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Fisica Prof. Andrea Biscarini
Università degli Studi di Perugia
Corso di Laurea in Medicina e Chirurgia
Alcune illustrazioni in questa presentazione sono tratte dal libro di testo adottato nel corso: D. Scannicchio, Fisica Biomedica, Edises.
Capitolo 1: INTRODUZIONE
- Fisica, grandezze fisiche e sistemi di unità di misura - Elementi di algebra vettoriale - Elementi di analisi matematica
Capitolo 2: MECCANICA DEL PUNTO E DEI SISTEMI
- Cinematica del punto materiale - Dinamica del punto materiale - Lavoro ed energia - Meccanica dei sistemi - Biomeccanica del sistema muscolo scheletrico
Capitolo 3: MECCANICA DEI FLUIDI
- I fluidi - Statica dei fluidi - Dinamica dei fluidi e circolazione del sangue
Capitolo 4: ONDE IN MEZZI ELASTICI
- Onde in mezzi elastici - Il suono e l’orecchio umano - Gli ultrasuoni in medicina
Capitolo 5: TERMOLOGIA
- Calorimetria - Termoregolazione del corpo umano - Termodinamica
Capitolo 6: ELERROMAGNETISMO
- Interazioni elettriche e magnetiche - Onde elettromagnetiche - Le radiazioni in medicina - Ottica geometrica ed occhio umano
Capitolo 1:
INTRODUZIONE
• Fisica, grandezze fisiche e sistemi di unità di misura • Elementi di algebra vettoriale • Elementi di analisi matematica
Fisica, grandezze fisiche e sistemi di unità di misura
Campo di indagine La Fisica si occupa dello studio degli aspetti più generali dei fenomeni naturali cercando in essi quello che vi è di essenziale per risalire alle leggi che governano questi fenomeni e ai principi universali da cui queste leggi derivano.
Leggi e Principi • Nelle scienze sperimentali, un principio è un enunciato che costituisce la generalizzazione di una vasta
evidenza sperimentale e che si assume come vero per ogni possibile ulteriore esperienza: esso funziona quindi come criterio guida per la formulazione di leggi e teorie (che non devono ammettere conseguenze in contraddizione con il principio) o per deduzioni e dimostrazioni teoriche (dove funziona come premessa inviolabile).
• Il riferimento all’evidenza sperimentale distingue il principio dal postulato (in quanto semplice premessa di un sistema ipotetico-deduttivo).
• L’ampiezza del campo di applicazione (che può essere comune a diverse teorie e addirittura a diverse discipline) lo distingue dalla legge che si riferisce ad un fenomeno specifico.
• Un principio si distingue da un teorema, che è un enunciato (o proposizione o formula o proprietà) che può essere dimostrato, cioè che può essere dedotto logicamente dagli enunciati primitivi, detti assiomi o postulati e dagli stessi principi.
Teorie scientifiche
Formulazione logicamente coerente di un insieme di definizioni, principî e leggi generali che consente di descrivere, interpretare, classificare, spiegare, a varî livelli di generalità, aspetti della realtà naturale.
La Fisica
Il metodo scientifico
ll metodo scientifico è la modalità tipica con cui la scienza procede per raggiungere una conoscenza della realtà oggettiva, affidabile, verificabile e condivisibile. Esso è stato applicato e codificato da Galileo Galilei nella prima metà del XVII secolo.
Si basa sulle osservazioni sperimentali le quali, associate alla intuizione, servono a riconoscere gli elementi fondamentali e caratteristici di un fenomeno ed a formulare ipotesi sulla natura del processo (metodo induttivo) che devono essere sottoposte al vaglio della verifica sperimentale.
L’attendibilità delle ipotesi e delle loro conseguenze logiche (teorie) dipende non solo dal successo che esse consentono di ottenere nella interpretazione del fenomeno in esame ma anche, e specialmente, dalla conferma sperimentale di altre previsioni che si possono dedurre dallo schema teorico (metodo deduttivo).
Il metodo scientifico consiste in un continuo alternarsi di osservazioni sperimentali e di attività speculativa dello scienziato (metodo induttivo e metodo deduttivo).
Il Metodo Scientifico
La fisica classica (codificata prima del XX secolo) può essere suddivisa in tre capitoli fondamentali: Meccanica
• Cinematica: studio del moto dei sistemi, indipendentemente dalle cause che generano il moto. • Dinamica: studio del moto dei sistemi in relazione alle cause (forze) che lo generano. • Statica: studio delle configurazioni di equilibrio dei sistemi e delle condizioni per cui tali
configurazioni si realizzano. Termodinamica
Studio del comportamento macroscopico di sistemi termodinamici (sistemi complessi costituiti da un grande numero di particelle, ovvero costituiti da un gran numero di gradi di libertà) per i quali i metodi della meccanica risultano inefficaci.
Elettromagnetismo
Studio dei fenomeni e delle interazioni di natura elettrica e magnetica e delle loro connessioni.
I tre capitoli fondamentali della fisica classica
Grandezze fisiche
Definizione Una grandezza fisica è una proprietà fisica di un fenomeno naturale o di sistema materiale che può essere quantificata mediante una misura. Dunque, una grandezza fisica deve essere definita in maniera operativa, cioè mediante le operazioni che conducono alla sua determinazione numerica. Una grandezza fisica è definita quando:
- sia possibile stabilire, senza possibilità di equivoco, la validità dei principi di uguaglianza e di somma (e differenza);
- sia fissata una unità di misura.
* * * Grandezze Scalari
Grandezze determinate dal numero che fissa il loro rapporto alla corrispondente unità di misura scelta. Esempi: volume, massa, energia, pressione, temperatura.
Grandezze vettoriali
Grandezze la cui determinazione richiede l’individuazione di un numero (intensità o modulo della grandezza), una direzione ed un verso; ovvero Esempi: spostamento, velocità, accelerazione, forza, quantità di moto, campo elettrico, campo magnetico.
Grandezze fondamentali: grandezze per le quali l’unità di misura è definita in modo arbitrario mediante l’individuazione di un campione.
Grandezze derivate:
grandezze per le quali l’unità di misura si deduce per mezzo delle relazioni che legano queste grandezze alle grandezze fondamentali.
Criteri di scelta delle grandezze fondamentali:
• Grandezze scelte siano facilmente misurabili. • Sia possibile scegliere per queste grandezze dei campioni facilmente riproducibili e stabili nel tempo.
* * * Sistema di unità di misura:
Un sistema di unità di misura è definito quando sia stata compiuta una scelta delle grandezze fondamentali e delle corrispondenti unità di misura (mediante l’individuazione dei relativi campioni) in numero sufficiente da poter esprimere l’unità di misura di tutte le altre grandezze (grandezze derivate) mediante le unità delle grandezze fondamentali.
Sistemi di unità più diffusi:
• Sistema internazionale • Sistema c.g.s. • Sistema di Gauss • Sistema tecnico o degli ingegneri
Sistemi di unità di misura
Grandezza fondamentale Unità SI
Nome Simbolo Definizione
Intervallo di tempo (Tempo)
secondo s
Intervallo di tempo che contiene 9.192.631.770 periodi della radiazione corrispondente alla transizione fra i due livelli iperfini dello stato fondamentale dell’atomo di cesio 133.
Lunghezza metro m Lunghezza percorsa dalla luce nel vuoto nell’intervallo di tempo 1 / 299.792.458 s.
Massa kilogrammo kg Massa di un campione di platino-iridio conservato nel laboratorio di pesi e misure di Sevres .
Temperatura termodinamica kelvin K Frazione 1/ 273,16 della temperatura termodinamica del punto triplo dell’acqua.
Intensità di corrente elettrica ampere A
Intensità di corrente elettrica che, mantenuta costante in due conduttori rettilinei, paralleli, di lunghezza infinita, di sezione circolare trascurabile e posti alla distanza di 1 m l’uno dall’altro nel vuoto, produce tra i due conduttori la forza di 2x10-7 N su ogni metro di lunghezza.
Intensità luminosa candela cd
Intensità luminosa, in una data direzione, di una sorgente che emette una radiazione monocromatica di frequenza pari a 540·1012 hertz e che ha un’ intensità di radiazione in quella direzione di 1/683 watt per steradiante.
Quantità di sostanza mole mol
Quantità di sostanza di un sistema che contiene tante entità elementari quanti sono gli atomi in 0,012 kg di carbonio 12. Le entità elementari devono essere specificate e possono essere atomi, molecole, ioni, elettroni, ecc. ovvero gruppi specificati di tali particelle
Grandezze fondamentali supplementari
Angolo piano radiante rad Angolo piano al centro che su una circonferenza intercetta un arco di lunghezza uguale a quella del raggio
Angolo solido steradiante sr Angolo solido al centro che su una sfera intercetta una calotta di area uguale a quella del quadrato il cui lato ha la lunghezza del raggio
Sistema internazionale
R
sradianti )(
R
s
R
s
22
:R
Rgiroangolo
R
Rpiattoangolo
2/2:
2
4/2:
R
Rrettoangolo
radRs 1
Il radiante
Misura degli angoli in radianti
Il radiante
fattore di moltiplicazione
prefisso simbolo
10 24 yotta Y
10 21 zetta Z
10 18 exa E
10 15 peta P
10 12 tera T
10 9 giga G
10 6 mega M
10 3 chilo k
10 2 etto h
10 1 deca da
10 -1 dieci d
10 -2 centi c
10 -3 milli m
10 -6 micro µ
10 -9 nano n
10 -12 pico p
10 -15 femto f
10 -18 atto a
10 -21 zepto z
10 -24 yocto y
Multipli e sottomultipli
Massa della terra = 6 × 1024 kg
Massa dell’elettrone = 9.1093836 × 10-31 kg
Raggio classico del protone ≈ 10-15 m
Distanza media terra-sole = 1.495 ×1011 m
Lunghezza di Planck = 1,616 252 × 10-35 metri (la più piccola distanza oltre la quale il concetto di dimensione perde ogni significato fisico)
Distanza che la radiazione cosmica di fondo ha percorso dal Big Bang
≈ 1026 m
Dimensione di un quark ≈ 10-21 m
Massa dell'universo osservabile = 3 × 1052 kg
Massa di una cellula umana ≈ 10-12 kg
Massa del neutrino ≈1.2 × 10-35 kg
Dimensioni di una cellula umana ≈ 5x10-5 m
Massa del sole = 2 × 1030 kg
Dimensioni del nucleo atomico ≈ 10-14 m
Raggio covalente atomico ≈ 10-10 m
Diametro equatoriale della Terra = 1.2756 107 m
1 unità di massa atomica = 1,6605402 × 10-27 kg (1/12 massa dell'isotopo 12 del carbonio)
(≈ massa dell'atomo di idrogeno)
Dimensioni fisiche ed equazioni dimensionali
][][ 321
321 nnnFFFA
Equazione dimensionale Le funzioni che legano le grandezze derivate (A , B , … ) alle grandezze fondamenti (F1 , F2 , F3 , … ) sono funzioni omogenee rispetto alle grandezze fondamentali, cioè possono esprimersi come il prodotto delle grandezze fondamentali elevate ad esponenti interi positivi o negativi. Ciò viene descritto formalmente mediante l’equazione dimensionale della grandezza derivata A:
Dimensioni fisiche I coefficienti n1 , n2 , n3 , … che intervengono nell’equazione dimensionale della grandezza derivata A prendono il nome di dimensioni fisiche di A rispetto alle grandezze fondamentali F1 , F2 , F3 , …
Unità di misura delle grandezza derivate
L’unità di misura delle grandezza derivate si ottiene immediatamente dall’equazione dimensionale: è il prodotto delle unità fondamentali elevate agli esponenti che compaiono nell’equazione dimensionale. Esempi: unità della velocità: ms-1 o m/s; unità di misura dell’accelerazione ms-2 o m/s2.
Prodotto di grandezze fisiche
Per un prodotto di grandezze fisiche (fondamentali o derivate) la relazione dimensionale si ottiene dalla relazione analitica che rappresenta il prodotto, sostituendo alle grandezze le corrispondenti relazioni dimensionali ed applicando ai prodotti dei simboli delle grandezze fondamentali le normali regole dell’algebra.
][][11
TLv
][][]][[]][[][321212
TMLLTMLTTLLTMAt
malA
][][21
TLaEsempi: velocità ed accelerazione
Unità : kg∙m2∙s-3 (watt)
L
LT
TL
TL
TL
g
vo
2
22
2
22
/
/
2
g
vh o
2
2
Esercizio Un punto materiale lanciato verso l’alto con velocità vo raggiunge la massima quota h data da (g = accelerazione di gravità):
Verificare che questa equazione è dimensionalmente corretta.
Analisi dimensionale I due membri di un’equazione fisica e tutti gli addendi che appaiono in ciascun membro di tale equazione devono avere le stesse dimensioni fisiche. L’analisi dimensionale fornisce un supporto fondamentale per la verifica della correttezza di un’equazione o del risultato di un problema.
Analisi dimensionale
Elementi di algebra vettoriale
Definizione Ente geometrico definito da una direzione, un verso ed un modulo (numero reale positivo)
Rappresentazione
Può essere rappresentato da un segmento orientato AB: direzione = quella della retta che congiunge A e B verso = quello che porta da A a B lungo tale retta modulo = lunghezza del segmento AB
Denotazione
Si denota con il segmento orientato che lo rappresenta, o con una freccia al di sopra di una lettera, o con una lettera in grassetto:
Il modulo del vettore si denota rispettivamente con IABI o v
Definizione di vettore e sua rappresentazione
A
B v v
AB
vAB
v
Somma di n vettori
Definizione Dati n vettori si applichi il primo vettore in un punto qualsiasi, il secondo nell’estremo del primo, il terzo nell’estremo del secondo e così via fino ad applicare l’ultimo vettore nell’estremo del penultimo. Si definisce risultante o somma degli n vettori e si indica con il simbolo il vettore che ha origine coincidente con l’origine del primo vettore ed estremo coincidente con l’estremo dell’ultimo vettore
R
1v
nv
2v 3v
1nv
1 2 nv v v
Somma di due vettori: regola del parallelogramma
Proprietà La somma di due vettori si ottiene applicando i vettori in un punto, costruendo il parallelogramma di lati v1 e v2 e prendendo la diagonale a partire dal comune punto di applicazione.
1v
1v
2v
2v
1 2v v
Definizione Dato un vettore v ed uno scalare a si definisce prodotto di v per a e si indica con il vettore con: direzione = quella del vettore v
verso = il verso di v se a è positivo quello opposto se a è negativo modulo = il prodotto del modulo di a e del modulo di v
Esempi
Prodotto di un vettore per uno scalare
va
v
v
2
v
2
2
v
vv
1
Differenza fra due vettori
Definizione Dati due vettori v1 e v2 si definisce differenza fra v2 e v1 e si indica con v2 – v1
il vettore
121212 )1( vvvvvv
1v
2v
12 vv
12 vv
Proprietà Per determinare la differenza v2 – v1 si applicano i vettori in un medesimo punto e si traccia il vettore che va dall’estremo di v1 all’estremo di v2
2v
1v
Versore di un vettore
Definizione Dato un vettore v si dice versore di v e si indica con il simbolo il vettore di lunghezza unitario che ha la direzione ed il verso di v
Proprietà
Un qualsiasi vettore può essere scritto come il prodotto del suo modulo per il suo versore
v
v
v
1
v
vvvv
vv ˆˆ
iv ˆ3
zassevesrsorek
yassevesrsorej
xassevesrsorei
ˆ
ˆ
ˆ
y
z
x
i
j
k
Versori degli assi cartesiani
modulo verso direzione
vettore di modulo pari a 3, diretto come l’asse delle x, ma in verso opposto
Prodotto scalare fra 2 vettori
cos2121 vvvv
1v
2v
Definizione Dati due vettori v1 e v2 si definisce prodotto scalare fra v1 e v2 e si indica con il simbolo
la grandezza scalare: 21 vv
1v
2v
21211cos0 vvvv
cos2121 vvvv
0
1° caso
1v
2v
01cos0900 21 vv
cos2121 vvvv
900
2° caso
1v
2v
00cos90 21 vv
cos2121 vvvv
Condizione necessaria e sufficiente affinché due vettori siano perpendicolari è che il loro prodotto scalare sia nullo
90
3° caso
00cos118090 21 vv
cos2121 vvvv
2v
1v
18090
4° caso
21211cos180 vvvv
cos2121 vvvv
2v
1v
180
5° caso
1cos0
900
0cos1
18090
0cos
90
1cos
0
1cos
180
cos2121 vvvv
2121 vvvv
021 vv
021 vv
021 vv
2121 vvvv
1v
1v
1v
1v
1v
2v
2v
2v
2v
2v
Prodotto vettoriale fra 2 vettori
nvvvv ˆsin2121
1v
2v
Condizione necessaria e sufficiente affinché due vettori siano paralleli è che il loro prodotto vettoriale sia nullo
Definizione Dati due vettori v1 e v2 si definisce prodotto vettoriale fra v1 e v2 e si indica con il simbolo il vettore:
n
21 vv
21 vv
Elementi di analisi matematica
Funzioni reali di variabile reale
Definizione Una funzione reale f di variabile reale x è una relazione che associa ad ogni numero reale x appartenente ad un insieme A di numeri reali (detto dominio o insieme di partenza di f) un numero reale y (indicato anche con la notazione f(x) e detto immagine di x tramite f). x è detta variabile indipendente, y varabile dipendente. Tipicamente il dominio A è un intervallo di numeri reali [ab].
Insieme di partenza A (interevallo [ab] di numeri reali
Insieme di arrivo B (Insieme R dei numeri reali)
elemento
dell’insieme
di partenza
elemento
dell’insieme
di arrivo
x yffunzione
)(xfo
Notazione di una funzione specifica Per denotare una particolare funzione è necessario specificare la relazione che la definisce. Spesso questa relazione è definita mediante un’espressione analitica, cioè mediante una formula matematica. Ad esempio per denotare la funzione che associa ad ogni numero reale x il suo quadrato si possono usare una delle seguenti notazioni:
2)( xxf
2: xxf
2xy
1 1
2: xxf
2 4
3 9
Notazione di una funzione generica Per denotare una generica funzione si usano le seguenti notazioni
Rxfabxxfxf )(][)(:
Rabf ][:
)(xfy
o più semplicemente
f
Rappresentazione grafica di una funzione f Il grafico di f è l’insieme dei punti P del piano di coordinate (x, f(x)) per ogni x[ab].
Esempio
Grafico della funzione f (x) = x2
x f(x)
0 0
1 1
2 4
3 9
4 16
... ...
Rapporto incrementale di una funzione
x x +Dx
x
xfxxf
x
fR
D
D
D
D
)()(
Df
Dx f (x)
f (x+Dx)
Definizione Data una funzione f :[ab]→R, continua in [ab], si definisce rapporto incrementale di f a partire da x[ab] e per un incremento Dx, e si indica con il simbolo R(x, Dx), la quantità
j
Significato geometrico Rappresenta il coefficiente angolare della retta secante la curva nei punti di coordinate:
( x, f(x) ) e ( x +Dx, f(x+Dx) )
j
x
xfxxf
x
fxf
xx D
D
D
D
DD
)()(limlim)('
00
Derivata di una funzione in un punto e funzione derivata
x x +Dx
Definizione Data una funzione f:[ab]→R, continua in [ab], si definisce derivata di f in x[ab], e si indica con il simbolo f ’(x) , il limite (se esiste finito) del rapporto incrementale di f a partire da x per Dx→0
f (x)
f (x+Dx)
j
Significato geometrico Rappresenta il coefficiente angolare della retta tangente alla curva nel punto di coordinate ( x, f(x) )
Funzione derivata Data una funzione f:[ab]→R, derivabile in [ab], si definisce funzione derivata di f e si indica con f ’ la funzione che associa ad ogni x [ab] la derivata di f calcolata in quel punto
)(':' xfxf
xxf 2)(
2)(' xf
Esempio Rappresentazione grafica della funzione f(x) = 2x e della sua funzione derivata f ’(x) = 2
xxf sin)(
xxf cos)('
Esempio Rappresentazione grafica della funzione f(x) = sin(x) e della sua funzione derivata f ’(x) = cos(x)
kxf )( 0)(' xf
nxxf )( 1
)('
n
nxxf
Derivate di alcune funzioni elementari
Funzione costante
Funzione potenza
xxf ln)( x
xf1
)('
xexf )(
xexf )('
Funzioni logaritmiche
Funzioni esponenziale
xxf sin)( xxf cos)('
xxf cos)( xxf sin)('
xxf tan)( x
xf2
cos
1)('
xxf
2sin
1)(' xxf cot)(
Funzioni goniometriche
Regole di derivazione
)()( xgkxf )(')(' xgkxf
)()()( 21 xfxfxf )(')(')(' 21 xfxfxf
)()()( 21 xfxfxf )(')()()(')(' 2121 xfxfxfxfxf
)(
)()(
2
1
xf
xfxf
2
2
2121
)]([
)(')()()(')('
xf
xfxfxfxfxf
xxf cos3)('
xxxf cos3)('2
prodotto per una costante
xxf sin3)(
prodotto
somma
xxxf sin)(3
xxxf sin)(3 xxxxxf cossin3)('
32
rapporto
x
xxf
sin)(
2
x
xxxxxf
2
2
sin
cossin2)('
)]([)( 21 xffxf )(')]([')(' 221 xfxffxf
Funzione composta
)4(cos4)'4()4(cos)(' xxxxf )4sin()( xxf
Derivate di ordine superiore
Derivate seconda La funzione derivata f ’ di una funzione f è a sua volta una funzione, e come tale può essere derivata. Si ottiene così una funzione f ’’ o f( 2) detta derivata seconda di f.
Derivate terza, quarta, … f (2) può a sua volta essere derivata ottenendo la derivata terza f (3) di f, e così via per le derivate di ordine superiore
Esempio
xxf
xxf
xxf
xxf
cos)(
sin)(
cos)(
sin)(
)3(
)2(
)1(
Differenziale
Differenziale di una funzione Data una funzione f :[ab]→R, derivabile in [ab], si definisce differenziale di f, e si indica con il simbolo df, il prodotto della derivata della funzione per l’incremento Dx della variabile indipendente
xxfdf D )('
DDD dxxfxxfdfxxxdxxxf )(')(')'()(
Proprietà La derivata della funzione si può quindi esprimere come il rapporto fra il differenziale della funzione e quello di x.
Dx
df
x x +Dx
f (x)
f (x+Dx)
Significato geometrico Il differenziale di f rappresenta l’incremento in y, nel passaggio da x a x+Dx, calcolato sulla tangente alla curva (che rappresenta f ) nel punto (x, f(x)).
Df
j
j
xxxfdf DjD tan)('
dx
dfxf )('
Per i differenziali valgono regole analoghe a quelle di derivazione
La derivata e il differenziale predicono il futuro a breve termine
Dx
df(x0,Dx2)
x0 x0+Dx1
f (x0)
Df
j
df(x0,Dx1)
x0+Dx2
xxfxfxxdfxfxxf DDD )(')(),()()( 00000
Per piccoli valori di Dx Conoscendo il valore della funzione e della derivata in x0
Posso stimare con precisione il valore della funzione in
f (x0)+df(x0,Dx2)
f (x0)+Dx2
f (x0)+Dx2
)()('),( 000 xxfxfxf D
Esempio La temperata di un oggetto all’istante t0 è di 30°, e la derivata della temperatura nello stesso istante t0 vale 20 °/secondo. Posso dire che dopo un decimo di secondo (Dt=0.1 s) la temperatura dell’oggetto può essere stimata come: La stima diventa sempre più imprecisa al crescere dell’intervallo di tempo Dt
DD 32)1.0()/20(30)(')()( 000 ssttTtTttT
T(t0) = 30°
t0 t0 + 0.1 s
La temperata di un oggetto all’istante t0 è di 30°, e la derivata della temperatura nello stesso istante t0 vale 20 °/secondo.
Posso stimare con buon precisione la temperatura dell’oggetto dopo un piccolo intervallo di tempo
T(t0 + 0.1 s) 32°
La stima diventa sempre più imprecisa al crescere dell’intervallo di tempo
t0 + 10 s
T(t0 + 10 s) = ?
tempo
...!3
)()('''
!2
)()(")(')()(
3
0
2
0000 D
D
DDt
tft
tfttftfttf
Dt Dt)2/2! Dt)3/3! Dt)4/4!
0,01 0,00005 0,000000166 ...........
0,1 0,005 0,000166 ...........
1 0.5 0,166 ...........
2 2 1,33 ...........
3 4,5 4,5 ...........
5 12,5 20,833 ...........
10 50 166,66 ...........
Sviluppi in serie (non compreso nel programma)
0ttt D
ttt D 0
Serie di Taylor differenziale
Al crescere dell’intervallo di tempo Dt, per fare una stima accurata del valore della funzione all’istante t0+Dt è necessario conoscere, all’istante t0 , le derivate di ordine progressivamente superiore
...!3
)0('''!2
)0(")0(')0()(32
t
ft
ftfftf
...!3
)()('''
!2
)()(")(')()(
3
0
2
0000 D
D
DDt
tft
tfttftfttf
ttt D 00
)( 0ttt D
se
Serie di MacLaurin
...!3
)0('''!2
)0(")0(')0()(32
t
ft
ftfftf
0 t
f (0)
tff )0(')0(
f (t)
...!3
)0('''!2
)0(")0(')0()(32
t
ft
ftfftf
0 t
f (0)
f (t)
!2)0(")0(')0(
2t
ftff
...!3
)0('''!2
)0(")0(')0()(32
t
ft
ftfftf
0 t
f (0)
!3)0('''
!2)0(")0(')0(
32t
ft
ftff
f (t)
Animazione
“The human nervous system integrates and processes a continuous stream of afferent exteroceptive, proprioceptive, and interoceptive information originating from a vast array of sensory receptors (mechanoreceptors, chemoreceptors, photoreceptors, and thermoreceptors) to predict in advance the time evolution of the body status and functions (for example, to predict the effects of external perturbations, the effects of the execution of a voluntary task, or the development of internal body conditions that might become harmful) and convey appropriate efferent control commands (for example, to maintain postural equilibrium and orientation, enable coordinated and precise movement patterns, stabilize the visual image on the retinas, restore and maintain homeostasis) “ Più un recettore sensoriale fornirà una derivata di ordine elevato della grandezza che esso misura, più il cervello potrà fare anticipazioni sul valore che questa stessa grandezza assumerà in altri momenti successivi. Praticamente tutti i recettori sensoriali misurano delle derivate dei parametri che specificamente li attivano. L’evoluzione ha chiaramente sezionato quei recettori che possono predire il futuro! (A. Berthoz, Il Senso del Movimento).
Sistema nervoso e derivate
Primitiva di una funzione Data una funzione f :[ab]→R, continua in [ab], si definisce primitiva di f in [ab], ogni funzione F :[ab]→R tale che per ogni x [ab]
)()(' xfxF
Integrale definito
Integrale definito di una funzione Data una funzione f :[ab]→R, continua in [ab], si definisce integrale definito di f fra a e b, e si indica con il simbolo
la quantità numerica dove F è una qualsiasi primitiva di f in [ab].
dxxfb
a
)(
)a()b()(
b
a
FFdxxf
Significato geometrico dell’integrale definito
Significato geometrico
L’integrale definito di f calcolato fra a e b, rappresenta l’area con segno racchiusa dalla linea che rappresenta la funzione f, l’asse delle x, e le parallele all’asse y condotte per i punti di ascissa x = a e x = b.
)a()b()(
b
a
FFdxxf
f (x)
a b
+ a
+
a b
–
b – x
x
x
a b x x2 x3 x4 x5 xn x1
f(x1)
f(x)
f(x2)
f(x3)
f(x4) f(x5) f(xn)
i
n
i
inn xxfxxfxxfxxfxxfA DDDDD 1
332211 )()(...)()()(
Dx1 Dx2 Dx3 Dx4 Dx5 Dxn
D
D
b
a
i
n
i
i
nx
dxxfxxfAi
)()(lim10
Significato della notazione dell’integrale definito
x x
f(x)
f(x)
i
n
i
inn xxfxxfxxfxxfxxfA DDDDD 1
332211 )()(...)()()(
dx
D
D
b
a
i
n
i
i
nx
dxxfxxfAi
)()(lim10
a b
101)0sin()2/sin(sincos2/
0
2/
0
xdxx
dxx2/
0
cos
Esempio Calcolare l’integrale definito
1. Dobbiamo trovare una primitiva F(x) della funzione cos x, ad esempio la funzione sin x:
2. Dobbiamo calcolare il valore si sin x per x = 0 e x = /2:
3. Dobbiamo fare la differenza fra il valore calcolato nell’estremo finale di integrazione e quello calcolate nell’estremo iniziale
Sinteticamente scriviamo Significato geometrico:
F(x) = sin x
sin (0) = 0, sin (/2) = 1
sin (/2) - sin (0) = 1 - 0 = 1
Esempio Calcolare l’integrale definito
1. Dobbiamo trovare una primitiva F(x) della funzione cos x, ad esempio la funzione sin x:
2. Dobbiamo calcolare il valore si sin x per x=0 e x=:
3. Dobbiamo fare la differenza fra il valore calcolato nell’estremo finale di integrazione e quello calcolate nell’estremo iniziale
Sinteticamente scriviamo Significato geometrico:
000)0sin()sin(sincos 0
0
xdxx
dxx
0
cos
F(x) = sin x
sin (0) = 0, sin () = 0
sin () - sin (0) = 0 - 0 = 0
prodotto per una costante
Proprietà degli integrali
cambiamento degli estremi di integrazione
dxxfcdxxfc
b
a
b
a
)()(
b
a
b
a
b
a
dxxfdxxfdxxfxf )()()()( 2121
dxxfdxxf
a
b
b
a
)()(
cost.c
somma
b
a
b
a
xdxxdx sin3sin3
b
a
b
a
b
a
dxxxdxdxxx33
9sin3)9sin3(
tempo
Vel
oci
tà
v1 Dx = v1Dt1
Tempo Dt1
v1
v2
Dx = v1Dt1 + v2Dt2
Dt2
Dt1
Integrale definito: l’effetto cumulativo del passato (es. spostamento Dx compiuto)
spostamento
t0 t1
v1
Dt1 Dt2 Dt3 Dtn
v2
v3 vn
1
n
i i
i
x v t
D D
Vel
oci
tà
vt)
tempo
Tempo
1
0
( )
t
t
x v t dtD
Capitolo 2:
MECCANICA DEL PUNTO E DEI SISTEMI
• Cinematica del punto materiale • Cinematica articolare • Dinamica del punto materiale • Lavoro ed energia • Meccanica dei sistemi • Biomeccanica del sistema muscoloscheletrico
Cinematica del punto materiale
Il punto materiale
Un sistema meccanico può essere schematizzato come un punto geometrico (punto materiale) se:
• le sue dimensioni sono trascurabili rispetto a quelle che intervengo nel problema specifico (es. distanze percorse) • non ha interesse studiare i cambiamenti di orientazione del sistema e le sue deformazioni
* * *
Esempi: 1) La terra può essere schematizzata come un punto materiale, se si studia il suo moto di rivoluzione attorno al sole.
2) La terra non può essere schematizzata come un punto materiale, se si studia il suo moto di rotazione diurna attorno all’asse polare. Uno stesso sistema può essere o non essere schematizzato come un punto materiale, a seconda del problema considerato.
Equazione oraria
x(t) O P(t)
traiettoria (rettilinea)
)(txx
P(t) traiettoria (rettilinea)
Consideriamo un punto P che si muove su traiettoria rettilinea
Stabiliamo sulla traiettoria rettilinea un sistema di ascisse (asse delle x): 1. Prendiamo sulla traiettoria un punto O come origine del sistema di ascisse 2. Scegliamo sulla traiettoria un verso di percorrenza 3. Associamo ad ogni punto P della traiettoria il valore x pari alla distanza di P da O presa con segno: valore positivo (negativo) se il verso di OP è concorde (discorde) con quello dell’asse x
x
Posizione di P all’istante t
Equazione oraria Nota la traiettoria, il moto del punto è completamente descritto dalla conoscenza del valore di x (posizione di P) ad ogni istante, cioè dalla conoscenza della funzione che definisce il valore di x ad ogni istante. Questa funzione prende il nome di equazione oraria
Vettore posizione
y
z
x
i
j
k
O
P(t)
)(tr
)(),(),()(P tztytxt
Vettore posizione
)()(OP trt
Traiettoria
Posizione di P all’istante t
Individua la posizione di P all’istante t
0,0,0O
Vettore spostamento
)(tr
)( ttr D
r
D
Vettore spostamento nell’intervallo di tempo [t, t +Dt ]
)()( trttrr
DD
P(t )
P(t+Dt )
Caratterizza in modulo direzione e verso lo spostamento del punto nell’intervallo di tempo [t, t +Dt ]
Vettore velocità media
)(tr
)( ttr D
r
D
Vettore velocità media nell’intervallo di tempo [t, t +Dt ]
t
trttr
t
rvM
D
D
D
D
)()(
P(t )
P(t +Dt )
Mv
direzione: retta che congiunge P(t) e P(t+Dt) verso: quello che porta da P(t) e P(t+Dt) modulo: quello di P(t) P(t+Dt) diviso Dt
Caratterizza in modulo direzione e verso lo spostamento del punto nell’intervallo di tempo [t, t +Dt ], e la rapidità con cui questo spostamento è avvenuto.
Vettore velocità istantanea
Vettore velocità istantanea all’istante t
dt
rd
t
trttr
t
rtv
tt
D
D
D
D
DD
)()(limlim)(
00
P(t )
P(t +Dt )
Mv
)(tv
direzione: individua la direzione del moto: retta tangente alla traiettoria in P(t) verso: individua il verso del moto modulo: caratterizza la rapidità con cui cambia la posizione del punto all’istante t
dt
vd
t
tvttv
t
vta
tt
D
D
D
D
DD
)()(limlim)(
00
t
tvttv
t
vaM
D
D
D
D
)()(
)()( tvttvv
DD
Vettore accelerazione media e istantanea
Caratterizza in modulo, direzione e verso la variazione di velocità del punto nell’intervallo di tempo [t, t +Dt ]
Caratterizza in modulo, direzione e verso la variazione di velocità del punto nell’intervallo di tempo [t, t +Dt ], e la rapidità con cui questa variazione è avvenuta.
