00 - Il Canto Regola Di Vita

23
N. 0 – Maggio 2011 Il Canto Regola di Vita Rivista per un dialogo tra liturgia e musica Questa è la dolcezza del Salterio: il canto regola di vita. Ambrogio, Expl. in Ps. XLVIII,7

description

Rivista di Musica Sacra - Comunità di San Leolino

Transcript of 00 - Il Canto Regola Di Vita

Page 1: 00 - Il Canto Regola Di Vita

N. 0 – Maggio 2011

Il Canto Regola di Vita

Rivista per un dialogo tra liturgia e musica

Questa è la dolcezza del Salterio: il canto regola di vita.Ambrogio, Expl. in Ps. XLVIII,7

Page 2: 00 - Il Canto Regola Di Vita

5 Il canto regola di vita, maggio 2011 – n. 0

Come ogni altro aspetto della cultura contemporanea, anche la musica soffre le conseguenze del solipsismo, che riduce ogni esperienza a un fatto totalmente individuale. Muovendosi programmaticamente tra musica e liturgia, questa nuova rivista intende ritrovare e diffondere una cultura adatta al discorso liturgico e musicale.

1. Ottimismo o pessimismo per la musica e la liturgia?

O si è dentro o si è fuori. Potrebbe essere questa una prima indicazione per comprendere il mondo della musica e il ruolo che essa può svolgere anche nella celebrazione liturgica. In effetti, per se-coli la bellezza della musica liturgica, il suo fascino discreto e incisivo e la sua sobrietà e solennità hanno attratto cre-denti e non credenti, ivi compresi molti compositori che hanno scritto pagine superbe di musica, così detta sacra, per le sale da concerto. Il caso di Ver-di è emblematico e non solo per i suoi Quattro pezzi sacri, ma anche per il cele-

berrimo Requiem che ancora non manca di scuotere, fin dal profondo, musicisti e ascoltatori. Ma con il sopraggiungere della società di massa, subito dopo il se-condo dopoguerra, non solo la società è cambiata ma anche la situazione della musica si è fatta sempre più confusa e magmatica al punto che gli stessi mu-sicisti di professione sembrano, nella postmodernità, piuttosto scettici circa il futuro della musica dal momento che domina ormai un “solipsismo” esaspe-rato e sfaccettato quanto sono gli indi-vidui che compongono le società uma-ne, più o meno avanzate.

Da un punto di vista filosofico, in effetti, il solipsismo significa che c’è un solo modo di conoscere il mondo e an-che noi stessi: la nostra esperienza sog-gettiva. Da qui consegue il fatto che tu sei, per così dire, una finzione della mia immaginazione (e io della tua), così che tutti abitiamo universi paralleli e iso-lati. Naturalmente, il modo di evitare il solipsismo – cosa certo difficilissima nel mondo attuale – è quello di rifiutare le sue premesse e considerare invece la coscienza umana come qualcosa di più vasto e di più grande del semplice “io”. Da questo punto di vista, l’esperien-za privata su cui si basa il solipsismo è essa stessa un artefatto della società ed anzi è un aspetto di quel soggetti-

EditorialE

La musica al guado della postmodernità

Carmelo Mezzasalma

Il Canto Regola di VitaRivista per un dialogo tra liturgia e musicaMaggio 2011 – n. 0

Editoriale

La musica al guado della postmodernitàdi Carmelo Mezzasalma 3

I portico: il canto

Il linguaggio della musicadi Diego Cannizzaro 12

Il canto del cuoredi Giuseppe Liberto 17

Proposta musicale

Exaudi me per organodi Giuseppe Liberto 20

II portico: la regola

«Lascia la tua arpa riempire tutto»di Domenico Messina 24

I linguaggi della regola di Leo Di Simone 28

III portico: la vita

La Vita si rende visibile nella liturgiadi Cosma Capomaccio 36

Partecipazione: il sì dell’uomo alle nozze con Diodi Alessandro Andreini 39

Il Canto Regola dI VItaRivista per un dialogo tra liturgia e musica

RedazioneVia S. Leolino 1 – 50022 Panzano (FI) e-mail [email protected] internet www.sanleolino.org

Supplemento a «Feeria. Rivista per un dialogo tra esodo e avvento»Autorizzazione del Tribunale di Firenze n. 4251/92 del 27 luglio 1992Numero singolo € 6,50Abbonamento annuo € 10,00 Abbonamento sostenitore € 30,00 C/C postale n. 21999503 intestato a: Feeria. Associazione culturaleVia S. Leolino 1, 50022 Panzano (Fi)(specificare Abbo na men to rivista CRV)

Direttore responsabileCarmelo Mezzasalma

Comitato di redazioneAlessandro Andreini, Diego Can-nizzaro, Cosma Capomaccio, Leo Di Simone, Giuseppe Liberto, Do-menico Messina

Progetto grafico e impaginazione Comunità di San Leolino

ImmaginiLuca della Robbia, Cantoria (1431-1438, Firenze, Museo dell’Opera del Duomo)

Stampa Tipografia editrice Polistampa – Firenze

La rivista «Il Canto Regola di Vi-ta» è espressione del Laboratorio di studio sulla musica liturgica nato su iniziativa della Comu-nità di San Leolino nel 2004 e giunto alla sua VI edizione. Di esso, la rivista intende far cono-scere i contenuti e le prospettive di ricerca, nella direzione di una sempre più piena comprensione e attuazione della riforma pro-mossa dal concilio Vaticano II.

Page 3: 00 - Il Canto Regola Di Vita

6 Il canto regola di vita, maggio 2011 – n. 0 7 Il canto regola di vita, maggio 2011 – n. 0

Non sorprende più di tanto, allora, che in questi cinquanta anni sia sempre di più emersa la tendenza a recupera-re il passato della musica liturgica nel-la convinzione che il passato è sempre meglio del presente, anche in fatto di musica. Si vorrebbe uscire dal caos, ma a poco prezzo, anche se, certamente, un coro polifonico tradizionale rende il mi-stero liturgico più aderente a se stesso anziché il rumore, scomposto e gridato, di cori improvvisati e per di più con un repertorio di dubbio gusto, amplificato dai mezzi elettronici che tolgono il si-lenzio necessario alla liturgia.

4. Tornare al fondamento: Cristo evento di salvezza in Romano Guardini

Come sempre accade in periodi sto-rici e culturali di notevole confusione, quale è il nostro, occorre tornare ai fon-damenti sia per eliminare gli abusi sia, soprattutto, per tracciare una strada verso il futuro. Chi opera nel campo del-la musica per la liturgia o chi, stanco di improvvisazioni e di rumori, sogna una musica più aderente allo spirito della li-turgia, deve necessariamente tornare al fondamento che già Romano Guardini aveva indicato nell’espressione riportata nella prossima pagina. Egli vede la chia-ve di comprensione dell’azione liturgica così come la vede la Chiesa e la riforma liturgica del Vaticano II: tutto è incentrato su Cristo e sul suo mistero pasquale. La redenzione è un evento che si è compiuto nella storia, ma permane nella storia per mezzo dello Spirito che vive nella Chie-sa. Così l’esistenza cristiana è inserirsi in questo avvenimento permanente che è, di fatto, la vita liturgica della Chiesa.

Peccato che il magistero straordina-rio di Romano Guardini sia stato assai

3. L’ignoranza del significato della musicanella situazione postconciliare

Così, l’ignoranza circa questa forza determinante della musica ha provo-cato quel caos che si è verificato nella liturgia post-conciliare: liquidati i cori “a cappella” come ormai inservibili, mandati a spasso i musicisti con un più o meno grande bagaglio musicale e get-tato in cantina ogni repertorio tradizio-nale, ecco che si è fatta strada la convin-zione che la musica per la liturgia do-vesse essere solo “popolare” per facili-tare la partecipazione dei fedeli all’azio-ne liturgica. E i fedeli, in mancanza di un’autentica educazione liturgica, non hanno messo molto tempo a concepire questa reale partecipazione come un fatto solipsistico che altro non era che il riflesso condizionato della musica pub-blicizzata dai sistemi di massa. Anche in questo caso, i figli delle tenebre sono stati più astuti dei figli della luce.

Infatti, al contrario di tanti operatori pastorali o anche di liturgisti, la radio e le case discografiche non hanno mai di-menticato il significato della musica. E, anzi, ne hanno fatto una sperimentazio-ne di massa perfino con il lancio di can-tanti popolari, più o meno raffinati. Dal canto loro, anche i pubblicitari hanno usato la musica per trasmettere signifi-cati per i quali ci vorrebbero troppe pa-role o per i quali le parole non risulte-rebbero convincenti. Gli spot usano, al-lora, la musica come un potente simbo-lo di aspirazione, di autorealizzazione, di desiderio di essere “ciò che vorresti”, come dice spesso la voce fuori campo. E se vogliono raggiungere un partico-lare segmento della società (ventenni, trentenni) usano una musica di stampo popolare, sentimentale e accattivante, anche se banale e scontata.

damente radicato nella cultura umana e come non esiste una cultura priva di un linguaggio, così non ce n’è una che sia priva di musica1. In più, la musica, in un modo o nell’altro, sembra essere un fatto naturale, o avere un’esisten-za indipendente, ma non è così. Essa è piuttosto intrisa di valori umani, qual-siasi essi siano, ovvero del nostro senso di che cosa sia buono o cattivo, giusto o sbagliato. La musica non è una cosa che capita. È una cosa che facciamo. Ed è ciò che ne facciamo. Gli individui pen-sano per mezzo della musica, decidono di se stessi con la musica, esprimono se stessi attraverso la musica che scelgono o prediligono.

vismo piccolo-borghese che condanna tutti, chi più chi meno, alla solitudine e all’incomuni ca bilità.

2. Il solipsismo musicale

Dal punto di vista musicale, ognu-no di noi riflette questo solipsismo nel-la sua sensibilità, educata o no, nella sua esperienza e nel modo di condurre questa esperienza. Così, oggi possia-mo scegliere se ascoltare Beethoven, i Chemical Brothers o la musica africana o asiatica, in auto o in una sala da con-certo, allo stesso modo che possiamo scegliere fra una trattoria tradizionale o un ristorante cinese. Le barriere, che fino a un recente passato tenevano ri-gorosamente separati in differenti sti-li le tradizioni della musica, si stanno sgretolando ovunque sotto la pressione di quella cultura di massa che, para-dossalmente, proprio perché è cultura di massa, induce gli individui a riven-dicare per sé un progetto di vita e di gusti semplicemente solipsistico. È evi-dente, allora, perché il mondo trabocchi di musica di ogni genere: tradizionale, folk, classica, jazz, rock, pop, etnica e via dicendo, e basterà che l’individuo scelga uno di questi generi per sentirsi, in un certo senso, anche lui musicista. È sempre stato così, ma i moderni mezzi di comunicazione e le tecniche di ripro-duzione del suono hanno reso il plura-lismo musicale ormai parte della nostra vita quotidiana.

Eppure, il nostro modo di pensare la musica, anche nella post-modernità, individualista ed edonista, non riflette del tutto questa situazione. Perché la musica non è solo qualcosa di piacevole da ascoltare. Al contrario, come osserva Nicholas Cook, è qualcosa di profon-

Editoriale Editoriale

Page 4: 00 - Il Canto Regola Di Vita

8 Il canto regola di vita, maggio 2011 – n. 0 9 Il canto regola di vita, maggio 2011 – n. 0

Editoriale

di questa unità [la Chiesa]. È la liturgia che parla a Dio, il fedele parla con essa e in essa […]. Nel rapporto liturgico, il sin-golo sperimenta vitalmente la comunità ecclesiastica»5. È un’indicazione decisiva per il musicista al servizio della liturgia che deve essere guidato da una coscien-za viva dell’oblatività propria della di-mensione ecclesiale. Senza rinunciare alle sue competenze musicali, che anzi sono necessarissime, il musicista deve anzitutto riuscire a fare il sacrificio di se stesso, del proprio ego o del gusto in voga nel suo tempo. È una rinunzia non facile poiché si tratta di mettere da parte il proprio egotismo per lasciarsi invece guidare da quei pensieri e da quelle vie

sua esperienza di vita e, nel caso della li-turgia in particolare, egli ha posato dav-vero il capo sul cuore di Cristo per attin-gervi domande e risposte circa il futuro della fede cristiana nel mondo contem-poraneo. Guardini ebbe una vivissima coscienza del suo sacerdozio e sapeva che non gli sarebbe stato possibile incar-nare bene questo ministero senza aver posato ripetutamente il suo capo sul cuore di Cristo. Da qui quell’entusiasmo con cui scrive della liturgia nel tentativo di trasmettere ad altri quella passione che lui attingeva dal mistero dell’Euca-ristia, certamente celebrato con parteci-pazione e consapevolezza. In secondo luogo, la naturalezza con cui si muove all’interno della liturgia. La naturalezza del poeta, e non già l’egotismo dell’in-tellettuale, ove per poeta indichiamo l’anima incantata e tesa allo scandaglio del rapporto tra scrittura e profezia. Ha, dunque, ragione Anna Maria Cànopi nello scrivere: «Romano Guardini non è stato un “romantico” della liturgia, né un idealista, ma un vero mistagogo, che ha saputo introdurre molti nei misteri della vita cristiana semplicemente can-tando il poema della sua fede e del suo amore per Cristo»4.

Se Guardini non è stato un romanti-co ma un mistagogo, allora egli ha mol-to ancora da insegnare al musicista che aspira a scrivere musica per la liturgia del dopo Concilio. E noi vorremmo se-guirlo tentando quasi una parafrasi sul-le sue intuizioni per tracciare un nuovo percorso per il rapporto musica-liturgia.

