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Dei delitti contro la pubblica amministrazione: “Concussione” ex art. 317 c.p. ed “Induzione
indebita a dare o promettere utilità” ex art. 319-quater c.p. GIGANTI GIORGIA
Indice: 1. Il reato di concussione ex art. 317 c.p. : la “ratio” della norma ante riforma del 1990;
2.L’evoluzione del delitto di concussione : gli elementi costitutivi della fattispecie fino alla riforma
del 2012; 2.1 Soggetti attivi; 2.2 La condotta costrittiva ovvero induttiva del pubblico ufficiale o
dell’incaricato di pubblico servizio; 2.3 Modalità di esercizio della costrizione o della induzione :
“abuso della qualità o dei poteri”; 2.4 Soggetto passivo; 2.5 Bene giuridico tutelato; 3. Il c.d.
“spacchettamento” della concussione alla luce della L. 190/2012; 3.1 Lo stato della
giurisprudenza sulle modifiche apportate dalla L. 190 del 2012 in materia di concussione prima
dell’intervento delle Sezioni Unite ( n.12228/2013); 3.2 Il discrimen tra le due fattispecie: elementi
costitutivi e criteri distintivi forniti dalle Sezioni Unite
1. Il reato di concussione ex art. 317 c.p.: la “ratio” della norma ante riforma del 1990
È opportuno partire da un’analisi dell’originaria fattispecie della concussione, così come era
disciplinata dal legislatore prima della riforma L.86/1990 (“Modifiche in tema di delitti dei pubblici
ufficiali contro la p.a.”), per meglio comprendere le successive modifiche apportate a tale reato. Ab
origine, il delitto di concussione si configurava per la condotta criminosa, realizzata dal solo
pubblico ufficiale, il quale “abusando della sua qualità o delle sue funzioni”, costringeva ovvero
induceva taluno a dare o a promettere indebitamente a lui o ad un terzo, denaro od altra utilità. La
logica di tale norma va colta, con specifico riguardo al contesto storico-sociale dello Stato fascista
in cui il legislatore del ’30 si trovò a delineare le fattispecie incriminatrici, nell’esigenza di trovare
sopraffazioni da parte dei pubblici funzionari dotati di una posizione di supremazia rispetto ai
singoli cittadini annullati nella comunità statuale1.
2. L’evoluzione del delitto di concussione : gli elementi costitutivi della fattispecie fino alla
riforma del 2012
La L. 86/1990 ha modificato l’art.317 c.p. prevedendo: a) l’estensione dell’incriminazione anche
all’incaricato di pubblico servizio; b) la sostituzione della precedente locuzione “abusando delle
sue qualità o delle sue funzioni” con la nuova formula “abusando della sua qualità o dei suoi
poteri”; c) l’eliminazione della pena pecuniaria, in precedenza stabilita in aggiunta alla reclusione 2.
2.1 Soggetti attivi1 G. FIANDACA E. MUSCO “Diritto penale: parte speciale” vol.1- 5°ed, Bologna, Zanichelli, 2012 p.208,2 E. DOLCINI G. MARINUCCI “Codice Penale Commentato” Tomo 2 p.2949
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La concussione dopo la riforma sopracitata era realizzabile sia dal pubblico ufficiale sia
dall’incaricato di pubblico servizio. La scelta del legislatore di estendere la punibilità all’incaricato
di pubblico servizio è stata dettata da esigenze di politica criminale, difronte a, sempre più
frequenti, casi di concussione realizzati proprio da tali soggetti. L’estensione dell’incriminazione ha
in un primo momento suscitato qualche perplessità, si è obiettato che gli incaricati di pubblico
servizio, essendo dotati di più limitati poteri, non sarebbero in grado di esercitare una coazione
psicologica sui privati. Successivamente, si è valutata in modo positivo l’inclusione dell’incaricato
di pubblico servizio tra i soggetti attivi del reato, per aver avuto il pregio di evitare un’impropria
dilatazione della nozione di “pubblico ufficiale”. In passato infatti, proprio per reprimere con la
sanzione prevista dall’art.317 c.p. le condotte di soggetti, non dotati di poteri tipici della pubblica
funzione, la giurisprudenza aveva finito per attribuire la qualifica di pubblico ufficiale anche a
persone - quali ad esempio gli aiuti ed assistenti di un ospedale - che più propriamente si sarebbero
dovute far rientrare nel novero degli incaricati di pubblico servizio. Per quanto concerne la nuova
formulazione dell’art.317 c.p. con la quale il termine “funzioni” è stato sostituito con quello di
“poteri”, il legislatore non ha inteso fare altro che adeguarsi all’estensione del novero dei soggetti
attivi, essendovi ora compresi anche gli incaricati di pubblico servizio che non possono certo
abusare delle funzioni (spettanti al solo pubblico ufficiale), bensì solo dei poteri corrispondenti alle
attribuzioni connesse al loro ruolo 3.
