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nonèunamela - Storia ed Epistemologia per una Nuova Didattica delle Scienze (SENDS) 1 2. LA STRUTTURA DELLA MATERIA E IL MODELLO PARTICELLARE Introduzione Per comprendere e interpretare i fenomeni chimici e fisici è necessario stabilire un legame tra due registri di concettualizzazione: quello macroscopico, al quale appartengono i fatti empirici accessibili mediante percezioni sensoriali ed esperimenti, e quello microscopico delle entità invisibili che sfuggono ai sensi e che sono un prodotto dell’immaginazione e della creatività degli scienziati. All’individuazione di fatti significativi e alla loro descrizione fenomenologica, i chimici associano la loro rappresentazione mediante modelli microscopici, che assumono il ruolo di strumenti di interpretazione e comprensione dei fenomeni. Tra i motivi che spingono a privilegiare le attività di modellizzazione e l’uso dei modelli nell’insegnamento/apprendimento delle scienze, uno dei più importanti fa riferimento al fatto che essi permettono di produrre rappresentazioni “concrete” e “manipolabili” di entità mentali che non sono percepibili mediante i sensi. Il dualismo macroscopico/microscopico, osservabile/rappresentabile, costituisce sia la specificità della Chimica, sia uno dei principali ostacoli cognitivi nel suo apprendimento: gli allievi mostrano spesso notevoli difficoltà nella gestione di tale dualismo, a causa sia della persistenza di nozioni legate al senso comune, sia della mancanza di una effettiva comprensione della natura particellare della materia. Tali difficoltà vengono generalmente accentuate da un insegnamento che fa riferimento continuamente a un registro o all’altro senza esplicitare agli allievi il passaggio tra i due. Tuttavia, la comprensione profonda della Chimica risiede proprio in questo “va-e-vieni” tra un livello interpretativo e l’altro, e implica che gli allievi siano in grado di mettere in relazione il registro dei fenomeni percepibili a livello macroscopico (la situazione sperimentale che coinvolge delle sostanze) e il registro dei modelli interpretativi a livello microscopico, mediante i quali il comportamento delle sostanze viene interpretato in termini di entità non percepibili (molecole, atomi, legami, ecc.). Ne consegue che, per assicurare basi solide allo studio delle scienze e in particolare della Chimica, è necessario che gli allievi in primo luogo siano messi di fronte a tutta una serie di fenomeni significativi a livello strettamente macroscopico e successivamente che abbiano l’opportunità di riflettere sulla natura discontinua della materia e sui concetti di particella e di modello. Nella pratica comune di insegnamento, la natura particellare della materia viene spesso introdotta in maniera “dogmatica”, e gli allievi devono in un certo senso accettare tale natura e l’esistenza delle particelle facendo affidamento sulle parole dell’insegnante o del libro di testo. Per evitare questo processo, che porta inevitabilmente alla mancata comprensione profonda di numerosi concetti, si propone di fare riferimento al percorso storico lungo il quale si è evoluta l’idea della discontinuità della materia. Nella prima parte di questa Sequenza, viene proposta agli allievi un’Attività relativa all’idea di modello, al suo significato in ambito scientifico, e al processo di rappresentazione della realtà 1 . Gli allievi vengono quindi posti di fronte alle due concezioni della materia (continua e discontinua, attribuite con un espediente didattico rispettivamente ad Aristotele e a Democrito) che si sono contrapposte nel tempo, e alla possibilità di valutarne la plausibilità alla luce di alcune evidenze empiriche (l’esperimento di Torricelli). L’ammissione dell’esistenza del vuoto porta ad accettare il modello che prevede la discontinuità della materia e l’esistenza delle particelle. Questa prima parte della Sequenza offre la possibilità di riflettere sul ruolo dell’errore nel lavoro degli 1 Bréhelin D., Geudj M. Didaskalia 2007, 31, 129

