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Bimestrale dell’UAAR n. 1/2012 (79) 2,80 ISSN 1129-566X La lezione di Stephen J. Gould UAAR – Unione degli Atei e degli Agnostici Razionalisti Bimestrale – Poste Italiane s.p.a. – Spedizione in Abbonamento Postale – D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 2, DCB Firenze n. 1/2012 (79)

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Bimestrale dell’UAARn. 1/2012 (79)€ 2,80

ISSN 1129-566X

La lezionedi Stephen J. GouldUAAR – Unione degli Atei e degli Agnostici RazionalistiB

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EDITORIALE

Carlo Bernardini, nell’ultimo numerode L’Ateo [1], se l’è presa con le grandidomande – «i soliti “Chi siamo? Dadove veniamo? Dove andiamo dopo lamorte? ecc.». Le definisce «domandeimproprie perché non hanno senso».Detto altrimenti: domande oziose, la cuirisposta risiede «nella gratuita povertàsimbolica di una causa trascendenteinsindacabile». In altre parole, una ri-sposta scontata, perché lo sappiamo,la risposta alle grandi domande ozioseè sempre una sola: Dio. Che noia!

Condivido pienamente l’irritazione diBernardini nei confronti di questo gin-gillarsi col linguaggio intorno allegrandi domande senza senso e alle re-lative risposte campate in aria, specia-lità di preti, teologi e filosofi alla moda.Vi dirò di più, sono addirittura irritatis-sima, perché recente-mente ho fatto una veraindigestione di questisterili esercizi retoricileggendo Io e Dio di VitoMancuso [2], quasi unarisma di fogli (486 pa-gine!) per arzigogolare inuna ventina di varianti lesolite grandi domande edare sempre la solita ri-sposta: Dio. Chi me l’hafatto fare? – chiederetevoi. Almeno questa pic-cola domanda una rispo-sta precisa ce l’ha: vi ri-mando alla rubrica dellerecensioni, perché nonho voluto lasciare impu-nito questo poderoso zi-baldone di cazzate.

Da parte mia ho semprepreferito le domande pic-cole e curiose, che richie-dono risposte puntuali ecircostanziate, risposte che, come scriveancora Carlo Bernardini, «hanno unbanco di prova che sinteticamente chia-miamo realtà ma che non è la realtàsemplice del senso comune bensì un si-stema più largo che contiene le inter-pretazioni dei rapporti di causa ed ef-fetto di un universo denso di eventi».Per esempio: come funziona il frigori-fero? Non è una domanda banale. Nonbasta che mi diciate «uh, ah, beh, c’è uncompressore …». Voglio che mi spie-ghiate il ciclo di Stirling, i primi due prin-cipi della termodinamica, le leggi deigas, trasformazioni isoterme e trasfor-mazioni isocore … Così mi diverto, per-ché è tutta roba interessante per chi hasete di sapere – sapere, non chiacchiere.

Un altro esempio: la zebra è un animalebianco a strisce nere o nero a striscebianche? Questa potrebbe sembrarviuna domanda oziosa o quanto menostravagante, ma non lo è affatto – nonnel modo in cui l’affronta Stephen JayGould, fornendo risposte puntuali e cir-costanziate in un percorso argomenta-tivo decisamente avvincente. Del re-sto è proprio di Stephen Jay Gould chevoglio parlarvi in questo editoriale –non certo di quel lessapalle (scusate,ma quando ci vuole ci vuole) di VitoMancuso, che ho tirato in ballo solo perfare un confronto.

La stravagante – certamente insolita –domanda viene formulata da Gould inuno dei brevi saggi raccolti nel volumeQuando i cavalli avevano le dita, libroche contiene un’affascinante “trilogia

della zebra” [3]. Le zebre (ce ne sonoattualmente tre specie, una quarta spe-cie, il quagga, si estinse all’inizio del se-colo scorso) sono animali curiosi e pro-blematici: interrogati come si deve daun grande scienziato come Gould rive-lano un sacco di cose. Prima di tuttoGould c’informa sui problemi relativialla classificazione delle specie, piùprecisamente sulla “cladistica”, un par-ticolare metodo tassonomico. «La cla-distica» avverte Gould «ha generatouna terminologia tecnica terribile emolti dei suoi principali esponenti […]sono tra gli scienziati più litigiosi che ioabbia mai conosciuto» [4]. Nonostantequesto Gould riesce a darci in breveun’idea adeguata sia dei principi di

questa complessa disciplina, sia delledifficoltà che le classificazioni possonoincontrare, sia dei conflitti che possonosorgere tra chi applica diversi metodi,ad esempio tra cladisti (che scelgono diclassificare gli esseri viventi sulla basedelle genealogie, escludendo program-maticamente ogni riferimento alla loro“somiglianza”) e fenetisti (che classifi-cano invece sulla base della somi-glianza, cercando di “misurarla” conparametri oggettivi): «è stata la naturaa imporre questo conflitto alla scienzadecretando, attraverso il funziona-mento dell’evoluzione, ritmi di muta-mento così diversi fra le varie linee ge-nealogiche e una correlazione così mo-desta fra somiglianza fenetica e pros-simità temporale della ramificazionegenealogica da un progenitore co-mune» [5].

Ora sappiamo qualcosadi pertinente sui metoditassonomici e abbiamoanche imparato una le-zione generale: è difficilemettere definitivamentele braghe al mondo, perquesto il lavoro dellascienza non è mai con-cluso e i suoi risultatisono sempre provvisori.E ora che siamo un po’meno ignoranti e un po’più umili, possiamo in-terrogare ulteriormentele nostre amiche zebre escoprire attraverso unastoria davvero curiosa –la storia dei cavalli conle zampe a righe di LordMorton e della fanta-siosa ipotesi della “tele-gonia” – che le famosestrisce non sono una lorocaratteristica esclusiva,

bensì un potenziale posseduto da tuttigli equini … Ma perché, e soprattuttocome questo potenziale si manifesta(nelle zebre), non si manifesta (nei ca-valli), o si manifesta in modi differenti(nelle tre specie di zebre esistenti chepresentano striature diverse per nu-mero e disegno delle strisce)?

Gould introduce a questo punto un in-teressante personaggio, il biologo scoz-zese D’Arcy Thompson (1860-1948) chepropose la teoria delle “coordinate tra-sformate” con cui riconduceva a unità(un’unità che risiede nella generazionedi forme) differenze di genere e di spe-cie. Io ho una mentalità spiccatamentevisiva e vi assicuro che ho provato

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EDITORIALE

un’autentica emozione di fronte ai di-segni eseguiti col metodo delle “coor-dinate trasformate”: sono qualcosa dimagico, in sostanza silouette di ani-mali che si trasformano in altri e di-versi animali sulla base di proiezionisu diversi sistemi di coordinate. So dinon riuscire a comunicarvi il fascino diqueste elaborazioni geometriche –perché non sono brava come Gould eperché è difficile tradurre le immaginiin parole. Ma posso forse trasmetterviun’altra lezione generale che si ap-prende da queste pagine. I biologi se-guono diversi “stili intellettuali”: «al-cuni apprezzano la varietà per sestessa e passano la vita a descriverecomplesse variazioni su temi comuni»;altri «si sforzano di scoprire un’unitàdietro le differenze» [6]. C’è bisogno ditutti, perché la scienza è un’impresacollettiva.

La teoria di D’Arcy Thompson rice-vette all’epoca molti omaggi formalima ben poca applicazione. Occorre ar-rivare all’embriologia contemporaneaperché la sua idea (un unico sistema diforze generatrici che produce formediverse) sia ripresa e trovi confermesperimentali. Bisogna scoprire, per laprecisione, che un piccolo mutamentonei tempi dello sviluppo embrionale,dovuto forse a una piccola modifica-zione genetica, può avere effettiprofondi sui caratteri dell’adulto. Èquesta un’acquisizione importantis-sima per Gould, che l’applicherà all’i-potesi della neotenia umana in Onto-geny and Philogeny con risultati sor-prendenti (rinvio, per questo, all’arti-colo di Federica Turriziani Colonna).Un altro biologo scozzese, JonathanBard, l’applica invece alle nostre carezebre, cercando – alla maniera diD’Arcy Thompson, ma con i raffinatistrumenti della biologia molecolare –un’unità sottostante ai diversi modellidi striatura che, come si è detto, dif-feriscono sia per numero sia per con-figurazione delle strisce. «Secondo l’i-potesi di Bard, queste variazioni com-plesse si verificano solo in conse-guenza del fatto che lo stesso modellobase – le strisce parallele intervallatein misura costante – si sviluppa du-rante la quinta settimana di crescitaembrionale in una specie, durante laquarta settimana in un’altra specie edurante la terza settimana in unaterza specie. Poiché l’embrione subi-sce durante queste settimane muta-menti di forma complessi, il modellofondamentale viene stirato e defor-mato in vari modi, conducendo alle

principali differenze che si osservanonella zebratura dell’adulto […]. Bard èquindi in grado di spiegare le diffe-renze nelle zebrature dei quarti po-steriori di tutte e tre le specie di zebrecome i risultati di deformazioni dellostesso modello iniziale in tempi diversidurante la normale crescita embrio-nale» [7]. La spiegazione, a ben ve-dere, è abbastanza semplice: «se lestrisce cominciano a formarsi, con lalarghezza e gli intervalli soliti, su unembrione più grande, l’adulto risul-tante avrà un maggior numero di stri-sce» [8].

Studiando le strisce così da vicino,Bard ci sa anche dire precisamente dache cosa sono prodotte: da un’inibi-zione della melanina che forma il pig-mento naturale. Questo significa (cisiamo!) che le zebre sono animali neria strisce bianche, come ritiene la mag-gior parte dei popoli africani, e nonanimali bianchi a strisce nere, cometendono a pensare i bianchi. E da que-sto possiamo trarre un’altra impor-tante lezione generale: non esiste, evi-dentemente, un’osservazione “pura”dei fatti, che si presentano sempre in-seriti in contesti culturali.

La “trilogia della zebra”, del resto, siconclude proprio con una bellissimadiscussione sui “fatti”, che appuntonon sono mai «frammenti di informa-zione incontaminata estratti dalla na-tura per mezzo di un processo obbiet-tivo di osservazione o di inferenza»[9], ma sono sempre influenzati dal-l’osservatore, dalla sua cultura, dallesue aspettative. Gould non vuole, di-cendo questo, sostenere una posi-zione relativista senza scampo: al con-trario, vuole insegnarci a distingueretra i “fatti solidi” (fatti ragionevol-mente verificati, documentati e coe-renti con altri fatti) e le “pretese fat-tuali inconsistenti” (casi singoli condocumentazione dubbia) [10]. Su “fattisolidi” si basa la teoria dell’evolu-zione; su “pretese fattuali inconsi-stenti” gli argomenti dei cosiddetti“creazionisti scientifici”, come gli ami-chetti di quel simpaticone del profes-sor de Mattei. Ma su questo tema v’in-vito a leggere un altro breve, brillan-tissimo saggio contenuto in Quando icavalli avevano le dita [11].

L’ho fatta lunga, cari lettori, ma volevofarvi un esempio concreto di quantopuò, rispetto alle solite grandi do-mande, una piccola domanda insolita.In 32 pagine Gould ci arricchisce, for-

nendoci nozioni sui metodi e sulle pra-tiche tassonomiche, notizie sugli studidi embriologia, lezioni generali di teo-ria della scienza, pagine di storia, con-siderazioni antropologiche. In 486 pa-gine Mancuso mena il can per l’aia.

La differenza tra questi due autori èche Gould c’invita a pensare – e ciaiuta, ci mostra le difficoltà, ci stimola;Mancuso c’invita a credere. Pensare ecredere sono stati mentali completa-mente diversi, checché se ne dica, cuiconseguono attività cognitive com-pletamente diverse che hanno finalitàcompletamente diverse: la cono-scenza, nel primo caso, provvisoria finche si vuole ma almeno non campatain aria; una generica e illusoria rassi-curazione di fronte al “mistero” (perusare questa abusata parola prete-sca), nel secondo caso. O si pensa o sicrede, diceva Arthur Schopenhauer[12]. E le opere di Stephen J. Gould,cui dedichiamo questo numero de L’A-teo per commemorare il decimo anni-versario della sua prematura scom-parsa, sono un inno al pensare scien-tifico: al suo rigore, alla sua inesauri-bile varietà, alla sua bellezza.

Maria [email protected]

Note

[1] Carlo Bernardini, Un futuro possibilmentelaico, in L’Ateo n. 6/2011 (78), p. 3.[2] Vito Mancuso, Io e Dio. Una guida deiperplessi, Garzanti, Milano 2011.[3] S.J. Gould, Quando i cavalli avevano ledita. Misteri e stranezze della natura, Feltri-nelli, Milano 1984. Si tratta di una delle an-tologie che raccolgono i brevi saggi scrittiper la rubrica mensile “The View of Life”della rivista Natural History (si veda la bi-bliografia ragionata nelle pagine che se-guono). La “Trilogia della zebra” è alle pp.359-391.[4] Ivi, p. 361.[5] Ivi, p. 370.[6] Ivi, p. 372.[7] Ivi, pp. 375-376.[8] Ivi, p. 377.[9] Ivi, p. 389.[10] Cfr. ivi, p. 390.[11] Evoluzione come fatto e come teoria,ivi, pp. 255-265. Su questo argomento siveda anche l’articolo di Angelo Abbondan-dolo in L’Ateo, n. 1/2011 (73), pp. 16-19.[12] È questo il titolo di una raccolta di pen-sieri sulla religione tratti dalle opere delgrande filosofo tedesco: Arthur Scho-penhauer, O si pensa o si crede. Scritti sullareligione, BUR, Milano 2000.

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LA LEZIONE DI STEPHEN J. GOULD

Nel ricordare i dieci anni della scom-parsa di S.J. Gould, si prova un certoimbarazzo tante e di tale valore sono leragioni per celebrarne la figura. Vor-remmo qui evocare soltanto un temacui Gould ha dedicato il suo ultimo li-bro, postumo, The Fox, the Hedgehogand the Magister’s Pox [1]: il tema delconflitto, vero o (come pensa Gould)presunto, tra il sapere scientifico e queisaperi disparati che vanno sotto ilnome di “umanità” (humanities in in-glese; humanités in francese), o disci-pline umanistiche. Se questo tema cisembra importante da riproporre, tra itanti trattati da Gould nella sua operasterminata, è innanzitutto a causa di unmotivo contingente: non avendo pro-blemi più seri cui dedicarsi, cioè aven-done troppi e provandone forse verti-gine, numerosi pubblicisti, filosofi escienziati italiani hanno riattivato unavecchissima disputa sul conflitto e il va-lore rispettivo delle “due culture”,scientifica e umanistica; come spessoaccade, la questione si riduce di fre-quente ad una disputa di Topi e diRane, cosicché finisce per venir occul-tato il problema meno contingente chesta dietro questi discorsi in genere fret-tolosi: qual è lo statuto delle scienze?Cioè: qual è il loro posto nelle diverseattività umane? Quali il valore e il sensodella loro pretesa ad una conoscenzaobiettiva della realtà?

Secondo Gould, le scienze e le umanitànon sono affatto in se stesse incompa-tibili e reciprocamente ostili; tuttavia,la comprensione di sé e del proprio sta-tuto che ciascuno di questi saperi haassunto nel corso della storia ha deli-neato sovente una dicotomia rigida eun dissidio insolubile. All’inizio dell’EtàModerna, e quindi all’epoca della rivo-luzione scientifica, questa compren-sione si è tradotta nella “Disputa degliantichi e dei moderni” che ha animatoscienziati ed eruditi di tutta Europa. Inbreve: l’Antichità greco-latina resta unmodello immutabile ed inarrivabile disapienza e di civiltà? Oppure, la cono-scenza crescendo con il tempo, si dà unprogresso del Moderno rispetto all’An-tico? Il che significa anche stabilire se

il primato tra i saperi spetti a quelli de-diti alla ricostruzione e interpretazionedei monumenti del passato, o a quelliche costruiscono nuove conoscenze per“ragionamenti” ed “esperienze”.

Questa contrapposizione corrispon-deva ad una strategia rivolta all’affer-mazione dei poteri e del valore dell’al-lora giovane razionalità scientifica, unasorta di promozione sociale volta a met-terne in luce il rapporto alla verità e al-l’oggettività. Il risultato fu però l’affer-marsi, in particolare nel XVIII secolo, diun’immagine delle scienze estrema-mente semplicista, e che si potrebbeben definire ideologica (Gould parla piùvolentieri di “mito”). Le scienze fini-rono per apparire come portatrici di unosguardo puramente oggettivo, puro diogni soggettività, in grado di accederedirettamente alla natura come essa èin sé liberandosi dei pregiudizi socialie culturali. In tal modo, i saperi rivoltialla contingenza storica e alla varietàdei modi della cultura umana non po-tevano che apparire come saperi di se-cond’ordine, confinati ad enumerareopinioni incerte invece di cogliere ilVero direttamente alla fonte (la Naturacome realtà oggettivamente data). Ilprogresso stesso del sapere apparivacome un cammino lineare verso una ve-rità obiettiva sempre meglio cono-sciuta, o come un’accumulazione di“fatti” in vista della ricostituzione delquadro oggettivo del Mondo – tali sa-ranno i “miti” del positivismo ottocen-tesco, che persisteranno nel ventesimosecolo (quando C.P. Snow lancerà, nel1959, la querelle sulle “due culture”),fino all’altroieri, quando dal mondo ac-cademico anglosassone si diffonderà loscontro, tutt’altro che epico, tra i so-stenitori di un oggettivismo semplici-stico e i partigiani della riduzione dellescienze a semplici sistemi di credenzeprivi di universalità e non differenti daqualunque altra forma culturale.

Gould dedica lunghe analisi a ciascunadi queste incarnazioni della dicotomiascienze/humanities: in particolare, se-gnaliamo la sua ricostruzione dei limitidelle tesi di Snow, il quale profetizzava

che la povertà nel mondo in via di svi-luppo avrebbe potuto essere vinta daun’adeguata formazione tecnologica edalla capacità innata degli scienziati acooperare e ad ascoltare il prossimo (p.101) – difficile non sorridere (amara-mente) di fronte a un vaticinio che le vi-cende della decolonizzazione, e diquelle post-coloniali, hanno brutal-mente smentito. Ma Snow non facevache formulare in modo “puro” e naïf ilmito oggettivista di un sapere scevrodi legami con la vita sociale e storica (equindi in grado di calare dall’alto per“riformarle”). In ogni caso, Gould ri-tiene che “il modo migliore per farla fi-nita con questa fraudolenta opposi-zione tra la scienza e le umanità consi-ste nel mostrare che il mito persistentea riguardo del metodo scientifico – vo-glio dire la leggenda secondo cui lascienza sarebbe un’attività oggettiva,nettamente distinta da ogni tipo di sog-gettività del tipo che sottende invecela creazione artistica o letteraria – sifonda su di un’idea falsa” (p. 116).

Gould propone di ritornare alle analisidedicate già all’alba dell’età modernada Francis Bacon – considerato in ge-nere come il nume tutelare della fedenel Metodo obiettivo – agli “ostacolimentali e sociali” (p. 118) da cui nonpossiamo mai liberarci interamente eche rendono impossibile l’accesso aduna obiettività “pura”. Per il paleonto-logo newyorkese, Bacon è stato “ilprimo sostenitore di una scienza consi-derata come un’attività pienamente

False opposizioni. Scienze e saperi “umanistici”secondo Stephen J. Goulddi Andrea Cavazzini, [email protected]

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umana, che emerge in modo del tuttonaturale dalle nostre abitudini mentalie dalle nostre pratiche sociali, ed ine-sorabilmente immersa nelle debolezzedella natura umana e nelle contingenzedella storia. Un’attività non separatama integrata, e tuttavia capace di farprogredire la nostra conoscenza delmondo esterno e il nostro accesso alleverità di fatto” (p. 118). Gould non negacertamente che la scienza sia in gradodi cogliere obiettivamente ciò che per-viene all’ambito delle proprie cono-scenze; e che questa capacità la distin-gua da altre forme culturali più contin-genti. Al tempo stesso, non bisogna di-menticare che essa è anche una formaculturale, e che l’obiettività non è undono del cielo, ma occorre che le suecondizioni siano costruite nel mezzodelle contingenze culturali, storiche eideologiche. La conoscenza obiettivanon è un dato né un miracolo inespli-cabile, ma il risultato di un’attività lacui singolarità non può essere com-presa senza verificarne i legami con al-tri modi dell’attività umana.

Ciò significa in primo luogo una cosa: lascienza non può essere compresa se noncome storia delle scienze, che è la storiadelle condizioni a cui l’oggettività dellaconoscenza è possibile: “Gli scienziatihanno cercato di ritrarre la loro propriastoria come un cammino continuo versola verità, scandito dalle fruttuose appli-cazioni di un Metodo universale la cuiunica funzione consisterebbe nellospazzar via gli ingombranti miti del pas-sato imposti dalla teologia o da altriostacoli sociali, e di accumulare i datiempirici necessari” (p. 123). In realtà, seè vero che esistono degli ostacoli socialie ideologici all’ottenimento della cono-scenza oggettiva, è invece falso chequest’ultima non richieda altro se non“guardare i fatti come essi sono vera-mente”. L’oggettività scientifica è il ri-sultato di un lavoro il cui intreccio con ilresto delle pratiche e delle idee di unadata epoca rende evidente che anche lecondizioni dell’oggettività, e non solo gliostacoli posti ad essa, sono di origine so-ciale. Qui non è possibile riprendere leanalisi che Gould dedica alle complessestratificazioni culturali, tecniche, ideo-logiche, ecc., che convergono nella co-struzione di una classificazione zoolo-gica. Diremo quindi che la presa d’atto diqueste stratificazioni invalida l’oggetti-vità delle classificazioni? Ma in nome dicosa potremo dirlo, dato che un qual-siasi ordine secondo cui disporre gli es-seri e i loro caratteri non è un fatto im-mediatamente visibile nelle “cose

stesse”, ma il risultato complesso di unaserie di opzioni inconsce e di “modi divedere” in cui si intrecciano abitudiniculturali, pregiudizi e interessi socialispesso inconfessabili? In realtà, non esi-ste un’obiettività assolutamente sepa-rata dall’efficacia di condizioni socialidate, ma solo un’obiettività costruita en-tro queste condizioni che sono anche ilcampo di battaglia della lotta contro ciòche all’oggettività si oppone.

Inoltre, il mito dell’oggettività assolutadel “fatto” riposa sull’idealizzazionedelle procedure della fisica matematica(in realtà ben più complesse, ma qui in-teressa solo il mito della fisica come“scienza ideale”), secondo cui lascienza mirerebbe solo a “riunire deifatti e proporre ipoteticamente delleteorie”. Gould ricorda che “la natura haanche dei modi di funzionamento chesfuggono a questo schema (…). La pra-tica della scienza occidentale ha forte-mente incoraggiato le tecniche quanti-tative e sperimentali ottimamenteadatte allo studio di sistemi relativa-mente semplici, isolando alcune varia-bili determinate e attenendosi all’inva-rianza di leggi naturali prive d’ogni ri-ferimento alla storia, ma che funzio-nano in modo predittibile in circostanzeben definite” (pp. 143-144).

In effetti, sarebbe possibile sostenereche gli approcci della fisica matema-tica sono più complessi e sottili delmodello esposto da Gould, che corri-sponde all’ideale deterministico diNewton-Laplace e che è poco coerentecon i modelli caotici e quantici, ma infin dei conti anche con la consapevo-lezza, risultante soprattutto dalla teoriadella relatività, che al concetto di leggepotrebbe essere preferito quello, piùformale e meno “sostanzialista”, disimmetria. In ogni caso, Gould ha per-fettamente ragione quanto al puntocruciale cui vuole arrivare: e cioè che lacomplessità e la contingenza giocano,nelle scienze del vivente, un ruolo in-comparabile a quello che si riscontra inqualunque tipo di teoria fisica: “Nume-rosi campi fattuali (…) fanno interve-nire sistemi complessi e contingenti(…) che non possono essere dedotti daleggi naturali identificate in laboratorioma dipendono essenzialmente dalletappe antecedenti del loro sviluppo. Lasequenza narrativa di queste tappepuò essere ricostruita a posteriori maresta fondamentalmente imprevedi-bile” (p. 144). Queste osservazioni coin-cidono con l’ampio quadro teorico deli-neato da Francis Bailly e Giuseppe

Longo nel loro libro Mathématiques etsciences de la nature (Hermann, Paris2006), in cui questa divergenza tra teo-rie fisiche e teorie biologiche è argo-mentata in modo che qui non possiamoriprendere: basti accennare al fatto chenello studio dell’evoluzione temporaledi un sistema vivente è impossibile de-finire a monte uno “spazio delle fasi”che riunisca tutti i parametri pertinentiper tale evoluzione, cosa che invece av-viene in fisica anche laddove il deter-minismo classico diventa previsionestatistica o semplicemente non dàluogo a previsioni a termine del com-portamento del sistema. In ogni caso,secondo Gould, le scienze della vitanon possono evitare un approccio cheimplica strumenti e pratiche intellet-tuali piuttosto simili a quelli degli sto-rici, e che solo un vizioso isolamentodelle discipline scientifiche ha potutofar considerare come estranei alla co-struzione dell’oggettività. La contin-genza propria alle scienze del viventerichiede e legittima degli “stili” cono-scitivi che il mito del Metodo e dell’Og-gettività non riescono a ricomprenderenei loro schemi.

Ma c’è una posta in gioco ulteriore delleposizioni di Gould, che va oltre i dibattitimetodologici volti a dare dell’attivitàscientifica un’immagine più ricca e com-plessa: è la sua convinzione che “qualiche siano i fatti naturali, i nostri desiderie la nostra ricerca di moralità e di sensoappartengono ad ambiti differenti – leumanità, le arti, la filosofia o la teologia– e non possono essere negati o soddi-sfatti dalle scoperte della scienza” (p.114). Questa posizione di Gould, in uncontesto storico in cui si (stra-)parla dietiche cognitive o darwiniane (cioèstrettamente selezioniste …) dovrebbeessere considerata come coraggiosa-mente razionalista: se la scienza ci for-nisce un sapere oggettivo, essa non puòdare indicazioni su quali dovrebbero es-sere i fini del nostro agire, i quali, ovvia-mente, non possono che implicare un ri-ferimento ineliminabile a colui che agi-sce. Inoltre, poiché la ricerca della cono-scenza è essa stessa un fine possibiledelle azioni umane, il problema si ponedel perché dovremmo preferirla alla con-servazione delle tradizioni o alle cre-denze nell’astrologia – questa prefe-renza non può essere argomentata inbase a dei dati di fatto: essa dipende daopzioni fondamentali che certamentedefiniscono le sorti di intere civiltà, mache ciascuno si trova di fronte sempre dinuovo nell’ambito limitato delle propriescelte vitali. Nessuno può pretendere di

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trovare nella struttura della realtà cono-sciuta o conoscibile la garanzia della giu-stezza delle proprie decisioni – questoprivilegio è caduto con la nascita dellascientificità moderna, che riesce ad es-sere oggettiva proprio perché non parlaa nessuno, e certamente non dei pro-blemi vitali che richiedono scelte e pre-ferenze. Queste considerazioni non sonocerto nuove: Max Weber aveva già dettocose simili all’inizio del XX secolo, maniente autorizza a credere che sia su-perfluo riprendere oggi il discorso.

Quando, come oggi spesso accade, sisente enunciare da etologi e biologi cheun’etica altruista e socievole sarebbe,se non fondata, almeno corroborata dalfatto che la “natura” avrebbe fattoomaggio di un’etica del genere ai no-stri cugini bonobo, la domanda che do-vrebbe sorgere spontanea è: in casocontrario, cosa cambierebbe? Se i bo-nobo non conoscessero che comporta-menti crudeli e sanguinari, questo fattoaccertato in cosa legittimerebbe la no-stra decisione di adottarne di analoghi?

L’impossibilità di dare una rispostasensata a questa domanda suggerisceche il successo mediatico di risultatiscientifici presentati sistematicamentecome fonti di una nuova consapevo-lezza etica si fondi su di un errore lo-gico; o, per citare ancora Gould: “Le re-gole morali non possono proveniredalle leggi empiriche della natura, nécontraddirle, poiché il discorso etico ri-posa su altre fondamenta e fa appelload altri criteri di validazione” (p. 246).Con “discorso etico” qui non vanno in-tesi gli insipidi slogan che circolanopresso l’opinione contemporanea (“ri-spettiamo l’altro”, “difendiamo la vita”,“conserviamo il paesaggio”, “rispet-tiamo la segnaletica stradale”, ecc.): bi-sogna invece intendere l’ambito mor-talmente serio in cui ciascuno è chia-mato a rispondere alla domanda “Cosadevo fare?”; o ancora: “Quali fini midevo prefiggere?”. Chi volesse trovareuna risposta nelle conoscenze scienti-fiche dovrebbe scegliere tra l’assurditàpura e semplice, e l’idea che, in fin deiconti, la realtà che le scienze descri-

vono contenga in sé stessa un’indica-zione etica – il che significa restaurareuna forma di pensiero pressoché mito-logica. Le discipline che Gould chiamahumanities non contengono certo ri-sposte immediate a questi interroga-tivi: ma la loro pratica può affinare lacomprensione di queste domande, lasensibilità alle loro implicazioni. È perquesto motivo che esse non vanno con-trapposte al sapere scientifico; e cheuna società (com’è largamente la no-stra attuale) che disprezza le “uma-nità” non potrà comprendere il signifi-cato delle scienze. E, simmetricamente,una società che riduca le scienze al lorobrutale valore contabile rischierà diperdere le proprie “umanità” – nelle di-verse accezioni di questa parola.

Note

[1] Inedito (significativamente) in Italia; nonavendo potuto procurarci un esemplare del-l’edizione originale, citeremo dalla tradu-zione francese, Le renard et le hérisson,Seuil, Paris 2005.

Biologia come arma socialedi Anna Maria Rossi, [email protected]

Chi pensa che Stephen J. Gould non ab-bia avuto una profonda influenza sullasua vita si sbaglia. Per quello che mi ri-guarda penso che Intelligenza e pregiu-dizio sia il libro che più segnatamentemi ha stimolato alla riflessione e gui-dato nel mio percorso di genetista. L’o-pera, il cui il titolo originale The mis-≤measure of man è molto più incisivo, èstata scritta nel 1981 e mentre la ri-guardavo in questi giorni pensavo chenel tempo non ha davvero perso losmalto, non solo per l’attualità dellequestioni che solleva, ma anche per lametodologia lucida e lineare che usaper smontare gli argomenti portati a so-stegno della visione determinista delladiversità umana, in particolare perquello che riguarda le capacità intellet-tive.