2.2 La condotta costrittiva ovvero induttiva del pubblico ufficiale o dell’incaricato di pubblico
servizio
Precedentemente al recente intervento legislativo del 2012, il disposto della fattispecie
incriminatrice – diretta a punire, con la reclusione da quattro a dodici anni, la condotta del
“pubblico ufficiale o dell’incaricato di pubblico servizio che, abusando della sua qualità o dei suoi
poteri”, avesse costretto o indotto taluno a dare o a promettere, a sé o a un terzo, denaro o altra
utilità – si evince che, per poter qualificare il delitto di concussione, la condotta del soggetto attivo,
può esplicarsi sia in una condotta costrittiva sia in una condotta induttiva, in entrambe assume una
posizione centrale l’abuso della qualità o dei poteri del soggetto pubblico. La condotta di abuso
deve essere intrinsecamente idonea e diretta in modo non equivoco a costringere o a indurre il
concusso alla dazione o alla promessa cui tende il funzionario. È perciò necessario un duplice nesso
di causalità tra l’abuso del potere e la costrizione o l’induzione e tra queste e la dazione o la
promessa. Infatti non ogni condotta costrittiva o induttiva è costitutiva del delitto di concussione,
ma solo quella c.d. “qualificata” che deriva direttamente dall’abuso dei poteri o della qualità del
3 G. FIANDACA E. MUSCO “Diritto penale: parte speciale” vol.1- 5°ed, Bologna, Zanichelli, 2012 p. 2122
soggetto attivo ed è “causa” della condotta del concusso. Dunque anteriormente alla novella del
2012, il problema relativo alla distinzione tra la condotta costrittiva e quella induttiva, che verrà
risolto esaurientemente dalle Sezioni Unite come esamineremo nel prosieguo, non risultava
particolarmente pregnante: che la condotta dell’agente fosse stata riferita all’uno o all’altro modello,
infatti, sarebbero stati comunque integrati gli estremi della concussione. “Si è in presenza di due
condotte previste alternativamente ma caratterizzate da un medesimo disvalore. Questa
equiparazione si spiega con la volontà del legislatore di porre sempre a fondamento della
concussione un’attività di coazione psicologica esercitata dall’agente nei confronti del privato il
quale viene spinto a dare o a promettere denaro od altra utilità in seguito all’abuso perpetrato
verso la sua persona4”. Nell’ipotesi di “condotta costrittiva”, il pubblico ufficiale deve
“costringere” il soggetto passivo, la costrizione implica infatti la prospettazione di un male ingiusto
alla vittima, la quale rimane tuttavia libera di aderire alla richiesta o di subire eventualmente il male
minacciato. Parimenti, “costringere” significa obbligare taluno con violenza o minaccia a compiere
un’azione che altrimenti non sarebbe stata compiuta o ad astenersi dal compiere un’azione che
altrimenti sarebbe stata compiuta. La minaccia deve essere seria ed idonea oggettivamente ad
esercitare nella psiche del soggetto una ingiustificata pressione. Irrilevanti sono invece le ragioni
che spingono il soggetto privato a cedere alla costrizione. Nella seconda forma di concussione, il
pubblico funzionario, abusando della sua qualità o dei suoi poteri, deve indurre il privato ad una
azione: e “indurre” il privato significa esercitare un’apprezzabile opera di persuasione,
suggestione, pressione morale , provocandogli uno stato di soggezione che lo motiva e lo spinge ad
una dazione o ad una promessa indebita di denaro od altra utilità a favore del pubblico funzionario o
di terzi. La portata del concetto di induzione è fortemente controversa in dottrina: secondo un
indirizzo consolidato in passato, il concetto di induzione deve essere interpretato restrittivamente
come sinonimo di “induzione in errore mediante inganno”, perché al di fuori della costrizione
psichica, solo un’attività fraudolenta sarebbe in grado di incidere sull’altrui volere. Una tesi
esattamente opposta esclude che l’induzione possa ingenerare un errore nel soggetto passivo e ciò
sia perché la norma menziona “induzione” e non “induzione in errore” sia perché lo stato di errore
della vittima sarebbe incompatibile con la struttura della concussione5. Altro orientamento infine
qualifica come induzione ogni comportamento che eserciti una pressione e determini il privato ad
una certa condotta, e comprensivo dell’inganno, della persuasione, dell’ostruzionismo, del silenzio
etc. 6.
