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Gruppo editoriale Mauri Spagnol, Milano

ISBN 978-88-6526-353-2

Questo libro è un’opera d’invenzione. Nomi, personaggi, luoghi e avvenimenti sono un prodotto dell’immaginazione

dell’autrice o utilizzati in modo fittizio. Ogni riferimento a eventi, luoghi o persone, in vita

o decedute, è puramente casuale.

Copyright ©2013 Mattel, Inc. Tutti i diritti riservati.EVER AFTER HIGH e tutti i marchi associati

sono di proprietà e utilizzati su licenza di Mattel, Inc.

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Prima edizione digitale: 2013Quest’opera è protetta dalla Legge sul diritto d’autore.

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C A P I T O L O 1

MAI TOCCARE

LO SPECCHIO

OERA UNA VOLTA UN NUOVO ANNO scolastico, e Raven Queen stava facendo i

bagagli. Stava sparando a tutto volume il nuovo disco di Tailor Quick sul suo MagicPod e ballava, tirando fuori la sua roba dall’armadio e gettandola a casaccio nel baule. Il mucchio di vestiti era completamente nero e viola, così, per aggiungere un tocco di colore, ci buttò sopra un paio di sandali argentati.

Raven aprì la finestra. Il sole stava tramontando sul mare color del rame. L’estate era ormai agli sgoccioli.

C'

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«Ehi, Ooglot!» gridò mentre issava il baule sul davanzale della sua stanza, al quarto piano. Mollò la presa e lo lasciò cadere. Di sotto, nel cortile, l’orco di famiglia lo prese al volo con una delle sue manone blu e le fece un cenno di saluto. Raven ricambiò.

Era stata una bella estate. Niente compiti, solo ore e ore da riempire ascoltando musica e leggendo romanzi d’avventura. Un paio di giorni alla settimana aveva fatto da baby-sitter ai gemelli di Cuoca, Zuccotto e Tortino, ricevendo in cambio una montagna di dolci. E con suo padre, poi, aveva navigato lungo la costa a bordo della loro barchetta per trascorrere una settimana da Pinocchio e sua figlia, Cedar Wood. Raven adorava prendere il tè con la Fata Turchina, giocare a carte vicino al fuoco e stare sveglia fino a tardi con Cedar a divertirsi con il karaoke e a ridere, con il viso sepolto nei cuscini.

Felice e contenta. Ma Raven era impaziente di tornare dai suoi amici alla Ever After High per il secondo anno di scuola.

Solo poche settimane la separavano dal Giorno della Promessa, ma aveva deciso di pensarci il meno possibile. Da quando aveva assistito al Giorno della

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Promessa, da studentessa del primo anno, aveva fatto del suo meglio per allontanarne completamente il ricordo. Da spettatrice, il futuro le era sembrato ancora molto lontano.

Sentì suonare una sirena: doveva andare a cena.Raven si infilò un maglione e uscì dalla stanza. Il

Castello della Regina era gelido. C’erano così tante camere inutilizzate che non valeva la pena accendere il fuoco in tutti quei camini. Durante il regno di sua madre, il castello brulicava di servitori, soldati e creature delle tenebre. E tutti sorvegliavano la piccola Raven, pronti a correre da sua madre nel caso l’avessero sorpresa a fare qualcosa di gentile.

«Raven» le diceva sua madre, «Yop il goblin ti ha sentita chiedere scusa a un ratto per avergli pestato la coda. Questo genere di comportamento non sarà più tollerato!»

«Ma non avevo intenzione di pestargli la coda» le rispondeva lei.

«Non quello. Le scuse! Una Regina Cattiva non chiede scusa per nessuna ragione. È arrivato il momento di impararlo».

Raven preferiva quando il castello era semideserto.

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Attraversò la gigantesca Sala Grande e si sentì come se una balena l’avesse appena inghiottita. Fece una linguaccia alle ombre e scivolò giù per il corrimano della scalinata, come faceva sempre da bambina.

Spalancò l’enorme uscio della sala da pranzo e annunciò: «Sono arrivata!» Anni prima, a quel tavolo con sua madre sedevano centinaia di invitati. Quella sera, come al solito, gli unici commensali erano Raven, suo padre, Cuoca e i figli di quattro anni di Cuoca.

«Raven!» esclamarono all’unisono Zuccotto e Tortino. Avevano i capelli del colore della zucca, come suggeriva il nome del primo, e i visi tondi come torte.

«Ciao, piccoli cuochi» rispose lei.«L’ho fatto per te» disse Tortino allungandole

un foglio di carta sul tavolo. Lei lo osservò: era un disegno realizzato con le dita, un ritratto di Raven in nero e viola.