Il pensiero determinista si basa sullaconvinzione, infondata sul piano scien-tifico, che i fattori genetici determinino– interamente o quasi – le caratteristichedi un individuo e sul suo corollario che ledifferenze socioeconomiche siano un ri-flesso delle differenze biologiche innate,

peculiari di ciascuna classe, sesso o et-nia. L’artificio ha lo scopo di poter affer-mare che la scala sociale sia fondamen-talmente giusta e immodificabile.

Partendo dall’invenzione dei parametricraniometrici per stimare le capacità in-tellettive, Gould affronta un’analisi inci-siva di come, pur nella totale incapacitàdi dare una definizione credibile dell’in-telligenza, si sia pervicacemente ten-tato di darne una misura. Nella sua ras-segna non manca di stigmatizzare leimplicazioni sociali associate all’uso, omeglio all’abuso, dei test del QI (quo-ziente di intelligenza) e dei suoi derivaticome strumenti di discriminazione raz-ziale, sociale e sessista. Gould tratta lamateria dell’ineguaglianza con rigorescientifico, ma anche con grande pas-sione sociale e con tocchi di vera poesia,come in questa riflessione:

“Passiamo per questo mondo una sola volta.Poche tragedie possono essere più grandi delleacrobazie della vita, poche ingiustizie piùgravi della privazione della possibilità di lot-tare o anche di sperare, per un limite impo-

stoci dall’esterno, e falsamente identificatocome un limite intrinseco”.

Gould mette alla gogna senza pietà ilpregiudizio ideologico dei sostenitoridel determinismo biologico-geneticodell’intelligenza e delle differenze raz-ziali nelle caratteristiche morali e com-portamentali in generale, che è statoaccompagnato nella migliore delle ipo-tesi dall’ignoranza quando non dallamistificazione, fino ad arrivare in al-cuni casi all’aperta frode scientifica.La lezione che Gould ci dà nel riper-correre questi ultimi due secoli è cheil mito dell’obiettività della scienza,cresciuto in seno alla visione illumini-sta della scienza come veicolo di pro-gresso e che in qualche misura im-plica e sottintende la neutralità delloscienziato, ha fatto il suo tempo (e nonpochi danni). La scienza è basata sul-l’interpretazione dei dati che può es-sere fallace e gli scienziati non sono li-beri da condizionamenti ideologici,non sono gli apostoli della verità e“spesso non riescono a discernere ilpregiudizio che li guida verso una in-

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terpretazione tra le molte coerenti coni dati” come scrive Gould stesso.

Molti hanno riconosciuto al libro tutte lequalità per essere definito un capola-voro, anche se già dalla prima edizionegli è costato un implacabile scontro coni suoi avversari che è durato fino alla suamorte, e oltre. La polemica nei suoi con-fronti si è particolarmente inaspritaquando è stata pubblicata la versionedel 1997 in cui Gould rivede ed estendeampiamente il testo per lanciare una vi-gorosa offensiva contro le affermazionipseudoscientifiche contenute in The bellcurve di Richard J. Herrnstein e CharlesMurray (1994), di cui un piccolo saggio:

“Le differenze in QI sono geneticamente de-terminate e non dipendono dallo stato socio-economico o dal livello di istruzione … Il livellodi intelligenza di un individuo è un buon pre-dittore del suo stato socio-economico e dellasua propensione alla criminalità … L’élite conalto QI ha una predisposizione genetica ad oc-cupare i posti migliori nella società … Il pro-gresso della civiltà umana è in gran parte me-rito dei bianchi e della loro intelligenza supe-riore”.

La controversia su quanto del compor-tamento umano si possa considerare in-nato, cioè biologicamente o genetica-mente determinato, e ciò che invece siaacquisito, cioè plasmato dall’ambiente,dalle esperienze e dalla formazione in-dividuale è stata definita “nature versusnurture” da Francis Galton, il fondatoredella psicometria, nel 1874. Trent’annipiù tardi, il suo seguace Charles E.Spearman, introduce il con-cetto di “fattore g”, o fat-tore di intelligenza gene-rale, per esprimere il fattoche le persone che mo-strano buone capacità inun’abilità intellettuale (adesempio, l’abilità verbale)tendono ad avere buoneprestazioni anche in altricampi (per esempio, la me-moria spaziale). Nel modellodi Spearman un unico fat-tore generale sarebbe re-sponsabile delle prestazioniindividuali in tutti i compiticognitivi. A dare manforte aGould nel contestare la rei-ficazione dell’intelligenza el’idea stessa che l’intelli-genza possa essere misu-rata scendono in campoanche Leo J. Kamin, Ste-ven Rose e Richard C.Lewontin [1].

Al giorno d’oggi la diatriba “natureversus nurture” dovrebbe apparire su-perata, giacché, si spera, tutti dovreb-bero essere ormai convinti che nellosviluppo e nel funzionamento del SNC(Sistema Nervoso Centrale) si inte-grano l’azione dei geni e gli effetti del-l’ambiente, che insieme modellano etraducono la nostra esperienza quoti-diana in comportamenti complessi. Cidovrebbe essere accordo anche sulfatto che di intelligenze ne esistonomolte e diverse, tra cui una logico-ma-tematica, una verbale, una spaziale,una musicale e così via, e che non ne-cessariamente chi si distingue in una,per eccesso o per difetto, debba di-stinguersi in tutte.

Oggi è generalmente accettato che ilsubstrato neurobiologico delle funzionicognitive risieda nel continuo rimodel-lamento delle reti neurali, in particolarea livello della corteccia [2]. La plasticitàsinaptica mantiene la capacità dellacellula nervosa di reagire prontamenteal proprio ambiente, attivando nuovipercorsi metabolici e nuove connes-sioni al bisogno. Crolla quindi ogni ipo-tesi deterministica: i geni forniscono ilsupporto per innumerevoli percorsi disviluppo e contribuiscono al rimodella-mento per tutto il corso della vita sullabase delle informazioni che vengonovia via acquisite ed elaborate [3]. Il si-stema nervoso quindi non può esserevisto altro che come il risultato dell’in-tegrazione tra ciò che è “innato” e diciò che è “acquisito”. Come affermaRichard Lewontin [4]:

“L’uomo è assai più che la somma dei suoigeni e non solo perché siamo il risultato di unacomplessa interazione tra geni e ambiente,ma anche e soprattutto perché, da un puntodi vista biologico, il nostro cervello è il risultatounico e irripetibile di processi di sviluppo nondeterministici e in gran parte stocastici …Questi processi sono guidati, ma non deter-minati, dai geni e quindi non interpretabili conil modello secondo il quale lo sviluppo consi-ste nella “decodificazione di un programmaprefissato contenuto nel nostro DNA … Am-messo che nel nostro DNA sia scritto il nostrofuturo, non possiamo, non tener conto delfatto che «parole identiche hanno significatidiversi in contesti differenti e funzioni molte-plici anche nello stesso contesto»”.

Ma, alcuni vogliono ancora sostenerel’idea che possa esistere un piano pre-stabilito (blueprint) di relazioni tra i neu-roni e che geni specifici siano capaci didirigere e organizzare direttamente lefunzioni di ciascun processo cognitivo. Ifautori di questa ipotesi hanno gene-rato una considerevole aspettativa chesi potessero identificare specifici geniimplicati nei processi cognitivi. Alcunipsicologi – in genere i genetisti sonopiù cauti – hanno perfino profetizzatoche si potrebbe presto essere in grado dicostruire una mappa genetica delle fun-zioni cognitive più o meno direttamentea partire dai geni e dai loro prodotti pro-teici. I recenti sviluppi della genetica edella biologia molecolare hanno effetti-vamente permesso di studiare molti pro-cessi cognitivi a livello molecolare edhanno fornito nuove basi ad ipotesi edinterpretazioni nel campo della psico-

biologia. Tuttavia, la spe-ranza di riuscire a trovarespiegazioni semplici si è ri-velata vana e decenni di ri-cerca hanno portato a risul-tati a dir poco deludenti, percui è stato ipotizzato che igeni implicati siano molti(troppi? – tutti?) e che cia-scuno singolarmente abbiaeffetti così modesti, da ri-sultare indeterminati. Unodei principali limiti dipendedal fatto che non è stato ri-solto un problema sostan-ziale, cioè quello della defi-nizione del carattere in stu-dio: un gene non codifica di-rettamente per uno speci-fico comportamento, ma perun componente cellulare,che a sua volta intervienein numerosi processi [5].Questi studi rafforzano l’i-dea che lo sviluppo delle

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abilità cognitive sia molto robusto difronte ai difetti genetici e agli attacchiambientali e che non basti una singolainsufficienza per comprometterlo. L’i-potesi è che esista una forte “canaliz-zazione”, cioè che esistano una serie digenotipi in grado di produrre lo stessofenotipo e che un controllo epigenetico[6], cioè un “sistema di programmazionereversibile”, intervenga a regolare i pro-cessi di plasticità neuronale, rendendolimolto flessibili e capaci di rispondere intempi brevi agli stimoli esterni [7].

Particolarmente interessante dal puntodi vista epistemologico è la storia dellanascita e della metamorfosi dei cosid-detti test d’intelligenza, che costitui-scono una buona parte del libro. Lo psi-cologo Alfred Binet, su incarico del mi-nistero dell’istruzione francese, si posecome obiettivo di valutare l’efficacia delsistema scolastico misurando le presta-zioni degli studenti, soprattutto negliambiti linguistico e logico/matematico,con la convinzione che si possano otte-nere migliori risultati con appropriati in-terventi educativi di supporto. La cosid-detta “scala Binet-Simon” (1905) nascequindi con la finalità di esaminare inmodo comparativo l’apprendimento enon l’intelligenza dei ragazzi in età sco-lare. Questi obiettivi vengono completa-mente snaturati quando il test passal’Atlantico e approda a Stanford: LewisM. Terman e la sua scuola rielaborano lascala, asserendo che sia uno strumentoidoneo per misurare l’intelligenza indi-viduale. Con questo test chiamatoStanford-Binet Intelligence Scale, si get-tano le basi per i test d’intelligenza an-cora oggi usati, conosciuti come test delQI. Ma è a Henry H. Goddard che si deveil successivo passaggio che porta all’usoestensivo e discriminatorio del test, chene travisa del tutto le finalità e trascuracompletamente le raccomandazioni dellostesso Binet sul suo uso corretto. God-dard, che appartiene alla scuola euge-netica americana, non solo considera ipunteggi del test come misure reali del-l’intelligenza, ma considera quest’ultimacome una caratteristica innata e immu-tabile dell’individuo. Per prevenire il ri-schio che individui poco dotati, secondoGoddard inadatti alla società, possanotrasmettere alle generazioni successiveun basso livello di intelligenza, i sog-getti con un basso punteggio di QI de-vono essere messi in condizione di nonprocreare, sterilizzati o isolati, o en-trambe le cose. Goddard è anche ilprimo a suggerire di sottoporre ai testgli immigrati appena sbarcati a EllisIsland, dopo la traversata transocea-

nica. I punteggi sono così scarsi che loportano a concludere che quegli immi-grati avrebbero inevitabilmente corrottola popolazione americana: su questabase viene promulgata la legge restrit-tiva sull’immigrazione del 1924. I risul-tati ottenuti con il test fin dall’inizio sonostati contestati in quanto scientifica-mente inattendibili e lo stesso Carl Bri-gham, associato allo studio, ne ritrattapiù tardi le conclusioni che gli immigratidell’est e del sud Europa sono meno in-telligenti degli europei del nord-ovest,l’argomento chiave sulla base del qualeviene limitato l’accesso agli immigrantiprovenienti dall’Italia e dalla Polonia,che presumibilmente ottengono un piùbasso punteggio perché più poveri eignoranti, ma non per questo meno in-telligenti.

Al di là del fatto che, come abbiamo vi-sto, bisognerebbe definire meglio checosa si intende per intelligenza ed es-sere certi che questa sia misurabile eche il QI ne possa essere una misura –cosa che molti ormai mettono in dubbio– resta il fatto inconfutabile che, co-munque formulati, i test di intelligenzanon forniscono una stima delle capacitàintellettuali innate o ereditabili. I testd’intelligenza, per il modo stesso in cuisono stati disegnati, tendono e misu-rano l’abilità di utilizzare cognizioni ac-quisite, che dipendono fortemente dalleopportunità di apprendimento pre-gresse (grado di scolarizzazione e/o diacculturazione). Per quanto concernel’ereditabilità, studi sui gemelli hannomostrato che diverse abilità cognitivehanno un diverso grado di ereditabilità,sempre abbastanza elevato, seppurecon notevoli disparità nelle stime otte-nute da diversi autori. Va detto, però,che queste stime si basano su misuresoggette ad errori anche molto grosso-lani, dovuti fondamentalmente al fattoche l’oggetto della misura è mal definito.

Gould ha avuto stuoli di detrattori e op-positori, praticamente su ogni aspettodella sua multiforme attività scientificae politica, anche se in nessuno di essi ildibattito è stato così acceso come quellosollevato intorno a Intelligenza e Pre-giudizio. Al pari del suo impegno vee-mente contro l’oscurantismo creazioni-sta e la sua sfida contro la sociobiologia,della sua adesione ai movimenti per i di-ritti civili dei neri e alle campagne per lagiustizia sociale, è stata instancabile lasua battaglia per sdoganare lo studiodella biologia delle facoltà cognitive daltunnel dogmatico del pensiero determi-nista, per delegittimare le pretese scien-

tifiche del razzismo e dei suoi artificiosicorollari: la discriminazione e la sopraf-fazione, la disuguaglianza delle razze,delle classi e dei sessi, la guerra e l’op-pressione capitalista.

Ma Gould non è stato solo nelle sue bat-taglie, anzi è stato appoggiato da unaschiera di scienziati, come i sodali diScience for the People e del SociobiologyStudy Group, tra cui Kamin e Lewontin.Si pone dalla stessa parte Luigi LucaCavalli-Sforza che, studiando per de-cenni la diversità genetica delle popo-lazioni umane, arriva a mettere in di-scussione i presupposti stessi che cisiano significative differenze genetichetra le razze umane, fino a giungere allaconclusione che è l’idea stessa di razzaa non avere significato biologico [8].

Gould affonda spietatamente il bisturiper stigmatizzare le argomentazionipseudoscientifiche usate a sostegno delcosiddetto razzismo scientifico. Eppure,l’argomento scientifico non è sufficientead estirpare il razzismo come, pur-troppo, abbiamo modo di constatare intanti frangenti della nostra vita quoti-diana. Ci vorrà molto tempo per scon-figgere i pregiudizi che fanno ancoraprofondamente parte del nostro retag-gio culturale e che c’inducono a fare opensare cose razziste … e se solo pren-diamo atto di quanto siano profonda-mente impressi nella nostra mente enella nostra cultura siamo già un passoavanti.

Questa idea pervasiva che si affermanel XIX secolo e che tenacemente resi-ste per tutto il XX secolo, a dispetto delfatto che il progredire delle conoscenzein campo biologico, ed in particolare nelsettore delle neuroscienze, l’abbiano deltutto screditata, è dura a morire. Comedura a morire è l’idea che il nostro de-stino sia scritto nei nostri geni. La mag-gior parte dei nostri caratteri non è de-terminata solo dai nostri geni, ma ri-sente dell’interazione e delle influenzereciproche tra forze interne ed esterne,è fortemente influenzata dall’ambientein cui cresciamo e viviamo, da tutte leesperienze che facciamo quotidiana-mente e che modificano il funziona-mento dei nostri geni in qualsiasi mo-mento della nostra vita. Con questo nonsi vuol negare l’importanza dei geni, mala componente ereditaria stabilisce soloi limiti di quello che possiamo essere odiventare mentre quello che siamo è ilrisultato delle complesse interazioni traciò che è dentro e ciò che è fuori di noi.Come scrive Guido Barbujani [9]:

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“Non tutti abbiamo gli stessi limiti e non tuttiallenandoci sistematicamente vinceremmo ilpremio Nobel o il Tour de France ma con unabuona alimentazione si diventa mediamentepiù alti e basta confrontarsi con i propri nonniper accorgersene. Però nessuno diventerà altotre metri perché per quella statura ci vorreb-bero i geni che noi non abbiamo (e le giraffe sì)… Le nostre capacità di calcolo e di ragiona-mento sono vaste ma non infinite, ma con l’e-sercizio possiamo ampliarle … ma oltre il no-stro limite non possiamo andare …”.

Così Richard Lewontin e Richard Levinsricordano Gould alla sua morte:

“La vita pubblica politica ed intellettuale diSteve Gould è stata straordinaria, se nonunica. In primo luogo, era un biologo evolutivo

e storico della scienza il cui lavoro intellet-tuale ha avuto un grande impatto sulla nostravisione del processo dell’evoluzione. In se-condo luogo, egli era di gran lunga il più notoe influente divulgatore scientifico che abbiamai scritto per il grande pubblico. In terzoluogo, era un attivista politico coerente a so-stegno del socialismo e in opposizione a tuttele forme di colonialismo e di oppressione” [10].

Quante di queste cose si soffermava adiscutere Gould ad Harvard con gli stu-denti del suo corso “Biologia come armasociale”?

Note

[1] Il gene e la sua mente. Biologia, ideologiae natura umana, 1983.

[2] Nel corso dei primi mesi dopo la nascita laplasticità è massima e si sviluppano innu-merevoli reti neurali, potremmo dire “poten-ziali”, che successivamente subiscono unafase di “potatura”, in cui le connessioni inu-tilizzate vengono allentate, mentre quelleusate vengono consolidate. Oltre al poten-ziamento o l’eliminazione di sinapsi già pre-senti, la plasticità prevede anche la forma-zione di nuove connessioni e perfino la proli-ferazione di neuroni, anche nel cervelloadulto.[3] A. Karmiloff-Smith, The tortuous routefrom genes to behavior: A neuroconstructivistapproach, Cognitive, Affective, & BehavioralNeuroscience 2006, 6 (1): 9-17.[4] Il sogno del genoma umano e altre illusionidella scienza, 2004.[5] D.V.M. Bishop, Genes, Cognition, andCommunication Insights from Neurodevelop-mental Disorders, Annals of the New YorkAcademy of Sciences – The Year in CognitiveNeuroscience 2009, 1156 (1): 1-18.[6] Il concetto generale di “paesaggio epige-netico” è stato articolato per primo dal bio-logo dello sviluppo Conrad Waddington, chelo usò per spiegare come genotipi identici po-tessero dispiegarsi in una vasta gamma di fe-notipi al procedere dello sviluppo (Wadding-ton, 1957). Con il tempo, il concetto di Wad-dington di “paesaggio fenotipico” ha assuntoulteriori significati: “cambiamenti nell’e-spressione genica che sono potenzialmenteereditabili ma non comportano cambiamentidella sequenza di DNA”.[7] E. Borrelli, E.J. Nestler, C.D. Allis, P. Sas-sone-Corsi, Decoding the Epigenetic Lan-guage of Neuronal Plasticity, Neuron 2008,26; 60 (6): 961-974.[8] Le sue tesi sono rese in termini accessibilial grande pubblico in “Chi siamo. La storiadella diversità umana” (1993) e in “L’inven-zione delle razze. Capire la biodiversitàumana” (2006) del suo allievo e collaboratoreGuido Barbujani.[9] L’invenzione delle razze, 2006.[10] R. Lewontin e R. Levins, Stephen JayGould — what does it mean to be a radical?Monthly Review 54 (Nov. 1, 2002) (http://monthlyrview.org/2002/11/01/stephen-jay-gould).

Anna Maria Rossi è docente di Genetica eGenetica Umana presso la Facoltà diScienze Matematiche Fisiche e Naturali,Università di Pisa. Svolge la sua attività di ri-cerca nell’ambito del Dipartimento di Biolo-gia, dove s’interessa principalmente dellostudio del ruolo della diversità geneticaumana nella suscettibilità alle malattie, inparticolare al cancro. Si dedica da anni alladidattica e alla divulgazione scientifica conl’intento di fornire ai giovani gli strumentirazionali necessari per lo sviluppo del pen-siero libero da ogni condizionamento ideo-logico, morale o religioso. Rifugge da qual-siasi visione dogmatica e spera che in un fu-turo non troppo lontano il nostro diventi unPaese laico e progressista.

STEPHEN J. GOULD, Intelligenza e pregiudizio. Contro i fondamenti scientifici del raz-zismo, ISBN 88-515-2141-7, Il Saggiatore, Milano 1998, pagine 382, € 10,50.

Il libro ricostruisce tre secoli di “profonde e istruttive falsità (non degli errori sciocchie superficiali) contenute nell’origine e nella difesa della teoria dell’intelligenza unita-ria, linearmente classificabile, innata e pressoché inalterabile” (p. 19). Le tappe prin-cipali di questo percorso storico sono in primo luogo la craniometria del XVIII secoloassociata all’idea di poligenesi delle razze umane (ossia l’idea che le razze umanesiano specie biologiche separate, sostenuta ad esempio da Agassiz, chiaramente fun-zionale alla pratica dello schiavismo) contro cui si pronunciò lo stesso Darwin. In se-condo luogo, la craniologia inaugurata da Francis Galton e sviluppata soprattutto daPaul Broca e dalla sua scuola nella seconda metà del XIX secolo, associata a quella par-ticolare versione dell’evoluzionismo che è la “ricapitolazione”, ossia l’idea riassuntadalla formula secondo cui “l’ontogenesi ricapitola la filogenesi”.

Questo “ottenebrante scioglilingua” (p. 120) coniato da Ernst Haeckel allude al fattoche lo sviluppo del singolo organismo dall’uovo all’individuo adulto (ontogenesi) ri-produrrebbe il percorso del progresso evolutivo delle specie (filogenesi) attraver-sando una serie di stadi che rappresentano forme ancestrali adulte. L’uso ideologicodella ricapitolazione, che fu una “fra le idee più influenti della scienza del tardo XIXsecolo” (ivi), consiste nella sua applicazione a una presunta scala evolutiva umanache vede al vertice il maschio bianco adulto rispetto a ordini inferiori rappresentatidai “primitivi”: i neri e altre etnie socialmente segregate, in primo luogo, ma anchele donne. Gli adulti “primitivi” vengono in questo quadro considerati “più infantili”,giustificando così il loro bisogno di tutela – di fatto, le pratiche imperialiste e ma-schiliste di dominio.

Infine, viene analizzata l’origine, la diffusione e gli esiti contraddittori della teoriaereditaria del QI, un’“invenzione americana”, dovuta in realtà alle buone intenzionidel francese Alfred Binet che intendeva semplicemente identificare con un metodofacilmente praticabile i bambini bisognosi di sostegno scolastico, ma sviluppata e“sovvertita” dagli innatisti americani che consideravano l’intelligenza una qualitàtotalmente ereditaria e soprattutto identificavano l’ereditarietà con l’ineluttabilitàe la sostanziale immodificabilità. Il maggior divulgatore della scala di Binet in Ame-rica fu Goddard, che se ne servì per identificare i “moron” (idioti) soprattutto nellapopolazione immigrata – e che tuttavia ritrattò le proprie posizioni negli ultimi annidella sua vita. La diffusione di massa negli Stati Uniti dei test del QI (che si deve prin-cipalmente a Terman e che Gould smonta e analizza in modo approfondito) con-dusse a forme di discriminazione xenofoba e a provvedimenti eugenetici.

Al di là della ricostruzione storica, Gould critica a fondo i presupposti concettuali diogni sociobiologia: generalizzare comportamenti specifici e considerarli eterni inquanto codificati nei nostri geni significa sottovalutare la flessibilità del comporta-mento che “è il marchio dell’evoluzione umana”.

Maria [email protected]

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LA LEZIONE DI STEPHEN J. GOULD

Stephen Jay Gould, nato nel 1941 dauna famiglia ebraica laica e morto nel2002, è senza dubbio uno degli scien-ziati che più hanno contribuito allo svi-luppo delle teorie dell’evoluzione com-battendo per tutta la vita contro la con-cezione meccanica della vita da un latoe i creazionisti dall’altro. Gould, comeCharles Darwin, era un agnostico ra-zionalista e sosteneva che scienza e re-ligione possono convivere perché ap-partengono a due aree di pensiero to-talmente diverse. Scriveva Gould

“La rete della scienza copre l’universo em-pirico studiando come è fatto e perché ècosì. La rete della religione ha a che fare coni significati morali e i valori. I due magisterinon si sovrappongono né rispondono a tuttele domande … Noi scienziati calcoliamo l’etàdelle rocce e la religione ha le rocce delle età;noi studiamo dove vanno i cieli e loro comesi fa ad andare in cielo. Queste due aree po-trebbero restare pulite e nette se i due ma-gisteri della scienza e della religione fosseroseparati da una vasta area vuota.” … “Que-sto non significa naturalmente che non cisiano conflitti fra religione e scienza soprat-tutto se la religione è presa alla lettera e cioèviene considerata un credo per il quale cisono veramente interventi miracolosi di Dionella storia e che rifiuta di accettare gli in-contestabili dati che confermano l’esistenzadella evoluzione. Questo comportamentosuperstizioso che mette erroneamente in-sieme i due magisteri provoca una reciprocainimicizia … Se invece la religione viene in-tesa in senso stretto e cioè o come un tei-smo filosofico libero dalle superstizioni ocome un umanesimo secolare basato sunorme etiche”,

secondo Gould non ci sono conflitti. Inquesto, come in tanti altri casi Gould èsimile a Charles Darwin che, in una let-tera ad Asa Gray del 1873, diceva: “…in realtà io non sono mai stato ateo nelsenso di negare l’esistenza di Dio. Ingenere credo sempre di più ma nonsempre, mano a mano che invecchio,che il termine agnostico sarebbe quelloche descrive meglio il mio stato d’a-nimo”. E in un’altra lettera: “Il vecchioconcetto di un disegno nella Natura,come lo espone Paley che un tempo misembrava incontrovertibile, è fallito ora

che è stata scoperta la legge della se-lezione naturale. Non possiamo più so-stenere ad esempio, che la meravi-gliosa forma della cerniera di una con-chiglia bivalve sia stata fatta da un es-sere intelligente, come quella di unaporta”.

Così pensava anche Gould, attaccandoi suoi nemici veri e cioè i creazionistituttora molto forti negli USA dai primidel Novecento, quando nel 1925 il fa-moso John Scopes, professore di scuolaa Dayton, fu giudicato colpevole perchéinsegnava che gli esseri umani si sonoevoluti. Le cose sono poi cambiate perla presenza nella Costituzione degliStati Uniti di una legge che vieta l’in-segnamento della religione nella scuolapubblica, ma ottanta anni dopo, nel2005, il conflitto si è riaperto perché neldistretto scolastico di Dover, in Penn-sylvania, L. Kitzmiller ha convinto ilconsiglio del Distretto a firmare una di-chiarazione che metteva alla pari ilcreazionismo e l’evoluzionismo. Anchein questo caso la ragione vinse, peropera del giudice Jones, religioso pra-ticante. Purtroppo la disputa non è maifinita, tanto che anni fa lo studio dell’e-voluzione è stato soppresso per operadel Ministro della Pubblica Istruzione,Moratti. Il fatto più preoccupante è che,ci dice J.A. Coyne, nel 2006, a un son-daggio che chiedeva se “gli esseriumani di oggi si sono sviluppati a par-tire da specie animali più antiche” soloil 40% delle persone ha risposto affer-mativamente mentre il 39% era contra-rio e il resto senza opinione. In Turchiala situazione è peggiore perché solo il25% ammette l’evoluzione; non è moltoconfortante in Inghilterra (48% evolu-zionista), meglio in Francia (80% di sì)e in Giappone (78% di sì).

Gould è stato il più strenuo difensoredell’evoluzionismo anche se, come ve-dremo, ha dovuto difendersi quandoassurdamente i creazionisti citavanolui, insieme a Niles Eldredge, come lepersone che avevano definitivamentesconfitto la teoria Darwiniana dell’evo-luzione. Anche nella battaglia contro icreazionisti Gould ha seguito l’inse-gnamento di Darwin che ha scritto

nella Origine dell’uomo: “Io avevo dueobiettivi distinti: prima di tutto dimo-strare che le specie non sono statecreate separatamente e inoltre che laselezione naturale è il fattore fonda-mentale del cambiamento … Per cui seho sbagliato esagerando il potere dellaselezione naturale … ho almeno, spero,reso un buon servizio aiutando la eli-minazione del dogma delle creazioniseparate”. Gould molto dopo dice: “SeDio ha creato una mezza dozzina dispecie umane una ad una, perché hagenerato una sequenza temporale dispecie con caratteristiche sempre piùmoderne, accrescendo la capacità cra-nica, riducendo la faccia e i denti, au-mentando le dimensioni del corpo?”.

Anche da questa frase si vede cheGould difendeva l’evoluzione dai reli-giosi da due punti di vista, ambeduecruciali per la visione teologica. Primadi tutto riteneva, in coerenza con il suopensiero agnostico, che negare l’evolu-zione significasse un mescolamento il-lecito fra religione e scienza ed è perquesto che discuteva il cosiddetto“creazionismo scientifico”. Negli StatiUniti questo era forte anche grazie alla“teoria” del cosiddetto disegno intelli-gente, unica spiegazione della grandecomplessità dei sistemi viventi e del fi-nalismo che vede l’evoluzione come unprocesso che “tende a …” gli esseriumani. Purtroppo quest’ultima affer-mazione non è solo degli estremisti maanche di cattolici molto più dialogantiche, spesso basandosi sull’opera diTheilard de Chardin, accettano un pro-cesso evolutivo come estensione neltempo della Creazione, ma lo vedonocome diretto gradualmente alla nascitadella nostra specie. Dice Gould: “Il fi-nalismo e cioè il controllo di fini preor-dinati non è interamente morto. Il‘punto-omega’ del paleontologo ge-suita Theilard de Chardin trae da que-sto modo di pensare la sua recente po-polarità mentre il ‘gospel’ della evolu-zione umana nella versione di Clarke-Kubrick è diventato il tema più impor-tante”. Un esempio del creazionismo‘duro’ è invece quello del libro di DuaneGish (“scienziata creazionista”): “Percreazione noi intendiamo la creazione

Un evoluzionista agnosticonel dibattito fra scienza e religionedi Marcello Buiatti, [email protected]

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da parte di un Creatore sovrannaturaledelle specie di piante ed animali con unprocesso di istantanea creazione. Nonsappiamo come ha agito il Creatore,quale processo ha usato perché hausato processi che ora non sono opera-tivi da nessuna parte dell’Universo na-turale. Questa è la ragione per cui con-sideriamo la creazione una creazionespeciale e non possiamo scoprire nullasui processi creativi usati dal Crea-tore”.