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2. LA STRUTTURA DELLA MATERIA E IL MODELLO PARTICELLARE

Introduzione

Per comprendere e interpretare i fenomeni chimici e fisici è necessario stabilire un legame tra due registri di concettualizzazione: quello macroscopico, al quale appartengono i fatti empirici accessibili mediante percezioni sensoriali ed esperimenti, e quello microscopico delle entità invisibili che sfuggono ai sensi e che sono un prodotto dell’immaginazione e della creatività degli scienziati. All’individuazione di fatti significativi e alla loro descrizione fenomenologica, i chimici associano la loro rappresentazione mediante modelli microscopici, che assumono il ruolo di strumenti di interpretazione e comprensione dei fenomeni. Tra i motivi che spingono a privilegiare le attività di modellizzazione e l’uso dei modelli nell’insegnamento/apprendimento delle scienze, uno dei più importanti fa riferimento al fatto che essi permettono di produrre rappresentazioni “concrete” e “manipolabili” di entità mentali che non sono percepibili mediante i sensi. Il dualismo macroscopico/microscopico, osservabile/rappresentabile, costituisce sia la specificità della Chimica, sia uno dei principali ostacoli cognitivi nel suo apprendimento: gli allievi mostrano spesso notevoli difficoltà nella gestione di tale dualismo, a causa sia della persistenza di nozioni legate al senso comune, sia della mancanza di una effettiva comprensione della natura particellare della materia. Tali difficoltà vengono generalmente accentuate da un insegnamento che fa riferimento continuamente a un registro o all’altro senza esplicitare agli allievi il passaggio tra i due. Tuttavia, la comprensione profonda della Chimica risiede proprio in questo “va-e-vieni” tra un livello interpretativo e l’altro, e implica che gli allievi siano in grado di mettere in relazione il registro dei fenomeni percepibili a livello macroscopico (la situazione sperimentale che coinvolge delle sostanze) e il registro dei modelli interpretativi a livello microscopico, mediante i quali il comportamento delle sostanze viene interpretato in termini di entità non percepibili (molecole, atomi, legami, ecc.). Ne consegue che, per assicurare basi solide allo studio delle scienze e in particolare della Chimica, è necessario che gli allievi in primo luogo siano messi di fronte a tutta una serie di fenomeni significativi a livello strettamente macroscopico e successivamente che abbiano l’opportunità di riflettere sulla natura discontinua della materia e sui concetti di particella e di modello.

Nella pratica comune di insegnamento, la natura particellare della materia viene spesso introdotta in maniera “dogmatica”, e gli allievi devono in un certo senso accettare tale natura e l’esistenza delle particelle facendo affidamento sulle parole dell’insegnante o del libro di testo. Per evitare questo processo, che porta inevitabilmente alla mancata comprensione profonda di numerosi concetti, si propone di fare riferimento al percorso storico lungo il quale si è evoluta l’idea della discontinuità della materia. Nella prima parte di questa Sequenza, viene proposta agli allievi un’Attività relativa all’idea di modello, al suo significato in ambito scientifico, e al processo di rappresentazione della realtà1. Gli allievi vengono quindi posti di fronte alle due concezioni della materia (continua e discontinua, attribuite con un espediente didattico rispettivamente ad Aristotele e a Democrito) che si sono contrapposte nel tempo, e alla possibilità di valutarne la plausibilità alla luce di alcune evidenze empiriche (l’esperimento di Torricelli). L’ammissione dell’esistenza del vuoto porta ad accettare il modello che prevede la discontinuità della materia e l’esistenza delle particelle. Questa prima parte della Sequenza offre la possibilità di riflettere sul ruolo dell’errore nel lavoro degli 1 Bréhelin D., Geudj M. Didaskalia 2007, 31, 129

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scienziati: una concezione che nel corso del tempo risulta non accettabile non è una concezione inutile; essa evidenzia che la scienza procede per “tentativi ed errori”, ossia per congetture esplicative messe in crisi da evidenze empiriche e sostituite di conseguenza da altre congetture. Nella seconda parte della Sequenza, gli allievi vengono impegnati nell’attività di costruzione di un Modello Particellare semplificato. Questa attività, che si ispira alla proposta di un gruppo di ricercatori francesi2, consente di colmare quel “vuoto didattico” che a oggi esiste tra il livello di concettualizzazione macroscopico e quello microscopico della Chimica.

