema cognitivo è spesso controllato da un sistema «regolativo» che comprende anche la sfera inconscia, affettiva, motivazionale.

Le preoccupazioni di Norman sono condivise da parecchi altri autori come Abelson (1979) e Miller (1981).Alcuni psicologi ritengono che il passaggio dalla psicologia cognitivista alla scienza cognitiva costituisca uno spostamento inaccettabile del campo di studio, soprattutto perché i contributi della computer science e dell'intelligenza artificiale sono considerati irrilevanti o fuorvianti (fra gli ultimi sostenitori di questo punto di vista si possono citare Ades. 1981 e Caramelli. 1982). Data l'importanza che la discns- sione di questo punto riveste per il nostro tema, abbiamo prefe- rito rinviarla alla fine del volume, in modo che potesse essere condotta a «ragion veduta», cioè successivamente alla presenta- zione e all'analisi dei modelli che ne sono oggetto.

2.3. Simulazione dell'intelligenza e intelligenza nella simulazione

Abbiamo visto nel primo paragrafo che i processi psichici che il computer dovrebbe riprodurre richiedono intelligenza. Questa affermazione può essere intesa in due sensi e cioè pub voler dire che l'attività da simulare è intrinsecamente un atto di intelligenza oppure che la natura di tale attività richiede un'organizzazione intelligente delle operazioni che la costituiscono. In realth il ter- mine aintelligenza~ visto in questo contesto è indubbiamente ambiguo e non è possibile individuare ragioni connesse intima- mente alla natura delle operazioni compiute da un calcolatore per definirle intelligenti. ma si deve piuttosto far riferimento. pra- gmaticamente, a ciò che per l'uomo è considerato inteligente (Colombetti, Guida, Somalvico, 1978). Tenendo presente un tale

riferimento, si può dire che richiedono intelligenza tutte le simu- lazioni psicologiche. ma appare quanto mai opportuno rendere esplicito quale significato il termine «intelligenza» abbia anche in questo caso.

Infatti accade molto spesso, anche quando si parla di intelligen- za artificiale. di cadere nel trabocchetto preparato da una certa psicologia e così ritenere che l'atto intelligente per antonomasia sia quello che segue procedimenti logico-astratti. Questa, in real- tà. è solo una componente dell'intelligenza umana, ma nei test per il Q1 assume a volte un rilievo tale da farla identificare con l'in- telligenza tout court. Un classico programma di simulazione di questi processi è quello di Evans (1968). che risolve problemi di analogia geometrica iiiolto simili a quelli che sono proposti in certi test per la misura del Q1 (vedi 9 6.5.).

Nel contesto dell'intelligenza artificiale il modo paradigmatico di considerare il concetto di «intelligenza» è. quello di Newell e Simon (v. ad es. Newell, Simon, 1976). secondo i quali consiste, per un sistema in grado di elaborare simboli (uomo o computer), nella capacità di risolvere problemi modificando opportunamente la situazione secondo strategie euristiche: «L'intelligenza ... con- siste nella saggia scelta di che cosa fare dopo» (op. cit.. tr. it.. p. 34').

Non ci addentreremo qui in una discussione approfondita delle implicazioni del concetto di «intelligenza», per la quale sarebbe necessario forse un intero volume, ma vorremmo solo mettere in evidenza l'opportunità che il concetto stesso venga correttamente ampliato, comprendendo ad esempio la capacita di utilizzare le conoscenze o informazioni di cui si è. in possesso per giungere a risultati nuovi e adatti alla situazione. Sarà un atto di intelligenza, quindi. non solo quello che consenta genericamente di scegliere «cosa fare dopo», ma quello che consentirà di conoscere meglio il mondo (comprendendo in esso le realtà affettive interiori e quelle sociali), di inserirsi creativamente in esso e di risolvere i problemi di qualunque natura (non solo logico-astratta) che esso pone. In questo senso anche una simulazione della vita affettiva richiederà un'attività uintelligente* ai programmi costruiti a tale scopo. perché tali programmi dovranno organizzare e coordinare

le informazioni in maniera originale o creativa5 ma non casuale, proprio come quelli che debbono risolvere problemi matemati- C I .

Ci uc~.orgercin» di ~iìi quando preiidcreino in esame i program- mi L.IIC siinulano i prohleini ne\.rotici o psicotici e scopriremo che lo stesso vale per il linguaggio: anche i n programmache volesse «limitarsi» a una semplice traduzione letterale da una lingua all'al- tra non potrebbe fare una meccanica consultazione di dizionari ma avrebbe bisogno, appunto, di «intelligenza».