Caratterizza in modulo, direzione e verso la rapidità con cui cambia la velocità del punto all’istante t
Vettore accelerazione istantanea all’istante t
Vettore accelerazione media nell’intervallo di tempo [t, t +Dt ]
Vettore variazione di velocità nell’intervallo di tempo [t, t +Dt ]
)(tv
)( ttv D
)(tv
)( ttv D
)(ta
Accelerazione tangenziale
Se il vettore velocità varia perché varia il suo modulo, e non la sua direzione (moto rettilineo), allora il vettore accelerazione è parallelo al vettore velocità e quindi è tangente alla traiettoria e prende il nome di accelerazione tangenziale.
il vettore velocità varia in modulo e non in direzione (moto rettilineo)
v
D)(tv
)( ttv D
t
vta
t D
D
D
0lim)(
Se il vettore velocità varia perché varia il suo modulo, e non la sua direzione (moto rettilineo), allora il vettore accelerazione è parallelo al vettore velocità e quindi è tangente alla traiettoria e prende il nome di accelerazione tangenziale.
il vettore velocità varia in modulo e non in direzione (moto rettilineo)
)(tv
)( ttv D
)(ta
v
D
)(tv
)( ttv Dt
vta
t D
D
D
0lim)(
Accelerazione centripeta
il vettore velocità varia in direzione ma non in modulo (es. moto circolare uniforme)
)(tv
)( ttv D
)( ttv D
)( ttv D
)(tv
)(ta
)(ta
Ma
Ma
Ma
)( ttv D
Ma
Ma
Ma
Se il vettore velocità varia perché varia la sua direzione (moto curvilineo) e non il suo modulo (moto uniforme), allora il vettore accelerazione è perpendicolare al vettore velocità e quindi alla traiettoria, è diretto verso il centro di curvatura della traiettoria, e prende il nome di accelerazione centripeta.
Accelerazione tangenziale e centripeta
centro di curvatura in P
P
Ca
Ta
a
TC aaa
il vettore velocità varia in direzione e in modulo (es. moto curvilineo non uniforme)
cerchio osculatore in P
Se il vettore velocità varia perché varia il suo modulo (moto non uniforme) e la sua direzione (moto curvilineo), allora il vettore accelerazione è la somma di un componente tangenziale (accelerazione tangenziale), legato alla variazione del modulo della velocità, e di un componente centripeto (accelerazione centripeta), legato alla variazione della direzione della velocità
Moto rettilineo, moto uniforme
Moto Velocità Accelerazione
Moto rettilineo
vettore velocità costante in direzione accelerazione centripeta nulla
Moto uniforme
vettore velocità costante in modulo
accelerazione tangenziale nulla
Moto rettilineo uniforme vettore velocità costante (in direzione e modulo)
vettore accelerazione nullo (accelerazione tangenziale e centripeta nulle)
CT aaa
;0
TC aaa
;0
0;0 aaa CT
costv
costv
cost)vers(ˆ vv
0)( xvttx
Moto rettilineo uniforme
cost.v
v
x
P
x0 = Posizione del punto all’istante iniziale t = 0
+v se la velocità è diretta nello stesso verso dell’ asse x
-v se la velocità è diretta in verso opposto all’ asse x
Equazione oraria
Moto rettilineo uniformemente vario
cost.a
x a
0v
P
002
t2
1)( xvattx
x0 = Posizione del punto all’istante iniziale t = 0
v0 = Modulo della velocità all’istante iniziale t = 0
+a se l’accelerazione ha lo stesso verso dell’ asse x
-a se l’accelerazione ha verso opposto all’ asse x
se la velocità iniziale ha stesso verso dell’ asse x
-vo se la velocità iniziale ha verso opposto all’ asse x
+vo
Equazione oraria
atvtv 0)(
Moto uniformemente accelerato (l’accelerazione ha lo stesso verso della velocità)
atvtv 0)(
Moto uniformemente decelerato (l’accelerazione ha verso opposto rispetto alla velocità)
iniziale)velocità( 0 v
ESERCIZIO
Problema: un punto materiale si muove di moto rettilineo uniforme con velocità V0 paria 10 m/s. Ad un certo istante inizia a frenare con decelerazione costante pari a 2 m/s2. Determinare la distanza dF percorsa nel corso della frenata ed il relativo intervallo tempo (tempo di frenata tF).
0
2
0 0
( )
1
2
v t v at
x at v t x
a
1) Scegliamo come istante iniziale l’istante in cui il punto inizia a frenare. 2) Prendiamo l’asse x coincidente con la traiettoria, verso quello del moto, ed origine coincidente con la posizione del punto all’istante iniziale.
Il moto è uniformemente vario (decelerato). Scriviamo le equazioni del moto:
Nel nostro caso
0v 0
v
tt F
Fdx
0
0
x
t
0
2
0
( )
1
2
v t v at
x at v t
2 2 2 2
2 0 0 0 0 0
0 arr 02
1 1 1( )
2 2 2 2arr arr arr
v v v v vx x t at v t a v
a a a a a
La posizione del punto all’istante di arresto si determina calcolando il valore di x all’istante di arresto :
Il tempo di frenata è la differenza fra l’istante di arresto e l’istante t0=0 in cui il punto inizia a frenare
a
v
a
vttt arrF
000 0
La distanza percorsa nel corso della frenata è data dal valore di x all’istante di arresto meno il valore di x all’istante in cui il punto inizia a frenare (x0=0):
a
v
a
vxxd arrF
20
2
20
20
0
Sostituendo i valori numerici si trova: stF 5 mdF 25
a
vtF
0
a
vd F
2
20
a
vtatvv arrarr
00 00
All’istante di arresto tarr la velocità si annulla:
a
vt
a
vd
F
F
0
20
2
F
FF
atv
atd
0
2
2
1
a
dt
adv
FF
F
2
20
Dalle precedenti equazioni, noto a e v0 determino dF e tF
Noto a e tF determino dF e v0
Noto a e dF determino v0 e tF
F
FF
t
va
tvd
0
0
2
Noto v0 e tF determino dF e a
0
2
2
2
F
F
F
F
dv
t
da
t
Noto dF e tF determino v0 e a
0
20
2
2
v
dt
d
va
FF
F
Noto v0 e dF determino a e tF
Le precedenti sono due equazioni nelle quattro variabili a, v0 , dF e tF . Note due di queste variabili si determinano le altre due
Velocità angolare
dt
d
t
ttt
tt
tt
D
D
D
D
DD
)()(limlim)(
00
P(t)
P(t+Dt)
)()( ttt DD
t
ttt
tM
D
D
D
D
)()(
Velocità angolare media nell’intervallo di tempo [t, t +Dt ]
Spostamento angolare nell’intervallo di tempo [t, t +Dt ]
Velocità angolare istantanea all’istante di tempo t
Caratterizza in modulo e segno lo spostamento angolare del punto nell’intervallo di tempo [t, t +Dt ], e la rapidità con cui questo spostamento è avvenuto.
Caratterizza in modulo e segno la rapidità con cui cambia la coordinata angolare del punto all’istante t
Accelerazione angolare
Accelerazione angolare media nell’intervallo di tempo [t, t +Dt ]
Variazione di velocità angolare nell’intervallo di tempo [t, t +Dt ]
Accelerazione angolare istantanea all’istante t
Caratterizza in modulo e segno la variazione di velocità angolare del punto nell’intervallo di tempo [t, t +Dt ], e la rapidità con cui questa variazione è avvenuta.
Caratterizza in modulo e segno la rapidità con cui cambia la velocità angolare del punto all’istante t
)()( ttt DD
t
ttt
tM
D
D
D
D
)()(
dt
d
t
ttt
tt
tt
D
D
D
D
DD
)()(limlim)(
00
(t)
(t+Dt)
Moto circolare uniforme
(t)
P(t)
Ca
v
cost
Nel moto circolare uniforme la velocità angolare è costante
R
0)( tt
T
2
Tf
1
Equazione oraria
Periodo T
f 2
2f
Frequenza f
2T
Rv
RaC2
Accelerazione
Velocità
cC uRa ˆω2
O
cu
(t)
P(t)
Px
Definizione Dato un punto che si muove di moto circolare uniforme, chiamiamo moto armonico il moto della proiezione di P su un diametro (es. asse x) della circonferenza descritta da P.
)cos()(cos)( 0 tRtRtx
Equazione oraria
x(t) x R
f 2
2f
Moto armonico
Consideriamo un punto P di massa m che si muove di moto armonico (ampiezza R), con equazione oraria Vettore posizione Si ottiene dalla equazione oraria Vettore velocità Si ottiene facendo la derivata del vettore posizione Vettore accelerazione Si ottiene facendo la derivata del vettore velocità
itRitxOP ˆ)θωcos(ˆ)( 0
Velocità ed accelerazione di un punto P in moto armonico
0 0ˆ ˆcos(ω θ ) ω sin(ω θ )
dOP dv R t i R t i
dt dt
2
0 0ˆ ˆω sin(ω θ ) ω cos(ω θ )
dv da R t i R t i
dt dt
)θω(sinω 0
2222 tRv
P x(t) x
R O
i
)θωtcos()( 0 Rtx
Cinematica articolare
OSTEOKINEMATICS
Osteokinematics describes the gross angular motion of the shafts of bones that can be executed voluntarily, and are described as occurring relative to the three cardinal planes of the body (for exmaple, flexion and extension in the sagittal plane, abduction and adduction in the frontal plane, and medial and lateral rotation in the transverse plane). These physiological movement can be performed voluntarily.
Osteokinematics
Planes of motion
Piano frontale Piano sagittale Piano trasverso
Axis of rotation
Asse longitudinale
Asse sagittale
Asse trasversale
Flexion A decrease in joint angle (in the sagittal plane) Extension An increase in joint angle (in the sagittal plane)
Joint movements in the Sagittal Plane (around a ML axis)
Abduction Movement away from the midline of the body (in the frontal plane). Adduction Movement toward the midline of the body (in the frontal plane). Lateral Flexion Displacement of the trunk away from the midline in the frontal plane (in the frontal plane).
Joint movements in the Frontal Plane (around an AP axis)
External (lateral) Rotation Movement of the anterior side of a segment away from the midline of the body. Internal (medial) Rotation Movement of the anterior side of a segment toward the mid-line of the body. Horizontal Adduction (flexion) Horizontal motion that results in movement toward the midline. Horizontal Abduction (extension) Horizontal motion that results in movement away from the midline.
Joint movements in the Transverse Plane (around a longitudinal axis)
Scapula & Clavicle (Sternoclavicular, Acromioclavicular) Abduction (Protraction) Adduction (Retraction) Depression Elevation Rotation Upward (Superior Rotation) Rotation Downward (Inferior Rotation) Internal Rotation Extrenal rotation Anterior tilt Posterior tilt Shoulder (Glenohumeral) Flexion Extension / Hyperextension Adduction Abduction Transverse Adduction Transverse Flexion Transverse Abduction Transverse Extension Medial Rotation (Internal Rotation) Lateral Rotation (External Rotation) Elbow Flexion Extension Forearm (Radioulnar) Pronation Supination
Wrist & Midcarpals Flexion Extension / Hyperextension Adduction (Ulna Deviation) Abduction (Radial Deviation) Fingers (Metacarpophalangeal) Flexion Extension / Hyperextension Adduction Abduction Fingers (Interphalangeal) Flexion Extension Thumb (Carpometacarpal) Flexion Extension Adduction Abduction Opposition Thumb (Metacarpophalangeal) Flexion Extension Adduction Abduction Thumb (Interphalangeal) Flexion Extension / Hyperextension
Osteokinematics of upper limb
Hip Flexion Extension Adduction Abduction Transverse Adduction Transverse Abduction Medial Rotation (Internal Rotation) Lateral Rotation (External Rotation) Knee Flexion Extension Medial Rotation (Internal Rotation) Lateral Rotation (External Rotation) Ankle Plantar Flexion Dorsi Flexion Foot (Intertarsal) Inversion Eversion Plantarflexion Toes (Metatarsophalangeal) Flexion Extension / Hyperextension Abduction Adduction Toes (Interphalangeal) Flexion Extension
Osteokinematics of lower limb
Osteokinematics of spine
Atlanto-occipital joint Flexion Extension Lateral Flexion Atlanto-axial joint Flexion Extension Rotation C3-C7 Flexion Extension Lateral Flexion Rotation Thoracic Spine Flexion Extension Lateral Flexion Rotation Lumbar Spine Flexion Extension Lateral Flexion Rotation
tibial-on-femoral movement
femoral-on-tibial movement
Knee flexion
knee flexion describes only the relative motion between the thigh and leg. It does not describe which of the two segments is actually rotating. Often, to be clear, it is necessary to state the bone that is considered the primary rotating segment. For example, the terms tibial-on-femoral movement and femoral-on-tibial movemen adequately describe the osteokinematics
Mobilized segment
Definition of Arthrokinematics
Arthrokinematics describes (refer to) the motion that occurs between the articular surfaces of joints.
Relevant biomechanical characteristics • allow greater ostoekinematic motion of bone levers • are necessary for normal joint functioning through the ROM • can be demonstrated passively, but they cannot be performed actively by the patient • need adequate capsule laxity or joint play to occur • are used to determine joint mobility and integrity Clinical implications A limited or faulty arthrokinematic movement of the joint surfaces may result in • limited ostoekinematic motion of bone levers • abnormal joint mechanics • microtrauma and joint dysfunction • pain
Arthrokinematic movements
• Roll • Slide • Spin • Compression • Separation
Artrocinematica
Characteristics of one bone rolling on another: • The surfaces are incongruent. • New points on one surface meet new points on the opposing surface. • Rolling results in angular motion of the bone (swing).
Roll
Analogy: a tire rotating across a pavement
Clinical implications • Rolling, if it occurs alone, causes compression of the surfaces on the side to which the bone is swinging and
separation on the other side. Passive stretching using bone angulation alone may cause stressful compressive forces to portions of the joint surface, potentially leading to joint damage. Passive stretching using bone angulation alone may cause stressful compressive forces to portions of the joint surface, potentially leading to joint damage.
• In normally functioning joints, pure rolling does not occur alone but in combination with joint sliding and spinning.
Artokinematic principle of roll Rolling is always in the same direction as the swinging bone motion whether the surface is (A) convex or (B) concave.
Characteristics of one bone sliding (translating) across another: • For a pure slide, the surfaces must be congruent, either flat or curved • The same point on one surface comes into contact with the new points on the opposing surface. • Pure sliding does not occur in joints, because the surfaces are not completely congruent.
Clinical implications The joint mobilization techniques use the sliding component of joint motion to restore joint play and reverse joint hypomobility. It is used to control pain when applied gently or to stretch the capsule when applied with a stretch force. Rolling (passive angular stretching) is not used to stretch tight joint capsules, because it causes joint compression.
Slide
Analogy: a non-rotating tire skidding across an icy pavement
Roll
Slide
First Arthrokinematic Principle of Movement For a convex-on-concave surface movement, the convex member rolls and slides in opposite directions
Atrokinematics of femoral-on-tibial extension: “the femoral condyles simultaneously roll anteriorly and slide posteriorly on the articular surface of the tibia”
Arthrokinematics at the glenohumeral joint during abduction. The glenoid fossa is concave, and the humeral head is convex. A) Roll-and-slide arthrokinematics typical of a convex articular surface moving on a relatively stationary concave articular surface. B) Consequences of a roll occurring without a sufficient offsetting slide.
Roll Slide
Second Arthrokinematic Principle of Movement For a concave-on-convex surface movement, the concave member rolls and slides in similar directions
Artokinematics of tibial-on-femoral extension: “the articular surface of the tibia rolls and slides anteriorly on the femoral condyles”
Characteristics of one bone spinning on another: • There is rotation of a segment about a stationary mechanical axis. • The same point on the moving surface creates an arc of a circle as the bone spins. • Spinning rarely occurs alone in joints but in combination with rolling and sliding.
Three examples of spin occurring in joints of the body are A. the shoulder with flexion/extension, B. the hip with flexion/ extension, C. the radiohumeral joint with pronation/supination
Spin
Analogy: A toy top rotating on one spot on the floor
Compression is the decrease in the joint space between bony partners. Characteristics • Compression normally occurs in the extremity and spinal joints when weight bearing. • Some compression occurs as muscles contract, which provides stability to the joints. • As one bone rolls on the other, some compression also occurs on the side to which the bone is angulating. • Normal intermittent compressive loads help move synovial fluid and, thus, help maintain cartilage health. • Abnormally high compression loads may lead to articular cartilage changes and deterioration
Compression
Clinical implications For joint mobilization/manipulation techniques, distraction is used to control or relieve pain when applied gently or to stretch the capsule when applied with a stretch force. A slight distraction force is used when applying gliding techniques.
Traction and separation (distraction) are not synonymous. Traction (or long-axis traction) is a longitudinal pull, that is, a pull on the long axis of a bone. Separation (or distraction or joint traction) is a separation (or pulling apart) of the joint surfaces .
Separation of the joint surfaces (distraction) does not always occur when a traction force is applied to the long axis of a bone. For example, if traction is applied to the shaft of the humerus when the arm is at the side, it results in a glide of the joint surface (A). Distraction of the glenohumeral joint requires a force to be applied at right angles to the glenoid fossa (B).
Separation
The arthrokinematic motions between joint surfaces is controlled by: • Shape of the articular surfaces
The more congruent the joint surfaces are, the more sliding there is of one bony partner on the other with movement. The more incongruent the joint surfaces are, the more rolling there is of one bony partner on the other with movement.
• Tension in periaricular connective tissue (ligaments, capsule, ...)
The anterior cruciate ligaments controls the posterior slide of the tibial plateau during
OKC knee extension. ACL deficient knee often display altered knee artokinematics.
• Muscle forces
When muscles actively contract to move a bone, some of the muscles may cause or control the sliding movement of the joint surfaces. For example, the caudal sliding motion of the humeral head during shoulder abduction is caused by the rotator cuff muscles
Control of Arthrokinematic Movements
posterior tibial slide
tibiofemoral compression
roll
knee extension
Knee extension and cruciate ligament
anterior tibial slide
tibiofemoral compression
roll
knee extension
ante
rio
r ti
bia
l slid
e
tibiofemoral compression roll
knee extension
external tibial spin
Applications: manual therapy techniques
The principles serve as a basis for some manual therapy techniques. Gentle mobilizations may be used to treat pain and muscle guarding, whereas stretching techniques are used to treat restricted movement. Painful joints, reflex muscle guarding, and muscle spasm Small-amplitude distraction or gliding movements of the joint are used to cause synovial fluid motion, which is the vehicle for bringing nutrients to the avascular portions of the articular cartilage (and intra-articular fibrocartilage when present). Gentle joint-play techniques help maintain nutrient exchange and, thus, prevent the painful and degenerating effects of stasis when a joint is swollen or painful and cannot move through the ROM. When applied to treat pain, muscle guarding, or muscle spasm, these techniques should not place stretch on the reactive tissues. Reversible Joint Hypomobility Reversible joint hypomobility can be treated with progressively vigorous joint-play stretching techniques to elongate hypomobile capsular and ligamentous connective tissue. Sustained or oscillatory stretch forces are used to distend the shortened tissue mechanically. Positional Faults/Subluxations A faulty position of one bony partner with respect to its opposing surface may result in limited motion or pain. This can occur with a traumatic injury, after periods of immobility, or with muscle imbalances. The faulty positioning may be perpetuated with maladapted neuromuscular control across the joint, so whenever attempting active ROM, there is faulty tracking of the joint surfaces resulting in pain or limited motion. MWM techniques attempt to realign the bony partners while the person actively moves the joint through its ROM. Subluxations Thrust techniques are used to reposition an obvious subluxation, such as a pulled elbow or capitate-lunate subluxation. Progressive Limitation Diseases that progressively limit movement can be treated with joint-play techniques to maintain available motion or retard progressive mechanical restrictions. The dosage of distraction or glide is dictated by the patient’s response to treatment and the state of the disease. Functional Immobility When a patient cannot functionally move a joint for a period of time, the joint can be treated with nonstretch gliding or distraction techniques to maintain available joint play and prevent the degenerating and restricting effects of immobility.
Dinamica del punto materiale
Sistemi di riferimento inerziali Un Sistema di riferimento inerziale è definito dalla condizione che rispetto ad esso lo spazio è omogeneo ed isotropo ed il tempo omogeneo. In particolare, un punto materiale libero (non soggetto ad alcuna interazione con altri sistemi) che ad un dato istante si trovi in uno stato di quiete in un sistema di riferimento inerziale, permarrà in quiete per un periodo di tempo illimitato (in un sistema di riferimento inerziale ogni posizione è posizione di equilibrio per un punto libero).
Principio di inerzia In un sistema di riferimento inerziale, un punto materiale libero permane nel suo stato di quiete o di moto rettilineo uniforme.
Principio di relatività galileiana (Galileo) I fenomeni meccanici si svolgono con leggi dello stesso tipo in tutti i sistemi di riferimento in moto traslatorio rettilineo uniforme l’uno rispetto all’altro. Dal principio di relatività segue che se un sistema di riferimento è inerziale ogni altro sistema di riferimento che si muova rispetto al primo di moto traslatorio rettilineo uniforme è anch’esso inerziale.
Primo principio della dinamica
Il secondo principio della dinamica
amF
Secondo principio della dinamica (Newton) L’applicazione di una forza ad un punto materiale, produce un’accelerazione con direzione e verso coincidenti con quello della forza, e modulo proporzionale a quello della forza.
m = massa inerziale del punto
2 MLTMaF )(
2NNewtonsmkg
Dimensioni e unità di misura della forza
Forza Ente in grado di perturbare lo stato di quiete o di moto rettilineo di un punto in un riferimento inerziale. La forza può essere definita in modo operativo, staticamente, mediante la deformazione che produce su un sistema facilmente deformabile, quale ad esempio una molla (dinamometro).
Principio di sovrapposizione Quando più forze sono applicate contemporaneamente ad un punto, l’effetto complessivo è uguale a quello che si ottiene applicando al punto la risultante (somma vettoriale) delle singole forze.
1f
2f
F
321 fffF
m
Fa
Il terzo principio della dinamica
P2 P1
21F
12F
P2 P1
21F
12F
Enunciato Due punti materiali esplicano l’uno sull’altro due forze di uguale modulo, dirette lungo la congiungente ed aventi verso opposto.
Le leggi delle forze: forza elastica
Forza elastica di centro O Forza sempre diretta verso un punto fisso O (detto centro della forza elastica) e in modulo proporzionale alla distanza r del punto P da O
rkrFelˆ
O
P r
r
k = costante elastica
molla a riposo
molla allungata
O P
Esempio: punto materiale attaccato all’estremità di una molla allungata o accorciata rispetto alla lunghezza di riposo
molla accorciata
O P
elF
P
elF
r
r
Forza di attrazione gravitazionale
Forza di attrazione gravitazionale fra 2 punti materiali Un punto di massa m1 esercita su un punto di massa m2 posto a distanza r una forza di attrazione gravitazionale data da:
122
2121 r
r
mmGF
m1
r
12r
m2
21F
G = costante di gravitazione universale
22111067.6
kgNmG
m
M Teorema di Newton
Una sfera omogenea di massa M esercita su un punto m (esterno alla sfera) la stessa forza che eserciterebbe se tutta la massa M della sfera fosse concentrata nel suo centro.
rr
MmGFgr
ˆ2
grF
r
r
Resistenze di mezzi fluidi
ˆF C Avv
Resistenze di mezzi fluidi Quando un corpo si muove all’interno di un fluido esercita una forza sulle particelle del fluido. Le particelle, per il terzo principio, esercitano sul corpo forze uguali e contrarie: la somma di queste forze costruisce la resistenza offerta dal mezzo fluido al moto del corpo.
= densità del fluido
C = coefficiente di forma
A = superficie investita
A v
v
(regime viscoso: 0 < v < 2 m/s)
fluido
Esempio: I due corpi rappresentati hanno lo stesso valore di A ma differenti valori di C.
F C Av bv
Reazione vincolari
Vincolo Un vincolo è un sistema o un insieme di sistemi materiali che impediscono al punto materiale di occupare un insieme di posizioni che sarebbero accessibili al punto in assenza dei vincolo stesso.
Reazioni vincolari
Per impedire al punto di occupare determinate posizioni il vincolo esplica sul punto una forza che prende il nome di reazione vincolare.
Esempio: vincolo di appartenenza ad una guida. Una locomotiva può muoversi solo lungo le rotaie. Per non far deragliare la locomotiva le rotaie esercitano sulle ruote del treno delle forze (reazioni vincolari).
Esempio: vincolo di appoggio su un piano Un punto materiale può occupare soltanto le posizioni al di sopra del suolo. Se il punto si appoggia o cade al suolo, questo esercita sul punto delle forze (reazioni vincolari) che impediscono al punto di attraversarlo.
N
stA
max.stA
max.stA
ANR
N
N
N
N
dinA
v
a
0v
0a
0v
0v
0vF
F
F F
max.stDdin ANA
NAA Sstst max.0
Vincolo di appoggio
Legge dell’attrito statico Scoefficiente di attrito statico
Legge dell’attrito dinamico Dcoefficiente di attrito dinamico
)( SD
N
Il componente della reazione perpendicolare al piano Reazione vincolare
A
Il componente della reazione parallelo al piano (attrito)
Forza di trascinamento - moto traslatorio
a
Piano liscio
a
Rispetto al sistema solidale al vagone il punto si muove con accelerazione
amFtr
In un sistema di riferimento non inerziale, in moto traslatorio rispetto ad un sistema di riferimento inerziale, oltre alle forze effettivamente agenti sul punto (forze effettive), il punto è soggetto ad una forza legata all’accelerazione a del sistema, detta forza apparente di trascinamento:
a
Rispetto al sistema solidale alle rotaie il punto permane nel suo stato di moto con accelerazione nulla (quiete o in moto rettilineo uniforme).
Il sistema mobile (solidale al vagone) si muove di moto traslatorio rispetto a quello fisso (inerziale), solidale alle rotaie.
Accelerazione del vagone
C
Forza di trascinamento - moto rotatorio uniforme
CPmurmF ccentrifuga
22ωˆω
In un sistema di riferimento non inerziale, in moto rotatorio uniforme rispetto ad un sistema di riferimento inerziale, oltre alle forze effettivamente agenti sul punto (forze effettive), il punto è soggetto ad una forza legata alla velocità angolare del sistema ed alla posizione del punto, detta forza centrifuga:
Il sistema mobile (vagone) si muove di moto rotatorio uniforme rispetto a quello fisso (inerziale), solidale alle rotaie.
= versore uscente dal cento di rotazione
cura ˆω2
Accelerazione, rispetto al sistema fisso, del vagone nella posizione occupata da P
Accelerazione di P rispetto al sistema solidale al vagone
Riferimento mobile solidale al vagone
riferimento fisso inerziale
P
cura ˆω2
cu
cu
r = distanza di P da C
Forza peso
grF
curm ˆ)θcos(ω L
2
C
O
gm
2
. L2ˆ ˆω ( cosθ )
gr centr c
MmP F F G r m r u
r
Forza peso Forza esercitata dalla terra su un punto materiale che si trova in quiete nei pressi della sua superficie. Il peso è la risultante della forza di attrazione gravitazionale e della forza centrifuga legata al moto di rotazione diurna attorno all’asse polare.
2
L2ˆ ˆω ( cosθ )
c
Mg G r r u
r
Accelerazione di gravità cu
r
r = distanza di P dal centro della terra O
= versore di OP
C = proiezione di P sull’asse di rotazione
= versore di CP
L = angolo di latitudine
r
r
cu
L
Lθcosr
2
L2ˆ ˆω ( cosθ )
c
MP m G r r u
r
P mg
Variazione della forza peso con la latitudine e l’altezza dal suolo
grFgm
grF
grF
curm ˆ)θcos(ω L
2
rrm ˆω2
O gm
gm
Forza peso Forza esercitata dalla terra su un punto materiale che si trova in quiete nei pressi della sua superficie. Il peso è la risultante della forza di attrazione gravitazionale e della forza centrifuga legata al moto di rotazione diurna attorno all’asse polare.
currr
MG
m
Pg ˆ)θcos(ωˆ
L
2
2
Accelerazione di gravità
Verticale Direzione della forza peso. Passa per il centro della terra solo all’equatore e ai poli.
Il peso e l’accelerazione di gravità: • aumentano con la latitudine:
Fgr resta costante, Fcentr diminuisce • diminuiscono con la quota:
Fgr diminuisce, Fcentr aumenta
g = 9.81 m/s2 alle nostre latitudini g = 9.78 m/s2 all’equatore g = 9.83 m/s2 ai poli
ccentrgr urmrr
MmGFFgmP ˆ)θcos(ωˆ
L
2
2.
r
Oscillazioni libere
P
kOPO x
0x Ax Ax
)cos()( 00 tAtx
m
k0
pulsazione delle oscillazioni libere
equazione oraria: moto armonico
t
A
- A
x
Studio del moto di un punto di massa m soggetto a una forza elastica
Oscillazioni smorzate
P
kOP
O
x
vb
0x Ax Ax
1 2 3 4 5 6
1 2 3
oscillazioni smorzate
smorzamento aperiodico
1 2 3 5 4
smorzamento critico
24 bkm
24 bkm
24 bkm
Studio del moto di un punto soggetto a una forza elastica e alla resistenza di un fluido
)cos()(4 0
2
tAetxbkm S
t
• smorzamento critico tt
ecectxbkm2
0
22
0
2
212
)(4
220 S
t
x
• le componenti inerziale ed elastica prevalgono su quella viscosa: oscillazioni smorzate
)()(4 21
2tccetxbkm
t
• la componente viscosa prevale su quelle inerziale ed elastica: smorzamento aperiodico
m
b
2
Equazione oraria
la frequenza delle oscillazioni coincide con la frequenza imposta dall’ esterno
Oscillazioni forzate
P
kOP
O
x vb
itF Fˆ)cos( j
Bx Bx
Equazione oraria
0x
)cos()( j tBtx F
22222
0 4
/
FF
mFB
m
k0e la frequenza delle oscillazioni libere
F
l’ ampiezza B delle oscillazioni dipende dalla differenza fra
Il punto si muove di moto armonico
la frequenza imposta dall’ esterno F
Problema Moto di un punto soggetto ad una forza elastica, a una resistenza di tipo viscoso, e a una forza esterna sinusoidale.
Il fenomeno della risonanza
0
01.0
015.0
02.0
03.0
05
05.1 2/0
05.0
0/ F
2
0m
F
B
Il punto si muove di moto armonico con la frequenza della forza esterna ed ampiezza che dipende dalla differenza fra 0 e F
Per piccoli smorzamenti l’ampiezza cresce quanto più la frequenza della forza esterna F si avvicina alla frequenza delle oscillazioni libere 0 (frequenza propria), e quanto più piccolo è =b/2m.
2/ωγ 0
m
b
2
0F
0
0
F
F
oscillazioni di grande ampiezza B
oscillazioni di piccola ampiezza B
Teorema di Fourier Da questo importante teorema segue che una qualsiasi funzione periodica si può esprimere come la somma di un numero finito o infinito di funzioni sinusoidali.
Importanza delle funzioni sinusoidali
Animazione
Lavoro ed Energia
Lavoro elementare
cosdlFldFdL
Definizione Sia F la forza agente su un punto P all’istante t e dl lo spostamento del punto nell’intervallo di tempo infinitesimo dt fra gli stanti t e t+dt. Si definisce lavoro elementare compiuto dalla forza F su P nell’intervallo [t, t+dt], e si indica con dL, grandezza scalare:
Il lavoro caratterizza la forza agente su un punto, in relazione allo spostamento subito dal punto stesso
222 TMLLMLTFLL
Dimensioni ed unità
)(22
JJoulesmkgNm
ld
ld
ld
ld
ld
F
F
F
F
F
1cos0
900
0cos1
18090
0cos
90
1cos
0
1cos
180
FdlldF
0 ldF
0 ldF
0 ldF
FdlldF
D DDD
2
1
21
,
3322110
, lim
P
Pl
PP ldFlFlFlFLi
Lavoro in un intervallo di tempo finito
P1
P2
1l
D2l
D3l
D
4l
D
1F 2F
3F
4F
Se la forza F agente su P è costante
lFPPFldFldFL
P
P
P
P
21
,,
2
1
2
1
l
In un intervallo di tempo finito [t1,t2] in cui il punto compie uno spostamento da P1 a P2 lungo l’arco di traiettoria
Se la forza F agente su P è costante e parallela a l
FlL
dove vale il segno più se i due vettori sono concordi, il segno meno se sono discordi
Energia
Definizione Capacità di compiere lavoro.
Tipi di energia in meccanica
• Energia cinetica: Energia (capacità di compiere lavoro) legata al moto del punto
• Energia potenziale Energia (capacità di compiere lavoro) legata alla posizione di un punto materiale all’interno di un campo di forze conservativo (forza peso, forza elastica, forza di attrazione gravitazionale, …) .
• Energia meccanica Somma dell’energia cinetica e dell’energia potenziale
2
2
1mvEC
mghpesoEP )( 2
2
1)( krelasticaEP
PCM EEE
h = quota rispetto ad un piano orizzontale di riferimento r = distanza dal centro della forza elastica/gravitazionale
r
MmGnalegravitazioEP )(
Energia Cinetica
mFa /
ov
F
0v
2
2
1mvEC
a
vdarr
2
2
02
0
2
0
2
1
2mvF
a
vFdL arr
Lavoro compiuto per arrestare un punto materiale di massa m e velocità v0.
Il punto esercita sul sistema frenante una forza uguale ed opposta (3° principio della dinamica), e compie sul sistema frenante un lavoro (uguale ma di segno contrario) pari a:
2
02
1mvL
Un punto solo per il fatto di avere una massa m e una velocità v è in grado di compiere una quantità di lavoro pari a:
Questa capacità di compiere lavoro legata alla velocità di P prende il nome di energia cinetica.
m
Teorema del lavoro
Enunciato del teorema del lavoro La variazione di energia cinetica di un sistema materiale in un qualsiasi intervallo di tempo è pari al lavoro compiuto dalle forze agenti sul punto nello stesso intervallo di tempo.
21)()( 12 ttcc LtEtE
)iniziale()finale(2
10
2
1 20
20 CC EEmvmvL
Possiamo scrivere
ov
F
0vm
Ritornando all’esempio precedente
questo è un caso particolare di un teorema generale detto del teorema del lavoro
dLrdFdtvamvvdmvdvvvdmvvdmmvddEc
2
1
2
1
2
1 2
Teorema del lavoro
Enunciato La variazione di energia cinetica di un sistema materiale in un qualsiasi intervallo di tempo è pari al lavoro compiuto dalle forze agenti sul punto nello stesso intervallo di tempo.
vvv
2
dtavd
dt
vda
dtvrd
dt
rdv
vdvvvd
21)()( 12 ttcc LtEtE
In termini differenziali
dLdEc Dimostrazione
Fam
Forze conservative, energia potenziale
Definizione Una forza si dice conservativa se il lavoro che compie su un punto materiale che si sposta da un punto P1 a un punto P2 dipende soltanto dalla posizione di questi punti e non dal percorso seguito per andare dal primo al secondo.
