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Davide CinalliInterpretare il paesaggio

Qualità territoriale e valorizzazione delle identità locali

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Non sono assolutamente consentite le fotocopiesenza il permesso scritto dell’Editore.

I edizione: luglio 2011

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A mio papà

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Sono ormai parecchi anni che, con mensile regolarità, mi trovo a percor-

rere la via che da Pavia conduce a Bormio, in Alta Valtellina, mio paese na-tale. Dalla pianura alla montagna, attraversando paesaggi completamente di-versi. Dai campi di riso tracciati ai lati della tangenziale di Pavia, alla perife-ria milanese, la quale, senza più alcuna soluzione di continuità, mi accompa-gna fino al lago di Como. Da qui il paesaggio inizia ad apparirmi più fami-liare, l’aria muta di consistenza, si fa sempre più sottile e fresca. Sullo sfon-do quelle quinte di monti, che dalla pianura apparivano quasi sospese sopra l’avvelenata coltre afosa delle città, appaiono ora nella loro dimensione più pura: inizio a riconoscere le cime, le creste, i sentieri che si snodano sui loro pendii ancora carichi di neve. Al termine del lago, improvvisamente, la valle si restringe. Ora seguo il corso del fiume Adda, a ritroso, quasi fino alle sue sorgenti, raggiungendo le mie.

Se non avessi ripetutamente percorso questa via, se non avessi colto con stupore e sgomento le trasformazioni che, regolari quanto il mio pendolari-smo, hanno stravolto, e continuano a farlo, lembi di terra e paesaggi, colture e costruzioni, rendendo il luogo di partenza sempre più simile a quello d’ar-rivo, forse questo libro non sarebbe mai nato.

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Indice 11 Prefazione 15 Introduzione 19 Capitolo I

Il paesaggio. Nascita e dissoluzione di un concetto

1.1 La nascita di un genere artistico: la pittura di paesaggio, 22 – 1.2 Attraversamenti: il sentimento estetico delle Alpi all’epoca del Grand Tour, 25 – 1.3 Estetica versus scienza, 32

45 Capitolo II Teorie di paesaggio

2.1 L’interdisciplinarietà, 45 – 2.2 L’esordio: Georg Simmel, 47 – 2.3 La geografia e i suoi contributi, 55 – 2.4 Dalla geografia alla geofilosofia, 72 – 2.5 La riflessione ita-liana: Rosario Assunto, 81 – 2.6 Voci inascoltate: Antonio Cederna e Pier Paolo Paso-lini, 92 – 2.7 Teorie urbane, 99 – 2.8 La geofilosofia, 116

127 Capitolo III Interpretazioni di paesaggio

3.1 Il silenzio dei luoghi, 127 3.1.1 Il paesaggio del turismo, 133 – 3.1.2 Il paesaggio industriale, 147 – 3.1.3 Il pae-saggio del commercio, 155 – 3.1.4 Il paesaggio agricolo, 160 – 3.1.5 Il paesaggio del-le infrastrutture, 165

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3.2 La voce dei luoghi, 169 3.2.1 L’identità, 174 – 3.2.2 La memoria, 182 – 3.2.3 La comunità 194

