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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI SALERNO FACOLTÀ DI INGEGNERIA Corso di Laurea Magistrale in Ingegneria per l’ambiente ed il territorio CORSO DI FRANE RELAZIONE CASO STUDIO STUDIO E MONITORAGGIO A SUPPORTO DELLA MITIGAZIONE STRUTTURALE DI GRANDI FRANE A CINEMATICA LENTA: L’ESEMPIO DI CA 'LITA DOCENTE: Prof.Ing. Michele Calvelllo STUDENTE: Michele Iannuzzi: Anno accademico 2013- 2014

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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI SALERNOFACOLTÀ DI INGEGNERIA

Corso di Laurea Magistrale in Ingegneria per l’ambiente ed il territorio

CORSO DI FRANE

RELAZIONE CASO STUDIO

STUDIO E MONITORAGGIO A SUPPORTO DELLA MITIGAZIONE STRUTTURALE DI GRANDI FRANE A CINEMATICA LENTA: L’ESEMPIO DI CA 'LITA

DOCENTE:

Prof.Ing. Michele Calvelllo

STUDENTE:

Michele Iannuzzi:

Anno accademico 2013- 2014

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SOMMARIO1. Illustrazione caso studio2. Presentazione del lavoro sviluppato dagli autori3. Analisi critica del lavoro4. Bibliografia

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1. Illustrazione caso studioLa frana di Ca’ Lita è localizzata nella valle del fiume Secchia, nel settore settentrionale degli Appennini ricadente nella provincia di Reggio Emilia, Italia settentrionale. Attualmente (Agosto 2005) la frana si estende da un’altitudine di 230 m alla base fino a 650 m alla sommità. La lunghezza complessiva della sua impronta è di circa 3 km, la sua larghezza massima è di circa 1,4 km nella zona della scarpata posteriore, con una profondità massima di circa 50 m nella parte superiore.

Figura 1.1: Georeferenziazione e vista dall’alto della frana.

Secondo la classifica di Cruden & Varnes (1996), che considera il tipo di movimento e il materiale coinvolto, si può definire la frana di Ca’ Lita come un fenomeno complesso e composito che si attua secondo meccanismi di scivolamento rotazionale e/o traslativo di roccia, scivolamenti rotazionali e/o traslativi di terra e colate di terra o di fango.

Se si osserva il corpo di frana si ritrova la morfologia tipica dei movimenti gravitativi: evidenti scarpate e trincee gravitative. Verso valle, la morfologia cambia diventando sub-pianeggiante, con colate fluide di terra che scendendo seppelliscono le precedenti.

Nella parte alta della frana, oltre alla scarpata principale, ve ne è una secondaria, non meno importante (50-70 m di dislivello) e che separa la colata dagli scivolamenti in roccia.

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Figura 1.2: Schema delle modalità di riattivazione- A) coronamento; B) testata; C) canale di trasporto; D) piede- 1) meccanismi di riattivazione principalmente idrogeologici, con fluttuazioni della falda ampie e rapide; 2) meccanismi di riattivazione prevalentemente idro-meccanici, con fluttuazioni della falda minime e processi di sovraccarico non drenato (N. B. Lo zero delle ordinate è posizionato alla base della frana).

La frana riprende l’attività nel 2002 e da allora ha alternato fasi impetuose (come nell’inverno del 2003 e, in particolare, all’inizio della primavera del 2004) a periodi di quasi immobilità (generalmente d’estate). Lo stile del movimento della frana nel periodo tra il 2002 ed il 2004 è stato retrogressivo nella parte superiore, avanzante nella parte medio-bassa, e di parzialmente ampliamento nei fianchi. La massa in movimento ha raggiunto il picco di velocità a circa 10 m al giorno alla punta, mentre nella zona d’innesco, lo scivolamento rotazionale in roccia e lo scorrimento traslazionale in terra progredivano alla velocità di cm (o dm) al giorno. Localmente, colate di fango del tutto superficiali, o crolli del fronte frana, si muovevano con velocità dell’ordine dei metri all’ora.

Durante il periodo 2002-2004 la punta della frana avanza per più di 400 m con un angolo di inclinazione di circa 10°, causando il riempimento della valle locale con un deposito di spessore di 30 m. È stato stimato, sulla base del confronto del DEM, che la riattivazione avvenuta tra il 2002 ed il 2004 ha mobilitato qualcosa come venti milioni cubi di argille miste a massi.