P1
P2
2
1
)P()P( 2121
PPPP EEL
Si può quindi uguagliare questo lavoro alla differenza dei valori assunti in P1 e P2 da una funzione uniforma e generalmente regolare delle coordinate, detta energia potenziale Ep
Per qualsiasi percorso che congiunge P1 e P2
mghL PP 21
mghmghL PP 0021
mghmglL PP cos021
mghEP mghmghPEPEL PPPP 0)()( 2121
P1 P1 P1
P2 P2 P2
gm
gm
gm
gm
gm
gm
h
risulta infatti
ESERCIZIO
Dimostrare che il lavoro compiuto dalla forza peso per i tre percorsi indicati, congiungenti P1 e P2 , è il medesimo
l h
h
L’ energia potenziale mgh può
essere utilizzata per compiere
lavoro (per esempio sollevare un
carico da terra)
Principio di conservazione dell’energia meccanica
Enunciato Se un punto materiale è soggetto all’azione di sole forze conservative, allora la sua energia meccanica si conserva costante nel tempo
)1()2(21 CCPP EEL
)2()1(21 PPPP EEL
cost.ME
Teorema del lavoro
Definizione di forza conservativa
)2()1( MM EE
)2()2()1()1( PCPC EEEE
Dimostrazione
)1()2()2()1( CCPP EEEE
Potenza
dt
dLW
Definizione Sia dL il lavoro elementare compiuto dalla forza F nell’ intervallo di tempo infinitesimo dt fra gli stanti t e t+dt. Si definisce potenza erogata dalla forza F all’istante t, la grandezza scalare:
32121 TMLLTMLTFLTW
Dimensioni ed unità
)(32
Wwatts
Jsmkg
Proprietà Dalla definizione di lavoro elementare risulta:
vFdt
ldFW
La potenza caratterizza il lavoro compiuto della forza e la rapidità con cui tale lavoro è compiuto
Problema: Un punto materiale viene lasciato cadere da fermo da quota h. Determinare la velocità del punto al momento dell’impatto col suolo e l’istante di impatto. L’unica forza agente sul punto è la forza peso. Questa forza è conservativa, si può quindi applicare il principio di conservazione dell’energia meccanica.
ESERCIZIO: la caduta di un grave
(impatto)(impatto)(iniziale)(iniziale) PCpC EEEE
02
10
2 impmvmgh ghvimp 2
impv
h
0v
Problema: Un punto materiale viene lanciato verso l’alto con velocità vo. Determinare la massima quota raggiunta h e l’istante in cui tale quota viene raggiunta (tempo di arresto).
)()((iniziale)(iniziale) hEhEEE PCpC
mghmv 002
1 20
g
vh
2
2
0
0v
Come in precedenza si applica il principio di conservazione dell’energia meccanica.
0v
h
ESERCIZIO: grave lanciato verso l’alto
Meccanica dei sistemi
Centro di massa di un sistema materiale
Definizione Centro della distribuzione della massa del sistema
Esempio: 2 punti di uguale massa m, e due punti di massa m e 2m
m m C m 2m C
O
1r 2r
Nr
N
i
ii
N
NN rmMmmm
rmrmrmOC
121
2211 1
C
Centri di massa di un sistema particellare: N punti di massa m1, m2, m3, …, mN-1, mN.
mN
m2 m1
ir
mi
N
i
iirmM1
OC
• 2 punti di uguale massa m
m m
C
m 2m C
2
0
21
2211 r
mm
rmm
mm
rmrmOC
• due punti di massa m e 2m
O→ r
O→ rmm
rmm
mm
rmrmOC
3
2
2
20
21
2211
N
NN
mmm
rmrmrmOC
21
2211
ESERCIZIO
Applichiamo la formula
r
N
i
iirmM
OC1
1
N
i
iirmM1
OC
N
i
iiC vmvM1
N
i
iiC amaM1
Velocità ed accelerazione del cento di massa
N
i
ii
dt
rdm
dtM
1
dOC
Forze interne e forze esterne al sistema
Definizione Dato un sistema di N punti materiali, chiamiamo forze interne quelle che si esplicano vicendevolmente fra i vari punti del sintema, forze esterne quelle esercitate sui punti del sistema da parte di elementi materiali che non fanno parte del sistema.
Per il terzo principio della dinamica, le forze interne che si esplicano vicendevolmente due punti sono uguali e contrarie, quindi la risultante (somma) delle forze interne agenti su un sistema è sempre nulla.
0(int)
R
sistema
La somma delle forze interne agenti su un punto del sistema non è in generale nulla. Al contrario, la somma delle forze interne agenti su tutti i punti del sistema (risultante delle forze interne) è sempre nulla.
forza interna
forza esterna
Punto appartenete al sistema
Punto non appartenete al sistema
Prima equazione cardinale della dinamica dei sistemi
mi
(int)
if
)(est
if
)(
1
(int)
111
estffam
)(
2
(int)
222
estffam
)((int) est
NNNN ffam
)((int)
1
estN
i
ii RRam
La somma dei primi membri di queste equazioni deve essere uguale alla somma dei secondi membri
Seconda equazione della dinamica scritta per ciascun punto del sistema
0(int)
1
R
aMam C
N
i
ii
Dalle relazioni segue )(est
C RaM
(int)
if
Somma delle forze interne agenti sull’i-esimo punto
)(est
if
Somma delle forze esterne agenti sull’i-esimo punto
Teorema del moto del centro di massa Il centro di massa di un qualsiasi sistema materiale si muove come un punto materiale dotato della massa dell’intero sistema e soggetto alla risultante delle forze esterne applicate al sistema
)(est
C RaM
Fam
Prima equazione cardinale della dinamica dei sistemi
corpo rigido
F
C
Momento di una forza
se spingo la porta vicino ai cardini la porta non si apre
più spingo lontano dai cardini più la porta si apre facimente
F
F
Consideriamo un corpo rigido (ad esempio una porta) vincolato a ruotare attorno ad un asse fisso privo di attrito (ad esempio l’asse che passa per i cardini della pota).
corpo rigido
F
C se spingo la porta contro i cardini la porta non si apre
più spingo la porta perpendicolarmente alla sua superficie, più la porta si apre facilmente
FbM a
22 TMLFLM a
Dimensioni ed unità di misura
22 smkgNm
asse di rotazione
corpo rigido
F
Definizione Dato un corpo rigido vincolato a ruotare attorno ad un asse fisso privo di attrito, e una forza agente sul corpo e appartenente a un piano perpendicolare a tale asse, si definisce momento della forza rispetto all’asse il prodotto del modulo della forza per il suo braccio. Il braccio è la minima distanza fra l’asse e retta di applicazione della forza.
F
Il braccio della forza (ed il momento) aumenta all’aumentare della distanza fra punto di applicazione della forza e centro di rotazione
C
F
C
F
C Il braccio della forza (e il momento) è nullo quando la retta di applicazione della forza passa per il centro di rotazione C
F
Il braccio della forza (ed il momento) aumenta quanto più la forza è perpendicolare alla retta fra il punto di applicazione della forza e il centro di rotazione
Il braccio della forza (e il momento) è nullo quando la retta di applicazione della forza passa per il centro di rotazione C
C
F
C
C
Momento di inerzia
Definizione Data un asse a, si definisce momento di inerzia di un sistema rispetto all’asse a, e si indica con il simbolo Ia , la somma dei prodotti delle masse dei punti del sistema per i quadrati delle rispettive distanze dall’asse.
m2
m1
mi
mN
d1
d2
di
dN
2222
211 NNa dmdmdmI
asse asse
M M
i due sistemi hanno uguale massa M, ma il momento di inerzia del primo è minore di quello del secondo
)(est
C RaM
)(est
aa MI
Seconda equazione cardinale della dinamica dei sistemi
)()( est
a
est
C
a
MR
a
Im
Prima equazione cardinale della dinamica dei sistemi
Seconda equazione cardinale della dinamica dei sistemi
massa
Accelerazione del centro di massa
Risultante delle forze esterne
Momento di inerzia
Accelerazione angolare
Momento assiale delle forze esterne
Grandezze traslazionali Grandezze rotazionali
Equazioni cardinali della statica dei sistemi
)(
)(
est
aa
est
C
MI
RaM
0
0)(
)(
est
a
est
M
R
In condizioni statiche le accelerazioni che compaiono nelle equazioni cardinali della dinamica si annullano
Si ottengono 2 equazioni vettoriali che prendono il nome di equazioni cardinali della statica:
0
0Ca
Dalla definizione di centro di massa, derivando si ricava Proprietà del centro di massa
La forza peso è una forza distribuita: agisce su tutte le parti di un corpo
Se il corpo è rigido la forza peso equivale ad un’unica forza, pari al peso del corpo intero, applicata nel suo centro di massa
gMgmmmgmgmgmR NN
)( 2121
La forza risultante è la stessa
gMgmi
C
MgdgmdmdmdgmdgmdgmdM CNNNNa )( 22112211
Il momento assiale (rispetto ad un asse qualsiasi) è lo stesso
gM
Cd
1d
gm
1
2 1 3 4
gm
3
3d
gm
4gm
2
4d
2d
DEFINIZIONE: Una leva è un corpo rigido vincolato a ruotare attorno ad un asse fisso (fulcro)
Le leve
retta di applicazione della resistenza
Regola di equilibrio delle leve
Forze agenti sulla leva Tipicamente una leva è sollecitata da due forze (dette forza F e resistenza R) che producono momenti assiali di segno opposto (rotazioni di verso opposto), e dalla razione vincolare agente sul fulcro.
gmR
F
RbFbRbFbM RFRF
est
a 00)(
Braccio della
resistenza, bR
Regola d’equilibrio La somma dei momenti assiali delle forze esterne deve essere uguale a aero
retta di applicazione della resistenza
RF
RbFb RF
Braccio della
resistenza, bR
REGOLA DI EQUILIBRIO: Una leva è in equilibrio quando il momento della forza è uguale a quello della resistenza
retta di applicazione della resistenza
RF
Braccio della
resistenza, bR
La forza da applicare per mantenere la leva in equilibrio non dipende dalla resistenza ma dal momento della resistenza.
F
R
b
RbF
Leve vantaggiose
Braccio della forza è maggiore del braccio della resistenza Per equilibrare la resistenza è sufficiente una forza il cui modulo è minore di quello della resistenza
Leve svantaggiose
Braccio della forza è miniore del braccio della resistenza Per equilibrare la resistenza è necessaria una forza il cui modulo è maggiore di quello della resistenza
RFbb RF
RFbb RF
Leve vantaggiose e leve svantaggiose
RbFb RF
RbFb RF
F
R
bF bR
F
R
bF bR
Leve di primo tipo Fulcro in posizione intermedia fra forza e resistenza Le leve di primo genere possono essere vantaggiose o svantaggiose
Leve di primo, secondo e terzo tipo
1° tipo
R
2° tipo
R
Leve di secondo tipo Resistenza in posizione intermedia fra forza e fulcro Le leve di secondo genere sono in generale vantaggiose
3° tipo
F
R
Leve di terzo tipo Forza in posizione intermedia fra resistenza e fulcro Le leve di terzo genere sono in generale svantaggiose
F
F
retta di applicazione della resistenza
Calcolo della forza agente sul fulcro (reazione vincolare)
gmR
F
)(00)(
RFRFRest
Braccio della
resistenza, bR
Regola d’equilibrio
F
R
Biomeccanica del sistema muscoloscheletrico
F
R
bR
Esempio di leva anatomica di 3° tipo (svantaggiosa)
3° tipo
R
F
L’articolazione del gomito
quadriceps quadriceps
RbFb RF
F
R
bR
bF
F
R
b
RbF
L’articolazione del ginocchio
F
R
F = forza muscolare
R = Resistenza
bF = Braccio della forza muscolare
bR = Braccio della resistenza
bR
bF
F
R
b
RbF
Esempio di leva anatomica di primo tipo svantaggiosa
R
F
L’articolazione atlanto-occipitale
Le leve anatomiche sono in maggioranza svantaggiose. Ciò sembrerebbe un controsenso.
F
R
bR
Il paradosso delle leve anatomiche
00)(
RFRest
RbFbM RFest
a 0)(
Forza di reazione articolare
F
F
R
R
Tipicamente il carico sulle articolazioni è maggiore del carico esterno R.
F
Consideriamo una leva svantaggiosa:
E’ necessaria una grande forza n volte più grande della resistenza per mantenere la leva in equilibrio
RbR bF
RFbb FR 1010
Leve di forza e leve di spostamento/velocità
R
F
DsF
DsR
RFRF LLsRsF DD
E’ necessaria una grande forza per spostare una piccola resistenza, ma lo spostamento della resistenza è n volte grande rispetto a quello del punto di applicazione della forza, e punto di applicazione della resistenza si sposta ad una velocità n più elevata di quello della forza.
Il lavoro compiuto dalla forza e la resistenza è lo stesso
In realtà una leva svantaggiosa dal punto dinamico(delle forze) è vantaggiosa dal punti di vista cinematico (degli spostamenti e delle velocità) e viceversa
RFbb FR 1010
FR ss DD 10 FR VV 10
Lo spostamento del carico è grande rispetto allo spostamento del punto di applicazione della forza muscolare (grande rispetto all’accorciamento del muscolo. Il carico di sposta ad una velocità più grande della velocità con cui accorcia il muscolo.
Spostamento del carico
Accorciamento del muscolo
Lunghezza iniziale del muscolo
Lunghezza finale del muscolo
Il muscolo riesce a mantenere livelli elevati di forza (vedi curva forza-lunghezza e curva forza-velocità del muscolo nel seguito)
Le leve anatomiche sono prevalentemente leve di spostamento/velocità
F
Componente rotatoria
F
Componente rotatoria
Compressione articolare
Compressione articolare
R
R
Componente rotatoria e componente di compressione
Il dinamometro isocinetico
RbFb
RbFb
RbFb
RF
RF
RF
F
R
F = forza muscolare
R = Resistenza
bF = Braccio della forza muscolare
bR = Braccio della resistenza
bR
bF
La velocità angolare tende ad aumentare
La velocità angolare resta costante
La velocità angolare tende a diminuire
Durante un erercizio massimale F a bF variano, dunque varia anche il momento BFF (torque curve). Durante il movimento Il dinamometro cambia il valore della resistanza R in modo da mantenere la condizione bRR = BFF cioè la velocità angolare costante ed ugulale ad un valore prederminato. • Se la velocità tende ad aumentare rispetto
al valore prefissato, il dinamomenro aumenta R fino a che la velocità angolare ritorna al valore prefissato
• Se la velocità tende ad diminuire rispetto al valore prefissato, il dinamomenro diminuisce R fino a che la velocità angolare ritorna al valore prefissato
( )est
a aM I
F R ab F b R I
Curve isocinetiche dei muscoli estensori del ginocchio
RbFb RF
Condizione di equilibrio di un corpo appoggiato su un piano
gM
gM
Per corpi in appoggio, la condizione di equilibrio è che la verticale passante per il centro di massa (retta di applicazione della forza peso cada dentro la base di appoggio
Stabilità di un corpo appoggiato su un piano
gM
gM
Per corpi in appoggiati su un piano, a parità di massa, più basso è il centro di massa e più è larga è la base di appoggio, più stabile è il sistema F
F
bra
ccio
del
la f
orz
a
bra
ccio
del
la f
orz
a
braccio del peso braccio del peso
gM
gM
Per corpi in appoggiati su un piano, a parità di massa, più basso è il centro di massa e più è larga è la base di appoggio, più stabile è il sistema
Postura
Ankle. For the ankle, the gravity line is anterior to the joint, so it tends to rotate the tibia forward about the ankle. Stability is provided by the plantarflexor muscles, primarily the soleus muscle. Knee. The normal gravity line is anterior to the knee joint, which tends to keep the knee in extension. Stability is provided by the anterior cruciate ligament, posterior capsule (locking mechanism of the knee), and tension in the muscles posterior to the knee (the gastrocnemius and hamstring muscles). The soleus provides active stability by pulling posteriorly on the tibia. With the knees fully extended, no muscle support is required at that joint to maintain an upright posture; however, if the knees flex slightly, the gravity line shifts posterior to the joint, and the quadriceps femoris muscle must contract to prevent the knee from buckling. Hip. The gravity line at the hip varies with the swaying of the body. When the line passes through the hip joint, there is equilibrium, and no external support is necessary. When the gravitational line shifts posterior to the joint, some posterior rotation of the pelvis occurs, but is controlled by tension in the hip flexor muscles (primarily the iliopsoas). During relaxed standing, the iliofemoral ligament provides passive stability to the joint, and no muscle tension is necessary. When the gravitational line shifts anteriorly, stability is provided by active support of the hip extensor muscles. Trunk. Normally, the gravity line in the trunk goes through the bodies of the lumbar and cervical vertebrae, and the curves are balanced. As the trunk shifts, contralateral muscles contract and function as guy wires. Extreme or sustained deviations are supported by inert structures. Head. The center of gravity of the head falls anterior to the atlanto-occipital joints. The posterior cervical muscles contract to keep the head balanced.
HF
quadriceps
hamstrings
quadriceps
flexion
TF c
om
pre
ssio
n
QF
hamstrings
quadriceps
PCL load
QF
quadriceps quadriceps
hamstrings
QF
quadriceps
HF
PCL load TF compression
Sollevamento di un carico
Stazione eretta
colonna in neutro e in parziale scarico
perso della parte superiore del corpo
bR=0
R
0 Rb
bF
F
R
l’attività muscolare è trascurabile (tono posturale)
RR
0
la giunzione lombo-sacrale sopporta il peso della parte superiore del corpo
Flessione della colonna vertebrale nel sollevamento di un carico
colonna in neutro e in carico
bR F
R
bF
perso della parte superiore del corpo e del carico
attività dei muscoli estensori del rachide lombare
colonna in neutro e in carico colonna in neutro e in scarico colonna in flessione e in scarico colonna in flessione e in carico
The nuclear material may impinge against the spinal cord or nerve roots. This potentially painful impairment is frequently referred to as a herniated or prolapsed disc, or more formally a herniated nucleus pulposus. Persons with a herniated disc may experience pain or altered sensation, muscle weakness, and reduced reflexes in the lower extremity, consistent with the specific motor and sensory distribution of the impinged nerve root .
bR
bR
bF
bF
RbFb RF
F
F
R R
Inclinazione del tronco nel sollevamento di un carico
L1 to L4 Region • In normal posture the superior surfaces of the bodies of
the middle lumbar vertebrae are typically positioned in a more horizontal orientation.
• The erector spinae muscle fibers that cross this region more likely produce a posterior shear across the lumbar interbody joints. This muscle-produced shear may be physiologically useful, offering resistance to the anterior shear that may be produced during bending and lifting loads in front of the body.
L5-S1 Junction • The base (top) of the sacrum is naturally inclined
anteriorly and inferiorly, forming an approximate 40-degree sacrohorizontal angle when one is standing.
• For this reason, the force vector of the erector spinae muscle that crosses L5-S1 (ES/5-1) creates an anterior shear force (ES/5-1S) parallel to the superior body of the sacrum. A greater muscular force increases the anterior shear at the L5-S1 junction, especially if the muscle activation exaggerates the lordosis.
• the resultant force resulting from body weight (BW) creates an anterior shear force (BWS), and a compressive force (BWC) acting perpendicular to the superior surface of the sacrum.
Anterior shear force at the L5-S1 junction
L1 to L4 Region The facet surfaces of most lumbar apophyseal joints are oriented nearly vertically, with a moderate-to-strong sagittal plane bias. This orientation favors sagittal plane motion at the expense of rotation in the horizontal plane.
L5-S1 Junction The facet surfaces of the L5-S1 apophyseal joints have a nearly frontal-plane orientation, This orietantation is ideal for resisting the anterior shear at this region.
Several structures resist the natural anterior shearing force produced at the L5-S1 junction and provide bony stabilization to the L5-S1 junction: • The wide and strong anterior longitudinal ligament • The iliolumbar ligament • the wide, sturdy articular facets of the L5-S1 apophyseal joints
Stabilization of the L5-S1 junction
Anterior and posterior pelvic tilt
• Anterior pelvic tilt (A) extends the lumbar spine and increases the lordosis. This action tends to shift the nucleus pulposus anteriorly and reduces the diameter of the intervertebral foramen (C).
• Posterior pelvic (B) tilt flexes the lumbar spine and decreases the lordosis. This action tends to shift the nucleus pulposus posteriorly and increases the diameter of the intervertebral foramen (D).
Body weight and lumbar extensor muscles create a compression force within the L5-S1 apophyseal joints.
Anterior spondylolisthesis at L5-S1 junction
Without adequate stabilization, the lower end of the lumbar region can slip forward relative to the sacrum. This abnormal, potentially serious condition is known as anterior spondylolisthesis.
Increased lumbar lordosis increases the normal sacrohorizontal angle, thereby increasing the anterior shear force between L5 and S1. Exercises or other actions that create a forceful hyperextension of the lower lumbar spine can impose excessive compression on the facet surfaces of the L5-S1 apophyseal joints
Squat
Lumbar spine flexion
Flessione del rachide lombare (40-50°) grandezza fisica effetto della flessione implicazioni biomeccaniche
vert
ebre
e d
isco
Movimento relativo dei corpi vertebrali ogni vertebra si inclina e scivola leggermente in avanti rispetto alla vertebra sottostante
A chronic posture of increased flexion of the lumbar spine places a disproportionally larger compressive load on the intervertebral discs, theoretically increasing their likelihood for degeneration. A disc with a weak, cracked, or distended posterior annulus may experience a posterior migration (or oozing) of the nucleus pulposus. In some cases the nuclear material may impinge against the spinal cord or nerve roots (herniated or prolapsed disc, or more formally a herniated nucleus pulposus). Persons with a herniated disc may experience pain or altered sensation, muscle weakness, and reduced reflexes in the lower extremity, consistent with the specific motor and sensory distribution of the impinged nerve root.
Forza di compressione sui dischi intervertebrali
aumento della forza di compressione sul disco specialmente nella sua parte anteriore
Cambiamento di forma del disco intervetebrale
diminuzione di spessore nella parte anteriore e aumento di spessore nella parte posteriore
sollecitazione dell’anello fibroso aumento di tensione sule fibre posteriori dell’anello fibroso
Spostamento del nucleo polposo
il nucleo polposo viene spinto all’indietro
Pressione del nucleo polposo sulle fibre dell’anello fibroso
aumento di pressione sulle fibre posteriori dell’anello fibroso
arti
cola
zio
ni i
nte
rap
ofi
sari
e Movimento relativo delle facce articolari
delle articolazioni interapofisarie la faccie aticolari inferiori di una vertebra (L2) scivola superiormente e anteriormente, rispetto alla feccette articolari superiori della vertebra sottostante (L3).
Area di contatto fra le superfici articolari interapofisarie
diminuzione
variazione della tensione della capsula dell’articolazione interapofisaria
tensionamento (allungamento)
forza di compressione sulle facce articolari
il carico è trasferito dalle articolazioni interapofisarie al disco e i corpi vertebrali
pressione sulle facce articolari incerto (la compressione aumento ma l’area contatto diminuisce)
lega
men
ti
Ten
sio
ne
de
i le
gam
en
ti
legamento longitudinale anteriore detensionamento legamento longitudinale posteriore
tensionamento (allungamento)
legamento giallo tensionamento (allungamento) legamento intertasversario tensionamento (allungamento) legamento interspinoso tensionamento (allungamento) legamento sovraspinoso tensionamento (allungamento)
fora
me
e ca
nal
e diametro del forame intervertebrale
aumento (19%) Lumbar flexion may be used therapeutically as a way to
temporarily reduce the pressure on a lumbar spinal nerve root that is impinged on by an obstructed foramen
diametro del canale vertebrale
aumento Lumbar flexion may be used therapeutically as a way to temporarily reduce the pressure on spinal cord due to a stenosis of vertebral canal
variazione di tensione del midollo spinale
tensionamento (allungamento) Lumbar flexion may be used therapeutically as a way to mobilization of spine neural tissues
asse
tto
un
ità
LPF movimento pelvico associato
retroversione con diminuzione del grado di lordosi lombare La posizione del cocchiere seduti con il rachide in flessione
può essere consigliato in caso di accentuata iperlordosi e a chi soffre di lombalgia da spondilolisi e spondilolistesi
limiti al movimento fibre posteriori dell’anello fibroso, capsula dell’articolazione iner-apofisaria, tutti i legamenti tranne il legamento longitudinale anteriore
A habitually slouched sitting posture with lumbar spine in complete flexion may, in time, overstretch and thus weaken the posterior annulus fibrosus, reducing its ability to block a posteriorly protruding nucleus pulposus.
Lumbar spine hyperextension
Estensione del rachide lombare (40-50°)
grandezza fisica effetto della estensione implicazioni biomeccaniche
vert
ebre
e d
isco
Movimento relativo dei corpi vertebrali ogni vertebra si inclina indietro e scivola leggermente in indietro rispetto alla vertebra sottostante
Therapeutic approaches that emphasize sustained active and passive extension (McKenzie) has been shown to reduce pressure within the disc and to yield relief of symptoms and improvement of function in persons with a known posterior or posterior-lateral disc herniationin (the anterior displacement of the nucleus reduces the contact pressure between the displaced nuclear material and the neural tissues.
Forza di compressione sui dischi intervertebrali
diminuzione della forza di compressione sul disco
Cambiamento di forma del disco intervetebrale
aumento di spessore nella parte anteriore e leggera diminuzione di spessore nella parte posteriore
sollecitazione dell’anello fibroso aumento di tensione sule fibre anteriori dell’anello fibroso Spostamento del nucleo polposo il nucleo polposo viene spinto in avanti Pressione del nucleo polposo sulle fibre dell’anello fibroso
aumento di pressione del nucleo sulle fibre anteriori dell’anello fibroso
arti
cola
zio
ni i
nte
rap
ofi
sari
e
Movimento relativo delle facce articolari delle articolazioni interapofisarie
la faccie aticolari inferiori di una vertebra (L2) scivolano inferiormente e leggermente posteriormente, rispetto alla fecce articolari superiori della vertebra sottostante (L3).
a chronic posture of lumbar hyperlordosis can place large and potentially damaging stress on the apophyseal joints and adjacent regions.
Area di contatto fra le superfici articolari interapofisarie
aumenta dalla posizione neutra ad una posizione in leggera estensione, ma diminuisce all’approssimarsi della iperestensione completa
tensione della capsula dell’articolazione interapofisaria
detensionamento
forza di compressione sulle facce articolari
il carico è trasferito dal disco e i corpi vertebrali alle articolazioni interapofisarie
pressione sulle facce articolari costante dalla posizione neutra a leggera estensione (aumenta la forza di compressione, diminuisce la superficie di contatto) , aumenta all’approssimarsi della iperestensione completa (aumenta la forza di compressione, dimunuisce la superficie di contatto, e il bordo inferiore delle facce articolari inferiori della vertebra sovrastante entrano in contatto con le lamine della vertebra sottostante).
lega
men
ti legamento longitudinale anteriore tensionamento (allungamento) hyperextension of the lumbar spine can compress the
interspinous ligaments, possibly creating a source of low-back pain
legamento longitudinale posteriore detensionamento legamento giallo detensionamento legamento intertasversario detensionamento legamento interspinoso detensionamento legamento sovraspinoso detensionamento
fora
me
e ca
nal
e diametro del forame intervertebrale
Relative to the neutral position, full lumbar extension reduces the diameter of the intervertebral foramina by 11%
A person with nerve root impingement caused by a stenosed intervertebral foramen should limit activities that involve hyperextension, especially if they cause weakness or altered sensations in the extremities.
diametro del canale vertebrale
diminuzione Lumbar extension may increase the pressure on spinal cord due to a stenosis of vertebral canal
variazione di tensione del midollo spinale detensionamento
lord
osi
movimento pelvico associato
anteroversione con aumento del grado di lordosi lombare exaggerated lordosis increases the sacrohorizontal angle and thus the anterior shear force at the lumbosacral junction, possibly favoring the development of an anterior spondylolisthesis of the lower lumbar region
limiti al movimento contatto delle facce articolari dell’articolazione interapofisaria, legamento longitudinale anteriore, fibre anteriori dell’anello fibroso
increased compression within the lumbar apophyseal joints, and between posterior elements of lumbar vertebrae
Sollevamento di un carico: consigli posturali ed ergonomici
1. Mantenere la colonna in neutro, in particolare non rettificare o invertire la lordosi lombare.
2. Mantenere il carico vicino al tronco ed evitare di inclinare troppo il tronco in avanti creando eccessivo sbalzo orizzontale fra testa
e zona lombare.
3. Non mantenere il tronco verticale e creare eccessivo sbalzo orizzontale tra il ginocchio e il piede (portare il ginocchio
eccessivamente in avanti rispetto al piede).
4. Flettere l’anca ed il ginocchio simultaneamente in modo che la distanza orizzontale di anca e ginocchio dalla base di appoggio sia
circa la stessa.
5. Mantenere tutta la pianta del piede a contatto con il suolo senza sollevare il tallone da terra.
Capitolo 3:
MECCANICA DEI FLUIDI
• I fluidi • Statica dei fluidi • Dinamica dei fluidi e circolazione del sangue
I fluidi
I fluidi
Stati di aggregazione: caratteristiche macroscopiche Isolidi hanno forma e volume propri. I liquidi hanno volume proprio ed assumono la forma del contenitore. I gas non hanno forma e volume propri ma assumono la forma ed il volume del contenitore che li contiene. Stati di aggregazione: caratteristiche microscopiche Solidi, liquidi e gas possono essere distinti anche in base alla diversa entità delle forze intermolecolari : Nei solidi le interazioni sono più intense e le particelle possono solo oscillare attorno a pozioni fisse nello spazio. Nei gas le molecole sono in moto individuale disordinato e sono in media a distanze tali che le mutue interazioni sono trascurabili, tranne che durante le collisioni con altre molecole del gas o con e pareti del recipiente. Nei liquidi si ha una situazione intermedia, le particelle possono muoversi all’interno del volume occupato, tuttavia le forze mantengono la coesione (prossimità) fra le particelle. Fluidi Si definisce fluido una sostanza che si deforma illimitatamente (fluisce) se sottoposta a uno sforzo di taglio, indipendentemente dall'entità di quest'ultimo; è un particolare stato della materia che comprende i liquidi e i gas. Fluidi ideali Come per i sistemi materiali si introduce anche per i fluidi un modello ideale. Un fluido si dice ideale se é • Incomprimibile (densità e volume indipendenti dalla pressione), • Privo di viscosità (assenza di forze di taglio fra strati adiacenti di fluido in moto relativo).
Statica dei fluidi
• Sono forze a corto raggio (ogni particella interagisce solo con le particelle adiacenti per contatto)
• Non sono applicate ad un punto ma distribuite su intere superfici
(es. forza esercitata dalle particelle di un liquido sulla superficie del recipiente che lo contiene)
• Sono forze di spinta, e non di taglio* o trazione: sono sempre perpendicolari alla superficie che si trova a contatto con le particelle e dirette verso l’interno di questa superficie (le particelle possono solo spingere)
*solo nella dinamica dei fluidi viscosi si possono avere anche forze di taglio
Forze esercitate dalle particelle di un fluido
Le forze esplicate dalle particelle di un fluido hanno le seguenti caratteristiche:
Per caratterizzare queste forze si introduce il concetto di pressione
Le forze che le particelle di fluido esercitano su un elemento di superficie DS di un corpo posto al suo interno: sono le forze di contatto esercitate dalle particelle di fluido a contatto con la superficie DS; non sono applicate ad un punto ma distribuite su tutta la superficie DS; sono forze di spinta, sempre perpendicolari alla superficie del corpo e dirette verso il suo interno
DS
liquido
solido
questa particella trasferisce sulla superficie del solido il peso di tutte particelle sovrastanti
DS
liquido
Ogni particella di fluido spinge con la stessa forza in tutte le direzioni: tutte le superfici del solido sono soggette a forze di pressione
solido
DS
liquido
solido
Ogni particella di fluido spinge con la stessa forza in tutte le direzioni: tutte le superfici del solido sono soggette a forze di pressione
Pressione
Consideriamo un liquido contenuto in un recipiente. Le forze che le particelle di fluido esercitano sul fondo del recipiente hanno queste caratteristiche: sono forze a corto raggio date dal peso del fluido soprastante non sono applicate ad un punto ma distribuite su tutta la superficie del parte inferiore sono forze di spinta (non di trazione o taglio) sempre perpendicolari alla superficie del fondo
F
2 F
S 2S
MM2 h h
La forza sul fondo del recipiente più grande è doppia rispetto a quello più piccolo, ma agisce su una superficie che è due volte più grande: la forza per unità di superficie (la forza agente su ogni mattonella) è la stessa la forza agente sulla superficie diviso l’area della superficie (pressione) è la stessa
S
F
S
FP
2
2
S
FP
F
2 F
S 2S
la pressione P è la stessa
Il liquido esercita una pressione su tutte le superfici che sono al suo interno: la pressione esercitata su una superficie S non dipende dal fatto che quella sia la superficie di un solido o dello stesso liquido, o del recipiente
liquido
liquido
S
FP
solido
S S
pressione esercitata dal liquido su una superficie del liquido stesso
pressione esercitata dal liquido su una superficie di un solido
la pressione è la stessa
pressione esercitata dal liquido sul fondo del recipiente
pressione esercitata dal liquido su una superficie del liquido stesso
S
FP
pressione esercitata dal liquido su una parte della superficie laterale del recipiente
pressione esercitata dal liquido sul fondo del recipiente
pressione esercitata dal liquido su una superficie del liquido stesso
pressione esercitata dal liquido su una parte della superficie laterale del recipiente
S
FP
SD
S
Fp
SS D
D
DD
)P(0
limP
S
FP
D
D
La pressione agente su un punto P del fluido si definisce come limite della pressione media
Pressione media e pressione in un punto del fluido
La pressione agente su una superficie DS può non essere uniforme: alcuni elementi delle superficie possono essere soggetti ad una pressione maggiore, altri ad una pressione minore. Si definisce allora la pressione media sull’elemento di superficie DS
atm. Torr kgpeso/cm2 bar mbar Pascal
1 atmosfera = 1 760 1.033 1.013 1.013·103 1.013·105 1 Torr = 1 / 760 10-3 1 1.32·10-3 1.333x10-3 1.333 1.333·102 1 kgpeso/cm2 = 0.968 736 1 0.981 0.981·103 0.981·103
1 bar = 0.987 750 1.019 1 103 105 1 mbar = 0.987·10-3 0.750 1.019·10-3 10-3 1 102 1 Pascal = 0.987·10-5 0.750·10-2 1.019·10-5 10-5 10-2 1
Unità del SI: il Pascal 1 Pascal 1 N/m2 L’ atmosfera 1 atmosfera = 1.013·105 Pa Il kgpeso/cm2 kgpeso/cm2 = 0.981·105 Pa Il torr (mmHg) 760 torr = 1 atm; 1 torr = 1/760 atm = 1.013x105 / 760 Pa = 1.333x102 Pa I multipli del Pascal 1 bar 105 Pa 1 atm = 1.013 bar kgpeso/cm2 = 0.981 bar 1 mbar 10-3 bar =102 Pa 1 torr = 1.333 mbar Tabella di conversione delle unità di pressione.