213 Capitolo IV Partecipare al paesaggio

4.1 Educare al paesaggio, 213

4.2 La voce della comunità, 226 4.2.1 Le mappe di comunità, 226

237 Capitolo V Paesaggio e legislazione

5.1 La concezione di paesaggio nella Costituzione italiana, 237 – 5.2 La Convenzione europea del paesaggio, 247

259 Bibliografia

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Prefazione Quando trattiamo il tema del paesaggio spesso voltiamo indietro il capo alla ricerca di una nostra memoria storica che ci dia conforto e sostegno, affannosamente stabiliamo una sorta di cerniera temporale da contrapporre ai tanti paesaggi costruiti (male) che partono dalle battigie dei nostri mari fino a lambire le rocce alpine e fin dove non possono salire oltre. Tutti questi paesaggi sono stati progressivamente scritti e riscritti dagli abitanti che hanno impiegato e piegato i loro territori in funzione di apparentemente imprescindibili attività di sfruttamento delle risorse e degli spazi. Il paesaggio non solo è un insieme di realtà naturali ed artificiali, accezioni che coincidono o dovrebbero coincidere con costruito e non costruito, il tutto contenuto entro gli oramai labili confini di tutti i vari contesti territoriali in cui si anima la vita quotidiana e difficile degli abitanti delle varie latitudini. Ogni paesaggio è stato ridisegnato come la sintesi di tutti gli aspetti sociali che lo abitano e le matite che ne hanno delineato i contorni hanno evidenziato come un grande paesag-gio globale basato su di una geografia certa abbia lasciato spazio ai tanti paesaggi privati che compongono oggi il nostro paese e non solo, contesti inframmezzati, contorti, sovrapposti, vincolati e vincolanti, spazialmente ridondanti ed al tempo stesso svuotati spesso delle loro antiche parti migliori e successivamente vincolati a tutte le nuove que-stioni sociali e produttive delle aree di riferimento. Paesaggi nati dall’aggiunta continua di elementi e non dalla loro sintesi, composizioni forzatamente sovrapposte fra loro, strato su stra-to, casa su casa, uomo su uomo, infrastruttura su infrastruttura. Quello che ne risulta non è più un paesaggio per pochi e non è ne-anche un paesaggio per tutti; la sfera del privato ha preso il sopravven-to sull’interesse della collettività che ha caratterizzato per anni il modo di vivere basato su regole di convivenza e di reciprocità, fondate sulla

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Prefazione

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diluizione delle esigenze private all’interno di un vero paesaggio co-mune. In tal senso, quella che segue, non è un’altra pubblicazione/ricerca sul paesaggio ma costituisce un considerevole quanto riuscito tentati-vo di indagine che, finalmente!, abbracci in modo sistematico e com-piuto tutti gli aspetti interdisciplinari di un aspetto così fondamentale per il nostro futuro. Una scrittura sul paesaggio non può essere per forza una sua de-scrizione e Interpretare il paesaggio. Qualità territoriale e valorizza-zione delle identità locali punta sin da subito ad un approccio multidi-rezionale e multidisciplinare, in grado di dare voce e sintesi ad un pen- siero quasi tridimensionale sulla questione; e non è un caso che il testo affronti con decisione alcune questioni di fondo come l’evidente sor-dità alle voci presenti in ogni luogo, dimenticate, lasciate a terra, spes-so non ascoltate perché coperte dai vari frastuoni prodotti da un siste-ma di relazioni mediatiche costruite proprio per non ascoltare le anime dei luoghi e quindi delle persone. Questo non ascolto è stato introdotto da logiche spesso legate ad una sottile ricerca analitica di consenso (leggi ad esempio: il mercato turistico) che è riuscita ad ipotizzare una differente rappresentazione dei luoghi dello svago, presentati con modalità solamente estetiche o quasi, mediante una reiterazione di nuove immagini atte alla spettaco-larizzazione di un luogo che diventa concetto; in questo caso ha vinto un’evocazione di un tempo, di un villaggio, di un momento, di un’idea che forse non sono mai appartenuti a quello spazio. Ed è qui che si è smarrita l’identità di un intero sistema di relazioni sociali che costituivano la vera, forse irripetibile, ossatura di più com-pagini locali il cui destino si è trovato di fronte a parole terribili come marketing, zonizzazione, piani territoriali, coordinamento e, oggi, glo-balizzazione e sostenibile, tutti termini che presuppongono una sorta di altrove rispetto al luogo, definizioni politiche avulse da ogni tutela e improntate alla svendita degli effetti di identità di un villaggio in cambio dell’acquisto dei soli accessori di decoro. In tal senso pensiamo solo al contesto alpino e a quanto abbia do-vuto abbandonare la propria sobria seppur pericolosa alterità naturale in cambio di uno sviluppo che ha portato denaro e benessere, facendo-si estorcere progressivamente preziose porzioni di territorio che sono