Questa sequenza (mondo microscopico) è divisa in due parti:

2.1 La natura discontinua della materia

2.2. Costruzione del modello particellare

2 Chomat A., Larcher C., Méheut M. Aster 1998, 7, 143

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Sequenza didattica

2.1. LA NATURA DISCONTINUA DELLA MATERIA ATTIVITÀ 1: COSA È UN MODELLO

Per assicurare basi solide allo studio delle scienze, è necessario che gli allievi abbiano, in primo luogo, l’opportunità di riflettere sulle nozioni di “modello” e di “rappresentazione della realtà”. È un’attività introduttiva e può costituire un approccio efficace e originale per introdurre le Attività che seguono sulla struttura particellare della materia prima, e sulla modellizzazione dei corpi e dei fenomeni fisici poi. L’insegnante fornisce agli allievi, eventualmente divisi in piccoli gruppi, il FOL CE. In collaborazione con il Docente di Inglese, il brano “I ciechi e l’elefante” può anche essere proposto in lingua originale3: trattandosi di un testo in rima, la sua lettura potrebbe in questo modo risultare più divertente.

FOL CE I ciechi e l’elefante Traduzione di un testo del poeta statunitense John Godfrey Saxe (1816-1887) Sei abitanti dell’Indostan, molto desiderosi di migliorare le loro conoscenze, si recarono a vedere, benché fossero tutti ciechi, un elefante, in modo che ognuno potesse appagare il proprio desiderio di sapere. Il primo si avvicinò all’elefante, ma inciampò e colpendo il fianco largo e robusto dell’animale, subito gridò: “Mio Dio! Ma l’elefante è molto simile a un muro!” Il secondo, toccando una zanna, esclamò: ”Oh! Cosa sarà mai quest’oggetto così rotondo liscio e appuntito? Secondo me è chiaro che questa meraviglia di elefante assomiglia molto a una lancia!” Il terzo si avvicinò all’animale e, afferrando la proboscide che si contorceva, affermò senza esitazione: “Vedo che l’elefante assomiglia molto a un serpente!” Il quarto si mise a palpare il ginocchio con mano impaziente e disse: “È evidente che l’elefante assomiglia a un albero!” Il quinto toccò per caso un orecchio e disse:” Anche il più cieco degli esseri umani può dire a cosa assomiglia l’elefante; nessuno può negare che questo magnifico elefante è simile a un ventaglio!” Il sesto aveva appena cominciato a tastare l’animale quando improvvisamente la coda che oscillava gli colpì la mano: “Vedo”, egli disse,” che l’elefante assomiglia molto a una corda!” Così questi abitanti dell’Indostan discussero a lungo e animatamente, ciascuno sostenendo con forza e convinzione la propria opinione. Anche se ognuno sosteneva una verità parziale, nel complesso erano tutti nell’errore.

Raffigura su un foglio un elefante sulla base delle informazioni fornite dai ciechi sulle diverse parti dell’animale.

3 It was six men of Indostan To learning much inclined, Who went to see the Elephant (Though all of them were blind) That each by observation Might satisfy his mind The first approached the Elephant, And happening to fall Against his broad and sturdy side, At once began to bawl: “God bless me! But the Elephant Is very like a wall!” The Second, feeling of the tusk, Cried,”Ho! What have we here So very round and smooth and sharp? To me ‘tis mighty clear This wonder of an Elephant Is very like a spear!”

The Third approached the animal, And happening to take The squirming trunk within his hands, Thus boldy up and spake: “I see,”quoth he, “the Elephant Is very like a snake!” The Fourth reached out an eager hand, And felt about the knee. “What most this wondrous beast is like Is mighty plain”, quoth he; “Tis clear enough the Elephant Is very like a tree!” The Fifth, who chanced to touch the ear, Said: “E’en the blindest man Can tell what this resembles most; Deny the fact who can This marvel of an Elephant Is very like a fan!”