Unità di misura della pressione
Legge di Stevino
Enunciato La differenza di pressione fra due punti in un fluido omogeneo, incomprimibile, pesante ed in equilibrio, è pari al peso di una colonna di fluido di sezione unitaria ed altezza pari alla differenza di quota (distanza verticale) fra i due punti
z
z0
Szp )(
Szp )( 0
MggzzSSzpSzp )()()( 00
Dimostrazione: Condizione di equilibrio di una pozione cilindrica di fluido di densità , massa M, volume V, base S e altezza h:
ghzpzzgzpzp )()()()( 000
MgSzpSzp )()( 0
)( 0zzSVM ghphp atm )(
Recipiente aperto (h = profondità rispetto alla superficie libera):
La pressione aumenta linearmente con la profondità
Valori della pressione media venosa e arteriosa in un soggetto in posizione eretta
In posizione eretta, la pressione media del sangue nei vari distretti viene notevolmente alterata dall’effetto della pressione idrostatica. La pressione nei vasi inferiori viene incrementata in maniera importante. Effetto della pressione idrostatica sui vasi arteriosi Le pareti di vasi sono costituite da tessuto elastico e tessuto muscolare in grado di sostenere pressioni fino a 200 mmHg → Nei vasi arteriosi l’effetto ha scarse conseguenze. Il sangue a causa della forza peso tende a portarsi al livello più basso compatibilmente con la capienza e la dilatabilità dei vasi. → Il cuore deve quindi deve esercitare una pressione supplementare per fare equilibrio al peso del sangue sovrastante, e un maggior lavoro per far salire il sangue fino al cervello → Se la pressione idrostatica della colonna di sangue sovrastante supera la pressione esercitata dal cuore, il sangue non arriva più al cervello. 760 mmHg → colonna di 10 m di acqua 100 mmHg → pressione di una colonna di acqua (o sangue) di 1,36 m Una pressione sistolica di 100 mmHg può fare equilibrio a un dislivello di oltre un metro (la distanza cuore cervello non supera mezzo metro) In condizioni di accelerazioni intense la circolazione cerebrale si può arrestare
Effetto della pressione idrostatica
h = DP/g = 1.3·104 Pa / (103 kg/m3·10 m/s2 ) = 1.36 m
100 mmHg = 100·(1.33·102 Pa) = 1.3·104 Pa
100 mmHg → pressione di una colonna di acqua (o sangue) di 1,3 m
ghP D
DP = gh ≈ 103 kg/m3·10 m/s2 ·1.2 m = 1.2·104 Pa = 1.2·104 · (0.75·10-2 mmHg) = 90 mmHg
differenza di pressione fra arti inferiori e cuore: 1,2 m di dislivello
DP = gh ≈ 103 kg/m3·10 m/s2 ·0.4 m = 0.4·104 Pa = 0.4·104 · (0.75·10-2 mmHg) = 30 mmHg
differenza di pressione fra cuore e cervello: 0.4 m di dislivello
pressione a livello degli arti inferiori : 90+90=180 mmHg
pressione a livello del cervello: 90-30=60 mmHg
1 atmosfera (760 mmHg) corrisponde alla pressione di una colonna di acqua alta 10 m.
h = DP/g ≈ 105 Pa / (103 kg/m3·10 m/s2 ) = 10 m
La densità del mercurio è 13,6 volte più grande di quella del’acqua. Ci vuole una colonna di acqua alta 13,6 volte quella di mercurio per produrre una stessa pressione
la pressione prodotta da una colonna di 100 mm di mercurio (1000 mmHg), corrisponde alla pressione prodotta da 100*13.58 mm = 136 mm = 1.36 m di acqua
Hg
acqua
100 mm
1.36 m
gzzp )(
Effetto della pressione idrostatica sui vasi venosi Le pareti dei vasi venosi sono sottili e contengono poco tessuto elastico. → La pressione idrostatica nei vasi degli arti inferiori tende a far dilatare le vene. Questo inconveniente in parte ovviato da • la presenza nelle vene delle valvole a nido di rondine: hanno la
funzione di spezzare la colonna di sangue e di diminuire la pressione sulla parete venosa
• la contrazione dei muscoli, intorno alla vena, aiuta il ritorno del sangue al cuore, impedendo la stasi del sangue nelle vene
Un cattivo funzionamento delle valvole venose e dei muscoli degli arti inferiori ha come conseguenza l’indebolimento e la deformazione della parete venosa (vene varicose) Quando un individuo passa bruscamente dalla posizione supina a quella eretta, si può verificare un rallentamento della circolazione nelle regioni cerebrali, dovuta a una temporanea stasi del sangue nei territori venosi degli arti inferiori, dove la pressione idrostatica aumenta bruscamente
h > 18x1.33102 / (9.8 * 103) m = 0,24 m = 24 cm
Fleboclisi con gocciolamento per gravità
h
Pvena = 18 mmHg = 18 x 1.33102 Pa
venapgh
g
ph vena
g = 9.8 m/s2 103 kg/m3
vena
Camera di gocciolamento
Tubo sterile
Contenitore sterile
Set standard di infusione
Principio di Pascal
Enunciato Un aumento di pressione in un punto di un fluido incomprimibile, omogeneo, pesante e in equilibrio, si trasmette istantaneamente in tutti gli altri punti del fluido.
ghzzgzpzp )()()( 1212
• Se si produce dall’esterno un aumento di pressione Dp in uno dei due punti, ciò non provoca variazioni nelle grandezze (il fluido è incomprimibile), g e h.
• Non cambia quindi la differenza p(z1)-p(z2) • Lo stesso aumento si deve avere nella pressione del secondo
punto, dovendo la differenza rimanere costante.
Giustificazione Consideriamo 2 punti all’interno del fluido, la differenza di pressione è data dalla legge di Stevino:
P1
P2
Pressa idraulica
F1
F2
2
22
1
111
S
FP
S
FPF DD
21 PP DD
Per il principio di Pascal
2
2
1
1
S
F
S
F
S1 S2 d1
d2
Il volume di fluido (incomprimibile) resta costante:
2211 dSdS
Il lavoro compiuto dalle due forze è lo stesso
2211 dFdF
Lo spostamento dei pistoni è inversamente proporzionale alle relative forze:
1
2
2
1
d
d
S
S
Se S2 è 10 volte più grande di S1, la forza applicata in S1 produce su S2 una forza 10 volte più grande (ma uno spostamento 10 volte più piccolo).
Risultante delle forze agenti su un corpo immerso in un fluido
?
Enunciato Un corpo completamente o parzialmente immerso in fluido è soggetto ad una forza (spinta di Archimede) 1. diretta verticalmente 2. dal basso verso l’alto 3. in modulo pari al peso del fluido spostato 4. applicata nel centro di massa del fluido spostato (centro di spinta S)
Principio di Archimede
S S
gVgMF flspflspflA .....
fluido spostato
peso del fluido spostato
centro di massa del fluido spostato
Le forze di pressione sono le stesse
Misura della densità
h H
archpeso FF
gShgSH flS .
gVgV flspflS ...
.. flflSH
h
H
H
archpeso FF
gSHgSH flS .
gVgV flspflS ...
.flS
RFF archpeso
RgSHgSH fl.S
RgVgV flspflS ...
.. flflSSHg
R
S
Forze di compressione articolare in acqua
Buoyancy Buoyancy provides the patient with relative weightlessness and joint unloading by reducing the force of gravity on the body. In turn, this allows the patient to perform active motion with increased ease.
? ?
80 kg
80
? ?
80 kg
80
40 40
80 kg
? ?
80 kg
70
? ?
80 kg
35
70
35
80 kg
80 kg
?
50
?
80 kg
50
50
80 kg
80
40
35
70
40
35
50
50
72
? ?
80
40 40
80
Depth of Immersion
Percent of Bodyweight
C7 10% Xyphoid 33% ASIS 50%
72
4 4
80
40 40
80
Depth of Immersion
Percent of Bodyweight
C7 10% Xyphoid 33% ASIS 50%
40
? ?
80
40 40
80
Depth of Immersion
Percent of Bodyweight
C7 10% Xyphoid 33% ASIS 50%
40
20 20
80
40 40
80
Depth of Immersion
Percent of Bodyweight
C7 10% Xyphoid 33% ASIS 50%
?
70
?
65
35 35
70
2.5
70
2.5
65
35
70
35
?
70
?
10
35
70
35
30
70
30
10
35
70
35
50
50
50
?
45
50
50
50
5
45
50
50
50
?
50
50
50
50
Equilibrio del corpo umano in acqua
archF
P
tessuto densità (g/cm3)
osso corticale 1.990
pelle 1.100
sangue 1.060
muscolo 1.041
acqua 0.993
grasso 0.928
aria 0.0012
Tensione elastica
Comportamento elastico di una membrana • Se una membrana elastica viene tesa, al suo interno si sviluppano delle forze di reazione che sono tangenti alla
superficie della membrana ed applicate perpendicolarmente ai bordi della membrana che sono messi in tensione. • Se viene fatto un taglio nella membrana mentre essa è in tensione, le forze elastiche applicate ai bordi del taglio
tendono a dilatare il taglio stesso. • Per mantenere la membrana nella forma che aveva prima del taglio bisogna applicare un sistema di forze come
quelle che sono rappresentate in figura, e che evidentemente coincidono con quelle che agivano prima del taglio.
FT FT FT
FT
l
FTel
l
Tensione elastica Si definisce tensione elastica di una membrana la forza elastica per unità di lunghezza applicata al contorno della membrana:
La parte di membrana a sinistra del taglio (sx) è in equilibrio sotto l’azione delle forze rappresentate in azzurro
La parte di membrana a destra del taglio (dx) è in equilibrio sotto l’azione delle forze rappresentate in nero
sx dx
FT FT 1 2 3
Forze esercitate da 1 su 2
Forze esercitate da 3 su 2
Forza esercitata da 3 su 2
Forza esercitata da 1 su 2
FT FT
2
1 3
Pinterna
Pesterna
Pinterna> Pesterna
Sezione trasversale di un vaso
FT FT
Pinterna
(Pinterna- Pesterna)DS
Pesterna
FT FT Pinterna
Pesterna
(Pinterna- Pesterna)DS
Pesterna
Pinterna
Sezione longitudinale di un vaso
Pesterna
Pinterna
FT FT
D FT FT sin
(D
/ 2
FT sin
(D
/ 2
FT
(pint-pest)DS
DS = R D l
R
Formula di Laplace
DD
22)( int llRpp est
l
lRppSpp estest DD )()( intint
222sin
D
D
DlFF TT
Rpp est
)( int
All’equilibrio Risulta: Si ha dunque:
Membrana cilindrica di raggio R Formula di Laplace per il calcolo della tensione elastica di una membrana cilindrica (es. vaso arterioso) soggetta a una pressione interna pint e a una pressione esterna pest ( pint > pest )
Formula di Laplace
D/2
DD
2sin2)( int Test FSpp
Membrana a forma di ellissoide di rotazione Formula di Laplace per il calcolo della tensione elastica di una membrana a forma di ellissoide di rotazione soggetta a una pressione interna pint e a una pressione esterna pest ( pint > pest )
21
int
11)(
RRpp est
Membrana sferica di raggio R Formula di Laplace per il calcolo della tensione elastica di una membrana sferica di raggio R soggetta a una pressione interna pint e a una pressione esterna pest ( pint > pest )
Rpp est
)( int
Dinamica dei fluidi e Circolazione del sangue
Moto stazionario
Moto Stazionario Il moto di un fluido si dice stazionario se il valore delle grandezze fisiche (pressione, densità e velocità del fluido) in un punto qualsiasi dello spazio interessato dal moto del fluido si mantiene costante nel tempo.
Av
Bv
Nel punto A, la pressione, la densità e la velocità del fluido restano costanti nel tempo
A B
Nel punto B, la pressione, la densità e la velocità del fluido restano costanti nel tempo
La pressione, la densità e la velocità nel punto A possono essere diverse da quelle nel punto B
Equazione di continuità
S1
S2
v1dt v2dt
Nel moto stazionario di un fluido omogeneo e incomprimibile all’interno di un tubo di flusso, la massa di fluido fra due sezioni S1 e S2 del tubo resta costante nel tempo. La massa di fluido che attraversa le sezioni S1 e S2 nel tempo dt deve essere la stessa:
dtvSdtvSdmdm 221121 2211 vSvS
Portata
Il prodotto Sv prende il nome di portata e rappresenta il volume di fluido che attraversa una sezione del tubo nell’unità di tempo. Nel moto stazionario di un fluido omogeneo e incomprimibile all’interno di un tubo di flusso, la portata è la stessa in tutte le sezioni del tubo.
(Equazione di continuità)
v1dt v2dt
Se la sezione del tubo diminuisce, allora la velocità del fluido aumenta.
Velocità del sangue
I capillari sono i vasi sanguigni di sezione minore, ed interconnettono le rete delle arterie e quella delle vene. A livello dei capillari avviene lo scambio di acqua, ossigeno, anidride carbonica, e molti altri nutrienti chimici e sostanze di scarto tra sangue e tessuti limitrofi. Il capillare è capace di nutrire tessuto per un raggio di 1mm. Quindi, il numero di capillari in un tessuto dipende dalla massa del tessuto stesso. È questo particolare che contribuisce a impedire o a permette lo sviluppo di un tumore. Se il tumore ha capacità angiogeniche (di sviluppare nuovi vasi sanguigni a partire da altri già esistenti) avrà quindi possibilità di aumentare di volume.
Teorema di Bernoulli
S2
v2 dt
S1
Ipotesi: Fluido ideale e pesante, in moto stazionario in un sottile tubo di flusso. Consideriamo la massa di fluido che all’istante t è compresa fra e sezioni S1 e S2
Dopo un tempo dt la stessa massa di fluido sarà compresa fra e sezioni S’1 e S’2
S’1
S’2
v1 dt
S2
v1 dt
v2 dt
S1 S’1
S’2
Ipotesi: Fluido ideale e pesante, in moto stazionario in un sottile tubo di flusso. Consideriamo la massa di fluido che all’istante t è compresa fra e sezioni S1 e S2
Dopo un tempo dt la stessa massa di fluido sarà compresa fra e sezioni S’1 e S’2
S2
v1 dt
v2 dt
S1
Nulla è cambiato fra le sezioni S’1 e S2 dall’istante t all’istante t+dt E’ come se un elemento di massa dm fosse passato da quota h1, velocità v1 e pressione p1 a quota h2, velocità v2, e pressione p2
S’1
S’2
dm
h1
h2
p1
p2 dm
1 1 2 2dm S v dt S v dt
S2
v1 dt
v2 dt
S1
h1
h2
1 1 2 2dm S v dt S v dt
21 hhgdmdLpeso
21222111 pp
dmdtvSpdtvSpdLpressione
2
1
2
22
1vvdmdEC
Cpressionepeso dEdLdL
2
222
2
1112
1
2
1vghpvghp
p1 S1
p2 S2
dm
dm
Applichiamo il teorema del lavoro nell’intervallo di tempo [t, t+dt] alla massa fluida (disegnata in blu) che all’istante t era compresa fra S1 e S2:
S’1
S’2
/2211 dmdtvSdtvS tenendo conte che
Effetto Venturi
S1
S2 v1 v2
2
222
2
1112
1
2
1vghpvghp
2211 vSvS equazione di continuità
teorema di Bernoulli
21 vv
21 pp
In corrispondenza della strozzature la velocità aumenta, ma la pressione diminuisce (effetto Venturi).
placca
pest
p1
Fel.
p1 p2
sezione longitudinale dell’arteria
S1
S2 v1 v2
Il restringimento provoca un ulteriore aumento di v2 (equazione di continuità) e un ulteriore diminuzione di p2 (effetto Venturi) e dunque un ulteriore restringimento di S2 e un ulteriore diminuzione della tensione elastica della parete dell’arteria. Si innesca così un circolo vizioso.
In corrispondenza della strozzatura la pressione interna non è in grado di equilibrare la pressione esterna e la tensione elastica della parete del’arteria. Dunque, la parete dell’arteria tende a deformarsi provocando un’ulteriore diminuzione della sezione S2. Simultaneamente si osserva una corrispondente diminuzione della tensione elastica della parete della arteria.
pest
Fel.
placca
Stenosi di un arteria
p1
p2
pest
Fel.
sezione longitudinale dell’arteria
S1 S2
v1 v2
pest
Questo si arresta quando la forza di reazione elastica Fel della parete dell’arteria che si oppone alla sua deformazione nel piano sagittale equilibra le forze dovute alla differenza di pressione e la forza legata alla tensione elastica della parete dell’arteria nel piano trasverso.
pest
Fel.
placca sezione longitudinale dell’arteria
p1 Fel.
p2
Fel.
Fel.
S1 S2
sezione trasversale sezione trasversale
S1 S2 = 0
v1
v2 = 0
p2 > pest
pest
placca
2
222
2
1112
1
2
1vghpvghp
Se l’arteria si chiude completamente, v2 si annulla, ma allora, per il teorema di Bernoulli, p2 diventa maggiore di p1 e l’arteria si riapre.
12 pp
Appena riaperta, tuttavia, l’arteria tende a richiudersi, per effetto Venturi (spasmi dell’arteria).
pest
p1
Fel.
placca
Tipicamente l’interruzione del flusso (infarto) ha luogo quando un frammento di placca si distacca dalla parete dell’arteria, entra in circolo, e va ad occludere una stenosi (restringimento) pre-esistente.
S1 S2
v1 v2
Fel. arteria p2
Aneurisma
pest
A livello dell’allargamento, la pressione interna non è più equilibrata dalla pressione esterna e dalla tensione elastica della parete dell’arteria. La sezione S2 tende a dilatarsi ancora, deformando la parete dell’arteria ed aumentando la sua tensione elastica.
In corrispondenza dell’allargamento la velocità diminuisce, ma la pressione aumenta (effetto Venturi).
Ciò provoca un ulteriore diminuzione di v2 (equazione di continuità) e un ulteriore aumento di p2 (effetto Venturi) e dunque un ulteriore allargamento di S2 e un ulteriore incremento della tensione elastica della parete dell’arteria. Si innesca così un circolo vizioso. Questo si arresta quando la forza della reazione elastica Fel della parete dell’arteria (proporzionale alla sua deformazione) equilibra la forza dovuta alla differenza di pressione. Tuttavia la parete dell’arteria, sotto sforzo, perde elasticità nel tempo (deve deformarsi sempre di più per equilibrare la stessa differenza di pressione) ed il processo diventa inarrestabile, fino alla rottura della parete dell’arteria.
pest
p1 Fel.
Portanza
p1= pimp
p2 La pressione al di sopra dell’ala è minore di quella imperturbata a monte dell’ala (il tubo di flusso si restringe). La pressione al di sotto dell’ala coincide circa con quella imperturbata a monte dell’ala (il tubo di flusso mantiene sezione circa uguale).
2121 pppSS impert
S2 S1
p1
Questa differenza di pressione fra la parte inferiore e la parte superire dell’ala genera una forza diretta verso l’alto nota col nome di portanza.
p1
Moto laminare di fluidi viscosi
2
222
2
1112
1
2
1vghpvghp
dV
dLvghpvghp diss
2
222
2
1112
1
2
1
)(8
)(22
rRl
Prv
D
Pl
RQ D
8
4
4
8
R
l
Q
PRF
D
Fluido ideali in moto stazionario
Fluidi viscosi in moto stazionario (laminare)
R r
Il moto del fluido si mantiene anche senza una differenza di pressione fra 2 qualsiasi sezioni del condotto.
Per mantenere il fluido in moto è necessario applicare agli estremi del condotto una differenza di pressione pari al modulo del lavoro per unità di volume ediss compiuto dalle forze dissipative.
cost.)( rv
2RvvSQ
0D
Q
PRF
diss
disse
dV
dLppp D 21021 D ppp
portata
resistenza al flusso
Profilo delle velocità
Cprespeso dEdLdL Cdissprespeso dEdLdLdL
= coefficiente di viscosità
(Teorema del lavoro) (Teorema del lavoro)
l
2 1 2 1
Sezione del condotto cilindrico ortogonale
al suo asse Sezione del condotto cilindrico contenente il suo asse
Visualizzazione del moto laminare in un condotto cilindrico
Moto turbolento
Se la velocità del fluido nel condotto viene progressivamente incrementata, aumentando la differenza di pressione agli estremi del condotto, si ha il passaggio dal regime di moto laminare al regime di moto turbolento
Moto laminare • Silenzioso
• Portata proporzionale
alla differenza di pressione
Moto turbolento • Rumoroso
• Portata proporzionale alla
radice quadrata della differenza di pressione
PQ D
PQ D
critvd
v
)2/(max
critvv max
Numero di Reynolds • Vale circa 1200 per condotti rettilinei
• In corrispondenza di strozzature o gomiti diminuisce (in corrispondenza di irregolarità il moto diventa più facilmente turbolento).
• Aumento della resistenza al flusso e della
dissipazione di energia per attrito. • Un volumetto di fluido catturato in un
vortice, pur avendo una velocità propria notevole, avanza nel condotto assieme al vortice, che si muove in modo relativamente lento.
Aorta
• Se i vasi fossero rigidi, la pressione del sangue nelle arterie cadrebbe rapidamente a zero durante la fase del ciclo cardiaco in cui la valvola aortica rimane chiusa (linea continua).
• A causa della distensibilità delle arterie, durante la fase sistolica la parete dell’aorta si dilata.
• Quando la valvola aortica si chiude, inizia la fase diastoica in cui la pressione nell’aorta diminuisce gradualmente, senza annullarsi, a causa dell’effetto di compressione da parte della parete elastica dell’arteria, che tende a ritornare nelle condizioni di partenza.
• La distensibilità delle arterie permette di immagazzinare, durante la sistole, parte dell’energia cinetica del sangue sotto forma di energia potenziale elastica, accumulata nelle pareti, che si riconverte in energia cinetica del sangue durante la fase di diastole.
Effetto della distensibilità dei vasi
Si ottiene così un andamento della pressione che varia da un valore massimo, o sistolico, ad un valore minimo, o diastolico.
Arterie • La dilatazione delle pareti delle arterie inizia nell’aorta, all’uscita del sangue dal cuore, e si propaga via
via lungo le arterie: la pressione sistolica produce una deformazione elastica che si propaga lungo le pareti delle arterie (onda sfigmica) con una velocità u che dipende dalle caratteristiche elastiche delle pareti ed è superiore alla velocità media del sangue v. Questa deformazione elastica delle pareti aiuta il moto del sangue e mantiene una portata relativamente costante malgrado l’intermittenza della pompa cardiaca.
• L’aumento della rigidità delle pareti arteriorse (arteriosclerosi) provoca un aumento della velocità dell’onda sfigmica, e dunque spinte brevi nel tempo sulla massa locale di sangue che avanza con velocità molto minore e non riesce a seguire l’impulso elastico. In questo caso, la pulsatitilità della parete fornisce un minor aiuto all’avanzamento del sangue che deve essere compensato da un aumento di pressione generato da un maggior lavoro della pompa cardiaca (ipertensione).
Misura della pressione del sangue
Lo sfigmomanometro Lo sfigmomanometro consiste in una fascia di materiale non dilatabile che nella parte interna forma una camera di gomma in cui si pompa aria e che è connessa a un manometro. L’aria viene immessa mediante un palloncino munito di una valvola.
Misura della pressione del sangue
1. La fascia viene applicata al braccio, l’aria viene pompata in modo da comprimere l’arteria sottostante, fino ad applicare su questa una pressione p1 maggiore di quella sistolica (pressione massima), bloccando così il trasporto del sangue. L’arresto delle pulsazioni può essere rilevato con uno stetoscopio applicato sull’articolazione interna dell’avaraccio dove l’arteria scorre superficialmente.
Pressione in una grossa arteria
Pressione nella fascia elastica
2. A partire dal valore p1 (arteria completamente chiusa), si apre la valvola in modo che l’aria esca lentamente e la pressione della fascia elastica diminuisca gradualmente. In questo modo si determinano:
Pressione sistolica (ps) o pressione massima:
pressione a cui si avverte la ripresa delle pulsazioni, determinata auscultando con lo stetoscopio la transizione (p1 → ps → p2) da silenzio (arteria completamente chiusa) a rumore turbolento pulsato (successione di chiusura e successiva parziale apertura dell’arteria) e leggendo nel manometro la pressione corrispondente.
Pressione diastolica (pd) o pressione minima:
pressione a cui scompare il rumore pulsato, determinata auscultando con lo stetoscopio la transizione (p3 → pd → p4) da rumore turbolento pulsato (successione di chiusura e successiva parziale apertura dell’arteria) a silenzio in regime laminare (arteria completamente aperta) e leggendo nel manometro la pressione corrispondente.
Dal momento che il braccio è allo stesso livello del cuore, le misure di pressione del sangue al braccio fornisce valori prossimi a quelli vicino al cuore (nelle grandi arterie la dissipazione di energia per attrito e la corrispondente diminuzione di pressione è modesta anche per percorsi di alcune decine di cm).
Capitolo 4:
ONDE IN MEZZI ELASTICI
• Onde meccaniche in mezzi elastici • Il suono e l’orecchio umano • Gli ultrasuoni in medicina
Onde meccaniche in mezzi elastici
Onde elastiche
Onde elastiche • Se in una regione limitata di un mezzo materiale viene prodotta una piccola deformazione, si generano forze di
richiamo di tipo elastico (proporzionali alla deformazione) che tendono a riportare le particelle del mezzo nella posizione di equilibrio.
• Le particelle del mezzo, sottoposte a forze di richiamo di tipo elastico, si muovono di moto armonico attorno alla posizione di equilibrio.
• A causa dell’interazione a corto raggio esistente fra tra le particelle del mezzo, questa perturbazione vibratoria si propaga nel mezzo con una velocità che dipende dalla natura del mezzo (in particolare dalle sue caratteristiche elastiche e dalla sua densità), dalla direzione di propagazione (se il mezzo non è isotropo), e dal carattere trasversale o longitudinale della vibrazione.
Esempio
Il lancio di un sasso in uno specchio d’acqua inizialmente in quiete produce una perturbazione ondosa che si manifesta con l’apparire di una serie di anelli concentrici di liquido perturbato che si allontanano dal punto dove è caduto il sasso. L’arrivo dell’onda produce nelle particelle di liquido via via interessate dal fenomeno un moto oscillatorio su orbita chiusa; passata l’onda le particelle tornano in quiete nella stessa posizione di equilibrio che occupavano prima dell’arrivo dell’onda.
Propagazione di energia
Ciò che si propaga non è materia, ma solo il movimento di particelle attorno alle loro posizioni di equilibrio, a cui è associato un trasferimento di energia (cinetica e potenziale).
Onde longitudinali e onde trasversali
Onda longitudinali Le particelle del mezzo si spostano parallelamente alla direzione di propagazione dell’onda (onda di densità in un gas contenuto in un recipiente chiuso da un pistone che si muove di moto armonico)
Onde trasversale Le particelle del mezzo si spostano perpendicolarmente alla direzione di propagazione dell’onda (onda in una corda o in una membrana)
direzione di propagazione
dell’onda
Forma matematica delle onde elastiche
)(xfy )( vtxfy
vt
vt
x2-vt x
t
Una perturbazione che si propaga con velocità v e forma invariata nel verso positivo dell’asse delle x è rappresentata da una funzione in cui x e t compaiono nella combinazione x-vt
)(),( vtxftxy )(),( vtxftxy
0t
x2 x1 x1-vt
Una perturbazione che si propaga con velocità v e forma invariata nel verso negativo dell’asse delle x è rappresentata da una funzione in cui x e t compaiono nella combinazione x+vt
x - individua un punto del mezzo t - un istante y - la deformazione del punto del mezzo x all’istante t
y
se y=f(x) rappresenta la perturba-zione all’istante iniziale t=0, allora y all’istante t assume in un punto x1 il valore della funzione f nel punto x1-vt
Si vuole determinare la deformazione del mezzo in ogni punto ad ogni istante: y(x,t)
Onde sinusoidali: lunghezza d’onda
)(
2sin),( vtxAtxy
),()(2
sin2)(2
sin)(2
sin),( txyvtxAnvtxAvtnxAtnxy
lunghezza d’onda: minima distanza fra due punti del mezzo che vibrano in fase
Onda sinusoidale
),(),( txdx
dytnx
dx
dy
x
y
Lunghezza d’onda
x
y
A
-A
t t + Dt
),(2
sin22
sin2
sin),( txytv
x
TAnt
v
x
TAnTt
v
x
TAnTtxy
t
v
x
TAt
v
xvAtxy
2sin
2sin),(
vT
Periodo: tempo necessario ad un punto P del mezzo per compiere un’oscillazione completa
Onde sinusoidali: periodo e frequenza
t
v
xfAtxy 2sin),(
Tf
1 Frequenza: numero di oscillazioni che un
punto del mezzo compie al secondo
Periodo
Frequenza
),(),( txdt
dynTtx
dt
dy
t Tt
P P
y
Fase iniziale In tutte le rappresentazioni utilizzate per un’onda sinusoidale risulta y(x=0,t=0)=0, cioè il mezzo è in quiete all’istante iniziale nel punto in cui l’ascissa x è nulla. Per eliminare questa limitazione si introduce la fase iniziale j, in modo che y(0,0)=Asin j:
Onde sinusoidali: pulsazione e numero d’onda
j tkxAtxy sin),(
)sin(2sin2sin),( tkxAT
txA
vtxAtxy
2k
T
2(numero d’onda) (pulsazione)
Numero d’onda e pulsazione
)2/cos()2/cos(sin),( jjj xktAtxkAtxkAtxy
j
xk2
0
x
Moto delle particelle del mezzo attraversato da un’onda sinusoidale Consideriamo il moto di una particella che si trova in una posizione x
)2/(cossin
)cos(),( 0 tAtxy
Ogni particella del mezzo si muove di moto armonico. • l’ampiezza del moto armonico (A) è la stessa per tutte le particelle del mezzo • la frequenza del moto armonico è la stessa (/2) per tutte le particele del mezzo • La fase (0) varia proporzionalmente a x: cambia con continuità lungo il mezzo
Velocità di propagazione
La velocità di propagazione può dipendere • dalle caratteristiche del mezzo, ed in particolare dalla sua densità e dalla natura delle forze di interazione delle
particelle. • Dalla forma della perturbazione, ad esempio dalla frequenza (fenomeno della dispersione) Onde trasversali in un corda tesa Onde longitudinali in una sbarra di materiale omogeneo Onde longitudinali in un gas Onde di superficie in un liquido
v
Ev
vK
2v
g
= forza tensione della corda = densità del mezzo
E = modulo di Young = densità del mezzo
K = modulo di compressione di volume
= densità del mezzo
g = accelerazione di gravità = lunghezza d’onda
Superfici d’onda e raggi di propagazione
Superfici d’onda (fronte d’onda)
Luogo geometrico dei punti che si trovano nello stesso stato di vibrazione, cioè che vibrano in concordanza di fase, come ad esempio tutti i punti che si trovano nel punto di massima ampiezza di vibrazione (cresta).
Raggio di propagazione Linea perpendicolare a tutte le superfici d’onda che essa interseca.
Una sorgente puntiforme immersa in un mezzo tridimensionale isotropo dà origine a superfici d’onda sferiche: per questo l’onda viene detta onda sferica. I raggi di propagazioni sono diretti radialmente
A grande distanza dalla sorgente, in una regione limitata dello spazio i fronti d’onda sono approssimabili a porzioni di piano. Si parla in questo caso di onde piane. I raggi di propagazione sono perpendicolari a tali piani.
L’equazione di propagazione è stata ricavata per un’onda che si propaga in una sola dimensione. Più comunemente le onde si propagano nello spazio, cioè in tre (o due) dimensioni. In questo caso è utile introdurre il concetto di superficie (o fronte) d’onda e di raggio di propagazione:
raggio
superficie d’onda
raggio
2222222222v
2
1v
2
1
2
1
2
1
2
1A
tS
EIAtSAVAMAnmneE
DD
Intensità di un’onda L’intensità I di un’onda è l’energia che essa trasporta nell’unità di tempo attraverso l’unità di superficie posta normalmente alla sua direzione di propagazione. Nel S.I. l’intensità si misura in watt/m2.
I si ricava facilmente nota l’energia meccanica e di una particella del mezzo di massa m che si muove di moto armonico essendo soggetta ad una forza elastica di richiamo:
)/(2
1)(sin
2
1)(cos
2
1
2
1
2
1 22
0
222
0
2222mkAmtAmtAkmvxke elelel
m
S
vDt
Intensità di un’onda
Intensità di un’onda sferica L’energia trasportata da un’onda sferica, all’aumentare della distanza r dalla sorgente, si distribuisce su un superficie la cui area aumenta con r2. Per la conservazione dell’energia l’intensità dell’onda deve diminuire come r-2. Affinché ciò accada l’ampiezza dell’onda deve diminuire come r-1.
r
ArA
r
IrI
sf
sf
0
2
0
)(
)(
Un’onda elastica che si propaga attraverso una superficie S con velocità v percorre nell’intervallo di tempo Dt un tratto vDt. Il volume V attraversato è SvDt, contiene un numero n di oscillatori, ed ha massa M=V pari a nm. L’energia E che attraversa S nel tempo Dt è pari a quella degli n oscillatori contenuti in V:
Principio di Malus I raggi di propagazione rappresentano il cammino rettilineo lungo il quale si propaga l’energia trasportata dalle onde. Non c’è quindi trasporto di energia nelle direzioni tangenti alle superfici d’onda.
Principio di sovrapposizione delle onde L'effetto di più perturbazioni simultanee è uguale alla somma degli effetti prodotti da ogni singola perturbazione: se due o più onde si propagano simultaneamente nello stesso mezzo, lo stato di vibrazione in un punto del mezzo è dato in ogni istante dalla somma vettoriale degli stati vibrazionali che in quel punto del mezzo sarebbero prodotti da ogni singola onda che si propagasse da sola nel mezzo.
Principi che regolano la propagazione dei fenomeni ondulatori
animazione
Caratteristiche
Onda di frequenza pari a quella delle onde componenti, fase iniziale (j1j2/2, ed ampiezza 2Acos [(j1j2/2]:
• Se j1j2 0 (onde componenti in fase) l’onda risultante ha ampiezza massima 2A.
• Se j1j2 (onde componenti in opposizione di fase) l’onda risultante ha ampiezza nulla (mezzo imperturbato).
• Se j1j2 /2 (onde componenti in quadratura di fase) l’onda risultante ha ampiezza A per radice di 2.
jj
jjjj
2sin
2cos2)sin()sin( 1212
2121 tkxAtkxAtkxAyyy
Interferenza
Onde componenti Due onde sinusoidali che si propagano nella stessa direzione e verso, con uguale ampiezza e frequenza, ma con fasi iniziali differenti.
Onda risultante
)sin()sin( 2211 jj tkxAytkxAy
Ampiezza
2cos
2sin2sinsin Formula di prostaferesi
Rappresentazione grafica
in fase
in opposizione
in quadratura
Onda risultante
Caratteristiche Onda di frequenza pari alla media delle frequenze delle onde componenti, ampiezza che varia secondo un’onda, di ampiezza 2A, frequenza pari alla semidifferenza delle frequenze delle onde componenti.