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Prefazione

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state via via commercializzate e per cui è stata inventata una nuova i-conografia delle Alpi che furono e che quindi potranno ancora essere. Perché il paesaggio non sia più ceduto in eredità a chi ci segue ma vengano lasciati anche nuovi elementi di comprensione e di tutela di un bene che, non va dimenticato, contiene già nella propria essenza una sua capacità di prendersi cura dei propri luoghi. Ogni paesaggio viene costruito dai suoi abitanti. Luciano Bolzoni Milano, 26 aprile 2011

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Introduzione Paesaggio. Luogo dell’abitare, ovvero luogo di cui prendersi cura

in quanto contesto di vita quotidiana. Sono sufficienti queste afferma-zioni per comprendere la complessità della riflessione sul paesaggio. Una complessità resa ancor più evidente nell’attuale società in cui la relazione antropologica che riconosceva la corrispondenza tra un luo-go e una cultura tradizionalmente insediata è andata sfumando nella contemporanea mobilitazione totale di merci e persone.

Solo quando uno spazio è riconosciuto e riconoscibile da una co-munità e solo nel momento in cui essa sente di appartenervi si può parlare di luogo. E affinché un luogo possa essere condiviso esso deve possedere uno spessore storico, culturale, simbolico, deve, in ultima istanza, possedere memoria del suo passato. La memoria dunque ri-siede nel luogo e la comunità deve essere in grado di leggere e com-prendere il linguaggio in cui esso si esprime. Un linguaggio comples-so e stratificato, che non può essere codificato da un sapere speciali-stico: esso richiede l’apporto di molte discipline e la volontà di volerlo comprendere.

Parlare di paesaggio oggi significa dunque assumere un punto di vista necessariamente interdisciplinare; molti sono infatti gli approcci, da quelli filosofici a quelli di materie che a vario titolo si occupano di paesaggio: l’urbanistica, l’architettura, l’agronomia, la geografia, l’an-tropologia, l’archeologia, le discipline dell’educazione.

Occorre tuttavia evidenziare la scarsità di pensatori che si sono oc-cupati in ambito estetico di paesaggio. Possiamo ricordare Ritter, Simmel e Assunto (uno dei pochi ad essersi occupato di paesaggio in campo estetologico). È anche da segnalare l’interessante proposta di un’ermeneutica del paesaggio avanzata da Marc Besse, geografo e fi-losofo francese, così come si potrebbero citare alcuni studi d’impo-stazione fenomenologica sulla percezione paesaggistica (Erwin Stra-us), non rilevanti tuttavia all’interno della attuale concezione del pae-

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Introduzione

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saggio. Un contributo essenziale proviene dagli studi urbanistici, in particolare dalla scuola territorialista di Firenze e di Milano che vede nella figura di Alberto Magnaghi il più autorevole esponente e coordi-natore di un ampio gruppo di teorici e progettisti.

Imprescindibili sono poi le riflessioni che provengono dalla geogra-fia umana e culturale che, spesso con grande anticipo rispetto all’at-tuale riflessione sul paesaggio, costituiscono una imprescindibile base teorica a cui fare riferimento. Il pensiero va qui a studiosi quali Leh-mann, Vidal de la Blache, Relph, Yi Fu Tuan. In particolare la lettura di Relph e del suo Place and placelessness, pubblicato nel 1973, mo-stra quanto la riflessione italiana si sia attardata a condurre le proprie riflessioni: poche sono state infatti le voci che si sono levate contro gli scempi paesaggistici che con rapidità e violenza stavano lacerando un tessuto territoriale e culturale tanto antico e stratificato quanto fragile. Particolarmente significativi sono anche i contributi della scuola di Genova e di Adalberto Vallega, recentemente scomparso, di Eugenio Turri, oltre che di Massimo Quaini, Claudio Minca, e molti altri. Grande rilevanza anche le riflessioni di storici, tra cui Hughes de Va-rine, che fonda la sua riflessione alla storia e ai giacimenti della sag-gezza locale mettendola in pratica nella innovativa creazione dell’eco-museo, come modalità di lettura, consapevolizzazione, riflessione del-la comunità locale quale condizione di rivitalizzazione condivisa dei territori (capitolo 2).