5. Guardini, una mistagogia per la musica

«Nella liturgia [il credente] scorge che non sta di fronte a Dio come indivi-dualità a sé stante, bensì come membro

rizzato la seconda metà del secolo e al quale tentò di rispondere, con tutte le sue forze a disposizione, il concilio Vati-cano II. Tentare di ritornare alla liturgia prima del Concilio è, in un certo senso lasciar passare ancora quel movimen-to di razionalismo e materialismo che l’aveva, per così dire, fossilizzata e cioè nel senso di trasformarsi in un solipsi-smo e in un individualismo, tipici della post-modernità, che niente hanno a che fare con Gesù Cristo, evento di salvezza. In altre parole, anche l’azione liturgica, per come la viviamo e la facciamo, pas-sa attraverso la nostra cultura e sia pure salvaguardando il suo mistero che non dipende da noi. Ci sembra opportuno a questo proposito citare ancora Anna Ma-ria Cànopi che vede in Romano Guardini il sapiente maestro e mistagogo nel farci accostare a Cristo e al suo mistero in una maniera oggettiva e, quindi, partecipata, proprio come vuole il Vaticano II: «Biso-gna anzitutto riconoscere che il segreto della grande passione di Guardini per la liturgia – scrive Anna Maria Cànopi – è l’amore per Gesù Cristo; un amore ardente e profondo che gli è divampa-to nell’anima come un fuoco davvero inestinguibile; un amore di predilezio-ne grazie al quale ha potuto in un certo modo posare il capo sul cuore di Cristo per attingervi le insondabili ricchezze del suo mistero. Egli si muove nell’am-bito della sacra liturgia con la gioiosa e commossa naturalezza di chi si trova “a casa sua”, dove tutto gli sembra già noto e tuttavia non finisce mai di scoprire i te-sori che vi sono nascosti»3.

Due realtà da sottolineare in questa riflessione su Guardini di Anna Ma-ria Cànopi. Innanzitutto, a chi conosce l’opera di Guardini non sfugge il fatto, veramente straordinario, che tutto quan-to egli ha scritto e fatto sia nato da una

presto dimenticato! Avrebbe risparmiato molta confusione e marginalizzato la ten-denza solipsistica della società di massa. La provvidenza divina ci aveva dato in lui un salutare correttivo per gli svilup-pi della società moderna che si avviava, inesorabilmente, a diventare post-mo-derna e cioè individualista e consumi-sta, oltre che secolarizzata sotto tutti gli aspetti. Anna Maria Cànopi, Abbadessa dell’Abbazia benedettina “Mater Eccle-siae” di Isola San Giulio, gli ha dedicato un bellissimo capitolo nel suo libro Silen-zio. Esperienza mistica della presenza di Dio che somiglia ad una autentica riscoper-ta nella situazione in cui viviamo. Con un’immagine veramente efficace, Anna Maria Cànopi sintetizza tutto lo sforzo di Romano Guardini, a proposito della

liturgia, chiamandolo “giovinezza del-la liturgia”: «essa coincide, infatti, con quell’evento che egli definisce “il destar-si della Chiesa nelle anime” verificatosi in quei suoi tempi che non erano meno “cattivi” dei nostri»2. Perfetto!

Di fatto, nella prima metà del Nove-cento c’era tra i credenti, proprio nella liturgia, un certo torpore che li teneva come fossilizzati in forme e strutture senz’anima: ecco perché, aggiunge la Cànopi, si può ben dire che quest’uomo fosse davvero mandato da Dio. In realtà, era cominciato allora quel movimento culturale, intriso di razionalismo e quin-di di materialismo, che avrebbe caratte-

Editoriale

Il cristianesimo non è una teoria della verità o un’interpretazione della vita. Essa è anche questo, ma non in questo consiste il suo nucleo essenziale. Questo è costituito da Gesù di Nazaret, dalla sua concreta esisten-za, dalla sua opera, dal suo destino.

R. Guardini, L’essenza del cristianesimo, 11

Page 5: 00 - Il Canto Regola Di Vita

10 Il canto regola di vita, maggio 2011 – n. 0 11 Il canto regola di vita, maggio 2011 – n. 0

Editoriale Editoriale

dominata dai maestri della persuasione occulta che sono la pubblicità e le isti-tuzioni che fanno “audience”. Non c’è da meravigliarsi, perciò, che tante storie mettono in guardia contro il potere del-la musica di insinuarsi inavvertitamente nella nostra mente e di sostituirvi i suoi voleri ai nostri. Pensiamo al pifferaio di Hamelin che, suonando, adescava i bambini strappandoli alle loro case per non farli mai più tornare. Pensiamo alle storie delle Sirene, nell’antica Grecia e un po’ dovunque, il cui canto amma-liava i marinai attirandoli negli scogli dove trovavano la morte. Pensiamo, an-cora, alla voce “musicale” di Saruman, nel Signore degli anelli di Tolkien, perfet-to modello del demagogo dalla voce in-sinuante, i cui discorsi intrappolano gli ascoltatori anche quando tentano di re-spingere ciò che ha da dire12. Come T.W. Adorno aveva ben compreso, la musica ha dei poteri unici in quanto può fun-zionare come ideologia. Dobbiamo ca-pire il suo funzionamento, il suo fascino sia per proteggercene sia per utilizzarla ai fini della liturgia. E per farlo dobbia-mo non solo saperla ascoltare, ma anche leggere: non nel senso letterale, quel-lo della notazione musicale, bensì del suo significato e come parte integrante della cultura, della società, di tutti noi. La musica, come bene avevano capi-to i romantici, è anche cultura e come tale deve essere sottoposta ad analisi e approfondimenti. Tanto più quando si tratta di musica per la liturgia.

François Cassingena-Trévedy ha scritto un pregevolissimo saggio dal tito-lo La bellezza della liturgia che ogni musici-sta dovrebbe meditare attentamente per liberarsi del proprio egotismo estetico sempre in agguato nel suo spirito attrat-to proprio dal fascino della musica. Così egli scrive: «Nella valutazione di una

[…] Deve apprendere a fare in libertà, bellezza, santa letizia dinanzi a Dio il gioco da lui regolato della liturgia. Da ultimo anche la vita eterna non sarà che il compimento di questo gioco»9.

È un chiaro invito, se si vuole colti-vare un’anima veramente musicale, a ri-fuggire dal dilettantismo e dal suo movi-mento opposto, il conservatorismo. L’ani-ma, in altre parole, deve essere afferrata dai simboli, ossia capace di interpretare quella realtà ineffabile che soltanto Dio sa comunicare. Così, il musicista per la li-turgia, lasciandosi educare da essa, deve coltivare quella specifica spiritualità che proprio la liturgia è in grado di dire al nostro cuore: l’uomo, consapevolmente o meno, cerca l’epifania, «l’apparire lu-minoso della realtà sacra nell’azione li-turgica, l’apparire sonoro dell’eterna Pa-rola nel discorso e nel canto e la presenza dello Spirito nella corporeità delle cose tangibili»10. Guardini conosce e rispet-ta il valore della sensibilità, anche nella spiritualità cristiana, ma essa è tutt’altro che uno sterile estetismo o un’ambigua emotività perché – aggiunge – «la litur-gia è un mondo di vicende misteriose e sante divenute figura sensibile: ha perciò carattere soprannaturale»11. È un luogo di una grande esperienza spirituale, ben sottolineato dal carattere di incontro nu-ziale che deve animare la liturgia.

Il canto regola di vita, come voleva sant’Ambrogio. Anche il musicista deve partire sempre dalla vita e, nel nostro caso, dalla vita spirituale che comunica la liturgia. E qui torniamo a un discorso prettamente musicale.

6. Il potere ambiguo della musica

Nel mondo culturale e sociale in cui viviamo anche la musica è in larga parte

gli oggetti di culto»8. Il musicista deve saper far tesoro di questa riflessione di Guardini se vuole cercare una musica che sappia celebrare la gioia e la bellezza di trovarsi alla presenza di Dio! Il mu-sicista deve, insomma, avere un’anima quando scrive musica. È sulla qualità di quest’anima che si gioca tutto: «L’anima – scrive ancora Guardini – deve appren-dere […] a non essere troppo sensibile ai motivi utilitari, troppo prudente, troppo “adulta”, bensì deve sapere anche vi-vere semplicemente […], deve impara-re ad essere prodiga di tempo per Dio; deve trovare parole e pensieri e gesti per il santo gioco, senza domandarsi ad ogni momento: a che scopo e perché?

che la liturgia gli propone. Deve pregare con gli altri, musicalmente, anziché cam-minare per i fatti propri. Deve andare oltre i suoi scopi personali per accoglie-re «le finalità formative della grande co-munità liturgica umana»6.

Con i tempi che corrono, tempi di un individualismo esasperato, tutto questo è davvero un’utopia, ma è l’utopia del Vangelo che per essere vissuta richiede l’umiltà e l’amore: «un permanente usci-re da sé per gli altri, un amore grande che sia pronto a partecipare alla vita al-trui, a farla propria»7. Quello che è im-possibile agli uomini è possibile a Dio. Siamo ben lontani dallo spontaneismo, anche musicale, a cui molti si abbando-nano con il pretesto o l’illusione della creatività che spesso altro non è, lo ripe-tiamo, che lo spirito volgare del nostro tempo. Al contrario, se la liturgia è un banchetto di nozze, allora ogni singolo invitato – ed anche il musicista – deve avere l’abito festivo ossia l’anima capace di accogliere la gioia della festa di Dio per diffonderla intorno a sé. Tutto que-sto chiama in causa la bellezza artistica che deve avere la musica per la liturgia. Ciò non è scontato in una società come la nostra ove anche la bellezza artistica viene maciullata dalla superficialità a cui induce il pragmatismo e l’utilitarismo.

Scrive, infatti, Guardini per dire la bellezza come gratuità e dono: «Fare un gioco dinnanzi a Dio, non creare, ma es-sere un’opera d’arte, questo costituisce il nucleo più intimo della liturgia. Di qui la sublime combinazione di profon-da serietà e di letizia divina che in essa percepiamo. E solo chi sa prendere sul serio l’arte e il gioco può comprendere perché con tanta severità ed accuratez-za la liturgia stabilisca in una moltitudi-ne di prescrizioni come debbano essere le parole, i movimenti, i colori, le vesti,

Page 6: 00 - Il Canto Regola Di Vita

12 Il canto regola di vita, maggio 2011 – n. 0

Editoriale

vimento liturgico giunto a una svolta in piena seconda guerra mondiale. Fu proprio Romano Guardini che indivi-duò quella svolta. Con chiaroveggenza profetica egli colse gli aspetti positivi e al contempo i rischi cui il movimen-to stava andando incontro. Ci riferia-mo alla Lettera che Guardini scrisse su sollecitazione del vescovo di Magonza. Era il 1940, ma sembra, sotto certi aspet-ti, il nostro presente dove il liturgismo, il praticismo e il dilettantismo liturgico si sposano, stranamente, con il conser-vatorismo che, preoccupandosi eccessi-vamente di salvare lo “specifico” della liturgia, ne trascurava e ne trascura la dimensione storica e soprattutto dina-mica nel senso spirituale del termine.

In questa drammatica confusione è necessario, allora, ritrovare e diffondere una cultura adatta al discorso liturgico e musicale che trovi, nell’espressione di Ambrogio, il suo fulcro ispiratore: il canto è sempre una regola di vita. Il che vuol dire anche che dobbiamo fare cul-tura e diffondere cultura come fonte di ispirazione alla quale attingere quel nu-trimento necessario al nostro rapporto musica-liturgia. ●

Note

1 Cfr. N. Cook, Musica. Una breve introduzione, EDT, Torino 2005, p. IX.2 A.M. Cànopi, Silenzio. Esperienza mistica della presenza di Dio, EDB, Bologna 2008, p. 48.3 Ivi.4 Ivi, p. 63.5 R. Guardini, Lo spirito della liturgia. I santi segni, Mor cel lia-na, Brescia 1980, pp. 40-41.6 Ivi, p. 42.7 Ivi, p. 45.8 Ivi, p. 86.9 Ivi, pp. 88-89. 10 Cfr. R. Guardini, La funzione della sensibilità nella conoscenza religiosa, in Scritti filosofici, Fabbri, Milano 1964, II, p. 166. 11 R. Guardini, Lo spirito della liturgia. I santi segni, cit., p. 123.12 Cfr. N. Cook, Musica. Una breve introduzione, cit., pp. 157-158.13 F. Cassingena-Trévedy, La bellezza della liturgia, Edizioni Qiqajon, Comunità di Bose. Magnano (BI) 2003, pp. 9-10.

bella liturgia possono intervenire diversi criteri che dipendono dalla sfera emoti-va, istintiva, da considerazioni di parte, da impulsi egocentrici, sensuali: li defi-nirei i criteri dei “consumatori”. Si è con-tenti quando si fa rumore, si parla molto, si canta molto, o si vedono un sacco di panni o di merletti. Gusti e colori in ul-tima analisi confluiscono tutti nella stes-sa vacuità, nella stessa alterazione, nello stesso equivoco […]. Siamo agli antipodi di Cristo e dell’Evangelo. Mai come ora questa tentazione è stata così forte»13.

Per evitare questa trappola dell’ego-tismo anche musicale, ci occorre un’e-ste tica della liturgia che può essere elaborata solo a partire da una teolo-gia della liturgia. Il musicista non può esimersi da questa teologia. Così, per un’analisi della bellezza liturgica, biso-gna prima di tutto cercare di compren-dere in profondità, per quanto è possi-bile a noi esseri umani, la natura della liturgia. Cara e indimenticabile mista-gogia di Romano Guardini!

7. Conclusione. Perché una nuova Rivista?

Il nostro percorso è stato lungo, ma non vorremmo che esso generasse un equivoco e cioè quello di presentare un più o meno brillante saggio sul rappor-to musica-liturgia. Non è questo il no-stro intento. L’intento è piuttosto quello di favorire un’adeguata recezione della rivista che presentiamo: Il canto regola di vita. A chi ci rivolgiamo? Principalmen-te alle persone che operano al livello della musica liturgica, ma anche a tutte le persone, i semplici cristiani, che han-no a cuore il futuro della liturgia in un tempo che, paradossalmente, ricorda quel momento critico del celebre mo-

i portico

Il canto

Diego CannizzaroIl linguaggio della musica

Giuseppe LibertoIl canto del cuore

Page 7: 00 - Il Canto Regola Di Vita

14 Il canto regola di vita, maggio 2011 – n. 0 15 Il canto regola di vita, maggio 2011 – n. 0

I portico. Il canto

Vi è un forte parallelismo tra discorso linguistico e discorso musicale. Ciascuna modalità ha una sua ragion d’essere, una sua dignità, una sua esatta collocazione e una sua peculiare attuazione: l’azione liturgica è uno dei momenti privilegiati per esplicare le possibilità semantiche musicali grazie al contesto generale e alla predisposizione all’ascolto consapevole.

genza dell’artista e nella memoria del fruitore4.