Battimenti
Onde componenti Due onde sinusoidali che si propagano nella stessa direzione e verso, con uguale ampiezza e fase, ma frequenze di poco differenti:
t
v
xfAyt
v
xfAy 2211 2sin2sin
t
v
xfft
v
xffAt
v
xfAt
v
xfAyyy
22sin
22cos22sin2sin 2121
2121
Ampiezza con segno
Rappresentazione grafica
ampiezza
onda risultante
2A
-2A
x
Rappresentazione grafica della perturbazione ad un istante t
Moto delle particelle del mezzo I punti del mezzo compiono oscillazioni armoniche con ampiezza che cresce e diminuisce nel tempo
animazione
Onde componenti Due onde sinusoidali di uguale ampiezza, frequenza e fase, che si propagano nella stessa direzione ma in versi opposti.
Onda risultante
)cos(sin2)sin()sin(21 tkxAtkxAtkxAyyy
Onde stazionarie
)sin()sin( 21 tkxAytkxAy
Caratteristiche
I punti del mezzo compiono oscillazioni armoniche, con la frequenza delle onde componenti, ed ampiezza dipendente dalla posizione del punto :
• L’ampiezza è nulla nei punti (nodi) per cui
• L’ampiezza è massima e pari a 2A nei punti (ventri) per cui
• Un nodo ed un ventre successivo sono separati da una distanza pari a /4. Due nodi (e due ventri) successivi sono separati da una distanza pari a /2
Nelle onde stazionarie non si ha propagazione di energia (l’energia non può transitare attraverso i nodi).
ampiezza con segno del moto armonico
non è un’onda
( / ) ( / 2)kx n x n k n
4/)2/(2/)12( nxnkx ventre
nodo nodo nodo nodo nodo
ventre ventre ventre
Caratteristiche del moto armonico delle particelle del mezzo
• Frequenza Tutti i punti del mezzo oscillano con la stessa frequenza f=/(2), pari alla frequenza delle onde componenti • Ampiezza Dipende dalla posizione del punto. Un nodo ed un ventre successivo sono separati da una distanza pari a /4.
Due nodi (e due ventri) successivi sono separati da una distanza pari a /2.
• Fase Tutti i punti che si trovano fra 2 nodi vibrano in fase. Un punto che si trova fra 2 nodi ed uno che si trova fra due nodi adiacenti vibrano in opposizione di fase
animazione
Onde stazionarie su una corda fissata alle estremità Nei punti estremi della corda si devono avere 2 nodi (essendo punti bloccati, l’ampiezza di oscillazione deve essere nulla). Dunque, la lunghezza della corda deve essere uguale ad un numero intero di semi-lunghezze d’onda:
n
LλnL
2
2
Fondamentale o
1a armonica (n=1)
2a armonica (n=2)
3a armonica (n=3)
4a armonica (n=4)
Modi di vibrazione In generale, quando una corda vibra, il modo di vibrazione dominante è rappresentato dall’armonica fondamentale, con un contributo minore di armoniche superiori.
1
v 1
2 2f
L L
12
1
2
vvnf
Ln
Lnf
frequenza fondamentale
Regolazione della frequenza fondamentale La frequenza fondamentale (e le armoniche superiori) può essere regolata variando:
• la densità della corda • la tensione della corda • la lunghezza del tratto L di corda interessato alla oscillazione stazionaria (ad esempio intervenendo con le dita)
2
L
22
L
23
L
24
L
Onde stazionarie su una membrana fissata nel suo bordo
All’estremità chiusa • non c’è spostamento d’aria (nodo di spostamento) ; • la variazione di pressione è massima (ventre di variazione di pressione). All’estremità aperta • la pressione p è costante e coincide con la pressione all’esterno del tubo (nodo di variazione di pressione) ; • le particelle d’aria sono libere di muoversi avanti e indietro e subiscono il massimo spostamento (ventre di spostamento). • Una diminuzione di p richiama particelle dall’esterno del tubo in modo da mantenere p costante e viceversa.
)12(
4
4)12(
n
LλnL Onda di pressione
Onda di spostamento
Onde stazionarie su un tubo chiuso ad un estremità
1)12(4
v)12(
vfn
Lnf
La canna chiusa ad una estremità può contenere un numero dispari di quarti di lunghezze d’onda:
Lf
4
v1
frequenza fondamentale
4
1L
43
L
4
5L
L’effetto Doppler L'effetto Doppler consiste nel cambiamento apparente della frequenza fR di un'onda percepita da un ricevitore (R), rispetto alla frequenza fS emessa dalla sorgente (S) dell’onda, quando S ed R sono in moto relativo fra loro: • se R ed S si avvicinano fra loro: fR > fS
• se R ed S si allontanano fra loro: fR < fS
Analisi quantitativa Se S e R si muovono lungo la medesima retta di moto uniforme si trova che: (c = velocità di propagazione dell’onda)
Effetto Doppler
SS
RR f
vc
vcf
)(
)(
Sv
Rv
x
Sv
Rv
x
Sv
Rv
x
Sv
Rv
x
esempi di avvicinamento esempi di allontanamento
Effetto Doppler: sorgente in quiete
SS
RR f
vc
vcf
)(
)(
Rv
SR
RS fc
vcfv
)(0
x • R si allontana da S
• R si avvicina a S
SRSR
R fffc
vcf
Sorgente in quiete rispetto al mezzo di propagazione
Rv
x
SRSR
R fffc
vcf
Effetto Doppler: ricevitore in quiete
SS
RR f
vc
vcf
)(
)(
Sv
x • S si allontana da R
• S si avvicina a R
SRSS
R fffvc
cf
Ricevitore in quiete rispetto al mezzo di propagazione
Sv
x
SRSS
R fffvc
cf
SS
RR fvc
cfv
)(0
Riflessione e rifrazione
raggio incidente
raggio riflesso
normale
Riflessione e rifrazione Quando un’onda giunge sulla superficie di separazione fra il mezzo in cui si propaga ed un messo diverso può:
• Essere parzialmente restituita al primo mezzo (riflessione), e passare parzialmente nel secondo mezzo (rifrazione), rispettando il principio di conservazione dell’energia.
• Essere completamente restituita al primo mezzo (riflessione totale).
Le leggi della riflessone e della rifrazione
• Il raggio riflesso e il raggio rifratto appartengono al piano contenete il raggio incidente e la normale alla superficie di separazione nel punto di incidenza
• l’angolo di riflessione r (angolo fra il raggio riflesso e la normale alla superficie di separazione) è uguale all’angolo di incidenza i (angolo fra il raggio incidente e la normale alla superficie di separazione)
• Il rapporto fra il seno dell’angolo di incidenza i e il seno dell’angolo di rifrazione t è uguale al rapporto fra le velocità di propagazione nel primo e nel secondo mezzo (fra gli indici di rifrazione nel secondo e nel primo mezzo ):
1
2
2
1
v
v
sin
sin
n
n
t
i
raggio rifratto
ri mezzo 1
mezzo 2
i r
t
Superficie di separazione
v)/.cost( n
• Quando un’onda elastica incide sull’interfaccia fra mezzi diversi, essa in parte viene riflessa e in parte viene trasmessa, o completamente riflessa. L’intensità dell’onda incidente è pari alla somma dell’intensità dell’onda riflessa e dell’intensità dell’onda trasmessa.
• Si definisce impedenza acustica Z di un mezzo materiale il prodotto della densità del mezzo
e della velocità di propagazione dell’onda elastica nel mezzo
2
12
21
2
12
12
cosZcosZ
coscosZ4Z
cosZcosZ
cosZcosZ
ii
ti
i
t
ti
ti
i
r
I
I
I
I
tri III
Impedenza acustica
2
12
21
2
12
12
ZZ
Z4Z
ZZ
Z
i
t
i
r
I
I
Z
I
I
vZ
• I rapporti Ir /Ii (coefficiente di riflettività) e It /Ii (coefficiente di trasmissibilità) sono dati dalle relazioni
e nel caso di incidenza normale (i = 0°) dipendono solo dalle impedenze acustiche dei due mezzi
• Per Z1>>Z2 o per Z2>>Z1 si ha a Ir ≈ Ii e It ≈ 0
(l’energia viene quasi tutta riflessa)
• Per Z1≈Z2 si ha Ir ≈ 0 e It ≈ Ii
(l’energia viene quasi tutta trasmessa)
– La trasmissibilità fra aria e pelle, o fra aria e
tessuto biologico è praticamente nulla. – La trasmissibilità fra tessuto molle tessuto
osseo è molto bassa – La trasmissibilità fra acqua, sangue, grasso
muscolo e pelle è elevata.
tessuto densità (g/cm3) v (m/s) Z ( kg m-2 s-1)
osso 1.990 3760 7.48
pelle 1.100 1537 1.69
sangue 1.060 1584 1.68
muscolo 1.041 1580 1.64
acqua 0.993 1527 1.52
grasso 0.928 1476 1.36
aria 0.0012 340 0.0004
Il suono e l’orecchio umano
Il suono
Il suono L’orecchio umano è in grado di percepire onde elastiche la cui frequenza f è compresa fra 20 Hz e 20 kHz. In questo intervallo di frequenze le onde elastiche sono chiamate suoni. Vibrazioni meccaniche con frequenze superiori (inferiori) a 20 kHz (20 Hz) prendono il nome di ultrasuoni (infrasuoni). Poiché la velocità vs del suono in aria è di circa 340 m/s (alla temperatura di 15 °C e a pressione atmosferica) la lunghezza d’onda del suono in aria ( = vs / f ) è compresa fra 17 mm e 17 m.
Pressione sonora
Nei gas la propagazione di un’onda dà luogo a zone di compressione e di rarefazione, e determina una variazione di pressione istantanea che per onde piane sinusoidali (suoni semplici) segue una legge del tipo dove Dp=p-p0 (pressione sonora istantanea) è la variazione istantanea della pressione p rispetto alla pressione p0 del gas imperturbato (es. pressione atmosferica) e Dp0 è l’ampiezza della perturbazione pressoria (massima variazione di p rispetto a p0). La variazione sinusoidale di Dp, con successive compressioni e rarefazioni, è in grado di porre in vibrazione una membrana, ad esempio il timpano nell’orecchio umano. Si può dimostrare che sussiste la seguente relazione fra ampiezza di variazione di pressione e ampiezza A del moto oscillatorio delle particelle del mezzo:
)sin(0 DD tkxpp
Ap ρvω0 D
D v20 Ip
Confrontando questa espressione con quella dell’intensità I=1/2v2A2 di un’onda si ottiene la seguente relazione che lega l’ampiezza della perturbazione pressoria e l’intensità sonora:
D
v2
12
0pI
Livello di sensazione sonora e sala decibel livello di sensazione sonora s avvertita dall’organo uditivo può essere utilmente caratterizzato mediante la scala decibel (dB)
Vantaggi della scala decibel
• La minima intensità sonora apprezzabile dall’orecchio umano s0 è di 0 dB. • Il rapporto fra l’intensità di due suoni, la cui differenza è appena percebibile, è dell’ordine del dB. • Una conversazione media corrisponde a circa 60 dB, la soglia del dolore è di circa 120 dB.
0
100 Log10I
Iss I0 = 10-12 W/m2 = minima intensità sonora apprezzabile dall’orecchio umano
s0 = valore della sensazione sonora corrispondente a I = I0
Livelli di sensazione sonora
Curve di sensibilità Dipendenza della sensazione sonora dalla frequenza di vibrazione
La sensibilità dell’udito è massima fra 3000 e 4000 Hz.
L’orecchio umano
L’orecchio è il dispositivo di trasduzione che permette di trasformare le onde sonore in segnali di eccitazione nervosa (potenziali di azione) che sono poi elaborati dal cervello in modo da fornire le sensazioni sonore. Dal punto di vista funzionale l’orecchio può essere considerato diviso in tre parti: esterno, medio e interno.
L’orecchio esterno Costituito dal padiglione auricolare e dal canale auricolare. Il padiglione auricolare ha la funzione di concentrare la perturbazione sonora verso il timpano. Il canale auricolare è in pratica un risuonatore, schematizzabile come un tubo sonoro, di lunghezza L=2.5 cm, chiuso ad un’estremità dalla membrana timpanica. Esso è perciò sede di onde stazionarie con frequenza fondamentale
• Proprio alla frequenza di circa 3400 Hz la sensibilità dell’orecchio è massima.
• Nei bambini, la lunghezza del canale è minore e f1 assume valori più elevati. Essi sono quindi più sensibili alle frequenze elevate: riescono a dormire in presenza di conversazioni fra adulti, mentre sono bruscamente svegliati da un tintinnio di posate o di un mazzo di chiavi.
• Se la membrana timpanica fosse rigida il canale auricolare risuonerebbe solo alla frequenza di 3400 Hz o multipli dispari di questo valore, e l’orecchio percepirebbe solo suoni ad alcune determinate frequenze. In realtà la membrana timpanica è abbastanza elastica da causare risonanze anche a frequenze inferiori o superiori.
Hz3400m025.04
m/s340
4
v1
Lf
L’area del timpano St è circa 22 volte maggiore di quella Sf della finestra ovale. Si ottiene un fattore di amplificazione della pressione sulla finestra ovale pari a 30: Questo fattore di amplificazione è necessario per poter compensare la perdita di intensità sonora che altrimenti si avrebbe al passaggio dell’aria del canale uditivo al liquido dell’orecchio interno.
L’orecchio medio
La funzione dei tre ossicini (martello, incudine e staffa) è di trasmettere la vibrazione sonora dal timpano alla finestra ovale amplificandola. Questa catena di ossicini si comporta come una leva di primo tipo in cui la distanza dt fra timpano e fulcro è circa 1.3 volte la distanza df della finestra ovale dal fulcro. Si ottiene un fattore di amplificazione della forza sulla finestra ovale pari a 1.3:
3.1f
t
t
ffftt
d
d
F
FdFdF
30223.1/
/
D
D
f
t
t
f
tt
ff
t
f
S
S
F
F
SF
SF
p
p
• Il liquido contenuto nell’orecchio interno ha un’impedenza acustica (Z=v=1.5 kgm-2s-1 ) 3750 volte più grande di quella dell’aria (Z=v=0.0004 kgm-2s-1 ) contenuta nell’orecchio medio. Dunque, solo 1/900 dell’energia sarebbe trasmessa all’interfaccia aria-liquido.
• Per avere la miglior efficienza di trasmissione dall’orecchio medio a quello interno, è necessario che l’intensità sonora in aria sia uguale a quella trasmessa nel liquido dell’orecchio interno, cioè sia amplificata di un fattore 900. Ciò si ottiene amplificando l’ampiezza A dell’onda di pressione per un fattore 30:
Infatti, dalla relazione si ottiene che Affiche l’intensità dell’onda sonora sia la stessa nei due mezzi è necessario che l’ampiezza dell’onda in aria venga amplificata di circa 30 volte prima di passare nel liquido dell’orecchio interno, ciò che effettivamente avviene.
L’orecchio interno
• E’ costituito da una struttura canaliforme lunga circa 3.5 cm, avvolta a spirale (coclea), e riempita di liquido (perilinfa ed endolinfa) che si può ritenere incomprimibile.
• La vibrazione meccanica della finestra ovale produce un’onda meccanica che si propaga nel liquido contenuto nel canale cocleare. Quest’onda è in grado di deformare le cellule ciliate cocleari, ed è proprio tale deformazione che genera i potenziali di azione che attraverso il nervo acustico giungono al cervello e forniscono le sensazioni sonore.
IIAA 90030 22v
2
1AI
Gli ultrasuoni in medicina
Gli ultrasuoni
Ultrasuoni Vibrazioni meccaniche con frequenze superiori a 20 kHz.
Produzione Per produrre ultrasuoni si ricorre in generale a cristalli piezoelettrici: quando a questi cristalli viene applicata una differenza di potenziale elettrico alternata essi si mettono a vibrare con una frequenza uguale a quella della differenza di potenziale applicata.
+ +
- -
-
+
+ +
- -
-
+
- - - - -
animazione
+ + + + + +
+ +
- -
-
+
+ + + + + +
- - - - -
differenza di potenziale alternata
+ +
- -
-
+
+ +
- -
-
+
+ + + + + +
- - - - -
+ + + + + +
- - - - -
+ +
- -
-
+
+ +
- -
-
+
+ +
- -
-
+
- - - - -
+ + + + + +
- - - - -
+ + + + + +
+ +
- -
-
+
Rilevazione L’effetto inverso si sfrutta nella rilevazione degli ultrasuoni: questi stessi cristalli, sottoposti a vibrazioni meccaniche ultrasonore, generano una d.d.p. elettrico alla stessa frequenza, facilmente misurabile con opportuni dispositivi elettronici.
+ +
- -
-
+
+ +
- -
-
+
Parametri • In questo modo si possono emettere o rilevare ultrasuoni con frequenza f fino a 1 GHz e lunghezza d’onda in
aria (v ≈ 340 m/s) di 0.34 m ed in acqua (v ≈ 1450 m/s) di 1.45 m ( = v / f ). La lunghezza d’onda così piccola di questi ultrasuoni, circa dell’ordine di quelle della luce, fa sì che essi si propaghino rettilineamente, costituendo dei veri e propri raggi sonori: un fascio di simili ultrasuoni è altamente direzionale.
• I generatori di ultrasuoni utilizzati in medicina hanno intensità I che varia da 10-4 a 10 W/cm2.
+
-
+ +
- -
-
+
+
-
dilatazione compressione
• Per I =10 W/cm2 e f = 1 MHz si ottengono onde di pressione di 5.5 atmosfere di ampiezza: due punti situati a
mezza lunghezza d’onda di distanza (0.75 m nell’acqua) sono sottoposti ad una differenza di pressione istantanea di 11 atmosfere, cui corrisponde un’accelerazione istantanea delle particelle del mezzo, sottoposte ad un simile gradiente di pressione, di circa 2.3∙105 volte l’accelerazione di gravità.
• Un fascio di ultrasuoni ad alta intensità può dare luogo ad intense azioni meccaniche e alla produzione di calore nei materiali, provocare la rottura di grosse molecole, generare fenomeni di cavitazione nei liquidi, e aumentare la velocità di reazioni chimiche.
• L’energia trasportata da un fascio di ultrasuoni viene assorbita nei mezzi materiali secondo una legge di tipo esponenziale
Interazione degli ultrasuoni con la materia
xeIxI
0)(
I0= intensità incidente; I(x) = intensità trasmessa dopo l’attraversamento di uno spessore x = coefficiente di assorbimento (dipende da f e dal materiale attraversato) Per i materiali biologici e frequenze comprese fra 0.5 e 15 MHz, è proporzionale a f.
atm5.5Pa104.5Pa109.2kg/m1000m/s1450W/m102v2p511324
0 D I
26
3
66
0022m/s1038.2
kg/m1000m/s1450
Pa1055.0Hz10π2
v
pω
ρvω
pωω
D
D
Aa
Sonda (sorgente in quiete)
trasmittente ricevitore
Flussimetria Doppler Tecnica che consente la misura della velocità (portata) del sangue in modo non invasivo utilizzando l’effetto doppler con onde ultrasonore.
fascio ultrasonoro emesso dalla sonda
globuli rossi (ricevitore mobile)
c vB S
BB f
c
vcf
Sonda (ricevitore in quiete)
trasmittente ricevitore
fascio ultrasonoro riflesso dal sangue globuli rossi
(sorgente mobile)
c vB B
B
R fvc
cf
Misurando la variazione di frequenza fra fascio emesso e fascio ricevuto per riflessione è possibile ottenere la velocità media del sangue VB
SB
S
B
BSR f
c
vf
vc
vff
cos2
cos
cos2 Nel caso in cui il vaso forma un angolo col fascio
(B = blood)
SB
S
B
BSRS
B
BR f
c
vf
vc
vfff
vc
vcf
22
Gli ultrasuoni nella diagnostica medica
Ecografia L’ecografia è una tecnica basata sulla riflessione da parte di interfacce tra mezzi acustici diversi attraversati da un fascio ultrasonoro.
• Un trasduttore piezoelettrico viene posto a contatto con la pelle tramite un gel, che agisce come sostanza conduttrice del suono, ed emette brevi impulsi di onde ultrasonore (della durata da 1 a 5 s, per circa 200 volte al secondo, ciascuno a frequenze da 1 a 15 MHz).
• Il fascio ultrasoro viene riflesso da parte delle interfacce tra mezzi acustici diversi (grasso/muscolo etc.) che si trovano a diverse distanze lungo la direzione del fascio.
• Lo stesso trasduttore piezoelettrico riceve le onde riflesse (echi) prodotti dalle superfici poste perpendicolarmente alla traiettoria del fascio in tempi diversi a secondo della distanza complessiva percorsa dal fascio.
• Il tempo che intercorre tra l’emissione degli impulsi e la ricezione delle onde riflesse dalle interfacce, nota la velocità di propagazione nel mezzo, consente di misurare la distanza tra il trasduttore e le interfacce stesse.
• I segnali ecografici ricevuti dalla sonda vengono elaborati elettronicamente per fornire una immagine della anatomia della zona esplorata.
Una sonda ecografica è costituita da numerosi elementi piezoelettrici che consentono di esplorare un angolo superiore a 60°.
tessuto densità (g/cm3) v (m/s) Z ( kg m-2 s-1)
osso 1.990 3760 7.48
pelle 1.100 1537 1.69
sangue 1.060 1584 1.68
muscolo 1.041 1580 1.64
acqua 0.993 1527 1.52
grasso 0.928 1476 1.36
aria 0.0012 340 0.0004
Gli ultrasuoni nella terapia medica
Terapia fisica Gli ultrasuoni svolgono un’azione diretta, di tipo meccanico e termico, impiegata localmente su determinati tessuti, per la cura di nevralgie, artrosi, lombalgie e reumatismi. Nel caso in cui si richiede un effetto termico localizzato (diatermia), il fascio di ultrasuoni, a bassa intensità, viene spostato continuamente sull’area da trattare, in modo da non sottoporre la zona stessa ad un’azione prolungata per più di qualche secondo per evitare danni cellulari.
Terapia dei calcoli
I calcoli vengono frantumati da onde meccaniche ultrasoniche pulsate ad alta intensità (litotrizione).
Odontoiatria L’azione frantumatrice degli ultrasuoni viene sfruttata, anche se con intensità inferiore, per eliminare il tartaro (formazione calcarea che si forma alla base dei denti). Gli ultrasuoni vengono anche impiegati per devitalizzare i nervi dei canali dentari
Oculistica
Negli interventi sulla cataratta, il cristallino viene eliminato frantumandolo con ultrasuoni ed aspirandone i residui.
Urologia
Gli ultrasoni sono impiegati negli interventi per la cura del tumore alla prostata e dell’ipertrofia prostatica.
Chirurgia vascolare
Impiegando generatori e rilevatori miniaturizzati di ultrasuoni montati all’apice di cateteri, si possono eseguire interventi per stabilire la composizione della placca arteriosclerotica sulle pareti interne del vaso ed eventualmente causarne la frantumazione disostruendo le arterie.
Oncologia Ultrasuoni focalizzati ad alta intensità possono essere impiegati per distruggere con precisione tessuti tumorali.
Capitolo 5:
TERMOLOGIA
• Calorimetria • Termoregolazione del corpo umano • Termodinamica
Calorimetria
Stato termico di un corpo, termoscopio
La temperatura è una grandezza che viene introdotta per descrivere quello che si chiama lo stato termico di un corpo. La sua introduzione è suggerita dalle sensazioni che si provano toccando corpi diversi: uno di essi ci può apparire più caldo di un altro.
Osservazioni sperimentali
• Se due corpi, dei quali uno è stimato più caldo dell’atro, vengono lasciati a contatto per un tempo suffi-cientemente lungo, finiscono per sembrare ugualmente caldi: si dice che hanno raggiunto l’equilibrio termico.
• Al variare dello stato termico di un corpo (della sensazione di più o meno caldo che esso può dare) variano i valori che per esso assumono alcune grandezze fisiche come la lunghezza, il volume, il colore, etc.
Termoscopio
Si può pensare di scegliere uno di questi corpi (sostanza termometrica) e porre attenzione ad una sua proprietà che dipende dallo stato termico del corpo (proprietà termometrica) per realizzare uno strumento (termoscopio) che consente di paragonare oggettivamente gli stati termici dei corpi.
Esempio di termoscopio
Si introduce mercurio (sostanza termometrica) in un recipiente formato da un bulbo ed un capillare e si osserva l’altezza della colonna liquida nel capillare (proprietà termometrica).
corpo 1 corpo 2
Utilizzo del termoscopio Disponendo il termoscopio successivamente a contatto con ciascuno dei corpi in esame, stabilito l’equilibrio termico, la proprietà termometrica assume valori che possono essere usati per il confronto dello stato termico dei corpi stessi.
Temperatura centigrada (°C)
Scale termometriche Per giungere ad una valutazione numerica della temperatura (T) si prendono in considerazione stati termici che diano affidamento di stabilità e di facile riproducibilità (ad esempio i punti di fusione o ebollizione di sostanze semplici a pressione atmosferica normale) e si assegnano ad essi valori convenzionali di T.
Scala centigrada
Si pone il termoscopio nel ghiaccio fondente e successivamente nei vapori di acqua bollente a p.a.n., l’intervallo delle posizioni raggiunte dall’indice della proprietà termometrica nelle due misure viene diviso in 100 parti. Questa taratura fra 0 °C e 100 °C viene estesa al di sopra e al di sotto usando una legge lineare.
Termometro a gas perfetto
• Problema: i valori di T che si ottengono in questo modo dipendono dal particolare termoscopio (sostanza e proprietà termometrica) utilizzato. Tuttavia si ottengono identici valori di temperatura utilizzando
• Ciò significa che nel caso dei gas rarefatti le relazioni fra V e T (a p = cost.) e fra p e T (a V = cost.) sono dello stesso tipo, sono particolarmente semplici, corrispondono a proprietà generali dei gas rarefatti.
• Per la misura di T in °C si adotta quindi un termometro a gas molto rarefatto ponendo lineari le relazioni fra V e T (a p = cost.) e fra p e T (a V = cost.).
• Altri termometri possono essere usati dopo taratura per confronto con quello a gas.
Punto fisso di riferimento Temperatura in gradi centigradi (°C)
Punto di fusione del ghiaccio a pressione atmosferica normale 0 °C
Punto di ebollizione dell’acqua a pressione atmosferica normale 100 °C
Sostanza termometrica Proprieta termometrica
un gas rarefatto la pressione (p) a volume (V) costane o il volume (V) a pressione (p) costante
Scala delle temperature assolute Oltre alla sostanza e alla proprietà termometrica, è possibile scegliere anche la scala termometrica basandosi sulle proprietà dei gas rarefatti. Con al scala delle temperature assolute • le equazioni termodinamiche che riguardano i gas perfetti diventano particolarmente semplici, • lo zero della scala ha un significato fisico importantissimo: è una temperatura limite inferiore che non
può essere raggiunta (si violerebbe il secondo principio della termodinamica). Lo zero assoluto
Con la scala delle temperature assolute non si può date un significato alla temperatura dello zero assoluto • prima che si raggiunga questa temperatura i gas diventano liquidi, il termometro a gas non è utilizzabile • con termometri a elio a bassa pressione si può raggiungere una temperatura minima di 1 grado assoluto.
Scala termodinamica delle temperature (scala Kelvin) Si può dare un significato allo zero assoluto definendo una nuova scala della scala delle temperature, che si introduce in termodinamica (scala termodinamica delle temperature o scala Kelvin): • non dipende dalle proprietà dalla particolare sostanza impiegata nel termometro • coincide numericamente con la scala delle temperature assolute (nel campo in cui il termometro a gas
può essere usato). Per questo motivo i gradi della scala assoluta si indicano con °K (gradi Kelvin).
La temperatura nel S.I. Nel S.I. si adotta come grandezza fondamentale la temperatura termodinamica. L’unità di misura è il grado Kelvin (°K) definito come la frazione 1/273.16 della temperatura termodinamica del punto triplo dell’acqua.
Scala della temperatura assolute, scala Kelvin (°K)
15.273 centass TT
Quantità di calore
Interpretazione microscopica Il calore è legato a quella particolare energia (cinetica e potenziale) che i corpi possiedono in virtù dello stato di moto individuale e disordinato delle particelle che lo costituiscono (moto di agitazione termica).
Calore e temperatura
Al variare della temperatura questi moti sono alterati, nel senso che ad essi compete una maggior energia all’aumentare della temperatura.
Equipartizione dell’energia
Il raggiungimento dell’equilibrio termico tra due corpi posti a contatto, e inizialmente a temperature diverse, corrisponde ad un passaggio di energia dalle particelle del corpo più caldo a quelle dell’altro, e ad una ripartizione dell’energia totale fra i gradi di libertà delle particelle componenti i corpi del sistema. Questo trasferimento di energia dovuto alla differenza di temperatura corrisponde a quantità di calore che dal corpo più caldo passano a quello più freddo.
Definizione di calore
La quantità di calore richiesta per far passare un corpo da una temperatura T1 a una temperatura T2 non è altro che l’energia che il corpo deve scambiare con l’esterno in modo che i moti delle sue particelle passino da quelli caratteristici per il primo stato a quelli caratteristici per il secondo stato.
Calorico e caloria
Tuttavia, anticamente il calore era considerato come un fluido (calorico) che poteva passare da un corpo ad un altro, e che deve essere somministrato o sottratto ad un corpo per far variare la sua temperatura. Ciò è alla base dell’introduzione di alcune grandezze (es. la caloria) ancora in uso.
Calorimetro
Le quantità di calore che un corpo scambia con l’ambiente può essere misurata con uno strumento chiamato calorimetro.
dTmcdQ
)( 12 TTcmQ
2
1
)(
T
T
dTTcmQ
Caloria, calori specifici
Caloria:
La scelta di una unità di misura per le quantità di calore richiede la scelta di: 1) un intervallo di temperatura; 2) una massa; 3) una sostanza. Caloria = Quantità di calore richiesta per innalzare la temperatura di un grammo di acqua da 14,5 a 15,5 °C
→ Unità del calore specifico: cal· g-1 · °C-1
→ Calore specifico dell’acqua: cacqua = 1 cal· g-1 · °C-1
Calore specifico a volume costante ( cV ) e a pressione costante ( cP )
Il calore specifico dipende anche dalla modalità con cui viene somministrato il calore: a V o p costante. • In generale cP > cV : a pressione costante si permette alla sostanza di dilatarsi compiendo lavoro esterno, e
parte del calore somministrato viene utilizzato per compiere lavoro di espansione. • La differenza è importante solo per i gas: nei solidi e nei liquidi il coefficiente di espansione termica è molto
piccolo e cP ≈ cV (nei solidi si parla dunque genericamente di calore specifico c).
c = calore specifico. Rappresenta la natura del corpo nei riguardi della quantità di calore richiesta per variare la sua temperatura (cm = capacità termica del corpo).
Per variazioni infinitesime di T: Per ampie variazioni di T:
Calore specifico La quantità di calore necessaria per far passare un corpo da una temperatura T1 ad una T2 (non distante da T1) è: 1) proporzionale a T2 -T1 ; 2) proporzionale alla massa del corpo ; 3) dipende dalla natura del corpo
Trasmissione del calore: convezione
Trasmissione del calore La trasmissione del calore consiste nel passaggio di quantità di calore da un corpo ad un altro, o da una parte di un corpo ad un’altra. Essa avviene attraverso tre diversi meccanismi: convezione, conduzione e irraggiamento.
Convezione
La convezione è il modo di propagazione del calore a cui è associato movimento di materia: essa può presentarsi nei liquidi e negli aeriformi nei quali le particelle sono libere di muoversi e cambiano densità con la temperatura.
Descrizione quantitativa della convezione
Quantità di calore trasmessa per convezione nell’unità di tempo attraverso la superficie S
TSKt
Qconv D
Meccanismo della convezione Ad eccezione dell’acqua al di sotto di 4 °C, l’aumento della temperatura produce una diminuzione della densità (aumento il volume a parità di massa). Per il principio di Archimede le particelle calde tendono a portarsi nella parte più elevata della massa fluida e quelle più fredde nella parte inferiore. Si creano correnti nella massa ed un rimescolamento in conseguenza dei quali il calore è trasmesso da una parte all’altra del fluido.
Esempi • Liquido in una pentola scaldata sul fondo • Impianti a termosifone • Correnti oceaniche • Impianti di ventilazione • Formazione dei venti • Brezza di terra e brezza di mare
Trasmissione del calore: conduzione
Conduzione La conduzione è il modo di propagazione del calore a cui non è associato movimento di materia. Si verifica soprattutto nei solidi quando due corpi a diversa temperatura sono posti a contatto o due parti dello stesso corpo si trovano a temperature diverse.
Descrizione quantitativa
Quantità di calore (Q) trasmessa nell’unità di tempo (t) attraverso una qualsiasi sezione S di una sbarra di lunghezza Dl le cui estremità sono mantenute a temperature T1 e T2 differenti (legge di Fourier):
l
TSK
t
Qcond
D
D
Dl
S T1 T2
Meccanismo microscopico Le molecole dei solidi, nel loro moto di agitazione termica, oscillano attorno alla loro posizione di equilibrio. Ad una temperatura maggiore corrisponde una maggiore energia ed ampiezza di vibrazione. La trasmissione di calore per conduzione corrisponde al trasferimento di energia dalle molecole a energia maggiore alle molecole ad energia minore (equipartizione dell’energia) per interazione diretta fra molecole adiacenti.
Conducibilità termica di alcune sostanze a T ambiente
sostanza Kcond (J m-1 s-1 °C-1)
rame ferro e acciaio ghiaccio vetro acqua pelle secca neve legno sughero polistirolo lana di vetro aria
3.85·102
4.60 2.17 0.84 0.585 0.251 0.210 0.125 0.042 0.040 0.0389 0.0230
Trasmissione del calore: irraggiamento
L’irraggiamento è quel processo di trasmissione del calore nel quale l’energia è trasportata nello spazio fra un corpo e l’altro mediante onde elettromagnetiche.
Elettromagnetismo
Termoregolazione del corpo umano
Termoregolazione
La temperatura del corpo umano è relativamente uniforme e costante (a circa 37 °C) indipendentemente dalle condizioni ambientali esterne. • La convezione del sangue è il meccanismo principale con cui il corpo umano è in grado di mantenere una
temperatura quasi uniforme fra le sue parti. • Affinché la temperatura del corpo resti costante è necessario che la quantità di calore prodotto nel corpo
sia uguale alla quantità di calore eliminata (dissipata) dal corpo attraverso la superficie cutanea.
quantità di calore prodotto nel corpo
quantità di calore eliminato (dissipato) dal corpo attraverso la superficie cutanea =
La dissipazione del calore ha luogo per mezzo di tre meccanismi Dissipazione di calore per conduzione – Se Tambiente < Tcorpo una parte del calore superfluo viene dissipata per conduzione fra la pelle e l’aria. – Il calore dissipato per conduzione dal corpo è proporzionale a Tcorpo - Tambiente (legge di Fourier). Dissipazione di calore per irraggiamento – A 37 °C il corpo umano emette radiazioni nello spazio circostante, principalmente nel campo dell’ infrarosso. – Se Tambiente < Tcorpo la quantità di energia emessa dal corpo per irraggiamento è superiore a quella assorbita. – Il calore dissipato per irraggiamento dal corpo è proporzione a Tcorpo - Tambiente Dissipazione di calore per sudorazione e respirazione – Il meccanismo si basa sull’evaporazione di acqua (contenuta nel sudore) dalla superficie della pelle, e sull’
evaporazione di acqua dalla superficie dei polmoni. – Il calore necessario per l’evaporazione dell’acqua viene sottratto dal corpo che si raffredda. – Il calore dissipato per evaporazione aumenta all’aumentare di Tambiente. – Per temperature esterne maggiori di 37 °C, l’evaporazione rimane l’unico meccanismo di dissipazione del calore.