L’arguta risposta di Gould a questa af-fermazione è: “Per favoreDr. Gish, alla luce di questafrase, ma allora cosa è il‘creazionismo scientifico’?Se infatti la scienza, con isuoi processi di ipotesi, ana-lisi o esperimento, even-tuale falsificazione dellaipotesi e modificazione diquesta in un continuo cam-biamento, punta a capire iprocessi, invece il dogmateologico può tranquilla-mente essere seguito da chicrede ma niente ha a chefare con la scienza”. Inrealtà, come dice Gould, gliscienziati considerano i di-battiti sulle basi fondamen-tali d’ogni teoria come se-gno di salute intellettuale efonte di vitalità.

Dice ancora Gould: “LaScienza è – e come potreidirlo diversamente? – il massimo diver-timento quando gioca con idee interes-santi, esamina le loro implicazioni e ri-conosce che la vecchia concezione puòessere spiegata in modi sorprendente-mente diversi. Ebbene, la teoria dellaevoluzione è in uno stato di eccezionalerilevanza eppure in tutta questa situa-zione vorticosa nessun biologo ha maidubitato che la evoluzione ci sia stata:noi discutiamo soltanto su come è av-venuta”. E ancora:

“Chi è esterno al dibattito attuale può es-sere scusato se sospetta che i creazionistiabbiano detto qualcosa di nuovo o che fragli evoluzionisti sia sorto qualche problema.Ma niente è cambiato: i creazionisti nonhanno presentato nessun fatto o concettonuovo … La crescita del creazionismo è po-litica, pura e semplice (e di nessuna impor-tanza). Argomenti che sembravano interes-santi dieci anni fa ora non lo sono più”. “Glievoluzionisti non pretendono di dare la ve-rità perpetua mentre i creazionisti spesso lofanno (e poi ci attaccano per un tipo di ar-

gomentazione che loro stessi favoriscono).Nella scienza, ‘fatto’ può solo essere consi-derato tale se è stato confermato in modotale che sarebbe perverso dare un assensodubitativo”.

Non a caso, quelli del “disegno intelli-gente”, fuori dalla scienza mentre at-taccavano Gould e altri evoluzionisti,ne citavano i lavori come se avvaloras-sero la debolezza della ipotesi evolu-zionista. Questo anche perché Gould eEldredge, come combattevano il dog-matismo religioso dei creazionisti, si

rendevano anche conto che “è vero chegli scienziati sono stati spesso dogma-tici ed elitari. È vero che abbiamospesso permesso immagini pubblicita-rie che ci rappresentano come individuicon il camice bianco con la dizione: ‘Gliscienziati dicono che il Marchio X levai foruncoli dieci volte prima di …’. Nonabbiamo combattuto abbastanza que-sti comportamenti perché ricaviamodei benefici dal presentarci come nuovipreti”.

L’obiettivo di queste affermazioni erala trasformazione subita dalla teoriadarwiniana rivista nel Novecento, se-colo in cui fioriva la concezione mecca-nica della vita che negli anni ’70 si tra-dusse nel “dogma laico” di JacquesMonod che chiamava “invariante fon-damentale” il DNA, nuovo idolo tragi-camente trasformato in magico stru-mento determinista degli organismi edei loro destini. Questa trasformazione,più religiosa che scientifica, è stata ilbersaglio di Gould anche perché il de-

terminismo del DNA è stato utile per ilrazzismo, così come l’altrettanto dub-bio determinismo dei geni dell’iniziodel Novecento è stato usato a supportodelle stragi naziste con l’aiuto di scien-ziati del gruppo che Gould combatteva,fra cui persino Konrad Lorenz, purgrandissimo etologo. Gould, che si ba-sava sempre sui dati empirici per avva-lorare o combattere le teorie, è stato co-stretto a combattere sul fronte creazio-nista, ma anche su quello neo-darwi-niano, spesso confuso con la teoria diDarwin. Gould criticava la corrente

“moderna” neo-darwinianadi pensiero per il suo dog-matismo e per gravi erroriscientifici; criticava il con-cetto di gradualismo delprocesso evolutivo e il de-terminismo dei geni as-sente in Darwin che, nell’e-lencare i fattori del cambia-mento, includeva anche l’ef-fetto diretto o indiretto del-l’ambiente.

In particolare Gould e El-dredge, con la loro teoria de-gli “equilibri punteggiati”,contestavano il concetto diun’evoluzione lentissima egraduale delle popolazioninella direzione della ottimiz-zazione dell’adattamento adun ambiente che i popola-zionisti come Sir R.A. Fisher,consideravano costante. Se-condo il neo-darwinismo, in-

fatti, la formazione delle diverse specienon era avvenuta per drastici cambia-menti delle specie precedenti, ma permodificazioni continue e lente delle fre-quenze relative dei varianti dei singoligeni. Diceva Gould: “Il gradualismo nonci ha convinto quando è diventato undogma restrittivo che esclude a priori idati che potrebbero inficiarlo. AncheDarwin ha dovuto ritirarsi dal bell’al-bero del gradualismo puro che aveva di-segnato nella prima edizione della Ori-gine. Per questo aggiunse, nella quartaedizione, la frase: ‘È molto più probabileche ogni forma resti inalterata per lun-ghi periodi e poi vada incontro a modi-ficazioni’”. Il lavoro di Gould e Eldredgeha dimostrato che l’evoluzione modificanel tempo la forma delle diverse specie,con periodi di cambiamento lento inter-vallati da “salti” o da improvvise acce-lerazioni. Gould, oltre ad accumularedati a sostegno di questa ipotesi, haproposto che le nuove specie si forminonon solo per modificazione di frequenzedei varianti dei geni, ma per il cambia-

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STEPHEN J. GOULD, I pilastri del tempo, ISBN 8842808792, Il Sag-giatore (Collana Nuovi Saggi), Milano 2000, pagine 219, € 14,46.

Per me, che sono da tempo e continuo comunque ad essere ungrandissimo ammiratore di Stephen Jay Gould (come scienziato),la lettura de “I pilastri del tempo”, scritto dal grande paleontologoamericano poco prima della sua scomparsa, è stata una grossa de-lusione. In questo libro Gould sostiene che la religione e la scienza(nel senso delle “scienze naturali”) sarebbero “i due pilastri deltempo” (pag. 194: da qui il titolo dell’opera), fra i quali dovrebbevigere il principio dei “magisteri non sovrapposti” (MNS), occu-pandosi ciascuna di esse di questioni ben distinte e non recipro-camente interferenti, così pretendendo di ridurre del tutto arbi-trariamente ed infondatamente tutte le “scienze umane”, ed inparticolare la filosofia e l’etica, alla sola religione, la quale invecenon ne è che una possibile espressione fra le tante altre, ed anziuna delle più retrive, irrazionalistiche ed oscurantistiche.

Non solo, ma di fatto la religione (o le religioni; tutte, quale piùquale meno) spessissimo si è trovata e si trova in lotta acerrimacontro le scienze naturali in patente violazione del principiostesso dei MNS, fatto che Gould in questo libro tende a minimiz-zare, enfatizzando invece i pur innegabili (e questa denuncia èuna delle poche cose a mio avviso valide di questo libro) eccessiindebiti di scientismo e di presunzione cui sono andati e vannoincontro scienziati anche eminenti quando pretendono di ricavaredalle loro scoperte insegnamenti che dalle scienze naturali esu-lano per inerire le cosiddette “scienze umane”, ed in particolarel’etica (scienze umane che – è il caso di ripeterlo – per fortuna, alcontrario di quanto pretenderebbe Gould, sono ben lungi dall’i-dentificarsi con – o dal ridursi a – la religione!).

Anche in questo libro Gould critica le interpretazioni sociologicheed antropologiche reazionarie pretese scientifiche ma invece an-tiscientifiche del darwinismo, come la sociobiologia, ma contra-riamente ad altri suoi ben più convincenti e validi scritti lo fa a miomodesto parere in modo debole e sostanzialmente sbagliato. Aqueste correnti di pensiero che intendono richiamarsi a Darwinper sostenere una sorta di fondamentalismo della lotta forsennataper l’esistenza e del preteso egoismo genetico rimprovera, infatti,di violare il principio dei MNS pretendendo indebitamente dipontificare in fatto di morale; mentre in realtà, come Gould stessoha brillantemente dimostrato in tanti altri suoi ottimi scritti, l’er-rore di costoro è puramente e semplicemente scientifico, tutto in-terno al “magistero della scienza”: non è vero, è semplicementedestituito di ogni fondamento scientifico che la selezione naturaleimponga solo ed esclusivamente comportamenti forsennata-mente predatori ed egoistici, ma invece promuove anche, al-meno altrettanto efficacemente, la diffusione di tendenze com-portamentali cooperativistiche, “tolleranti” ed altruistiche; e nelcomportamento umano, che è quanto di più complesso, plastico,creativo, imprevedibile, complicatamente condizionato dal con-correre ed intersecarsi di molteplici fattori esperienziali personali,familiari, culturali e più latamente sociali esista in natura, il ma-nifestarsi di queste alternative potenzialità comportamentali (piùo meno grette ed egoistiche o invece più o meno magnanime edaltruistiche) frutto della selezione naturale non è affatto qualcosadi ineluttabile in quanto geneticamente determinato, bensì qual-cosa di estremamente variabile, ed anche di condizionabile inqualche non trascurabile misura dagli assetti sociali e dall’edu-cazione; dunque passibile di progresso storico (dunque è qualcosadi concernente anche e soprattutto la storia umana e più in ge-nerale le scienze umane, oltre che le scienze naturali).

Ché se invece – per assurdo, ammesso e non concesso – le tesi pre-tese scientifiche (interamente di pertinenza del “magistero scien-tifico” per usare le parole di Gould) di questi pretesi darwinisti“fondamentalisti” (Gould in questo libro cita solo alcuni esponenti

dell’ottocentesco “darwinismo sociale”, ma credo che il suo di-scorso sia diretto anche alla novecentesca “sociobiologia”) fosserovere, allora la pretesa di costoro di adeguare gli assetti sociali allapresunta forsennata lotta di tutti contro tutti per la sopravvi-venza non costituirebbe affatto una violazione del principio delMNS, bensì una del tutto corretta applicazione di validi principietici umanistici: se fosse vero che la distruzione indiscriminata ditutte le altre forme di vita, a cominciare dai propri conspecifici,fosse una necessità per la sopravvivenza delle specie nelle con-dizioni della selezione naturale, allora l’eugenetica e l’annienta-mento e la rovina spietata delle popolazioni meno prospere e piùsocialmente ed economicamente arretrate sarebbero quanto di piùeticamente nobile potesse darsi (quanto di più giusto ed umanoe sacrosanto perché rispondente al massimo, più elementare edelevato imperativo etico: la tutela ed il benessere dell’umanità).

Il fatto è che tutto questo è scientificamente destituito di qualsiasifondamento e falso, come ottimamente dimostrato da Gould inmolti altri ottimi scritti (ed infatti gli attuali assetti sociali, profon-damente impregnati di questa logica aberrante ed antiscientifica,stanno per portare – e se non profondamente corretti in brevetempo porteranno di certo – all’estinzione “precoce” e “di sua pro-pria mano” della nostra specie in seguito alla pretesa antibiolo-gica ed antidarwinistica – antiscientifica quant’altra mai! – diusare delle risorse naturali finite e della altrettanto finita capacitàdella natura di “metabolizzare” e superare i danni derivati dallaproduzione e consumo umani come se fossero infinite). Tutto qui:la religione in proposito non ha proprio niente da insegnarci, è lascienza che ci porta a queste inevitabili conclusioni; e chi sbagliain proposito (pericolosissimamente per le sorti dell’umanità!)non sbaglia per la presunzione di imporre indebitamente il “ma-gistero scientifico” al posto del preteso “magistero religioso”(ma in realtà casomai del magistero filosofico, sociologico, oetico), bensì per il fatto di prendere grossolani abbagli intera-mente ed unicamente in campo scientifico.

Ma è lo stesso preteso principio dei MNS, a ben vedere, che nonsi regge in piedi, che è un non-senso. Infatti, esso pretende deltutto illusoriamente che la religione sia compatibile e comple-mentare con la scienza, che possa occuparsi esclusivamente di pro-blemi diversi da quelli scientifici, per esempio di questioni etiche,sociali, ecc., mentre invece in realtà tutte e tre le religioni “abra-mitiche” si fondano inevitabilmente su presupposti riguardanti ifatti trattati dalle scienze naturali ed incompatibili con quanto lescienze naturali affermano in proposito (parlando di religioneGould si riferisce innanzitutto al cristianesimo ed all’ebraismo, mail discorso vale altrettanto per l’islamismo; e di altre religioni nonparlo perché non ne ho la ben che minima conoscenza).

Infatti, queste religioni pretendono inevitabilmente, come proprioirrinunciabile fondamento istitutivo, che nel mondo naturale operiuna provvidenza divina, mentre le scienze naturali dimostranoche tutto vi accade a caso (o meglio, secondo modalità generalio leggi più o meno deterministiche o probabilistiche del divenire,le quali non sono comunque in alcun modo interpretabili comeconseguenti ad un preteso “disegno consapevole e finalizzato”,quale quello della cosiddetta “provvidenza divina”). Questo perlo meno le tre principali religioni tuttora affermate ed egemoni nelmondo occidentale non possono non affermarlo, pena l’autodis-solvimento. E questa irrinunciabile tesi religiosa inevitabilmenteinvade il campo del “magistero scientifico”, indebitamente so-vrapponendoglisi e pretendendo di sostituirlo con la parola “di-vina” (in maniera più o meno violenta oppure “soft”, a secondadi ciò che le variabili circostanze storiche di volta in volta con-sentono ai diversi cleri ed oligarchie sacerdotali).

Giulio [email protected]

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mento rapido (il “salto” appunto) digeni cosiddetti “regolatori” che in-fluenzano non un carattere ma la strut-tura complessiva. Gould e Eldredgescrivono: “applaudiamo l’enfasi che sidà alla teoria del cambiamento nei geniregolatori come base per la evoluzionedella forma. Non capiamo infatti comesingole mutazioni in singoli geni pos-sono portare, accumulandosi gradual-mente, a nuove strutture morfologiche

… La quasi identità genetica fra umanie scimpanzé e la prova della importanzadei geni regolatori, ci danno una impor-tante conferma della nostra ipotesi”.

Gould quindi conferma l’esistenza del-l’evoluzione, contro la versione neo-darwiniana dei processi di cambia-mento ma a favore della teoria originaledi Charles Darwin. Ecco perché siaGould sia Eldredge si arrabbiavanoquando i creazionisti li prendevanocome testimoni delle loro teorie: “Datoche abbiamo proposto la teoria degliequilibri punteggiati per spiegare i pro-cessi, ci fa infuriare che i creazionisti cicitino continuamente, non so se appo-sta o per stupidità, come se dicessimoche i fossili non cambiano per passi suc-cessivi anche perché se le forme inter-medie a volte mancano a livello di spe-cie questo non avviene per gruppi piùgrandi”. Eppure i creazionisti dicevano:“Gli scienziati di Harvard sono d’ac-cordo sul fatto che l’evoluzione sia unaballa” e “I fatti dell’equilibrio punteg-giato che Gould e Eldredge costringonoi darwinisti ad inghiottire, è coerentecon il quadro su cui ha insistito Brian eche Dio ci ha rivelato nella Bibbia”.

Il dibattito tra i sostenitori di Gould e isuoi critici, detto anche “la guerra diDarwin”, derivava dal fatto che Gouldpresentava la sua idea (gli equilibri pun-teggiati) come una maniera rivoluziona-

ria d’interpretare l’evoluzione, soste-nendo l’importanza di meccanismi evo-lutivi diversi dalla selezione naturaleneo-darwiniana ignorati dagli scienziatievoluzionisti che ne riducevano enor-memente l’importanza. In particolareGould criticava la spiegazione che i neo-darwinisti fornivano della selezione,tutta basata su singoli geni, e propo-neva come oggetti/soggetti dell’evolu-zione gli organismi di Darwin e le specie

intese come individuiselezionabili contro lasupremazia del gene(si potrebbe anchedire del DNA) propo-sta dai neo-darwini-sti. Diceva Gould:

“Il fatto che i geni regi-strino tutti i cambia-menti deriva da unaproprietà generale delleorganizzazioni gerar-chiche e non ha nientea che fare con la causa-lità. Se si disturba la or-ganizzazione gerar-chica a qualsiasi livello,

tutte le unità a quel livello e a quelli sotto-stanti devono essere rimaneggiate, mentrequelle ai livelli superiori possono restarecome erano prima … Supponiamo ad esem-pio che un tempo la linea evolutiva dei gatticontenesse due gruppi di cinque specieognuno. Queste competono completamenteal livello delle specie e 10 milioni di annidopo tutte le specie del gruppo A sono eli-minate mentre il gruppo B è fiorente e oracontiene quindici specie. La struttura ge-netica della stessa linea evolutiva si è mo-dificata perché le specie nel gruppo A ave-vano proporzioni diverse dei geni da quelledel gruppo B, ma tutto questo è avvenutosenza che nessun processo causale abbiaoperato a livello dei geni … Quindi la sele-zione a livello dei geni non spiega il pro-cesso … Un semplice ragionamento ci diceche una unità inferiore (un gene, per esem-pio) non può essere l’agente esclusivo ditutti i processi che avvengono ai livelli su-periori (ad esempio organismi) e le pro-prietà che provocano l’azione sono caratteri‘emergenti’ del livello più alto e cioè non ri-sultano dalla semplice somma delle carat-teristiche delle unità inferiori e cioè deigeni. Ora (e i sostenitori della selezione ge-netica non lo negano), gli organismi sono isoggetti primari che lottano per il successoriproduttivo in natura. Come è possibiledunque, che i geni ‘nascosti’ siano i veri at-tori se sono gli organismi che lottano, coo-perano, generano e muoiono? I sostenitoridella selezione genetica rispondono chetutte le caratteristiche più rilevanti degli or-

ganismi possono essere considerate come ilrisultato dei vari geni coinvolti nella loro co-struzione. Queste proprietà, continuano,sono quindi la complessa manifestazionedelle azioni geniche. Ma la gran parte delleproprietà degli organismi non sono la sem-plice somma dei contributi di alcuni geni.Sono invece prodotti delle interazioni fra igeni e quindi non possono necessariamenteessere adeguatamente predetti o cono-sciuti al livello dei geni. Dato che la sele-zione agisce su queste proprietà emergentidegli organismi, i geni non possono esserele unità esclusive della selezione. Inoltre l’e-mergenza avviene spesso a tutti i livellidella organizzazione biologica e la selezioneagisce simultaneamente a tutti i livelli dellaorganizzazione gerarchica della natura, suigeni, sulle linee cellulari, sugli organismi(per Darwin livello quasi esclusivo), sullepopolazioni locali, sulle specie. Il nostrocompito intellettuale in quanto biologi evo-luzionisti è quello di determinare la impor-tanza relativa delle interazioni complessedi quei livelli. Pretese di esclusività di sin-goli livelli sono false e fuorvianti. Perché al-cuni scienziati si sono sentiti attratti dal se-lezionismo esclusivamente genetico allaluce di queste critiche? Io penso che l’at-trazione di questa idea derivi da un erroredi base. Chi pensa alla selezione soltantogenetica ha notato correttamente, ma es-senzialmente male interpretato, una pro-prietà importante dei sistemi evolutivi: tuttii processi evolutivi, a qualsiasi livello sia lacausa, viene registrato come cambiamentodelle frequenze dei geni (il livello inferioredella gerarchia causale). Dato che i geni re-gistrano tutti i cambiamenti, alcuni evolu-zionisti si sono ingannati quando hanno as-sunto che quindi i geni sono la causa di tuttii cambiamenti. Ma gli scribi non sono agentie registrare non significa causare”.

Queste, molto stringate, le idee di unagnostico che non sopportava né idogmi religiosi né “il Dogma centraledella Biologia molecolare” e difendevacoraggiosamente la razionalità scienti-fica.

Marcello Buiatti è professore di Genetica al-l’Università di Firenze. Ha operato per anninell’Università di Swansea in Gran Bretagnae nel Laboratorio Nazionale di Brookhaven aNew York. È presidente dell’AssociazioneAmbiente e Lavoro e della Fondazione To-scana sostenibile, si occupa di sicurezza, dipolitiche di sostenibilità e di educazione am-bientale. Tra le sue numerosissime pubbli-cazioni, ricordiamo i volumi Lo stato viventedella materia (UTET 2000) e Il benevolo di-sordine della vita (UTET 2004).

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La stagione della pubblicazione dei vo-lumi gouldiani si apre nel 1977, con l’e-dizione di un volume che reca lo sfortu-nato titoloOntogeny & Phylogeny. Sfor-tunato perché si è trattato di una sceltaeditoriale poco felice, visto che gli è co-stata l’oblio e il confino sul panorama in-ternazionale. A differenza delle altreopere, infatti, questo libro non solo nonè stato tradotto in italiano, ma neanchein francese, né in tedesco né in spa-gnolo – un’edizione italiana comparirà,finalmente, entro la fine dell’anno.

Il perché di questo insuccesso è però in-spiegabile. Si tratta, infatti, di un’operache si situa a metà strada fra la storiadella biologia, la filosofia della biologia ela biologia teorica e, in essa, l’autoreesplora con grande competenza un me-desimo oggetto da tre diverse prospet-tive. In effetti, il volume si compone didue sezioni, la prima delle quali trattadel concetto di ricapitolazione, mentre laseconda tratta dei fenomeni di etero-cronia e di pedomorfosi. L’orizzonte sucui si stagliano le indagini di Gould è de-finito dal tentativo felice di interpretarel’opera – assai controversa – dell’evolu-zionista tedesco Ernst Haeckel il qualefu, per un verso, erede diretto di unalunga tradizione naturalistica che guar-dava all’embriologia come ad un pro-cesso analogo a quello, molto più ampio,della storia; per l’altro, Haeckel elaboròuna serie di concetti, per mezzo deiquali spiegava le peculiarità e le irrego-larità osservate nel corso dello sviluppodegli embrioni – i concetti, appunto, dieterocronia e di pedomorfosi.

Con il primo di questi termini (eterocro-nia) si fa riferimento alla sfasatura esi-stente fra la formazione di determinatestrutture nello sviluppo dell’embrione ei tempi di comparsa delle medesimestrutture organiche nella storia evolu-tiva; com’è evidente, si tratta in questocaso di dare un nome ad un fenomenoche rischia di screditare la dottrina dellaricapitolazione, centrale nel sistema diHaeckel. Se allo stato attuale delle co-noscenze relative ai processi embrioge-netici dobbiamo infatti rifiutare il con-cetto di ricapitolazione, ovvero dell’esi-stenza di un parallelismo perfetto fra

l’embriogenesi e la storia evolutiva,Gould suggerisce di riflettere sulle ra-gioni che hanno spinto numerosi filo-sofi e naturalisti ad elaborare tale no-zione in epoche anche molto distanti;domandarsi che senso abbia avuto ladottrina della ricapitolazione significadunque tentare di comprendere gli ele-menti che hanno fatto di un’idea oggi ri-tenuta bizzarra, un utile strumento dicomprensione dei processi che sono allabase della formazione degli individui.Così, in una sola volta, Gould mostra allettore le domande che si pone uno sto-rico delle scienze e propone una rifles-sione su una dottrina largamente falsi-ficata, dando esempio della paziente let-tura e del generoso giudizio di chi ri-nuncia a cercare gli elementi di debo-lezza in una spiegazione che già hasmesso di spiegare, per cogliere invecei punti di forza che permisero ad un’ideadi perpetuarsi e di essere accolta comechiave interpretativa delle riflessioni sulvivente.

Con il termine di pedomorfosi, invece, sifa riferimento al fenomeno per cui un in-dividuo adulto conserva i tratti fenotipicidegli individui giovani della specie cuiesso appartiene. Partendo da questoconcetto haeckeliano, Gould lancia un’e-semplare riflessione sul fenomeno dellaneotenia. Il processo di sviluppo è dun-que rallentato nelle specie neoteniche,così la maturazione dell’individuo vieneraggiunta in un tempo assai posteriorerispetto al momento della sua embrio-genesi, cosa che comporta un notevoleguadagno in termini evolutivi.

In un brillante articolo contenuto nel vo-lume Il pollice del panda. Riflessioni sullastoria naturale (1980, trad. it. Il Saggia-tore, 2009), Gould continua a rifletteresul concetto di neotenia, in relazionequesta volta al film di Topolino. Il cele-bre personaggio presenta, infatti, unaevoluzione notevole nel corso della suastoria e dunque delle varie pellicole:dapprima Mickey fu rappresentato conbraccia gambe e coda lunghe e sottili,mani e piedi altrettanto sottili, occhi pic-coli e neri, muso lungo e affusolato; suc-cessivamente, tutte queste caratteristi-che furono gradualmente modificate,

fino a che non fu proposto un esemplarepiuttosto simile ad un bambino umano,con braccia e gambe più carnose e piùcorte, mani assai più strutturate e co-perte da guanti, una testa più volumi-nosa, occhi più grandi e bianchi con pu-pille nere. Cos’è cambiato, nella storia diTopolino, a parte il vestiario? Semplice:le proporzioni. Il che dimostra come unelemento puramente quantitativo de-termini una diversa percezione dellequalità. Se al suo esordio Mickey eraancora un topo, di pellicola in pellicola leesigenze del pubblico – composto diumani, ovviamente, e per lo più giovani– di guardare un personaggio dall’a-spetto gradevole sono state esauditedai disegnatori della Disney con il sem-plice gesto di mutare le proporzioni cor-poree di quello che, da topo, finì per es-sere amato piuttosto come un topo-bambino. Proponendo il caso di Topo-lino, Gould ha esemplificato molto bene,e in relazione ad un personaggio noto atutti, il concetto di neotenia di cui si eragià occupato, sebbene da una prospet-tiva completamente diversa, nel suoprimo volume.

Al centro delle ricerche di Gould filo-sofo e scienziato all’opera inOntogeny&Phylogeny c’è allora un unico oggetto,declinato in relazione a problemi diversi:il fattore tempo. Per un verso, si guardaall’articolarsi delle scale delle trasfor-mazioni grandi e piccole: il microcosmodell’embriogenesi e il macrocosmo dellastoria. In che modo sono cucite assiemele due dimensioni? Innanzi tutto – mo-stra Gould – da Anassimandro a Bonnet,da Oken a Meckel a Serres, numerosisono stati coloro che hanno concepito idue livelli come fossero in relazione, per-ché entrambi si dispiegano evidente-mente in un processo che chiama incausa la temporalità. Più specificamentepoi, occorre interrogare questo parame-tro – il tempo – e comprendere comeesso sia stato concepito presso i variautori. Non solo: accanto ad una sezionededicata alla storia di un’idea, Gould nepone un’altra in cui analizza quell’ideaalla luce dei punti di forza e degli ele-menti che la riattivano nel presente. Iltempo, questo “gentiluomo della biolo-gia” (come ebbe a definirlo François Ja-

Ontogeny & Phylogenyovvero lo strano caso di un libro fuori modadi Federica Turriziani Colonna, [email protected]

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cob nel 1970) è qualcosa di omogeneo opiuttosto è vero il contrario? Se la no-zione di ricapitolazione richiede che iltempo sia pensato come omogeneo,l’osservazione scrupolosa ed onesta deifenomeni obbliga ad ammettere che sidia una certa discrasia fra le due di-mensioni dello sviluppo, quello indivi-duale e quello storico e collettivo. In re-lazione al vivente, allora, il tempo è daconcepirsi come eterogeneo. È proprioqui che s’inserisce il grimaldello intel-lettuale di Haeckel – e quello di Gould.Bisogna prestare attenzione ai fenomenidi eterocronia, per spiegare le trasfor-mazioni della materia nel suo stato vi-vente, sia che la si consideri su scala on-togenetica (l’embriogenesi), sia che la sivoglia studiare nella sua filogenia (lastoria evolutiva). A partire da questaosservazione – e da questa geniale ela-borazione teorica – è possibile riproporredunque l’analogia fra le due dimensionisu cui si articola ogni trasformazionebiologica, dimensioni che erano statenettamente recise dalla Sintesi Modernamendelo-darwiniana. Se, infatti, onto-genia e filogenia erano sembrate ai filo-

sofi naturali fino ancora ad Haeckel i bi-nari lungo i quali correva il treno dellabiologia e, per ciò stesso, le due pro-spettive complementari attraverso cuiera possibile riflettere sul vivente, a par-tire dalla scoperta degli studi di Mendele per tutto il periodo successivo in cui lagenetica venne a definirsi come disci-plina, l’analogia fra queste due dimen-sioni sembrava impraticabile.

L’enorme merito di Gould risiede al-lora proprio in questo: focalizzando l’at-tenzione su una nozione assoluta-mente bizzarra che peraltro non eramai stata presa davvero sul serio comequella di eterocronia, e cogliendo ilruolo di salvaguardia da essa svolto ri-spetto ad un concetto assai fallacecome quello di ricapitolazione, il pa-leontologo americano ha allestito lascena per l’approccio evo-devo che sa-rebbe poi stato praticato a partire daldecennio successivo. In altri termini,Gould ha osato porre una “&” fra on-togenia e filogenia proprio quando ciòsembrava interdetto, e lo ha fatto guar-dando retrospettivamente alla storia

di un’idea, cogliendone l’elemento diforza, riattivando il discorso su ciò cheera stato pensato come un concetto-limite, proponendo infine ai biologi –perché Ontogeny & Ohylogeny è un li-bro indirizzato ai suoi colleghi biologi,in effetti – di occuparsi di nuovo paral-lelamente di due ambiti delle scienzedella vita che esigono di essere pensatiin relazione l’uno con l’altro. Si trattadella biologia dello sviluppo e della bio-logia evolutiva, che in inglese suonanocome DEVelopmental biology ed EVO-lutionary biology.

Se è vero – com’è vero – che lo spessoreintellettuale di uno scienziato si misurain base alla sua capacità di attivare undiscorso anche grazie alla riflessione suconcetti desueti, facendo luce cioè sullepagine polverose degli autori che popo-lano ormai la storia delle scienze, Gouldinaugura la sua carriera e la sua interabiografia intellettuale non soltanto pra-ticando questa strada, ma soprattuttoinsegnando agli scienziati quanto la sto-ria e la filosofia abbiano da offrire allescienze.