3. Alle origini della musica

Tante problematiche che viviamo oggi circa il significato, le modalità ese-cutive ed espressive, la stessa presunta utilità o, più frequentemente, l’inutilità di fondo della musica derivano proba-bilmente da un atteggiamento distrat-to nei confronti della sua storia. La musica nel popolo ebraico era intima-mente legata alla liturgia: conosciamo regolamenti e quantità dei musici che dovevano eseguirla nel Tempio di Ge-rusalemme; la cura e l’ordine rigoroso nell’impiego di formule sono indicati-vi dell’importanza accordata al feno-meno musicale e i riferimenti musicali nei salmi sono tanto conosciuti quanto immediati.

A fugare il pensiero che nell’an-tichità la musica “servisse” soltanto a migliorare l’efficacia della trasmis-sione della parola interviene lo studio della musica greca: la modalità di no-tazione affidata a lettere di alfabeto ar-caico, in parte attico e in parte fenicio e il ricorso a un sistema metrico quan-titativo per misurare il ritmo, legano indissolubilmente poesia e musica, ma quest’ultima ci appare come la mani-festazione più compiuta, decisamente più che il semplice testo poetico. Con-sapevoli che la musica potesse incidere profondamente sull’animo umano, i greci elaborarono una teoria dell’edu-cazione che affidava alla musica un ruolo simile a quello che la ginnasti-ca aveva nell’attività fisica: la musica come ginnastica della mente e, conse-guentemente, fondamentale nella for-mazione della persona5. Sarà bene non

3) l’oggetto materiale, la traccia sulla carta dell’opera letteraria o musicale senza la quale l’opera non esistereb-be: va aggiunto, tuttavia, che l’ope-ra esiste pienamente solo quando viene eseguita o percepita.

A ben pensarci, lo schema classico del codice comune tra emittente e desti-natario è stato smentito nella storia del-la musica: quante volte la percezione di un’opera musicale non è stata corri-spondente alle strategie di composizio-ne? Quante volte si è detto o scritto che il compositore stava col pensiero molti anni avanti i suoi contemporanei? Per-ché il linguaggio musicale si è prestato più di altri alla separazione del proces-so poietico dal processo estesico?

Non c’è dubbio che la musica ab-bia i suoi parametri benché le variabili del fenomeno musicale siano infinite e benché ogni analisi e ogni teoria operi-no una selezione nell’infinità delle sue componenti. Nattiez fonda il suo studio sul presupposto che il discorso musica-le sia articolato in suono (nel suo rap-porto con l’alter ego rumore), scala, ar-monia, melodia, ritmo; anche la tonalità è un elemento fondante del discorso a condizione che non venga inteso solo nei termini di stile tonale.

Chiamiamo oggetto musicale ogni oggetto sonoro integrato in una co-struzione sonora voluta dall’uomo ed è musica ogni fenomeno che un indi-viduo, un gruppo o una cultura accet-tano di considerare come tale3. Ma se l’oggetto artistico è una composizione musicale, il primo e più immediato problema riguarda proprio la legittimi-tà dell’uso del termine oggetto: l’opera musicale esiste concretamente soltan-to mentre risuona, e solo idealmente nell’immaginazione, intuizione, intelli-

1. Alla scoperta dei codici del linguaggio

I ricordi scolastici dell’infanzia, a volte, restano fissati nelle nostre men-ti in maniera indelebile: tra essi posso annoverare la prima spiegazione data dalla mia maestra circa la strutturazio-ne di un breve componimento scritto. La griglia mentale che mi fornì servì per molti anni finché non imparai a padroneggiare altre maniere di strut-turare, sia per comporre un testo che per interpretarne uno scritto da altri. Un altro indelebile ricordo di gioventù si riferisce, invece, a una lezione dedi-cata dalla mia insegnante di pianoforte alla resa pianistica della materia sono-ra presente nello spartito con insistita attenzione al cosiddetto “senso della

frase” da esplicare bene sia all’inter-no di essa che nel rapporto che questa instaura con le altre componenti – ar-monia, ritmo, struttura formale – che concorrono all’articolazione dell’edifi-cio sonoro di un brano; anche in que-sto caso la lezione giovanile aprì suc-cessivi sviluppi sia nella composizione musicale che nell’interpretazione della musica scritta da altri. L’intero periodo della mia formazione si sviluppò nella piena consapevolezza che il linguag-gio letterario e il linguaggio musicale avessero dei codici che possono talora anche convergere, altre volte divergere decisamente, ma che in ogni caso sono funzionali a una comunicazione.

2. Che cos’è una forma simbolica

Jean-Jacques Nattiez, nel suo ben noto Discorso musicale1, inizia il suo per-corso di analisi semiologica della mu-sica con il modello elaborato da Jean Molino2. Tutte le forme dell’espressione umana possono essere definite forme simboliche nella misura in cui vi si pos-sono riconoscere tre dimensioni:1) il processo poietico grazie al quale

esiste un’opera che prima non esi-steva;

2) il processo estesico, l’insieme delle strategie messe in atto dalla perce-zione del prodotto dell’attività po-ietica;

Il linguaggiodella musica

Diego Cannizzaro

Page 8: 00 - Il Canto Regola Di Vita

16 Il canto regola di vita, maggio 2011 – n. 0 17 Il canto regola di vita, maggio 2011 – n. 0

I portico. Il canto I portico. Il canto

ragonabile a un discorso vistosamente sgrammaticato.

6. Verso una visione critica della musica

Nella seconda metà del XIX secolo, Eduard Hanslick8 si impegnò a cercare un metodo scientifico per arrivare alla conoscenza e valutazione oggettiva del-la musica criticando la visione romanti-ca del privilegio del momento estesico; il fatto che la musica non articola paro-le non deve determinare l’equivoco di attribuirle solo sentimenti considerati, però, l’antitesi della determinatezza concettuale, piuttosto la musica può

corali in sezioni che tanto ricordano la struttura dell’orazione così come la co-nosciamo da Quintiliano con exordium, narratio, argumentatio, confirmatio, refu-tatio e peroratio, lungo il filo conduttore della melodia del corale il cui signifi-cato è, però, determinato dal testo del corale stesso. E costoro danno proprio l’impressione che, con le opere, voglia-no, per dirla con Quintiliano, docere et probare, delectare et movere.

Durante il romanticismo, la musica assurge al ruolo di linguaggio simbo-lico-analogico con la capacità di allu-dere indeterminatamente alle passioni e ai sentimenti, connotato che la lega alla nostra interiorità. Tale privilegio è, però, riservato agli eletti che riescono a perfezionare tale intuizione staccandosi dalla gente comune: ancora oggi alcuni musicisti sono visti con quest’aura di superiorità intangibile e, per costoro, lo studio musicale viene inteso come un percorso iniziatico quasi magico. Non si discute la possibilità che il compositore possa elevarsi parecchio sul comune sentire, ma è come affermare che poi-ché il letterato ha una visione delle cose straordinariamente alta, allora solo po-chi eletti devono cimentarsi nella scrit-tura e i bambini a scuola devono inizia-re a comporre i loro piccoli pensieri solo se già orientati a diventare, da grandi, poeti! Da tale elevazione romantica, si-curamente ispirata da nobili principi, si è successivamente originato il concetto che la musica colta è un lusso per pochi iniziati e per la gente comune ci vuo-le soltanto musica di intrattenimento. Peccato che una musichetta facilmente orecchiabile, composta in maniera scon-tata, crea nella mente educata all’ascol-to analitico la stessa emozione suscitata dalla lettura di uno scontrino fiscale; una musica male eseguita, inoltre, è pa-

polifonico considera il suono in sé non curandosi del rapporto che può crearsi con la parola. Nel Rinascimento, invece, il musicista si preoccupa di esaltare la parola attraverso la musica, la riveste di significati simbolici, trasforma la musica in una specie di arte della metafora con la quale rappresentare sentimenti e pen-sieri. Il rapporto tra musica e parola è, tuttavia, rovesciato rispetto ai greci: nel Rinascimento la parola orienta il signi-ficato che viene rivestito ed enfatizzato dalla musica. In diversi trattati i toni gregoriani vengono descritti in base alla loro funzione espressiva: il primo tono è grave e dilettevole, il secondo tono è malinconico, il terzo induce alla commo-zione e al pianto, il quarto è lamentevole e doloroso, il quinto è gioioso e dilette-vole, il sesto è grave e devoto, il settimo è allegro e soave, l’ottavo, infine, rende «l’Armonia vaga, e dilettevole»6. Non è difficile rintracciare in tutto ciò, mutatis mutandis, l’antica teoria greca dell’ethos.

La musica, secondo Zarlino7, ha capacità espressive autonome, ma de-boli, dal momento che può generare nell’ascoltatore un vago stato d’animo e lo prepara ad accogliere la determina-tezza del significato del testo verbale.

5. L’epoca moderna

La scuola organistica tedesca del XVII secolo, che culminerà nella supre-ma arte di Johann Sebastian Bach, ela-borò un linguaggio musicale fondato su cellule melodiche e ritmiche a cui si attribuivano significati assai precisi: tali formule, però, vanno intese nella loro relatività storica e funzionale e, pertan-to, difficilmente si prestano a un’inter-pretazione univoca. I compositori tede-schi strutturano le loro fantasie sopra i

indulgere nel paragone con gli attuali criteri pedagogici!

4. Il periodo medievale

La cultura medievale aveva inse-rito la musica fra le artes liberales del quadrivium insieme con l’aritmetica, la geometria e l’astronomia; per musica, i trattatisti medievali intendevano la spe-culazione filosofica legata al concetto di numerus, mentre per la musica pratica si usava il termine generico di cantus. Si creava così una distinzione tra musica instrumentalis (prodotta da tutto ciò che per l’uomo è strumentale), musica hu-mana (che è la musica del microcosmo, l’anima umana), musica mundana (la musica dei mondi celesti, del macroco-smo): la frattura tra musica speculativa e pratica è definitivamente compiuta. Lo studio teorico della musica è parte inte-grante degli studi al pari della teologia, della medicina, del diritto e i migliori teorici musicali medievali erano teolo-gi, grammatici, giuristi, cronisti che solo incidentalmente si occupavano di musi-ca, in ossequio al sapere enciclopedico, caratteristico del Medioevo: autorevole eccezione fu Guido d’Arezzo. L’età me-dievale è il momento storico in cui viene messo a punto il sistema della notazione da cui deriva il nostro pentagramma e le figure musicali a noi familiari. La musi-ca prodotta dai giullari esce presto dal-le sfere della cultura, il menestrello di corte sale di ordine sociale, ma il centro propulsivo di tutta la musica europea è costituito dalle scholae ecclesiastiche.

La tecnica compositiva medievale, con il progressivo aumento delle risor-se polifoniche, propone, tuttavia, un linguaggio musicale nel quale il suo-no supera la parola: l’edificio musicale

Page 9: 00 - Il Canto Regola Di Vita

18 Il canto regola di vita, maggio 2011 – n. 0 19 Il canto regola di vita, maggio 2011 – n. 0

1. Canto come concordia

«La musica – dice il saggio cinese Seu-ma Tsen – è ciò che unifica» e Igor Strawinskij, quasi in contrappunto, af-ferma che «la musica è armonia in co-munione». E per sant’Agostino cantare amantis est. Da queste tre affermazioni possiamo dedurre che musica e canto hanno in sé quel valore e vigore coesi-vo che li rende strumenti di concordia. La concordia, infatti, è musicale per natura; è armonia di cuore, sentimenti, progetti: musica e canto scaturiscono dalla simbiosi dei cuori. Nel far musica insieme, l’“io” personale viene trasfor-mato nel “noi” della coralità vivente che è appunto concordia del far musica

insieme. L’armonia della concordia mu-sicale unisce coloro che cantano in quel cerchio luminosissimo che è espressio-ne estetica, a-temporale e trasfigurata della fraternità cosmica.

Tutto ciò dovrebbe essere visibilità vissuta di sinergia tra cuore-concordia e musica-armonia. Concordia-armonia è amore e arte musicale che ascende dal cuore alla ragione e dalla ragione alle sfere dell’infinita bellezza, per ridiscen-dere amore trasfigurato-trasfigurante per gli uomini che generano “il musi-cale”. Da qui nasce, cresce e si sviluppa quella sorta di concordia artistica che avvolge bellezza increata e creatura che crea bellezza in uno splendido cerchio d’amore. Il miracolo della concordia musicale consiste, infatti, nell’accorda-re armoniosamente uomini d’ogni raz-za, lingua e cultura in una Pentecoste d’amore universale.

2. Tra unisono e polifonia

L’arte della coralità possiede questo valore “sacramentale” perché realizza quella sorta di carità musicale che ce-lebra l’essere-insieme delle diversità. È perciò unisono e polifonia allo stesso tempo:

polifonia corale – come espressione del-le diversità nell’unità: «pur essendo molti siamo un corpo solo» (1Cor 10,17);

La musica è ciò che unifica, la musica è armonia in comunione, cantare è proprio di chi ama. Queste tre realtà si realizzano magnificamente nella celebrazione liturgica: in essa, infatti, parola e gesti, ascolto e visione, profumo e sapore, ritmi e melodie, sono realtà teandriche, cioè eventi che armonizzano in concordia divinità e umanità: divinizzazione dell’umano e umanizzazione del divino.

I portico. Il canto

Il canto del cuoreGiuseppe Liberto

generale e alla predisposizione all’ascol-to consapevole a condizione, però, che l’emittente sia padrone del linguaggio musicale e il ricevente sia disposto a dedicare attenzione a tale discorso. Ma quante volte ciò accade? ●

Note

1 Cfr. J.-J. Nattiez, Il discorso musicale, Einaudi, Torino 1977, pp. 4-5. 2 J. Molino, Fait musical et sémiologie de le musique, in «Musi-que en Jeu», n. 17, 1975, pp. 37-62. 3 Cfr. J.-J. Nattiez, op. cit., p. 17.4 Cfr. A. Collisani, Musica e simboli, Sellerio Editore, Palermo 1988, p. 17.5 Platone, La Repubblica, II 376e, in A. Collisani, op. cit., p. 44.6 G. Diruta, Transilvano, Giacomo Vincenti, Venezia 1593 (ed. anastatica, A. Forni, Bologna 1997), seconda parte. 7 Cfr. G. Zarlino, Le istituzioni armoniche, Francesco de’ Fran-ceschi, Venezia 1561 (ed. anastatica, A. Forni, Bologna, 1999).8 Cfr. E. Hanslick, Vom Musikalish-Schoenen, Leipzig 1854.9 Cfr. S. Langer, Philosophy in a New Key, Mentor Books, New York 1942.

imitare con le forme sonore il movi-mento del processo psichico che è ben altra cosa: è l’interiorità umana.