«È favoloso. Grazie, davvero» gli disse.Raven prese posto a fianco di suo padre, il Re Buono,

che le stampò un bacio sulla fronte. La sua barba ben curata cominciava a ingrigire e sulla sommità del capo era completamente calvo, come se i capelli avessero deciso di fare posto alla corona d’oro che di rado si

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prendeva la briga di indossare. Aveva gli occhi di un azzurro brillante, che diventava ancora più vivace quando sorrideva, cosa che accadeva spesso.

«I bagagli sono pronti?» le domandò. «Non dimenticare il cappotto pesante. E gli stivali da pioggia. E un ombrello incantato».

«Tutto a posto» rispose Raven. «E tu, mentre sarò via, non startene rintanato qua dentro tutto l’anno. Cuoca, assicurati che esca, che vada in barca e a pesca».

«Certamente. E ora pensiamo alla cena. Ho preparato l’anatra arrosto» disse Cuoca in tono speranzoso, sollevando il piatto di portata.

«Io vorrei il panino al burro di piselli della Principessa sul pisello, per favore» rispose Raven mentre faceva cucù a Zuccotto da dietro il tovagliolo.

Cuoca alzò gli occhi al cielo e diede a Raven il panino.

«Grazie» esclamò lei, poi trasalì. Ma sua madre non c’era e non avrebbe potuto rimproverarla per essere stata gentile.

Suo padre, che doveva essersi accorto della sua reazione, le mise una mano sulla spalla per confortarla, e sorrise.

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«La carne è fredda» fece Zuccotto.«Posso scaldartela io» disse Raven agitando le dita a

mezz’aria, come se stesse per lanciare un incantesimo. «No!» gridarono all’unisono Cuoca e il re, balzando

in piedi.Raven scoppiò a ridere.«Oh, diamine, ci avevo quasi creduto». Il re, con

una mano sul cuore, si rimise a sedere.Un paio d’anni prima, Raven aveva provato a

riscaldare la cena di suo padre e aveva finito per incendiare tutto il tavolo. Non avrebbe commesso il medesimo errore. Magia oscura + buone intenzioni = catastrofe.

Dopo il budino alle prugne, il Re Buono disse: «Cuoca, grazie di cuore per questa cena davvero perfetta. Raven, vogliamo...» E indicò la porta con un cenno del capo.

A Raven si gelò il sangue nelle vene, ma lo seguì comunque fuori.

Una volta rimasti soli in corridoio, il re le sussurrò: «È arrivato il momento, Raven. Ma se non te la senti...»

«No, andrò a parlarle».«Verrò con te» le rispose.

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Raven scosse la testa. Ormai aveva quindici anni. Era grande abbastanza per affrontare sua madre da sola.

Raven raddrizzò le spalle e cominciò a camminare verso l’Ala della Regina, dall’altra parte del castello. Non ci andava da un anno e doveva fare parecchia strada. I colori si facevano man mano più cupi: pareti di legno scuro, tappeti scarlatti e neri. I ritratti la scrutavano dalle pareti. Sua madre che sorrideva. Sua madre che non sorrideva. Il profilo di sua madre. Un primo piano del naso di sua madre. In un quadro, sua madre faceva l’occhiolino. Non c’era dipinto in cui non fosse bellissima.

Mentre passava, statue mostruose sembravano osservare Raven. I tendaggi frusciavano, anche se non c’erano spifferi. La fronte di Raven formicolava per il sudore freddo.

Due guardie dall’armatura lucente stavano ritte ai lati della porta della vecchia stanza da letto di sua madre. Impugnavano lance appuntite e bastoni magici. Le rivolsero un cenno del capo mentre apriva la porta.

«Ricorda» fece uno dei due, «mai toccare lo spec-chio».

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«Me lo ricorderò» rispose lei.Con tutte quelle ragnatele, sembrava che un gruppo

di scheletri avesse appena addobbato la stanza per una festa. Raven si fece strada in mezzo alle ragnatele, riuscì a raggiungere la parete opposta e tolse il drappo di velluto che copriva lo specchio. Vide il proprio riflesso ricambiare il suo sguardo: lunghi capelli neri dai riflessi violetti, sopracciglia scure, naso e mento dai tratti decisi. Era strano vedersi così. Di solito evitava di specchiarsi. Guardare negli specchi era stato il passatempo preferito di sua madre.

«Specchio specchio delle mie brame» disse, «ehm... mostrami mia madre».

Non serviva inventarsi una rima per far funzionare lo specchio. Le rime erano così superate, roba da favole d’altri tempi.

Lo specchio scintillò e la sua superficie argentata cominciò a guizzare d’elettricità statica. Lentamente apparve sua madre. Indossava una tuta a strisce. La sua chioma corvina era raccolta in un’acconciatura a forma di corona.

«Raven, sei tu? Ma sei... bellissima!» La Regina Cattiva cominciò a ridere di gusto. «Darai davvero del

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filo da torcere a quella sciacquetta con la pelle bianca come la neve e le labbra color del sangue!»