Stephen Jay Gould. Bibliografia ragionatadi Maria Turchetto, [email protected]

Diamo qui conto principalmente delleopere di Gould tradotte in italiano, ri-servando solo qualche cenno a quelle(poche) non ancora tradotte. Vogliamoinfatti rivolgere ai nostri lettori un cal-dissimo invito a scoprire questo autore,che ha il pregio di risultare comprensi-bile e interessante (a volte addiritturaavvincente) anche quando affronta temiscientifici e teorici tutt’altro che sem-plici. Gould rappresenta un vero feno-meno nel campo della divulgazionescientifica, non a caso il National Book’sCritic Circle Award – un’importante as-sociazione che raccoglie più di 700 criticiletterari – gli assegnò il premio riservatoalla qualità di scrittura e alla capacità dicomunicazione. Non seguiamo l’ordinecronologico (anche perché in Italia leopere di Gould sono state pubblicate inritardo e in ordine sparso), ma raggrup-piamo i testi per argomenti e generi.

Raccolte di saggi divulgativi

Nel 1974 Gould cominciò a tenere sullarivista Natural History la rubrica mensile

“The View of Life”: una collaborazioneche durò oltre 25 anni per un totale di300 brevi saggi, raccolti in 10 antolo-gie, tutte tradotte in italiano: La vitameravigliosa, Feltrinelli, Milano 1990(ed. originale Wonderful Life: the Bur-gess Shale and the Nature of History,W.W. Norton, New York 1989); Ri-splendi grande lucciola, Feltrinelli, Mi-lano 1991 e Bravo brontosauro, Feltri-nelli, Milano 1993 (entrambi tratti daBully for Brontosauros, W.W. Norton,New York 1991); Come un dinosauronel pagliaio, Mondadori, Milano 1997(ed. originale Dinosaur in a Haystack,Harmony Books, New York 1995);Quando i cavalli avevano le dita, Fel-trinelli, Milano 1999 (ed. originaleHen’s Teeth and Horse’s Toes, W.W.Norton, New York 1983); Il pollice delpanda, Il Saggiatore, Milano 2001 (ed.originale The Panda’s Thumb, W.W.Norton, New York 1980); Otto piccoliporcellini, Il Saggiatore, Milano 2003(ed. originale Eight Little Piggies, W.W.Norton, New York 1993); I fossili di Leo-nardo e il pony di Sofia, Il Saggiatore,

Milano 2004 (ed. originale Leonardo’sMountain of Clams and the Diet ofWorms, Harmony Books, New York1995); Il sorriso del fenicottero, Feltri-nelli, Milano 2007 (ed. originale TheFlamingo’s Smile, W.W. Norton, NewYork 1985); Le pietre false di Mar-rakech. Appunti di storia naturale, IlSaggiatore, Milano 2007 (ed. originaleThe Lying Stones of Marrakech, Har-mony Books, New York 2000); I HaveLanded, Codice, Torino 2009 (ed. origi-nale I Have Landed. The End of a Be-ginning in Natural History, HarmonyBooks, New York 2002).

Si tratta di brevi saggi brillanti su di-versissimi argomenti di paleontologia,evoluzione, genetica, embriologia: unadivulgazione non meramente didatticae informativa, ma che insegna soprat-tutto un approccio critico e autocritico aiproblemi scientifici. Come spiega lostesso autore (cfr. Quando i cavalli ave-vano le dita, pp. 9-15) questi scritti sononati tra “due tensioni”: da un lato, lacontroversia “puramente politica e non

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intellettuale” suscitata dal neocreazio-nismo; dall’altro, la profonda revisione inatto nel campo delle scienze della vita,dovuta a “scoperte emozionanti nellabiologia molecolare e nello studio dellosviluppo embriologico” che mettono indiscussione quella “versione eccessiva-mente zelante” del darwinismo rappre-sentata dalla cosiddetta Sintesi Mo-derna. Le due discussioni non stanno,ovviamente, sullo stesso piano – Gouldle paragona a due opere di Wagner: lapolemica neocreazionista è comica comeI maestri cantori di Norimberga, il di-battito scientifico è invece sublime comeil Tannhäuser – ma la strategia adot-tata è la medesima: mostrare con lamassima onestà intellettuale come fun-ziona davvero la scienza, impresa emi-nentemente umana e perciò stesso ine-stricabilmente legata alla società. Gouldc’insegna così a smontare i ragiona-menti, a valutare i contesti in cui si svol-gono, a riconoscere le “metafisiche in-fluenti” e i pregiudizi che penetrano an-che nei lavori scientifici più rigorosi, aprendere atto della relatività e provvi-sorietà dei risultati, a comprendere lagenesi delle grandi scoperte, ma ancheil ruolo spesso fecondo dell’errore. Al-cuni saggi dedicati a “personaggi” notie meno noti – come Darwin (natural-mente!), Lamarck, Cuvier, Teilhard deChardin, Stenone, Agassiz, Hutton emolti altri – rappresentano splendidepagine di storia della scienza. Molti in-teressanti interventi nel dibattito scien-tifico contemporaneo sono presenti inun’altra antologia, Un riccio nella tem-pesta, Feltrinelli, Milano 1991 (ed. ori-ginale An Urchin in the Storm. Essaysabout Books and Ideas, W.W. Norton,New York 1987) che raccoglie le recen-sioni (in realtà veri e propri piccoli saggi)pubblicate nella New York Review ofBooks.

Gli equilibri punteggiati e il problemadel tempo

Un importantissimo contributo – tutt’oraoggetto di discussione, dal momentoche ha cambiato la storia della biologiaevoluzionista – è rappresentato dallateoria degli equilibri punteggiati, svi-luppata insieme a Niles Eldredge nel1972 attraverso lo studio della docu-mentazione fossile di Trilobiti (Eldredge)e Gasteropodi terrestri (Gould). Il famo-sissimo saggio N. Eldredge e S.J. Gould,Punctuated equilibria: an alternative tophyletic gradualism, in T.J.M. Schopf(ed.), Models in Paleobiology, Freeman,Cooper and Company, San Francisco1972, non è tradotto in italiano; lo è tut-

tavia un lungo saggio postumo (si trattain realtà del cap. IX della grande operaLa struttura della teoria dell’evoluzione,di cui diremo in seguito) in cui Gouldtorna sull’argomento del suo debuttoscientifico, spiega come i due giovani ri-cercatori arrivarono a formulare la teoriae prende posizione sulle controversieche essa suscitò (in particolare, sullecritiche ricevute da Daniel Dennet e Ri-chard Dawkins): L’equilibrio punteg-giato, Codice, Torino 2008 (ed. origi-nale Punctuated Equilibrium, BelknapPress/Harvard University Press, Cam-bridge 2007).

Secondo Eldredge e Gould, il cambia-mento evolutivo è caratterizzato da lun-ghi periodi di stasi, in cui la specie ri-mane pressoché immutata, “punteg-giati” da fasi di rapido (in senso geolo-gico) cambiamento. Questa teoria dàconto in modo nuovo degli “anelli man-canti” nella documentazione fossile(spiegata generalmente dai paleonto-logi con la rarità del fenomeno della fos-silizzazione), ma senza dubbio mette indiscussione il gradualismo, ossia l’ideadi un’evoluzione lenta e continua, cen-trale nell’impostazione di Darwin: alpunto che nella sua formulazione ini-ziale la teoria degli equilibri punteggiatifu considerata da alcuni quasi alla stre-gua di una confutazione della teoriadarwiniana. In L’equilibrio punteggiatoGould rivendica la legittimità della revi-sione apportata alla teoria darwiniana,attribuendo l’opzione gradualista diDarwin al contesto polemico in cui fuformulata l’Origine delle specie: in parti-colare, per Darwin era importante rifiu-tare la teoria lamarckiana saltazionista,oltre che escludere ogni intervento“esterno” (dalle creazioni continuate aidiluvi universali) dalla storia naturale.

Altri testi che affrontano problemi teoricirelativi alla concezione del tempo sonoGli alberi non crescono fino al cielo,Mondadori, Milano 1999 (ed. originaleFull House. The spread of excellence fromPlato to Darwin, Harmony Books, NewYork, 1996) e La freccia del tempo, il ci-clo del tempo, Feltrinelli, Milano 1989(ed. originale Time’s Arrow, Time’s Cy-cle, Harvard University Press, Cam-bridge 1987). Il primo è dedicato a con-testare l’idea dell’evoluzione come “pro-gresso” orientato che porta a forme viavia “superiori” di cui l’uomo sarebbe l’a-pice. L’evoluzione è piuttosto un propa-garsi di variazioni, e l’orgoglioso Homosapiens “è un sottile ramoscello natosolo ieri nell’albero enormemente rigo-glioso della vita, albero che, se piantato

di nuovo, non produrrebbe le stesse ra-mificazioni a partire dal seme” (Gli alberinon crescono fino al cielo, p. 22): dunque“un dettaglio irripetibile e non una con-seguenza prevista” (ivi, p. 7). Il secondomette a confronto diverse concezioni deltempo, illustrate dalle metafore dellafreccia e del ciclo: “a un estremo della di-cotomia – lo chiamerò la freccia deltempo – la storia è una sequenza irre-versibile di eventi irripetibili. Ogni mo-mento occupa la sua posizione distintain una serie temporale e tutti i momenti[…] narrano una storia di eventi con-nessi fra loro che muovono in una dire-zione. All’altro estremo – lo chiamerò ilciclo del tempo – gli eventi non hanno al-cun significato come episodi distinti […].Gli stati fondamentali sono immanentinel tempo, sempre presenti e mai sog-getti a mutamento” (La freccia deltempo, il ciclo del tempo, p. 23). Si trattadella “grande dicotomia” tra l’intelligi-bilità di eventi distinti e l’intelligibilità diun ordine non soggetto a cambiamentoche lotta da sempre nella tradizione delpensiero occidentale, mentre “la naturadice di sì ad entrambi” (ivi, p. 213).

Exaptation, critica al paradigma adat-tazionista e peculiarità dell’uomo

Un altro importante contributo alla re-visione della teoria dell’evoluzione – omeglio, alla sua versione consolidatasi apartire dagli anni ’50 del ’900 – è rap-presentato dall’importanza attribuita acambiamenti non direttamente funzio-nali alla sopravvivenza, ma derivanti davincoli fisiologici o allometrici (regola-rità nella crescita differenziale) ed even-tualmente “cooptati” successivamenteper nuovi scopi funzionali. In un saggioscritto con Elisabeth Vrba, coniò il ter-mine exaptation (“exattamento”) perindicare queste caratteristiche che nonsono un adattamento diretto: S.J.GOULD, E. VRBA, Exaptation. Il brico-lage dell’evoluzione, Bollati Borin-ghieri, Torino 2008 (ed. originale S.J.Gould, E. Vrba, Exaptation: a missingterm in the science of form, BelknapPress/Harvard University Press, Cam-bridge 1982). Il saggio più famoso sul-l’argomento è forse S.J. Gould, R.C.Lewontin, The San Marco’s Spandrelsand the Panglossian Paradigm. A criti-que of the Adaptionist Programme, inProceedings of the Royal Society of Lon-don, Series B, vol. 205, n. 1161, 1979, incui gli spandrels (“pennacchi”) della ba-silica di San Marco, ossia gli spazi trian-golari inseriti tra una serie di archi, di-ventano metafora dell’exaptation: essisono infatti la conseguenza architetto-

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nica dell’iscrizione di un elemento cir-colare in una struttura quadrangolare,“cooptata” successivamente per usi de-corativi. L’idea dell’exaptation rappre-sentò una critica importante al para-digma adattazionista, cioè alla vera epropria “moda” (come la definì Lewon-tin) di spiegare in termini di selezionenaturale e funzionalità diretta ogniaspetto di un organismo.

Anche alcune funzioni di alto livello delcervello umano sono interpretate daGould come “sottoprodotti” della sele-zione naturale piuttosto che comeadattamenti diretti. Il problema dellaspecificità dell’uomo costituisce unforte interesse di Gould – che per altronon dubita della nostra integrale “ani-malità” – fin dall’inizio della sua car-riera scientifica. In Ontogeny and Phi-logeny, Belknap Press/Harvard Univer-sity Press, Cambridge 1977 (attual-mente in corso di traduzione pressoMimesis, Milano; rinvio su questo testoall’articolo di Federica Turriziani Co-lonna) e in Questa idea della vita, Edi-tori Riuniti, Roma 1990 (ed. originaleEven Since Darwin, W.W. Norton, NewYork 1977), commentando i risultatipionieristici di King e Wilson concer-nenti la differenza minima che separa ilgenoma dello scimpanzé da quello del-l’uomo, osserva che questa prossimitàgenetica rischia di sfociare in un para-dosso: come spiegare che da una diffe-renza genetica minima derivi una dif-ferenza comportamentale così impor-tante? Gould riprese un’ipotesi avan-zata negli anni ’20 da Bolk e Beer cheindividuavano la specificità dell’uomoin tratti morfologici e comportamentalineotenici, cioè tipici degli stadi giova-nili, infantili e fetali dello scimpanzé: “ilvero padre dell’uomo è il bambino”(Questa idea della vita, p. 59). La biolo-gia contemporanea, in particolare le ri-cerche evo-devo (Evolutionary Deve-lopmental Biology), rappresentano unaconferma genetica di tale ipotesi.

La riformulazione della teoria dell’e-voluzione

Tutti questi temi si fondono nellagrande opera che Gould completò pocoprima della sua morte prematura: Lastruttura della teoria dell’evoluzione,Codice, Torino 2005 (ed. originale TheStructure of Evolutionary Theory, Belk-nap Press/Harvard University Press,Cambridge 2002). Si tratta di un lavoromonumentale che Gould presenta –prendendo a prestito (e dandosi perquesto dell’“arrogante”) l’espressione

impiegata da Darwin per l’Origine dellespecie – come un “unico lungo ragio-namento” per riformulare la teoria del-l’evoluzione: “quando mi interrogo sucome tutti questi pensieri e temi di-sparati si siano fusi, nel libro, in ununico ragionamento, posso soltanto ri-spondere chiamando in causa il mioamore (non so come dirlo altrimenti)per Darwin e per la forza del suo genio.Soltanto a lui era possibile offrire un’os-satura così feconda di una teoria com-pletamente coerente, così radicale perla forma, così completa sul piano lo-gico e così estensibile per le implica-zioni. Nessuno degli altri pensatori chesi sono occupati dell’evoluzione primadi lui aveva mai individuato ed elabo-rato un così ricco e comprensivo puntodi partenza. Partendo da questo inizio,io dovevo soltanto dispiegare la ver-sione originale nella sua interezza,sbrogliare gli intrecci degli elementi edegli assunti centrali e discutere la vi-cenda successiva dei dibattiti e dellerevisioni di queste caratteristiche es-senziali, che hanno portato a una coe-rente riformulazione dell’intero corpus,condotta in modo utile e tale da la-sciare le fondamenta darwiniane in-tatte pur costruendovi sopra un edificiopiù grande e di forma differente e per-ciò molto interessante” (La strutturadella teoria dell’evoluzione, p. 63).

Gould propone una revisione delle trecaratteristiche principali della “logicadarwiniana”, sapientemente ricostruitanella prima parte del volume che rap-presenta da sola un eccezionale e dav-vero enciclopedico contributo alla storiadelle scienze. In primo luogo, introduceuna pluralità di livelli in cui opera l’evo-luzione al posto di quello esclusivo con-siderato da Darwin, ossia l’organismoindividuale: esistono molti livelli al disopra (demi, specie, cladi) e al di sotto(geni e cellule) dell’organismo capaci dievoluzione autonoma. In secondo luogo,accanto alla selezione naturale consi-derata da Darwin come “causa unica”dell’evoluzione vengono considerati i“vincoli” storici e strutturali, dando spa-zio al concetto di exaptation. Infine, mo-difica il gradualismo darwiniano me-diante la teoria degli equilibri punteg-giati. Il risultato è “una teoria dell’evo-luzione rinnovata dalle fondamentamantenendo però il nocciolo darwi-niano” (p. 83).

La critica alle ideologie

Accanto ai salienti contributi scientificidi Gould non va dimenticato il suo im-

pegno politico e sociale e la sua co-stante critica a ogni uso della biologiaal servizio delle discriminazioni sociali,razziste e sessiste. Oltre alla polemicanei confronti della sociobiologia (nel1975 firmò con Richard Lewontin e al-tri la celebre lettera aperta Against“Sociobiology” pubblicata nella NewYork Review of Books all’indomani dellapubblicazione di Sociobiologia. Lanuova sintesi di E.O. Wilson), il libropiù importante in questo senso è In-telligenza e pregiudizio. Contro i fon-damenti scientifici del razzismo, IlSaggiatore, Milano 1998 (ed. originaleThe Mismeasure of Man, W.W. Norton,New York 1981), che ricostruisce tresecoli di “profonde e istruttive falsità(non degli errori sciocchi e superficiali)contenute nell’origine e nella difesadella teoria dell’intelligenza unitaria,linearmente classificabile, innata epressoché inalterabile” (Intelligenza epregiudizio, p. 19). Rinvio, su questotesto, all’articolo di Anna Maria Rossi ealla mia recensione.

Ricordiamo altri due testi di Gould tra-dotti in italiano: I pilastri del tempo, IlSaggiatore, Milano 2000 (ed. originaleRocks of Ages: Science and Religion inthe Fullness of Life, Ballantine Books,New York 1999), in cui affronta la que-stione dell’inconciliabilità tra scienza ereligione sostenendo che si tratta di“magisteri non sovrapposti” (si veda lalunga recensione di Giulio Bonali); e Ilmillennio che non c’è, Il Saggiatore,Milano 1999 (ed. originale Questioningthe Millennium. A Rationalist’s Guide toa Precisely Arbitrary Countdown, Har-mony Books, New York 1997) in cui in-terviene sulla dibattuta (ma oggi di-menticata) questione se il terzo millen-nio inizi il primo gennaio 2000 o 2001con un’affascinante storia della calen-daristica e una ricostruzione dei dibattitiotto e novecenteschi che mostra ama-ramente un progressivo impoverimentoculturale.

Infine, l’ultimo testo rimasto da tradurrein Italia è The Fox, the Hedgehog andthe Magister’s Pox. Mending the GapBetween Science and the Humanities(Harmony Books, New York 2003), suirapporti – e l’infondato conflitto – trascienze e humanities, ossia studi uma-nistici. Evidentemente la tradizione cro-ciana della divisione tra “scienze dellanatura” e “scienze dello spirito” hasconsigliato agli editori italiani la tra-duzione di questo interessante testo, dicui parla ampiamente Andrea Cavaz-zini nelle pagine precedenti.

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«… per far emergere questoimmenso iceberg di cui si vede solo

una piccola punta …»(Gruppo Soggettività Lesbica, 2005, p. 7)

Cosa si sente dire sugli omosessualida parte dell’opinione pubblica equanto, in realtà, si conosce dell’omo-sessualità? Alle soglie del 2012 alcuniconsiderano ancora l’omosessualitàcome una malattia (nonostante il DSM[1] l’abbia eliminata da tempo dai di-sturbi psicosessuali); altri ancora comeun comportamento contro natura nonavendo come scopo la riproduzione.Questa concezione nasce dall’etica ses-suale della Chiesa cattolica che accettaunicamente i rapporti eterosessualipoiché hanno come fine la procrea-zione; forse essa dimentica che anchetra gli eterosessuali il sesso non haesclusivamente finalità procreative!

È noto come, nel nostro Paese, laChiesa senta questo irrefrenabile do-vere di intromettersi nelle questioniche meno le competono: per questo sisente spesso pronunciare da ogni fi-gura facente parte della Chiesa catto-lica la frase “Difendiamo la famigliatradizionale!”. Ma esiste ancora questafamiglia tradizionale? L’omogenitoria-lità è una diversa normalità, una tipo-logia di famiglia che si fa strada tra letante presenti nella società. Siamosempre alle soglie del 2012 e dobbiamorenderci conto di come il concetto di fa-miglia sia, ormai da tempo, cambiato:non esiste più soltanto la famiglia tra-dizionale nucleare, quella con padre,madre e figlio/figli. Esiste una pluralitàdi famiglie a cui non si può voltare lespalle; ci sono famiglie ricomposte, mi-ste, monogenitoriali, allargate e omo-

sessuali. La genitorialità per molti sem-bra possibile solo all’interno della “sa-cra famiglia”: ma esiste davvero questa“sacra famiglia” che la Chiesa cerca diimporre come modello unico di fami-glia, ciò a cui è strettamente necessa-rio tendere? Forse proprio la Chiesa di-mentica che “la sacra famiglia” di cuiparla, quella di Gesù, non è poi cosìdel tutto naturale: Maria è una madrevergine, Giuseppe un padre putativo equindi Gesù Cristo non è stato conce-pito attraverso un rapporto sessualeuomo-donna (bensì dallo Spirito Santo).La domanda che viene naturale porsi èperché, se questo è il modello a cuitutti dovrebbero aspirare, le famiglieomosessuali non sono accettate? Infondo sono la rappresentazione di unagenitorialità simbolica, come quella diMaria e Giuseppe.

Se a livello biologico due persone dellostesso sesso non possono dare la vita aun altro essere umano possono co-munque formare una famiglia. Comeelemento centrale della famiglia è con-siderata sempre più la qualità delle re-lazioni affettive invece della tradizioneo dell’imperativo biologico della ripro-duzione della specie. Genitore e omo-sessuale sembra essere, per gran partedella società, un controsenso, ma i datidelle ricerche dimostrano come questocontrosenso sia un fenomeno in au-mento, anche nel nostro Paese. Barba-gli e Colombo (2007), nella ricerca suscala nazionale che ha visti coinvolti2189 maschi e 580 femmine, rilevanoche il 3,4% dei gay e il 5,4% delle le-sbiche sono genitori (oltre i 35 anni losono il 10% dei gay e il 19% delle le-sbiche); Saraceno (2003), nella ricercacondotta a Torino e provincia su 514

soggetti, mostra che sono madri l’8%delle lesbiche e padri il 5% dei gay (fi-gli concepiti all’interno di relazioni ete-rosessuali). La ricerca condotta dalGruppo Soggettività Lesbica della Li-bera Università delle Donne di Milano(2005), che ha visto l’elaborazione di691 questionari, ha riscontrato che il6,5% delle donne lesbiche intervistateha figli. Lingiardi (2007) parla di100.000 bambini cresciuti da genitoriomosessuali: tra questi ci sono quellinati da precedenti unioni eterosessuali,ma anche quelli nati da relazioni omo-sessuali. L’indagine conoscitiva Modidi (2005) condotta in Italia da Arcigaye dall’Istituto Superiore di Sanità su6774 persone omosessuali (4690 ma-schi e 2084 femmine) mostra che il20,5% delle lesbiche e il 17,7 dei gay aldi sopra dei 40 anni ha figli. Conside-rando tutte le fasce d’età la quota di-minuisce, ma rimane significativa: ungay e una lesbica ogni venti sono ge-nitori. A questi si dovrebbero aggiun-gere le persone che, per paura dellereazioni della società, vivono clande-stinamente le proprie relazioni omo-sessuali. Questi dati hanno così defi-nito il gay baby boom, cioè l’aumentodelle famiglie omosessuali che hannofigli all’interno della relazione. In Italia,ovviamente, non siamo ancora ai livellidel gay baby boom che, a partire daglianni Novanta, ha investito gli StatiUniti, la Francia, la Germania, l’Olandae la Gran Bretagna (Bottino e Danna,2005) ma i numeri stanno crescendoanche nello Stivale. Sempre di più, in-fatti, gay e lesbiche decidono di av-viare un progetto di genitorialità, at-traverso l’utilizzo delle tecniche di pro-creazione assistita [2] o, nel caso di fi-gli nati da precedenti unioni eteroses-

Premi di Laurea 2011

Dal 2007 l’UAAR assegna ogni anno premi di laurea a studenti meritevoli che si siano laureati con un elaborato finale di particolarepregio con gli scopi sociali dell’UAAR. Per l’edizione 2011 sono risultati vincitori: Laura Castagnoli, con la tesi L’insostenibile leg-gerezza del genere. Omosessualità e genitorialità, nodi cruciali di un’identità in divenire; Laura Salvadori, con la tesi Cattolici prati-canti e atei: un’analisi descrittiva; Matteo Visigalli, con la tesi Il principio di laicità. Stato, confessioni religiose e singoli. Come ognianno, abbiamo chiesto ai vincitori di scrivere per “L’Ateo” un articolo sull’argomento della tesi, qui di seguito pubblicati. (La ver-sione integrale delle tesi premiate è scaricabile dalla pagina del nostro sito http://www.uaar.it/uaar/premio-laurea-uaar/).

L’insostenibile leggerezza del genere. Omosessualitàe genitorialità, nodi cruciali di un’identità in diveniredi Laura Castagnoli, [email protected]

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suali, creano una nuova coppia con l’as-sunzione, da parte del partner, di re-sponsabilità verso i figli del genitorebiologico [3], dando vita a costellazionifamiliari inedite.

Quando si parla di omogenitorialità,non ci si limita solo ad affrontare laquestione del diverso orientamentosessuale di un soggetto, ma si portano

in campo anche questioni quali i dirittidei bambini, il loro sviluppo, la capacitàdi educarli come fanno i buoni genitori.Il mito del buon genitore, nell’ambitodel dibattito sulla famiglia, sembra es-sere ormai legato solo alla scelta di unorientamento sessuale eterosessuale,insomma di un orientamento che rien-tri nella norma. Ecco dunque che le po-lemiche ricadono sui contesti di cre-scita di questi figli di omosessuali, a cuivengono attribuiti problemi psicologici,di relazioni sociali e a livello sessuale.Avere due genitori dello stesso sessosembra essere, per il bambino, unacondanna certa: crescerà con disturbisessuali perché non ha avuto espe-rienza della differenza di genere nellacoppia genitoriale, avrà problemi di re-lazioni sociali, problemi psicologici e,quasi sicuramente, sarà, a sua volta,omosessuale.

Questi sono i pensieri, i dubbi e i timoridi persone che non sono a conoscenzadelle ricerche che, a partire dagli anni’70, sono state condotte sulle famiglieomogenitoriali e sullo sviluppo dei figlicresciuti da queste famiglie. Sono ricer-che che sicuramente presentano alcunilimiti, come ad esempio le difficoltà dicampionamento o la presenza di pochistudi che seguono i soggetti dall’infan-zia all’età adulta, ma sono tutte con-cordi nell’affermare principalmente che:(i) a livello psicologico i figli non pre-sentano maggiori problemi rispetto a fi-

gli di coppie eterosessuali; (ii) le rela-zioni sociali che i figli di omosessuali in-staurano con i pari e con gli adulti sonobuone, ma possono essere più soggettia discriminazione sociale; (iii) l’identitàdi genere non è compromessa dall’o-rientamento sessuale dei genitori, ma èdata dall’incontro di diversi fattori; (iv) ilcomportamento di genere può essereinfluenzato dall’omosessualità dei ge-

nitori nel senso che ifigli cresciuti da unacoppia dello stessosesso sono meno le-gati ai tradizionaliruoli di genere e sonopiù aperti rispetto allediversità; (v) non èdato per scontato chel’orientamento ses-suale dei figli di omo-sessuali segua quellodei genitori; chi è cre-sciuto in famiglieomogenitoriali nonesclude la possibilitàdi relazioni omoses-suali ma presenta

un’incidenza di orientamento omoses-suale uguale a quella dei figli di coppieeterosessuali.

In particolare, la questione dell’identitàdi genere solleva una riflessione impor-tante: la polarità maschile/femminile èormai obsoleta. L’idea che la funzionematerna debba essere svolta da unadonna e quella paterna da un uomo,così come un bambino deve giocare congiocattoli maschili e una bambina congiocattoli femminili è alquanto arcaica.La specificità delle famiglie omogenito-riali e dei loro figli è proprio quella di ri-fiutare questa polarità. Il fatto di essereentrambi dello stesso sesso permette agenitori gay e lesbiche di svolgere i ruoligenitoriali (della madre e del padre, ap-punto) in base a caratteristiche perso-nali e non a dettami sociali. Ciò che sivuole mettere in evidenza è che una fa-miglia non è data da un determinatoorientamento sessuale o da una precisasuddivisione di ruoli in base all’appar-tenenza a un sesso rispetto ad un altro:una famiglia è data dai rapporti che siinstaurano fra i suoi componenti e dallaqualità delle relazioni che intercorronofra loro.

Il tema dell’omogenitorialità è di estre-ma rilevanza anche in ambito educati-vo perché l’aumento delle famiglie omo-sessuali in Italia porta inevitabilmentericadute anche nei contesti educativi. Uninsegnante non può esimersi dalla co-

noscenza di questa nuova realtà e dauna formazione che permetta di ap-prendere gli strumenti e le metodologieadatte alla valorizzazione di questa di-versa normalità all’interno del contestoscuola. Il diritto del bambino a vederericonosciuta la propria identità nonpuò essere cancellato o messo da par-te, a causa di una mancanza di infor-mazioni o di un’ideologia che contrastacon una determinata realtà. Un inse-gnante deve essere in grado di acco-gliere le diversità presenti all’interno del-l’istituzione scolastica (e, più in generale,della realtà sociale in cui si vive), di qua-lunque genere esse siano, e restituirlesotto forma di risorse, per arricchire ilcontesto sociale in cui si opera, oltre aquello di abbattere i pregiudizi che ali-mentano la discriminazione di quellepersone che non rispecchiano la tantaradicata, quanto osannata, tradizione.Il cambiamento culturale e sociale ri-spetto al concetto di famiglia deve par-tire dalla scuola, perché la scuola rap-presenta il primo contesto sociale cheil bambino sperimenta al di fuori dellapropria famiglia e nel quale entra in con-tatto con coetanei e adulti “estranei”.Se l’insegnante, che è vista dal bambi-no come punto di riferimento impor-tante, è la prima a creare una barrieracon il mondo personale del bambino econ ciò che lui ritiene naturale perchéè l’unica esperienza che ha vissuto, nonsi può pensare di innescare un cam-biamento nel più ampio contesto sociale.

Quali sono le esigenze e i bisogni diuna famiglia omogenitoriale che inte-ragisce con un’istituzione scolasticafatta di insegnanti, operatori scola-stici, genitori degli altri bambini?Quali sono, invece, i bisogni degli edu-catori rispetto al tema della genitoria-lità omosessuale? Come rendere ilcontesto scolastico inclusivo rispetto aquesta diversa normalità? Quali stru-menti e metodologie utilizzare per ac-cogliere le diverse tipologie familiariall’interno della scuola?