Importanti inoltre sono le politiche giuridiche che negli ultimi anni si sono occupate di fornire una base legislativa che tenesse in conside-razione proprio gli studi delle discipline sopra citate. In particolare il riferimento è alla Convenzione europea del paesaggio, strumento poli-tico che fornisce una definizione di paesaggio innovativa, almeno in ambito giuridico, non solo perché affine alla concezione geofilosofica del paesaggio, ma perché indica esplicitamente che tutela del paesag-gio non designa solo le aree eccellenti dal punto di vista naturalistico o architettonico, ma tutto il territorio in cui abitiamo, con particolare ri-ferimento ai luoghi quotidiani, cioè ai luoghi che tutti noi frequentia-mo e attraversiamo, degradati o meno che siano. Si farà anche riferi-mento alla difficoltà di adeguare le norme nazionali, tanto quelle del Codice dei beni culturali e del paesaggio, quanto quelle previste dalla Costituzione, ai dettati di questa normativa europea, in vigore nel no-

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Introduzione

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stro paese dal 2006 (capitolo 5). A partire da questi riferimenti, nasce la volontà di fornire una chia-

ve ermeneutica che possa costituire un ausilio metodologico nelle pra-tiche di riconoscimento e valorizzazione dei paesaggi. In tal senso, la riflessione teoretica qui proposta prende le mosse dai concetti di natu-ra, cultura, memoria, tradizione, alterità, locale e globale, postmoder-nità e tecnica, non tanto per definire una genealogia del concetto di paesaggio e della sua problematicità, quanto per individuare quali sia-no i temi da affrontare e da declinare nell’ottica di una interpretazione del paesaggio che tenga conto delle sue molteplici dimensioni, da quelle morfologiche, a quelle immateriali e simboliche.

L’approccio a cui il presente lavoro deve il proprio fondamento metodologico è quello geofilosofico.

La Geo-filosofia, come la parola stessa suggerisce, vuole essere una filosofia della Terra. L’intenzione che in primo luogo la guida è quella di riportare la terra al pensiero, nella convinzione che quest’ultimo l’abbia perduta. Com-prendere come ciò sia potuto accadere è dunque il primo passo necessario lungo il cammino che intende riappropriarsene1. Un cammino che dovrà attraversare il deserto provocato dalla bar-

barie della modernità: solo così si potranno comprendere le logiche che l’hanno dominata rendendola infine l’espressione più cupa del ni-chilismo. L’uomo, reso miope dalla tecnica, ha creduto di poter im-porre il proprio dominio sulla terra, oltrepassando, nella tracotante fi-ducia nel progresso, i limiti entro i quali ogni azione umana avrebbe dovuto collocarsi. Perduto il senso delle proprie radici terranee, l’uomo non solo si è allontanato dal territorio rendendolo ecologica-mente fragile, ma ha cancellato, spesso indelebilmente, le tracce cultu-rali in esso sedimentate, la storia del suo provenire e, con essa, quel senso di appartenenza al proprio paesaggio e alla comunità che l’ha creato. Paradossalmente il suo desiderio di dominio assoluto l’ha con-dotto ad essere signore del nulla: la natura fugge da ogni tentativo di appropriazione, la cultura svanisce senza un luogo in cui manifestarsi.

Esistono ancora paesaggi, ma molti di essi, privi di spessore simbo-

1 C. RESTA, 10 tesi di geofilosofia, in L. BONESIO (a cura di), Appartenenza e località. L’uomo e il territorio, SEB, Milano 1996, p. 8.

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Introduzione

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lico e culturale e spogli di identità, non permettono d’essere vissuti da abitanti, al più da utenti, anch’essi peraltro svuotati d’ogni spessore identitario (capitolo 3.1).

