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A SK m a g a z i n e Lug2018
La conoscenza che abbiamo di noi stessi viene definita come “concetto di sé”.
Il concetto di sé rappresenta l’insieme di elementi a cui una persona fa riferimento
per descrivere sé stessa e riguarda tutte le conoscenze sul sé, come il fisico, la razza, le
credenze e i valori.
Il concetto di sé coinvolge, quindi, anche il pensiero e le cognizioni.
IL CONCETTO DI SE’ E LE DIFFERENZE
INDIVIDUALI NELLE ORGANIZZAZIONI.
Di Manuela Rossini, Operation Manager ASkonsulting
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Quest’ultime rappresentano tutte le conoscenze, idee,
opinioni, convinzioni su sé stessi, sul comportamento e
sull’ambiente che ci circonda.
Alcune cognizioni, come la pianificazione e la definizione
degli obiettivi, riguardano direttamente il comportamento
organizzativo.
Il successo di ogni comportamento umano si basa anche su
ciò che si prova nei confronti di sé stesso, ovvero del
concetto di sé.
La mancanza di fiducia, e di senso di efficacia, in sé stessi
può rappresentare un limite nella realizzazione dei nostri
obiettivi personali e professionali.
Il senso di auto-efficacia è la convinzione di avere la
capacità di raggiungere un risultato.
L’autoefficacia, definita da Bandura “autoefficacia
percepita”, non è altro che la consapevolezza di essere in
grado di gestire specifici dominii, situazioni o aspetti del
proprio funzionamento psico-sociale; è la percezione di ciò
che possiamo fare, sentire, esprimere, essere o divenire
qualcosa.
Le credenze, con le relative conseguenze, sono sensibili
all’ambiente, ovvero alle variazioni di situazione, di contesto
e di compito.
Tali credenze guidano la performance e l’insieme delle
azioni di ciascuna persona; queste ultime, a loro volta,
avranno conseguenze positive o negative a livello fisico,
sociale e di autostima.
Ogni valutazione successiva alla performance modificherà
le credenze di autoefficacia della persona, modificando la
probabilità che lo specifico compito venga ripetuto in futuro
(Bandura, 1997).
Dott.ssa Manuela Rossini
Psicologa del Lavoro e
Operation Manager in
ASkonsulting srl.
Ha conseguito il titolo di
Dottore di Ricerca in
Psicologia Generale e
Clinica presso l’Università
degli Studi di Bologna, ha
conseguito un
Perfezionamento in
Psichiatria Occupazionale.
Progetta e coordina per
aziende del settore pubblico
e privato interventi sui temi
HR Organization e
Psychosocial Risk Factor.
Formatore senior per
POLGAI Polizia di Stato sulla
Valutazione Rischio Stress
Lavoro Correlato.
Membro fondatore
dell’Osservatorio sul
Benessere Organizzativo e
la Promozione della Salute e
cultore della materia in
Psicologia del Lavoro presso
Università degli Studi di
Brescia.
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E’ interessante notare che le aspettative di autoefficacia
influenzano pesantemente i risultati. Esiste, infatti, uno
stretto legame tra grandi aspettative di autoefficacia e il
successo in compiti diversi, riduzione dell’ansia, assenza
di stress, tolleranza al dolore, ecc..; al contrario, persone
con basse aspettative di autoefficacia tendono ad
ottenere minori successi.
Dal punto di vista dei contesti lavorativi l’autoefficacia risulta fondamentale in ognuna delle
seguenti attività manageriali:
Selezione del personale: è importante, all’interno dei processi di reclutamento,
selezione ed assegnazione del lavoro, verificare l’autoefficacia generale, al fine di
valutare l’orientamento del candidato e le sue esigenze formative.
Organizzazione del lavoro: l’autoefficacia tende ad aumentare attraverso lavori
sfidanti, complessi e motivanti; lavori noiosi e ripetitivi, invece, producono
generalmente un decremento del senso di autoefficacia.
Formazione, ricerca e sviluppo: le aspettative di autoefficacia aumentano attraverso
la sperimentazione di attività di coaching,
mentoring ed attività tecnico-formative.