Esistono diverse strategie per incon-trare questa diversa normalità: da unaparte si trovano metodologie che pos-sono essere utilizzate direttamente coni bambini, quali la lettura di libri chetrattano del tema della diversità fami-liare; questo permette ad ogni bambinodi vedere valorizzata la propria tipologiadi famiglia, sia essa mista, tradizionale,omosessuale, ricomposta … Dall’altraparte l’insegnante può formarsi attra-verso la visione di alcuni film che trat-tino il tema dell’omosessualità e, più

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nello specifico, dell’omogenitorialità.Tutto questo permette a un insegnantedi attivare pratiche di inclusione per i fi-gli di famiglie non tradizionale e di evi-tare il rischio di diffusione di stereotipie pregiudizi, che possono sfociare in attidi bullismo e discriminazione. Un buoninsegnante non deve trovarsi imprepa-rato davanti ad una semplice frasecome: “Io ho due mamme”.

Bibliografia

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Note

[1] Diagnostic and Statistical Manual ofMental Disorders a cura dell’American Psy-chiatric Association.[2] Si parla di turismo procreativo in quantoin Italia la legge 40 del 2004 vieta l’inse-

minazione eterologa (con donatore esternoalla coppia) e limita l’accesso all’insemina-zione omologa (con donatore interno allacoppia) solo per le persone eterosessualisposate o stabilmente conviventi.[3] In questo caso si parla di madre socialeper la donna lesbica che non ha legamibiologici con il figlio della compagna e dipadre sociale per l’uomo gay che non halegami biologici con il figlio del propriopartner.

Laura Castagnoli, nata a Reggio Emilia 27anni fa, è insegnante di scuola dell’infanziae laureata in Scienze della Formazione Pri-maria dall’aprile 2011 con una tesi sull’o-mogenitorialità che rispecchia le sue sceltedi vita (sia affettive che lavorative).

Introduzione

La psicologia si è sempre interrogatasu quale influenza abbia la religionesulla vita delle persone. Scorrendo lericerche in maniera superficiale que-ste sembrerebbero riservare sempre lostesso risultato: una maggiore fre-quentazione degli ambienti religiosisarebbe associata con una miglioresalute fisica e mentale (Greenfield,Vaillant & Marks 2009). In realtà è,però, necessario considerare critica-mente questi studi e osservare che i ri-sultati degli stessi possono essere at-tribuiti soltanto ad una tipologia spe-cifica e minoritaria di persone identi-ficabili nei credenti praticanti. Altret-tanti studi, recenti e meno pubbliciz-zati, dimostrano, infatti, che la reli-gione ha un’influenza negativa, so-prattutto per coloro che credono manon praticano (che dai dati ISTAT ri-sultano essere circa la metà degli ita-liani). I dubbi religiosi cronici, i conflittispirituali interiori, relazioni sociali ne-gative all’interno delle comunità reli-giose, sono fattori che possono pro-vocare ansie, paure o addirittura losviluppo di vere e proprie psicopato-logie. Studi specifici hanno dimostratoche percepire un rapporto negativocon l’entità divina (dovuto alla con-

vinzione che Dio ci stia giudicando opunendo per i nostri peccati) correlapositivamente con livelli superiori diansia, depressione, ideazione para-noide, disturbi ossessivo-compulsivi esomatizzazione in un campione nazio-nale di individui adulti (Ellison & Lee2009).

Un’altra critica alle ricerche suddette èdeterminata dal fatto che quasi nes-suno studio si è occupato di capirecome si collochino gli atei nel confrontotra cattolici praticanti e non praticanti.Solitamente, infatti, gli studi vengonocondotti comparando gruppi di cre-denti praticanti e credenti non prati-canti e i risultati ottenuti da questi ul-timi vengono indebitamente generaliz-zati anche alle persone atee, senza con-siderare che questi costituiscono unapopolazione con peculiari caratteristi-che. Gli atei, infatti, pur non credendoin Dio, hanno specifiche convinzioniche permettono loro di affrontareugualmente bene le sfide che la vitapone. È evidente che non credendo inleggi divine e imposte loro dall’alto,ogni ateo si crea una propria etica.

Geertz & Markusson (2010) sosten-gono che gli atei costruiscano la pro-pria morale a partire dall’ideologia di

una società giusta e dalla presenza inessa di regole che devono essere ri-spettate per la civile convivenza. Il ri-spetto verrebbe, dunque, portato allealtre persone piuttosto che ad un’en-tità divina, ma questo non impedisceagli atei di provare compassione e svi-luppare doti altruistiche, che sonoconsiderate meccanismi di default af-finati nel corso dell’evoluzione piutto-sto che il frutto di leggi divine. Ogniateo e agnostico, così come crea lapropria morale, deve anche costruireun significato da dare alla propria vita.Se la religione è un sistema condiviso dicredenze e pratiche basate su una vi-sione trascendente dell’esistenza, alloral’ateismo può essere attualmente intesocome un sistema di credenze condivisobasato su una concettualizzazione ma-terialista dell’universo. Anche una vi-sione atea della vita può essere, dun-que, stimolante e di conforto, nei mo-menti bui dell’esistenza; Wilkinson &Coleman (2009) notano, infatti, come intutte le interviste fatte alle persone ateequeste affermino di trovare confortonella scienza e nella percezione che oc-cupano solo un’infinitesima parte di ununiverso infinito; guardare il mondo inquest’ottica rende ogni problema rela-tivo e superabile. La modalità con cui leconvinzioni vengono usate, dipende

Cattolici praticanti, non praticanti e atei:un confronto psicologicodi Laura Salvadori, [email protected]

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dalla forza o dal calibro del sistema dicredenze dell’individuo. Un individuocon una chiara e forte visione del mondoè equipaggiato per far fronte agli eventistressanti a prescindere dalle specifi-che sfumature della propria credenza. Irisultati delle ricerche (Buggle, Bister,Nohe, Schneider & Uhmann 2000) sucoloro che non credono dimostrano, in-fatti, che forti convinzioni atee sonotanto efficaci quanto lo sono forti con-vinzioni religiose.

Si possono, dunque, integrare i risultatiraggiunti da Wilkinson & Coleman(2009) e da Green & Elliot (2009) i quali,partendo da presupposti totalmente di-versi, sono giunti alla medesima con-clusione, cioè che non conti tanto il con-tenuto della credenza, ciò che conta èche questa acquisisca una forza tale dapoter ergersi a sistema di significato si-curo, entro cui l’individuo possa inter-pretare gli eventi della propria vita. Sullabase di queste considerazioni, nascequesta ricerca, che vuole indagare l’in-fluenza che la religione (in particolare èstato fatto riferimento alla confessionecristiano-cattolica, vista la sua distribu-zione ubiquitaria nel territorio italiano)può avere sulla salute mentale delle per-sone. È stato effettuato, infatti, un con-fronto su diverse dimensioni psicologi-che (risorse psicologiche, qualità dellavita, sintomatologia psicopatologica) tracoloro che sono fortemente religiosi (cat-tolici praticanti), coloro che hanno unafede vacillante (cattolici non praticanti)e coloro che non credono affatto (atei).

Si ipotizza, quindi, che i cattolici prati-canti gioveranno degli effetti positividella religione quanto gli atei benefi-ceranno della loro forte convinzionedella non esistenza di Dio. Per questo siprevede che le dimensioni delle risorsepsicologiche saranno tanto alte nei cat-tolici praticanti quanto negli atei e lapresenza di psicopatologia sarà più ele-vata nei cattolici non praticanti rispettoagli altri due gruppi.

Metodo

Partecipanti: Hanno partecipato a que-sto studio 318 soggetti. Il gruppo totaleè stato suddiviso, in funzione della cre-denza religiosa e della frequentazione diassociazioni o pratiche religiose, in tregruppi (equamente ripartiti per età esesso). Un primo gruppo è costituito da107 partecipanti atei (33,6%), mentre irestanti 211 individui di fede cristiano-cattolica sono stati suddivisi in credentipraticanti (n=104; 32,7%) e in credenti

non praticanti (n=107;33,6%). Tutti i parteci-panti sono stati repe-riti in base alla propriadisponibilità a collabo-rare.

Strumento: Lo stru-mento usato è stato loPsychological Treat-ment Inventory (PTI;Gori, Giannini &Schuldberg 2008). Sitratta di un questio-nario self-report, costi-tuito da 537 item conformato di risposta su scala Likert acinque passi che permette di indagare10 dimensioni psicologiche (ognunadelle quali è ulteriormente suddivisain sottoscale). Sono state condottedelle analisi statistiche (Analisi dellavarianza ad una via e Post Hoc Scheffè)per confrontare i punteggi riportati daitre gruppi di persone su diverse di-mensioni.

Risultati

Dal confronto tra i tre gruppi sulle scale“ansia” e “depressione” della dimen-sione “Sintomatologia” emerge, infatti,che gli individui credenti non praticantiriportano punteggi significativamentepiù alti rispetto agli altri due gruppi, iquali riportano, invece, risultati simili.Dal confronto tra i tre gruppi sulle scaledella dimensione “qualità della vita” esulla dimensione “risorse psicologiche”emerge che: gli atei sembrano avere li-velli di autostima, autoefficacia e ten-denze creative, maggiori dei credentinon praticanti e dei credenti praticanti,anche se la differenza con questi ultimiè molto lieve. In conclusione, sembrapossibile affermare che i credenti nonpraticanti, abbiano risorse psicologichee qualità della vita molto più basse siadegli atei sia dei credenti praticanti. Gliatei hanno maggiori risorse psicologi-che rispetto ai cattolici non praticanti esembrano avere maggiore autostima,autoefficacia e tendenze creative deicredenti praticanti.

Tali risultati appaiono in linea con quelliottenuti da Greenfield, Vaillant & Marks(2009), che affermano che coloro checredono e che frequentano in misuramaggiore le istituzioni religiose, ripor-tano livelli più alti di risorse psicologichee qualità della vita rispetto a coloro checredono ma che non effettuano pratichereligiose; in linea con i risultati di Wilkin-son & Coleman (2009) gli atei mostrano

che la convinzione irreligiosa è tantoforte da essere divenuta una risorsa perla loro vita; in linea con i risultati di Elli-son & Lee (2009), gli individui credentinon praticanti hanno minori risorse psi-cologiche e minore soddisfazione di vitaperché non possono fruire di una forteconvinzione entro cui interpretare ilmondo, e allo stesso tempo le propriecredenze “tiepide” potrebbero crearedei sensi di colpa che possono erodererisorse psicologiche positive, quali l’au-tostima e l’autoefficacia, e deviare ener-gie dagli sforzi costruttivi necessari perlo sviluppo personale.

Si denota, inoltre, che i credenti prati-canti hanno minori livelli di autostimae di autoefficacia, rispetto agli atei, inlinea con lo studio di Schieman,Nguyen & Elliott (2003), che hanno ri-scontrato una riduzione del “senso dipadronanza”, nei cattolici più ferventi,i quali tenderebbero ad attribuire a Dioeventi e situazioni negative, che non ri-tengono, quindi, di avere sotto il pro-prio controllo, questo secondo gli au-tori, provocherebbe come effetto se-condario un abbassamento dell’auto-stima e dell’autoefficacia.

Conclusioni

I risultati sembrano, quindi, confer-mare le ipotesi di partenza e dimo-strano la necessità di guardare allareligione nella sua complessità, senzadare per scontata la sua potenziale in-fluenza positiva sulle persone. Sa-rebbe, invece, interessante indagare afondo la portata degli effetti negativiche le convinzioni religiose possonoavere sulla vita di ogni individuo.

Emerge con forza, inoltre, la necessitàd’inserire nel confronto tra gruppi gliatei, che hanno dimostrato di possederepeculiari caratteristiche e risorse, chevarrebbe la pena continuare ad inda-

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gare. Sono necessarie, quindi, ulteriori ri-cerche in questo campo, anche in con-fronto alla vasta mole di studi interna-zionali. Ma per tali progetti non ci si pos-sono aspettare fondi pubblici. Tuttaviaspero che questo studio sia d’incorag-giamento per ulteriori approfondimenti.

Riferimenti bibliografici

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Religiosity, Socioeconomic Status, and theSense of Mastery. Social Psychology Quar-terly 66 (3): 202-221.Wilkinson P. & Coleman P. (2009). Strong be-liefs and coping in old age: a case-basedcomparison of atheism and religious faith.Ageing & Society 30: 337–361.

Laura Salvadori nasce nel 1985, dopo studiclassici si laurea in Psicologia Clinica edella Salute e consegue un Master in Psi-cologia Giuridica. È attualmente iscrittaalla Scuola di Specializzazione in Psicote-rapia Cognitivo Costruttivista e collaboracon l’Associazione Artemisia, centro controla violenza sulle donne, a Firenze.

Lo studio della piena esplicazione, dellacorretta definizione, nonché delle pro-spettive del principio supremo di laicitàdello Stato pone, a coloro che provanoad esaminarne la portata e a compren-derne i contenuti, delle sfide teoriche epratiche che, seppure affascinanti,sono certamente di ardua soluzione. Ineffetti, se è vero che, come quasi tuttii principi costitutivi della modernità,anche quello di laicità è un concettoperennemente in crisi e in continuaevoluzione, si comprendono agevol-mente le difficoltà che uno studio sullalaicità deve inevitabilmente affrontare.

Non esiste, infatti, una sola forma di lai-cità e, per l’effetto, non esiste un unicomodello di Stato laico: la laicità, infatti,è un concetto versatile e in perenneevoluzione, influenzato dalle contin-genti condizioni storico-culturali in cuiogni Stato di diritto, nei vari ordina-menti, si è formato ed evoluto. Risultadunque assodato come l’enunciazioneevangelica “Date a Cesare quello che èdi Cesare, e a Dio quello che è di Dio”,nucleo primordiale di una laicità che siopponeva a derive teocratiche e cesa-ropapiste, non può essere concepitacon contorni statici e universalmentecondivisi ma, al contrario, implica uncostante ed ineliminabile dinamismo.Ecco che, quindi, premessa l’infinita

varietà di caratteristiche che possonocomporre lo Stato laico, l’obiettivo es-senziale e comune, cui ogni ordina-mento che ambisce ad essere laicodeve necessariamente tendere, è l’in-dividuazione dei limiti volti ad impe-dire l’esercizio della potestas indirecta,da parte delle Chiese, nelle questionitemporali che caratterizzano lo Stato. Sicomprende, pertanto, che anche nelnostro ordinamento l’aspetto essen-ziale concerne proprio la corretta com-prensione della formula costituzionaledell’indipendenza degli ordini tra sferatemporale e spirituale e, a ciò stretta-mente connessa, la determinazionedelle modalità con cui si deve realizzarel’eguale libertà tra le diverse confes-sioni religiose.

In questo quadro complessivo, la decli-nazione di laicità adottata dal nostro or-dinamento (come individuata nellaCarta Costituzionale e precisata dallaConsulta) implica un atteggiamento “at-tivo” da parte dello Stato, che non puòrimanere indifferente al fenomeno reli-gioso, bensì deve impegnarsi positiva-mente per salvaguardare la libertà direligione e favorire un regime di plurali-smo confessionale e culturale, in modotale da porsi positivamente al serviziodelle concrete istanze di matrice civile ereligiosa dei suoi cittadini. La laicità ita-

liana, quindi, non si estrinseca nellamera acritica separazione tra Stato eChiese, ma è caratterizzata da un benpiù complesso modello di relazioni cheimplica, al contrario, un’inequivocabilecooperazione: la mera astensione è so-stituita dalla necessità di attività con-crete da parte dello Stato, volte a ga-rantire l’effettiva libertà religiosa per iconsociati e fondata sulla considera-zione per cui la maturazione della co-scienza individuale in materia religiosacostituisce parte di una più generalematurazione spirituale e intellettivadella persona, per cui negare o dimi-diare l’autonomia di tale processo di ma-turazione equivale a negare o dimidiarelo sviluppo della persona in quanto tale.

In ogni caso, gli obblighi costituzionali diequidistanza e imparzialità dello Statoverso tutte le confessioni religiose de-vono vincolare il legislatore a modularel’ordinamento giuridico in modo da per-mettere la piena esplicazione di tali prin-cipi, in modo da evitare qualsiasi dispa-rità di trattamento tra la religione dimaggioranza e quelle di minoranza. Il di-vieto di operare disparità di trattamentotra le confessioni religiose (ovverosial’eguale libertà tra culti sancita dai Co-stituenti) ha, tuttavia, una portata cer-tamente diversa, più ambigua, rispettoall’eguaglianza intesa tout court. L’e-

Il principio di laicità.Stato, confessioni religiose e singolidi Matteo Visigalli, [email protected]

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guale libertà, infatti, non impedisce chepossano essere previste differenziazioninormative tra culti, costituzionalmentegiustificate, fondate sulle peculiari esi-genze che una confessione può avere.

In altre parole, la laicità italiana, percome è stata concepita, implica l’ado-zione di una estesa politica legislativacalibrata sulla tutela delle specificitàconfessionali. In ogni caso, è evidenteche una siffatta promozione legislativanon possa risultare acritica, pedisse-quamente condiscendente verso le par-ticolari rivendicazioni, ma debba, alcontrario, approfondire le origini e icontenuti di ogni singola richiesta, in

modo da valutarne l’effettiva consi-stenza e garantire un’equa politica nor-mativa, idonea ad equilibrare le speci-fiche esigenze con i principi fondanti lanostra democrazia.

Del resto, è imprescindibile come tuttele tematiche trattate debbano avere,come termine assoluto della questione,l’uomo e il rispetto dei suoi diritti edella sua individualità; è il singolo in-dividuo, anche attraverso il suo dirittoalla libertà religiosa, ad essere il pro-tagonista centrale e l’indispensabilepunto di partenza di ogni possibile ul-teriore valutazione. Lo Stato, che puremantiene un’insopprimibile compo-

nente etica, che inevitabilmente lo ca-ratterizza, è chiamato a tutelare il di-ritto individuale di ciascuno, astenen-dosi dall’imporre alcun tipo di azione aipropri consociati e lasciando ad essi lalibera e spontanea determinazione cheè loro propria, soprattutto all’internodella loro intima sfera spirituale, guar-dandosi bene dal favorire arbitraria-mente alcun interesse.

Matteo Visigalli, nato a Varese nel 1986, haconseguito la laurea magistrale con lode inGiurisprudenza presso l’Università Stataledi Milano.

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PREMIO DI LAUREA UAAR

Sul finire del 2008 (cfr. L’Ateo n. 61,1/2009) fecero scalpore le inattese scusepostume indirizzate a Darwin dal reve-rendo Malcolm Brown, ampiamente ri-portate dai media anglosassoni. Nel suoprovocatorio e ipercitato articolo Goodreligion needs good science l’autorevoleresponsabile del dipartimento per gliAffari Pubblici della Chiesa d’Inghil-terra, elogiava l’uso di una “buonascienza” rispetto ad una scienza orien-tata ideologicamente e che escluda apriori l’ipotesi Dio, ed esponeva alcunisuoi convincimenti: l’evoluzione è ora-mai un fatto accertato; la Chiesa in pas-sato ha sbagliato nel rigettare le idee diDarwin ed incoraggiando i fedeli a noncapirle; Darwin ha peccato, nel corsodella sua vita, anteponendo le sue sco-perte alla fede; la chiesa del suo temporeagì istintivamente a questa minacciadi deriva ideologica più che al conte-nuto stesso della teoria; il maggiore pro-

blema attuale dell’evoluzionismo è oggiil suo uso in chiave materialista (dallagiustificazione del razzismo alla nega-zione di Dio); a dispetto dell’evoluzionedelle specie l’uomo non ha mostrato al-cun costante progresso morale; la ri-cerca scientifica non è di per sé contra-ria allo spirito del cristianesimo; la Bib-bia contiene tutto ciò che serve alla no-stra salvezza, ma non è un compendioscientifico; contestare il creazionismonon deve indurre necessariamente adattaccare la Chiesa; le teorie di Darwindebbono uscire dalle agende politiche,dove rischiano di essere adoperate inmodo improprio.

L’eco sui media

Trascorsi quasi quattro anni dalla sortitadel reverendo inglese è interessantechiedersi: cosa ne è rimasto nei media?Ci sono stati sviluppi?

A quanto emerge da una veloce ricercain rete, durante questo periodo laChiesa d’Inghilterra, diretta interessata,non ha espresso alcuna posizione uffi-ciale su quanto sostenuto da Brown, li-mitandosi a non fornire ulteriori spuntidi polemica ai “nuovi ateisti” (quale Ri-chard Dawkins); la Chiesa di Roma, nelcontempo, ha badato piuttosto a de-marcarsi dai supporter più accesi delcreazionismo e del cosiddetto “disegnointelligente”. L’articolo di Brown sem-bra non avere scosso più di tanto nean-che molti ferventi cattolici, ad esempiofra i genetisti ed i biologi evoluzionisticome Phil Batterham, dell’Università diMelbourne, che afferma candidamentedi basare la sua attività scientifica tantosulla Bibbia quanto sull’Origine dellespecie, a suo dire per nulla mutualmenteesclusivi. Un’opinione invero contra-stante con quanto sostenuto da buonaparte dei contendenti dei due opposti

CONTRIBUTI

Scuse a Darwin? Sì, forse, anzi no!di Francesco D’Alpa, [email protected]

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CONTRIBUTI

schieramenti: i credenti che non digeri-scono l’evoluzione e gli evoluzionisti chescartano a priori la creazione.

Molti credenti si sono comunque mo-strati alquanto perplessi, chiedendosi:se è vero che l’idea centrale del cristia-nesimo è l’incarnazione di dio, l’ideadella “speciale” relazione esistente fradio e l’uomo non cambia in modo so-stanziale se quest’ultimo è parte di unprocesso evolutivo che include il mondonon umano? Un ostacolo all’accetta-zione, fra i cristiani, delle tesi di Brownviene anche dal fatto che esse sem-brano spianare la strada al teismo, giac-ché in buona sostanza equiparano l’o-pera di dio a quella della natura. Adesempio, il vescovo anglicano austra-liano Tom Frame, autore di Evolution inthe Antipodes, ha scritto: “Dio operacon e attraverso i processi naturali giac-ché, dopo tutto, questi sono processi diDio, per cui la gente non deve essere in-timorita da quanto evidenziano le os-servazioni empiriche e le applicazionidella ragione”.

Nel XIX secolo molti biologi (come il ce-lebre statunitense Asa Gray) si sono di-chiarati “teisti evoluzionisti”; e moltioggi ritengono che Darwin sia stato, pergran parte della sua vita, sostanzial-mente un teista. In realtà, con la suateoria, Darwin (che finì col giudicare er-roneo il cristianesimo ed immorale l’ideadell’inferno) ha finito col contestareapertamente anche il teismo.

Una dura opposizione all’articolo diBrown è venuta dal pastore evangelicostatunitense Albert Mohler, Presidentedel Southern Baptist Theological Semi-nary, secondo il quale non solo l’evolu-zione è assolutamente incompatibilecon la creazione, ma le scuse a Darwinsono solo un segno di debolezza dellaChiesa anglicana, che ha perso autore-volezza, ed evidentemente cerca di nonperdere contatto con la società; una si-tuazione radicalmente differente daquella dei tempi di Darwin, allorché s’in-segnava che ogni potere deriva da dio eche dunque ogni attacco al potere è an-che un attacco a dio; a suo parere leinopportune scuse di Brown contribui-ranno a dividere ulteriormente i cristianiche celebrano la nascita di Darwin daquelli che condannano il suo lavoro.

Le reazioni in Italia

Per quanto riguarda l’Italia, i commentidel mondo cattolico sono stati tantosuperficiali quanto, spesso, basati su di

una colpevole disinformazione; ne èbuon esempio l’affermazione che laChiesa cattolica non ha mai condan-nato Darwin e la sua teoria, come so-stenuto da Monsignor Ravasi e pron-tamente riportato dalla stampa vatica-nofila (con il giornalista Andrea Tor-nielli in testa). Come se la posizionedella Chiesa fosse solo quella risultantedai documenti vaticani e non anche lasistematica derisione (da parte di pre-dicatori ed apologeti, ad ogni livello),per oltre un secolo, delle teorie diDarwin; e glissando sulla chiusuranetta al naturalismo certamente san-cita da vari documenti papali a partiredal primo Novecento e almeno fino aPio XII (primo fra tutti l’Enciclica Hu-mani Generis, del 1950). Un caso a sé,come in altre occasioni, è quello delteologo Vito Mancuso, secondo il qualese riabilitare Darwin sarebbe un atto dionestà intellettuale, non bisogna perquesto santificarlo, e comunque l’evo-luzione va ritenuta una spiegazionesolo parziale dell’origine dell’uomo.

Difendere la chiesa, innanzitutto

Non è difficile sospettare che l’intento diBrown sia stato non tanto quello di ren-dere il dovuto merito a Darwin, quantosoprattutto quello di salvare il salvabilea pro della chiesa. Niente di meglio in-fatti, da parte sua, che sostenere chel’incomprensione verso ogni nuova ideadipende dall’essere noi tutti (inclusi gliuomini di chiesa) “solo umani” (e dun-que macchiati dal peccato e dall’errore).Atteggiamento mentale, questo, inevi-tabilmente enfatizzato dai creazionistipiù accesi, che non a caso ancora oggicontrappongono (a soluzione del “casoDarwin”) la “verità” della parola divinaalla fallibilità della ragione umana.

Alla causa del cristianesimo giove-rebbe anche la considerazione cheDarwin restò culturalmente sotto l’in-fluenza della Chiesa anglicana lungotutto il corso della sua vita (per averefrequentato scuole religiose; per avereinizialmente intrapreso la carriera ec-clesiastica; per essere approdato allostudio delle scienze sulla scia di unmaestro credente; per avere sposatouna donna fortemente religiosa). Macome spiegare allora il suo progressivoallontanamento dalla fede? È stata l’i-dea di una selezione naturale a invali-dare quella di una diretta creazione daparte di un dio personale, oppure èstato l’abbandono della credenza in undio personale a fare strada alla teoria diuna selezione naturale? Per i credenti,

manco a dirlo, vale senza dubbio la se-conda ipotesi, spiegata con la inevita-bile “debolezza umana”.

Un ulteriore interessante aspetto del-l’articolo di Brown è l’accostamento frai casi Galileo e Darwin, entrambi og-getto di scuse postume. Ebbene, se-condo alcuni il paragone è del tutto im-proprio. Infatti, Galileo non intese maicontestare direttamente la Bibbia (che asuo parere poteva essere letta in terminiallegorici), ma attaccò le idee scientifi-che aristoteliche prevalenti al suotempo, che la Chiesa aveva fatto sue ac-cordandole alla lettera biblica; Darwininvece ha direttamente contestato laBibbia, ritenendone il racconto assolu-tamente erroneo.

L’articolo di Brown, inoltre, sposta itermini della questione: secondo lui laChiesa sin dall’inizio non ha rifiutato l’i-dea in sé dell’evoluzione, ma solo l’ideache dio non c’entrasse nulla con l’evo-luzione; se dunque si ammette che dioinvece c’entra qualcosa con l’evolu-zione non vi è motivo di rigettarla: piùo meno quello che molti oggi, in Vati-cano, ammettono a denti stretti. Manonostante questo sforzo argomenta-tivo, secondo i più, non saranno certo lescuse tardive ad un “nemico dellafede” a riempire le chiese inglesi, oggifrequentate da quel 5% circa della po-polazione cui interessano solo il Van-gelo ed il timore di dio.

Una conciliazione possibile?

Uscito, curiosamente, nel bel mezzodella campagna presidenziale statuni-tense, che ha visto la candidata vice-presidente repubblicana Sarah Palin im-pegnata in favore dell’insegnamentocreazionista nelle scuole, la “strana”idea di Malcolm Brown ha suscitato am-pie reazioni “politiche”. Molti commenti,più che sulla specifica questione, sonoinfatti risultati centrati sulla depreca-bile pratica, oramai abusata da partedelle chiese cristiane, dell’uso strumen-tale delle “scuse” postume. Un temache, almeno in questo caso, non sembratoccare più di tanto le gerarchie vati-cane.

La domanda da porsi, in ultimo, sul-l’intera vicenda, è allora questa:Brown è davvero un onesto difensoredella “verità”, come lui stesso richiedeai suoi avversari, o il suo è solo unmaldestro tentativo di salvare il sal-vabile? E in che misura il suo ragiona-mento è viziato dal preconcetto che il

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cristianesimo sia in fondo “la cosa mi-gliore” e vada preservato anche a co-sto di qualche adattamento alle nuoveconoscenze? Pio XII, con le sue “ti-mide” ma molto parziali “aperture”all’evoluzionismo aveva già fatto qual-cosa di simile, e Giovanni Paolo II siera spinto poco più avanti, sulla stessastrada. Ma per la Chiesa è difficile, senon impossibile, proseguire oltre. El’idea di doversi scusare altre volteper il proprio passato non va propriogiù ai molti che non vogliono la Chiesasempre sul banco degli accusati dallastoria. Alla resa dei conti, secondomolti creazionisti, chi ha fede ritieneancora oggi che l’evoluzione nonpossa in alcun modo dimostrare che lareligione sia erronea, e che chi ignoral’evoluzione ignori ben poco delmondo reale e di quanto gli serve perla salvezza finale.

Nel campo opposto, invece, ci si do-manda: è sufficiente chiedere scusa, so-prattutto se si ammette la colpa di avereanche, per più di un secolo, “incorag-giato altri ad una falsa interpretazionedel darwinismo”? In tal senso, e para-dossalmente, l’unico sistema pubblico eincontestabile di riabilitazione dovrebbeessere quanto meno una beatificazionedi Darwin da parte di quella Chiesa nellaquale egli era cresciuto e della quale(teoricamente) faceva ancora parte!

Ma non si dovrebbe chiedere scusaanche ai miliardi di esseri umani chesono stati indotti in errore da predica-tori ed apologeti costantemente in po-lemica antidarwiniana? E non do-vrebbe la Chiesa compiere un segnoevidente di riconciliazione, ammet-tendo quanto sia sbagliato umiliare laragione ed imporre alla scienza di ri-

trarsi di fronte alla teologia, come neldeprecabile caso del Monitum, tuttoravalido, del Sant’Uffizio contro Teilhardde Chardin (l’eretico gesuita che rite-neva valido o prevalentemente validoil neodarwinismo pur credendo fer-mamente in dio e che aveva infrut-tuosamente cercato di conciliare lafede con la paleoantropologia)? Al dilà di queste dispute interne allaChiesa, la possibilità di un accordo fracreazionismo ed evoluzionismo è riso-lutamente negata (“una perdita ditempo”) dal “misoteista” (così lohanno apostrofato certi suoi avversari)Richard Dawkins (ritenuto dai cre-denti l’immagine speculare dei fonda-mentalisti cristiani), che ironicamenteha chiesto: se la storia di Adamo edEva è solo simbolica, perché Gesù si èsacrificato per un peccato simbolico eper due individui mai esistiti?