Circa settant’anni fa, Susanne Lan-ger9 ci avvertiva che c’è stata parecchia confusione nella lettura del linguaggio

musicale con le emozioni, considera-te ora effetto, ora causa, ora contenuto della musica. La musica elabora for-me che il linguaggio verbale non può esporre, possiede tutte le caratteristiche di un sistema di simboli, eccezion fatta per significato convenzionale, fissato e determinato.

Il problema dell’intraducibilità dei simboli musicali non si risolve negan-do la presenza del concetto, ma affer-mandone la peculiarità; credo che tale prerogativa possa essere estremamente preziosa durante le liturgie a condizio-ne che accettiamo che la musica possa avere una funzione “omiletica”.

Vi è un forte parallelismo tra di-scorso linguistico e discorso musicale. Il primo può esplicarsi con una struttu-ra rigorosamente scritta, può svolgersi con una certa libertà vincolata da una scaletta oppure può essere totalmente improvvisato, a braccio; analogamente, il discorso musicale può essere intera-mente composto, può essere improvvi-sato su una melodia già esistente o può essere interamente improvvisato. Cia-scuna modalità ha una sua ragion d’es-sere, una sua dignità, una sua esatta col-locazione e una sua peculiare attuazio-ne: l’azione liturgica è uno dei momenti privilegiati per esplicare le possibilità semantiche musicali grazie al contesto

La musica ci è data per porre ordine nelle cose.

I. Stravinskij

Page 10: 00 - Il Canto Regola Di Vita

20 Il canto regola di vita, maggio 2011 – n. 0 21 Il canto regola di vita, maggio 2011 – n. 0

I portico. Il cantoI portico. Il canto

monitevi con ogni sapienza, cantando a Dio di cuore e con gratitudine salmi, inni e cantici spirituali» (Col 3,16). Mi-stero e bellezza sono così in piena co-munione se si realizzano in concordia teandrica attraverso l’azione penteco-stale dello Spirito.

Anche sant’Ignazio d’Antiochia ci lascia due testimonianze dense di significato teologico. La prima nella Lettera agli Efesini: «perciò in vostra concordia e in un’unisona agape Gesù Cristo è cantato. E divenite ad uno ad uno coro, così che essendo unisoni in concordia, prendendo in unità la mo-dulazione di Dio, cantiate in una sola voce per Gesù Cristo al Padre» (4,1). Ed è da notare che il verbo adetài qui utilizzato contiene in sé il duplice sen-so di Cristo che canta nella Chiesa e di Cristo che viene cantato nella forma dialogica del culto ecclesiale. Nella Lettera ai Romani, inoltre, il vescovo e martire Ignazio invoca: «Non procura-temi di più che essere immolato a Dio, sino a quando è pronto l’altare, per cantare uniti in coro nella carità al Pa-dre in Gesù Cristo» (2,2).

Come ha ricordato papa Benedetto XVI nell’omelia per i funerali del card. Tomas Spidlik, «a partire dalla radice biblica, il simbolo del cuore rappresen-ta nella spiritualità orientale la sede della preghiera, dell’incontro tra l’uo-mo e Dio, ma anche con gli altri uo-mini e con il cosmo» (20 aprile 2010). È questa concordia tra Dio e l’uomo, l’uomo e i suoi fratelli, l’uomo e il co-smo, che si manifesta e si realizza at-traverso l’arte musicale: solo chi ama ex toto corde può dunque cantare il vero canto del cuore. ●

realizzano magnificamente nella cele-brazione liturgica: in essa, infatti, parola e gesti, ascolto e visione, profumo e sa-pore, ritmi e melodie, sono realtà tean-driche, cioè eventi che armonizzano in concordia divinità e umanità: diviniz-zazione dell’umano e umanizzazione del divino. La celebrazione liturgica è il tempo-spazio, l’alveo sorgente-culmine di Dio con gli uomini e degli uomini con Dio nell’unità nuziale dell’Incarnazione del Verbo di Dio.

Il canto della preghiera liturgica diventa così il canto dei due innamo-rati che formano un cuor solo e un’ani-ma sola, esperienza viva e misteriosa dell’incontro “cuore a cuore” con Dio: la Chiesa sposa canta per Cristo, con Cristo e in Cristo Sposo. Così, nel canto litur-gico la bellezza musicale non sarà data dall’effetto di un’arte solo umana che si compiace di sé e perciò si autocelebra. Il canto liturgico è icona del mistero cele-brato e perciò riflesso della gloria divina che si rivela. Il musicista, allora, prima percepisce il mistero e poi lo esprime ar-tisticamente in suono e canto. Via esteti-ca e via poietica si armonizzano a vicen-da in una sorta di concordia artistico-spirituale. Cuore a cuore con Dio! Dio si manifesta e l’artista lo mostra. Dio canta il suo Verbo e lo dona, l’artista incarna il Verbo e lo canta.

5. Il canto dell’agape

San Paolo fa sgorgare il canto spi-rituale da quel cuore dove si incarna abbondantemente la parola di Dio: «La parola di Cristo dimori tra voi ab-bondantemente; ammaestratevi e am-

Il profeta Osea, ricordando sua mo-glie Gomer dopo il periodo nero di tra-dimento, la rivede nella voglia gioiosa di cantare: «l’attirerò a me, la condurrò nel deserto e parlerò al suo cuore… là canterà come nei giorni della giovinez-za» (Os 2,16.17). È questo il canto ritro-vato dopo il pellegrinare nel deserto dello spirito: davvero, se hai ritrovato te stesso, hai ritrovato il canto della vita.

4. Il canto della preghiera liturgica

La musica è ciò che unifica, la mu-sica è armonia in comunione, cantare è proprio di chi ama. Queste tre realtà si

unisono corale – come espressione dell’unità nelle diversità: «un solo pane, un solo corpo» (ivi).

Quest’arte è anche, allo stesso tem-po, concordanza e discordanza che vi-vono tra loro in simbiosi di diastole e sistole per l’armonia sinfonica dell’or-ganismo umano:

concordanza – come fusione di più suoni in unità armonica;discordanza – come frantumazione di quell’armonia che è elemento di svariate possibilità armoniche nella tensione volta alla risoluzione.

Dal felice connubio tra unisono e polifonia, tra concordanza e discordan-za, è fiorita una delle più affascinanti avventure dell’uomo: corpo e spirito, visibile e invisibile, suono e silenzio, tempo ed eternità, trascendenza e in-carnazione. Raffinata arte teandrica che, immersa nella bellezza divina, diventa epifania della stessa bellezza. Solo così canto e musica avranno all’interno del tessuto ecclesiale valore profetico.

3. Musica e profezia

In 1Cr 25,1-8, il termine utilizzato per indicare l’esecuzione musicale è lo stesso che definisce l’azione profe-tica (nb’). I cantori sono, dunque, una “sorta di profeti”, la composizione musicale una vera e propria “ispira-zione profetica”. Il profeta Eliseo, in-fatti, per comunicare la Parola ispira-ta da Dio, aveva bisogno di musica: «cercatemi un suonatore di cetra» (2Re 3,15); e, mentre il suonatore arpeggia-va cantando, la mano del Signore era sopra Eliseo che proclamava la parola del Signore.

Page 11: 00 - Il Canto Regola Di Vita

22 Il canto regola di vita, maggio 2011 – n. 0 23 Il canto regola di vita, maggio 2011 – n. 0

I portico. Il canto I portico. Il canto

Exaudi meper organo

Page 12: 00 - Il Canto Regola Di Vita

24 Il canto regola di vita, maggio 2011 – n. 0

Domenico Messina«Lascia la tua arpa riempire tutto»

Leo Di SimoneI linguaggi della regola

ii portico

La regolaI portico. Il canto

«Tutto sarà conquistato senza chiasso e divinizzato in silenzio…

il domani dipende dal silenzio»

Soeren Kierkegaard(Enten Eller I)

Page 13: 00 - Il Canto Regola Di Vita

26 Il canto regola di vita, maggio 2011 – n. 0 27 Il canto regola di vita, maggio 2011 – n. 0

Come impostare un iter di formazione alla partecipazione, nella quale, indubbiamente, il canto e la musica rivestono un ruolo determinante? Una proposta che si svolge lungo le quattro corde della genuina esperienza liturgico-ministeriale: la partecipazione attiva, fruttuosa e consapevole alla Liturgia; la Vita secondo lo Spirito Santo; il Verbo e l’Armonia; il canto e la musica per la liturgia.

«Lascia la tua arpariempire tutto»

Domenico Messina

singoli credenti attraversi i suoi sacra-menti, come indicato da sant’Ambrogio: «Tu ti sei mostrato a me faccia a faccia, o Cristo: io ti trovo nei tuoi sacramenti» (Apologia del profeta Davide, 12,58).

Per tale motivo, la costituzione con-ciliare sulla Liturgia sovente parla del-la partecipazione liturgica dei fedeli ed esorta caldamente i pastori della Chiesa a formare i fedeli alla comprensione di questo verità. Sacrosanctum Concilium 14, così come altri numeri della costituzio-ne liturgica parlano ripetutamente della “partecipazione liturgica” qualificata co-me attiva, fruttuosa e consapevole.

Ma cosa significa tutto questo? La partecipazione, partem accipere, è anzi-tutto la coscienza di essere parte del po-polo sacerdotale, corpo del Cristo, som-mo ed eterno sacerdote. È la coscienza di essere parte del Corpo di Cristo che si offre al Padre nello Spirito. Da que-sta scaturisce la retta comprensione del-la partecipazione quale modalità con cui si prende parte al mistero celebrato, all’azione liturgica. Modalità celebrati-va che si esprime mediante segni sensi-bili. Questa partecipazione allora si rea-lizza con l’esercizio e il coinvolgimento della corporeità, dei sensi, dell’umani-tà, la stessa che Cristo ha assunto e re-dento e attraverso la quale egli stesso si è comunicato a noi e ci ha resi parteci-pi della sua salvezza. Dunque, al miste-ro celebrato si partecipa ascoltando, ve-dendo, toccando, gustando e odorando il Verbo della Vita e la sua concreta pre-senza, poiché la vita si è fatta visibile in Cristo (cfr. 1Gv 1,1-4).

3. La Vita secondo lo Spirito Santo

Da quanto espresso sin qui, è natu-rale affermare allora che la nostra vita

2. La partecipazione liturgica

Il Concilio Ecumenico Vaticano II, nella costituzione sulla Liturgia Sacro-sanctum Concilium al numero 10 così si esprime: «Nondimeno la liturgia è il culmine verso cui tende l’azione del-la Chiesa e, al tempo stesso, la fonte da cui promana tutta la sua energia. Il la-voro apostolico, infatti, è ordinato a che tutti, diventati figli di Dio mediante la fede e il battesimo, si riuniscano in as-semblea, lodino Dio nella Chiesa, pren-dano parte al sacrificio e alla mensa del Signore. A sua volta, la liturgia spinge i fedeli, nutriti dei “sacramenti pasqua-li”, a vivere “in perfetta unione”; pre-ga affinché “esprimano nella vita quan-to hanno ricevuto mediante la fede”; la rinnovazione poi dell’alleanza di Dio con gli uomini nell’eucaristia introduce i fedeli nella pressante carità di Cristo e li infiamma con essa. Dalla liturgia, dunque, e particolarmente dall’eucari-stia, deriva in noi, come da sorgente, la grazia, e si ottiene con la massima effi-cacia quella santificazione degli uomini nel Cristo e quella glorificazione di Dio, alla quale tendono, come a loro fine, tutte le altre attività della Chiesa».

Il testo nella sua profondità ci ri-chiama a una verità necessaria alla qua-le dobbiamo spesso riandare perché le nostre liturgie non diventino ipocrite o altre dalla loro genuina natura: la par-tecipazione ai misteri di Cristo celebra-ti. Come già ricordato da Sacrosanctum Concilium nei numeri 6-9, la liturgia è celebrazione dell’opera salvifica del Pa-dre realizzata in Cristo attraverso il do-no dello Spirito nella Chiesa. La litur-gia è la celebrazione di Cristo, dei suoi misteri, del suo Mistero pasquale che si dispiega nella vita della comunità e dei

locare il presente contributo, diven-ta esemplare. Infatti, il santo diacono cantore siriaco è uomo credente abita-to dalla Parola; è ministro che attraver-so il canto fa risuonare la Parola nella comunità radunata per la celebrazione; è orante la cui preghiera è la Parola ri-vestita con la melodia della Spirito. Ta-li caratteristiche esemplari sono neces-sarie e insostituibili per apprendere la grammatica e la sintassi liturgica utiliz-zata da Dio per comunicarsi a noi e da noi per rispondere e accogliere lui e la sua comunicazione.

In questo giro d’orizzonte, il mio contributo sarà come un’ideale compo-sizione musicale che cercherà di scrive-re, leggere ed eseguire in modo eccle-sialmente corretto quanto la genuina tradizione della Chiesa ha udito dallo Spirito perché risuoni la melodia nuova dell’uomo nuovo nella nuova comunità credente.

Il “rigo musicale” sul quale s’iscri-ve la “melodia ministeriale” del canto e della musica liturgica è un vero e pro-prio tetragramma le cui linee sono co-stituite dalla partecipazione attiva, frut-tuosa e consapevole alla Liturgia; dalla Vita secondo lo Spirito Santo; dal Verbo e l’Armonia; dal canto e la musica per la Liturgia. Nell’intraprendere questo iter tentiamo immediatamente di cono-scere le caratteristiche costitutive che, secondo la similitudine adoperata, cor-rispondono al tetragramma musicale.

1. Introduzione

«Lascia la tua arpa riempire tutto». Con questa espressione orante di Efrem, diacono della Chiesa siriaca, introdu-co l’itinerario che ci condurrà dalla real-tà della formazione all’esperienza della partecipazione liturgica dove il canto e la musica rivestono un posto determinante. Queste, infatti, costitui scono l’espressio-ne della presenza di Cristo che riempie ogni cosa. Canto e musica nella celebra-zione sono manifestazione della Chiesa, Corpo e Sposa di Cristo, che si lascia ri-empire dal suo Signore.