E interessante chiedersi se sia possibile simulare il comporta- mento non intelligente o stupido, cioè realizzare quella che potremmo definire .stupidità artificiale». Tutti i programmi che esamineremo in questo libro sono *stupidi» in un certo sen- so. perché commettono errori (non prevedibili, casuali) che un sistema intelligente non commetterebbe. I1 punto è che questi errori, anche quando non derivano da errori di programmazione (quelli che gli informatici chiamano bugs, cioè «pulci>>) ma piut- tosto da intrinseche limitazioni della struttura del programma, non sono quasi mai gli stessi che commetterebbe un essere umano a cui si attribuisse la brutta etichetta di *stupido». In generale, quindi, dagli errori nella simulazione di un processo intelligente non risulta automaticamente, in negativo, una simulazione della stupidità. perché anche questa non casuale. ha una sua precisa logica e quindi la sua simulazione richiede ... intelligenza. E da notarsi che un programma che, senza che sia stato esplicitamente previsto dal programmatore, commettesse «spontaneamente» gli stessi errori dell'uomo, farebbe saltare di esultanza chi lo ha progettato perché sarebbe il più chiaro segno di aver costruito il programma ispirandosi ad una buona teoria.

Sulla oossihilità di oarlare di *creatività» a nro~osito di un nroeramma oer . . . computer è stato detto molto. Risuona nelle orecchie di ciascuno una frase che è diventata quasi un motto: «Il computer non può dare più di quanto e stato inserito nel prograhnau. Vedremo nel c&so del l i b~o che ciònon èsempre vero, almeno in un senso così ingenuo; la discussione su questo punto. comunque. verrà wm- piuta nell'ultimo capitolo.

2.4. I1 pensiero è un processo computazionale?

Un problema che spesso si profila quando si discute di far riprodurre ad un computer quei processi che gli psicologi tradi- zionalmente chiamano di «pensiero. è se, dopotutto, si possa attribuire a quei processi una natura ecomputazionalen.

I1 termine «computazionale>> indica che l'esecuzione di una certa serie di operazioni implica dei «calcoli» (computations). Nel senso letterale del termine. il computer è una macchina per fare dei calcoli. Nell'accezione più comune il termine «calcoli» si rife- risce essenzialmente ai calcoli numerici, ma esso ha un uso più lato perché le «computazionin non sono solo quelle basate sulle quattro operazioni aritmetiche ma anche quelle basate su cal- coli» di natura logica. In questo senso. è computazionale anche un'operazione di confronto tra dati.

Quando i dati manipolati da un programma hanno un signifi- cato simbolico per gli uomini che li hanno introdotti e quando le operazioni elementari aritmetiche o di confronto sono considerate in serie di una certa ampiezza. si può parlare di operazioni più complesse che hanno perduto (o sembrano aver perduto) la caratteristica originaria di «calcoli». Ciò che tuttavia continua a caratterizzare queste operazioni come «computazionali» è il fatto che, coine tutte le procedure eseguibili da un computer. devono soddisfare alcuni requisiti formali.

Si può dire, a questo proposito. che qualunque computer è una <<macchina di Turingm, dal nome del matematico inglese che nel 1937 per primo descrisse i requisiti di cui stiamo parlando. Lo schema originale della macchina di Turing (che fu pensata per scopi puramente teorici ma non costruita effettivamente malgrado la sua realizzabilità tecnica) prevedeva un dispositivo in grado di far avanzare un nastro suddiviso in campi (come una striscia di carta a quadretti) e di scrivervi sopra, leggervi o cancellarvi dei simboli. In un congegno di questo genere si ritrovano tutte le componenti funzionali tipiche di un calcolatore elettronico, che è una delle possibili realizzazioni della macchina di Turing: ciò che questa macchina essenzialmente deve essere in grado di fare è rilevare in qualche modo lo stato del sistema (leggere i simboli scritti sul nastro) e a seconda della condizione rilevata compiere l'una o l'altra operazione successiva. In altri termini, tutto ciò che serve è la possibilità di definire in modo non ambiguo lo stato del sistema e le regole che consentono di modificare tale stato per

passare ad uno successivo. Quando si afferma che le procedure eseguibili da un computer devono essere analizzabili in termini computazionali. si intende riferirsi al fatto che siano soddisfatti questi requisiti fondamentali.

L'operazione-chiave che in ogni calcolatore garantisce l'imple- mentazione di questi requisiti, possibile fin dal livello delle istru- zioni-macchina (vedi il prossimo paragrafo per maggiori chiari- menti), è il test condizionale. Questa operazione consiste proprio nel confronto successivo fra diversi dati e la scelta di diverse alternative a seconda dell'esito di tale confronto.