Il paesaggio, dunque, esprime il rapporto tra una comunità ed un luogo, il quale, a sua volta, assorbe, preservandolo dall’oblio, il passa-to in forma non solo di tracce visibili, ma anche di elementi immate-riali, la cui eco informa il presente di colui che sa prendersene cura. Un passato che, come vedremo, non rappresenta una prefigurazione del futuro, né un vincolo per il presente, ma un pozzo di memorie e possibilità a cui la comunità potrà far riferimento, arricchendolo dei propri significati (capitolo 3.2).

Dal riferimento ai nuovi approcci teorici e giuridici alla pro-blematica del paesaggio, come anche dalla necessità di riuscire ad ela-borare, soprattutto in Italia, un’unificazione dei concetti e dei riferi-menti legislativi, e in particolare per seguire il dettato della Conven-zione che sollecita azioni di formazione, sensibilizzazione e dialogo al fine di incrementare la consapevolezza dei valori (anche economici) del paesaggio, scaturisce uno degli obiettivi del presente lavoro, che consiste nel mettere in dialogo concettuale e operativo le diverse di-scipline e i differenti approcci metodologici che si occupano dei luo-ghi dell’abitare. Si prenderanno dunque in esame alcune tra le varie i-niziative, pratiche e riflessive, che mettono a frutto i nuovi orienta-menti teorici al paesaggio. In particolare ci si soffermerà sull’ela-borazione degli strumenti conoscitivi e della concettualità che porta alla costruzione delle mappe di comunità, ovvero quelle rappresenta-zioni identitarie del territorio realizzate dalla comunità sulla base delle proprie percezioni, dei propri ricordi e delle proprie aspettative (capi-tolo 4).

Abitare la terra prendendosene costantemente cura; riconoscere nei paesaggi l’espressione di una comunità nella sua incessante dialettica con la natura; riscoprire l’unicità dei luoghi nella temporalità storica e naturale dalla quale sorgono; preservare l’identità locale arricchendola di nuove e feconde interpretazioni: sono dunque queste le tematiche che troveranno luogo nelle pagine di questo testo.

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Capitolo I

Il paesaggio. Nascita e dissoluzione di un concetto

Appare centrale, nel momento in cui si inizia ad affrontare un ar-

gomento, chiarire i concetti, declinare il proprio punto di vista sui termini cardine che verranno utilizzati nel corso d’opera. Il presente testo si occupa di paesaggio, argomento per molto tempo trascurato dalle scienze umanistiche, sicuramente dalla filosofia, che deve oggi prendersi carico di affrontare un tema che, essendo oggetto di molte discipline, richiede una riflessione in grado di far quantomeno parlare una lingua condivisa dai vari interlocutori.

Questo rappresenta il primo obiettivo del presente lavoro: ritenendo infatti l’interdisciplinarietà una risorsa, il primo passo da compiere è quello dell’unificazione delle definizioni con cui viene spesso indicato il paesaggio. Compito non facile quest’ultimo: il termine paesaggio ha infatti subito numerosi interpretazioni dal momento della sua compar-sa, ciò che tuttavia è possibile definire è con cosa non debba essere confuso. Innanzitutto occorre chiarire che paesaggio non è natura. Pensare di dare una definizione della parola natura in questa sede si-gnificherebbe aprire un discorso troppo vasto per l’obiettivo di questo testo; tuttavia è bene, al fine di non cadere in facili equivoci, eviden-ziare come il concetto di natura, sebbene declinato sempre all’interno di una cornice culturale, non possa essere considerato paesaggio. La natura ha luogo in se stessa e segue una temporalità che non permette ad alcuna comunità di comprenderla, se non in quel punto in cui la temporalità umana, quella di una comunità o di una cultura, la tange senza penetrarla. In quel punto, nell’incontro tra queste due temporali-tà, il tempo si spazializza in forme sempre diverse pur esprimendo

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Il paesaggio. Nascita e dissoluzione di un concetto

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sempre l’unità tra passato, presente e futuro. Scrive Assunto, nel suo Il paesaggio e l’estetica:

La rappresentazione spaziale del tempo […] è il manifestarsi stesso della temporalità duratura nella temporalità effimera […]. Lo spazio, nella sua fini-tezza, è come la cruna attraverso la quale continuamente passa il filo della in-finità temporalità: unità, sempre, di presente, passato e futuro, loro coesten-sione; e nel passare attraverso lo spazio, che in quanto finito è sempre uno spazio, la temporalità finitizza se stessa, conferisce al luogo che lo spazio è per il suo passare una forma che muta continuamente con il trascorrere dei giorni. Una forma temporanea, diciamo pure: nella quale la temporalità mani-festa se stessa, e nel suo manifestarsi è insieme passeggera in quanto tempo-ranea, duratura in quanto temporale1.