Contributo relativo dei meccanismi di dissipazione
A 23 °C il calore viene eliminato per il 15% per conduzione, per il70% per irraggiamento, e per il 15% per sudorazione. A 30 °C il calore viene eliminato per il 10% per conduzione, per il45% per irraggiamento, e per il 45% per sudorazione. Per temperature esterne maggiori di 37 °C, l’evaporazione rimane l’unico meccanismo di dissipazione del calore
Condizioni ambientali
Ambiente freddo (temperature esterna bassa)
Ambiente caldo (temperatura esterna elevata)
Ambiente secco (umidità relativa bassa)
Ambiente umido (umidità relativa elevata)
Effe
tto
su
i me
ccan
ism
i di
tras
mis
sio
ne
de
l cal
ore
La quantità di calore dissipata dal
corpo verso l’esterno per
conduzione ed irraggiamento
tende ad aumentare.
Per mantenere la T cost. bisogna
aumentare la produzione di calore
nel corpo e diminuire la
dissipazione verso l’esterno.
La quantità di calore dissipata dal
corpo verso l’esterno per
conduzione ed irraggiamento tende
a diminuire.
Per mantenere la T cost. bisogna
diminuire la produzione di calore
nel corpo e aumentare la
dissipazione verso l’esterno.
Il basso grado di umidità
favorisce l’evaporazione di
acqua dalla superficie del corpo
e dalle vie respiratorie.
L’elevato grado di umidità
ostacola l’evaporazione del sudore e
rende la pelle e i vestiti migliori conduttori di calore.
Effe
tti s
ul c
orp
o e
re
azio
ni d
el c
orp
o
Per diminuire la dissipazione il
corpo reagisce con una
vasocostrizione che ha l’effetto
di: 1) ridurre il trasferimento di
calore dall’interno alla superficie
del corpo (ridurre la differenza di
temperatura fra superficie del
corpo e l’aria circostante) e quindi
di ridurre la sua dissipazione per
conduzione; 2) trattenere il calore
negli organi vitali.
Per aumentare la dissipazione di
calore il corpo reagisce con la
sudorazione e con una
vasodilatazione che ha l’effetto
di: 1) aumentare il trasferimento di
calore dall’interno alla superficie
del corpo (aumentare la differenza
di temperatura fra la superficie del
corpo e l’aria circostante) e quindi
di aumentare la sua dissipazione
per conduzione; 2) dissipare il
calore in eccesso dagli organi vitali
L’eccessiva siccità può
provocare disturbi
dell’apparato respiratorio,
poiché la notevole
evaporazione all’interno delle
vie respiratorie produce una
pericolosa disidratazione di
queste vie.
Se l’ambiente esterno
molto caldo sarebbe
necessario poter sudare
abbondantemente, ma
l’elevato grado di umidità
ostacola l’evaporazione
del sudore, provocando
una sensazione di caldo
soffocante.
Se l’ambiente esterno è
molto freddo sarebbe
necessario poter isolare il
corpo dall’ambiente
esterno, ma l’elevato
grado di umidità rende la
pelle e i vestiti migliori
conduttori di calore e
quindi ostacola la difesa
dal freddo.
Pre
cau
zio
ni
e C
om
me
nti
Ridurre la dissipazione di calore:
vestiti basso coeff. cond. termica.
Aumentare la produzione di
calore: esercizio fisico, cibo
elevato contenuto calorico.
Aumentare la dissipazione di
calore: vestiti leggeri e larghi,
ventilazione, ombra.
Ridurre la produzione di calore:
riposo, cibi ridotto contenuto
calorico.
E’importante mantenere il
giusto grado di umidità relativa
(50-69%) nelle abitazioni
Se l’ambiente esterno è
freddo, anche se è umido,
l’ambiente interno delle
abitazioni riscaldate può
essere pericolosamente secco
(l’umidità relativa, a parità di
umidità assoluta, diminuisce
all’aumentare della
temperatura)
In ambiente umido e’ difficile per il corpo difendersi
dagli eccessi di temperatura.
Al contrario, in climi secchi il corpo umano è in grado di
sopportare temperature estreme molto meglio che non
in climi umidi.
Termoregolazione del corpo umano condizioni ambientali estreme
Umidità assoluta UA(P,T)
Massa di vapore acqueo che è contenuta in metro cubo di aria ad una certa temperatura e pressione. Umidità relativa UR(P,T)
Rapporto tra la massa di vapore acqueo contenuta in un certo volume d’aria e la il massimo valore della massa di vapore acqueo che lo stesso volume d’aria può contenere nelle medesime condizioni di temperatura e pressione :
UR(P,T) = UA(P,T) / UA,MAX(P,T) L’umidità relativa fornisce perciò informazioni su quanto una massa d’aria è lontana dalla condizione di saturazione.
Dipendenza dalla temperatura
La capacità dell’aria di contenere vapore acqueo (UA,MAX) aumenta con la temperatura. Dunque, lasciando invariate la massa di vapore acqueo contenuta in un certo volume d’aria e la pressione, l’umidità relativa diminuisce all’aumentare della temperatura e viceversa.
Umidità assoluta e relativa
Termodinamica
Sistemi termodinamici
Sistema termodinamico Sistema costituito da un gran numero di particelle (atomi o molecole), ovvero, da un gran numero di gradi di libertà. • Per questi sistemi non è possibile determinare lo stato di moto delle singole particelle del sistema
(microstato del sistema) applicando i metodi della meccanica. • Il comportamento macroscopico del sistema può tuttavia essere descritto per mezzo di un
numero limitato di grandezze globali (grandezze di stato) fra le quali è compresa la temperatura.
Termodinamica La termodinamica si occupa dello studio del comportamento macroscopico di tali sistemi in processi in cui sono coinvolti scambi di calore e/o variazioni di temperatura.
Classificazione dei sistemi termodinamici Un sistema termodinamico si dice: • aperto se consente uno scambio di energia (tramite calore e/o lavoro e/o altra forme di energia) e
di massa con l'ambiente esterno ; • chiuso se consente uno scambio di energia, ma non di massa, con l'ambiente esterno; • adiabatico quando non scambia calore con l'ambiente esterno; • isolato se non permette scambi di energia e massa con l'ambiente esterno.
Equilibrio termodinamico
Stato di equilibrio termodinamico Un sistema termodinamico si trova in equilibrio (o in uno stato di equilibrio termodinamico) quando: • Le forze meccaniche che si esercitano sulle varie parti del sistema sono in equilibrio (equilibrio
dinamico); • non c’è moto macroscopico osservabile fra le varie parti del sistema: le singole particelle del sistema si
trovano sempre in moto ma tali moti non sono percepibili su scala macroscopica (equilibrio cinematico); • tutte le parti del sistema sono alla medesima temperatura (equilibrio termico); • eventuali reazioni chimiche hanno raggiunto l’equilibrio nel senso che non c’è ulteriore variazione di
composizione (equilibrio chimico); • processi di cambiamento di stato (solidificazione, evaporazione, ecc.) hanno anche essi raggiunto
l’equilibrio (equilibrio fisico).
Sperimentalmente si osserva che un sistema termodinamico lasciato a se stesso (per esempio isolato dall’ambiente esterno) dopo un tempo più o meno lungo raggiungere uno stato di equilibrio.
Microstato
Configurazione microscopica del sistema a cui corrisponde un particolare insieme di valori per le posizioni, le velocità e gli stati quantici delle singole particelle.
Natura dinamica dell’equilibrio termodinamico In condizioni di equilibrio termodinamico da un istante all’altro il sistema passa da un microstato ad un altro al quale corrispondono gli stessi valori delle grandezze globali che descrivono lo stato di equilibrio termodinamico (macrostato di equilibrio).
Variabili di stato, equazioni di stato
Variabili di stato Lo stato di equilibrio termodinamico è descritto per mezzo di un numero limitato di grandezze o parametri che perdono il nome di variabili di stato (temperatura, volume, etc.): i valori che esse assumono per un certo stato di equilibrio sono caratteristici di quello stato e non dipendono dal modo in cui lo stato è raggiunto. • Si ha una coppia di tali variabili (una intensiva, una estensiva) per ciascuna maniera con cui il sistema può
scambiare energia (meccanica, elettrica, termica, magnetica, etc) con l’ambiente esterno, ad es.
- Energia meccanica legata al lavoro delle forze di pressione : pressione (P), volume (V) - Scambio di calore: temperatura (T), entropia (S) - Scambio di materia: potenziale chimico (), numero di moli (n)
Equazioni di stato
Le variabili di stato non sono tutte fra loro indipendenti. La natura del sistema fissa infatti delle relazioni (equazioni di stato) fra esse. • Si ha una di tali relazioni per ciascuna maniera con cui il sistema può scambiare energia con l’ambiente
esterno (una per per ciascun contatto energetico). • Il numero di grandezze di stato indipendenti (numero di grandezze meno numero di relazioni) è pari al
numero di contatti energetici. • Lo stato del sistema può essere rappresento da un punto in uno spazio con dimensionalità pari al numero di
variabili indipendenti (numero di contatti energetici).
Il sistema gas perfetto
Gas perfetti Le equazioni di stato dipendono dal tipo di gas, tuttavia, tutti i gas ad elevate rarefazioni ed alte temperature mostrano il medesimo comportamento e per essi è stato introdotto un modello ideale (gas perfetto) che ne riproduce il comportamento limite. Il gas perfetto si ritiene formato da un gran numero di molecole che • si muovono con uguale probabilità in tutte le direzioni obbedendo alle leggi della meccanica classica; • occupano un volume trascurabile rispetto al volume totale occupato dal gas; • non scambiano forze tranne che durante gli urti con le altre molecole o con le pareti del recipiente, e tali urti
sono perfettamente elastici (non vi sono cioè perdite di energia cinetica).
Equazione di stato dei gas perfetti Per i gas perfetti l’equazione di stato che lega le variabili p e V è nota come equazione di stato dei gas perfetti e può essere ricavata sperimentalmente:
nRTpV
p
V
Gas I gas sono sistemi termodinamici che tipicamente possono scambiare con l’esterno energia termica, ed energia meccanica mediante il lavoro delle forze di pressione. Per i gas si hanno quindi: • 2 contatti energetici : lavoro meccanico delle forze di pressione, scambio di calore • 4 variabili di stato: pressione (p), volume (V), temperatura (T), entropia (S); • 2 equazioni di stato • 2 variabili di stato indipendenti (n. di variabili di stato - n. di equazioni di stato) • Lo stato del sistema viene tipicamente rappresentato da un punto nel piano p-V
(piano di Clapeyron).
A pA
VA
molK
JR 314.8 Costante universale
dei gas perfetti
Trasformazioni
Trasformazioni Cambiamenti di stato di un sistema, ovvero, passaggio da uno stato iniziale di equilibrio ad uno stato finale anch’esso di equilibrio.
Trasformazioni quasi-statiche
Trasformazione costituita da una successione di stati intermedi di equilibrio (per ciascuno dei quali sono definiti i valori delle grandezze di stato).
Caratteristiche: • Il passaggio fra due stati intermedi contigui deve avvenire in un tempo sufficientemente lungo in modo
tale da mantenere la condizione di equilibrio • Possono essere rappresentate graficamente mediante una linea continua.
Trasformazioni reversibili
Una trasformazione si dice reversibile se oltre ad essere quasi-statica, non è accompagnata da processi dissipativi (attriti, etc), ed eventuali scambi di calore con l’esterno avvengono con corpi (sorgenti) alla stessa temperatura del sistema (al momento dello scambio).
Caratteristiche: Una trasformazione reversibile può essere descritta in senso contrario, invertendo la sequenza temporale
degli stati di equilibrio.
Trasformazioni irreversibili Trasformazioni che non sono quasi-statiche, o trasformazioni quasi-statiche non reversibili.
Trasformazioni cicliche
Trasformazioni che riportano il sistema nello stato iniziale.
dl
Lavoro nelle trasformazioni reversibili
pdVpSdlFdldL
S
pSF
dnpdVdL
B
A
B
A
pdVdLL
p
V
A
L
Lavoro e variabili di stato Durante le trasformazioni di un sistema, questo compie frequentemente lavoro. Nelle trasformazioni quasi-statiche e in quelle reversibili tale lavoro può essere calcolato mediante le grandezze di stato. Consideriamo ad esempio l’espansione di una massa gassosa contenuta in recipiente cilindrico chiuso da un pistone mobile di superficie S:
trasformazione elementare trasformazione finita:
Nel caso di più contatti energetici, per ciascuno di questi contatti il lavoro elementare è dato dal prodotto della relativa variabile intensiva per il differenziale della variabile estensiva
Contatto energetico Variabili di stato Lavoro elementare
Energia meccanica legata a forze di pressione p, V pdV
Scambio di materia , n dn
B
Premessa Alcune esperienze (es. attrito) suggeriscono l’idea che il calore prodotto in un trasformazione corrisponda ad una trasformazione di energia meccanica (o di altra specie) che sembra scomparire.
Verifica Ogni volta che una data quantità di energia meccanica (o di altra specie) scompare mentre viene prodotto calore (senza che contemporaneamente appaiano altre forme di energia), la quantità di calore prodotta è sempre la stessa. Apparato • Un sistema di pale montate su un asse può ruotare in un
cilindro pieno d’acqua nel quale sono disposti alcuni diaframmi fissi.
• La rotazione dell’asse è determinata dalla caduta di pesi noti e l’energia meccanica è dissipata in calore per attrito nel liquido.
• Il calore prodotto può essere misurato e rimosso in modo da riportare il liquido nelle condizioni iniziali.
Trasformazione Il sistema liquido ha subito una trasformazione ciclica durante la quale un lavoro L è stato compiuto dall’esterno sul sistema, e una quantità di calore Q rimossa. Risultato Il rapporto L/Q resta costante qualunque sia L (massa dei pesi).
Esperienza di Joule
Generalizzazione dell’esperienza di Joule Lo stesso risultato si ottiene in qualunque esperienza analoga nella quale un sistema descrive una trasformazione ciclica in cui lavoro viene compiuto sul sistema e calore prodotto: il rapporto L/Q resta costante qualunque sia L .
Equivalente meccanico della caloria
Si può quindi parlare di un equivalente meccanico della caloria J, e si può scrivere fra lavoro speso e quantità di calore prodotta in una trasformazione ciclica la relazione :
Dimensioni fisiche e unità di misura del calore
Il calore ha le stesse dimensioni fisiche dell’energia; l’ unità di misura nel S.I. è il Joule.
Convenzione sul calore scambiato dal sistema
Calore ed energia
cal
jouleJJQL 1868.4
0Q se assorbito dal sistema
0Q se ceduto dal sistema all’ambiente esterno
Primo principio della termodinamica
A
B
p
V
Il lavoro L compiuto dal sistema e il calore Q scambiato dal sistema con l’esterno dipendono dalla trasformazione seguita
L’energia totale scambiata con l’esterno Q - L non dipende dalla trasformazione, ma solo dallo stato iniziale A e quello finale B della trasformazione
Lavoro e calore non sono funzioni di stato Si può introdurre una funzione di stato U, detta energia interna U, tale che UB – UA = Q – L
Non si può parlare di lavoro e di calore contenuti in un corpo in un certo stato, ma solo di calore scambiato e di lavoro compiuto dal sistema durante una trasformazione
Si può parlare di una energia totale (energia interna U) del sistema in un determinato stato termodinamico.
Un sistema termodinamico compie diverse trasformazioni (reversibili o non) dallo stesso stato iniziale A allo stesso stato finale B. Sperimentalmente si trova che:
Enunciato Per un sistema termodinamico esiste una funzione di stato, detta energia interna, la cui variazione quando il sistema passa da uno stato A ad uno stato B dipende solo dagli stati iniziale e finale e non dalla trasformazione seguita: tale variazione è pari all’energia scambiata con l’esterno tramite il flusso di calore ed il lavoro.
Espressione analitica
trasformazione finita: trasformazione elementare:
LQUU AB dLdQdU
Il significato del primo principio della termodinamica
Quando un sistema termodinamico compie una trasformazione da uno stato A a uno stato B, il bilancio Q - L dell’energia (termica e di altro tipo) che esso scambia con l’ambiente non va in generale in pareggio (Q - L ≠ 0). Lo sbilanciamento Q - L viene tuttavia compensato da una variazione dell’energia interna accumulata dal sistema
Se l’energia complessivamente ricevuta dal sistema è maggiore di quella ceduta (Q - L > 0) l’energia interna aumenta di una quantità pari proprio a Q - L.
Se l’energia estratta dal sistema è maggiore di quella che esso ha ricevuto (Q - L < 0), la differenza è stata fornita dal sistema, la cui energia interna è diminuita di una pari quantità.
In definitiva il primo principio rappresenta il principio di conservazione dell’energia anche in presenza scambi di quantità di calore e di trasformazioni di calore in altre forme di energia e viceversa. Il primo principio si può enunciare dicendo che l’energia dell’universo resta costante.
Espansione libera di un gas perfetto
0L
0Q
cost.0 D ULQU
)(TUU
cost.T
Il gas si espande liberamente
Il sistema è adiabatico
gas
Conseguenze • Per i gas perfetti si hanno due variabili di stato
indipendenti. Conviene qui scegliere come variabili indipendenti T e V. Tutte le grandezze si posso esprimere mediante queste variabili, in particolare U(T,V).
• Nell’espansione libera U resta costante, mentre V varia e T resta costante. U non può quindi dipendere da V.
Legge di Joule
L’energia interna di un gas perfetto è indipendente dal suo volume, ed è funzione esclusivamente della temperatura.
Esperienza di Joule Un gas perfetto, inizialmente contenuto nel recipiente A, può espandersi liberamente nel recipiente B (inizialmente vuoto) aprendo il rubinetto C. Tutto il sistema è posto in un bagno termometrico termicamente isolato dall’esterno (sistema adiabatico).
Risultato sperimentale
Nell’espansione libera di un gas perfetto la temperatura resta costante
A B
C
bagno
termometrico
vuoto
Applicazione del primo principio
Calori molari
dT
dQ
ncdTncdQ P
PPP
1
dT
dQ
ncdTncdQ V
VVV
1
calore molare a pressione costante
calore molare a volume costante
Calore molare a volume e a pressione costante
dT
dQ
mcmcdTdQ
1 calore specifico
Calore specifico
dUpdVdUdLdUdQV
(dal primo principio della termodinamica)
)(TUU (dalla legge di Joule)
dT
TdU
ncV
)(1 dTncdU V
Le trasformazioni dei gas perfetti possono essere studiate con le seguenti equazioni: • si determina la variazione di energia interna (che non dipende dalla trasformazione ma solo dallo stato iniziale e
quello finale) utilizzando la legge di Joule
• si calcola il lavoro delle forze di pressione mediante la relazione
per calcolare questo integrale è spesso necessario ricorrere all’equazione di stato dei gas perfetti per esprimere
l’integrale in funzione di una sola variabile
• Si calcola il calore scambiato dQ dal primo principio scritto per trasformazioni elementari
e poi si integra, oppure si calcola direttamente Q dal primo principio scritto per trasformazioni finite
dLdQdU
pdVdL
nRTpV
Primo principio delle termodinamica per i gas perfetti
dTncdU V
B
A
B
A
pdVdLL
)( ABV
B
A
V
B
A
TTncdTncdUU D
dLdUdQ
LUQ DLQU D
pdVdTncdLdUdQ V
Rcc VP
1° principio per una trasformazione elementare di un gas perfetto
I pr. per una trasformazione elementare a pressione cotante di un gas perfetto
dall’equazione di stato dei gas perfetti
dTncdQ PP
Relazione di Mayer
Confrontando questa relazione con la definizione di calore molare a volume e a pressione costante
si ricava la relazione di Mayer
Un’altra informazione utile è data dalla relazione di Mayer che fornisce il legame fra cP e cV per i gas perfetti.
dTRcnnRdTdTncdQ VVP )(
nRdTpdVtPse .cos
nRdTVdPpdVnRTpV
Trasformazione isobara reversibile di un gas perfetto
)()( ABAB
B
A
TTnRVVpdVpLnRdTpdVdL
)( ABV
B
A
VV TTncdTncUdTncdU D
p
V VA VB
A B
.cos tp
( ) ( ) ( )( ) ( )V B A B A V B A p B A
Q U L nc T T nR T T n c R T T nc T T D
Trasformazione isocora reversibile di un gas perfetto
00 LpdVdL
)( ABV
B
A
VV TTncdTncUdTncdU D
p
V
pA
pB
A
B
.cos tV
)( ABV TTncLUQ D
Trasformazione isoterma reversibile di un gas perfetto
p
V
pB
pA
B
A
.cos tT
VA VB
ln
B B
B
AA A
VdV dVdL pdV nRT L pdV nRT nRT
V V V
00 D UdTncdU V
A
B
V
VnRTLLUQ lnD
Trasformazione adiabatica reversibile di un gas perfetto
p
V
pB
pA
B
A
VA VB
)( ABV
B
A
VV TTncdTncUdTncdU D
00 QdQ
V
V
c
R
B
AR
c
A
B
A
BB
AV
B
AVV
V
V
V
V
T
T
V
dV
c
R
T
dT
V
dV
c
R
T
dT
V
dVnRTpdVdTncdLdQdU
lnlnln
B
Ac
c
B
Ac
cR
B
Ac
R
B
A
A
Bc
R
B
A
AA
BBc
R
B
A
A
B
V
V
V
V
V
V
V
V
p
p
V
V
Vp
Vp
V
V
T
T V
P
V
V
VVV
1
tpVVpVp BBAA cos
V
P
c
c
)( ABV TTncUUQL DD
p
V
pB
pA
VD VC
A
B
C
D
T1
T2
VB VA
L
A
BASS
V
VnRTQ ln1
C
DCED
V
VnRTQ ln2
1
2111T
T
Q
Q
Q
Q
Q
Q
L
ass
ced
ass
ced
ass
cedass
ass
Definizione Ciclo costituito da • 2 trasformazioni isoterme reversibili • 2 trasformazioni adiabatiche reversibili
Rendimento
Ciclo di Carnot
0ass ced
U Q L Q Q LD
cedass QQL
Conseguenze del I Principio
0Q
0Q
Secondo principio della termodinamica
Esistono tutta una serie di processi in cui intervengono scambi di quantità di calore o trasformazioni di calore in altre forme di energia, che pur soddisfacendo il primo principio (conservazione dell’energia), non avvengono mai spontaneamente nellarealtà. Queste limitazioni sono l’oggetto del secondo principio delle termodinamica. Questo principio può essere espresso in varie maniere, ciascuna delle quali pone in evidenza un aspetto diverso con cui tali limitazioni si manifestano. E’ possibile però dimostrare che tutte queste espressioni si equivalgono, giacché una porta di conseguenza l’altra. Enunciato di Kelvin
E’ impossibile realizzare una trasformazione il cui unico risultato sia soltanto quello di trasformare in lavoro il calore estratto da una sorgente termica.
Enunciato di Clausius
E’ impossibile realizzare una trasformazione il cui unico risultato sia soltanto quello di trasferire una quantità di calore da un corpo ad un altro a temperatura maggiore.
Il significato del 2° principio
Il 2° principio riconosce il fatto che molti processi avvengono spontaneamente in un verso ben preciso e che in tal caso essi sono intrinsecamente irreversibili nel senso che non è possibile realizzare una combinazione di processi naturali (spontanei) che ripristini esattamente lo stato iniziale del sistema e dell’ambiente esterno. Esempio 1 Il passaggio di quantità di calore da un corpo caldo a un corpo freddo avviene spontaneamente dal corpo caldo a quello freddo. Il secondo principio afferma l’impossibilità che il processo possa spontaneamente avvenire in senso opposto. Il processo può essere invertito soltanto compiendo lavoro dall’esterno (macchine frigorifere). Esempio 2 Se un pendolo portato fuori dalla posizione di equilibrio e lasciato a se stesso, il processo naturale è quello delle oscillazioni smorzate fino al ritorno alla posizione di equilibrio con produzione di calore per attrito e resistenze passive. Il processo non può avvenire spontaneamente in verso opposto: esso richiederebbe un lavoro ottenuto per trasformazione di quantità di calore prelevate dall’ambiente (sorgente a T cost.) e ciò e vietato dal secondo principio.
T1 T2
Trasformazioni reali In una qualsiasi trasformazione reale c’è sempre trasformazione di una quantità di energia di altra specie in calore: esse risultano irreversibili perché per il secondo principio la trasformazione inversa non può essere realizzata in modo da ripristinare le condizioni iniziali del sistema e dell’ambiente esterno con cui il sistema ha eventualmente interagito. Le limitazioni espresse dal secondo principio sono legate alle cause che rendono i processi reali irreversibili e che di conseguenza fissano il verso delle trasformazioni spontanee dei sistemi.
Caratteristica delle trasformazioni reversibili elementari
1. La quantità di calore elementare dQ che il sistema riceve è pari a quella fornita dalla sorgente esterna: non c’è produzione di calore nel sistema per fenomeni dissipativi di attrito (non c’è trasformazione di energia di altro genere in calore).
2. La temperatura del sistema in questo processo coincide con quella della sorgente esterna: uno scambio di calore con differenza di temperatura fra sorgente e sistema genera fenomeni irreversibili, ad es. differenze di temperatura fra le parti del sistema.
Trasformazioni reversibili
T T
dQ dQ sorgente sistema
Trasformazioni reversibili Una trasformazione reversibile può essere considerata come la somma di tante trasformazioni reversibili elementari in cui il sistema, alla stessa temperatura T della sorgente esterna, scambia con questa una quantità di calore dQ . La temperatura T e la quantità di calore dQ possono essere diverse nelle diverse trasformazioni elementari, ma in ogni trasformazione elementare la temperatura della sorgente coincide con la temperatura del sistema e la quantità di calore assorbita dal sistema è uguale a quella ceduta dalla sorgente.
Ti Ti
dQi dQi sorgente sistema
1dQA
B
1T
2dQ
2T
iT
idQ
nT
ndQ
n
i
idQQ1
Entropia
• Il calore Q non è una funzione di stato: fissati gli stati iniziale e finale del sistema il calore scambiato dal sistema con l’ambiente esterno dipende dalla particolare trasformazione fra questi stati.
• La somma delle quantità dQ/T, lungo tutta una trasformazione reversibile, è indipendente dalla trasformazione e dipende solo dallo stato iniziale e dallo stato finale.
• E’ possibile allora introdurre una funzione di stato, l’entropia S, definita in modo che la sua variazione fra due stati sia uguale a quella sommatoria calcolata lungo una qualsiasi trasformazione reversibile fra questi stati:
In termini differenziali:
B
A rev
ABT
dQSS
Entropia
revT
dQdS
1
1
T
dQ
2
2
T
dQ
3
3
T
dQ
B
A rev
n
i i
i
n T
dQ
T
dQ
1
lim
A
B
n
n
T
dQi
i
T
dQ
Caratteristica delle trasformazioni irreversibili elementari
1. Esistenza di processi dissipativi, come l’attrito, che provocano trasformazioni di energia meccanica, elettrica, ecc., in energia termica (calore).
La quantità di calore totale dQtot assorbita dal sistema è pari alla somma di quella ceduta dalla sorgente esterna (dQest) e quella prodotta (dQdiss > 0) nel suo interno per trasformazioni di altri tipi di energia.
2. Esistenza di una differenze di temperatura fra sorgente e sistema.
La temperatura della sorgente (Tsorg) è maggiore di quella del sistema (Tsist), se le quantità di calore sono trasmesse dalla sorgente al dal sistema, è invece minore, se il le quantità di calore sono trasmesse dal sistema all’ambiente.
Trasformazioni irreversibili
T+DT T
dQest
sorgente sistema
dQest
dQdiss
Disequazione di Clausius
• Per trasformazioni irreversibili elementari in cui il sistema assorbe calore ( dQest > 0, Tsorg=Tsist +|DT| )
• analogamente per trasformazioni irreversibili elementari in cui il sistema cede calore ( dQest < 0, Tsist = Tsorg +|DT| )
B
A irr
ABT
dQSS
Disequazione di Clausius
irrirrirr
sorg
est
irrsorg
dissest
irrsist
tot
T
dQdS
T
dQ
T
dQ
TT
dQdQ
T
dQdS
D
irrirrirr
sorg
est
irrsorg
dissest
irrsist
tot
T
dQdS
T
dQ
T
dQ
TT
dQdQ
T
dQdS
D
• ed in generale, per trasformazioni irreversibili finite
6 2
6 2
6
6
-6 -6 +2
+6 +2 +6
Nelle trasformazioni reversibili, l’entropia di un sistema isolato (dQ=0) resta costante Nelle trasformazioni irreversibili, l’entropia di un sistema isolato (dQ=0) aumenta
Entropia nei sistemi isolati
ABAB SSSSdQ 00
ABAB SSSSdQ 00
Legame fra entropia e 2 principio della termodinamica Il sistema e l’ambiente esterno (universo) costituiscono un sistema isolato. Siccome le trasformazioni reali sono tutte irreversibili si può affermare che:
“le trasformazioni reali avvengono spontaneamente nel verso per cui l’entropia dell’universo aumenta”
“una trasformazione reale provoca sempre un aumento di entropia dell’universo”. Il primo principio della termodinamica equivale ad affermare che l’energia dell’universo è costante, il 2° principio della termodinamica equivale ad affermare che l’entropia dell’universo cresce continuamente.
B
A rev
ABT
dQSS
B
A irr
ABT
dQSS
B
A rev
revABT
dQSS
B
A irr
irrABT
dQSS
Integrale di Clausius e entropia
A
B rev.
rev.
irrev.
• Un gas perfetto (n moli) compie una trasformazione da uno stato A ad uno stato B. • La variazione di entropia del gas non dipende dalla trasformazione, né dal fatto che essa sia reversibile o no,
ma solo dallo stato iniziale A e dallo stato finale B. • Per calcolare la variazione di entropia del gas si considera una qualsiasi trasformazione reversibile fra A e B e si
applica la formula Utilizzando il primo principio e l’equazione di stato si ottiene, integrando,
B
A rev
ABT
dQSS
pdVdTncdLdUdQ V
V
dVnR
T
dTncdV
T
p
T
dTnc
T
dQVV
A
B
A
BV
B
A
B
A
V
B
A rev
ABV
VnR
T
Tnc
V
dVnR
T
dTnc
T
dQSS lnln
Entropia nei gas perfetti
1 21 2 1 2
( ) ( ) 02
eq eq eq
T TQ Q mc T T mc T T T
1
11 1
ln 0
eq eq
eqTdQ dT
S mc mcT T T
D
2
22 2
ln 0
eq eq
eqTdQ dT
S mc mcT T T
D
Entropia nel raggiungimento dell’equilibrio termico
Per calcolare la variazione di entropia del gas si sostituiscono alla trasformazione irreversibile subita da ciascun corpo una trasformazione reversibile fra gli stessi stati iniziale e finale
Temperatura di equilibrio
L’entropia del primo corpo (quello che si riscalda) aumenta
L’entropia del secondo corpo (quello che si raffredda) diminuisce
T1 T2 Teq
Teq
1 2 1 2
2 2 2
1 21 2
1 2 1 2 1 2
( )ln ln ln 1 0
4 4
eqT T T T
S S S mc mc mcT T T T T T
DD D D
L’entropia del sistema isolato aumenta
2
24
TS mc
T
DD Se allora
2 1 1 20 ( )T T T T T TD
T1 T2 Teq
Teq
1 2 1 2
2 3 4
ln( 1)2 3 4
x x xx x
• La variazione di entropia corrispondente ad un passaggio irreversibile di calore da un corpo a temperatura maggiore ad una temperatura minore è un infinitesimo del secondo ordine se la differenza di temperatura è un infinitesimo del primo ordine.
• Questo risultato giustifica il fatto di considerare reversibili gli scambi infinitesimi di calore tra corpi aventi temperature che differiscono fra loro per un infinitesimo.