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CONTRIBUTI

Ormai ci prova gusto, Benedetto XVI, aripetere che l’ateismo è stato il brododi coltura del nazismo, che ha portatoai campi di concentramento. Non che ilpapa sia solo, nel prodursi in similiperformance. Negli USA ci ha peresempio provato Dinesh D’Souza. No,non è un carneade: e non solo perchéCarneade, con buona pace di Manzoni,è stato un filosofo scettico di tutto ri-spetto. D’Souza ha scritto una replica aChristopher Hitchens, intitolataWhat’s So Great About Christianity,che Oltreoceano è diventato un best-seller. Cattolico trasmigrato nel fonda-mentalismo, D’Souza sostiene esatta-mente le stesse teorie di Ratzinger:dall’ateismo si finisce dritti al nazismo[1]. Visto che, complici i media, le tesidel papa sono ormai diffuse ovunque,ritengo sia utile fornire ai lettori deL’Ateo un piccolo prontuario che aiutia confutare la bufala.

1. Le origini dell’antisemitismo. Lashoah è stata preceduta da un mille-nario antisemitismo che non era ateo,ma cristiano, come ha fatto notare alpapa lo stesso rabbino-capo di Roma,Riccardo Di Segni (ovviamente senzasuccesso). Hector Avalos ha peraltro

constatato la puntuale corrispondenzadel programma antiebraico nazista conquello contenuto nel libello Degli ebreie delle loro menzogne di Martin Lutero[2]. Che è vissuto nel XVI secolo e nonrisulta fosse ateo.

2. Le convinzioni personali di Hitler edei nazisti. Se è vero che il Führer mi-rava a ridurre il potere delle Chiese cri-stiane (un vero totalitarismo non puòaccettare la compresenza di altri tota-litarismi), è anche vero che ne apprez-zava la funzione “morale”, tanto da vo-lersene servire come instrumentum re-gni: il modello di chiesa costantiniana,insomma, messo in pratica anche da-gli zar nei confronti dell’ortodossia. Maciò non significa affatto che Hitlerfosse ateo: con buona pace dell’apolo-geta cattolico Francesco Agnoli, che siè stupito che l’UAAR non lo abbia in-serito nell’elenco dei «famosi non cre-denti» pubblicato sul suo sito. Resta ilfatto che non esiste alcuna afferma-zione in cui Hitler dica di essere ateo,mentre ne esistono parecchie che mo-strano come credesse in Dio. Nel MeinKampf scrisse di «essere convinto dicomportarsi quale agente del Crea-tore»: combattendo gli ebrei, sentiva

di «compiere l’opera del Signore». Hi-tler, battezzato cattolico, continuò apagare le tasse alla sua Chiesa fino allamorte. Gli stessi dirigenti e quadri na-zisti erano cristiani, e uno studio del1938 mostra che il 99,8% delle SS si di-chiarava credente in Dio [3].

3. L’ideologia ufficiale nazista. Se fos-sero vere le tesi di Ratzinger, ci siaspetterebbe un pubblico riconosci-mento dell’ateismo nei programmi uf-ficiali del partito. Non si trova invecenulla del genere. Al contrario, si tro-vano numerose affermazioni in favoredi Dio e delle due ‘tradizionali’ chiesecristiane, e dell’utilità che apporta-vano alla società tedesca dell’epoca.La più nota di tutte, il motto dellaWehrmacht: «Gott mit uns», «Dio ècon noi». Contrariamente a quanto af-fermano gli apologeti, la dottrina del‘cristianesimo positivo’ di Alfred Ro-senberg, gerarca nazista giustiziato aNorimberga, non fu mai fatta propriadal partito: lo stesso Hitler ne preseesplicitamente le distanze a più ri-prese. Tale dottrina, che consideravaGesù una sorta di superuomo e di em-blema della razza ariana, deve essereperaltro considerata per quello che

Dieci ragioni per cui l’ateismo e Darwin non c’entranonulla col nazismo (a differenza del cristianesimo)di Raffaele Carcano, [email protected]

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CONTRIBUTI

era: una dottrina cristiana, basata suuna propria interpretazione dei Van-geli. Eretica, se si vuole, ma non certoatea.

4. L’azione concreta nazista. Mentrele Chiese continuavano la loro attività,le associazioni di liberi pensatori,messe al bando già nel 1932 con ilplauso dei nazisti, continuarono a re-stare fuorilegge fino al 1945. La sededella Lega dei liberi pensatori fu addi-rittura assegnata alla Chiesa luterana.Ed è difficile riconoscere un ateo pro-motore dell’ateismo in colui che ha di-chiarato di aver intrapreso «la lottacontro il movimento ateo», rivendi-cando per di più di averlo «soffocato».Sono parole di Adolf Hitler.

5. Il rapporto della Chiesa cattolicacon il regime. Otto anni dopo il MeinKampf, e soltanto sei mesi dopo l’a-scesa al potere di Hitler, la Santa Sedestipulò con lo stato nazista un Con-cordato autorevolmente siglato dal fu-turo papa Pio XII. Il partito cattolico te-desco, lo Zentrum, votò la concessionedei pieni poteri a Hitler, mentre il suoesponente Franz von Papen ne di-venne vice-cancelliere. Negli anni se-guenti, a parte l’enciclica Mit bren-nender Sorge di Pio XI del 1937 non vifu nessuna pubblica critica nei con-fronti del regime: tanto che il silenziodi Pio XII, papa dal 1939, è diventato ilsoggetto di opere di successo, da Il Vi-cario di Rolf Hoch-huth ad Amen del re-gistra greco Costantin Costa-Gavras.Come ricorda lo storico GuentherLewy [4], il Vaticano non scomunicòmai Adolf Hitler, né inserì mai nell’in-dice dei libri proibiti il Mein Kampf (pe-raltro quasi sicuramente scritto conl’aiuto di un sacerdote cattolico,Bernhard Stempfle). Sorte toccata in-vece a letterati quali Sartre e Moravia.

6. Il rapporto della Chiesa con regimisimili. In misura diversa, i regimi fa-scisti sono stati sempre sostenuti dalleautorità cattoliche. Il caso più evidenteè quello slovacco, il cui regime colla-borazionista era guidato da un sacer-dote, Jozef Tiso, che assunse il titolodi vodca (equivalente a “duce” o “füh-rer”) e che adottò a sua volta una legi-slazione antisemita. Ma la Chiesa cat-tolica sostenne apertamente anche ilgoverno fantoccio degli ustascia croati:nel campo di concentramento di Jese-novac, alla cui direzione stava un fratefrancescano, furono uccisi decine dimigliaia di serbi, comunisti, ebrei e zin-gari.

7. L’atteggiamento della Chiesa allafine della seconda guerra mondiale.Caduto il nazismo, il Vaticano fu com-plice nella fuga di gerarchi nazisti eustascia [5]. Perché?

Non è tuttavia soltanto l’ateismo a es-sere sotto attacco: anche la teoria del-l’evoluzione è stata infatti accusata, at-traverso l’eugenetica, di aver condottoalla soluzione finale.Tanti gli esempi, anchein Italia e sul quotidianodei vescovi. Anche inquesto caso, il fonda-mentalismo protestanteha prodotto di peggio,come il libro FromDarwin to Hitler dellostorico Richard Weikart(non a caso un sosteni-tore dell’intelligent de-sign). Ciononostante,pure questa rivendica-zione è priva di basi.

1. L’azione concreta deinazisti. Un elenco di li-bri messi al bando inGermania nel 1935comprendeva anche te-sti evoluzionisti.

2. Le convinzioni personali di Hitler eDarwin. Il leader tedesco non ha mai ci-tato Darwin, mentre quest’ultimo hachiaramente preso posizione contro lavolontà di non aiutare l’umanità piùsvantaggiata.

3. Il concetto di razza eletta. Che non sitrova in Darwin, e che si trova invecenella Bibbia. Nel Mein Kampf Hitler ri-prese dal Deuteronomio (23, 2-3) l’ana-tema per i peccati dei padri da punire«fino alla decima generazione», e dal Li-bro di Esdra (9,1-2 e 12) il disprezzo perle coppie miste. Ancora una volta si pos-sono trovare antecedenti cattolici, il piùnoto dei quali è la limpieza de sangre, ilcinquecentesco requisito spagnolo ne-cessario per accedere agli incarichi pub-blici, che erano preclusi ai neo-conver-titi dall’ebraismo o dall’islam.

Qualche anno fa Daniel Goldhagenscrisse che, «per le sue mancanze mo-rali, la Chiesa deve fare moralmenteammenda. Farlo significa, tra le altrecose, dire la verità e riformare gli inse-gnamenti e le pratiche che hanno con-tribuito a tali mancanze» [6]. Ratzin-ger, un papa tedesco che ha cono-sciuto il nazismo, sembra aver sceltoun’altra strada.

Note

[1] D’Souza applica tale metodo anche aigiorni nostri: a suo dire, persino Abu Gh-raib sarebbe il frutto «della deboscia del-l’élite liberal».[2] Hector Avalos, Atheism Was Not theCause of the Holocaust, in John W. Loftus(ed.), The Christian Delusion. Why FaithFails, Prometheus Books 2009, pp. 372 e390.[3] Cfr. Avalos, cit., p. 376.[4] Guenter Lewy, I nazisti e la Chiesa, Net2002, p. 224.[5] Cfr., tra le opere più recenti, Gerald Stei-nacher, La via segreta dei Nazisti. Come l’I-talia e il Vaticano salvarono i criminali diguerra, Rizzoli 2010, e Adriano Pino e Gior-gio Cingolani, La via dei conventi, Mursia2011.[6] Una questione morale. la Chiesa catto-lica e l’olocausto, Mondadori 2003, p. 31.

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Pregare Dio o invocare gli spiriti delle foreste:queste credenze, per quanto lontane siano, han-no in comune la capacità di sedurre gli individuie di perpetuarsi da una generazione all’altra.Bisogna dunque ricercarne le ragioni nel fun-zionamento del nostro cervello?

Le credenze religiose e le relative prati-che rituali sono onnipresenti nelle societàumane sin dalla notte dei tempi e in gran-de varietà. Il dio unico, onnipotente edonnisciente delle religioni rivelate qua-li il Cristianesimo, l’Islam e il Giudaismo,non ha in effetti molto a che vedere conle centinaia di divinità indù o buddiste oDjengy, lo spirito della foresta presso iPigmei. Analogamente, i rituali cristiani(battesimo, comunione, cresima, ecc.)sono ben diversi dai sacrifici fatti agli an-tenati dai Dogoni del Mali o dalle ceri-monie del fuoco dell’Induismo.

Eppure, queste credenze e queste pra-tiche religiose sono fra loro molto più vi-cine di quanto non sembri ad un primoapproccio. In particolare, tutte o quasimettono in scena degli esseri sopran-naturali dai poteri eccezionali – gli dèi,gli spiriti, gli antenati, i dèmoni o ancorai gèni. E tutte si trasmettono di gene-razione in generazione, in una manieraestremamente stabile in una determi-nata cultura. Come esplicare tali ricor-renze? Soprattutto, perché le idee reli-giose conoscono un tale successo? Peralcuni, è in azione un medesimo desi-derio di comprendere l’universo o dispiegare i misteri della vita e dellamorte. Tuttavia, gli studi condotti dauna trentina d’anni in psicologia co-gnitiva e in antropologia offrono un’al-tra soluzione: se siamo tutti così ricet-tivi rispetto alle idee religiose, ciò è inrelazione al modo in cui funziona la men-te umana e, dunque, il cervello.

Questa tesi si è fatta avanti a partire daiprimi anni Settanta. L’antropologo fran-cese Dan Sperber, direttore di ricercaemerito al CNRS, uno dei padri dell’ap-proccio cognitivo alla religione, testi-monia: «In quel tempo, studiavo le pra-tiche rituali dei Dorzi, una popolazione delsud dell’Etiopia. Lo facevo in un modopiuttosto ordinario, interrogando le per-sone riguardo al significato dei sacrifici,degli incontri di divinazione che esse pra-ticavano, e dei simboli. Ma la sola risposta

che ottenevo era che essi facevano ciòche avevano sempre fatto i loro genito-ri. In un primo momento ero frustrato, poiho progressivamente preso coscienza delfatto che questa risposta era tutt’altroche superficiale e che era la mia domandaad essere problematica. I simboli religiosi,i rituali, i miti, non hanno necessaria-mente un significato preciso per chi li pra-tica. Si tratta piuttosto di una fonte evo-cativa».

Forte di questa constatazione, DanSperber guarda alle scienze cognitive eai meccanismi del pensiero. Nel 1975,pubblica Le symbolisme en général, incui sviluppa delle idee che sono oggi alcentro del nuovo approccio cognitivoalla religione: la nostra attitudine a cre-dere in qualcosa di superiore trova lasua origine proprio nel funzionamentodel pensiero e del suo organo, il cervelloumano.

Il cervello in preghiere

Che le cose siano chiare. Il cervello nonè “programmato” per credere nel sensoche non si conosce nessun gene della re-ligione o della fede, né certo dei neuro-ni divini. Certo, i neurobiologi hanno mes-so in evidenza, grazie alle tecniche dibrain imaging, un effetto della medita-zione e della preghiera sulla messa in ri-poso o, al contrario, sull’attivazione di de-terminate zone nel cervello dei buddistitibetani e delle monache. Ma è difficilesapere se queste modificazioni siano lacausa o la conseguenza della pratica spi-rituale. Analogamente, un esperimentocondotto nel 2003 su una quindicina divolontari concludeva per l’esistenza di unnesso fra la loro “religiosità” e il tasso diserotonina nel loro cervello, molecola que-sta che assicura la comunicazione fra ineuroni. Ma anche stavolta, un alto tas-so di serotonina favorisce la religiosità o,al contrario, questo sentimento scatenala liberazione massiccia di serotonina,così come la paura favorisce la secrezionedi adrenalina? L’attuale stato delle co-noscenze non ci permette di decidere inmerito.

Se non è programmato per credere, il cer-vello presenta in compenso una per-meabilità particolare alle idee religiose.«Non esiste alcun automatismo che fac-

cia in modo che tutti elaborino idee re-ligiose simili fra loro», precisa Dan Sper-ber. «L’idea è che la mente umana abbiadelle disposizioni intrinseche a costrui-re delle rappresentazioni del mondo na-turale in un certo modo e proprio così,quale che sia il grado di cultura, di civi-lizzazione, ecc.». In generale, ogni indi-viduo setaccia le informazioni che rice-ve. Pascal Boyer, professore di psicolo-gia e di antropologia all’università ame-ricana di Washington, a Saint Louis, e au-tore di Et l’homme créa les dieux (Laffont,2001), ha così mostrato che certe infor-mazioni sono per il cervello più inte-ressanti di altre e, di conseguenza, siprestano più facilmente ad essere me-morizzate. La loro particolarità? Essesono al tempo stesso fortemente contro-intuitive ma anche intuitive, ovvero vio-lano le nostre aspettative e la nostra com-prensione spontanea del mondo, ri-spondendo però alle nostre aspettativeordinarie. Così, gli esseri soprannatura-li sono concepiti come persone dotate diqualità e di poteri straordinari, che de-rogano alle leggi fisiche attese. I fanta-smi, gli spiriti, i gèni o gli dèi possono, adesempio, provare dei sentimenti umani.Allo stesso tempo, essi sono capaci dicambiare aspetto, di attraversare i murima anche di non invecchiare mai e di nonmorire, ecc.

Questa visione delle cose non ha tutta-via l’unanimità fra gli specialisti di scien-ze cognitive. Coloro che lavorano con ibambini, in particolare, accordano spes-so maggiore importanza all’intuizione.«Ciò che sembra contro-intuitivo ad unadulto può essere intuitivo per un bam-bino», nota Fabrice Clément, professo-re all’Università di Neuchâtel. «Ad esem-pio, lo psicologo britannico Justin Barrett,autore di Why Would Anyone Believe inGod, insiste sul fatto che certe concezioniche sembrano “incredibili”, come crederein un Dio onnisciente o immortale, inrealtà vanno da sé per i bambini di tre oquattro anni. D’altra parte, le riflessioni,spesso lunghe e complesse, che prece-dono i fenomeni di conversione e di con-versione religiosa si concludono spessocon una sensazione di ovvietà per il nuo-vo (o l’ex-) credente. Di conseguenza,sembra esagerato ridurre tutte le cre-denze religiose ad un consenso che nonriposerebbe che su dei meccanismi co-

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Perché è così naturale “credere”?di Fabienne Lemarchand, [email protected]

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CONTRIBUTI

gnitivi subconsci, anche se questi ultimigiocano evidentemente un ruolo fonda-mentale».

Dal brusio alla religione

Checché se ne dica, più una rappresen-tazione è attraente e più si presta ad es-sere memorizzata, più essa avrà possi-bilità di espandersi e di imporsi fedel-mente all’interno di un gruppo. È perquesto che le credenze religiose cono-scono un tale successo, differentemen-te dalle storie ordinarie e banali. Adesempio, le voci che si propagano fra ami-ci o fra vicini non cessano di trasformarsi.Ciascuno racconta la storia a propriomodo, aggiungendovi alcuni dettagli,omettendone altri. Al punto che, coltempo, esse si perdono e il contenuto ini-ziale diviene irriconoscibile. Quanto alle

idee religiose, esse si propagano in ma-niera molto stabile nel corso delle ge-nerazioni, all’interno di intere società. PerDan Sperber, la loro diffusione avvienein modo epidemico. «Le idee che im-pregnano al massimo la mente umanavengono trasmesse, le altre cadono nel-l’oblio. Tutto accade come se esistesseuna sorta di epidemiologia mentale checonduce le persone a sviluppare, risvi-luppare e trasmettere indefinitamente leidee e i concetti religiosi variabili da cul-tura a cultura ma i cui tratti comuni ri-guardano in larga parte proprietà uni-versali del cervello».

La comunità scientifica è oggi d’accordosul fatto che ciascuno di noi abbia unapredisposizione particolare a favorire losviluppo delle credenze e delle pratichereligiose. In compenso, un vivace dibat-tito oppone sempre coloro che ritengo-

no che questa disposizione si inscriva nel-l’estensione dei nostri differenti adatta-menti biologici e altri che la vedono comeun prodotto derivato dalle nostre capa-cità cognitive. Nel primo approccio, difesofra gli altri dall’evoluzionista americanoDavid Sloan Wilson, l’uomo sarebbepredisposto sin dalla nascita ad intrat-tenere credenze religiose, allo stessomodo in cui lo è per stare in piedi o perdormire. E se la mente umana è inclinead accettare idee religiose, è perché esseadempiono una funzione e rispondono adun bisogno fondamentale: dare coesio-ne ai membri di un gruppo, per esempio,incitandoli a cooperare, imponendo un or-dine sociale o dando loro dei valori mo-rali. Esse deriverebbero dunque da unprocesso di selezione e di adattamentoche si sarebbe svolto fra gruppi nel cor-so dell’evoluzione umana, dove coloroche disponessero di credenze religiosesarebbero stati favoriti rispetto agli altri.

L’altro approccio, di cui Dan Sperber fuuno dei primi esponenti, afferma che leidee religiose sarebbero un sempliceprodotto derivato dalla nostra evoluzio-ne. In questo caso, l’uomo sarebbe, gra-zie alle sue capacità cognitive, ricettivorispetto alle idee religiose ma non pre-disposto a svilupparle spontaneamente.Le religioni non svolgerebbero così al-cuna funzione. Altra cosa è constatareche, nel corso della storia, esse nonhanno necessariamente incitato i grup-pi umani alla cooperazione o alla coesione… «Il nostro cervello ha conosciuto un’e-voluzione, non in quanto aveva delle ideereligiose, ma per consentirci una com-prensione adeguata del nostro ambien-te naturale e sociale. E sono i meccani-smi di questa comprensione che ci ren-dono recettivi alle rappresentazioni de-gli esseri soprannaturali – i quali sareb-bero straordinariamente pertinenti se esi-stessero davvero – e dunque alle idee ealle pratiche religiose», afferma DanSperber. Per i sostenitori di questa tesi,l’uomo non nasce già provvisto delle ideereligiose. Il fatto che i bambini educati inun ambiente ateistico non sviluppinospontaneamente delle idee religiose,anche quando vengono in contatto condelle rappresentazioni soprannaturaliattraverso i film o i libri di fantasia, an-drebbe in questa direzione. Le idee re-ligiose sarebbero allora culturalmente tra-smesse.

I due approcci non sono forse del tuttoincompatibili. Per Fabrice Clément, «leopposizioni teoriche potrebbero rifletterela dimensione polivalente dei fenomenireligiosi. Così, la suscettibilità cognitiva

LES CAHIERS DE SCIENCE & VIE, n. 124 (Août/Septembre, Paris 2011), ISSN 1157-4887(http://www.science-et-vie.com/), Aux origines du sacré et des dieux(http://www.filesonic.com/file/1692129054/Les_Cahiers_de_Science_et_Vie_124_2011.pdf).

La rivista francese “Science et Vie” ha dedicato il numero di agosto-settembre 2011dei suoi Quaderni al tema delle origini del sacro; iniziativa che non desta grande stu-pore in un paese laico come la Francia, ma che vale la pena recensire in Italia, dovele religioni difficilmente si sottomettono al microscopio di chi vuole indagare il fe-nomeno con atteggiamento tipicamente scientifico.

Può sembrare peregrino, ad uno sguardo superficiale, che la rivista tratti prelimi-narmente la nozione di simbolo. Ancor più bizzarro appare il fatto che gli autori pre-sentino una serie di studi paleo-antropologici, incentrati sui ritrovamenti di utensilie di oggetti vari che suggeriscono la capacità di pensare a qualcosa secondo cate-gorie simboliche, appunto, mettendo in atto un comportamento di significazione.Sorge spontaneo allora domandarsi quale sia il nesso di questo genere di ricerchecon le origini del sacro. In effetti, l’Homo religiosus è prima di tutto un Homo sim-bolicus, nella misura in cui il suo riferirsi ad un’entità, attribuendole caratteri e qua-lità, incarna perfettamente ciò che intendiamo per simbolizzazione. Si tratta, in en-trambi i casi, di identificare – e spesso di costruire – un oggetto e di porre in essodeterminate peculiarità che poi si intende comunicare a qualcuno.

Per comprendere il fenomeno del culto religioso e le sue origini occorre allora occu-parsi innanzitutto della facoltà simbolica di cui siamo depositari, in virtù della qualeabbiamo elaborato il linguaggio e le varie culture, intese come insieme di pratichedi significazione che rendono coesi i gruppi umani. Così, accanto ad una serie di ar-ticoli al riguardo, i quaderni di Science et vie presentano alcuni studi in ambito di neu-roscienze sull’attitudine della mente umana a credere alle idee religiose. In parti-colare, è il nesso fra alti livelli di serotonina nel cervello e disponibilità ad accoglierecredenze che interessa agli autori; il problema è quello di comprendere se ciò siacausa oppure conseguenza della pratica spirituale.

Ciò che sembra interessante negli articoli presentati sono, ancor prima delle rispo-ste date, i problemi che vengono posti rispetto alla comprensione del fenomeno re-ligioso; interrogarsi con domande di questo genere, chiedersi quali facoltà intellet-tuali siano alla base di culti e credenze e analizzarne il funzionamento a livello ce-rebrale è un buon metodo, sia dal punto di vista della ricerca sia sotto un profilosemplicemente civile, per indagare in modo laico qualcosa che fa parte delle cultureumane e che ne influenza la storia.

(Chi intendesse procurarsi il numero della rivista può contattare direttamente Ca-role Zaragoza al numero: +33146484897).

Federica Turriziani Colonna, [email protected]

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della nostra mente ad accettare le cre-denze religiose ha potuto facilitare la coo-perazione all’interno di certi gruppi che,collettivamente, si sono sforzati in seguitodi stabilizzarle nel tempo. Ma questa ul-teriore evoluzione risponde ancora alleleggi della selezione naturale? Questonon è proprio ovvio».

Il dibattito resta aperto. D’altra parte, nonè certo che si possa un giorno prendereparte per l’una o l’atra ipotesi, poichéqueste ricerche toccano qualcosa didavvero profondo. Per Fabrice Clément,

«questo dibattito oltrepassa largamen-te il quadro scientifico. Tutti i ricercato-ri – psicologi, antropologi, neurobiologi– sono in effetti pressappoco d’accordosulle osservazioni ma non lo sono affat-to sul modo in cui le si interpreta. E in-fine, gli argomenti avanzati dagli uni e da-gli altri sono strettamente dipendenti dalloro proprio sistema di credenze».

(L’articolo è comparso nel numero di ago-sto/settembre 2011 dei Cahiers de Scien-ce et Vie, http://www.science-et-vie.com/, interamente dedicato al tema

delle origini del sacro e degli dèi).(Traduzione dal francese di FedericaTurriziani Colonna, [email protected]).

Fabienne Lemarchand, dopo aver lavoratoad una tesi (Université Pierre et Marie Cu-rie, Paris VI) sui fenomeni vulcanici delleAçores, dal 1997 si è orientata verso il gior-nalismo scientifico, lavorando dapprima per“La Recherche” e, poi, come inviata free lan-ce sempre per “La Recherche” e per i“Cahiers de Science et Vie”.

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CONTRIBUTI

Mosé dissedi Bruno Borgio, [email protected]

Mosé disse al Signore:”Ecco, quando io mi presenterò

ai figli di Israele, e annunzierò loro:– Il Signore dei vostri padri

mi manda a voi, –se essi mi chiederanno qual è il Suo nome,che cosa dovrò rispondere?” Ed il Signore

disse: “Io sono quello che sono,”e aggiunse: “Dirai: – ‘Io sono’

mi manda a voi. –”(Esodo 3, 13-1)

Bella grana, per una lingua dove non c’èil verbo essere al presente, dover dire Iosono colui che è, come spesso viene tra-dotto nelle nostre Bibbie la frase Ehjehasher ehjeh. Il fatto è che questi verset-ti sembrano davvero (volutamente) oscu-ri, pare che Dio il suo nome non lo vogliaproprio dire. Mosé sembra saperlo be-nissimo, infatti la piglia alla larga: Dio glidice di andare ad annunciare agli ebreila prossima liberazione dall’Egitto e luirisponde, più o meno: Eh, ma chi sono ioper andare dal Faraone a dirgli ’stecose? E quando andrò dagli ebrei a direche mi hai mandato, magari questi di-ranno: ma tu chi sei, com’è che si chia-ma questo dio che ti manda?

La risposta è la più non-risposta possi-bile: Ehjeh (ovviamente) non è la tradu-zione letterale di Sono, ma una forma delverbo “divenire”, “mostrare di essere”,un tempo indeterminato (vagamentesimile al nostro imperfetto) che non im-plica solo il presente ma anche il futuro.Un po’ come dire: Io sarò quel che sarò,tu Mosé non ti preoccupare, dì come tiho detto e non cercare di fare il furbo. Unpo’ meno esplicito del Marchese delGrillo, ma siamo lì: Io sono io, e voi non

siete un cazzo. Poi ognuno se lo è tradottonon tanto in base alle sue conoscenzegrammaticali, ma conformemente allasua concezione di Dio.

In questa storia c’è l’origine di un con-cetto che per me è fondamentale: Nonnominare il nome di Dio: se lo fai, è sem-pre invano. Diceva un saggio (credo fos-se Cordovero) parlando dell’essenza ul-tima di Dio, l’Ein Sof dei mistici: “Noi nonpossiamo dire: Ein Sof, che Egli sia be-nedetto, poiché le nostre labbra non lopossono benedire”. Sostanzialmente diDio non possiamo davvero dire nulla (ioda buon miscredente aggiungerei: nem-meno se esiste); se lo fai, appena dici Dioè così e cosà, sei già un idolatra, ti sei fat-ta un’immagine a tuo uso e consumo, unidolo appunto; come se l’unico modo perrapportarsi col divino sia quello di ridurloa dimensioni umanamente gestibili: la re-ligione è questa cosa qui. Tutte le reli-gioni sono quindi idolatre? Sta’ a vede-re che noi agnostici, laici e progressistialla fine siamo gli unici puri … sarebbedavvero buffo!

Io non credo sia così. Anche se non puoifare di Dio il tuo compagno di merende,forse un modo di sentire, percepire il di-vino, il trascendente o che so io, per l’uo-mo esiste. Una via è quella dei buddisti:nessun concetto di Dio oggettivato, per-sonale; una Vacuità che pare essere l’e-satto negativo fotografico dell’Ein Sofdei Cabalisti, il Tutto infinito e indiffe-renziato (ma che è chiamato ancheAyin ha-gamur, il Nulla) dalla cui con-trazione si crea un punto infinitesimaledi luce, l’istante creativo, il Big Bang ori-

gine dell’universo: la ruota di Samsara simette in moto. L’altra modalità, più im-manente, è la concezione di un Dio nonrappresentabile, ma nemmeno un po’:non solo non ti farai alcuna immagine diLui, ma nemmeno puoi dirne il Nome.

Cosa rimane, allora? Entrambe le tra-dizioni (quella ebraica e quella buddista)su una cosa concordano: la pratica,l’osservanza. È ben strano come una re-ligione senza dio abbia costruito rego-le per chi vuole seguirne la via, com’èugualmente significativo che un Dio chenemmeno può dirci il suo nome abbia re-galato centinaia di minuziose prescri-zioni al suo popolo. Qual è allora il sen-so di queste regole, della Legge? La tra-dizione ebraica dice che Dio non Lo puoiguardare in faccia, perché ne moriresti.L’unica cosa che ti può permettere unasbirciatina di traverso è l’osservanza del-le sue leggi, le mitzovth. È un po’ comequel che disse al discepolo, ansioso diconoscere la Verità, un saggio maestrozen: hai finito di mangiare? Intantopulisci la tua ciotola. Quando la Leggefu data all’uomo il Santo Benedetto nonfu più necessario, dice un midrash:solo una volta Dio ha parlato sul Sinai,nel momento del patto di fondazione,dell’origine: come dire che il senso deldivino ce lo abbiamo stampato dentrouna volta per tutte nel DNA dell’anima,qualunque cosa sia. Senza un nome chelo definisca, ma con parole che si sno-dano e si estrinsecano, appunto, nellemitzvot, le regole. La decodifica spettaa noi, il DNA non è esattamente ugua-le per tutti, anche se il messaggio ge-netico di base è comune.

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Insomma, una regola di vita te la devidare, comunque la pensi su Dio e sull’a-nima; se hai una tradizione a cui riferir-ti (che ti venga dalla nascita o che te lasia conquistata, essa viene comunquedalla tua storia) meglio così. Il problemaè se non riesci a riconoscerti in nessunatradizione: forse può bastare la continuavoglia di ricercare, per chi non è cre-dente? O la cosiddetta legge morale cheti senti dentro?