4 E. DOLCINI G. MARINUCCI “Codice Penale Commentato” Tomo 2 p. 29655 MARINI, Lineamenti della condotta nel delitto di concussione, in Riv. It 1968 cit., p. 303 e ss.; PANNAIN, i delitti dei pubblici ufficiali cit., p.171 e ss.6 F. ANTOLISEI, Manuale di diritto penale, cit. p.308 e ss.; MANZINI, Trattato di diritto penale, cit. p.204 e ss.
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2.3 Modalità di esercizio della costrizione o della induzione : “abuso della qualità o dei poteri”
La costrizione o l’induzione devono essere realizzate dal pubblico agente con abuso della qualità o
dei poteri corrispondenti alle attribuzioni connesse al loro ruolo. È opportuno soffermarsi sul
significato del termine “abusare” che va desunto e dalla particolare qualifica dell’agente e
dall’oggetto stesso dell’abuso, proprio per questo, l’abuso non può costituire il presupposto delle
condotte di costrizione o di induzione, ma un loro elemento essenziale. È controversa la distinzione
tra abuso della qualità e abuso dei poteri: secondo l’orientamento più diffuso in giurisprudenza, va
tracciata con l’aiuto del criterio della competenza: l’abuso della qualità – c.d. abuso soggettivo –
presuppone sempre la mancanza di competenza del pubblico funzionario a compiere una data
attività; mentre l’abuso dei poteri – c.d. abuso oggettivo- ne richiede la presenza. Secondo altri
Autori l’abuso della qualità consisterebbe nella strumentalizzazione da parte del pubblico
funzionario della propria qualifica soggettiva diretta a far sorgere in altri rappresentazioni induttive
o costrittive di prestazioni non dovute, e che prescinde da ogni rapporto con atti del proprio ufficio;
l’abuso dei poteri invece andrebbe ravvisato nell’esercizio del potere per uno scopo “obiettivamente
diverso” da quello per cui gli è stato conferito. Tutt’altro che pacifica è la riconducibilità al concetto
di abuso, dell’esercizio strumentale di un’attività obiettivamente lecita e doverosa per ottenere
un’indebita utilità, cioè l’uso del potere per conseguire un fine illecito, come nel caso, ad esempio,
del pubblico ufficiale che, dopo aver accertato a carico di un privato un reato, da quest’ultimo
realmente commesso, minacci di denunciarlo o di arrestarlo, e si faccia dare una somma di denaro
per non compiere l’atto dell’ufficio. Un consolidato indirizzo dottrinale e giurisprudenziale
configura in questo caso l’abuso e quindi la concussione; tuttavia esso non è condivisibile perché,
se a configurare l’abuso bastasse la direzione finalistica del comportamento del soggetto attivo
verso uno “scopo illecito” ne risulterebbe modificata la fattispecie legale con una tacita abrogazione
del requisito dell’abuso e una sua sostituzione con la formula (non scritta) “a causa delle funzioni”.
La concussione è cioè ravvisata non solo quando si minaccia un male ‘ingiusto’, ad esempio, la
negazione di un’autorizzazione amministrativa ad una persona che ha tutte le carte in regola per
ottenerla, ma anche quando si minaccia un male ‘giusto’, in tali casi si tratta di “minacce di mali
‘giusti’ che si colorano di “ingiusto” per la strumentalizzazione del potere (e del dovere) da parte
del pubblico ufficiale 7”. Per la configurabilità del delitto di concussione non ha alcuna rilevanza
che l’atto sia legittimo o illegittimo, lecito o illecito, assumendo valore decisivo non l’atto in sé, ma
solo l’abuso della qualità o delle funzioni. Proprio valorizzando il requisito dell’abuso d’ufficio la
giurisprudenza quasi unanimemente ritiene che l’elemento fondante la concussione sia costituito dal
c.d. “metus publicae potestatis” e cioè dalla paura o dal timore che deriva al privato dalla situazione 7 G. GATTA “SULLA MINACCIA DELL’ESERCIZIO DI UN POTERE PUBBLICO”p.4 in riv. Dir.pen.contemporaneo
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di preminenza di cui gode il pubblico ufficiale. “Così inteso, l’assunto è completamente arbitrario
perché non c’è, di siffatto requisito, alcuna traccia nella fattispecie legale. Diverso è il discorso se
il metus publicae potestatis finisce col coincidere con lo stato di soggezione prodotto dalla
costrizione o dall’induzione: ma allora diventa un inutile e non richiesto doppione di altri elementi
della fattispecie8”.
2.4 Soggetto passivo
Il comportamento del soggetto pubblico appena descritto deve determinare “taluno a dare o
promettere indebitamente, a lui o ad un terzo”. Con questa espressione la legge definisce il
comportamento del soggetto concusso, indicato con il termine “taluno”: si tratta evidentemente
della persona fisica, considerata vittima della concussione, mentre il soggetto passivo in senso
proprio, e cioè titolare del bene giuridico protetto dalla norma, è la pubblica amministrazione.