Per la sua vicenda biografica e il suo peculiare ministero ecclesiale, Efrem, nell’orizzonte entro cui s’intende col-

II portico. La regola

Page 14: 00 - Il Canto Regola Di Vita

28 Il canto regola di vita, maggio 2011 – n. 0 29 Il canto regola di vita, maggio 2011 – n. 0

II portico. La regola II portico. La regola

ma vitale come a un corpo in attesa di vitalità.

✷ Il soggetto del canto è l’ekklesia, il popolo radunato nell’amore del Pa-dre e del Figlio e dello Spirito.

✷ Il Sitz im Leben del canto è il contesto celebrativo, la liturgia, dove la Chie-sa tra epiclesi e anamnesi fa espe-rienza del suo Signore, diventando partecipe della natura divina così come afferma l’apostolo Pietro nella sua seconda lettera: «La sua poten-za divina ci ha donato tutto quello che è necessario per una vita vissu-ta santamente, grazie alla conoscen-za di colui che ci ha chiamati con la sua potenza e gloria. Con questo egli ci ha donato i beni grandissimi e preziosi a noi promessi, affinché per loro mezzo diventiate partecipi della natura divina, sfuggendo alla corruzione, che è nel mondo a causa della concupiscenza» (1,3-4).

5. Conclusione

Queste le linee che costituiscono il rigo musicale, il tetragramma della Me-lodia nuova e del Canto nuovo esegui-to dagli uomini nuovi perché redenti dal Signore risorto. Tra queste linee si iscrive e si compie il necessario iter che deve condurre la comunità credente da un’azione che dia forma, formazione, a un’azione che sia entrare a far parte, partecipazione, di Cristo e del suo mi-stero. Questa tensione della formazio-ne alla partecipazione coinvolge intera-mente tutta la comunità perché tutta è Corpo di Cristo e perché in tutto il Cor-po la forma di Dio sia la forma parteci-pata agli uomini. ●

nella pienezza di quel tempo (cfr. Gal 4,4) che, ritmato dall’armonia dello Spi-rito, diventa tempo del canto nuovo dei redenti. L’uomo creato ad immagine e somiglianza di Dio (cfr. Gen 1,26-27) ria-scolta e rivede il suo Signore che ritorna a passeggiare con lui (cfr. Gen 3,8) per le strade del suo spazio, nel suo tempo.

Gesù, sommo ed eterno Sacerdote, con l’Incarnazione introduce nel tem-po il canto di lode che risuona eterna-mente nelle sedi celesti (Paolo VI, Lau-dis canticum, 1 novembre 1970). Cosic-ché nel nuovo culto il canto diventa accoglienza e custodia del Verbo che fa fiorire sulle labbra del credente e dell’orante la nuova Melodia, il canto nello Spirito Armonia. Quanto aveva profetizzato Davide nel Salmo 47,9 os-sia: «Come avevamo udito così abbia-mo visto nella città del nostro Dio», ora diventa realtà operante.

Quanto esposto sin qui ci permet-te di declinare le caratteristiche fonda-mentali del canto:✷ Il canto è relativo al Verbo e all’Ar-

monia, cioè al Figlio Mediatore (1Tm 2,5) e allo Spirito Consolatore (cfr. Gv 14,15.26;15, 26;16,7). La con-tiguità nel codice linguistico e uditi-vo tra parola e musica esprime per-tanto l’esperienza della contiguità teologica tra il Verbo e l’Armonia.

✷ Il canto è espressione di coloro che ascoltano, credono e custodiscono nel cuore il Verbo di Dio (cfr. Lc 8,15).

✷ Il canto liturgico è canto delle sante Scritture e come tale diviene esegesi della Rivelazione perché ci provoca la meraviglia indotta dalla Parola, al contempo è ermeneutica del mi-stero perché ci significa l’armonia della Parola infondendole un’ani-

ne, si amplifica nella creazione intera che, seppure ancora continua a geme-re e soffrire nelle doglie del parto (cfr. Rm 8,22), tuttavia vive nel tempo della speranza, il tempo nuovo della salvez-za rea lizzata da Cristo nello Spirito che fiorisce nella Chiesa.

Il Padre pronuncia il suo Verbo nell’Armonia: Questi è il Figlio mio pre-diletto, nel quale mi sono compiaciuto (cfr. Mt 3,17 e paralleli). Dal Giordano al Tabor, la compiacenza divina rivela-ta del Padre diventa invito appassiona-to alla sequela: «Questi è il Figlio mio prediletto nel quale mi sono compiaciu-to. Ascoltatelo!» (Mt 17,7).

Il Verbo, proferito dal Padre, si fa carne della nostra carne (cfr. Gv 1,14),

secondo lo Spirito ha il suo inizio, archè, nella liturgia, culmine e fonte della vita della Chiesa e dunque di ogni creden-te. Durante l’azione liturgica noi ricevia-mo il dono inestimabile della carità divi-na che ci rende figli del Padre, «partecipi della natura divina» (2Pt 1,4). La vita se-condo lo Spirito si nutre e cresce grazie alla virtus sacramentale che comunica a noi lo Spirito e ce ne fa gustare la dol-cezza, ce ne fa vedere la bellezza, ce ne fa ascoltare la novità, ce ne fa toccare la concretezza, ce ne fa odorare la soavità. Nell’evento sacramentale noi veniamo formati e cresciamo come popolo di Dio, assemblea da lui radunata, diventiamo cantori della sua gloria, ci nutriamo al-la sua mensa divenendo partecipi del suo corpo e del suo sangue, ovvero, par-tecipiamo al mistero pasquale facendo-lo operare in noi, quale principio e com-pimento della vita divina in noi. La vita secondo lo Spirito si compie attraverso la partecipazione liturgica che ci condu-ce alla piena conformazione a Cristo, che avrà il suo culmine nella liturgia celeste. Grazie alla liturgia, noi siamo introdotti nella pressante carità di Cristo che si co-munica a noi, ci santifica e ci permette di glorificare Dio in noi. In tal modo, l’azio-ne dello Spirito che ci dona la forma di Cristo ci conduce per la stessa azione a fare esperienza di essere parte di lui.

4. Il Verbo e l’Armonia: canto e musica per la Liturgia

Il nuovo culto inaugurato da Cristo, il culto in Spiritu et Veritate (cfr. Gv 4,23-24), è espressione del dialogo tra Dio e l’uomo, tra il Signore e il suo popolo, il nuovo Israele, la Chiesa. L’eterno dia-logo amorevole tra il Padre e il Figlio nel “noi” dello Spirito con l’Incarnazio-

Page 15: 00 - Il Canto Regola Di Vita

30 Il canto regola di vita, maggio 2011 – n. 0 31 Il canto regola di vita, maggio 2011 – n. 0

La liturgia è, per il cristiano, fondamentale regola di vita che lo lega al mistero di Cristo con vincolo nuziale. Liturgia, dunque, come laboratorio artistico di divinizzazione in cui la volontà d’amore di Dio si dice con i linguaggi della bellezza, della verità e della bontà.

II portico. La regola

votata all’intersoggettività del divenire duo eis sarca mian (cfr. Ef 5,32), nella su-blimità di una sola carne.

Solo che le nozioni di “didattica” e di “pastorale” hanno assunto, nell’in-terlingua ecclesiale, significazione così banalmente generalizzante e vacua da occultarne la derivazione sacramenta-le legata all’azione liturgica di Cristo Sacerdote e Sposo; è venuta a cadere la loro funzione a partire dalla fonte litur-gica ed anzi, nella dimenticanza della dimensione ieratica e poietica con cui essa si plasma, gli “operatori pasto-rali” di ogni ordine e grado e i didatti improvvisati hanno cominciato ad inte-ragire coi loro metodi estemporanei, a fin di bene e solo per ignoranza, anche

nell’opera liturgica, che si fa ordo quale modello emblematico dell’esperienza cristiana, secondo lo “spirito liturgico” menzionato dalla Costituzione stes-sa, perché ogni uomo sulla terra possa comprenderlo e custodirlo gelosamente come un tesoro.

Di che cosa si sostanzia, dunque, lo spirito liturgico, se la liturgia è, e come Sacrosanctum Concilium s’è impegnata a mostrare, un organismo vivente piutto-sto che un sistema, una presenza par-lante e agente piuttosto che una conge-rie di riti sacrali e incomprensibili?

Non è luogo per ribadire, in sede teo logica, l’importanza dell’esercizio della funzione sacerdotale di Cristo nel-la liturgia, e anzi l’identificazione di essa con quello stesso esercizio (cfr. SC 7); è un discorso ormai teoreticamente ac-quisito. È luogo e tempo, ormai, di svi-scerarne le implicanze poietiche, quelle immediatamente inerenti la natura ur-gica del mistero di Cristo, del suo por-re in essere tutte quelle azioni atte alla completa assimilazione del corpo della sua Sposa al suo corpo glorioso, nella fusione della comunione sponsale che la liturgia favorisce come topos salvifico di metamorfosi teandrica: il mistero del corpo glorioso di Cristo come organi-smo di “comprensione” della sua Sposa, dove il cum-prehendere è significazione modalmente teleologica, trasfigurativa la “capacità di comprensione” umana di cui a SC 34. Così, la natura “didattica e pastorale” della liturgia non può esse-re altro rispetto alla natura sacerdotale di colui che la possiede nella fecondità dell’atto sponsale che lo fa uno, indis-solubilmente, sacramentalmente con la sua Sposa la Chiesa. Liturgia come ta-lamo sacramentale, taxis sponsale, ordo simbolicus in cui si perfeziona la sintonia esistenziale dei due teleologicamente

1. Sacrosanctum Concilium e la riscoperta della regola

C’è un punto in Sacrosanctum Con-cilium in cui la regola celebrativa viene sintetizzata in termini di armonia: «I riti splendano di nobile semplicità: sia-no chiari per brevità ed evitino inutili ripetizioni; siano adatti alla capacità di comprensione dei fedeli e non ab-biano bisogno, generalmente, di molte spiegazioni» (SC 34). Questa regola, semplice e chiara essa stessa, si inqua-dra nell’ottica dei Principi generali per la riforma e l’incremento della sacra liturgia esplicitati dalla stessa Costituzione li-turgica ed in particolare costituisce la premessa del discorso sulla comunica-zione aprendo il paragrafo delle Norme derivanti dalla natura didattica e pastora-le della liturgia, per cui si apprende che la liturgia insegna, a suo modo, ed è a

suo modo, secondo il suo stile e la sua natura misterica, peculiare forma di attività pastorale. Ed è in forza di tale attività kerigmatica, comunicativa del mistero, che la Costituzione si preoccu-pa di favorire l’ampliamento dell’oriz-zonte cattolico aggiungendo Norme per un adattamento all’indole e alle tradizioni dei vari popoli dichiarando che la Chiesa «non desidera imporre, neppure nella liturgia, una rigida uniformità» e che anzi «rispetta e favorisce le qualità e le doti d’animo delle varie razze e dei vari popoli»; tutto ciò che costituisce il me-glio del patrimonio culturale delle na-zioni, tutto ciò che non è contrario allo spirito cristiano, «la Chiesa lo prende in considerazione con benevolenza e, se è possibile, lo conserva inalterato, anzi a volte lo ammette nella liturgia stessa, purché possa armonizzarsi con gli aspetti del vero e autentico spirito liturgico» (SC 37).

2. Spirito della liturgia come regola sponsale

Ritengo sia essenziale tener presenti questi orientamenti conciliari per im-bastire qualsiasi discorso sulla regola, cioè sull’ordo non tanto inteso come ta-xis formale, rubricante il rito, ma come attività cognitiva e percettiva del Mi-stero di Cristo, presente, vivo e attuale

I linguaggidella regola

Leo Di Simone

Page 16: 00 - Il Canto Regola Di Vita

32 Il canto regola di vita, maggio 2011 – n. 0 33 Il canto regola di vita, maggio 2011 – n. 0

II portico. La regola II portico. La regola

turgico cristiano; strumento umano di catalizzazione della semantica variega-ta del Verbo che fa transitare per essa l’oggetto altrimenti indicibile dell’amo-re divino che vuole trovare nei sensi dell’uomo, da lui stesso plasmati e op-portunamente aptati, le terminazioni naturali della sua conoscenza. La fun-zione catalizzatrice dell’arte non è suf-ficientemente valutata e la sua eccessi-va valutazione sacrale nuoce alla sua effettiva funzione che è quella di scom-parire, volatizzarsi, dopo la realizza-zione del processo conoscitivo, dell’in-contro simbolico. L’attuale dibattito in corso, senza fine e senza senso, invece, sembra appuntarsi sulla consistenza della sacralità artistica, in maniera del tutto autoreferenziale, in concezione di datità assoluta, sorvolando sulla fun-zionalità e sullo scopo che è l’esperien-za di Dio per Cristo nello Spirito e non la magnificenza dell’arte sacra. I termi-ni di tale autoreferenzialità sono posti in essere dalla concettualizzazione e razionalizzazione dell’esperienza arti-stica considerata in maniera frammen-taria nella arbitraria distinzione tra arti visive ed uditive, non considerando, per dirla con Spengler, che «il vedere e l’udire sono in ugual misura ponti che conducono all’anima» e che «occhio ed orecchio sono gli organi ricettivi per tutta l’impressione che l’opera inten-de produrre» (Il tramonto dell’occidente, Guanda 1991, p. 332). Si pensi quale impressione, per andare oltre Spengler, l’opera liturgica ambisce proporre! Oltre l’impressione emozionale che è solo punto di partenza, brivido sacra-le d’apertura emotiva, è l’impressione esistenziale lo scopo della fruizione artistica nell’azione liturgica: la restitu-zione restaurata della somiglianza bel-la favorita all’immagine nel laboratorio

esplicita ai capitoli VI e VII. Da questi ultimi si apprende che «la Chiesa ap-prova e ammette nel culto divino tutte le forme della vera arte, dotate delle do-vute qualità» (SC 112); e che essa «non ha mai avuto come proprio uno stile artistico, ma secondo l’indole e le con-dizioni dei popoli e le esigenze dei vari riti, ha ammesso le forme artistiche di ogni epoca, creando, nel corso dei seco-li, un tesoro artistico da conservarsi con ogni cura» (SC 123). Se queste arti pos-siedono per loro ontologica essenza la capacità di «indirizzare pienamente le menti degli uomini a Dio» (SC 122), ciò che può definirsi la loro naturale sacrali-tà, allora il loro utilizzo nell’opera litur-gica è votato alla più piena conoscenza di colui la cui missione pastorale è vol-ta alla conoscenza del Padre, per mez-zo di lui nell’azione illuminante dello Spirito Bellezza increata, fonte e canale dell’estetica divina. A tale riguardo è necessario sciogliere l’ambiguità di sen-so dell’aggettivazione sacrale delle arti e dei linguaggi artistici confluenti nella liturgia. Nell’esperienza conoscente del Liturgo, nell’incontro misterico e sacra-mentale con la sua presenza esplicitata in dimensione ecclesiologico-sponsale nel con-sociat di SC 7, la nozione di espe-rienza del sacro è quantomeno ridutti-va rispetto all’atto di assimilazione alla vita divina con la trasformazione nello stesso corpo di Cristo.