È la territorializzazione, la nascita del paesaggio. Il tempo dell’uo-

mo trascende la sua limitatezza nel momento in cui abitando un luogo interpreta la natura in esso presente per stabilirsi in essa. L’uomo mo-difica certo la natura, ma è pur sempre la natura a fornire l’orizzonte di possibilità del dimorare umano. Questo è un dato imprescindibile, che nessun tempo e nessuno sviluppo tecnologico potrà mai mettere in discussione. Travalicare le possibilità offerte dalla natura in un deter-minato luogo equivale a distruggere il luogo stesso, la propria dimora e le culture, ovvero le interpretazioni di possibilità in esso sedimenta-te.

È necessario quindi recuperare la dimensione naturale, limes d’ogni possibilità, astenendosi dal considerarla solo ed esclusivamente sub specie humanitatis. Occorre infatti ricordare che la natura non parla il linguaggio della tecnica e che il voler tradurre «il non-umano nel semplicemente umano o nel sub-umano»2 non permette all’uomo di coglierne l’essenza. Solo superando questa visione antropocentrica e lasciando che la natura torni a manifestarsi nella sua alterità l’uomo potrà nuovamente meravigliarsi di fronte ad essa comprendendone l’enigmaticità. La volontà faustiana di ridurre tutto alla dimensione umana, tipica della società tecnocratica, è peraltro destinata al falli-mento: come ricorda Heidegger

1 R ASSUNTO, Il paesaggio e l’estetica, Novecento, Palermo 2005, p.77. 2 L. BONESIO, Geofilosofia del paesaggio, Mimesis, Milano 1997 e 20012, p. 48.

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Il paesaggio. Nascita e dissoluzione di un concetto

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il fatto che i piani e i dispositivi della tecnica riescano in numerose invenzio-ni e producano continue innovazioni non dimostra affatto che le conquiste della tecnica rendano possibile anche l’impossibile [...]. Una cosa è utilizzare semplicemente la terra; un’altra è, invece, ricevere la benedizione della terra e stabilirsi nella legge di questa accettazione come nella propria casa, per cu-stodire il segreto dell’essere e vegliare sull’inviolabilità del possibile3.

Accordarsi alla natura, rispettandone le leggi, permette all’uomo di instaurare una relazione armonica con la terra. È da questa unione che nasce il paesaggio, dall’incontro tra un luogo ed una comunità. La qualità del paesaggio non può quindi dipendere che dall’armonia o di-sarmonia manifesta in questa relazione. Ci viene nuovamente qui in aiuto la fondamentale opera di Assunto Il paesaggio e l’estetica, che evidenzia con limpide parole l’unità uomo-natura manifesta nel pae-saggio: «La natura, che prende forma assimilando a sé la storia dalla quale si lascia modellare; la storia, che, immedesimandosi alla natura, diventa contenuto delle forme che essa stessa ha date alla natura»4. Relazione, unione, fecondazione sono solo alcune delle parole che vengono utilizzate per descrivere questo rapporto tra uomo e natura. Non è difficile rintracciare il senso materno della Terra. Il paesaggio è figlio di tale rapporto e racchiude in sé le qualità, anche negative, de-gli atti che l’hanno portato alla luce. La sua vita dipenderà poi dalla cura della comunità. Si trasformerà nel corso del tempo, pur mante-nendo una propria riconoscibilità, dovuta naturalmente alle risorse presenti, alla conformazione geo-morfologica, ma anche a quelle in-terpretazioni di lunga durata che hanno saputo mantenersi attive grazie ad un uso attento e saggio del territorio. Interpretazioni ancora, che di volta in volta si sedimenteranno le une sulle altre senza cancellarsi, ma creando un suolo di condivisione naturale e culturale, simbolica e i-dentitaria, almeno fintanto che gli abitanti sapranno leggere il proprio territorio e la loro memoria non verrà oscurata da volontà di dominio e possesso, tracotanza e ignoranza. Sapere interpretare il territorio non è possibile quindi senza una capacità di lettura delle trasformazioni che caratterizzano il luogo. Non è possibile proseguire un racconto senza