Considerato che il delitto di concussione ha natura plurioffensiva, possiamo affermare con certezza
che soggetti passivi della condotta criminosa sono la pubblica amministrazione e nello stesso
tempo, il soggetto che dà o promette, sia esso persona fisica o giuridica. Tale reato arreca “da un
lato offesa all’interesse della pubblica amministrazione, per quanto concerne il suo prestigio
astratto e la correttezza e probità dei pubblici funzionari, dall’altro lato, produce ipso facto la
lesione della sfera privatistica del cittadino, per quanto attiene alla sua integrità del patrimonio ed
alla libertà del suo consenso. Il pregiudizio che subisce la pubblica amministrazione è inerente
intrinsecamente alle modalità di realizzazione dell’ingiusto profitto da parte del pubblico ufficiale,
il quale, attraverso l’agitazione che riesce a suscitare per effetto del metus publicae potestatis
nell’animo della vittima, vince la resistenza che il privato vorrebbe contrapporre alla richiesta
dell’indebito9”. La condotta del concusso consiste in una dazione o in una promessa, le quali
integrano l’evento conclusivo del reato. La dazione implica il passaggio di un bene dalla sfera di
disponibilità di un soggetto a quella di un altro soggetto e può assumere in concreto le forme più
disparate, mentre la promessa è la manifestazione di un impegno qualsiasi ad eseguire una
prestazione futura: può essere fatta in qualsiasi modo e non richiede la forma scritta, si esige che la
promessa debba essere “vestita di credibilità” nel senso che sia idonea ad incidere proprio sul piano
della effettiva realizzazione della fattispecie tipica. È necessario che la dazione o la promessa derivi
direttamente dalla condotta del pubblico ufficiale o dell’incaricato di pubblico servizio. In senso 8 G. FIANDACA E. MUSCO “Diritto penale: parte speciale” vol.1- 5°ed, Bologna, Zanichelli, 2012 p.215; cfr. ANTOLISEI, Manuale di diritto penale, cit. p.310 e ss.; in giurisprudenza nel senso della rilevanza del metus v.per tutti Cass. IV sez. 16 febb. 2004/ 6073 in Cass. Pen, 2005, p. 1246 e ss. per la quale “il metus publicae potestatis deve consistere non nella generica posizione di supremazia, sempre connaturata alla qualifica di pubblico ufficiale, bensì nel concreto abuso della propria qualità o funzione, abuso che abbia costretto o indotto il privato alla indebita promessa o dazione”.9 CRESPI, ZUCCALA’, FORTI, Commentario breve al codice penale, cit. p. 1307 e ss.; cfr. Cass. Sez. VI 1981/9803
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proprio, l’azione della vittima non è “causata” dalla condotta del pubblico ufficiale: infatti, il
rapporto di causalità non si presta a illustrare le interazioni tra le condotte umane coscienti e
volontarie di soggetti capaci di intendere e di volere. L’azione della vittima è “motivata” dalla
condotta del pubblico ufficiale, nel senso che essa affonda le sue radici motivazionali nella stessa
situazione creata dal pubblico ufficiale attraverso la prospettazione di un male alternativo. Grazie a
questo influsso sulla motivazione della vittima, la condotta del pubblico ufficiale deve essere dal
punto di vista logico una “condicio sine qua non” rispetto al dare o al promettere. In conclusione
sebbene non si abbia un rapporto di causalità , si deve escludere il delitto di concussione tutte le
volte che la condotta del pubblico funzionario non possa essere considerata una condicio sine qua
non rispetto alla dazione o alla promessa. “Così se in qualche caso particolare il privato fosse già
fermamente deciso a dare o a promettere, prima di subire la condotta di costrizione o induzione,
non bisognerebbe ravvisare nel fatto una concussione consumata, ma soltanto una concussione
tentata10”. Oggetto della dazione o della promessa è il “denaro od altra utilità”. La nozione di
“denaro” comprende le carte monete, le monete metalliche, italiane o straniere, i biglietti di Stato o
di banca aventi corso legale. Per quanto concerne “la nozione di “altra utilità” è necessario
operare alcune precisazioni. Il concetto di utilità possiede significati differenti a seconda del
contesto in cui esso è inserito, e quindi va ricostruito autonomamente in ogni reato in ogni reato.