4. La regola della santità e il superamento della sacralità

L’ontologica sacralità dell’arte, del-l’arte nel suo complesso articolarsi in poiesi di desiderio, di elevazione spi-rituale e di significazione metafisica, è meramente funzionale al discorso li-

La liturgia si propone, didattica-mente, come laboratorio di globalità linguistica ove si comprende il Mistero nella sua globalità. Sacrosanctum Conci-lium non ha avuto il compito di sistema-tizzare questo aspetto ma i riferimenti alla pluralità dei linguaggi che agisco-no sinergicamente nella comunicazione della poiesi salvifica sono espliciti ed eloquenti. Nella prospettiva teologico-pastorale dell’inculturazione della fede per mezzo degli “adattamenti”, SC 39 oltre alla questione della lingua liturgi-ca, fondamentale canale di trasmissio-ne della Parola e della sua reificazione eucologica, fa riferimento alla musica e alle arti, secondo quelle “norme fon-damentali” che la stessa Costituzione

nella liturgia stessa, trasformando l’or-dine in disordine, la regola in un caos semiotico. Perché la didattica, nell’acce-zione comune, è esplicazione razionale, discorso rivolto all’intelligenza con me-todo intellettuale e didascalico; pastora-le, d’altro canto, è aggettivo qualificati-vo di ogni attività posta in essere nella Chiesa a prescindere dal suo vero fine ed il cui vero fine può anzi corrispon-dere allo stesso suo farsi. Atteggiamenti riflessi della cultura della razionalità e dell’efficienza a tutti i costi!

3. Linguaggi del Mistero e conoscenza sponsale

Cosa devono comprendere i fede-li nel luogo armonico della liturgia, nell’esperienza della nobile semplicità dei riti, nel clima esistenziale che la li-turgia richiede per attuare l’incontro co-noscitivo della Chiesa con il suo Sposo? Conoscenza qui è da intendersi nell’ac-cezione biblica del termine, nell’unica carne da diventare, e non come appren-dimento di dottrina che ha altri luoghi, altri banchi, altri maestri, altro linguag-gio per esplicarsi. Occorre dunque tirar fuori l’ordo liturgicus dai pozzi seman-tici razionalistici e didatticisti in cui è stato sepolto, quasi per invidia dell’abi-to bello, dai molti colori e dalle lunghe maniche di cui il Liturgo l’ha dotato in segno d’elezione spirituale e affetti-va. Occorre recuperare la variegazione semantica della liturgia perché il suo discorso è divino e umano e Dio, che si è manifestato nella carne umana as-sunta dal suo Figlio, continua a parlare per mezzo della lingua liturgica di lui a tutto l’uomo e a tutti gli uomini: a tutti i sensi dell’uomo – i cinque esterni e il sesto spirituale – e a tutte le culture.

Page 17: 00 - Il Canto Regola Di Vita

34 Il canto regola di vita, maggio 2011 – n. 0 35 Il canto regola di vita, maggio 2011 – n. 0

II portico. La regolaII portico. La regola

tà dell’arte unitariamente considerata. Nessuno, eccetto i mistici che sono l’ec-cezione che conferma la regola, entra immediatamente in rapporto con Dio. La luce divina è sempre riflessa attra-verso i veli del nostro mondo: il nostro corpo, il mondo fisico, le nostre cultu-re, i nostri sensi… visus, tactus, gustus per citare l’Aquinate sono nello stesso tempo sovrastati e inglobati nella stes-sa esperienza divina, senza plausibile spiegazione. Anche Tommaso d’Aqui-no trovò nell’ala poetica la direttrice equilibrante la sua svettante e razionale argomentazione teologica. Nell’opera liturgica non si mangia per riacquistare le forze fisiche né si canta per fare del-la buona musica. Non si parla solo per

non consentono e non ammettono coin-volgimento liturgico, partecipazione, così come non lo consentono moderne e altrettanto autoreferenziali banalità mu-sicali incapaci di captare la lunghezza d’onda del Verbo, di farsi apposizione poetica al suo dire mellifluo, scansione che asseconda il suo impeto amoroso. Col risultato di assemblee mute o infa-stidite dai rumori dove l’unica attesa salvifica è il desiderio della fine. Del rito evidentemente!

Oltre alla musica anche le arti figu-rative ricavano poco dalle immagini della Parola, e come quella non sa ren-dere cantabili le situazioni immaginate nell’anamnesi liturgica, neanche queste riescono a penetrarne lo spirito, a colo-rire il senso dello scopo per cui ci sono state date, ad essere pioggia e neve che feconda la terra rituale per la fruttifica-zione spirituale. È necessario tornare a parlare del gusto liturgico e del cattivo gusto che si condensa nel kitsch: pez-ze nuove su un vestito vecchio! Statue e statuette di gesso o in pura plastica come idoletti da venerare, vesti liturgi-che barocche e anacronistiche, con ri-cami a macchina in finto oro su tessuti plastificati e luccicanti; trionfo dell’am-polloso, del ridondante, dell’inelegante che nulla hanno a che fare con la “nobile semplicità” che deve splendere nei riti cristiani. In che tonalità di viola confe-zioneremo la casula d’avvento che sia in sintonia con un canto che se non è pro-prio il Rorate sia almeno qualcosa che gli assomigli? E a quale icona la raffronte-remo superando la banale consuetudine di accendere ceroni uno per domenica, neanche fossero venti anzi che quattro?

Perché ci sono anche i simboli, espressivi la dinamica salvifica nel les-sico variegato della liturgia; ulterior-mente appositivi alla stessa appositivi-

rienza performativa che è il vero senso della didattica liturgica.

5. Contro il riduzionismo linguistico

Ciò che più mortifica l’espressivi-tà salvifica di tale didattica è l’utilizzo del solo strumento linguistico verbale, quella monotonia del parlato che non vive neanche dell’efficace relazione tra Parola e parole. L’inflazione verbale che opprime con monizioni prosaiche, avvi-si estemporanei e impropri, spiegazioni dell’ovvio, omiletica aneddottica o cer-vellotica, incapace di allusività mistago-gica; il predominio massiccio dell’infor-mazione a scapito della performazione conducono il rito all’esplicitazione mo-nocorde di materiale rituale da propi-nare in sequenza, talvolta non sempre coerente con il programma rituale con-templato dagli stessi libri liturgici. An-che le traduzioni della Parola, condotte con esclusivi intenti esegetici, preoccu-pati della fedele resa letterale del senso, insensibili ai moduli espressivi della poesia, rendono dura, distante l’adesio-ne al testo che deve consentire, ex audi-tu, l’approccio di fede.

Non meno scottante è il problema dell’espressività musicale della Parola che trova luogo solo nelle forme musi-cali più arcaiche, parti geniali di culture a noi lontane e contemplanti altre visio-ni del mondo, della storia, della Chiesa, di Dio stesso. La loro messa in opera ri-chiede, ormai, personale specializzato, professionisti più attenti alla loro arte che al valore e al significato di ciò che eseguono per un pubblico selezionato ed elitario di melomani. La promozio-ne della moderna soggettività ha po-sto sempre più in risalto la dimensione estetico-formale di tali esecuzioni che

della trasfigurazione sacramentale che è la liturgia.

A questo proposito sembra neces-sario cominciare a discutere della con-fluenza unitaria delle arti nell’opera li-turgica. Si rende necessario che liturgisti, pittori, scultori, musicisti, poeti, architet-ti, stilisti ritrovino nella liturgia cristiana l’alveo fecondo del loro operare poietico e sintonico a servizio dell’opera di re-stauro dell’immagine divina nell’uomo in direzione della somiglianza. Non mi ha sorpreso, in tale assetto prospettico, l’affermazione di Spengler che «anche la musica rientra tra le arti figurative con le quali il sentimento del mondo dell’uomo superiore ha trovato la sua espressione simbolica più distinta» (ivi, p. 331). Per noi quell’uomo superiore è quello che, per l’incanto della parola, l’anelito della fede e la purificazione della metanoia si lascia condurre per le traiettorie dei suo-ni che sono qualcosa di esteso, di nume-rico, che come i colori si articolano in to-nalità, nell’armonia del rito in cui melo-dia, rima, ritmo, sono solo variazioni sul tema della sua essenza di rtm reiterante il dire del Verbo, algoritmo salvifico di proporzione, di luce, di linee escatolo-giche, di forme colorate ove la sinfonia scaturisce non tanto dalla professionali-tà di un coro o di un’orchestra, ma dal colore della Parola cantata sugli accenti della sua espressività metrica, danzante tra i sintagmi della regola rituale le cui movenze si snodano lungo i percorsi geometrici disegnanti la sagoma della chiesa metaforica mentre in essa si rac-coglie la Chiesa reale. È un tale amal-gama sinfonico di elementi, solo appa-rentemente eterogenei, che crea il clima della celebrazione liturgica dove nulla è superfluo e nulla da scartare nell’ottica della pluralità linguistica che aggiunge senso a senso, nella dinamica di espe-

Page 18: 00 - Il Canto Regola Di Vita

36 Il canto regola di vita, maggio 2011 – n. 0

II portico. La regola

cipazione al rito non assunse carattere simbolico ma diabolico, di incompren-sione dell’atteggiamento esistenziale del Signore che in quanto attante auto-revole del rito utilizzò la vasta gamma dei linguaggi dell’amore a rinforzo del-la intenzionalità memoriale da conferi-re a quel rito. Non disponeva di orche-stre né di cori polifonici né d’altre opere d’arte. Creò il clima con la semplicità e l’eleganza della sua parola, dei suoi gesti, degli elementi rituali della stessa cena giudaica; il proemio ad Institutio Generalis del Messale Romano recita: «Nell’appressarsi a celebrare con i suoi discepoli il banchetto pasquale, nel quale istituì il sacrificio del suo Corpo e del suo Sangue, Cristo Signore ordinò di preparare una sala grande e addob-bata (Lc 22,12). Quest’ordine la Chiesa l’ha sempre considerato rivolto anche a se stessa, quando dettava le norme per preparare gli animi, disporre i luoghi, fissare i riti e scegliere i testi per la cele-brazione dell’Eucaristia».

Preparare gli animi! È funzione tanto preliminare quanto essenziale all’opera liturgica il coordinamento dei linguaggi artistici che dispongono all’unicità espressiva del linguaggio esi-stenziale. Se ne coglie unità simbolica dei sensi esterni coi sensi interni mentre la percezione estetica è globalmente tra-sfigurata: la percezione dello Sposo glo-rioso e trafitto non lascia luogo a impeti di alienata disincarnazione e nello stes-so tempo i sensi stessi avvertono la per-cezione della personalità cristica in cui la bellezza estetica dell’uomo nuovo è coerente con l’efficacia etica del rito che contiene la proposta di una possibile antropologia alternativa. Il rito cristia-no del linguaggio amante come nuova regola di vita. ●

insegnare e apprendere né si prega per acquisire equilibrio psichico. I linguag-gi della liturgia cristiana sono gettati in maniera simbolica che congiunge e mette insieme; talvolta in maniera pa-rabolica, che ci pone accanto; altre volte in maniera allegorica, che ci porta altro-ve per farci ritrovare. Sono linguaggi che non si possono inventare, confon-dere, equivocare, stravolgere. Vengono da lontano, frutto di esperienza antica, veicolati da ciò che chiamiamo tradizio-ne, ma la cui dinamica interattiva deve rimanere immutata, pena la falsificazio-ne della regola. Oggi noi siamo chiama-ti a ridirli alla nostra contemporaneità ricreando quel clima di nobile eleganza e di pregnante espressività che rinve-niamo alla fonte della liturgia cristiana, la liturgia plasmata dal Signore Gesù.

6. Liturgia cristiana come regola esistenziale

Non siamo chiamati a riprodurre i sintagmi rituali di allora, che d’altron-de non conosciamo neanche in maniera completa. Ciò che chiamiamo lo spirito della liturgia, la dimensione inaltera-bile di essa, assolutamente essenziale e reiterabile, è il clima esistenziale che rende la conoscenza sponsale ottima e massima. Parlo del clima di accoglien-za, di amicizia, di amore fraterno, di informalità, di fiducia, di verità, di bel-lezza, di autenticità sprigionatosi dalla persona di Gesù durante l’ultima cena, un clima testimoniato dalla lunga nar-razione giovannea e che provocò sen-timenti forti di commozione e anche di stupore confuso da parte di Pietro così come il disagio decontestualizzante di Giuda. In particolare, per lui, la parte-

Cosma CapomaccioLa vita si rende visibile nella liturgia

Alessandro AndreiniPartecipazione: il sì dell’uomo alle nozze con Dio

iii portico

La vita

Page 19: 00 - Il Canto Regola Di Vita

38 Il canto regola di vita, maggio 2011 – n. 0 39 Il canto regola di vita, maggio 2011 – n. 0

Poiché la celebrazione liturgica è inno alla vita, la musica liturgica vi entra con autorevolezza, diventandone linguaggio altrettanto fondamentale, con un suo mittente, un suo ricevente, un suo codice ben preciso.

noi, con noi e in noi nella nostra storia e in quella dell’umanità intera.

È proprio la Sua luce, lo splendo-re del Cristo luce del mondo, che, fugan-do le tenebre dell’ignoranza, della mal-vagità e dell’errore, vivifica con la Sua divina presenza i nostri giorni e la no-stra vita e ci dona la possibilità di es-sere figli del Padre, di crescere in età e grazia e di essere continuamente santi-ficati dallo Spirito.