Una formazione dedicata alla capacità di
gestione di sé aumenta i livelli di
autoefficacia percepita.
La definizione di obiettivi e l’aumento della
performance vanno di pari passo: quando le prestazioni e l’autoefficacia migliorano,
si possono definire obiettivi e livelli qualitativi più alti, sfidanti e complessi da
raggiungere.
Ricompense: ogni piccolo risultato raggiunto deve essere premiato con un
feedback, al fine di migliorare costantemente l’immagine di sé e, di conseguenza, il
senso di autoefficacia.
Un aspetto sociale del concetto di sé deriva dall’identificazione organizzativa: un insieme di
credenze, valori ed obiettivi percepiti collettivamente dai membri di una organizzazione
che diventano parte dell’identità di un individuo.
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I buoni manager devono conoscere la personalità, le
capacità, le abilità, le potenzialità ed i limiti dei propri
collaboratori.
La personalità è l’insieme delle caratteristiche
psicologiche e fisiche; tali tratti sono il risultato
dell’interazione tra geni e ambiente.
Un importante fattore della personalità è il locus of control, ovvero la misura in cui gli
individui si ritengono responsabili o meno delle proprie azioni con le relative conseguenze.
Le persone tendono ad attribuire le cause del proprio comportamento a sé stesse o a
fattori ambientali, dando vita a differenti modelli comportamentali.
Gli individui che hanno un locus of control interno tendono ad attribuire a sé stessi i risultati
delle proprie azioni, in termini sia di risultati positivi che di fallimenti. Le persone che, invece,
attribuiscono generalmente i risultati a circostanze che esulano dal proprio controllo, come
cause ambientali, sfortuna e destino, possiedono un locus of control esterno.
Differenze nel locus of control comportano importanti implicazioni dal punto di vista
manageriale. Gli individui con un locus of control interno sono più indipendenti,
maggiormente motivati, raggiungono maggiori livelli di performance, sono meno ansiosi ed
hanno una maggior soddisfazione lavorativa. Coloro che hanno un locus of control esterno,
invece, presentano un livello più alto di stress, ansia e prediligono generalmente compiti più
strutturati che richiedono un alto grado di subordinazione.
I manager, quindi, devono essere molto
attenti nel processo di selezione dei
collaboratori, nella strutturazione dei ruoli,
nella pianificazione dei compiti e nella
definizione dei risultati.
Dando assodato che i valori, le attitudini, le
caratteristiche e le emozioni variano da persona a persona, i manager di oggi devono
essere bravi ad individuare le diversità ed adattarvisi, cercando di potenziare le qualità
individuali al fine di raggiungere il miglior rapporto performance-benessere organizzativo e
individuale.
Tempo previsto di lettura 5 min.
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CULTURA CIRCOLARE: PER UNA PRODUZIONE E
CONSUMO RESPONSABILE.
di Anna Pasotti
Sales&Marketing Manager ASkonsulting
L’economia circolare ha come
obiettivo quello di dare vita ad un
sistema economico nuovo, che
richiede un cambiamento
radicale a livello normativo,
produttivo, organizzativo,
distributivo e di consumo; si tratta di un modello economico che si basa sul fare rete e
sistema con tutti i soggetti coinvolti, al fine di creare nuovi valori accanto a quello
economico.
Fare economia circolare significa riuscire a trasformare un rifiuto in una nuova risorsa,
pensando i prodotti in chiave rigenerativa in modo tale che, una volta arrivati alla fine del
loro ciclo di vita, possano essere riciclati per altri fini. Il principale vantaggio di un’economia
di questo genere riguarda il fatto che si consumano meno risorse producendo in maniera
più efficiente e risparmiando energia ed emissioni, diventando così anche una grande
opportunità di business.
La transizione verso questo nuovo tipo di modello industriale è già iniziata, come dimostra il
sempre maggior numero di consumatori che esprimono la propria preferenza per
produzioni tracciabili e sostenibili.
Dagli ultimi rapporti, l’Italia risulta essere tra i primi paesi europei per eco-efficienza
produttiva.