Due sono gli indirizzi interpretativi formatisi sul concetto di altra utilità nella concussione: per il
primo, costituisce utilità ogni cosa che comporti un vantaggio per il patrimonio o per la persona11;
per il secondo deve trattarsi di qualcosa che produca un vantaggio in termini di interesse
giuridicamente valutabile12”. La prima soluzione sembra preferibile: la plurioffensività della
concussione è caratterizzata anche da un profilo lesivo della vittima della concussione, che non
possiede una connotazione meramente patrimoniale , venendo piuttosto in esclusivo risalto la sua
libertà di autodeterminazione. Le conseguenza sul piano applicativo sono però modeste ed
essenzialmente circoscritte alla qualificazione come utilità delle prestazioni sessuali; per il resto vi è
accordo nel ritenere tali gli sconti, le prestazioni di fideiussione, l’uso gratuito della casa, le
prestazioni d’opera etc. La dazione o la promessa deve essere altresì indebita, ossia non dovuta alla
p.a, né ex lege, né per consuetudine, né per altra disposizione. Di diverso avviso altri Autori
secondo i quali, quando sono presenti tutti gli elementi costitutivi del delitto, si configurerebbe
ugualmente la concussione sia che la prestazione fosse o non fosse dovuta alla p.a.; ciò in quanto il
termine indebitamente non concorrerebbe all’individuazione del fatto tipico, trattandosi di un
10 A. PAGLIARO M. PARODI GIUSINO, Principi di diritto penale, parte speciale, 1 delitti contro la pubblica amministrazione, X ed, 2008, Giuffrè, cit. p. 158 e ss. 11 ANTOLISEI, Manuale di diritto penale, cit. p.310 e ss.12 CONTENTO, La concussione, cit. p. 136 e ss.
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riferimento superfluo all’illiceità di una condotta già descritta in tutti i suoi elementi costitutivi. A
questa tesi si obietta che considerando “l’indebito” un aspetto superfluo dell’abuso, si rischia di
confondere due profili ben distinti all’interno della norma: l’abuso è un elemento della condotta
dell’agente, mentre il carattere indebito della dazione o della promessa è una caratteristica della
condotta del soggetto passivo. In quest’ottica la Cassazione13 ha affermato che “deve essere esclusa
la sussistenza del reato quando la prestazione promessa o effettuata del soggetto passivo, a seguito
della costrizione dell’agente, persegua esclusivamente i fini istituzionali dell’amministrazione e
giovi esclusivamente ad essa come nel caso in cui per consentire l’uso di un monumento storico per
lo svolgimento di un concerto si richiedano biglietti omaggio allo scopo di reperire fondi per il
restauro dell’edificio”. La prestazione indebita deve essere effettuata o promessa al pubblico
funzionario o ad un “terzo”. Terzo è ovviamente chiunque sia estraneo all’attività abusiva del
pubblico ufficiale.
2.5 Bene giuridico tutelato
Secondo la dottrina più tradizionale la concussione garantisce l’osservanza del dovere di probità,
fedeltà o correttezza del pubblico ufficiale. La dottrina moderna ravvisa viceversa il bene tutelato
nel regolare funzionamento della pubblica amministrazione, sotto il profilo del buon andamento e
dell’imparzialità ex art. 97 Cost. Il principio di imparzialità è leso perché il pubblico funzionario
anziché valutare e perseguire gli interessi pubblici senza farsi influenzare dai suoi interessi
personali, tiene una condotta che avvantaggia indebitamente se stesso o un terzo a danno della
persona concussa. La condotta del concussore, essendo poi caratterizzata dalla deviazione delle
regole che governano l’esercizio dei pubblici poteri per soddisfare un interesse privato del pubblico
ufficiale, lede poi il principio di buon andamento della p.a.
3. Il c.d. “spacchettamento” della concussione alla luce della L. 190/2012
Con il citato intervento normativo, L. 190/2012 (c.d. Legge Severino - “Disposizioni per la
prevenzione e la repressione della corruzione e dell’illegalità nella pubblica amministrazione“)
come noto, l’originario reato di concussione previsto dall’art. 317 c.p., veniva scisso in due distinte
fattispecie incriminatrici:
- la prima, che mantiene collocazione sistematica e rubrica della precedente figura, quindi nell’art.
317 c.p., realizzabile dal solo pubblico ufficiale che avesse “costretto” taluno a dare o promettere
indebitamente denaro o altra utilità;
13 Cass. Sez. IV 29 luglio 2003/319787
- la seconda, contemplata dal nuovo art. 319- quater c.p. e rubricata “induzione indebita a dare o
promettere utilità”, diretta a sanzionare il comportamento del pubblico ufficiale o dell’incaricato di
pubblico servizio che, ai medesimi fini, avessero posto in essere una condotta “induttiva” nei
confronti di un soggetto, anch’egli sanzionato (sebbene meno gravemente del pubblico agente)
qualora avesse ceduto alla pretesa indebita14. La scelta del legislatore del 2012 consiste: nel
mantenimento del delitto di concussione, ridotto da un punto di vista oggettivo alla sola modalità
commissiva della “costrizione” e ristretto, dal punto di vista del soggetto attivo, al solo pubblico
ufficiale (con esclusione, dunque, dell’incaricato di pubblico servizio); e nella previsione nell’art.