Fra tutte le ipotesi psicologiche sulla natura delle attività di pensiero non ispirate alla metafora computazionale nessuna ha mai presentato i processi psichici come risultato di una serie di confronti. Il via a questo tipo di ipotesi è stato dato dal «TOTE> dei già citati Miller, Galanter e Pribram (1960). Secondo questi autori il pensiero ha la funzione di elaborare piani e controllarne l'esecuzione attraverso confronti6. Tale metafora, però, può ser- vire solo quando si sia in grado di specificare la natura delle «ope- razioni~ controllate dai vari test. Se parlando di comportamen- to osservabile cib é possibile in una certa misura, quando si parli di pensiero non sempre la metafora chiarisce le cose. La meta- fora computazionale ha raggiunto il maggiore successo per quel tipo di pensiero denominato «soluzione di problemi» (problem solving), che effettivamente ad un'analisi introspettiva (o dall'e- same dei protocolli di soggetti che pensano ad alta voce) sembra rivelare un procedere per passi seguiti da confronti (maggiori dettagli su questo punto si trovano nel cap. 10). Quando però si intenda il pensiero in termini più ampi, ad esempio quale ante-

La sigla TOTE sta per Test. Operatiori. Tesr. Exir e cioé prova. operazione. prova. uscita. Si tratta di una formulazione introdotta da questi autori allo scopo di ridefinire in termini più ampi il concetto di <<riflesso,,. L'unità TOTE mette semplicemente in evidenza il fatto che in un processo finalizzato. in cui si deve raggiungere un obiettivo (che rapuresenta l'uscira dal processo) attraverso qualche -. ., . . .,p,.ru:rii,rt, lo ivolgtn~~,ntu .le1 processo <tcs~o C regolato dd opportune prove (re- .,, \.oltr 4 \crif~cnrz I'c,i\rcni.i dclle iiinJi,ioni per I'csecuzione Jell'uperalione o per l'uscita. Lo schema non era per nulla nuovo. essendo solo una nformula- zione del vecchio concetto di feedback; ma Miller. Galanter e Pribram afferma- vano che ciò che entra in gioco nel processo può essere considerato non solo il trasferimento di energia ma di informazione e di controllo (per questo concetto vedi 5 3.3.). avvicinandone così esplicitamente la stmttura a quella dei programmi per calcolatore.

cedente del linguaggio comune o quale veicolo di esperienze affettive, conce~irlo in termini di «computazionin diventa molto più problemati&o.

Ad esempio, uno dei problemi più comuni che devono affron- tare coloro che vedono alla base del pensiero una serie di ccom- putazioni>> è di definire un sistema formale in grado di veicolarne la rappresentazione. Si è visto quanto sia centrale per una mac- china di Turing l'operazione di confronto o test condizionale: ma un confronto dev'essere sempre confronto fra qualcosa e qualcosa d'altro. Ecco perché il problema della rappresentazione ha un' importanza così decisiva nelle ricerche di intelligenza artificiale (si veda il cap. 6), almeno quanta ne ha in psicologia.

Purtroppo, tuttavia, tale problema in psicologia non ha ancora avuto una soluzione universalmente accettata. A questo proposito potrebbe essere candidato il concetto di «schema». proposto ori- ginalmente da Bartlett nel suo Remembering del 1932 e ripreso da molti altri autori, fra i quali Tolman, Piaget. Bruner, Neisser. In effetti, come ha notato proprio Neisser e vedremo in seguito ( 5 6.3.). c'è un'analogia fra gli <schemi» di cui parlano gli psicologi e certe strutture di rappresentazione utili per i programmi di simulazione. Un'altra, allettante possibilità di risoluzione potrebbe essere anche offerta dalla concezione dei processi di pensiero come forme di linguaggio interiore. ma si tratta di una questione molto controversa (v. Greco, 1980). I1 filosofo e psicolinguista Jerry A. Fodor si è basato proprio su questa ipotesi per formulare una teoria (Fodor. 1976) secondo la quale il sistema rappresen- tativo che costituisce il pensiero sarebbe un linguaggio fatto di <<formule» che vengono «computate». Fodor tenta di dimostrare che questo codice privato che veicola i significati (ai quali corrisponde per sua innata costituzione, come il linguaggio macchina di un computer corrisponde a determinate operazioni per la sua costruzione fisica) non può essere lo stesso linguaggio naturale usato pubblicamente e dunque che è necessario un processo «com- putazionale» di traduzione dalle formule interne ad un codice esterno o viceversa7. In questo senso la «computazione» sarebbe

' Per Fodor non tutti i processi psichici sono il risultato di computazioni (ad esempio non lo sono i processi motivazionali o creativi) e il concetto si applica solo ai casi in cui vi sia una *relazione razionale fra eventi nella vita mentaleu. escludendo quindi i casi in cui si fa riferimento a eventi biologici o <<non razio- nali..

un'operazione di traduzione simile a quella compiuta dai cosid- detti linguaggi «c~mpilatori»~.