Raven liberò una ciocca di capelli da dietro l’orecchio e lasciò che andasse a finire davanti, coprendole metà del viso.

«Ciao, madre» le disse. «Come vanno le cose, insomma, lì nella Prigione dello Specchio?»

«Mah» fece la Regina Cattiva con una graziosa alzata di spalle. «Raccontami tutti i pettegolezzi. Cosa sta succedendo a Ever After? Hanno trovato un modo per liberare la follia del Paese delle Meraviglie dal mio incantesimo velenoso? Qualcun altro ha cercato di imitarmi e di conquistare tutti i regni? Tuo padre è sempre il soporifero omuncolo che ricordo?»

Raven strinse i pugni. Non prenderti gioco di mio padre! avrebbe voluto gridarle. Ma incrociò quegli occhi tenebrosi nello specchio, fece un respiro profondo e abbassò lo sguardo. Anche se sua madre era imprigionata lontanissimo da lì, non osava controbattere. «Le cose non sono molto diverse dallo scorso anno, o dall’anno prima».

«Ah! Ecco che cosa succede quando non ci sono. Niente. Con me, la vita era interessante. Spero che

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imparerai qualcosa da quello che mi è accaduto, tesoro. Devi andare là fuori e costringere la vita a piegarsi al tuo volere, proprio come ho fatto io».

«Già» fece Raven. Sua madre aveva certamente reso interessante la sua infanzia. Allora il castello pullulava di soldati con le armature irte di spuntoni e creature che strisciavano nell’ombra e le sibilavano contro. I momenti migliori, poi, consistevano nello stare in braccio alla regina mentre dava udienza ai suoi generali ed escogitava piani per uccidere, conquistare e dominare, o trascorrere ore e ore in laboratorio, nei sotterranei, a tossire per il fumo mentre cercava di aiutare la madre a preparare pozioni tossiche e incantesimi malvagi.

«Allora, sei pronta per il tuo Anno della Promessa?» domandò la regina. «Sei pronta a firmare il Libro dei Destini e a giurare solennemente di seguire le mie orme?»

Raven si strinse nelle spalle.«Dovresti essere impaziente di diventare la prossima

Regina Cattiva. Insomma, erediterai un destino fatto di potere, controllo e dominio! Pensaci, avresti potuto essere la figlia di una di quelle patetiche principesse

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che devono rimanere con le mani in mano in una torre ad aspettare che qualcuno le salvi o, peggio, che arrivi qualcuno a ingannarle, costringendole a mangiare una mela avvelenata».

La regina scoppiò in una magnifica risata. Se al mondo c’era una risata capace di farti piangere, di certo era quella della Regina Cattiva.

«Credo soltanto che... che...»«Come? Non borbottare. Smettila di stare lì tutta

storta e impara a esprimerti come una vera regina. Allora, cosa stavi dicendo?»

Raven raddrizzò la schiena. «Niente. Non importa».«Non essere così timorosa, Raven. Questa è la tua

occasione per far vedere a quell’insulsa ‘brava’ gente di che pasta sei fatta!»

«Okay, ci proverò». E per mostrarle tutta la sua buona volontà, riuscì anche a fare un sorrisetto ti-rato.

«Sono così orgogliosa di te! Oh, non sai quanto mi manchi, piccola mia». Sua madre sollevò la mano e appoggiò il palmo sullo specchio, come se a separarle ci fosse solo il vetro di una finestra. «Lascia che ti tocchi, anche se c’è di mezzo questo vetro».

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Anche la mano di Raven si alzò, quasi contro la sua volontà. Sua madre l’amava davvero, a modo suo. La speranza era come uno sciroppo appiccicoso e dolciastro che le sarebbe piaciuto bere ancora una volta. Ma Raven fermò la mano prima di toccare lo specchio. Quella non era la vera Prigione dello Specchio. La Prigione era lontana e impenetrabile. Ma sua madre era una strega così potente che forse sarebbe riuscita ad afferrare la mano di Raven anche attraverso quel passaggio.

«Ti voglio bene, madre» disse Raven, «ma non ti aiuterò a fuggire».

La regina socchiuse gli occhi e lasciò cadere la mano. «Hmpf. Non esiteresti, se solo fossi malvagia come ti ho cresciuta. Devo proprio dirtelo, Raven Queen, mi hai delusa. Ma non importa. Seguirò con grande attenzione i tuoi progressi. Hai ereditato una sconfinata attitudine al male assoluto e un potere sconvolgente. Non sprecarli». Si avvicinò così tanto che tutto quello che Raven riuscì a vedere nello specchio furono i profondi occhi viola di sua madre. «Fai del tuo peggio, Raven».

Raven deglutì. Tutto quello che voleva fare era scappare da lì.

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Il tempo a loro disposizione era finito e lo specchio si spense. Al posto del viso di sua madre, Raven vide di nuovo il suo riflesso. La somiglianza era davvero incredibile.