319-quater c.p. di un autonomo e inedito delitto di “induzione indebita a dare o promettere utilità”,
caratterizzato dalla modalità commissiva – appunto – dell’induzione, e con previsione della
punibilità, oltre che del soggetto attivo, anche del privato indotto, sia pure con un quadro edittale
assai più favorevole rispetto a quello previsto per il pubblico agente. Uno ‘spacchettamento’ della
previgente figura della concussione in due distinte, e confinanti figure: la prima nella quale si
conferma la punibilità del pubblico ufficiale, con la reclusione da sei (dai quattro che erano sotto la
vecchia disciplina) a dodici anni, e la non punibilità del privato “vittima della costrizione”; la
seconda con la reclusione da tre a otto anni per il pubblico agente, e da quindici giorni a tre anni per
il privato “semplicemente indotto”.
Volendo anche solo accennare ad un confronto strutturale tra l'art. 317 c.p., nel testo vigente ante
riforma, e l'art. 319 quater c.p., risulta con evidenza il diverso apprezzamento effettuato dal
legislatore con riferimento alla condotta del privato. Il reato di concussione per “induzione” era
infatti originariamente riconducibile alla categoria dei reati plurisoggettivi impropri - quelli cioè che
pur prevedendo il necessario concorso di più persone assoggettano a sanzione penale solo alcune di
esse - di conseguenza la condotta posta in essere dal privato, per esservi stato indotto, era
penalmente irrilevante, risultando egli persona offesa dal reato. Con il nuovo art. 319 quater c.p. la
posizione del privato transita, invece, dall'area dell'irrilevanza a quella della rilevanza penale,
assumendo lo stesso il ruolo di coautore nel delitto. Sebbene di primo impatto, non si possa non
rilevare, come il recente intervento legislativo, sembri essersi limitato ad un mero
“spacchettamento” dell'unitaria fattispecie delittuosa della concussione, come prevista dal vecchio
art. 317 c.p., le novità introdotte hanno sollevato, tanto in dottrina quanto in giurisprudenza,
evidenti interrogativi in punto di diritto intertemporale, le cui risposte, tutt'altro che ovvie, potevano
e possono notevolmente incidere sui numerosi processi ancora pendenti. Proprio di tali questioni
furono investite, nel 2013 con il caso “Maldera”15, le Sezioni Unite della Suprema Corte di 14 MARIO MORRA “Riflessioni sulla concussione alla luce della sentenza delle Sezioni unite” in Archivio Penale 2014, n.1 15 Cass. Pen. Sez.Unite, Sent., (ud. 24/10/2013) 14-03-2014, n. 12228
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Cassazione. Nel caso di specie, con ordinanza del 9 maggio 2013, la Sesta sezione penale,
assegnataria dei ricorsi dei ricorrenti, Ispettori di una Direzione Provinciale del Lavoro, ne ha
rimesso la decisione alle Sezioni Unite, per risolvere il delicato contrasto di giurisprudenza relativo
alla seguente questione di diritto: “quale sia, a seguito della legge 6 novembre 2012, n. 190, la
linea di demarcazione tra la fattispecie di concussione (prevista dal novellato art. 317 c.p.) e quella
di induzione indebita a dare o promettere utilità (prevista dall'art. 319-quater c.p. di nuova
introduzione), soprattutto con riferimento al rapporto tra la condotta di costrizione e quella di
induzione e alle connesse problematiche di successioni di leggi penali nel tempo16”.