The Sixth no sooner had begun About the beast to grope, Than, seizing on the swinging tail That fell within his scope, “I see” quoth he, “the Elephant Is very like a rope!” And so these men of Indostan Disputed loud and long, Each in his own opinion Exceeding stiff and strong, Though each was partly in the right, And all were in the wrong!

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Naturalmente gli allievi sanno come è fatto un elefante: si tratta qui di raffigurarlo sulla base delle loro conoscenze (relative alla forma dell’elefante) e delle informazioni fornite dai ciechi (i quali già si rappresentano l’elefante). L’insegnante avvia la discussione, invitando gli allievi a confrontare i loro disegni evidenziandone somiglianze e differenze, e a verificare se sono coerenti con le informazioni fornite dal testo. Spesso, ad esempio, gli allievi utilizzano dei colori per disegnare l’elefante: questo non corrisponde a ciò che i ciechi sostengono, in quanto essi non possiedono alcuna indicazione sulla colorazione delle parti dell’animale. In seguito si può introdurre un interrogativo del tipo: Il disegno che ognuno ha eseguito è una riproduzione della realtà? La maggior parte degli allievi sostiene che i disegni non riproducono la realtà, ma sono frutto della loro idea di elefante e delle informazioni fornite dai ciechi, in base alle loro percezioni tattili; si conclude che una cosa è la realtà (l’elefante) per chi vede, e un’altra cosa è la realtà (l’elefante) per chi non vede. Questo non significa che vi sia più di una realtà, ma che essa può essere “percepita” in modi differenti. I ciechi non vedono l’elefante, bensì lo immaginano. A questo punto, l’insegnante può introdurre il termine “modello”: le asserzioni dei ciechi a proposito delle parti dell’elefante costituiscono un modello di elefante, mediante il quale è possibile produrre una rappresentazione dell’elefante. A questo proposito, gli allievi manifestano la difficoltà, addirittura l’impossibilità, di rappresentare l’elefante tenendo conto solo delle affermazioni dei ciechi. Ognuno di noi ricorre alle proprie rappresentazioni mentali, al proprio modello di elefante, per interpretare i modelli altrui. La discussione porta la classe a riconoscere che le rappresentazioni prodotte dagli allievi sono l’esito della sintesi di due modelli: quello dei ciechi rivisto alla luce del modello di elefante che ognuno già possiede. Nella figura 1, vengono proposte alcune rappresentazioni significative prodotte dagli allievi di una classe seconda di una scuola secondaria di primo grado.

Figura 1 – Rappresentazioni dell’elefante prodotte da alcuni allievi di una classe seconda di una scuola secondaria di primo grado

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Se immaginiamo di descrivere un elefante a una persona che non ne ha mai visto uno, sarà necessario associare le diverse parti dell’animale a un qualche oggetto noto. Così, potremmo dire che il corpo largo e robusto dell’elefante è simile a un muro, la proboscide a un serpente, la coda a una corda, le sue zanne appuntite assomigliano a delle lance, le zampe ad alberi, le orecchie a grandi ventagli, e così via. Questa persona potrebbe produrre un disegno dell’elefante che ne costituisce una rappresentazione, ma non una riproduzione. In altre parole, ciò che viene detto a proposito delle parti dell’animale costituisce un modello di elefante, mediante il quale è possibile produrne una rappresentazione. Se si associassero le varie parti dell’elefante a oggetti diversi da quelli della poesia, la rappresentazione dell’elefante cambierebbe. Gli studenti possono quindi condividere l’idea che una cosa è l’elefante (la realtà) per chi l’ha visto, e un’altra cosa è l’elefante per chi ne ha una descrizione basata su analogie. Se cambiano le analogie utilizzate, cambia il modo di «vedere», o meglio «immaginare» la realtà, di «rappresentarla». Dunque il disegno è una rappresentazione dell’elefante così come viene immaginato. L’insegnante può ora generalizzare e trasporre sul piano scientifico quanto concluso, dando una definizione di modello scientifico.

Un modello scientifico è uno strumento interpretativo che consente di rappresentare, mediante un determinato linguaggio, un sistema reale o supposto reale, cioè una porzione limitata del mondo quale è vista da un ricercatore che se ne sta interessando, nonché di studiarne e prevederne il comportamento.