Il modello dell’economia circolare emerge
nella pratica ad esempio nell’adozione di
soluzioni produttive volte ad incentivare il
PEF (Product Environmental Footprint) il
quale indica l’impatto ambientale di un
certo prodotto o servizio nel corso del suo
ciclo di vita.
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Lo scopo è quello di contribuire ad indirizzare le
scelte di decisori politici, imprenditori, consumatori
verso soluzioni capaci di ridurre gli impatti
ambientali. La cosiddetta LCA (Life Cycle
Assessment) è oggi uno degli strumenti più efficaci
per l’individuazione e riduzione degli impatti
ambientali.
Il concetto di economia circolare fa coincidere la vita dei beni, materiali e risorse anche
con il momento dell’utilizzo da parte del consumatore e il successivo smaltimento. Il forte
interessamento per queste tematiche deriva dalla sempre maggiore necessità di far fronte
ai continui cambiamenti del sistema economico globale attuale: la scarsità delle risorse
naturali, la crescente attenzione all’ambiente, lo smaltimento dei rifiuti, etc.
Il concetto di economia circolare intende quindi proporre un approccio nuovo sia
all’utilizzo delle risorse, sia al loro smaltimento; questo significa ripensare i prodotti e i
processi in maniera da massimizzare la possibilità di recupero degli stessi in ogni fase del
processo produttivo. Affinché tutto questo possa concretamente realizzarsi, è necessario
che l’organizzazione faccia proprie 3 strategie principali:
Strategia riferita all’utile destinazione dei materiali: comprende tutte le modalità di
lavoro che permettono di trarre valore da prodotti non più utilizzabili per lo scopo
originariamente progettato;
Strategia riferita all’estensione della vita utile dei beni o di alcune loro componenti:
implica la possibilità di pensare a prodotti che possano essere riutilizzati più volte,
grazie all’utilizzo di tecniche sempre più innovative;
Strategia dell’intelligente utilizzo e lavorazione del prodotto: si riferisce alla capacità
di rivisitare le caratteristiche base dei prodotti,
allo scopo di migliorare l’efficienza dei processi
di produzione e consumo.
Per poter mettere in atto queste tre strategie è
necessario che l’azienda sviluppi alcune capacità
necessarie: deve saper andare oltre le proprie attività
tradizionali, saper gestire informazioni e conoscenze di
carattere trasversale, saper pensare in maniera
complessa e sistemica e “a cascata”.
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Affinché tutto ciò possa realizzarsi, è importante
attivare interventi educativi, volti a diffondere
nuove conoscenze e abilità, promuovere
finanziamenti e incentivi sullo sviluppo di sistemi di
tipo circolare, semplificare la legislazione in
questo ambito e creare reti di sostenibilità tra
aziende.
Tempo previsto di lettura 2 min.
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VIOLENZA SUL PERSONALE NEL SETTORE
DELL’ISTRUZIONE: CONSEGUENZE,
VALUTAZIONE E PREVENZIONE.
Di Manuela Rossini,
Operation Manager ASkonsulting
La violenza negli istituti di istruzione è un fenomeno
in costante aumento. Un’indagine sulle condizioni di
lavoro condotta nel 2000 nell’Unione Europea ha
mostrato che il 12% dei lavoratori nel settore
dell’istruzione riferisce di aver subito intimidazioni.
La violenza sul lavoro consta in episodi di abuso,
minaccia o aggressione verso una persona sul luogo
del lavoro che pregiudicano la sua sicurezza, la sua salute, il suo benessere, ed anche le
performances lavorative.
Conseguenze
Le conseguenze delle violenze sul personale nel settore dell’istruzione coinvolge, oltre gli
individui che le subiscono direttamente, il datore di lavoro/istituto, ed i bambini che
condividono il medesimo ambiente.
Le conseguenze sul personale che ha subito violenze comprendono: danni fisici e psicologici,
stress, sentimento di impotenza, turbe emotive, e demotivazione.
Le conseguenze per il datore di lavoro/istituto comprendono: assenteismo, turnover,
aumento dei costi di indennizzo, spese mediche, assicurazioni, e diminuzione della
performance del personale.