La tradizione ebraica ha una risposta perquesto: le cosiddette leggi noachiche, va-lide per qualsiasi uomo (non ebreo) chevoglia dirsi tale. Sette norme in cui viendetto che occorre perseguire la giustizia,non ammazzare la gente, astenersi dal-l’idolatria e dalla bestemmia (io allar-gherei un po’ la cosa come rispetto del-le credenze degli altri), non praticare im-moralità sul piano sessuale (e qui cosa in-tendere? Il metro è quello della moralecorrente?), non rubare e non mangiareparti di animali vivi, ossia evitare lacrudeltà gratuita (e implicitamente ri-spettare tutta la natura). Il minimo indi-spensabile se vuoi vivere in una societàumana decente, insomma. È però inte-ressante notare il fatto che questa (nel-

la tradizione ebraica ovviamente) non èconsiderata una specie di legge natura-le, bensì come precise norme che ven-gono da Dio dopo il diluvio: condicio sinequa non perché l’umanità non venga(auto)distrutta. Fa parte del patrimoniogenetico di cui si diceva, una legge(quasi) chimica dell’anima, che permet-te il perpetuarsi della vita. Basta dunquequesto per essere kasher, cioè adatti alladignità di esseri umani?

Secondo me no. For-se le leggi noachichesono sufficienti sol-tanto per l’aspettonefesh dell’anima, ilprincipio vitale, ani-male: così stretta-mente connesso conla fisicità che il DNAbiochimico quasicoincide ancora conquello dello spirito.

Forse un passettinoin più lo si può fare;magari quando è ve-nuto il tempo in cuinon puoi soltanto

più avere la voglia di soldi e di fica pian-tata stabilmente in ogni tuo pensiero,quand’el cul l’è früst e i paternostervenu giüst, come diceva mia nonna. Al-lora se sei ebreo mangia kasher, se seicattolico recita il rosario, oppure meditarecitando insensati mantra se ti sentibuddista. E se non sei credente ri-nuncia con un sorriso a lumare le ra-gazzine, smetti di fumare, lascia sere-namente andare dalle tue mani la vo-glia di dominare le cose.

E magari puoi pure diventare vegeta-riano: il che non è malaccio se lo vivicome una norma igienica dello spiritoe non solo del corpo; e poi smettiamo-la una volta per tutte di voler platoni-camente tener distinte le due cose: noisiamo ciò che siamo, è poi così fonda-mentale dare un nome a tutte questecose? Forse questo è ciò che può per-metterci di dire anche noi: Io sono/saròciò che sono, senza sapere esatta-mente quale nome ci dobbiamo dare,ma riconoscere il divino inconoscibiledentro di noi, sapere che c’è ed onorarloogni giorno della nostra vita.

Chissà … forse quando l’essere la smet-te un pochino di volersi caparbiamenteconiugare nel tempo presente, puoisentirti un attimo nella dimensione in-finita, indeterminata, eterna. Altra tra-scendenza non è possibile. Non c’è al-tro: Io Sono, nessun Nome da dover co-noscere in più. Forse era questo il se-greto del Baal Shem Tov.

Bruno Borgio, imprenditore nel campo del-l’elettronica, single di 66 anni, vive a Cavo-retto (Torino), ama scrivere e ama gli animali,si definirebbe “un curioso di natura”; ri-guardo al mondo religioso la sua posizioneè da considerarsi agnostica.

Il Consiglio di Stato dà ragione all’UAAR: la richiesta di Intesa torna al TAR

L’UAAR fin dalla sua fondazione, al fine di porre fine alle discriminazioni nei con-fronti di atei e agnostici, formulò la richiesta alla Presidenza del Consiglio di ad-divenire alla stipula di un’Intesa sulla falsariga di quelle sottoscritte con le con-fessioni. Si ricorda, in proposito, che esse non devono necessariamente contem-plare la richiesta dell’Otto per Mille e che riguardano invece questioni fondamen-tali quali, per esempio, la presenza della religione a scuola, l’assistenza moralenelle strutture obbliganti, il diritto matrimoniale, la libertà di espressione, la tu-tela penale del sentimento religioso.

Nel 1996 il Sottosegretario di Stato, Lamberto Cardia, rispose che tali Intese nonpossono essere applicate “ad altre associazioni che non abbiano natura religiosae confessionale”: per cui, mancando i requisiti, la richiesta UAAR non poteva es-sere accettata.

Il 30 maggio 1996 l’UAAR ha presentato — e vinto — un ricorso straordinario alCapo dello Stato motivato, oltre che da evidenti violazioni della legge nell’iter enella stesura della risposta, anche dalla mancata considerazione delle sentenzecostituzionali che equiparano le norme riferite a confessioni e culti agli enti che sipongono sul medesimo piano, pur non avendo, ovviamente, carattere religioso po-sitivo. In data 27 novembre 2003 il Consiglio dei Ministri si è pronunciato negati-vamente. L’UAAR, nel febbraio 2004, ha presentato un nuovo ricorso. Nel 2008, ilTAR del Lazio le ha detto di no, sostenendo che quello del governo era un atto po-litico e dunque non suscettibile di controllo giurisdizionale.

L’UAAR ha deciso d’impugnare tale sentenza innanzi al Consiglio di Stato che, conuna sentenza depositata lo scorso 18 novembre 2011, le ha dato ragione, riman-dando la richiesta al TAR. Secondo la suprema Corte amministrativa, il giudicedeve poter entrare nel merito della legittimità delle decisioni degli organi politici:“nella specie ci si trova in presenza di una scelta dell’Amministrazione non insin-dacabile, ma presentante i tratti tipici della discrezionalità valutativa come pon-derazione di interessi”. Il TAR è pertanto chiamato a pronunciarsi nuovamente sul-l’argomento e questa volta non potrà sottrarsi alla valutazione della legittimitàdella decisione del governo.

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Qualche anno fa lessi su questa rivistauna recensione del noto “Trattato diateologia” di Michel Onfray. Non ri-cordo l’autore, ma ricordo bene che erauna presentazione assai favorevole diquesto saggio, senza alcun elementocritico, tant’è vero che corsi ad acqui-starlo e lo lessi in un battibaleno. In ef-fetti il libro si leggeva molto bene e misembrò per alcuni aspetti interessantee utile. Mi stupii però che fossero sfug-giti al recensore alcune aporie e alcunisvarioni.

Per esempio viene maltrattato GiulioCesare Vanini, precursore dell’Illumi-nismo, giustiziato nel 1619. Onfray nonlo considera un ateo, ma un ereticopanteista eclettico. A sostegno di que-sto giudizio riporta il titolo di una suaopera, dichiaratamente contro l’atei-smo. Ciò che Onfray sembra ignorare,cadendo ridicolmente in un tranello, èla tecnica espositiva di Vanini, da col-locare in uno specifico contesto cultu-rale del Seicento italiano, la dissimula-zione, usata per diffondere il messag-gio in modo cifrato, secondo regole checonsentono agli “iniziati” di tradurretesti dall’apparenza ortodossa in con-tenuti di opposto significato, di carat-tere ateo e materialista.

Ancora. L’autore indica Feuerbachcome “pilastro fondamentale di unaateologia degna di questo nome”. La-mentandosi che questo grande filosofosia stato a lungo dimenticato, Onfrayafferma che l’unico motivo per cui ognitanto compare il suo nome è dovuto allabramosia di Althusser di “vendere ilsuo giovane Marx”. Da Feuerbach,passa direttamente a Nietzsche, sal-tando a piè pari proprio Marx e il suofondamentale contributo a disvelare ilnesso tra feticismo e rapporti di produ-zione e, in tal modo, le radici sociali del-l’alienazione religiosa nell’epoca del ca-pitalismo, epoca in cui tale alienazionesi basa sull’inversione tra soggetto eoggetto, che fa apparire i rapporti so-ciali come rapporti tra cose (e vice-versa), impedendo ai soggetti di essereconsapevoli della realtà ontologica na-scosta dietro i fenomeni economici e so-ciali: nello stesso modo, potremmo dire,

in cui l’ignoranza delle scienze naturaliimpedisce di dare spiegazioni razionaliai fenomeni naturali. Entrambe le alie-nazioni alimentano la fuga nella reli-gione e nella superstizione.

L’autore prende le distanze anche, giu-stamente, da chi si professa ateo ma loè solo a metà avendo fatto propria lamorale delle religioni monoteistiche.Per questo abbiamo provato stuporenel leggere, tra gli altri atei segnalatida Onfray, i nomi di James Mill e di Je-remy Bentham. Se una caratteristicadelle religioni è il loro rapporto con i po-teri costituiti, pochi più di loro sonostati così organici a tali poteri e sonocosì appiattiti sulla società cosiddettanaturale, Mill è tra i massimi economi-sti apologeti del capitalismo. Bentham,in aggiunta, uno dei massimi teorizza-tori del panoptismo (cioè della ricercadi metodi efficaci di spionaggio e dicontrollo sociale), mentre proprio il“modello panoptico” fa parte dei capidi accusa rivolti da Onfray ai governiteocratici.

Memore di questa vecchia lettura, nonmi sono stupito più di tanto leggendonel supplemento del Corriere dellaSera, “La lettura” del 20 novembre2011, un articolo del noto “ateologo”che, rileggendo Guattari e Proudhon(per la verità lui ci lascia intendere diaver letto anche Marx ed Hegel, e dob-biamo credergli fino a prova contraria),parla dell’attuale crisi del capitalismo edei moti di protesta dei cosiddetti “in-dignati” contro le ricette che le autoritàmonetarie e i poteri finanziari interna-zionali ci propongono-impongono persuperarla. L’articolo titola emblemati-camente “Il capitalismo è immortale”ma forse il titolo non è dell’autore. Ilproblema è che il contenuto dell’arti-colo è altrettanto drastico. Sul taglio po-litico e ideologico di questo testo chedivide il mondo tra persone ragionevolie sagge, che accettano lo stato di cosepresenti, magari cercando di fargli cam-biare pelle “come a un serpente” e fa-natici, illusi e velleitari aspiranti allasua demolizione, ci sarebbe molto da ri-dire, ma non è questa la sede: questa èuna rivista che non si pone l’obiettivo di

schierarsi nel conflitto tra le classi so-ciali.

Ma c’è negli argomenti di Onfray, qual-cosa che assomiglia, anche nel lin-guaggio usato, ai dogmi religiosi, equesto mi sembra poco coerente conuna visione atea e con le stesse acqui-sizioni delle scienze naturali che non acaso il nostro B16 osteggia caparbia-mente, come osteggia ogni razionali-smo. L’autore giudica lo “schemamarxista di un capitalismo con unadata di nascita proclamata, quindi conuna data di decesso possibile” come“una visione dello spirito idealistica eneohegeliana”. Se uno pensa che unaformazione sociale non sia storica, equindi sia sempre esistita e sempre esi-sterà al di là che essa ci piaccia o meno,fa un discorso teologico.

Onfray ci spiega perché il capitalismoè eterno: esso “è la forma naturale as-sunta dallo scambio nella logica dellascarsità”. Quindi non di costruzionestorica si tratta, ma di una forma “na-turale” che dovremmo accettare comeil colore della nostra pelle o il nostrosesso. Probabilmente Onfray, da bravolaico, non se la prende con chi non ac-cetta il colore della pelle o il sesso chemadre natura gli ha affibbiato, come in-vece farebbe B16 (vitamina assai no-civa). Però se la prende con chi vuolemettere in discussione le caratteristi-che di fondo della nostra organizza-zione sociale, così naturale che sembravoluta da dio. E la ridicolizzazione au-tosufficiente verso chi la ritiene invecesoggetta a una vita storica e a un pos-sibile evoluzionismo, al pari delle spe-cie viventi, e magari lavora per fare unaltro passo alla civiltà umana, assomi-glia al comportamento di un altro mini-stro della fede, il vescovo di Ulm, ilquale, nel noto lavoro di Brecht, apo-strofava il sarto di quel paese perchétentava di volare con un rudimentaleapparecchio, sfracellandosi al suolo. Daquesto fallimento il vescovo trasse laconclusione che l’uomo non potrà maivolare, perché Dio non lo ha previsto enon gli ha dato le ali. Sappiamo inveceche il progresso l’ha costruito chi nonha accettato questa legge naturale.

Il Capitalismo è eterno: Amen.L’(a)teologia di Michel Onfraydi Ascanio Bernardeschi, [email protected]

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CONTRIBUTI

L’intolleranza di Onfray assomiglia an-che, paurosamente, all’enunciato del-l’enciclica papale “Caritas in Veritate”che disegna il capitalismo e la proprietàprivata come oggetti naturali regolatida leggi divine e pertanto da tutelarecontro le nefande dottrine che si pon-gono l’obiettivo di superarli. In gene-rale assomiglia a tutta la costruzionedella dottrina sociale della chiesa dalla“Rerum novarum” in poi. Natural-mente Onfray il capitalismo lo vorrebbelibertario, che diamine! Anche la chiesane criticava gli eccessi. Basta non met-tere in discussione l’Ordine Divino. Epoi, se qualche ingiustizia rimane, ri-

mane anche un bello spazio per leopere caritatevoli della chiesa.

Ascanio Bernardeschi, toscano, di genitoriscomunicati da Pio XII in quanto comunisticonvinti e attivi, ha patito dalla prima infan-zia in poi l’intrufolamento violento dellachiesa nella scuola e nella società diven-tando così iper-reattivo alle sue dottrine e,diciamolo pure, mangiapreti. Sessantacin-quenne, pensionato dopo un grigio lavoro diburocrate, incurabilmente materialista e cu-rioso, si sta occupando di questa crisi eco-nomica e degli strumenti di analisi di Marxutili alla sua comprensione.

RECENSIONI

� VITO MANCUSO, Io e Dio. Una guidadei perplessi, ISBN 978-88-11-60129-6,Garzanti (Collana Saggi), Milano 2011,pagine 496, € 18,60.

Di solito non leggo libri di argomento re-ligioso – non riesco proprio a provare in-teresse per i discorsi a vanvera. Ma il ti-tolo del saggio di Vito Mancuso mi hacolpita: Io e Dio. Ma come! Alle elemen-tari la maestra mi sgridava se iniziavo lefrasi con espressioni del tipo «io e lamamma …», «io e Carletto …». È male-ducazione, mai passare davanti, maimettersi al primo posto, la buonacreanza impone di scrivere «la mammae io …», «Carletto e io …». Sapete bene(i preti lo sanno benissimo) come ri-mangono impressi gli insegnamenti ri-cevuti da bambini. Sicché, quando hovisto questo Mancuso violare un tabùdel bon ton e fare lo screanzato addirit-tura con Dio, ho fatto un salto! E hocomprato il libro.

L’ho anche letto – almeno leggiucchiato,perché quasi cinquecento pagine d’ariafritta sono davvero troppe da leggereper filo e per segno. L’ho letto, comun-que, abbastanza per capire che in realtàl’“Io” di cui parla Mancuso non è Man-cuso stesso, ma un’ambigua nozione (leambiguità del linguaggio sono il pane eil companatico del Nostro) che a volteindica “il mondo” o “la vita”, a volte unvago problema di “identità”. Dunque,l’etichetta è rispettata e la forma è salva– almeno nei confronti di Dio, perché,come dirò in seguito, con altre personeMancuso si mostra assai poco rispet-toso. Quanto alla sostanza del libro, è

davvero impalpabile. “La sostanza dicui sono fatti i sogni”, direte voi (micaperché leggete Shakespeare, birichini:perché vi hanno martellato per mesi conla pubblicità della Giulietta). No, dico io:a me il libro di Mancuso ricorda piutto-sto la sostanza di cui sono fatti i panno-lini, il poliacrilato di sodio ribattezzatofluff negli spot televisivi.

Ecco: un libro di morbido fluff, che tuttoassorbe e tutto deodora. Assorbe adesempio atei, laici e miscredenti per tra-sformarli in spiriti inquieti – perplessi,come recita il sottotitolo – alla ricerca diDio: scienziati come Albert Einstein eAlfred North Whitehead, logici comeLudwig Wittgenstein (sì, proprio quelloche diceva «su ciò di cui non si può par-lare si deve tacere»: non si può propriodire che Mancuso abbia recepito la le-zione, visto come affoga il filosofo au-striaco in un mare di chiacchiere), pala-dini della ragione come Norberto Bob-bio. Povero Bobbio, Mancuso si è addi-rittura appollaiato sul suo letto di morte– proprio come fanno i preti – per aspet-tare che con gli ultimi rantoli uscissemagari anche una qualche banalità dagiocare contro tutta una vita da ateo erazionalista dichiarato! A questo mi ri-ferivo dicendo che Mancuso manca dirispetto a parecchie persone. Ma tant’è:non gli si scappa. Basta che ti sfugga inqualche contesto la parola “mistero” edeccoti reclutato tra i perplessi da gui-dare ad majorem Dei gloriam.

Bene, veniamo al dunque, al succo, almessaggio del libro – che è presto detto.Se il “mondo” e la “vita” vi sembrano

ammantati di mistero, se vi fate in-somma le solite Grandi Domande oziose(vedi elenco completo a p. 41), la rispo-sta è Dio. Se sentite bisogno di avereuna “identità”, intesa come «puntod’appoggio della vita, quello stessopunto che Archimede cercava per sol-levare il mondo quando scoprì il princi-pio della leva» (p. 443), la risposta è Dio.Se poi questo dio è anche uno e trino esi è incarnato in un certo Gesù-Yeshua(Mancuso se la tira troppo per chia-marlo semplicemente Gesù Cristo), me-glio ancora. Ma senza essere troppodogmatici, se no si passa per fessi.

Tutto qua. E come si fa a riempire cin-quecento pagine girando intorno a que-st’aria fritta? È solo questione di me-stiere. I parolai hanno mille risorse.Tanto per cominciare, le Grandi Do-mande oziose possono essere girate, ri-girate e riproposte in decine di diversevarianti (tanto la risposta è sempre Dio).Poi ci si mettono tante citazioni, e biso-gna ammettere che Mancuso ha lavo-rato sodo per pescare negli autori piùimpensati una frase bislacca che risul-tasse compatibile con le sue menate –cita pro domo sua perfino quel senzadiodi Nietzsche, non vi dico altro! Poi le eti-mologie, che fanno sempre effetto: nellibro di Mancuso ce n’è a bizzeffe, al-cune vere, altre buttate un po’ là, cisono quelle fantasiose à la Heidegger eperfino quelle infondate che conosconosolo i medievisti (quelle che hanno fattola fortuna de Il nome della rosa di Um-berto Eco, per intenderci). Poi il bigna-mino delle prove dell’esistenza di Dio, e– perché no? – un bel compendio dei Sa-

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RECENSIONI

cri Testi reinterpretati da Mancuso,dalla Bibbia all’“incontro con Gesù”,anzi con il signor Yeshua ben Yoseftanto per far vedere che si conosce la ri-cerca storica sul personaggio e non soloil catechismo. Mancuso è un vero pro-fessionista: gli dai due frasette e lui lemonta a neve e le farcisce fino a otte-nerne un parallelepipedo di carta delpeso di 250 grammi, che ha davverotutta l’apparenza del libro.

Ma che un libro propriamente non è.Ve lo dico io che modestamente di librime ne intendo abbastanza: ne ho letti,studiati, recensiti migliaia. Sono unalettrice appassionata e avida, mi at-tacco ai libri come una sanguisuga ene ricavo tutto quello che si può rica-vare. Ma dal libro di Mancuso non horicavato proprio niente. Perché è un ti-pico libro per non lettori, di quelli chesi comprano non per leggere, ma perposare sul tavolino basso del salotto e

lanciare un messaggio agli ospiti dipassaggio. «Guarda, sono una per-sona colta, leggo saggistica, mica ro-manzetti rosa». «Guarda, non sono unanarchico insurrezionalista senzadio,ti puoi fidare, sono un credente».«Guarda, sono un credente perplessoe intelligente, non una stupida be-ghina». Messaggi che possono far co-modo quando vengono in casa i geni-tori degli amici dei figli, il capufficio, ilprete a benedire. Poi, dopo un me-setto, quando i giornali e le classifiche(perché non so se ci avete fatto caso,ma proprio i libri di questo genere di-ventano best seller) non ne parlanopiù, il libro per non lettori viene tolto dilì e può finalmente palesare la sua veranatura di parallelepipedo di carta, an-dando per esempio a pareggiare lagamba di un tavolo.

Maria [email protected]

� UMBERTO VERONESI, Il diritto di nonsoffrire: Cure palliative, testamento bio-logico, eutanasia, EAN 9788804606529,Mondadori Editore (Collana “Frecce”),Milano 2011, pagine 112, € 17,50.

In Italia la chiesa cattolica cerca di im-porre la sua dottrina morale ed il suosistema di valori allo Stato laico e de-mocratico, creando contrasti insana-bili a causa di una teologia retrogradae oscurantista. Il pensiero che si fondasul trascendente continua ad avere latendenza a sostituire alle libertà indi-viduali dei valori dogmatico/confes-sionali da far passare con artifici par-lamentari ed elettorali schedando tuttiquei deputati che non votano come ilVaticano comanda. La chiesa ignoratutti i sondaggi statistici che eviden-ziano una prevalenza di italiani favo-revoli ad una maggiore libertà e tolle-ranza su questi delicati argomenti.

La libertà del malato persona è messada Veronesi al primo posto: “Questalibertà è la cosa più importante di tuttee nessuna discussione sull’eutanasiapuò prescinderne”. Infatti, la vita è undiritto, non un dovere, ci si deve bat-tere per una legge di libertà che ga-rantisca ad ogni persona in fin di vitae/o in condizioni di grave sofferenza lapossibilità di scegliere. Tale decisioneparte dalla depenalizzazione, in casiparticolari e limitati, dell’omicidio delconsenziente in modo che familiari esanitari possano fornire informazionie aiuto.

L’autore presenta come esempio utileda seguire le leggi approvate inOlanda, Belgio e Lussemburgo “dovel’eutanasia (pur rimanendo un reatocontemplato dal codice penale) èstata depenalizzata in certe condi-zioni”. Il ritardo dell’approvazione inItalia di una legge serena ed equili-brata su tali materie è dovuta solo aitoni apocalittici usati dalle gerarchieecclesiastiche.

Veronesi sollecita con urgenza unalegge che legalizzi l’eutanasia in Italiadichiarandosi pronto ad aiutare ognimalato terminale che invocasse il suoaiuto. Per quanto riguarda il testa-mento biologico, Veronesi ne spiegacon chiarezza affinità e differenze ri-spetto all’eutanasia, richiamandosi aduna sua proposta di legge presentatain Senato nel 2008.

Pierino [email protected]

NONCREDO –La cultura della ragione, anno IV, n. 15, gennaio-febbraio 2012, pagine 100;abbonamenti: postale € 29,00, digitale € 17,00. Borgo Odescalchi 15/B, 00053 Civita-vecchia (Roma), Tel. 366.5018912, Fax 0766.030470 (sito:www.religionsfree.orgE-mail: [email protected]).

È uscito il fascicolo n. 15 del bimestrale “NonCredo”, edito dalla Fondazione Reli-gionsFree e diretto dal nostro socio Paolo Bancale, di cui pubblichiamo i contenutiesposti nel sommario. L’orientamento culturale ed il pensiero dell’UAAR sono benevidenziati dalle quattro pagine di disamina della laicità mondiale del segretarioRaffaele Carcano, dall’analisi etica del presidente onorario Valerio Pocar e dai con-tributi professionali dei soci: Carlo Tamagnone, Stefano Marullo, Vera Pegna, RenatoPotenza, Gianni Simonati, Gianfranco Vazzoler, Bruna Tavolini e Andrea Cattania.

Attualità. Editoriale: Il posto della donna nel potere di P. Bancale; Lettere; Statisti-che ragionate di A.R. Longo; Annales: l’attualità commentata di R. Carcano; Comeuna religione può distruggere l’etica di P. Bancale; Libri consigliati.

Etica e laicità.Come io vedo il mondo senza religioni di V. Pegna; Angeli custodi, pa-ternalismo e responsabilità di V. Pocar; Disputationes di laicità di R. Morelli; I doveridell’uomo di scienza di R. Potenza; Dialogo virtuale tra Cristo e Giuda di E.Galavotti.

Religioni. Materialismo e spiritualismo nelle religioni di C. Tamagnone; Credere indio è un concetto o una frase? di E. Lombardi Vallauri; Il relativismo moderno: rispo-sta a Ratzinger di D. Lodi; Boff l’ultimo profeta di S. Marullo; Come e perché una re-ligione “missionaria” si trasforma in potere in Tanzania di J. Seregni; La Chiesa e ledonne di W. Peruzzi; Sulle spalle dei Giganti, dal mondo dei Classici di A.R. Longo.

L’uomo. L’empatia nell’evoluzione della psiche umana di B. Tadolini; Diritto laico dinon soffrire: suicidi in carcere di G. Vazzoler; Quando l’omosessualità è anche Amoredi D. Giacanelli; Bioetica e Diritti di V. Pocar.

Pensiero scientifico. L’attualità dei neutrini e della velocità della luce: dio gioca aidadi di R. Potenza, La vita senza dio di G. Simonati; La matematica tra fisica e me-tafisica di A. Cattania; L’entropia: la sfida perduta della fede contro la ragione di F.Primiceri.

Pensiero umanistico. Viaggio nelle Scritture delle religioni di A.R. Longo; L’ateismoletterario di Camus di C. Tamagnone; Una intervista a NonCredo, Diritti degli animalinello Stato e nella Chiesa di C. Prisco.

Pensiero filosofico. Hume: La scepsi applicata alla religione di E. Galavotti; La mo-rale e dio di L. Corvaglia.

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RECENSIONI

Etmaintenant on va où?, 2011, Li-bano, di NADINE LABAKI.(E ora dove andiamo?)

Sollecitata da un’amica libanese, ierisera mi sono fatta tentare: “on va auciné!”. Benché nutrissi buone aspetta-tive al riguardo, non mi aspettavo di es-sere tanto entusiasta da raccontarvi Etmaintenant on va où?, una produzionefranco-libanese presentato a Cannes eattualmente nelle sale francesi; inquelle italiane dal gennaio 2012.

Tutto si svolge in un villaggio rurale, inun Libano vessato da guerriglie asfondo religioso fra musulmani e cri-stiani. La dinamica si articola su duepiani macroscopici: se nelle strade uo-mini e ragazzi si battono in piccole lotteche sfociano talvolta in gravi lutti, nelleabitazioni le donne non si lasciano se-parare da più o meno banali questionid’identità – un’identità, la religione,che marca grandi differenze. Il pro-blema è capire se e come si possano eli-minare tali differenze, sopprimendo l’o-dio che alimenta le piccole guerre inte-stine. Ciò che emerge è, innanzi tutto,il ruolo di pacificazione svolto dalle si-gnore, che sole riescono a percepireun’unità umana e civile al di là dellaframmentazione determinata dalla va-rietà dei culti.

L’evento da cui muove la volontà di sta-bilire una situazione pacifica è la mortedi un giovane ragazzo, figlio di una co-raggiosa madre cristiana la quale, nellutto, attraversa una fase di catarsi checostituisce la scena più significativa delfilm. La povera donna impreca controla statua della Vergine Maria, vomi-tando il suo dolore di madre contro chi,egualmente madre, le avrebbe strap-pato via il figlio. Dopo questo episodio,si assiste al tentativo di occultare lamorte del ragazzo di fronte a chi chiedesue notizie; ancora più notevole è che,quando l’altro figlio viene a conoscenzadella morte del proprio fratello e, ira-condo, intende vendicarla, proprio inquesto momento viene fuori prepo-tente la statura morale della vecchiamadre sofferente che con un sordoschioppo di fucile puntato contro legambe del giovane riesce ad impedireil peggio. Un gesto al limite dell’umano,che qualifica il nobile sentimento dipace di chi antepone la questione civileall’odio e al dolore privati.

La ragione per cui mi è sembrato in-teressante presentare la pellicola è cheessa mette in scena un epilogo atei-

stico: le donne, infatti, decidono di por-tare in casa ciò che i loro mariti per-cepiscono come il diverso; così, adesempio, la madre in lutto prende adindossare il velo imponendo, in talmodo, la tolleranza alla propria famiglia.Tale gesto suggerisce un’ammirevolecondotta umanista. Occuparsi piutto-sto di ciò che riguarda le società uma-ne, anziché l’oggetto di un culto reli-gioso, è la proposta della regista liba-nese. Et maintenant on va où? (e ora

dove andiamo?) sta a significare propriola situazione in cui vengono a trovar-si infine quelle che erano le due diversefazioni, che non si riconoscono più in unorientamento religioso e che marcianoinsieme senza più curarsi delle diffe-renze che le hanno separate fino ad al-lora.

Federica Turriziani [email protected]

� WILLIAM HOPPER, Guida irriverentealle religioni del mondo: L’Ateismo non èmai stato così provocatorio!, ISBN 978-88-6229-099-9, Macro Edizioni (CollanaVerità Nascoste), Diegaro di Cesena(FC) aprile 2010, brossura, pagine 341, €16,50.

L’autore è stato direttamente in con-tatto, come praticante più o meno scet-tico, con un gran numero di religioni escrive una guida di prima mano allo stes-so tempo leggera nei toni, ma ricca dicontenuti delle principali religioni delmondo (le varie versioni di cristianesi-mo, ebraismo, islam e buddismo). Il tonoblandamente irriverente aiuta a farpassare l’idea che si può parlare di re-

ligione come di qualsiasi altro argo-mento senza particolari tabù, un’ideaspesso trascurata se non fortementeosteggiata.

Come già accennato la qualità principa-le del libro è la grande quantità di infor-mazioni presentata da un punto di vistapersonale che l’autore riesce a veicola-re. Possiamo affermare con sicurezza chealla fine del libro si avrà un’idea molto piùchiara di quali siano state le origini sto-riche delle varie religioni e di come ab-biano influenzato la storia del mondo esi avrà anche una conoscenza maggioredei precetti centrali di ognuna delle“vere ed uniche” religioni del mondo quipresentate. Di sicuro interesse risulteràanche la ricca mole di aforismi sparsi intutto il libro che rappresentano un di-vertente intermezzo ed un’utile batteriadi frasi ad effetto per smontare anche ipiù tetragoni al dubbio. Un libro che mipermetto di consigliare sia per chi vogliacominciare a farsi un quadro più preci-so delle religioni mondiali sia per chi vuo-le affrontare da un punto di vista diver-so e irriverente argomenti già affronta-ti senza per questo annoiarsi.