Quando gli scienziati parlano di atomi, elettroni, ecc. parlano di entità che essi non vedono, ma che immaginano. Essi si trovano di fronte a evidenze empiriche (per esempio le trasformazioni fisiche e chimiche della materia) e tentano di spiegarle con entità non percepibili, frutto della loro creatività e immaginazione. Certamente non possono immaginarle come vogliono, in quanto esiste una realtà empirica che si comporta in un certo modo: le proprietà che gli scienziati attribuiscono a tali entità devono trovare riscontro nel comportamento dei corpi. Si può considerare il caso dell’elettrone: gli scienziati non lo hanno mai visto, ma lo hanno immaginato e gli hanno attribuito determinate proprietà. Sulla base di queste idee, i tecnici hanno progettato apparecchi che dovrebbero fornire determinate prestazioni, e quando gli apparecchi sono stati costruiti, le loro prestazioni erano quelle previste: se non esiste l’elettrone, deve esistere qualcosa che gli somiglia molto.

“Stranamente molti pensano che nella scienza non ci sia posto per la fantasia. È una fantasia di tipo speciale, diversa da quella dell’artista. Il difficile, per uno scienziato, è immaginare qualcosa che non è ancora venuto in mente a nessuno, che sia in accordo in ogni dettaglio con quanto si conosce, ma sia diverso; e sia inoltre ben definito, e non una vaga affermazione. […] Si tira a indovinare. Tirare a indovinare? Un modo ben poco scientifico di procedere, una vera scemenza … E invece no. È che in realtà non v’è nulla di cui lo scienziato possa essere sicuro in partenza. Egli può solo tirare a indovinare: sarebbe poco scientifico non farlo”.

R. Feynman ATTIVITÀ 2: ARISTOTELE E DEMOCRITO

Per fare in modo che gli allievi comprendano la natura del problema affrontato (continuità o discontinuità della materia), l’insegnante espone sulla cattedra:

• un pezzo di legno o di metallo • un mucchietto di semi di mais o di chicchi di riso.

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L’insegnante avvia con gli allievi una discussione sui due sistemi materiali, focalizzando l’attenzione sul loro aspetto: il pezzo di legno/metallo è un pezzo unico, la sua struttura è continua. L’aspetto del mucchietto è diverso: non vi è un pezzo unico, ma tanti piccoli pezzi distinguibili a occhio nudo, e la sua struttura è discontinua. Il problema affrontato è il seguente: Se fossimo in grado di vedere la struttura intima della materia, questa sarebbe continua o discontinua? Nel primo caso, ogni corpo sarebbe un pezzo unico, cioè continuo; nel secondo caso ogni corpo sarebbe discontinuo, ossia costituito da tante piccole particelle separate l’una dall’altra. Superata questa fase iniziale, l’insegnante entra nel vivo dell’attività con un intervento di questo tipo: “Oltre 2000 anni fa, i filosofi cercarono di dare risposta ad alcuni interrogativi relativi alla materia: di cosa sono fatti la terra, il mare, il cielo e tutte le cose che ci circondano? Come mai lo stesso corpo, ad esempio l’acqua, esiste come liquido, come solido e come vapore? Cosa succede al sale quando si scioglie in acqua e non è più visibile? Aristotele e Democrito, due pensatori greci del V secolo a.C., si posero questi interrogativi, arrivando a due conclusioni diverse, ossia proponendo due diversi modelli della materia”. A questo punto agli allievi, suddivisi in piccoli gruppi, vengono forniti due semplici testi (FOL DA) nei quali sono riassunti i punti essenziali dei due modelli: quello “continuo”, attribuito ad Aristotele, e quello “discontinuo”, attribuito a Democrito. La personalizzazione dei due modelli è un espediente didattico, in quanto nei modelli proposti agli allievi, soprattutto in quello attribuito a Democrito, si trovano anche contributi di studiosi successivi, che comunque si inquadrano nel modello di partenza.