La riattivazione della frana di Ca’ Lita causò particolare preoccupazione tra le autorità preposte alla protezione civile per la possibile interruzione del collegamento stradale alla parte superiore del bacino del fiume Secchia , causato dall’avanzamento della punta della frana, e dal possibile coinvolgimento di alcune frazioni che si trovavano alla sommità da parte dello scorrimento retrogressivo. Durante la settimana più critica, degli escavatori lavorarono 24 h su 24 per controllare l’avanzamento del fronte della frana tramite gli spostamenti alla base, mentre i tecnici tenevano sotto controllo visivo costante il fenomeno retrogressivo di monte. Dopo l’emergenza gli interventi sono consistiti nel riposizionamento del materiale nel corpo della frana e nel rimodellamento della superficie topografica, effettuati al fine di sigillare fessure e crepe e per evitare la formazione di ristagni d’acqua nelle zone in contro-pendenza. Anche le reti di drenaggio superficiali sono state ripristinate, principalmente attraverso la creazione di canali di scolo. Pochi mesi dopo l'emergenza, è stata avviata una campagna di indagine e di monitoraggio finalizzata alla raccolta di dati rilevanti per la progettazione di misure di mitigazione strutturali.

La frana può essere suddivisa in due fenomeni principali, uno che interessa la parte superiore del versante e l’altro che si estende nella parte medio bassa. Il fenomeno superiore avviene in relazione ad un processo generale di scivolamento dell’ammasso di flysch. In quest’area, si manifesta un fenomeno di scivolamento delle rocce rotazionale e traslazionale e, in molti casi, evolve in scivolamenti in roccia o in flussi di fango.

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Il fenomeno della parte mediana è essenzialmente uno scorrimento rotazionale in terra, la parte bassa, invece, è interessata da flussi di terra, entrambi i fenomeni vengono alimentati dalla parte degradata dei complessi argillosi e dal materiale detritico proveniente dal fenomeno superiore. Gran parte della scarpata di primo distacco dei fenomeni inferiori è stata sepolta dal materiale detritico convogliato nella zona d’origine proveniente dalla parte superiore.

Figura 1.3 Foto aerea della frana.

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2. Presentazione del lavoro svolto dagli autoriDopo gli eventi del 2004 viene avviata una campagna di indagini geotecniche e di monitoraggio, intrapresa al fine di valutare i costi effettivi delle strutture di mitigazione, condotta in collaborazione tra gli enti pubblici e gli istituti di ricerca.

La campagna preparatoria di indagini e monitoraggio ha principalmente lo scopo di: definire la spessore della frana e la profondità dello strato di roccia (tramite rilevamenti sismici e sondaggi); definire le proprietà geotecniche della massa che costituisce la frana (tramite carotaggi, analisi di laboratorio e test di permeabilità in sito); stimare il tasso di movimento e la profondità (inclinometri e cavi TDR, estensimetri a filo); definire il range di fluttuazione della falda e il tempo di risposta dei movimenti rispetto alle piogge (piezometri con trasponder elettrici).

Complessivamente, la campagna di investigazione e monitoraggio consisteva di: una nuova foto a copertura totale areale in scala 1:14 000; una mappa dettagliata della frana in scala 1:5 000; carote da 88 mm della massa della frana e della roccia provenienti da 16 pozzi (40 campioni prelevati ad una profondità di 90 m); un set di dati provenienti dal monitoraggio eseguito con 9 inclinometri, 2 cavi TDR di 41,3 mm di diametro, 2 estensimetri e 6 piezometri, alcuni dei quali equipaggiati con dei trasduttori di pressione elettrici e registratori di dati per l’acquisizione continua;sensori di rifrazione sismica in 16 sezioni trasversali e longitudinali, elaborati con tecniche di tomografia.

Figura 2.1 Localizzazione della strumentazione impiegata per le indagini e il monitoraggio.

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Questo vasto insieme di informazioni era necessario al fine di rispondere ad alcune domande chiave quali: il bedrock è abbastanza superficiale tale da consentire una buona infissione dei pali trivellati?, può la falda essere intercettata e significativamente abbassata con dei pozzi di drenaggio profondo?, la superficie di scorrimento è ad una profondità tale da intercettare i pozzi, e quindi rischia di tagliarli?, il tasso di movimento giornaliero è, ad oggi, abbastanza lento tale da permettere che i fori per i pozzi e i pali siano eseguiti e restino stabili fino a che il drenaggio non abbia fatto effetto e gli ancoraggi non vengano tesi?, e così via. I risultati della campagna di indagine e monitoraggio sono riportati nella tabella seguente.

Tabella 1 Descrizione del sistema delle aree critiche della frana di Ca' Lita.Movimento caratteristico del versante

Aree investigate e monitorate

A - Cassola B - Corciolano C – Ca’ Lita D – Piana E – Colata

Tipo di movimento

Scivolamento in terra roto-traslazionale

Scivolamento in roccia roto-traslazionale

Scivolamento in terra roto-traslazionale

Scivolamento in terra e roccia roto-traslazionale

Flussi e scivolamenti traslazionali in terra

Strati interessati

MOH3 (ov), MVR2a (ov) MOH3 (ov) MOH3 (ur) +

(ov) MOH3 (ov)MVR2a (ov), MOH3 (ur), VRO (ur)