La Chiesa, l’ekklesia, l’assemblea convocata dallo Spirito per celebrare il mistero di Cristo (At 7,38), che «non è un’assemblea formatasi spontaneamen-te, ma convocata da Dio, e cioè il popo-lo di Dio organicamente strutturato, cui presiede il sacerdote nella persona di Cristo corpo», si riunisce nell’edificio di culto per celebrare, ossia «fa memo-ria degli eventi di salvezza, li rende e li proclama presenti, comunicandoli ai partecipanti, in tensione verso il defini-tivo compimento nel secondo avvento del Signore, o parusia».

Il giorno del Signore, dunque, il dies dominicus, la Pasqua settimanale, scandi-sce nel tempo la costante presenza di Cristo che ha detto «Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mon-do» (Mt 28,20) e diventa nello scorre-re dell’anno liturgico il filo conduttore della fede nel cammino del popolo di Dio verso il Regno.

Nella celebrazione della Cena del Signore, il giovedì santo, l’orazione col-letta non solo ci immette immediata-mente nell’atmosfera gioiosa della Ce-na, ma ci propone le valide motivazioni per celebrarla: «O Dio, che ci hai riuniti per celebrare la santa Cena nella quale il tuo unico Figlio, prima di consegnar-si alla morte, affidò alla Chiesa il nuovo ed eterno sacrificio, convito nuziale del suo amore, fa che dalla partecipazione

no alla Vita che si manifesta attraverso il canto splendido e gioioso dell’Exultet: «Esulti il coro degli angeli, esulti l’as-semblea celeste, un inno di gloria saluti il trionfo del Signore risorto. Gioisca la terra inondata da così grande splendore; la luce del Re eterno ha vinto le tenebre del mondo. Gioisca la madre Chiesa, splendente della gloria del suo Signore, e questo tempio tutto risuoni per le ac-clamazioni del popolo in festa».

Rivivendo la Pasqua del Signore nell’ascolto della Parola e nella parte-cipazione ai Sacramenti, Cristo risorto conferma in noi la speranza di parteci-pare alla sua vittoria sulla morte e di vi-vere in lui con Dio Padre.

Nel prologo, in cui anticipa e pone in evidenza tutti i motivi tematici del suo vangelo, Giovanni definisce con estrema chiarezza la sua conoscenza e, quindi, la sua coerente fede nel Cristo luce: «In principio era il Verbo, il Ver-bo era presso Dio e il Verbo era Dio. Egli era in principio presso Dio: tutto è sta-to fatto per mezzo di lui, e senza di lui niente è stato fatto di tutto ciò che esiste. In lui era la vita e la vita era la luce de-gli uomini» (Gv 1,1-4). A tale fondamen-tale affermazione fanno eco le parole di Gesù: «Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mez-zo di me» (Gv 14,6). Ma di quale vita si parla, se non di quella di cui è stato det-to: «È in te la sorgente della vita, alla tua luce vediamo la luce» (Sal 36,10)?

2. Cristo luce del mondo

Tutto l’anno liturgico e ciascuna del-le feste che lo compongono è riproposi-zione e contemplazione dell’ abbaglian-te, risplendente e sfolgorante esplosione di luce del Cristo risorto che cammina per

1. Liturgia, inno alla vita

Il Signore Gesù chiese agli apostoli di manifestare il loro pensiero su di Lui e disse loro: «Voi chi dite che io sia? Ri-spose Simon Pietro: Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente» (Mt 16,15-16). Tale espressione di fede Giovanni la ri-badisce con decisione: «Appena lo vi-di, caddi ai suoi piedi come morto. Ma egli, posando su di me la destra, mi dis-se: Non temere! Io sono il Primo e l’Ul-timo e il Vivente. Io ero morto, ma ora vivo per sempre e ho potere sopra la morte e sopra gli inferi» (Ap 1,17-18).

Dal momento che il Vivente pos-siede la vita in proprio – «Come infat-ti il Padre ha la vita in se stesso, così ha concesso al Figlio di avere la vita in se stesso» (Gv 5,26) –, ogni celebrazione li-turgica è un inno alla Vita, cioè alla vita secondo lo Spirito, la vita in Cristo risorto visto che Lui ha detto: «Io sono la risur-rezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me, non morrà in eterno» (Gv 11,25-

26). Tale affermazione comporta una gioiosa apertura del cristiano alla sor-gente della sua vita spirituale, vita che nasce, cresce, si alimenta e matura nella celebrazione liturgica, nella quale il Si-gnore risorto è presente per il fatto che ha dichiarato: «Perché dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mez-zo a loro» (Mt 18,20). Nel giorno del no-stro battesimo il celebrante ha così pre-gato: «Fratelli carissimi, per mezzo del battesimo siamo divenuti partecipi del mistero pasquale del Cristo, siamo stati sepolti insieme con lui nella morte, per risorgere con lui a vita nuova».

Quando, nella celebrazione del lu-cernario nella notte di Pasqua, che Ago-stino chiama la madre di tutte le veglie, si offre e si consacra a Cristo, splendore del Padre e luce indefettibile, il cero pa-squale, che rappresenta Cristo, la luce che spunta dalle tenebre, la luce che ri-schiara le tenebre, la luce che fuga le te-nebre, e lo si accende ed il diacono lo in-troduce nella chiesa e alla sua luce non solo si accendono tutti i lumi dell’aula dell’edificio di culto, ma tutta la celebra-zione si svolge nello splendore della sua luce, come mirabilmente canta il preco-nio pasquale, ci viene posto davanti un segno evidente della risurrezione di Cri-sto, dal momento che Lui ha annuncia-to: «Io sono la luce del mondo; chi segue me, non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita» (Gv 8,12). La Ve-glia pasquale, pertanto, è un sublime in-

La vita si rende visibile nella liturgia

Cosma Capomaccio

III portico. La vita

Page 20: 00 - Il Canto Regola Di Vita

40 Il canto regola di vita, maggio 2011 – n. 0 41 Il canto regola di vita, maggio 2011 – n. 0

dell’amore». La musica è, appunto, amore, affettività; la musica crea, rige-nera, guarisce, rappresenta, dà vita.

Va da sé, pertanto, che creare musica liturgica, che è una lingua vera e propria con un suo mittente, un suo ricevente, un suo codice ben preciso, implica un intrinseco rapporto con la vita che Cri-sto risorto ci dona in abbondanza, con l’affettività che Lui ci manifesta conti-nuamente, con la dimensione creativa, dal momento che ogni celebrazione li-turgica è il giorno della luce, quindi del-la Vita, il primo giorno della creazione, ma anche il giorno della nuova creazione per-ché con la risurrezione del Cristo è sorta in questo giorno la nuova luce «quella che illumina ogni uomo» (Gv 1,9b). ●

un semplice ornamento di creazione ar-tistica o di intrattenimento. Il valore co-municativo della musica liturgica non è, quindi, un optional, ma il linguaggio fondamentale in una celebrazione che è evento teandrico di Colui che discende per innalzarci. Un linguaggio musica-le che deve essere in sintonia con il lin-guaggio verbale e liturgico nel senso più ampio, come linguaggio dell’uomo che tenta di rispondere nel modo migliore ed esauriente, per quanto è possibile alla natura umana, al linguaggio di Dio che gli parla: dialogo ineffabile.

Diceva bene Hector Berlioz: «Fra l’amore e la musica c’è questa diffe-renza: l’amore non può dare l’idea del-la musica, la musica può dare l’idea

1. Un Dio incarnato

Non si sottolineerà mai abbastanza la provocazione di un Dio che si fa car-

ne. E che neppure si accontenta di farsi uomo tra gli uomini, nella sua bellezza ma anche e soprattutto nella sua debo-lezza e povertà. Giunto al momento su-premo della sua vicenda terrena, infatti, e quasi volendovi riassumere tutta la sua missione in mezzo a noi, il Signore Gesù ha voluto farsi addirittura pane e vino: «Questo è il mio corpo, dato per voi… questo è il mio sangue, versato per voi». Davvero, il Dio di Gesù Cristo è un Dio diverso da qualsiasi altro dio! E se insistiamo su questo punto non è per sottolineare la dimensione, potrem-mo dire, pietistica di quella che secoli di

questa realtà, continua: «In verità, in ve-rità vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo san-gue, non avrete in voi la vita» (Gv 6,53).

Ecco la straordinaria affermazio-ne che illumina la nostra mente e in-fiamma il nostro cuore: «Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vi-ta eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda. Chi man-gia la mia carne e beve il mio sangue di-mora in me e io in lui» (Gv 6,54-56).

Non contento di averci aperto il Suo cuore con l’effluvio del Suo im-menso amore, vuole darci la sicurez-za che questo mirabile dono del Padre sia elargito anche a noi: «Come il Pa-dre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia di me vivrà per me. Questo è il pane disceso dal cielo, non come quel-lo che mangiarono i padri vostri e mori-rono. Chi mangia questo pane vivrà in eterno» (Gv 6,57-58). Per questo motivo ogni celebrazione liturgica è un inno al-la Vita, alla vita secondo lo Spirito, alla vita in Cristo risorto che, per farci com-prendere l’altezza e la profondità del Suo amore divino, ha detto: «Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici» (Gv 15,13).

4. Musica per la vita di Dio

Se, pertanto, la celebrazione liturgica è un inno alla Vita e l’inno è una com-posizione poetica, abbinata alla musica, di forma strofica e di argomento eleva-to che nell’antichità era soprattutto un componimento di carattere religioso de-dicato alla divinità e alla sua glorifica-zione, la musica liturgica entra con auto-revolezza nella celebrazione e non come

a così grande mistero attingiamo pie-nezza di carità e di vita».

3. L’Eucaristia, culmine e fonte

Giovanni Paolo II afferma che «la Chiesa vive dell’Eucaristia» dal mo-mento che «l’Eucaristia edifica la Chie-sa» (Ecclesia de Eucharistia, 1.21). Questa verità non esprime soltanto un’espe-rienza quotidiana di fede, ma racchiu-de in sintesi il nucleo del mistero della Chiesa. Nell’orazione sulle offerte della messa di Pasqua, infatti, si prega cosi: «Esultanti per la gioia pasquale ti offria-mo, Signore, questo sacrificio, nel quale mirabilmente nasce e si edifica sempre la tua Chiesa». Noi, anzi, viviamo grazie a Lui che ha affermato: «Colui che man-gia di me vivrà per me» (Gv 6,57).

Giustamente, il concilio Vaticano II ha proclamato che il sacrificio eucari-stico è «culmine e fonte di tutta la vita cristiana» (LG 3). E spiega: «Infatti, nel-la santissima Eucaristia è racchiuso tut-to il bene spirituale della Chiesa, cioè lo stesso Cristo, nostra Pasqua e pane vi-vo che, mediante la sua carne vivifica-ta dallo Spirito Santo e vivificante, dà vita agli uomini» (PO 5). «Perciò lo sguardo della Chiesa è continuamente rivolto al suo Signore, presente nel Sa-cramento dell’Altare, nel quale essa sco-pre la piena manifestazione del suo im-menso amore» (Ecclesia de Eucharistia, 1).

È proprio Gesù che con le sue paro-le ci introduce nell’essenza stessa della Sua vita rendendoci consapevoli dell’in-commensurabile dono che ci elargisce: «Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo» (Gv 6,51). E, per spiegare meglio la profondità divina di

III portico. La vita III portico. La vita

Partecipazione: sì dell’uomo alle nozze con Dio

Alessandro Andreini

La sfida della piena partecipazione alla liturgia chiama in causa l’impegno della formazione liturgica, in cui la comunità cristiana impara ad accogliere in tutta la sua portata esistenziale il mistero dell’incarnazione.

Page 21: 00 - Il Canto Regola Di Vita

42 Il canto regola di vita, maggio 2011 – n. 0 43 Il canto regola di vita, maggio 2011 – n. 0

III portico. La vita

tempo dispersi” (Gv 11,52), ora radunati nell’unità vivente del corpo ecclesiale»3.

La Chiesa è una cena: lo attesta anche il racconto degli Atti degli Apostoli, quan-do, in uno dei sommari che scandiscono la narrazione, si dice che i discepoli di Cristo erano «assidui all’insegnamen-to degli apostoli, fedeli alla comunione fraterna e alla frazione del pane» (2,42). Una descrizione amplificata subito dopo: «Tutti i credenti stavano insieme e avevano ogni cosa in comune […]. Ogni giorno erano perseveranti insieme nel tempio e, spezzando il pane nelle case, prendevano cibo con letizia e semplicità di cuore, lodando Dio e godendo il favo-re di tutto il popolo» (2,44.45-47).

Affermare che la Chiesa coincide essenzialmente con una cena – la cena di Gesù alla vigilia della sua passione, ma anche la cena che si rinnova ogni volta nella celebrazione eucaristica – non ha alcun intento riduzionistico: al contrario, ci aiuta a cogliere l’essenziale dell’evento Chiesa, nel suo sorgere e nel suo svilupparsi fino a oggi. Ancor più radicalmente, tale prospettiva ci libera dal rischio vano di voler tentare progetti di riforma della Chiesa a partire da al-trove – magari da un rinnovato impegno morale, da una migliore organizzazione ecclesiastica, da una riaffermazione for-te dei principi dogmatici – che dal solo luogo effettivamente germinale e fon-dante della Chiesa, appunto, il Cenaco-lo. E se, ancora una volta, essere Chiesa significa prendere parte a questa cena, e farlo nel pieno della propria persona-le consapevolezza e identità di membra vive dell’unico Corpo, ognuno con la propria ministerialità – vale a dire con il proprio specifico compito-vocazione a servizio dell’intera comunità –, ecco che la sfida della partecipazione torna al cen-tro della questione. Riformare la Chiesa,

sibile ma dotata di realtà invisibili, fer-vente nell’azione e dedita alla contem-plazione, presente nel mondo e tuttavia pellegrina» (SC 2).

Sta qui il senso ultimo dell’insistenza del Concilio sul tema della partecipazio-ne2, e cioè al cuore della vicenda nuzia-le tra Dio e l’uomo che ha proprio nella liturgia il suo luogo tipico e originario. Non un invito a essere genericamente ed esteriormente presenti, come qualcu-no l’ha purtroppo inteso, non una serie di tecniche per attirare l’attenzione di un “pubblico” distratto e lontano, non un dato sociologico, insomma, ma una que-stione di vita o di morte per la fede cri-stiana. La partecipazione è il sì dell’uomo alle nozze con Dio! E si tratta, come ac-cennavamo parlando dell’incarnazione, di un partecipare che non ha nulla dello spiritualistico o dell’intimistico, ma è un entrare in relazione vitale e piena – coin-volti tutti i nostri sensi e tutte le nostre facoltà – all’azione di Dio verso di noi.