Una discussione e valutazione di queste idee non è ovviamente opportuna in questa sede. Ma, a parte la questione della rappre- sentazione. esistono altri problemi ben più radicali per una con- cezione del pensiero in termini computazionali: una obiezione comune è che, se le operazioni matematiche o logico-formali possono agevolmente soddisfare i requisiti richiesti da una mac- china di Turing. appare poco plausibile che altrettanto si possa fare per tutte le operazioni mentali. Molti non sono disposti ad accettare che il pensiero sia riducibile a enient'altro che» un'o- perazione di confronto fra simboli. Una tale riduzione appare un impoverimento: il pensiero è anche qualcos'altro.

Quando si chieda. però, in che cosa consista il «qualcos'altro», è difficile attendersi risposte chiare e univoche. I sostenitori del- l'approccio computazionale ritengono, allora, che se la natura di quel «qualcosa» è destinata a rimanere misteriosa, è meglio limi- tarsi a considerare del pensiero gli aspetti riducibili a computa- zioni. Ad esempio, la concezione di Newell e Simon che vede qualunque comportamento intelligente (dell'uomo, di un animale, di una macchina) come il prodotto di un «sistema di simboli fisi- ci» @hysical symbol system. cfr. Newell. 1980) implica che l'intelii- genza sia costituita essenzialmente «dalla capacità di accettare simboli in entrata, di memorizzarli e cancellarli, confrontarli e saltare a seconda del risultato del confronto,) (Miller. 1981).

Questo modo di vedere, indubbiamente, suscita le obiezioni sopra ricordate perché utilizza l'analogia computazionale in maniera troppo letterale ed anzi si può dire che considera la stes- sa ~computazione)> in termini troppo riduttivi. Infatti un modo per superare le difficoltà che si incontrano quando si confronta la natura dei processi di pensiero con la natura dei processi com- putazionali potrebbe essere il rendersi conto che forse il concetto di «computazione» non implica necessariamente la stretta rispon- denza ai requisiti richiesti dalla macchina di Turing. Probabilmen- te quando si parla di programmi per computer si tende eccessi- vamente a riferirsi a ciò che avviene nella macchina in termini fisici o di basso livello (le singole istruzioni che il cuore della

Sul .linguaggio macchina* e sui linguaggi scompilatori>> vedi $ 3 . 3

macchina. la CPU, esegue, v. 5 3.2.): a quel livello in effetti la computazione si risolve esclusivamente in calcoli aritmetici o in confronti condizionali. Ma. come osserva Pylyshyn (1985), la ecomputazione» può essere presa in un senso più astratto, in termi- ni indipendenti dalle erisorse computazionali» (che sono, appunto, gli eventi fisici che avvengono nel calcolatore o anche le vicissi- tudini delle operazioni compiute dalla CPU) e più vicini invece all'interpretazione semantica di un programma. Detto altrimenti, questa interpretazione si riferisce a ciò che un programma fa, al suo significato, alle regole astratte che governano il processo (ad es. di natura algoritmica o euristica, vedi 5 8.1.2.) e che, in ultima analisi. è più appropriato chiamare in causa per la spiegazione del processo stesso rispetto agli avvenimenti fisici che pure si svol- gono nel corso di esso. Data l'importanza che queste questioni rivestono. esse saranno riprese nelle conclusioni (vedi $ 11.3.4.).

Utilizzare l'analogia computazionale in maniera troppo letterale può anche condurre a dimenticare che la stessa attuale concezione di che cosa sia un «sistema di simboli fisici» dipende in larga misura dall'organizzazione e dal funzionamento dei concreti sistemi di elaborazione che sono stati costruiti. Non c'è dubbio che per certi versi i modelli basati sulla metafora computazionale risentano necessariamente della struttura e del funzionamento dei computer disponibili. Prima di esaminare in dettaglio i contributi specifici basati sulla scienza del computer, quindi, ci sembra opportuno chiarire qual è la struttura effettiva di un sistema computazionale, quali sono le operazioni che un computer pub eseguire, come può eseguirle e i concetti più importanti che è indispensabile conoscere per comprendere quei contributi. I1 prossimo capitolo sarà dedicato a questo chiarimento. È owio che coloro che già conoscono i concetti di base dell'informatica potranno saltare tale capitolo.