3 M. HEIDEGGER, «Oltrepassamento della metafisica», in Saggi e discorsi, trad. it. di G.

Vattimo, Mursia, Milano 1976, p. 64. 4 R ASSUNTO, Il paesaggio e l’estetica, cit., p. 347.

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Il paesaggio. Nascita e dissoluzione di un concetto

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preliminarmente averne letto il contenuto o avendone dimenticato il senso: ciò che ne emergerebbe ci apparirebbe subito fuori contesto, fuori luogo appunto. Se paesaggio è quindi relazione tra natura e co-munità, l’approccio al suo studio dovrà necessariamente tenere pre-sente non solo gli aspetti ecologico-scientifici, ma anche quelli cultu-rali, simbolici, relazionali e identitari. Per riflettere sul paesaggio oc-corre quindi abbracciare un orizzonte vasto, in cui si intersecano varie dimensioni, da quelle naturali a quelle culturali, da quelle ecologiche a quelle simboliche e metafisiche. Questa è la frontiera degli studi sul paesaggio, ma per comprendere il cammino che ha portato fin qui è necessario, seppure brevemente, ripercorrere la genealogia del termine paesaggio5.

1.1 La nascita di un genere artistico: la pittura di paesaggio Il termine paesaggio è un concetto che poche culture hanno avuto.

Si tratta della denominazione per un genere artistico che ritrae un fuori che viene reso visibile da una finestra, la quale fornisce allo sguardo un limite laddove invece ci sarebbe un continuum: è la prospettiva ar-tificiale, che ritagliando una porzione di mondo tramite la costruzione geometrica dello spazio, la sottrae al continuum della natura. Il termi-ne paesaggio nasce, nella storia dell’Occidente, nel corso del XV se-

5 Ci si riferisce alla nascita del paesaggio in Occidente. È possibile rintracciare società

paesaggiste in altre culture e in tempi assai più remoti della comparsa di una sensibilità pae-saggista in Occidente. Interessante a tal proposito è il capitolo I proto-paesaggi, in A. ROGER, Breve trattato sul paesaggio, trad. it. di M. Delogu, Sellerio, Palermo 2009, pp. 41-51, nel quale l’autore rintraccia in alcune culture orientali - come quella cinese a partire almeno dalla dinastia Song (960-1279) - la presenza di una sensibilità paesaggista anteriore a quella occi-dentale. A tal proposito Augustin Berque, nella sua fondamentale opera Les raisons du pay-sage. De la Chine aux environnements de synthèse, elenca i requisiti che devono essere pre-senti in una società perché la si possa definire paesaggistica: «1. Rappresentazioni linguisti-che, cioè una o più parole per dire “paesaggio”; 2. rappresentazioni letterarie, orali e scritte, che cantino o descrivano le bellezze del paesaggio; 3. rappresentazioni pittoriche che abbiano per tema il paesaggio; 4. rappresentazioni attraverso giardini che dimostrino una valutazione estetica della natura. Uno o l’altro degli ultimi tre criteri si ritrovano in molte società, ma solo nelle società propriamente paesaggiste, che per altro sono le uniche a considerare il primo, si trovano riuniti tutti e quattro i criteri» (A. BERQUE, Les raisons du paysage. De la Chine aux environnements de synthèse, Hazan, Paris 1995, pp. 34-35, cit. in A. Roger, Breve trattato sul paesaggio, cit., p. 41).