3. La Chiesa, assemblea che celebra

Se dovessimo dare una definizione di Chiesa la più essenziale possibile, for-se non ne troveremmo una migliore di quella coniata alcuni anni fa dal teo logo ortodosso Christos Yannaras: «la Chiesa è una cena». E precisa: «Oggi sono mol-ti quelli che sembrano aver dimenticato questa verità fondamentale che defini-sce e manifesta la Chiesa: la Chiesa è il raduno attorno al banchetto eucaristico. Essa non è né una fondazione né una istituzione religiosa né una gerarchia amministrativa né la costituiscono de-gli edifici o degli uffici strutturati e or-ganizzati. È il popolo di Dio radunato per la “frazione del pane” e la “benedi-zione del calice”. Sono i “figli di Dio un

letteratura devozionale hanno descritto come un’immensa umiliazione da par-te di Dio, un suo divino condiscendere, il “piegarsi” verso di noi di un Dio che poi torna comunque – e meno male! – a essere Dio con tutte le sue “classiche” e intoccabili prerogative. Al contrario. Ieri come oggi, e forse oggi più di qual-che decennio fa, l’incarnazione di Dio ci parla della vera identità di Dio, ce ne rivela un volto che non cessa di provo-care la nostra condizione umana.

Vero e proprio scandalo, che è stato all’origine delle più grandi eresie della storia della Chiesa, noi facciamo davve-ro fatica a prendere sul serio l’incarna-zione, e finiamo spesso per considerare irrilevante questo mistero che san Giro-lamo non esitava a indicare come il car-dine della salvezza. Poiché incarnazione non significa, appunto, che il Figlio di Dio semplicemente è venuto, ha vissu-to, ha parlato, sofferto, è morto e risorto dai morti, per poi tornare nella gloria da cui è venuto. L’incarnazione rivela il metodo stesso, l’orizzonte sul quale Dio ci attende, il terreno nel quale è possi-bile davvero incontrarlo: essa è il vero modello, la vera forma della Chiesa1.

2. Le nozze di Dio con l’uomo

Quella del Dio di Gesù Cristo è una sorprendente e inaudita richiesta di to-tale coinvolgimento umano, una chia-mata in cui veniamo presi radicalmente sul serio nella nostra umanità, nell’inti-ma verità della nostra coscienza: si pen-si alla logica sacramentale che vincola la validità stessa dei sacramenti non tanto o solo al corretto svolgimento dei riti, ma proprio all’intenzione personalissi-ma di chi li celebra. E proprio come nel consenso matrimoniale, così la storia

che unisce Dio e l’uomo è vicenda nu-ziale per eccellenza, nozze teandriche dove nulla accade se non accade l’in-trecciarsi, appunto, dei due sì, quello di Dio – fedele nonostante tutto, come at-testa san Paolo – e quello dell’uomo.

Sacrosanctum Concilium focalizza fin dall’inizio questa logica in cui divino e umano si incontrano e di cui – non ci si può stancare di ripeterlo – la liturgia è scuola per eccellenza per la vita di tut-ta la Chiesa. È la liturgia, infatti, a con-tribuire «in sommo grado a che i fedeli esprimano nella loro vita e manifestino agli altri il mistero di Cristo e la genui-na natura della vera Chiesa». La quale, appunto, ha la caratteristica di «essere nello stesso tempo umana e divina, vi-

III portico. La vita

Page 22: 00 - Il Canto Regola Di Vita

44 Il canto regola di vita, maggio 2011 – n. 0 45 Il canto regola di vita, maggio 2011 – n. 0

le, liturgica, ma anche artistica e, perché no, psicologica e soprattutto estetica. Verrebbe da dirla arte davvero architet-tonica, nel senso che Aristotele ha dato a questa parola, che, cioè, sa fare sinte-si di tutti gli aspetti – e sono moltissi-mi – che contribuiscono a realizzare un autentico evento celebrativo, dove tutti sono pienamente coinvolti e di cui tutti sono pienamente partecipi, ognuno nel proprio ministero. Arte dell’aggiungere ma anche e soprattutto del levare, se-condo la nota avvertenza paolina per cui tutto è certamente lecito, ma non tutto giova, tutto è permesso, ma non tutto edifica (cfr. 1Cor 10,23).

Se l’obiettivo è chiaro – la partecipa-zione come autentico evento nuziale in cui quelli che erano non popolo diven-tano il popolo di Dio, la Chiesa –, allora le nostre comunità possono e devono diventare il laboratorio in cui la liturgia le scolpisce, domenica dopo domenica, anno liturgico dopo anno liturgico, fa-cendo sempre più di ognuna di esse e di tutte insieme «stirpe eletta, sacerdozio regale, nazione santa, popolo che Dio si è acquistato perché proclami le opere am-mirevoli di lui, che vi ha chiamato dalle tenebre alla sua luce meravigliosa» (1Pt 2,9). In conclusione, e parafrasando il titolo di un recente volume di Crispino Valenziano, potremmo dire: partecipa-zione, Chiesa in corso d’opera!5 ●

Note

1 Cfr. C. Militello, Il sogno del Concilio, Edb, Bologna 2010, pp. 41-4.2 Si vedano i numerosi passi nei quali vi si fa riferimento, su alcuni dei quali ritorneremo: SC 11; 14; 21; 30; 41; 48.3 Ch. Yannaras, La fede dell’esperienza ecclesiale. Introduzione alla teologia ortodossa, Queriniana, Brescia 1993, pp. 169-70.4 Non si può non ricordare qui l’aureo libretto di Romano Guardini, Formazione liturgica (Morcelliana, Brescia 2008), e la frase illuminante con cui si apre: «La liturgia non riguarda la conoscenza, ma la realtà» (p. 45). È già detto tutto!5 Cfr. C. Valenziano, Liturgia Chiesa in corso d’opera, Centro Liturgico Vincenziano, Roma 2008.

dall’altro. Ecco, dunque, la vera assem-blea celebrante la quale, formata dalla parola di Dio, nutrita alla mensa del cor-po del Signore, rende grazie a Dio e of-fre la vittima senza macchia, non soltan-to per le mani del sacerdote, ma insieme con lui, imparando a offrire noi stessi, di giorno in giorno, per la mediazione di Cristo, per essere perfezionati nell’unità con Dio e tra di noi, di modo che Dio sia finalmente tutto in tutti (cfr. SC 48).

5. L’arte di celebrare

Formare celebrando e celebrare formando. Dopo tutto, il cristianesimo non è la trasmissione di alcune verità, ma di un’esperienza. Trova qui le sue ragioni quella che potremmo chiamare una vera e propria arte del celebrare, che sa tenere conto di tutti gli elementi fin qui elencati, ma anche della sensibilità, dello stato spirituale, della cultura stes-sa dell’assemblea celebrante. Non si ce-lebra nello stesso modo in una grande città o in una piccola parrocchia di cam-pagna, in una messa domenicale al mat-tino presto o in quella di fine mattinata cui partecipano i bambini e le bambine della catechesi. La celebrazione, in altri termini, è un evento da costruire volta per volta. Essa ha, sì, le sue coordinate di fondo, la sua oggettività rituale che ci è stata tramandata. Ma chiede che, sull’ordito oggettivo del rito da tutti condiviso, si intrecci la trama del volto e del cammino di ogni singola comuni-tà, in quella stessa logica della nuzialità che evocavamo all’inizio. Nella liturgia, insomma, non esiste il matrimonio per procura, ma solo quello che si celebra dandosi nella stessa celebrazione.

Arte complessa quella del celebrare, e che esige una vera creatività spiritua-

con la grazia divina per non riceverla invano» (SC 11). Per altro, tale «piena, consapevole e attiva partecipazione alle celebrazioni liturgiche è richiesta dalla natura stessa della liturgia e il popolo cristiano […] vi ha diritto e dovere in forza del battesimo» (ivi, 14). Ecco, allo-ra, la via che il Concilio suggerisce: la formazione.

Alla partecipazione ci si forma o, meglio, si viene formati. Si tratta di un compito specifico e urgentissimo: «a tale piena e attiva partecipazione di tutto il popolo va dedicata una specialissima cura nel quadro della riforma e della promozione della liturgia» (SC 14). E sono prima di tutto i pastori a doversi fare carico di tale impegno cruciale – il Concilio chiede loro addirittura di sfor-zarsi! –: «ma poiché non si può sperare di ottenere questo risultato, se gli stessi pastori d’anime non saranno impregnati, loro per primi, dello spirito e della forza della liturgia e se non ne diventeranno maestri, è assolutamente necessario dare il primo posto alla formazione liturgi-ca del clero» (ivi). Come direbbe Plato-ne, nessuno può insegnare a un altro la strada per Larissa senza esserci stato! La formazione alla partecipazione, in altri termini, è un processo osmotico, in cui si trasmette solo ciò che si è davvero speri-mentato. Un’iniziazione, in cui non sono tanto le parole a essere decisive, quan-to, appunto, la pratica, la condivisione, l’immersione in un evento performativo, che forma mentre lo si vive.

A questo deve puntare la formazio-ne liturgica4, a un’immersione piena e incondizionata nelle acque vivificanti e trasformanti della liturgia, in cui più si partecipa più si comprende e più si comprende più si partecipa, in un cir-colo virtuoso in cui non è possibile né importante distinguere un momento

verrebbe da dire, significa prima di tutto fare della comunità cristiana un’autenti-ca assemblea celebrante.

4. La sfida della partecipazione

Nella ricca aggettivazione con cui amplifica il concetto di partecipazione, il Concilio parla di un prendere parte «in modo consapevole, attivo e fruttuoso» (SC 11). Nei paragrafi successivi, poi, si precisa che la partecipazione deve essere anche piena (cfr. SC 14) e comunitaria (cfr. SC 21). Infine, in una sorta di crescendo, si arriva a chiedere che «i fedeli non as-sistano come estranei o muti spettatori a questo mistero di fede, ma che, com-prendendolo bene nei suoi riti e nelle sue preghiere, partecipino all’azione sacra consapevolmente, piamente e at-tivamente» (SC 48). Dunque, una par-tecipazione consapevole, attiva, fruttuosa, piena, comunitaria e pia. Dove, come dice-vamo all’inizio, si intrecciano continua-mente la fedeltà di Dio – cui si devono ultimamente i frutti spirituali ma anche la pietà di chi partecipa – e la decisione umana, il dono di grazia e l’impegno della nostra adesione. Fatta, appunto, di coscienza, attività, pienezza di coinvol-gimento, effettiva esperienza comunita-ria. Dimensioni ognuna essenziale, e che non favoriscono la partecipazione se non vissute tutte contemporaneamente, sen-za fughe in una direzione o nell’altra.

Per la verità, il Concilio non si limi-ta a descrivere e qualificare la partecipa-zione. Soprattutto, offre ampie e perfino accorate indicazioni per poterla davve-ro realizzare. L’obiettivo da raggiungere è chiaro: far sì che «i fedeli si accostino alla sacra liturgia con retta disposizione d’animo, armonizzino la loro mente con le parole che pronunziano e cooperino

III portico. La vitaIII portico. La vita

Page 23: 00 - Il Canto Regola Di Vita

Il compito

L a liturgia non riguarda la conoscenza ma la realtà. È vero che c’è una scienza specifica, quella liturgica, la cui conoscenza è implicita

per la comprensione del significato dell’evento liturgico. Non è facile oggi parlare di questo, in quanto la liturgia è scomparsa dalla nostra coscienza religiosa. Però la liturgia per se stessa non è pura conoscen-za, ma piuttosto pura realtà, e, accanto al conoscere, comprende anche molto dell’altro: un fare, un ordine, un essere.

Bisogna che singolo e comunità siano educati a quel particolare modo di comportamento spirituale quale appunto è richiesto dalla na-tura della vita liturgica.

Ora si impone questo compito. Non si dubita più che la liturgia sia un passatempo di begli ingegni: essa è una parte essenziale della vita cattolica, quindi non staccata da questa, così come il movimento liturgico non è stato fabbricato, ma è scaturito necessariamente dalla diffusa volon-tà – ovunque in risveglio – di un completo comportamento esistenziale cattolico. Ora importa sapere come possa rinascere una vera vita liturgica.

S e si diffonde una maggiore conoscenza delle cose liturgiche e se negli atti del culto divino si risveglia una certa gioia; se nelle prati-

che religiose si arriva ad una giusta concezione liturgica – finora questi aspetti sono stati fra loro estranei –, allora si sarà fatto qualcosa, ma ancora non molto. Il problema fondamentale è questo: in che consiste l’essenza dell’azione liturgica? Come deve essere l’uomo, come la co-munità, se vogliono avere un giusto comportamento liturgico? Quali forze sono necessarie?

Quali organismi? Quale essere? Poiché qui si tratta di una compe-tenza per niente definita: si tratta di un divenire e di un crescere, in definitiva di un essere. Dunque si tratta di un problema di formazione nel più profondo significato della parola.

I l nostro tempo per intrinseca necessità sta maturandosi per la litur-gia. Non si è ancora detto abbastanza: appartiene alle ultime scelte

poste davanti a noi, se questa vitalità emergente si trasfigurerà in litur-gia per essere così immessa nella grande ricapitolazione si tutto sotto un solo capo, Cristo (Ef 1,10).

La grande scelta – cristianesimo o paganesimo? – dovrà riproporsi anche qui, sì, anzitutto qui. Liturgia cattolica oppure formarsi una vita pagana, di religiosità mondana, greca, germanica, orientale.

Così, il problema liturgico, visto nella giusta cornice, è uno dei più urgenti del nostro futuro spirituale e culturale.

Romano Guardini, La formazione liturgica(Niederholtorf presso Bonn, primavera 1923) Su

pple

men

to a

FEE

RIA

. Riv

ista

per

un

dial

ogo

tra

esod

o e

avve

nto

– V

ia S

. Leo

lino

1 –

5002

2 Pa

nzan

o in

Chi

anti

(FI)

– S

emes

tral

e Po

ste

Ital

iane

s.p

.a.-

Sped

izio

ne in

Abb

onam

ento

Pos

tale

- D

.L. 3

53/2

003

(con

v. in

L. 2

7/02

/200

4 n°

46)

art

. 1, c

omm

a 2

DC

B FI

REN

ZE