Fabio Milito [email protected]

� GIORDANO VINTALORO, Non sono ilMessia lo giuro su Dio! Messianesimo emodernità in Life of Brian dei MontyPython, ISBN 978-88-87208-44-3, Bat-tello Stampatore, Trieste 2008, pagine200, € 15,00.

Finalmente un intero libro dedicato aLife of Brian, il nostro film cult per ec-cellenza! Finalmente tutta l’attenzioneche questo film merita: Vintaloro, infatti,lo analizza con gli strumenti concettualipiù sofisticati, utilizzando le categorieche autori classici come Propp, Bachtin,Genette hanno messo a punto per com-prendere i canoni del comico. Final-mente un libro che prende sul serio il ge-nere comico e in particolare quello del-la parodia, sottolineando come sia facilesolo in apparenza, mentre in realtà ri-chiede «uno spettatore-lettore attentoe competente, perché l’operazione sisvolge tra almeno due testi contempo-raneamente, con costanti rimandi bidi-rezionali, dall’originale al parodiato e vi-ceversa»; richiede dunque una lettura-visione attiva e non passiva, capace dicogliere citazioni, allusioni e rimandi. Aloro volta doppi, in questo caso: perché

NNOO,, NNOONN SSOONNOO UUNN HHOOMMOOSSAAPPIIEENN..MMAA HHOO PPRROOVVAATTOO UUNN PPOO’’ AADD EESSSSEERRLLOO

QQUUAANNDDOO EERROO AALL CCOOLLLLEEGGEE

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RECENSIONI

coinvolgono sia la sfera visiva sia quel-la verbale.

A un’accurata analisi di questi com-plessi rimandi è dedicato il secondo ca-pitolo del libro, che ne costituisce ilvero cuore, individuando temi e figure delfilm insieme ai principali meccanismimessi in opera dal mitico sestetto cam-bridge-oxoniense per creare l’effetto co-mico – le “figure retoriche” della comi-cità, potremmo dire – e completando l’e-same con un’interessante appendicesui problemi posti dalla traduzione («pri-vilegiare la fedeltà o adattare il gu-sto?»). Nel complesso le riflessioni pro-poste da Vintaloro vanno al di là del casoLife of Brian per proporre tematiche piùgenerali. Il primo capitolo racconta in bre-ve la storia dei Monty Python – dalle pri-me esperienze teatrali, all’approdo allatelevisione (che con la fantastica stagionedel Monty Phyton Flying Circus messa inonda dalla BBC «cambiò completamen-

te la comicità inglese»), alla filmografia.Il terzo capitolo traccia un interessanteconfronto tra cinque film dedicati alla fi-gura del Cristo: Il vangelo secondo Mat-teo (Pasolini, 1964), Tommy (Russel,1975), Jesus Christ Superstar (Jewison,1977), Cercasi Gesù (Comencini, 1982) eJésus de Montréal (Arcand, 1989): film traloro molto diversi ma accomunati dal fat-to di rappresentare figure cristologichefortemente contemporanee: «Messia ur-bani […] ma non per questo meno effi-caci nel loro porsi ingenuamente di fron-te alle ipocrite convenzioni del mondo emostrandone l’intrinseca vacuità».

Tirando le somme nelle conclusioni, Vin-taloro sostiene che Life of Brian è un filmsovversivo non tanto perché impostacome commedia una storia sacra, né pergli elementi parodistici della tradizionereligiosa, quanto per la capacità di «af-frontare dagli antipodi l’argomento delMessia, ribaltando il punto di vista e fa-

cendo del Messia un oggetto, più che unsoggetto, dell’azione che è invece messain moto dalle folle». Perché ai MontyPython fu concessa tanta libertà di sov-versione? La risposta, scrive Vintaloro,«si può cercare nel favorevole periodostorico: furono gli uomini giusti al mo-mento giusto […]. Il ’68 era passato dapoco, la rivoluzione dei costumi era par-tita dall’algida Inghilterra, erano in vogai Beatles e i Rolling Stones, nascevano idepartment stores e ci si vestiva in mini-gonna».

(Il libro, difficile da trovare in libreria,può essere richiesto all’editore: BattelloStampatore, Via Rismondo 14, 34133Trieste, Tel: 040-761954. Fax: 040-3474448, E-mail: [email protected]).

Maria [email protected]

� Lettera aperta al Presidente dellaRepubblica

Signor Presidente della Repubblica,

Mi rivolgo all’Eccellenza Vostra perdar rilievo a un punto fondamentaleconcernente l’equità e la giustizia (se-gnatamente fiscali), nel nostro Paese.Il nuovo governo intende attuare unprogramma di austerità, tra l’altro conun ripristino d’imposizione fiscale sututti i redditi da prima casa; e si pre-tende che essa imposizione sia equa-nime. Esistono nondimeno patrimonie redditi infimi e patrimoni e redditivergognosamente smisurati. Nono-stante le proporzioni che possano es-sere stabilite per i diversi livelli di ric-chezza, alla resa dei conti sinanche uncieco vedrebbe e un grullo compren-derebbe chi sarà a patire maggior-mente, chi sarà il più angustiato dalledifficoltà economiche direttamente di-scendenti da codesto criterio di tassa-zione così “versatile”.

Ma non è su tale considerazione inastratto che desidero soffermarmi inquesta istanza all’Eccellenza Vostra.Allegandole una documentazione sucerti precisi, inauditi, sconfinati privi-legi fiscali [articolo di Marco Accorti,La cazzuola e l’aspersorio, in L’Ateo, n.

LETTERE

I costi della Chiesa: un’inchiesta UAAR

L’UAAR ha realizzato la prima inchiesta dettagliata sull’impatto sulle casse pub-bliche dei contributi erogati e dei privilegi fiscali di cui gode la Chiesa cattolica. El’ha messa a disposizione di tutti: basta andare su internet e digitare l’indirizzowww.icostidellachiesa.it Si scoprirà che tali costi sono ragguardevoli: ilprimo riepilogo parla di oltre sei miliardi di euro. Se fossero stati cancellati, le ma-novre economiche varate dal governo sarebbero state sensibilmente più leggere, ri-sparmiando così le fasce della popolazione più svantaggiate e quelle già colpite inanni recenti. A differenza della Chiesa cattolica, sempre uscita indenne dalle tantemanovre degli ultimi tempi.

A differenza dei precedenti sforzi da parte di autori come Piergiorgio Odifreddi e Cur-zio Maltese, I costi della Chiesa rappresenta il tentativo da parte dell’UAAR di rag-giungere lo stesso obbiettivo in modo approfondito, attendibile e dinamico. Perchédi ogni singola voce presa in considerazione si spiega l’origine normativa, quali sonoi dati a nostra disposizione e quali sono state le valutazioni che ci hanno spinto adattribuire loro un certo valore.

Lo studio realizzato dall’UAAR ha richiesto un notevole impegno: orientarsi tra leggie leggine, spulciare il lavoro di tante amministrazioni locali non è stato affatto sem-plice. Ma ha permesso di scoprire che contributi dello stesso tipo, per esempio a fa-vore della costruzione o ristrutturazione di chiese, sono erogati a più livelli: comuni,province, regioni, Stato, diversi organismi dello Stato. E questo provoca sicuramenteinefficienze, sprechi e contribuzioni a pioggia. Di cui, come si sa, riesce a beneficiaresoprattutto chi più è vicino al potere. Come le gerarchie ecclesiastiche.

La scelta di mettere a disposizione on-line il progetto “I costi della Chiesa” è voluta:in tal modo il sito diverrà sempre più preciso col passare del tempo, perché potrà es-sere affinato grazie alle osservazioni che potrà inviare all’UAAR qualunque naviga-tore. Il progetto è stato presentato il 5 dicembre scorso su RaiTre, all’interno delprogramma 10 minuti di …, e su Repubblica TV.

Il Comitato di Coordinamento

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37n. 1/2012 (79)

LETTERE

5/2011 (77)], mi pregio di sottoporrealla Sua cortese e illuminata atten-zione, Signor Presidente, la questionese sia umanamente, moralmente e po-liticamente giusto che chi possiedemolte centinaia di miliardi di euro dipatrimonio – non considerando che l’I-talia – non debba corrispondere né im-posta sugli immobili né imposta sulvalore aggiunto per le attività deri-vate, anzi debba vedersi pure omag-giato con gratificazioni varie, a parec-chi altri livelli troppo risaputi per ram-mentarli qui.

Mi si obietterà che giuridicamente laproblematica è regolata in maniera im-peccabile dal punto di vista formale.Se pure ciò fosse attendibile (ma tan-tissima ottima dottrina lo nega), lavita, la storia, il buon senso ci diconoperò che il diritto non è immutabile! E,se una perspicace e sagace interpre-tazione storico-politica dei fatti e dellasituazione attuali vuole e riesce a tra-sformare l’odierna realtà italiana nelcampo in esame, correggendo il dirittovigente secondo esigenze di giustizia,ben venga la novazione che generil’auspicato risanamento della qualitàdei rapporti socioeconomici fra le com-ponenti della nazione, e che attui, al-tresì e soprattutto, a livello nazionaleun equilibrio di poteri da troppo temporivendicato nella storia d’Italia, ma di-sgraziatamente ancora di là da venire.

Pacta sunt servanda, certo; ma fino aquando, con lo scorrere del tempo egrazie all’ingordigia di una parte, nontralignino in accordi-capestro che ge-nerano servaggio, povertà, peripezie diuno Stato e del suo popolo. Rispetto atali patti, lo ius poenitendi diventa al-lora legittimo e sinanche doverosomezzo per riscattare quel popolo equello Stato dall’annichilimento, dal-l’inerzia e dalla soggezione alle incon-gruenze mostruose cui si è giunti –com’è precisamente il caso paradig-matico e concretissimo di un soggettosfarzosamente opulento che vieneesonerato da ogni obbligo fiscale, sfac-ciatamente foraggiato di continuo,protetto nelle sue numerose conces-sioni esclusive, prerogative e immu-nità medievali; col contrappunto, in-vece, di un cittadino modesto o addi-rittura bisognoso che conseguente-mente diviene di fatto il capro espia-torio in questo abietto e intollerabilescenario. Probitas laudatur et alget.

Esimio Signor Presidente, se si predicache le cose debbano cambiare, perché

non farle rigenerare alla radice? Per-ché usare sempre i soliti mezzucci ecolpire i cittadini inermi ormai este-nuati, anziché gli individui biechi e leistituzioni approfittatrici che hanno inmano, o meglio negli Istituti per leOpere Specifiche, un’enorme partedella nostra ricchezza nazionale (e nonsolo della nostra)?

Penso che i suoi autorevoli richiami aicompetenti organi legislativi ed ese-cutivi della Repubblica siano lo stru-mento più sostanziale e sicuro perspingere a innovare seriamente e nonsolo a chiacchiere, secondo imparzia-lità e realistica considerazione delledepresse condizioni del popolo ope-roso, fin adesso regolarmente di-sprezzato, bistrattato e umiliato.

Esso è stremato, Signor Presidente;non è più pensabile prendersi gioco dilui continuando a sfruttarlo sia diretta-mente che larvatamente, per conversotutelando e assistendo in tutti i modienti e figure che da secoli prosperanosulla sua fatica, sul suo sangue.

Grazie, Signor Presidente della Re-pubblica, di vigilare affinché possascomparire un tale mastodontico pa-rassitismo, il più esteso che il nostroPaese sopporti da secoli; grazie d’in-tervenire affinché tale auspicio si rea-lizzi in questo momento criticissimo eper sempre. È da qui che inizia il ve-race cambiamento a cui il popoloanela. Voglia accettare, Signor Presi-dente, l’espressione della mia piùprofonda stima.

Antonio TacconeMontecatini (Pistoia)

� Giustizia sociale e carità

Nella discussione sull’ICI alla chiesa,ricorre spesso l’argomento “però lachiesa fa tanta carità”. Noi vorremmorivendicare la supremazia della giusti-zia sociale sulla carità. Non ci sarebbebisogno di carità se ci fosse un’atten-zione istituzionale forte alle disugua-glianze, al riconoscimento dei diritti edal rispetto della dignità. E dignità è an-che non dover fare la fila alle mensedei poveri.

Stefania BonattiAngelo Abbondandolo

[email protected]

� I senzadio e i senzafede

Ateo. Non mi sento tale più o meno dichi, credente (postulante?), si senta an-ateo. Intendo dire che ateo è una pa-rola che rifiuto, un concetto che re-spingo: il solito gesuitico termine perdenigrare o distruggere l’avversario.Con millennale sapienza, anche lessi-cale. A-teo rimanda infatti quasi a unamutilazione, a una menomazione; a unacondizione deteriormente compassio-nevole se non colpevole, rea. In quantotale la rigetto. Già mal sopporto l’e-spressione senza-tetto, ma chi si so-gnerebbe ad esempio di chiamare gliuomini: i senza-vagina; o le donne: isenza-fallo?

Tralasciando le difficoltà per definireeventualmente in termini così astrusiquanti hanno orientamenti sessualimeno ricorrenti (i senza-con o i con-senza), non accetto che coloro che sidefiniscono cristiani cattolici apostoliciromani possano battezzarmi in talmodo. Si guardino prima in casa, e fac-ciano i conti con la loro ragione sociale.Con il loro passato, con le loro origini,cioè. Sarebbe ora, dopo tanto sangueversato nel corso di guerre religiose.

Cristiani. Da Cristo immagino: ma selo sono giocati a dadi più di una volta.Non foss’altro perché (come gli ebreisionisti) da perseguitati – nell’Anti-chità – si sono fatti persecutori, daitempi di Costantino e poi Teodosiofino a Pinochet Videla Berlusconi. Nonfoss’altro perché, in nome della fidel-politik, hanno colluso con i dittatori diturno, con i regimi totalitari più tre-mendi. Gesuani forse sarebbe stato fi-lologicamente più corretto. Ma nonvorrei dare la stura a inutili e surrealidispute teologiche. Sorvolo volentierianche sull’annosa, secolare questioneche, con parole timorate desunte dauna terminologia fuorviante, si po-trebbe chiamare delle deviazioni ses-suali del clero.

Cattolici. Vale a dire universali, totali,integrali, globali (yes-global?). Terminedotto, scelto ad hoc per intorbidare leacque, per ingannare gli ottentotti. Macome proclamare, a chiare lettere esenza scandalizzare, che il loro intentoè imperialista integralista totalizzante.Convertiamo il mondo residuo e chi nonè d’accordo … peste lo colga. Noi siamoi mandati (apostoli appunto) dalla no-stra divinità: unica, vera e infallibile.Superiore quindi a tutte le altre. Su-prema. Ciò essi professano.

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38 n. 1/2012 (79)

LETTERE

Romani. Perché no, ma li avrei preferitiresidenti ad Avignone. Non per xenofo-bia, ma per semplici patriottiche consi-derazioni. Lo Stato vaticano ha per se-coli contrastato la formazione di unoStato unitario nella penisola. Ciò non permotivi altamente religiosi, ma per basseragioni di potere terreno, a parole quasicommiserato, ma nei fatti agognato.Salvo poi, infatti, ultimato il processounitario, vivere dei contributi dei citta-dini del nuovo Stato patteggiando e con-cordando ora con Mussolini, ora conCraxi, ora con il pomposo sultano diHardcore (leggi Arcore). Una levantinaapoteosi, che mal si combina con laastiosa quanto retrograda battagliaideologica contro il relativismo, il mo-dernismo, il celibato, il sacerdozio fem-minile, il divorzio, i preservativi, la pil-lola, le staminali, i dico, la lotta all’o-mofobia; e l’affossamento della scuola edella sanità pubbliche. E chi più ne ha,più ne metta.

Veniamo poi sul terreno non teologico,ma politico istituzionale. Lo strame chedella Costituzione italiana hanno fattoi cattolici romani, Curia e CEI in testa,con la complicità di classi dirigenti be-ghine di giorno e libertine di notte, po-teva avvenire soltanto in Italia. Repub-blica sovrana i cui strabici governihanno cercato e cercano la loro legitti-mità oltre-Tevere (ed oltre-Atlantico, ofcourse), più che nel popolo. Questoosceno connubio cesaro-papista haestenuato la fibra morale di una na-zione e di un popolo, l’ha resa permea-bile a ogni compromesso fra il diavolo el’acqua santa. I risultati sono sotto gliocchi di tutti, almeno di quelli che an-cora fanno resistenza. Inutile dire chesommi e beati beneficiari del martirioistituzionale italico saranno eminente-mente le Loro Eminenze.

Già immagino in queste ore i febbriliovattati maneggi di mitriati e porporatiper condizionare l’elezione del futurocapo del governo del paese ospite. Im-barazzati dall’offerta del supermercatopolitico italiano: un possibile candidatostantio, incallito sponsor di maddalenepentite (purché al dente e al silicone) eun neo candidato, magari comunista,omosessuale virilmente dichiarato –anatema! – antisionista e pure moro dipelle, i suddetti Primati, zitti zitti quattiquatti, si stanno incamminando versoCasini (absit iniuria verbis), che altro nonaspetta di essere cresimato. Senza il se-condo Fini e civettando col piddì, masenza farsi abBINDolare. Certo, non lofa per piacer suo ma per far piacere a

Pietro; comunque il risultato è tragico-mico. Persino l’onomastica irride e infie-risce.

Concludendo. Potrei accollarmi la defi-nizione di senzadio, se al contempo icattolici si adattassero a quella di sen-zafede. Nell’uomo e persino nel loronume tutelare. Ritengo i due accadi-menti fortemente improbabili.

Carlo [email protected]

� Cari fratelli in Cristo

Sono Suor Maria Clotilde delle Sante ePurulente Piaghe di Nostro Signore inCroce, al secolo Giovanna Scarpato, evi sembrerà strano che una “SponsaChristi” scriva a voi uomini senza fedee senza speranza in un futuro celeste.

Tra poco rinascerà di nuovo in mezzo anoi Gesù Bambino e voi come i “perfidiGiudei” non lo riconoscerete, anzi locatturerete come un lestofante e lometterete in Croce! Ma Lui è venutoper me, per il mio Santo Vescovo, per lamia Santa Superiora, per le mie SanteSorelle per voi che non credete e colsuo sacrificio ci ha liberato dalle grinfiedel demonio.

Una nostra Santa Consorella polacca,Wladimira Tostoski, dopo 50 anni di clau-sura assoluta in cui aveva bevuto solo ac-qua e mangiato un po’ di pane, ha co-minciato ad avere delle visioni paradi-siache in cui ha visto Gesù, la Madonna,i Santi, gli Angeli che le hanno dato unamissione: salvare i miscredenti dall’In-ferno. Ma le visioni sono costate carealla nostra povera Suora, perché il de-monio, prese le fattezze di un bellissimogiovane, si presentava nudo e bran-dendo tra le mani un enorme fallo, la in-vitava a fare cose orrende e scempie.Ma la nostra Santa Sorella ha resistito aldemonio ed ha potuto portare a compi-mento la sua missione. La Madonna èstata chiarissima: se gli atei non si con-vertono alla fede in Cristo, andranno abruciare tra le fiamme dell’Inferno. Peròla Madonna ha anche detto che perogni sacrificio, verrà salvata un’anima.Perciò, cari amici atei, noi non beviamo,noi non mangiamo, noi non…, mi ca-pite, vero? E tutto questo lo facciamoper salvare la vostra anima! È vero, avolte abbiamo certi turbamenti, desi-dereremmo anche noi amori meno spi-rituali e più carnali. Ma è solo un mo-mento! Ricacciamo subito indietro que-

sti pensieri che ci vengono dal maligno econtinuiamo questa vita fatta di digiuni,di penitenze e di privazioni. E tutto persalvarvi dalle fiamme dell’Inferno. Nonparlate male della Chiesa, non dite che ipreti sono viziosi, che non pagano letasse e via discorrendo. Un prete è un“Alter Christus” e come Lui è Vergine ePuro! Il nostro Idolo è Padre Pio chespesso ci viene a visitare nelle nostre cel-lette claustrali e noi siamo molto soddi-sfatte e contente! Tra poco è Natale, de-ponete la superbia dai vostri cuori e dallevostre menti e credete nel Cristo Salva-tore! Egli ci ha salvato dal demonio colsuo sacrificio e noi non possiamo esser-Gli che grati! Assicurandovi che pre-gheremo sempre per le vostre anime, vifacciamo gli auguri più sinceri e cordialiper un Santo Natale…

Giovanna [email protected]

Cara Giovanna Scarpato,

La sua lettera è arrivata in redazione du-rante l’Avvento, in tempo per farci gli au-guri di Natale che ricambiamo con al-trettanta cordialità e sincerità. Per i no-stri tempi tecnici, tuttavia, verrà pubbli-cata durante il Carnevale: mi sembra ap-propriato, visto che si tratta palesementedi uno scherzo. A me piace scherzare, an-che coi santi, perciò pubblico la letteravolentieri. La spero, in questo periodo, in-tenta a mangiare frittelle, bere spumantee a … mi capisce, vero?… allegramente.

Maria [email protected]

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COS’È L’UAAR

L’UAAR, Unione degli Atei e degli Agno-stici Razionalisti, è l’unica associazionenazionale che rappresenti le ragioni deicittadini atei e agnostici. È iscritta, con ilnumero 141, all’albo nazionale delle As-sociazioni di Promozione Sociale, istituitopresso il Ministero della Solidarietà So-ciale. L’UAAR è completamente indipen-dente da partiti o da gruppi di pressionedi qualsiasi tipo.

I VALORI DELL’UAAR

Tra i valori a cui si ispira l’UAAR ci sono:la razionalità; il laicismo; il rispetto dei di-ritti umani; la libertà di coscienza; il prin-cipio di pari opportunità nelle istituzioniper tutti i cittadini, senza distinzioni ba-sate sull’identità di genere, sull’orienta-mento sessuale, sulle concezioni filosofi-che o religiose.

COSA VUOLE L’UAAR

L’associazione persegue tre scopi:• tutelare i diritti civili dei milioni di cit-tadini (in aumento) che non apparten-gono a una religione: la loro è senza dub-bio la visione del mondo più diffusa dopoquella cattolica, ma godono di pochis-sima visibilità e subiscono concrete di-scriminazioni;• difendere e affermare la laicità delloStato: un principio costituzionale messo seriamente a rischio dall’ingerenza ec-clesiastica, che non trova più alcuna op-posizione da parte del mondo politico;• promuovere la valorizzazione sociale e culturale delle concezioni del mondo non religiose: non solo gli atei e gli agnostici per i mezzi di informazione non esistono, ma ormai è necessario far fronte al dila-gare della presenza cattolica sulla stam -pa e sui canali radiotelevisivi, in partico-lare quelli pubblici.

www.uaar.itIl sito internet più completo su ateismoe laicismo.Vuoi essere aggiornato mensilmentesu ciò che fa l’UAAR? Sottoscrivi la

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ISCRIZIONE ALL’UAAR

L’iscrizione è per anno solare (cioèscade il 31 dicembre). Le iscrizioni rac-colte dopo l’1 settembre decorrerannodall’1 gennaio dell’anno successivo,salvo i rinnovi o le esplicite richieste didiverso tenore. La quota di iscrizionecomprende anche l’abbonamento a L’A-teo. Le quote minime annuali sono (perle modalità di pagamento vedi pag. 48):Socio ordinario: € 25Quota ridotta*: € 17Sostenitore: € 50Benemerito: € 100* Le quote ridotte sono riservate aglistudenti e ad altri soci che si trovino incondizioni economiche disagiate.

SOSTEGNO ALL’ASSOCIAZIONE

È possibile sostenere indirettamentel’UAAR secondo varie modalità. Essendol’UAAR un’associazione di promozione so-ciale, le somme ad essa corrisposte a ti-tolo di erogazione liberale possono esseredetratte dall’imposta lorda IRPEF. Sem-pre grazie al suo stato di APS, l’UAAR puòanche ricevere donazioni e lasciti testa-mentari. Infine, acquistando libri da IBSe LaFeltrinelli.it attraverso il sito UAAR,l’associazione percepisce una commis-sione. (Maggiori informazioni alla paginahttp://www.uaar.it/uaar/erogazioni).

UAARUAAR, Via Ostiense 89, 00154 Roma

E-mail [email protected] Internet www.uaar.it

Tel. 06.5757611 – Fax 06.57103987

SEGRETARIORaffaele Carcano

[email protected]

PRESIDENTI ONORARILaura Balbo, Carlo Flamigni,

Margherita Hack, Dànilo Mainardi,Piergiorgio Odifreddi,

Pietro Omodeo, Floriano Papi, Valerio Pocar, Sergio Staino.

COMITATO DI COORDINAMENTOAnna Bucci (Circoli)[email protected]

Raffaele Carcano (Segretario)[email protected]

Isabella Cazzoli (Tesoriere)[email protected]

Roberto Grendene (Campagne edeventi) [email protected]

Stefano Incani (Organizzazione)[email protected]

Massimo Maiurana (Comunicazioneinterna) [email protected]

Adele Orioli (Iniziative legali) [email protected]

Massimo Redaelli (Esteri)[email protected]

Silvano Vergoli (Comunicazione esterna)[email protected]

COLLEGIO DEI PROBIVIRI [email protected]

Rossano Casagli, Graziano Guerra,Maurizio Mei

RECAPITO DEI CIRCOLI

ANCONA (R. Giorgetti) Tel. 328.6110978ASCOLI PICENO (A. Mattioli) Tel. 393.1779155

BARI (R. La Perna) Tel. 339.5288062BERGAMO (F. Mangili) Tel. 349.6292935BOLOGNA (P. Marani) Tel. 339.6004208BOLZANO (F. Brami) Tel. 320.6239987BRESCIA (O. Cavagnini) Tel. 331.2174284CAGLIARI (S. Incani) Tel. 338.4364047

CATANIA (G. Bertuccelli) Tel. 333.4426864COMO (W. Madone) Tel. 340.1714020

COSENZA (S. Sangiovanni) Tel. 393.3279094CREMONA (G. Minaglia) Tel. 348.4084821FIRENZE (B. Conti) Tel. 055.711156

FORLÌ-CESENA (D. Zoli) Tel. 329.8542338GENOVA (S. Vergoli) Tel. 393.7692821

GROSSETO (A. Silbersztein) Tel. 333.8913075L’AQUILA (L. Moca) Tel. 328.1227901

LIVORNO (C. Sturmann) Tel. 393. 3267086MILANO (M. Redaelli) Tel. 328.2133787MODENA (E. Matacena) Tel. 059.767268NAPOLI (C. Martorana) Tel. 081.291132PADOVA (M. Ferialdi) Tel. 377.2106765PARMA (R. Biondini) Tel. 393.4820481PAVIA (M. Ghislandi) Tel. 340.0601150

PERUGIA (coord. vacante)PESCARA (R. Anzellotti) Tel. 338.1702759PISA (S. Presciuttini) Tel. 050.870284RAVENNA (F. Zauli) Tel. 340.6103658

REGGIO EMILIA (S. Caporale) Tel. 328.1822618RIMINI (G. Bertuccioli) Tel. 347.8759026ROMA (M. Rinaldi) Tel. 334.6060376

SALERNO (F. Milito Pagliara) Tel. 328.9147853SASSARI (P. Francalacci) Tel. 349.5653174

SIENA (A. Massi) Tel. 346.8468650TARANTO (G. Gentile) Tel. 328.8944505TERNI (E. Giulianelli) Tel. 328.4452891TORINO (G. Pozzo) Tel. 380.1391388TRENTO (R. Bordin) Tel. 339.1304268TREVISO (F. Zanforlin) Tel. 347.8946625TRIESTE (G. De Luca) Tel. 040.0641228UDINE (M. Licata) Tel. 328.4151316

VARESE (A. D’Eramo) Tel. 348.5808504VENEZIA (F. Ferrari) Tel. 340.4164972VERONA (S. Manzati) Tel. 045.6050186VICENZA (E. Rossi) Tel. 0444.348507

RECAPITO DEI REFERENTIALESSANDRIA (A. Bassi) Tel. 333.1980388

AOSTA (M. Pilon) Tel. 339.1055742ASTI (A. Cuscela) Tel. 333.3549781

BIELLA (M. Mosca Boglietti) Tel. 333.3554329FERMO (L. Rosettani) Tel. 347.1253692FERRARA (S. Guidi) Tel. 349.4435997

FOGGIA (G.M. Gasperi) Tel. 335.7184729MASSA CARRARA (F. Bernieri) Tel. 348.8544605

NOVARA (S. Guerzoni) Tel. 333.2368689PORDENONE (L. Bellomo) Tel. 392.0632246POTENZA (A. Tucci) Tel. 333.4249093RAGUSA (M. Maiurana) Tel. 368.3121858ROVIGO (M. Padovan) Tel. 0426.44688SAVONA (F. Marzadori) Tel. 349.3827339

VERBANO-CUSIO-OSSOLA(A. Dessolis) Tel. 339.7492413

VITERBO (G. Goletti) Tel. 327.7316746

Tutti i Coordinatori/Referenti sono con-tattabili anche per E-mail, inviando unmessaggio a: nomecittà@uaar.it(esempio: [email protected], ecc.).

39n. 1/2012 (79)

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40 n. 1/2012 (79)

In questo numero

Editoriale

di Maria Turchetto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3

False opposizioni. Scienze e saperi “umanistici”secondo Stephen J. Goulddi Andrea Cavazzini . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5

Biologia come arma socialedi Anna Maria Rossi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7

Un evoluzionista agnostico nel dibattito fra scienza e religionedi Marcello Buiatti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 11

Ontogeny & Phylogeny ovvero lo strano caso di un libro fuori modadi Federica Turriziani Colonna . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 15

Stephen Jay Gould. Bibliografia ragionata di Maria Turchetto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 16

L’insostenibile leggerezza del genere. Omosessualità e genitorialità, nodi cruciali di un’identità in diveniredi Laura Castagnoli . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 19

Cattolici praticanti, non praticanti e atei: un confronto psicologicodi Laura Salvadori . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 21

Il principio di laicità. Stato, confessioni religiose e singolidi Matteo Visigalli . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 23

Scuse a Darwin? Sì, forse, anzi no!di Francesco D’Alpa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 24

Dieci ragioni per cui l’ateismo e Darwin non c’entrano nulla col nazismo (a differenza del cristianesimo)di Raffaele Carcano . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 26

Perché è così naturale “credere”? di Fabienne Lemarchand . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 28

Mosé dissedi Bruno Borgio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 30

Il Capitalismo è eterno: Amen. L’(a)teologia di Michel Onfraydi Ascanio Bernardeschi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 32

Recensioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 33

Lettere . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 36

ABBONAMENTO A L’ATEO

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ARRETRATI DE L’ATEO

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