Le conseguenze per i bambini che condividono lo
stesso ambiente riguardano una minore qualità
dell’insegnamento ed una diminuzione della
qualità dell’ambiente in senso generale.
Valutazione del rischio
La valutazione del rischio aggressione può essere
meglio analizzata scomponendola dei due indicatori che contribuiscono alla migliore
quantificazione del “rischio”: la probabilità e il danno.
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La probabilità include sia fattori interni che fattori esterni:
- Tempo: inteso principalmente in tempi di attesa e durata del contatto;
- Organizzazione: disorganizzazione, ordini discordanti, lavorare in isolamento;
- Istituzione: norme rigide, tasse elevate, ecc.;
- Sociale: status sociale, classe sociale, crisi economica;
- Sessuale: vestiario, atteggiamenti, ecc.;
- Patologico: confusione, stanchezza, stress, problemi psichiatrici;
- Persecutorio: mobbing e stalking.
Il danno include invece:
- Tipologia dell’aggressione;
- Motivazione;
- Luogo dell’aggressione;
- La presenza di oggetti utilizzabili per l’aggressione o la difesa.
Successivamente alla quantificazione del rischio aggressione, dovranno essere attivate le
misure protettive, preventive, di vigilanza e di monitoraggio del rischio.
Prevenzione
Oltre a valutare i rischi per la salute e la sicurezza del
personale, i datori di lavoro sono tenuti ad adottare
le migliori misure preventive e di controllo.
La prevenzione è un insieme di attività, azioni ed
interventi attuati con il fine di promuovere e
conservare lo stato di salute. Essa dovrebbe
concretizzarsi su due livelli: prevenzione della violenza sul personale e minimizzazione del
danno in seguito ad episodi di violenza.
La prevenzione della violenza sul personale ha il suo campo d’azione sul soggetto e
sull’ambiente di lavoro e si propone di mantenere le condizioni di benessere cercando di
ridurre il rischio di aggressione. Questo tipo di prevenzione agisce in vari modi:
- Soluzioni ambientali: migliorare l’illuminazione, rendere più confortevoli i locali,
sostituire oggetti o arredamenti che possono essere utilizzati come armi di offesa,
costruire migliori vie di fuga.
- Controlli amministrativi: informare il personale circa i propri diritti e responsabilità,
costituire un comitato per la sicurezza, migliorare le modalità di sorveglianza,
migliorare la comunicazione tra personale, utenza e direzione, verificare che il numero
del personale sia sufficiente ad assicurare la sicurezza, applicare strategie di
monitoraggio dei rischi psicosociali.
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- Strategie comportamentali: formare il personale alle tecniche di reazione non
violenta, alla risoluzione dei conflitti, ad identificare segnali di un potenziale
comportamento violento; molto importante è anche diffondere una politica di
tolleranza zero verso la violenza e sviluppare un buon senso di comunità e di
cooperazione.
- Sensibilizzazione e cooperazione: incoraggiare gli atteggiamenti positivi, la
collaborazione e il rispetto.
La minimizzazione del danno in seguito ad episodi di
violenza è un insieme di procedure progettate con
lo scopo di impedire il ripetersi dell’episodio di
violenza e per limitarne le conseguenze. Alcune
pratiche utilizzate in questi casi sono:
- Sostegno per la vittima e i testimoni,
specialmente nelle prime ore successive
all’evento;
- Sostegno psicologico per la vittima;
- Supporto per la vittima durante tutto l’iter amministrativo e legale;
- Diffusione a tutto il personale di quanto accaduto;
- La valutazione del rischio deve essere riesaminata e aggiornata alla luce di quanto
successo.
La violenza del personale appresenta un problema serio ed in continua espansione, e va
affrontata a livello individuale e soprattutto a livello della struttura organizzativa. Infatti,
spesso, i lavoratori del settore dell’istruzione sono vittime di violenza poiché vengono
identificati dagli aggressori con l’istituzione o con il sistema.
Tempo previsto di lettura 3 min.
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Reporting e Bilanci di Sostenibilità
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