FOL DA

Leggete i testi forniti dall’insegnante, poi ogni gruppo realizzi un poster mediante il quale fare capire le idee sulla materia di Aristotele e Democrito a una persona che non ne sa nulla.

La materia secondo Democrito Democrito sostiene che la materia è discontinua: un corpo materiale è formato da particelle talmente piccole che non sono visibili a occhio nudo. Le particelle di corpi diversi (ferro, marmo, acqua, ecc.) sono costituite tutte dalla medesima materia prima, ma hanno forma e grandezza differenti. Esiste un numero infinito di particelle che sono invisibili, indistruttibili e indivisibili: non è possibile suddividere una particella in parti più piccole. Inoltre, le particelle sono caratterizzate dal continuo movimento, in seguito al quale, riunendosi e separandosi, danno origine a tutte le cose così come noi le vediamo. Per esempio, l’acqua liquida e il ghiaccio sono formati da particelle dello stesso tipo. Però queste particelle sono più stipate nel ghiaccio e meno stipate nell’acqua liquida: in questo modo Democrito spiega la differenza di aspetto tra il ghiaccio (solido) e l’acqua (liquida). Le azioni dei corpi sui nostri sensi possono essere spiegate dalle caratteristiche delle particelle che li costituiscono. I corpi acidi sono formati da particelle spigolose, piene di sinuosità, piccole e sottili; ciò che è dolce è formato da particelle arrotondate, senza spigoli; i corpi bianchi sono formati da particelle lisce perché‚ se avessero asperità, le loro ombre scure sarebbero visibili; i corpi neri sono formati da particelle rugose, non uniformi.

La materia secondo Aristotele Aristotele sostiene che la materia non è costituita di particelle ma ha una struttura continua e riempie completamente lo spazio perché è estesa in lunghezza, larghezza e profondità per cui occupa tutti gli spazi immaginabili. Dato che la materia è continua, essa è divisibile all’infinito; quindi non esiste un limite oltre il quale non si può più andare, ossia non esistono le particelle indivisibili (gli atomi) di cui parla Democrito. Di conseguenza, nella materia non esistono spazi vuoti: in natura, il vuoto non esiste e la materia è presente anche se non la vediamo. La materia è formata a partire da quattro elementi: Terra, Acqua, Aria e Fuoco: tutte le infinite cose che sono percepite dai nostri sensi provengono dalla mescolanza di due o più dei quattro elementi fondamentali. A ciascuno dei quattro elementi, egli attribuisce una coppia di qualità: il caldo/umido all’aria; il caldo/secco al fuoco; il freddo/umido all’acqua e il freddo/secco alla Terra. Gli elementi possono trasformarsi gli uni negli altri: è sufficiente che una delle qualità che lo caratterizza si trasformi nel suo contrario. L’acqua (umida e fredda) può diventare aria (umida e calda) per azione del calore che trasforma il freddo in caldo; il fuoco (secco e caldo) può diventare aria (umida e calda) grazie all’umidità che trasforma il secco in umido. I cambiamenti riguardano la forma che la materia assume, non la materia stessa, che per Aristotele è unica.

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I manifesti prodotti vengono esposti da ciascun gruppo, e durante la discussione si confrontano i due modelli: dovrebbe emergere come la concezione di Aristotele non permette di capire come sia strutturata la materia, ma solo di affermare che la materia è ovunque, ossia non vi è uno spazio, anche minimo, che non sia occupato da materia. Invece le idee di Democrito permettono di rappresentare la materia come un insieme di particelle di forme e dimensioni differenti, in continuo movimento. Nella figura 2, due rappresentazioni ricorrenti sui manifesti degli allievi.