3.1 Lo stato della giurisprudenza sulle modifiche apportate dalla L. 190 del 2012 in materia di
concussione prima dell’intervento delle Sezioni Unite ( n.12228/2013)
La Sezione rimettente rileva tre diversi orientamenti della giurisprudenza di legittimità
nell’individuazione degli elementi che differenziano la concussione per costrizione, prevista dal
nuovo art. 317 c.p., dalla induzione indebita a dare o promettere utilità, di cui all’introdotto art. 319-
quater c.p. :
- un primo orientamento, inaugurato dalla sentenza “Nardi17”, dopo aver rilevato che i due delitti
previsti dalle nuove norme citate sono l’effetto di una mera operazione di “sdoppiamento”
dell’unica figura di concussione disciplinata dal previgente art. 317 c.p., senza l’integrazione di
ulteriori elementi descrittivi, riproponeva il criterio, tradizionale nella giurisprudenza di legittimità
pre-riforma, utilizzato per distinguere le vecchie ipotesi di concussione per costrizione ovvero
induzione, ritenendoli ancora validi per individuare la linea di confine tra le due fattispecie: in
sostanza tale criterio è individuato nella intensità della pressione prevaricatrice: a modalità di
pressione molto intense e perentorie, tali da limitare gravemente la libertà di determinazione del
soggetto, corrisponderebbe la “costrizione” ex art. 317 c.p.; a forme più blande di persuasione,
suggestione, o pressione morale, che non condizionino gravemente la libertà di determinazione,
corrisponderebbe l’ “induzione” ex art. 319-quater c.p. (e la punibilità del privato si giustificherebbe
proprio in ragione del margine di libertà di non accedere alla richiesta indebita proveniente dal
pubblico agente, ovvero sia per non aver resistito alla richiesta medesima);
- un secondo orientamento, inaugurato dalla sentenza “Roscia18”, individuava la linea di
discrimine tra le due ipotesi delittuose nell’oggetto della prospettazione : danno ingiusto e contra
16 Ordinanza di rimessione dalla VI Sez. penale alle Sez. Unite del 9 maggio 2013/ n. 20430; cfr. p. 10 sent n.12228/201317 Sentenza Nardi VI sez. penale n. 8695 del 4.12.201218 Sentenza Roscia VI sez. penale n. 3251 del 03.12.2012
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ius nella concussione; danno legittimo (giusto) e secundum ius nell'induzione indebita. Sulla base di
tale ricostruzione compie il reato di cui all’art. 317 c.p. chi costringe e cioè chi, abusando della sua
qualità e dei suoi poteri, prospetta ad altri un danno ingiusto per ricevere indebitamente la promessa
di denaro od altra utilità. Di converso, compie il reato di cui all’art.’ 319 quater c.p. chi, per ricevere
indebitamente le stesse cose prospetta una qualsiasi conseguenza dannosa che non sia contraria alla
legge. La costrizione consegue ad una minaccia intesa come prospettazione di un male ingiusto;
nell’altro, non può parlarsi di minaccia, perché manca la costrizione, anche se il risultato è
comunque raggiunto, in quanto il soggetto privato è indotto alla promessa o alla consegna
dell’indebito. Si osservava a supporto di questa tesi, da un lato che è del tutto ragionevole la più
severa punizione dell'agente pubblico che (nella concussione) prospetta un danno ingiusto, e non
già, come nell'induzione indebita, una conseguenza sfavorevole derivante dall'applicazione della
legge (c.d. danno giusto); dall'altro lato, si rilevava come fosse parimenti ragionevole punire il
privato nella sola ipotesi (induzione indebita) in cui, aderendo alla pretesa dell'indebito avanzata
dall'agente, perseguisse un tornaconto personale (evitare un danno giusto);
- un terzo orientamento, inaugurato dalla sentenza “Melfi 19”, si collocava in una posizione
intermedia tra i primi due orientamenti: individuava il criterio discretivo nella “diversa intensità
della pressione psichica” esercitata sul privato, con la precisazione però che, per le situazioni
dubbie, si sarebbe dovuto far leva, in funzione complementare, sul criterio del “vantaggio indebito”
da questi perseguito. Il soggetto privato è certamente persona offesa del reato di concussione per
costrizione se il pubblico ufficiale lo abbia posto difronte all’alternativa “secca” di condividere la
richiesta indebita oppure di subire un pregiudizio oggettivamente ingiusto; non gli è lasciato alcun
margine apprezzabile di scelta, è solo vittima del reato perché, senza essere motivato da un interesse
al conseguimento di qualche vantaggio, si determina alla promessa o alla dazione esclusivamente
per scongiurare il pregiudizio minacciato. Al contrario, il privato è coautore del reato ed è punibile
nel caso in cui conserva un margine apprezzabile di autodeterminazione sia perché la pressione del
pubblico agente è più blanda, sia perché ha interesse a soddisfare la pretesa del pubblico funzionario
per ottenere un indebito beneficio, che finisce per orientare la sua decisione.
Ad avviso delle Sezioni Unite: “ciascuno di tali orientamenti evidenzia aspetti che sono certamente
condivisibili, ma non autosufficienti, se isolatamente considerati, a fornire un sicuro criterio
discretivo20”. In particolare, il criterio dell'intensità della pressione psichica, indicato dal primo
orientamento, “non coglie i reali profili contenutistici” delle condotte di costrizione e induzione e
affida la determinazione della linea di confine tra le due modalità della condotta “a un'indagine 19 Sentenza Melfi VI sez. penale n. 11794 del 11.02.201320
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psicologica dagli esiti improbabili, che possono condurre a una deriva di arbitrarietà”; il criterio
dell'ingiustizia o meno del danno prospettato, propugnato dal secondo orientamento, “ha il pregio
di individuare indici di valutazione oggettivi..[omissis]..ma incontra il limite della radicale nettezza
argomentativa che lo contraddistingue”. La combinazione dei primi due criteri, prospettata dal
terzo e ultimo orientamento, non fa d'altra parte venir meno gli anzidetti rilievi critici mossi ai
criteri stessi (singolarmente considerati), e in particolare a quello, indicato, come principale, della
intensità della pressione psichica. Di qui il tentativo, intrapreso dalle Sezioni Unite, di individuare
“parametri di valutazione, per quanto possibile, più nitidi”.