TdSdQTdQdS /
0 dnpdVTdSdUdnpdVTdSdU
Potenziali termodinamici
00)(0 dGTSPVUGTSPVUdTdSPdVdU
2 principio
dnpdVdQdLdQdU
1 principio
00)(0 dHpVUHpVUdpdVdU
S, p, n costanti
a S, p, n costanti, la condizione di equilibrio di un sistema è che la sua entalpia H sia minima
T, p, n costanti
a T, p, n costanti, la condizione di equilibrio di un sistema è che la sua energia libera G sia minima
H = entalpia
G = energia libera di Gibbs
espressione combinata del 1° e 2° principio
(T,S; p,V; ,n)
(T,S; p,V; ,n)
0 dnpdVTdSdUdnpdVTdSdU
0dU
00)(0 dATSUATSUdTdSdU
T, V, n costanti
a T, V, n costanti, la condizione di equilibrio di un sistema è che la sua energia libera A sia minima
S, V, n costanti
a S, V, n costanti, la condizione di equilibrio di un sistema è che la sua energia interna U sia minima
A = energia libera di Helmoltz
espressione combinata del 1° e 2° principio
U = energia interna
(T,S; p,V; ,n)
(T,S; p,V; ,n)
Capitolo 6:
ELETTROMAGNETISMO
• Campo elettrico e campo magnetico • Onde elettromagnetiche • Le radiazioni in medicina • Ottica geometrica ed occhio umano
Campo elettrico e campo magnetico
Particella Massa (kg) Dimensioni (m) Carica elettrica (Coulomb, C)
Protone mp = 1.6725210- 27 10- 15 e = 1.610-19
Neutrone mn = 1.6748210- 27 10- 15 0
Elettrone me = 0.9109110- 30 < 10- 16 -e = -1.610-19
mr10
105.0
39
3027
219
11
92
10100.91101.67
)106.1(
107.6
109
epgr
el
mm
e
G
K
F
F
Carica elettrica, legge di Coulomb
Particelle elementari
Legge di Coulomb: interazione di due cariche puntiformi nel vuoto (forza attrattiva/repulsiva esercitata da Q su q)
(G = 6.710-11 Nm2kg-2)
(K = 9109 Nm2C-2)
Legge di Newton (Forza attrattiva esercitata da M su m)
Confronto: atomo di idrogeno
prot. elettr.
rr
MmGFgr ˆ
2
rr
QqKFel ˆ
2
M m r
r
Q
q r
r
grF
elF
elF
Campo elettrico
)(Q,ˆ2
rErr
QK
q
F
rr
QqKrqQF ˆ),,(
2
),(),,( rQEqrqQF
Q
q
rrr ˆ
r
r
EqF
Forza di Coulomb Una carica puntiforme Q (ferma in un sistema inerziale) esercita su una carica q molto piccola (carica di prova) posta nelle sue vicinanze (in una posizione individuata dal vettore posizione ) una forza proporzionale alla carica elettrica di prova q
Campo elettrico Il rapporto fra questa forza e il valore della carica di prova è indipendente dalla carica di prova, e dipende solo dalla carica Q e dalla posizione occupata dalla carica di prova. Questo rapporto definisce il vettore campo elettrico generato dalla carica Q (detta sorgente del campo) nel punto dello spazio circostante individuato dal vettore :
Rilevazione di un capo elettrico La carica Q genera nello spazio circostante un campo elettrico che può essere rilevato come una forza agente su una carica di prova q posta in quella regione dello spazio
rrr ˆ
Il vettore
individua la posizione di q rispetto a Q
r
r
r
Campo elettrico generato da un insieme discreto o una distribuzione continua di cariche Nel caso in cui la sorgente del campo non sia una carica puntiforme, ma un insieme discreto o una distribuzione continua di cariche (ferme in un sistema inerziale), il campo si definisce allo stesso modo utilizzando però una carica di prova così piccola (infinitesima) in modo da produrre una perturbazione trascurabile nella configurazione delle cariche circostanti:
q
rqFrE
q
),(lim)(
0
Unità di misura del campo elettrico Newton/Coulomb
La carica di prova può infatti provocare :
• spostamenti macroscopici delle cariche presenti su un conduttore (fenomeno dell’induzione elettrostatica)
+ +
• modificazioni localizzate nelle distribuzioni di cariche negli isolanti (fenomeno della polarizzazione).
q q
Potenziale elettrico
M m rrr ˆ
Energia potenziale gravitazionale Energia potenziale della massa m, nel campo di forza gravitazionale generato dalla massa M, quando la massa m è posta a distanza r da M.
r
r
r
MmGrmMEP ),,(
Energia potenziale elettrica Energia potenziale della carica q, nel campo di forze elettriche generato dalla carica Q, quando la carica q è posta a distanza r da Q
Q q rrr ˆ
r
rr
QqKrqQEP ),,(
Potenziale elettrico Potenziale elettrico V generato dalla carica Q a distanza r da Q
Unità di misura Joule/Coulomb = Volt (V)
Proprietà Una carica q positiva (negativa) tende a muoversi verso punti dello spazio a potenziale elettrico minore (maggiore).
r
QK
q
ErQV P ),(
La massa m tende a muoversi verso punti ad energia potenziale minore
Confronto fra grandezze gravitazionali ed elettriche
rr
QqKrqQF ˆ),,(
2
r
QK
q
ErQV P ),(
r
MmGrmMEP ),,(
r
QqKrqQEP ),,(
rr
MmGrmMF ˆ),,(
2
M m rrr ˆ
Interazione gravitazionale Interazione elettrica
Forza generata dalla massa M sulla massa m in posizione rispetto a M
Energia potenziale della massa m, nel campo di forza gravitazionale generato dalla massa M, quando la massa m è posta a distanza r da M
Forza generata dalla carica Q sulla carica q in posizione rispetto a Q
Energia potenziale della carica q, nel campo di forze elettriche generato dalla carica Q, quando la carica q è posta a distanza r da Q
Potenziale elettrico generato dalla carica Q a distanza r da Q
rr
QK
q
FrQE ˆ),(
2
Campo elettrico generato dalla carica Q nel punto dello spazio circostante individuato dal vettore
(unità di misura: Newton/Coulomb)
(unità di misura: Joule/Coulomb=Volt)
r
r
Q q rrr ˆ
r
r
r r
r
Corrente elettrica Se un conduttore metallico è immerso in un campo elettrico uniforme si stabilisce ai sui capi una differenza di potenziale DV=VA-VB e le cariche libere nel conduttore (elettroni di conduzione) sono soggette ad una forza qE. Si stabilisce un moto ordinato di cariche nella direzione del campo (corrente elettrica).
Corrente elettrica
dt
dQI
Unità di misura dell’ Intensità di corrente elettrica Coulomb/secondo = Ampere (A)
Intensità di corrente elettrica Si definisce intensità di corrente I il rapporto fra la carica dQ che attraversa una qualsiasi sezione del conduttore nel tempo dt, e l’intervallo dt. Convenzionalmente si prende come verso della correte quello in cui si muovono le cariche positive (quello opposto al moto delle cariche negative).
EP=0
EP=mgh
gmF
+ + + + + + + +
- - - - - - - -
EqF
EVA
VB elettrone di conduzione
corrente elettrica
E
E
E Equivalente gravitazionale
Legge di Ohm In condizioni stazionarie, per una grande varietà di conduttori (conduttori ohmici) esiste una relazione di proporzionalità fra DV=VA-VB e I: La costante di proporzionalità R prende il nome di resistenza elettrica del conduttore.
Generatori Esistono dei dispositivi che sono in grado di mantenete costante la differenza di potenziale ai capi del conduttore. In questo caso la corrente che lo attraversa è costante nel tempo (corrente stazionaria I ).
Corrente elettrica stazionaria
+ -
I
VA VB
A B
R
I
RIV D
Schema di un semplice circuito costituito da un conduttore di resistenza R e da un generatore di forza elettromotrice
- +
Resistenze in serie Resistenze in parallelo
Resistenze in serie e in parallelo
21 RRI
VV
I
VV
I
VVR BCCABA
21
2121 111
RRVV
I
VV
I
VV
II
VV
I
R BABABABA
R1 R2
R1
R2
A B C
A B
I2
I1
I
I
Forza di Lorentz e campo magnetico Diciamo che i circuiti percorsi da corrente generano nello spazio circostante un campo B (detto campo magnetico) dipendente dalla posizione, il quale determina sulla carica q dotata di velocità v una forza F (detta forza di Lorentz) data dalla legge:
Unità di misura del campo magnetico
Osservazioni sperimentali In un sistema di riferimento (laboratorio) siano presenti uno o più circuiti fermi e percorsi da corrente stazionaria, ed una carica q dotata di velocità v. Si osserva sperimentalmente che la carica è soggetta ad una forza che ha le seguenti caratteristiche:
• dipende dalla posizione della carica (in particolare dalla distanza dal circuito) • è perpendicolare alla velocità • ha modulo proporzionale alla carica q
• ha modulo proporzionale al modulo v della velocità • in ogni posizione il modulo di F dipende dall’orientamento di v: c’è sempre
una direzione di v per cui F si annulla; la direzione di v per cui la forza è massima è perpendicolare alla direzione per cui la forza è nulla
Campo magnetico
),,( zyxBvqF
)(11
TTeslasmNC
vI
q
+
-
F
Solenoide (all’interno del solenoide)
tr
IrB ˆ
2)( 0
IniB ˆ
Filo rettilineo percorso da corrente Spira circolare (nel centro della spira)
nr
IrB ˆ
2)( 0
r
r
Espressione del campo magnetico nel vuoto per alcuni semplici circuiti
Campo elettromagnetico
Connessioni fra campo elettrico e campo magnetico in condizioni stazionarie Le cariche elettriche sono sorgenti del campo elettrico. Le correnti elettriche sono sorgenti del campo magnetico. Ma una corrente non è altro che un moto ordinato di cariche elettriche. Il fatto che una cariche sia ferma o in movimento dipende dal sistema di riferimento scelto. La natura del campo (elettrico o magnetico) dipende dal sistema di riferimento adottato.
Connessioni nei fenomeni non stazionari
• Un campo magnetico B variabile nel tempo genera un capo elettrico variabile nel tempo (legge di Faraday).
• Analogamente, un campo elettrico E variabile nel tempo genera un capo magnetico B variabile nel tempo.
Campo elettromagnetico Queste considerazioni lasciano intuire che campo elettrico e campo magnetico sono diverse manifestazioni di una unica entità fisica: il campo elettromagnetico.
Onde elettromagnetiche
Onde elettromagnetiche
Perturbazione del campo elettrico o del campo magnetico stazionario Se un campo magnetico stazionario (generato da correnti stazionarie) viene localmente perturbato, cioè fatto variare (ad esempio variando la corrente in un circuito), si genera nello spazio circostante un campo magnetico variabile nel tempo che a sua volta genera, nello spazio circostante, un campo elettrico variabile nel tempo, e questo a sua volta genera un campo magnetico variabile nel tempo, e così via. Il risultato di questa interazione è tale per cui i due campi si propagano nello spazio sotto forma di onde elettromagnetiche. Lo stesso accade se si perturba localmente un capo elettrico.
Onde elettromagnetiche
Il campo elettromagnetico può propagarsi in un mezzo materiale o nel vuoto sotto forma di onde trasversali (onde elettromagnetiche): il campo elettrico e magnetico oscillano mantenendosi perpendicolari fra loro e alla direzione di propagazione dell’onda.
c
TcT
1
direction of propagation
Velocità della luce
Indice di rifrazione di un mezzo In un mezzo materiale un’onda elettromagnetica si propaga con una velocità v < c. Il rapporto c/v > 1 prende il nome di indice di rifrazione del mezzo:
km/s300000m/s1038
c
Velocità della luce La velocità c delle onde elettromagnetiche nel vuoto è una costante universale
v
cn
Linea che mostra la velocità della luce in un modello in scala. Dalla terra alla luna, 384 400 km, la luce impiega circa 1,280 888 6126 secondi considerando la distanza media centro terra/centro luna.
Gli scambi di energia tra radiazione elettromagnetica e materia possono avvenire solo per quantità discrete En
che sono multipli interi di un valore elementare e detto quanto di energia elettromagnetica)
proporzionale alla frequenza della radiazione
Il fotone
ee hnEn
La costante di proporzionalità h, detta costante di Planck, ha un valore pari a
Il fotone L’interazione della radiazione elettromagnetica con la materia può essere descritta in termini di una particella elementare priva di massa, il fotone, definito come il quanto della radiazione elettromagnetica o il mediatore dell’interazione elettromagnetica:
Questa teoria rivoluzionaria fu formulata da Max Planck nel 1900, e gli valse il premio Nobel per la fisica del 1918.
sJ1062.634
h
Max Planck
....)2,1( n
– L’assorbimento di un fotone fa passare l’atomo, o la molecola, da un livello fondamentale (di energia E1) a un livello eccitato (ad es. di energia E3): la differenza di energia fra questi livelli è pari all’energia del fotone assorbito:
Dunque un atomo/molecola può assorbire solo quei fotoni la cui energia corrisponde alla differenza di energia fra due livelli energetici dell’atomo/molecola.
– Una volta eccitato, l’atomo torna spontaneamente al livello fondamentale. La
diseccitazione può avvenire in un salto unico o con una successione di passaggi a livelli energetici sempre più bassi: ad ogni transizione fra due stati corrisponde l’emissione di un fotone la cui energia è pari alla differenza di energia dei livelli fra cui avviene la transizione:
• Un atomo (o una molecola) può emettere o assorbire solo radiazioni le cui
frequenze hanno valori caratteristici, che dipendono dei livelli di energia dell’atomo (o della molecola) e che sono determinati dalle precedenti relazioni.
• La natura di un atomo (o di una molecola) può essere riconosciuta dallo spettro delle frequenze della radiazione che l’atomo (o la molecola) è in grado di emettere o assorbire.
Interazione delle onde elettromagnetiche con la materia
23" EEh
3 1E E h
Le onde elettromagnetiche vengono emesse o assorbite dalla materia sempre sotto forma di fotoni:
12' EEh )"'( hhh
Lunghezza d’onda
La lunghezza d’onda si esprime tipicamente in metri
Frequenza L’elettronvolt Energia
Legame fra frequenza, lunghezza d’onda ed energia del fotone
)(
103)(
18
mHz
c
T
J1919
106.1Volt1Coulomb106.1eV1
)(104.14)(15
HzeVEhE
)(
1024.1)(
)(
104.14/103)(
6158
meVE
m
seVsmeVE
hchE
seV104.14seV106.1
1062.6 15
19
34
h
Lo spettro delle onde elettromagnetiche
Le radiazioni in Medicina (da Scannicchio, Fisica Medica, Edises )
Assorbimento nei tessuti L’assorbimento nei tessuti è determinato da una legge di tipo esponenziale.
I(x) = intensità che perviene alla profondità x del corpo I0 = intensità incidente sulla superficie D = spessore corrispondente all’assorbimento del 63% della radiazione incidente
Sperimentalmente si osserva che l’assorbimento delle microonde è legato alla quantità di acqua presente nei tessuti e che la produzione di calore conseguente è determinata dall’interazione del campo elettrico variabile delle microonde ed il momento di dipolo elettrico della molecola dell’acqua: il suo continuo ri-orientamento e allineamento, lungo il campo elettrico variabile, causa un assorbimento di energia da parte della molecola e quindi del tessuto, con produzione di calore. D è funzione della frequenza ed ha valori molto diversi in tessuti con differente contenuto di acqua.
Le microonde
Produzione Questa radiazione viene ottenuta mediante l’impiego di circuiti oscillanti e di speciali valvole o tubi elettronici (klystron, magnetron)
Interazione con la materia
Quando le microonde attraversano un materiale producono oscillazioni di ioni e particelle cariche il cui moto causa per attrito il riscaldamento del materiale stesso.
(Hz) E
1 m - 1 mm 300 MHz - 300 GHz ≈ 1 eV - 1 meV
DxeIxI
/0)(
Effetti biologici ed applicazioni delle microonde
Effetti biologici L’effetto più rilevante delle microonde sul corpo umano è quello termico (diatermia).
Utilizzo a scopo terapeutico
L’effetto termico viene utilizzato per produrre il riscaldamento di regioni limitate del corpo umano. Poiché queste radiazioni penetrano abbastanza profondamente nel corpo, si riesce ad ottenere il riscaldamento di zone profonde senza che l’epidermide raggiunga temperature troppo elevate. Vengono così curate artriti, borsiti e lesioni muscolari.
Le apparecchiature per diatermia utilizzano microonde (in genere con pari a circa 2450 MHz) che sono indirizzate sulla regione del corpo da trattare mediante piccole antenne poste in un riflettore semisferico che permette di focalizzare le onde in una regione limitata. Il riflettore viene situato ad alcuni centimetri dal corpo per evitare i pericoli di bruciature, sempre possibili nell’uso di elettrodi a contatto con la pelle.
Danno biologico
La sovraesposizione alle microonde può causare danni, in particolare agli occhi e ai testicoli. A causa di questi pericoli, è fissato un limite di intensità, pari a 10 mW/cm2, per l’esposizione alle microonde per lunghi periodi di tempo. A titolo di confronto, questo limite è solo un decimo della massima potenza radiante solare che può essere assorbita dal corpo umano (100 mW/cm2).
Altre applicazioni
• Comunicazioni satellitari • Telefonia mobile, bluetooth, Wi-fi • Radar • Forno a microonde
La radiazione infrarossa
(Hz) E
1 mm – 0.7 m 3 · 1011 – 4.3 · 1014 Hz 1.24 · meV – 1.77 eV
Produzione: Transizioni molecolari ed emissione termica da sorgenti ad alta temperatura.
Emissione termica Nella materia il moto di agitazione termica genera:
• un moto disordinato di particelle cariche (protoni ed elettroni): cariche elettriche in moto accelerato producono onde elettromagnetiche.
• transizioni fra livelli energetici molecolari dal livello fondamentale ad un livello eccitato: nel processo di diseccitazione vengono emessi uno o più fotoni la cui energia è pari alla differenza di energia fra i livelli energetici. Il processo di emissione termica è regolato dalle leggi di Stefan e Wien:
Legge di Stefan L’energia radiante emessa in un secondo da un elemento di area unitaria della superficie di un corpo è direttamente proporzionale alla quarta potenza della temperatura assoluta (s = 1.36∙10-12 cal∙cm-2∙ s-1∙ K-4):
Legge di Wien La lunghezza d’onda per la quale l’emissione raggiunge il massimo d’intensità è inversamente proporzionale alla temperatura assoluta (k= 2.897∙10-3 m∙K):
4TI s
1max
kT
• La produzione di radiazione X per emissione termica comporta temperature elevatissime: dalla legge di Wien per 1 nm ≤ ≤ 1 pm (raggi X) si ottiene 3∙106 ≤ T ≤ 3∙109 . Queste temperature sono raggiungibili solo in alcune stelle (sorgenti X stellari).
• Alla temperatura del corpo umano (≈ 37 °C ) si ottiene max = 9.3 m. Il corpo umano emette energia termica nell’infrarosso, tuttavia l’intensità della radiazione emessa è molto bassa: dalle legge di Stefan si ottiene I = 1.25 ∙10-2 cal∙cm-2∙ s-1
• Quando un metallo viene riscaldato diventa lumisoso indicando che parte della radiazione emessa cade nel visibile. Inoltre, la colorazione dei corpi incandescenti passa dal rosso, all’arancio ed al bianco, man mano che si aumenta la temperatura, indicando che il massimo d’intensità della radiazione emessa si sposta verso le lunghezze d’onda minori all’aumentare di T.
• Il sole ha uno spettro di emissione che è ben approssimato da quello di una sorgente ideale che si trova a circa T=5800 K a cui corrisponde max = 0.5 m. Il massimo di emissione si ha nel visibile.
sole lampada da infrarosso
lampadina
Effetti biologici Il corpo umano percepisce la radiazione infrarossa sotto forma a di calore. L’effetto della radiazione sul corpo umano è puramente termico: la radiazione infrarossa attraversando un tessuto produce oscillazioni di ioni e particelle cariche il cui moto causa per attrito il riscaldamento del materiale stesso. • per il vicino infrarosso ( ≈ 0.7 m) la penetrazione è di alcuni cm • il lontano infrarosso ( > 1.4 m) viene assorbito completamente dagli strati superficiali dell’epidermide
Utilizzo a scopo terapeutico L’effetto termico (diatermia) può essere utilizzato per produrre il riscaldamento di regioni limitate del corpo umano. Viene tipicamente impiegato per il trattamento di artriti, borsiti, lesioni muscolari. • Se si vuole eseguire una terapia termica in profondità bisogna utilizzare lampade con filamento ad alta
temperatura (3000 K). • Le sorgenti a bassa temperatura (1200 K), come una stufa o una comune lampada al rosso, producono un
riscaldamento limitato alla superficie esterna del corpo, da dove poi il calore passa agli strati più profondi per conduzione.
Utilizzo per scopo diagnostico Mediante la fotografia all’infrarosso o la termografia è possibile ottenere una mappa delle temperature della superficie del corpo umano, sfruttando il calore emesso dall’organismo attraverso la cute sotto forma di radiazioni elettromagnetiche infrarosse. In questo modo è possibile: • Ottenere un’immagine del profilo dei vasi sanguigni superficiali, poiché essi si trovano ad una temperatura
superiore a quella dell’epidermide e pertanto emettono raggi infrarossi con maggiore intensità. In questo modo si possono valutare eventuali alterazioni del flusso del sangue.
• Localizzare un centro di infiammazione (del sistema muscolo-scheletrico) o un tumore (della pelle, della mammella, o della tiroide), poiché esso è in generale caratterizzato da una temperatura locale superiore a quella del tessuto sano circostante.
Altre applicazioni Visione notturna
Effetti biologici ed applicazioni della radiazione infrarossa
La radiazione visibile
(Hz) E
0.7 m – 0.4 m 4.3 · 1014 Hz – 7.5 · 1014 Hz 1.77 eV – 3.1 eV
Ottica
I colori Le differenti lunghezze d'onda vengono interpretate dal cervello come colori, che vanno dal rosso delle lunghezze d'onda maggiori (frequenze più basse), al violetto delle lunghezze d'onda minori (frequenza più alte).
La luce Il termine luce (dal latino lux) si riferisce alla porzione dello spettro elettromagnetico visibile dall'occhio umano, ed è approssimativamente compresa tra 400 e 700 nanometri di lunghezza d'onda
La radiazione ultravioletta (UV)
Produzione • Emissione termica da sorgenti ad altissima temperatura. • Eccitazioni atomiche (transizioni elettroniche esterne). • Lampade a fluorescenza, lampade UVA. • Radiazione solare.
E
0.4 m - 1 nm 7.5 · 1014 - 3 · 1017 Hz 3.1 eV - 1.24 keV
regione UVA UVB UVC
400-315 nm 315-280 nm 280-100 nm
Sottoclassificazione
Lampade a flouresecenza. In medicina si usano lampade contenenti un tubo di quarzo (che, contrariamente al vetro, è trasparente agli UV) contenente vapori di Hg. Il mercurio, eccitato da scariche elettriche, emette diseccitadosi una serie di righe nella regione spettrale del violetto e dell’ultravioletto, la più intensa delle quali ha = 253.7 nm. Le lampade sono rivestite da opportuni fosfori che si eccitano proprio per una di 253.7 nm e riemettono radiazione UV in uno spettro continuo con 270 ≤ ≤ 400 nm.
Lampade UVA. Sono lampade a fluorescenza il cui spettro è limitato fra 315 e 400 nm.
Interazione con la materia L’energia dei fotoni della radiazione ultravioletta è sufficiente a produrre eccitazioni di atomi e molecole o addirittura la ionizzazione di atomi e la disintegrazione di grosse molecole. Quando interagisce con la materia, questa radiazione è in grado di causare, oltre ad un effetto termico, importanti effetti chimici.
Effetti biologici sulla pelle L’esposizione della pelle a radiazioni ultraviolette produce un eritema (dilatazione dei vasi sanguigni dovuta a sostanze prodotte dalla radiazione) seguito da un’abbronzatura (determinata da un pigmento che si deposita nei tessuti cutanei e che serve ad assorbire i raggi ultravioletti, proteggendo così gli strati sottostanti). Per inferiori a 320 nm, le radiazioni UV giocano un ruolo eziologico nella formazione del cancro della pelle.
Effetti biologici sugli occhi Gli occhi sono protetti dai raggi ultravioletti che vengono completamente assorbiti dalla cornea, dall’umor acqueo e dal cristallino. I danni agli occhi, causati da eccessiva esposizione ai raggi ultravioletti, per esempio sulla neve o sul ghiaccio, sono dovuti all’assorbimento di queste radiazioni da parte della cornea.
Attivazione della sintesi della vitamina D Nella pelle vengono prodotte delle sostanze come l’ergosterolo, le quali si trasformano in vitamina D in seguito all’assorbimento di radiazione ultravioletta nella regione spettrale di 300-250 nm, con un massimo a circa 280 nm.
Azione battericida Gli ultravioletti hanno una potente azione battericida (la cui efficacia è massima per ≈ 260 nm e si estende fino a circa 320 nm) conseguenza delle modifiche chimiche indotte dalla radiazione nel nucleo delle cellule batteriche.
Trattamento dell’epidermide in dermatologia Si utilizzano lampade UVA a fluorescenza il cui spettro di emissione è limitato fra 315 e 400 nm
Produzione di ozono nell’alta atmosfera terrestre Negli strati più elevati dell’atmosfera, la radiazione ultravioletta solare con < 180 nm è assorbita dall’ossigeno che viene così attivato e si trasforma in ozono. Le radiazioni con compresa fra 200 e 300 nm circa vengono a loro volta assorbite dall’ozono stesso.
Effetti biologici ed applicazioni della radiazione ultravioletta
Raggi X
Produzione
• Nell’emissione termica i raggi X sono pressoché assenti, anche per temperature molto elevate del radiatore. • Nell’emissione caratteristica di atomi e di molecole, eccitate termicamente o con scariche elettriche, sono presenti
al massimo raggi UV. La differenza di energia tra il livello energetico fondamentale degli elettroni di valenza e gli stati eccitati degli elettroni di valenza è inferiore all’energia di un fotone X.
1. Per ottenere raggi X bisogna quindi produrre delle transizioni di elettroni da orbitali esterni agli orbitali più interni. 2. In alternativa bisogna generare elettroni liberi con un’energia cinetica molto più elevata di quella che si può
ottenere con una sorgente termica: elettroni liberi portati ad alta velocità possono generare raggi X se vengono bruscamente frenati (in modo da raggiungere elevati livelli di decelerazione).
In medicina vengono utilizzati tubi a raggi X che fruttano entrambi questi processi.
(Hz) E
1 nm - 1 pm 3 · 1017 - 3 · 1020 Hz 1.24 · keV - 1.24 M eV
• Gli elettroni giungono in A con un’energia cinetica pari al lavoro L=eDV compito dal capo elettrico
• Dall’urto degli elettroni con l’anodo vengono
prodotti raggi X attraverso due meccanismi distinti:
1. Radiazione di frenamento 2. Transizioni di elettroni fra gli orbitali atomici del
materiale dell’anodo.
Schema complessivo di un tubo a raggi X • All’interno di un tubo di vetro in cui viene fatto il vuoto sono presenti due elettrodi, anodo (A) e catodo (C). • Il catodo è costituito da un filamento (F) di metallo in cui viene fatta passa passare una corrente elettrica prodotta da
un generatore di bassa tensione GI. • L’anodo è formato da una piastra di materiale metallico (tipicamente tungsteno) con grande numero atomico Z,
elevata temperatura di fusione, buona conducibilità termica. • Fra A e C si stabilisce una d.d.p. elettrico molto elevata (fino a 1 MV), ottenuta utilizzando un grosso trasformatore
(T) che eleva al valore desiderato la d.d.p. di 220 volt fornita della rete di distribuzione
Funzionamento di un tubo a raggi X • Sul filamento viene fatta passare una corrente elevata in modo da farlo diventare incandescente per effetto Joule. • Gli elettroni di conduzione raggiungono un’energia cinetica media di agitazione termica superiore all’energia di
legame al metallo, provocando cosi la loro emissione dal metallo stesso (effetto termoionico). • Gli elettroni emessi dal filamento si trovano nel campo elettrico uniforme E generato dalla d.d.p. DV fra A e C, e sono
quindi soggetti ad una forza F=eE che li fa muovere di moto uniformemente accelerato verso A.
Vemv D2
2
1
Il tubo a raggi X
Radiazione di frenamento
• L’elettrone urtando ad alta velocità l’anodo penetra in esso e viene bruscamente frenato dall’interazione con gli elettroni atomici e deviato dai nuclei degli atomi del materiale.
• Nel processo di frenamento l’elettrone emette energia raggiante e l’energia cinetica persa dall’elettrone si trasforma in fotoni. A seconda della rapidità con cui l’elettrone viene frenato si può avere la produzione di uno o più fotoni.
• I fotoni emessi per frenamento possono avere tutte le frequenze (o energie) possibili fino a una frequenza massima che corrisponde al processo in cui tutta l’energia cinetica di un elettrone viene trasformata in un unico fotone:
Veh Dmax
La radiazione di frenamento
Parametri di controllo della radiazione di frenamento
• Per far variare l’energia dei fotoni basta agire sul potenziale acceleratore DV.
• Per incrementare l’intensità del fascio, bisogna incrementare il numeri elettroni che bombardano l’anodo. Ciò si ottiene aumentando l’emissione termoionica mediante un aumento della temperatura del filamento provocata da un aumento della corrente che attraversa il filo catodico.
• Per un dato valore della d.d.p DV fra anodo e catodo, non tutti gli elettroni emessi dal filamento raggiungono l’anodo. Aumentando DV un sempre maggior numero di elettroni raggiunge l’anodo. Si può dunque aumentare l’intensità dei raggi emessi anche incrementando DV.
• In questo modo si ottengono facilmente fasci di raggi X con energie ed intensità variabili (es. in figura: anodo di tungsteno).
Transizioni di elettroni fra gli orbitali atomici del materiale dell’anodo.
• L’elettrone che colpisce l’anodo possiede abbastanza energia da espellere per urto un elettrone che si trova in un orbitale interno di un atomo dell’anodo, lasciando l’orbitale corrispondente privo di un elettrone.
• L’orbitale lasciato libero viene subito occupato da un elettrone di un orbitale più esterno, che nella transizione emette un fotone X di energia h pari alla differenza di energia tra i due orbitali (h
=E1-E2).
• Allo spettro continuo di frenamento si sovrappone un’emissione di raggi X a frequenze ben definite, cioè uno spettro a picchi molto stretti che prendono il nome di righe spettrali.
21 EEh
Raggi X caratteristici
• Le frequenze di queste righe sono determinate dal materiale usato come anodo e dalle energie degli orbitali coinvolti. Se si considera una stessa transizione atomica, la frequenza è funzione del numero atomico Z dell’elemento che costituisce l’anodo (secondo la relazione (legge di Mosley):
dove A e b sono due costanti: – A dipende dagli orbitali coinvolti nella
transizione; – b rappresenta l’effetto di schermo sulla
carica nucleare che gli elettroni più interni esercitano sull’elettrone che sarà espulso.
• Anche per questa ragione, il materiale che costituisce l’anodo deve avere un elevato numero atomico Z.
2)( bZA
Parametri di controllo dello spettro caratteristico
Interazione dei raggi X con la materia
Assorbimento nella materia L’assorbimento dei raggi X nella materia è determinato da una legge di tipo esponenziale
I0 = intensità incidente sulla superficie del materiale I(x) = intensità che perviene a profondità x rispetto alla superficie di incidenza
Coefficiente di assorbimento lineare totale 1/ = spessore corrispondente all’assorbimento del 63% della radiazione incidente (e = 2.718, e-1 = 0.37)
Assorbimento nei tessuti Il corpo umano è costituito da tessuti con coefficienti di assorbimento molto diversi, il cui valore dipende dal numero atomico Z, dallo stato di aggregazione dei tessuti e dall’energia dei fotoni incidenti.
Meccanismi di assorbimento In generale l’interazione dei aggi X con al materia avviene secondo i seguenti processi: • diffusione • effetto fotoelettrico • effetto Compton • produzione di coppie elettrone-positrone
xeIxI
0)(
L’effetto fotoelettrico
Processo • Il fotone X cede completamente la sua energia ad un atomo (cioè viene
assorbito da un atomo) del materiale irraggiato, provocando l’espulsione di un elettrone atomico (ionizzazione)
• l’elettrone emesso (foto-elettrone) dissipa la sua energia nel materiale in collisioni
• l’atomo eccitato torna allo stato normale mediante transizioni di elettroni a cui è associata l’emissione di radiazioni di frequenza inferiore a quella del fotone incidente. Questo fenomeno, detto fluorescenza, viene utilizzato nella diagnostica medica.
lk EhE
3
4
)(
h
Z
Energia del fotoelettrone • iI fotone X scompare e la sua energia viene trasformata in lavoro di estrazione
dell’elettrone dall’atomo (El) ed in energia cinetica dell’elettone emesso (EK). L’energia ceduta all’atomo è molto piccola e può essere trascurata.
• L’effetto può avere luogo solo se l’energia dell’fotone è maggiore della minima energia di ionizzazione Ei dell’atomo (Ei varia da 4 eV per il cesio a 24 eV per l’elio).
Coefficiente di assorbimento La probabilità che un quanto produca un effetto fotoelettrico (sia assorbito):
• è proporzionale alla densità del materiale, • è proporzionale alla quarta potenza del numero atomico del materiale irraggiato • è inversamente proporzionale al cubo dell’energia del quanto incidente
In realtà l’andamento di presenta delle brusche discontinuità per energie dei fotoni incidenti pari alle energie di legame dei vari orbitali (K, L, M). Infatti :
• finché l’energia del fotone non raggiunge il valore di soglia corrispondente ad un dato orbitale, non ci può essere emissione di fotoelettroni da quell’orbitale;
• appena l’energia supera tale valore gli elettroni dell’orbitale sono in grado di assorbire i fotoni e si ha un brusco aumento di .
L’effetto Compton
Processo Il fotone X incidente viene diffuso (deviato) da un elettrone atomico di valenza (che può essere considerato quasi libero), con perdita di energia del fotone ed espulsione dell’elettrone dall’atomo del materiale.
h
Z
Coefficiente di assorbimento La probabilità che un quanto produca un effetto Compton (sia assorbito):
• è proporzionale alla densità del materiale, • è proporzionale al numero atomico dell’atomo del materiale irraggiato • decresce con l’energia h del quanto (alle alte energie è inversamente proporzionale ad h)
Energia del fotone diffuso e dell’elettone Compton espulso Nell’effetto Compton l’energia di legame dell’elettrone è piccola rispetto all’energia ceduta dal fotone, e l’elettrone può approssimativamente essere considerato come un elettrone libero.
'
)cos1('
)cos1(1
'
2
j
j
hhE
mc
h
mc
h
hh
elcin
’
’
’
’ ’
La diffusione
Processo I fotoni X incidenti vengono deviati dagli atomi del materiale in tutte le direzioni, in modo pressoché isotropo, e senza variazioni di energia.
Coefficiente di assorbimento La probabilità che un quanto sia diffuso:
• è proporzionale alla densità del materiale, • è proporzionale al quadrato del numero atomico dell’atomo del materiale
irraggiato • Decresce rapidamente con l’energia h del quanto incidente
Effetto della diffusione
• Il fenomeno è importante negli atomi pesanti e a bassa energia; in queste condizioni però la probabilità di avere un effetto fotoelettrico è molto grande e quindi la diffusione elastica atomica è un fenomeno di scarsa importanza.
• Ancora meno importante risulta poi in radiobiologia, perché la cessione di energia a particelle cariche, che sono in grado di ionizzare direttamente, è trascurabile.
• L’effetto contribuisce a creare una radiazione distribuita in tutto l’ambiente, che nei gabinetti radiologici disturba
– per l’effetto di velatura che può creare nelle lastre fotografiche; – per l’eventuale dose di radiazioni cui sono esposti gli operatori radiologici.
)(2
hfZ decr
Produzione di coppie elettrone-positrone
Processo • Il fotone X incidente scompare con la produzione di una coppia di particelle
costituita da un elettrone e un positrone (particella avente la stessa massa me dell’elettrone e stessa carica ma di segno positivo). Il processo si verifica con maggior probabilità in prossimità di un nucleo atomico del materiale irraggiato e solo quando l’energia del fotone incidente è maggiore di 1.02 MeV: questa energia, per la relazione di Einstein E=mc2, è l’energia a riposo delle particelle prodotte (mec2 = 0.51 MeV).
• Il positrone nella materia, circondato da una nube di elettroni, collide con un elettrone, e tali particelle scompaiono producendo due fotoni (annichilazione), ciascuno con energia pari a 0.51 MeV, ed emessi in direzione opposte (radiazione da annichilazione).
Energia cinetica dell’elettrone e del positrone Dal principio di conservazione dell’energia si ricava che la differenza fra l’energia del quanto h e l’energia 2mec2 spesa per produrre la massa dell’elettrone e del positrone compare come somma delle energie cinetiche delle particelle prodotte (il nucleo, per la sua grande massa, acquista un’energia trascurabile).