Democrito: Aristotele:

Figura 2 – Esempi di rappresentazione della materia secondo Democrito e Aristotele (prodotti da allievi della scuola secondaria)

A questo punto, l’insegnante pone agli allievi il seguente interrogativo: Se ammettiamo che la materia sia costituita da particelle, che cosa ci sarà tra una particella e l’altra? Di primo acchito, molti allievi potrebbero sostenere che vi è dell’aria: tuttavia se così fosse, si tratterebbe comunque di materia, anch’essa formata da particelle, e il problema si porrebbe di nuovo. L’unica idea plausibile è che tra una particella e l’altra non vi sia nulla, cioè non vi siano particelle: questo “nulla” prende il nome di “vuoto”. In conclusione, questa Attività permette agli allievi, grazie al confronto dei due modelli, di porsi interrogativi sulla struttura nella materia, dal momento che la sua natura particellare è tutt’altro che intuitiva; di comprendere i concetti di continuità e discontinuità e di discutere l’esistenza del vuoto, dal momento che questo aspetto riveste un ruolo centrale nella comprensione della struttura della materia. ATTIVITÀ 3: MA IL VUOTO ESISTE?

Viene a questo punto fornito agli allievi un testo nel quale è descritta la nota esperienza di Torricelli relativa ai suoi studi sul comportamento dei fluidi (FOL TOR), per interpretare la quale si deve ammettere, usando un primo e più semplice livello di concettualizzazione, l’esistenza del vuoto. Alla luce di questa idea gli allievi sono chiamati a prendere in considerazione i due modelli della struttura della materia, quello di Democrito e quello di Aristotele, per stabilire quale sia più plausibile. Di nuovo, si tratta di un espediente didattico: i fatti storici sono stati riadattati per raggiungere le conclusioni più opportune. L’insegnante può introdurre il problema in questo modo: “Le idee opposte sulla natura della materia si fronteggiarono per molto tempo: l’idea di Aristotele ‘la materia è continua’ cominciava a essere messa in discussione, ma mancava ancora una prova sperimentale convincente che ne mostrasse la falsità. Evangelista Torricelli (1608-1647) fu studioso di matematica e fisica. Nel corso dei suoi studi sul movimento dei fluidi, egli si interessò al problema del vuoto”.

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FOL TOR Gli studi di Torricelli Nell’ambito di una serie di studi sul trasporto dell’acqua mediante condutture che dovevano superare dislivelli naturali, Torricelli ideò e realizzò il seguente esperimento: un tubo di vetro lungo 1 metro e con una estremità chiusa viene riempito completamente di mercurio. Dopo il riempimento, l’estremità aperta viene tappata con un dito in modo da impedire la fuoriuscita di mercurio. Quindi si immerge questa estremità del tubo dentro il mercurio contenuto in una vaschetta. A questo punto il dito viene tolto, in modo da mettere in contatto il mercurio contenuto nel tubo con quello contenuto nella vaschetta. Il mercurio contenuto nel tubo scende di circa 24 cm e poi si ferma (livello A). In questo modo sopra il livello del mercurio contenuto nel tubo si crea uno spazio E. Secondo te, che cosa c’è nel tubo nello spazio E sopra il mercurio?

Nota per l’insegnante - Il livello del mercurio nel tubo si fissa per via dell’equilibrio tra la pressione atmosferica (che agisce sulla superficie del mercurio nella vaschetta) e la pressione prodotta dalla colonna di mercurio liquido più la pressione del gas mercurio all’interno del tubo. Poiché quest’ultima risulta trascurabile in condizioni di temperatura ambiente (20 °C), si può ritenere che nel fondo del tubo (spazio E) vi sia assenza di materia, cioè il vuoto.

La discussione sul quesito deve portare gli allievi a riflettere sulla possibilità che esistano spazi nei quali la materia è assente. Molti allievi affermano che nel tubo, sopra il mercurio, c’è dell’aria, ma l’insegnante può confutare questa ipotesi chiedendo da dove sia arrivata quest’aria: se dall’esterno, nel liquido avremmo dovuto vedere delle bollicine. Qualcuno potrebbe sostenere che l’aria fosse già presente nel mercurio, ma anche nel caso di un suo spostamento dall’interno del liquido verso l’alto avrebbero fatto la loro comparsa delle bolle. Torricelli invece non menziona bolle di alcun tipo che avrebbe notato nel mercurio nel corso dell’esperimento. È possibile dunque un’unica conclusione: nello spazio sopra il mercurio non vi è materia, bensì il vuoto. Si può giungere così a concludere che, a livello macroscopico:

In natura il vuoto esiste. Il vuoto è uno spazio in cui la materia è assente.