Materiali della frana

Argilla, limo e blocchi

Ammassi di roccia disgregati

Argilla, limo, blocchi

Argilla, limo, blocchi + ammassi di roccia disgregati

Argilla, limi + blocchi nei metri superiori

Spessore totale 10-25 (m) - 20 (m) 45 (m) 15 (m)Profondità dello scivolamento

5 e 20* (m) - 15* (m) 43* e 20* (m) 9*(m)

Velocità minima di spostamento

cm/mese* - cm/mese * cm/mese* dm o m/mese*

Velocità massima di spostamento

dm/giorno° - dm/giorno ° dm/giorno° m/giorno

Profondità della falda 2-6* (m) 17-18*(m) 8-2* (m) 10-25* (m) 1-8* (m)

Legende:

Strati interessati (in parentesi la formazione geologica di appartenenza): MOH3 = Flysch (Formazione di Monghidoro);VRO = Complessi caotici argillosi (Argille di Val Rossenna);MVR2a = Complessi caotici argillosi (Melangers di Val Rossenna).

Dati:*= dato misurato;°= dato stimato.

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Cinematismo:ur= traslazionale;ov= rotazionale.

L’interpretazione dei meccanismi di rottura del pendio, insieme alle evidenze raccolte durante l’ultima riattivazione e altre analisi specifiche, sono state la base sulla quale sono state selezionate le principali zone critiche della frana per le indagini ed il monitoraggio.

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3. Analisi critica del lavoroLa scelta di questo articolo, tra i tanti della ricerca bibliografica, è maturata in quanto questo studio, a mio avviso, mostra come il monitoraggio sia un supporto fondamentale anche per la costruzione delle e non solo per fini di ricerca o di allarme, oltre che per il gran numero di tecniche utilizzate. Gli autori dello studio presentano un approccio molto interessante rispetto alla progettazione delle opere di mitigazione del rischio, nel ragionamento portato avanti mostrano come il monitoraggio degli spostamenti della frana sia parte propedeutica e necessaria ai fini della buona riuscita di un’opera di grandi dimensioni.

Per quanto riguarda la campagna di indagine geotecnica e di monitoraggio, che sono presentati come un tutt’uno nell’articolo, è stata eseguita in dettaglio, utilizzando molte tecnologie in modo da poter comparare i vari dati. Bisogna sottolineare che una campagna di tali dimensioni è estremamente onerosa dal punto di vista economico, infatti nell’articolo è specificato che l’intervento è stato giustificato dal grande numero di persone e attività economiche interessate e dall’importanza strategica della strada che lambisce la frana.

Dal punto di vista tecnico lo studio è molto interessante perché coinvolge tecniche di varia natura: dalle misure profonde (inclinometri) alle misure aeree (fotogrammetria). Tra tutte le tecniche utilizzate quella che, a mio avviso, incuriosisce di più è l’utilizzo di tecniche tomografiche per l’elaborazione dei dati, purtroppo nell’articolo non si presentano in dettaglio tali tecniche. Data l’enorme disponibilità di dati acquisiti, sarebbe interessante cercare una correlazione diretta tra piovosità e spostamenti della frana prima della realizzazione delle opere di mitigazione, in modo che, a costruzione ultimata, il monitoraggio della sola piovosità possa essere un segnale di pre-allarme.

Il caso studio analizzato potrebbe essere preso come riferimento per risolvere tante altre criticità, specialmente in un paese come l’Italia dove il rischio da frana è diffuso su tutto il territorio nazionale. Altro punto di merito dell’indagine è quello della sinergia intercorsa tra enti di ricerca e enti preposti alla “gestione” del territorio, che ha portato ad una soluzione condivisa e realizzabile.

L’analisi dell’articolo ha rappresentato, inoltre, anche l’occasione per approfondire la questione della fattibilità tecnica della localizzazione degli abitanti di zone a rischio, aspetto già incontrato in un’esercitazione precedente (prima esercitazione), anche in questo caso gli autori nutrono forti dubbi sull’impiego di tale soluzione.

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4. BibliografiaCorsini A., Borgatti L., Caputo G., De Simone N., Sartini G., Truffelli G.; 2006 ; Investigation and monitoring in support of the structural mitigation of large slow moving landslides: an example from Ca’ Lita (Northern Apennines, Reggio Emilia, Italy), Natural Hazard Earth Sistem Sciences, vol. 6 pag. 55-61.

Baraldi Silvia; 2008; Caratterizzazione idrogeologica, idrochimica e radiometrica di alcuni corpi di frana dell’Appennino emiliano. Casi di studio: Vedriano, Cà Lita e Silla, Il geologo vol. 8 pag 29-36.

Sartini G., Caputo G., De Simone N., Truffelli G., Borgatti L., Cervi F., Corsini A., Ronchetti F; 2007; Consolidamento di versanti instabili mediante opere di contenimento strutturale e tecniche di drenaggio profondo: gli esempi di Acquabona, Cervarezza, Magliatica e Ca’ Lita (Appennino reggiano);Giornale di geologia applicata vol. 7 pag. 5-16.