Coefficiente di assorbimento La probabilità che un quanto produca una coppia elettrone-positrone:
• è proporzionale alla densità del materiale, • è proporzionale al quadrato numero atomico dell’atomo del materiale irraggiato • cresce con l’energia E del quanto da zero (per E=1.02 eV) fino a raggiungere un
valore costante
)(2
s hfZ cresc
22 cmhEE ekk
I raggi X in diagnostica medica
L’immagine radiologica • La differente opacità ai raggi X delle varie strutture anatomiche permette di ottenere una loro immagine radiologica:
un fascio di raggi X proveniente da una sorgente quasi puntiforme, attraversando una porzione del corpo umano viene assorbito in modo differente dai vari tessuti; nel fascio dei raggi X che emerge dal corpo si ottiene un massimo (minimo) di intensità in corrispondenza delle zone in cui l’assorbimento è stato minimo (massimo).
• L’immagine radiologica del fascio trasmesso può essere trasformata con varie tecniche in immagine visibile:
Radioscopia Il fascio di raggi X emergente dal corpo è intercettato da uno schermo fluorescente che emette luce in proporzione all’intensità di radiazione X che lo colpisce. Si produce un’immagine positiva nel senso che appaiono più scure le zone più opache ai raggi X (cioè quelle a maggiore attenuazione).
Radiografia Il fascio di raggi X emergente dal corpo impressiona una pellicola fotografica sensibile ai raggi X. Si produce un’immagine negativa nel senso che le zone più scure rappresentano le regioni a minor attenuazione, mentre quelle più chiare rappresentano le ombre di oggetti più opachi.
Raggi
Produzione • Decadimento di nuclei radioattivi. • Possono essere ottenuti artificialmente come radiazione di frenamento accelerando particelle cariche a energie
superiori al MeV (come accade ad esempio negli acceleratori lineari) e frenandole in opportuni assorbitori.
Interazione con la materia A causa della loro elevata energia, i fotoni provocano al loro passaggio un’intensa ionizzazione del materiale attraversato mediante gli stessi meccanismi descritti nel caso dei raggi X (effetto fotoelettrico, effetto Compton, produzione di coppie) cui si aggiunge l’effetto cumulativo determinato dai fotoni e dagli elettroni secondari. La radiazione , penetrando nella materia, produce quindi uno sciame elettromagnetico di fotoni e particelle. Effetti sui sistemi biologici • La radiazione può provocare la rottura dei legami chimici delle macromolecole presenti nelle cellule, in
particolare quelli del DNA. • Il danno può causare la disfunzione di cellule, con effetti sul funzionamento degli organi che possono portare
anche alla morte, oppure all’alterazione della struttura genetica (mutazione). • I danni possono pertanto manifestarsi direttamente sulle persone irraggiate (danni somatici), oppure sui loro
discendenti (danni genetici ereditari). • Non tutti gli organi e i tessuti sono ugualmente sensibili alle radiazioni. I più sensibili sono: gli organi emopoietici
(organi in cui avviene la produzione degli elementi corpuscolari del sangue), le gonadi (ovaie e testicoli), il cristallino e la pelle.
(Hz) E
< 1 pm > 3 · 1020 Hz > 1.24 M eV
• Quando un radionuclide è introdotto in un paziente questo diffonde nell’organismo e partecipa ai processi metabolici come il corrispondente isotopo non radioattivo.
• La concentrazione di un radioisotopo e la sua distribuzione topografica in un tessuto o in un organo può essere determinata misurando la radiazione emessa nei decadimenti radioattivi dei nuclei del radioisotopo. Poiché è possibile rilevare anche la disintegrazione di un singolo nucleo, la sensibilità del metodo è eccezionalmente alta e sono sufficienti concentrazioni molto piccole di composti radioattivi.
• Con l’utilizzo di queste tecniche (scintigrafia) è possibile detreminare: la distribuzione topografica di particolari atomi, molecole o cellule all’interno di un tessuto, di un organo o dell’
intero organismo (la loro maggiore concentrazione in determinate zone costituisce una indicazione di normalità o di anormalità nelle funzioni di un organo):
informazioni sull’attività metabolica di un organo (utilizzo di un determinato substrato).
Esempi:
• Sostituzione di un atomo con un suo isotopo radioattivo: studio diagnostico della tiroide. La tiroide utilizza lo iodio per produrre gli ormoni che controllano il metabolismo del corpo. In un soggetto con la tiroide poco attiva (ipotiroideo) questa assorbe meno iodio che in un soggetto normale, mentre in un soggetto con la tiroide molto attiva (ipertiroideo) ne assorbe una maggiore quantità. Facendo ingerire una piccola quantità di iodio radioattivo 131I, dopo 24 ore viene misurata l’emissione radioattiva dello 131I.
• Sostituzione di una molecola con una marcabile con simile comportamento biologico: metabolismo dell’albumina.
Non sempre è possibile sostituire direttamente un atomo di una molecola con un suo isotopo radioattivo: si impiega allora una molecola marcabile molto simile, il cui comportamento biologico sia del tutto analogo a quello della molecola naturale. E’ il caso dello studio del metabolismo dell’albumina, la cui molecola non contiene iodio: si utilizza invece albumina iodata, marcata con 131I o 125I, che non è chimicamente identica all’albumina, ma ad essa molto simile nel comportamento biologico.
• Anche le cellule possono essere marcate: misure di volume e portata del sangue In questo caso i globuli rossi vengono marcati con 197Hg
Utilizzo della radiazione a scopo diagnostico
Nuclide è il termine più corretto per indicare una specie atomica con un nucleo formato da un determinato numero di protoni Z (numero atomico) e un determinato numero di neutroni N. La somma del numero di protoni e del numero di neutroni definisce il numero di massa A (A = Z + N). Isotopi: nuclidi di uno stesso elemento chimico (con lo stesso numero di protoni, cioè con lo stesso numero atomico Z), ma con diverso numero N di neutroni (e dunque con differente numero di massa A). Radionuclide: nuclide instabile che decade emettendo energia sotto forma di radiazione. Radioisotopi: isotopi radioattivi, cioè radionuclidi di uno stesso elemento chimico.
Nuclide, isotopo, radionuclide, radioisotopo
Utilizzo a scopo terapeutico Il danno provocato dalle radiazioni ionizzanti può essere utilizzato nella terapia medica per distruggere tessuti malati (cellule tumorali). Questa tecnica è chiamata radioterapia. Il problema principale è dato dal fatto che le cellule normali sono spesso sensibili alla radiazioni quasi quanto le cellule anormali. La dose del trattamento radiante, per dare una ragionevole probabilità di cura, è appena inferiore alla dose sufficiente a causare gravi danni ai tessuti sani.
L’uso delle radiazioni a questo scopo si avvale di vari metodi: • Sono utilizzate sorgenti radioattive sotto forma di pasticche, aghi o fili che vengono chirurgicamente impiantati
nella zona del tumore per periodi di tempo programmati • I radionuclidi possono essere anche utilizzati per generare un fascio di radiazioni opportunamente diretto sulla
zona da trattare.
nu
mer
o d
i cel
lule
so
pra
viss
ute
Utilizzo della radiazione a scopo terapeutico
Ottica geometrica ed occhio umano (da Scannicchio, Fisica Medica, Edises )
Ottica e ottica geometrica
L’ottica Per le onde elettromagnetiche ed in particolare per le onde luminose sono valide tutte le proprietà ed i principi stabiliti nell’ambito dello studio delle onde elastiche: i concetti di raggio e di superficie d’onda, il principio di Malus, il principio di Huygens, il principio di sovrapposizione, e le leggi della riflessione e della rifrazione. Ovviamente, in questo caso le grandezze che oscillano solo il campo elettrico e il campo magnetico, che si mantengono fra loro perpendicolari e sono perpendicolari alla direzione di propagazione dell’onda.
L’ottica geometrica Quando la lunghezza d’onda della luce è molto piccola rispetto alle dimensioni lineari degli strumenti utilizzati (diaframmi, lenti, specchi, prismi), è possibile sviluppare una teoria approssimata dei fenomeni luminosi (ottica geometrica) in cui è possibile trattare la propagazione delle onde luminose in termini di onde piane che si propagano in direzioni rettilinee ad esse perpendicolari (raggi).
La diffrazione Il caso più semplice di violazione dell’ottica geometrica si ha si ha quando un’onda piana luminosa attraversa un’apertura molto piccola, le cui dimensioni sono confrontabili con la lunghezza d’onda: in tal caso la legge della propagazione rettilinea non è più valida Su uno schermo a grande distanza dal foro si osserva infatti un sistema di frange concentriche, alternativamente chiare e scure (frange di diffrazione) di dimensioni maggiori di quelle della fenditura (la luce viene deviata anche oltre la semplice proiezione della fenditura). Il fenomeno è può essere spiegato ricorrendo al principio di Huygens e l’interferenza fra punti di uno stesso fronte d’onda.
Definizione Due mezzi otticamente distinti, aventi cioè indici di rifrazione diversi, separati da una superficie, costituiscono un diottro. Se la superficie di separazione è una calotta sferica, il sistema prende il nome di diottro sferico.
Approssimazioni di Gauss
1. L’ampiezza della calotta sferica su cui incidono i raggi provenienti da un punto (punto oggetto) è piccola rispetto a R 2. Tutti i raggi provenienti dall’oggetto formano angoli piccoli con l’asse ottico (raggi parassiali).
Nei limiti di questi approssimazioni: • il diottro sferico è un sistema ottico stigmatico: tutti i raggi uscenti da un punto P (punto oggetto) si incontrano in
un punto P’ (punto immagine) dopo aver subito una rifrazione sulla superficie del diottro (il diottro fornisce di un punto luminoso P un’immagine puntiforme P’).
• E’ possibile stabilire una relazione tra la posizione di un punto oggetto P posto sull’asse ottico e la posizione del punto immagine P’ (formula dei punti coniugati).
Il diottro sferico
V = vertice del diottro C = centro del diottro asse ottico = asse per C e V P = oggetto luminoso puntiforme P’ = immagine di P n1 = indice di rifrazione del primo mezzo n2 = indice di rifrazione del secondo mezzo R = raggio di curvatura del diottro. p = coordinata dello spazio oggetto: misura la distanza dell’oggetto P da V q = coordinata dello spazio immagine: misura la distanza dell’immagine P’ da V
mezzo 1: spazio oggetto
mezzo 2: spazio immagine
Per convenzione si assume: • R positivo (negativo) quando la calotta rivolge la propria convessità (concavità) allo spazio oggetto. • l’asse p orientato verso lo spazio oggetto, l’asse q orientato verso lo spazio immagine.
i
P P’ C
• Immagine reale: I raggi rifratti convergono in un punto immagine P’ che si trova nello spazio immagine (q > 0).
• Immagine virtuale: I raggi rifratti divergono, ma i loro prolungamenti convergono in un punto immagine P’ che si trova nello spazio oggetto (q < 0).
q p
P P’ C q p
t
i t
Si ricava dalla legge della rifrazione: Risulta: per le approssimazioni di Gauss Da queste relazioni segue la relazione che lega p e q: Per un diottro piano (R → infinito)
R
nn
q
n
p
n 1221
tnin sinsin 21
cossincossin)sin(sin
cossincossin)sin(sin
t
i
q
h
R
h
p
h
sin,sin,sin
1coscoscos
pn
nq
q
n
p
n
1
221 0
• Se si osserva attraverso una superficie piana, da un mezzo più rifrangente, un oggetto posto in un mezzo meno rifrangente (n2 > n1), l’immagine dell’oggetto si trova dalla stessa parte dell’oggetto, ma allontanata del rapporto n2/n1.
Per questa ragione i pesci osservano i pescatori sula riva ad una distanza 1.33 volte maggiore rispetto alla distanza effettiva.
• Al contrario, se osservata da un mezzo meno rifrangente, l’immagine dell’oggetto, che si trova in un mezzo più rifrangente, risulterà avvicinata dell’stesso rapporto.
Così per chi osserva da sopra l’acqua, il fondo di una piscina appare avvicinato di un fattore 0.75.
Il diottro sferico: formula dei punti coniugati
Distanze focali • La distanza focale f2 fra V e F2 è data
dal valore di q quando p tende all’infinito
• La distanza focale f1 fra V e F1 è data
dal valore di p quando q tende all’infinito
Per un sistema ottico la conoscenza di pochi punti, chiamati punti principali consente di costruire l’immagine di qualsiasi oggetto. Per il diottro i punti principali sono:
• Il centro di curvatura C: ha la proprietà che qualsiasi raggio di luce proveniente dallo spazio oggetto e passante per C non subisce deviazioni nell’attraversare la calotta sferica
• Il secondo fuoco F2 : è il punto in cui convergono tutti i raggi i raggi luminosi provenienti dallo spazio oggetto parallelamente all’asse ottico (punto oggetto all’infinito).
• Il primo fuoco F1 : è il punto sull’asse ottico nello spazio oggetto la cui immagine è il punto all’infinito.
12
22
nn
Rnf
12
11
nn
Rnf
121 q
f
p
f
2
1
2
1
n
n
f
f
Sfruttando le espressioni delle distanze focali la formula dei punti coniugati può scriversi
Divedendo queste relazioni membro a membro
Il diottro sferico: punti principali
Definizione • Una lente sferica può essere come considerata un sistema ottico costituito da una successione di due diottri sferici
con centri sul comune asse ottico. • Si definisce lente sottile una lente avente spessore trascurabile rispetto ai raggi di curvatura e rispetto alle dimensioni
delle calotte sferiche che la delimitano. • Una lente in vetro immersa in aria è assimilabile a due diottri: un primo diottro aria-vetro e un secondo diottro vetro-
aria.
Le lenti sottili
diottro aria-vetro diottro vetro-aria
lente sottile di vetro in aria
Si ricava applicando 2 volte la formula dei punti coniugati del diottro. Per il primo diottro (aria-vetro): L’immagine Q’ formata dal primo diottro (aria-vetro) a distanza q’ dal vertice, diventa a sua volta oggetto per il secondo diottro (vetro-aria con R2 < 0), e si trova nello spazio immagine di quest’ultimo. Si ha quindi: Sommando membro a membro si ottiene
1
1221
' R
nn
q
n
p
n
2
2112
' R
nn
q
n
q
n
211
2 111
11
RRn
n
qp
Lenti sottili: formula dei punti coniugati
Lenti convergenti e lenti divergenti • Una lente è convergente se f > 0: fa convergere un fascio di
raggi paralleli all’asse ottico, provenienti dallo spazio oggetto, in un punto F2 reale, che si trova nello spazio immagine.
• Una lente è divergente se f < 0: fa divergere un fascio di raggi paralleli all’asse ottico, provenienti dallo spazio oggetto, in modo che i prolungamenti dei raggi emergenti convergono in un punto F2 virtuale che si trova nello spazio oggetto.
Anche per le lenti sottili la conoscenza di pochi punti, chiamati punti principali, consente di costruire l’immagine di qualsiasi oggetto. I punti principali sono:
• Il centro ottico C, coincidente con il centro della lente: gode della proprietà secondo cui tutti i raggi passanti per esso non mutano direzione nell’attraversare la lente;
• Il secondo fuoco F2 : è il punto in cui convergono tutti i raggi i raggi luminosi provenienti dallo spazio oggetto parallelamente all’asse ottico (punto oggetto all’infinito);
• Il primo fuoco F1 : è il punto sull’asse ottico nello spazio oggetto la cui immagine è il punto all’infinito (i raggi rifratti dalla lente sono paralleli all’asse ottico).
Distanze focali La distanza focale f2 fra C e F2 (data dal valore di q quando p tende all’infinito) e la distanza focale f1 fra C e F1 (data dal valore di p quando q tende all’infinito) sono uguali ( f1 = f2 = f ) infatti:
Sfruttando queste espressioni, la formula dei punti coniugati per le lenti sottili diventa
Potere diottrico di una lente e diottria
Si definisce potere diottrico di una lente l’inverso della sua distanza focale espressa in metri. Si misura in diottrie (m-1).
211
2 111
1lim
1lim
1
RRn
n
pqf qp
1q
f
p
f
Lenti sottili: punti principali
F1
F2
L’oggetto si trova ad una distanza maggiore del doppio della distanza focale della lente ( p > 2f )
L’immagine è reale (con f < q < 2f ), capovolta e rimpiccolita ( G < 1 )
C
A
B
A’
B’
Costruzione dell’ immagine da una lente sottile convergente
F1
F2
L’oggetto si trova ad una distanza pari al doppio della distanza focale della lente ( p = 2f )
L’immagine è reale (con q = 2f ), capovolta e di uguale dimensione ( G = 1 )
C
A
B
A’
B’
F1
F2
L’oggetto si trova tra il fuoco e il doppio della distanza focale ( f < p < 2f )
L’immagine è reale (con q > 2f ), capovolta ed ingrandita( G > 1 )
C
A
B
A’
B’
A=F1
F2
L’oggetto si trova tra in corrispondenza del fuoco ( p = f )
I raggi emergono dalla lente paralleli (q = infinito)
C
B
F1
F2
L’oggetto si trova ad una distanza minore della distanza focale ( p < f )
L’immagine è virtuale (q < 0), dritta ed ingrandita ( G > 1)
C
A
B
A’
B’
F1
F2
L’oggetto si trova ad una distanza minore della distanza focale ( p < f )
L’immagine è virtuale (q < 0), dritta ed ingrandita ( G > 1)
C
A
B
A’
B’
L’occhio
• La cornea, tonaca fibrosa che avvolge l’occhio (nella parte posteriore prende il nome di sclera), di indice di rifrazione n ≈ 1.33, con raggio di curvatura di 8 mm;
• L’umore acqueo, liquido contenuto fra la cornea ed il cristallino costituito da acqua e piccole quantità di proteine e sali in concentrazione isotonica, di indice di rifrazione n ≈ 1.33;
• L’iride, costituita da una membrana elastica, al centro della quale si trova un’apertura (pupilla), la quale si contrae o si dilata a seconda dell’intensità luminosa che colpisce l’occhio, fungendo quindi da diaframma per i raggi luminosi;
• Il cristallino, lente biconvessa, di indice di rifrazione medio n ≈ 1.44, con superfici di raggi di curvatura differenti: – la superficie posteriore, con raggio di curvatura pari a 6 mm, – la superficie anteriore, il cui raggio di curvatura ha un valore a riposo pari a 10 mm, e può essere diminuito dalla
contrazione di muscoli ciliari, variando cosi la distanza focale del cristallino; • L’umor vitreo, materiale gelatinoso tra il cristallino e la retina, di indice di rifrazione n ≈ 1.33 uguale a quello
dell’umor acqueo; • La retina, tessuto nervoso fotosensibile su cui si formano le immagini, e la cui funzione è quella di trasformare
l’immagine in un insieme di potenziali d’azione che tramite il nervo ottico vengono inviati al cervello.
L’occhio Organo del senso preposto per la funzione visiva
La vista Funzione in base a cui l’occhio percepisce le caratteristiche elementari dei singoli oggetti
La visione Elaborazione, comparazione e integrazione, a livello dei centri cerebrali, delle caratteristiche degli oggetti ottenute tramite la vista. Un raggio luminoso, proveniente dall’esterno, giunge sulla parte sensoriale dell’occhio (retina) attraversando i seguenti mezzi:
L’occhio come sistema ottico
L’occhio umano può essere schematizzato come un diottro contenente una lente sottile: • Il diottro è costituito dall’aria (n ≈ 1) e dal sistema costituito dall’insieme di cornea, umor acqueo e umor vitreo, che
avendo circa lo stesso indice di rifrazione (n ≈ 1.33), possono essere considerati come un unico mezzo. • La lente sottile rappresenta il cristallino.
3223
2321
12
1221
11)(
'
'
RRnn
q
n
q
n
R
nn
q
n
p
nFormula dei punti coniugati dell’occhio Per ottenere la relazione tra la distanza p dell’oggetto dall’occhio e la distanza q dalla cornea alla quale si forma l’immagine, basta applicare la formula dei punti coniugati del diottro e della lente sottile in successione
Meccanismo di funzionamento • Poiché l’immagine deve cadere
sulla retina, la distanza q deve essere circa uguale al diametro antero-posteriore dell’occhio D = 22 mm.
• Dato p si ricava q’ dalla prima equazione, sostituendo questo valore sulla seconda equazione, posto q = D, ed essendo R32 ≈ 6 mm, si ottiene il valore del raggio R23, variabile tramite l’azione dei muscoli ciliari, che fa cadere l’immagine sulla retina
R32 = 6 mm R23 R12
Le formule formula dei punti coniugati dell’occhio rappresentano 2 equazioni nelle tre incognite p, q, R23 : • noto p si ricava il valore di R23 per cui q = 22 mm (immagine sulla retina); • noto p per un certo valore di R23 si ricava il valore di q (posizione dell’immagine rispetto alla retina). Visione lontana
Se p tende a infinito (visione lontana), i muscoli ciliari sono in stato di riposo, per cui R23= 10 mm. Si ottiene q = 22 mm, cioè proprio la distanza D tra la cornea e la retina. Quindi, in condizioni di riposo, l’occhio mette a fuoco oggetti lontani.
Visione prossima
Per la visione prossima, p < 50 cm, il raggio R23 del cristallino deve essere diminuito, tramite l’azione dei muscoli ciliari, affinché q = 22 mm.
Distanza di minima visione distinta
Il valore minimo senza sforzo di R23 si raggiunge quando p = 25 cm (distanza di minima di visione distinta). Per questo valore di p si ottiene R23 = 6.78 mm.
Punto prossimo
La minima distanza cui l’occhio può mettere a fuoco è chiamata punto prossimo e, con sforzo, questa può arrivare a 5 cm, corrispondenti a un valore di R23 di circa 3 mm. L’invecchiamento produce una diminuzione dell’elasticità del cristallino, nonché della capacità operativa dei muscoli ciliari, per cui il potere di accomodamento diminuisce con l’età e il punto prossimo si allontana sempre più
Visione lontana e punto prossimo
Ipermetropia Nell’occhio ipermetrope, l’immagine proveniente dall’infinito viene focalizzata dietro la retina. Per correggere la ipermetropia è necessario anteporre all’occhio una lente convergente che riporti il fuoco sulla retina.
Miopia Nell’occhio miope, l’immagine proveniente dall’infinito viene focalizzata davanti alla retina. Per correggere la miopia è necessario anteporre all’occhio una lente divergente che riporti il fuoco sulla retina.
Presbiopia Si manifesta come un aumento, spesso progressivo con l’età del soggetto, della distanza del punto prossimo, cioè come una diminuzione del potere di accomodamento del cristallino. Richiede lenti correttive convergenti.
I difetti ottici dell’occhio
Astigmatismo Difetto legato al fatto che la cornea non è perfettamente sferica e per questo non riesce a formare sullo stesso piano immagini nitide di due di due linee perpendicolari fra loro. Il difetto viene corretto mediante una lente cilindrica disposta in modo tale che la curvatura si trovi solo nel piano che mostra il difetto e focalizza così l’immagine della sola linea sfuocata.
Aberrazioni del cristallino Il cristallino, in quanto lente, può essere soggetto ai vari difetti determinati dalle aberrazioni, la cui correzione, come nel caso dell’astigmatismo va trattata caso per caso.
Astigmatismo
Appendice
IL CICLO CARDIACO
Il circuito idrodinamico del sangue
VS AS VD AD
100 mmHg 4 mmHg 25 mmHg 8 mmHg
valvola mitrale (bicuspide)
valvola semilunare polmonare
valvola tricuspide
valvola semilunare aortica
L'apparato circolatorio è suddiviso in grande circolazione e piccola circolazione. La grande circolazione ha inizio nel ventricolo sinistro con l'aorta, l'arteria più grande; i suoi rami si risolvono in capillari dove il sangue cede l'ossigeno e si carica di anidride carbonica, trasformandosi così da sangue arterioso a sangue venoso; dai capillari si formano le vene, le quali raggiungono la vena cava superiore, la vena cava inferiore e il seno coronarico, che sboccano nell'atrio destro. Da qui il sangue venoso passa al ventricolo destro, da cui parte la piccola circolazione, con l'arteria polmonare, che porta il sangue ricco di anidride carbonica ai polmoni; da qui l'arteria polmonare si risolve in capillari, nei quali il sangue venoso perde anidride carbonica e si carica di ossigeno, diventando così sangue arterioso, il quale torna poi al cuore tramite le quattro vene polmonari, che sboccano nell'atrio sinistro.
Il ciclo cardiaco
GIF-animation showing a moving echocardiogram; a 3D-loop of a heart viewed from the apex, with the apical part of the ventricles removed and the mitral valve clearly visible. Due to missing data the leaflet of the tricuspid and aortic valve is not clearly visible, but the openings are. To the left are two standard two-dimensional views taken from the 3D dataset.
MV: Mitral valve, TV: Tricuspid valve, AV: Aortic valve, Septum: Interventricular septum. Continuous lines demarcate septum and free wall seen in echocardiogram, dotted line is a suggestion of where the free wall of the right ventricle should be. The red line represents where the upper left loop in the echocardiogram transects the 3D-loop, the blue line represents the lower loop.
1. Contrazione ventricolare isovolumica I faci muscolari del ventricolo si contraggono isometricamente aumentando la pressione intraventricolare e comprimendo il sangue al suo interno. La valvola mitrale si chiude all’inizio di questa fase non appena la pressione ventricolare supera quella atriale. la chiusura della valvola mitrale e si identifica con la parte iniziale del primo dei toni cardiaci. L’onda QRS nel tracciato ECG identifica l’inizio contrazione ventricolare. La camera ventricolare è chiusa, poiché sia la mitrale che l'aorta sono chiuse. La pressione ventricolare aumenta rapidamente raggiungendo al termine della fase circa 80 mmHg. La pressione aortica si mantiene costante sui suoi valori minimi (80 mmHg). Vi è un leggero aumento della pressione atriale che raggiunge un massimo relativo (10-15 mmHg). Il volume ventricolare (130-140 ml) e il volume di sangue nel ventricolo (70 cm3) non cambiano poiché le valvole sono chiuse e il sangue è praticamente incomprimibile. 2. Eiezione ventricolare Nel corso della contrazione ventricolare, quando la pressione ventricolare supera quella aortica, la valvola aortica si apre e il sangue viene pompato sull’aorta. In questa fase la valvola mitrale è chiusa, quella aortica aperta. • Nella prima fase (fase di eiezione veloce) la pressione ventricolare continua ad aumentare fino al suo valore massimo (120-130 mmHg), la pressione aortica aumenta con la pressione ventricolare mantenendosi leggermente inferiore a quella, la pressione atriale diminuisce fino al suo valore minimo per poi ricominciare lentamente a salire. il volume ventricolare diminuisce rapidamente (fino a 80 mL) e il volume di sangue nel ventricolo diminuisce ancora più rapidamente (fino a cira 10 cm3). • Nella successiva fase (fase di eiezione lenta) inizia quando la pressione ventricolare e quella aortica cominciano a diminuire. Durante questa fase la pressione aortica si mantiene sempre leggermente inferiore alla pressione ventricolare e queste pressioni continuano a diminuire fino a raggiungere un valore comune di circa 100 mmHg alla fine della fase di eiezione. La pressione atriale continua ad aumentare molto lentamente. ll volume ventricolare e il volume di sangue nel ventricolo diminuiscono molto più lentamente rispetto alla fase di eiezione rapida, ed alla fine della fase di eiezione lenta il volume ventricolare vale circa 50 mL, mentre il volume di sangue residuo nel ventricolo è trascurabile (in realtà proprio alla fine della fase si nota un piccolo reflusso di sangue nel ventricolo (5-10 cm3) quando la pressione ventricolare raggiunge quella atriale. 3. Rilassamento ventricolare isovolumico Termina la contrazione ventricolare, la pressione ventricolare scende al disotto di quella aortica e la valvola aortica si chiude. La chiusura della valvola aortica si identifica con la parte iniziale del secondo dei toni cardiaci. In questa fase la pressione ventricolare diminuiscono rapidamente fino quasi ad azzerarsi, la pressione atriale e aortica aumentano leggermente (di circa 10 mmHg) fino a raggiungere un massimo relativo . In questa fase le valvole sono chiuse, il volume del ventricolo (50 mL) e il volume di sangue nel ventricolo (5-10 cm3) non cambiano. L’onda T nel tracciato ECG identifica l’inizio del rilassamento ventricolare
4. Fase tardiva della diastole Quando la pressione del ventricolo scende al disotto della pressione atriale, la valvola mitralica si apre ed il ventricolo torna a riempirsi di sangue. In questa fase la pressione ventricolare e la pressione atriale si mantengono pressoché costanti (la pressione atriale è leggermente superiore a quella ventricolare per permettere il passaggio del sangue dal atrio al ventricolo in modo passivo). La pressione aortica diminuisce progressivamente. • Nella fase di riempimento rapido il volume ventricolare e il volume di sangue nel ventricolo aumentano rapidamente • Nella fase di riempimento lento o diastasi la velocità di aumento del volume del ventricolare e del volume di sangue nel ventricolo tende
progressivamente a diminuire fino ad annullarsi. La piccola variazione del volume ventricolare in questa fase, si associa a vibrazioni a bassa frequenza definite galoppo ventricolare o terzo tono.
5. Sistole atriale La contrazione atriale (sistole atriale) spinge nel ventricolo un ultimo getto di sangue. Durante la sistole atriale la pressione dell’atrio sale da 10 a 20 mmHg per poi riscendere a 10 mmHg, valore corrispondente alla pressione ventricolare che si mantiene relativamente costante. La pressione aortica diminuisce leggermente fino a raggiungere il suo minimo assoluto (80 mmHg) alla fine della fase. Il volume ventricolare (130 mL) e il volume di sangue nel ventricolo (70 cm3) raggiungono il loro valore massimo. A questo punto siamo già nella fase presistolica, all'inizio di un nuovo ciclo cardiaco.
1. Contrazione ventricolare isovolumica I faci muscolari del ventricolo si contraggono isometricamente aumentando la pressione intraventricolare e comprimendo il sangue al suo interno. La valvola mitrale si chiude all’inizio di questa fase non appena la pressione ventricolare supera quella atriale. La chiusura della valvola mitrale si identifica con la parte iniziale del primo dei toni cardiaci. L’onda QRS nel tracciato ECG identifica l’inizio contrazione ventricolare. La camera ventricolare è chiusa, poiché sia la mitrale che l'aorta sono chiuse. La pressione ventricolare aumenta rapidamente raggiungendo al termine della fase circa 80 mmHg. La pressione aortica si mantiene costante sui suoi valori minimi (80 mmHg). Vi è un leggero aumento della pressione atriale che raggiunge un massimo relativo (10-15 mmHg). Il volume ventricolare (130-140 ml) e il volume di sangue nel ventricolo (70 cm3) non cambiano poiché le valvole sono chiuse e il sangue è praticamente incomprimibile.
Contrazione ventricolare isovolumica
2. Eiezione ventricolare Nel corso della contrazione ventricolare, quando la pressione ventricolare supera quella aortica, la valvola aortica si apre e il sangue viene pompato sull’aorta. In questa fase la valvola mitrale è chiusa, quella aortica aperta. • Nella prima fase (fase di eiezione veloce) la pressione ventricolare continua ad aumentare fino al suo valore massimo (120-130 mmHg), la pressione aortica aumenta con la pressione ventricolare mantenendosi leggermente inferiore a quella, la pressione atriale diminuisce fino al suo valore minimo per poi ricominciare lentamente a salire. il volume ventricolare diminuisce rapidamente (fino a 80 mL) e il volume di sangue nel ventricolo diminuisce ancora più rapidamente (fino a cira 10 cm3). • Nella successiva fase (fase di eiezione lenta)inizia quando la pressione ventricolare e quella aortica cominciano a diminuire. Durante questa fase la pressione aortica si mantiene sempre leggermente inferiore alla pressione ventricolare e queste pressioni continuano a diminuire fino a raggiungere un valore comune di circa 100 mmHg alla fine della fase di eiezione. La pressione atriale continua ad aumentare molto lentamente. •ll volume ventricolare e il volume di sangue nel ventricolo diminuiscono molto più lentamente rispetto alla fase di eiezione rapida, ed alla fine della fase di eiezione lenta il volume ventricolare vale circa 50 mL, mentre il volume di sangue residuo nel ventricolo è trascurabile (in realtà proprio alla fine della fase si nota un piccolo reflusso di sangue nel ventricolo (5-10 cm3) quando la pressione ventricolare raggiunge quella atriale.
Eiezione
ventricolare
3. Rilassamento ventricolare isovolumico Termina la contrazione ventricolare, la pressione ventricolare scende al disotto di quella aortica e la valvola aortica si chiude. La chiusura della valvola aortica si identifica con la parte iniziale del secondo dei toni cardiaci. In questa fase la pressione ventricolare diminuiscono rapidamente fino quasi ad azzerarsi, la pressione atriale e aortica aumentano leggermente (di circa 10 mmHg) fino a raggiungere un massimo relativo . In questa fase le valvole sono chiuse, il volume del ventricolo (50 mL) e il volume di sangue nel ventricolo (5-10 cm3) non cambiano. L’onda T nel tracciato ECG identifica l’inizio del rilassamento ventricolare
Rilassamento ventricolare
4. Fase tardiva della diastole Quando la pressione del ventricolo scende al disotto della pressione atriale, la valvola mitralica si apre ed il ventricolo torna a riempirsi di sangue. In questa fase la pressione ventricolare e la pressione atriale si mantengono pressoché costanti (la pressione atriale è leggermente superiore a quella ventricolare per permettere il passaggio del sangue dal atrio al ventricolo in modo passivo). La pressione aortica diminuisce progressivamente. • Nella fase di riempimento rapido il volume ventricolare e il volume di sangue nel ventricolo aumentano rapidamente • Nella fase di riempimento lento o diastasi la velocità di aumento del volume del ventricolare e del volume di sangue nel ventricolo tende
progressivamente a diminuire fino ad annullarsi. La piccola variazione del volume ventricolare in questa fase, si associa a vibrazioni a bassa frequenza definite galoppo ventricolare o terzo tono.
Diastasi Riempimento
Rapido
5. Sistole atriale La contrazione atriale (sistole atriale) spinge nel ventricolo un ultimo getto di sangue. Durante la sistole atriale la pressione dell’atrio sale da 10 a 20 mmHg per poi riscendere a 10 mmHg, valore corrispondente alla pressione ventricolare che si mantiene relativamente costante. La pressione aortica diminuisce leggermente fino a raggiungere il suo minimo assoluto (80 mmHg) alla fine della fase. Il volume ventricolare (130 mL) e il volume di sangue nel ventricolo (70 cm3) raggiungono il loro valore massimo. A questo punto siamo già nella fase presistolica, all'inizio di un nuovo ciclo cardiaco.
Sistole atriale
chiusura v. mitralica
chiusura v. aortica
chiusura v. mitralica
chiusura v. aortica
onda QRS inizio contrazione ventricolare
onda T inizio rilassamento ventricolare
Volume di sangue nel ventricolo