ATTIVITÀ 4: IL VUOTO E LA MATERIA

Alla fine dell’Attività precedente gli allievi sono giunti a riconoscere che l’esperimento di Torricelli fornisce l’evidenza sperimentale dell’esistenza del vuoto. Disponendo di questa prova empirica, si può tornare sui due modelli della materia già visti e stabilire quale sia più plausibile ponendo un interrogativo del tipo: I risultati degli studi condotti da Torricelli con i tubi di mercurio possono aiutarci a stabilire se sono più accettabili le idee di Aristotele o quelle di Democrito? I due modelli in effetti sono opposti. Democrito sosteneva che la materia è formata da particelle invisibili, indivisibili, indistruttibili. Ammettere che la materia è costituita da particelle significa ammettere che esiste una separazione tra una particella e l’altra. Se tutta la materia è costituita da particelle, dove non ci sono particelle c’è assenza di materia, cioè “vuoto”: se si accetta l’idea che il vuoto esiste, allora va accettata l’idea che la materia sia discontinua.

Relativamente al concetto di vuoto, si può fornire agli allievi un testo che riporta le principali critiche mosse da Aristotele al modello di Democrito (FOL AVSD).

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FOL AVSD Le critiche a Democrito Aristotele rifiutava l’esistenza delle particelle di Democrito per svariate ragioni. In primo luogo, diceva Aristotele, le particelle non si possono né vedere né toccare. Che cosa allora ci prova che le particelle esistono? In secondo luogo Democrito sosteneva l’esistenza di molti tipi di particelle di forme differenti, e Aristotele si chiedeva: quante sono esattamente le forme che possono avere le particelle? Democrito non indicava un numero definito e Aristotele pensava che questa imprecisione fosse una prova del fatto che il modello di Democrito era sbagliato. Infine, Aristotele negava l’esistenza del vuoto perché sosteneva che la materia è continua e riempie tutti gli spazi disponibili. Egli sosteneva che la grande varietà di oggetti dovesse essere spiegata come conseguenza della combinazione dei quattro elementi fondamentali: Terra, Aria, Acqua, Fuoco. L’Aria e il Fuoco tendono spontaneamente ad andare verso l’alto, l’Acqua e la Terra verso il basso: quindi il movimento di un oggetto dipende dalle proporzioni secondo le quali i quattro elementi entrano nella sua composizione. Però nel vuoto non è possibile alcun movimento: nel vuoto è impossibile, sempre secondo Aristotele, localizzare un su o un giù o qualsiasi altra direzione, e quindi i corpi non saprebbero dove dirigersi. Inoltre se un corpo si muovesse nel vuoto non incontrerebbe nessuna resistenza e la sua velocità risulterebbe infinita, cosa chiaramente assurda. Quindi, conclude Aristotele, se esistesse il vuoto, i corpi dovrebbero necessariamente restare fermi.

Consegna: 1. In che cosa sono differenti i modelli della materia di Democrito e Aristotele? 2. Quali critiche muoveva Aristotele al modello della materia di Democrito? 3. Secondo Democrito, cosa c’è tra una particella e l’altra? 4. I risultati degli studi condotti da Torricelli con i tubi pieni di mercurio possono aiutarci a stabilire se

è più accettabile il modello di Aristotele oppure quello di Democrito? Argomenta la tua risposta

La discussione in classe delle risposte degli allievi porta a concludere che gli studi di Torricelli permettono di invalidare e confutare il modello di Aristotele e di ritenere più plausibile il modello di Democrito. Quindi, gli allievi dovrebbero ora disporre di una congettura sulla struttura particellare della materia, a partire dalla quale possono affrontare attività più impegnative relative alla modellizzazione dei corpi e delle loro trasformazioni. Si può giungere così a concludere che, a livello microscopico:

Tutti i corpi (porzioni limitate di materia) sono costituiti di particelle, e

tra una particella e l’altra c’è il vuoto, cioè l’assenza di particelle.