3.2 Le motivazioni delle Sezioni Unite della sentenza Maldera
Ciò posto, le Sezioni Unite ritengono necessario partire da un’analisi della regolamentazione
normativa del delitto di concussione succedutasi nel tempo, dal Codice Zanardelli del 1889 al
Codice Rocco del 1930, orientata alla individuazione del disvalore tipico dell’illecito di cui si
discute, che incidendo sul modo di intendere il rapporto tra autorità e cittadini, non poteva non
risentire delle dinamiche socio-culturali connesse al passaggio da uno Stato liberale ad uno
autoritario e quindi, ad uno democratico e repubblicano. Con particolare riguardo alla recente
riforma del 2012, la Suprema Corte individua le fondamentali ragioni che hanno spinto il legislatore
ad intervenire in tema di delitti contro la pubblica amministrazione: l’una di carattere interno,
avente connotati emergenziali e rappresentata dalla necessità di contrastare più efficacemente
l’esponenziale diffusione del fenomeno e di chiudere ogni possibile spazio di impunità del privato
che, non costretto ma semplicemente indotto da quanto prospettatogli dal pubblico funzionario
disonesto, effettui in favore di costui una indebita dazione o promessa di denaro o altra utilità;
l’altra ragione di carattere internazionale, imposta dalla esigenza di adeguamento della normativa
interna agli obblighi internazionali assunti dal nostro Paese con la Convenzione delle Nazioni Unite
sulla corruzione (“Convenzione di Merida” ratificata in Italia con L.116/2009), non meno rilevante
fu il rapporto di valutazione redatto dal Group of States against corruption (“GRECO”) nel quale si
osservava che l’allora vigente art. 317 c.p. “può portare a risultati irragionevoli, in quanto colui che
offre la tangente ha il diritto insindacabile di essere esentato dalla sanzione”.
“Il cuore della riforma viene dunque individuato nel cambio d'abito del privato “indotto alla
promessa o alla dazione indebita”: non più vittima, impunita, di un fatto concussivo, bensì
concorrente (necessario) nel nuovo reato di induzione indebita. E questo cambio d'abito è il frutto
della limitazione della concussione all'ipotesi costrittiva, che è coerente con la natura plurioffensiva
del reato di cui all'art. 317 c.p., posto a presidio, assieme, di beni istituzionali e individuali.
Viceversa, il privato non costretto ma indotto alla dazione indebita concorre nel delitto di cui all'art. 11
319-quater c.p. che - affermano le Sezioni Unite - ha natura monoffensiva: “presidia soltanto il
buon andamento e l'imparzialità della pubblica amministrazione e si pone, pertanto, in una
dimensione esclusivamente pubblicistica21”. Nell'ipotesi considerata dall'art. 319-quater c.p. il
privato non subisce dunque un'offesa a un bene di cui è titolare, concorre bensì nell'offesa al bene
pubblico, e proprio per questo ne risponde penalmente 22”. Fatta questa premessa, le S.U. si
soffermano sull’esame degli elementi comuni delle due fattispecie delittuose per poi dedicare ampio
spazio all’esame degli elementi differenziali.
La Corte rileva che “la condotta di costrizione e quella di induzione, richiamate rispettivamente
dall’art. 317 c.p. (come sostituito) e dall’art. 319- quater c.p., sono accomunate, oltre che da uno
stesso evento, dazione o promessa dell’indebito, da una medesima modalità di realizzazione:
l’abuso della qualità o dei poteri dell’agente pubblico23”. Viene innanzi tutto inquadrato il termine
“abuso” non come un presupposto del reato ma come “un elemento essenziale e qualificante della
condotta di costrizione o di induzione, nel senso che costituisce il mezzo imprescindibile per
ottenere la dazione o la promessa di denaro. D'altra parte, l'uso del gerundio – “abusando” -
conferma lo stretto nesso tra l'abuso e la condotta attraverso la quale esso si manifesta” 24. L'abuso
- sottolineando in particolare le SU - “è lo strumento attraverso il quale l'agente pubblico innesca il
processo causale che conduce all'evento terminale: il conseguimento dell'indebita dazione o
promessa”. La condotta tipica, nelle fattispecie in esame, non si esaurisce dunque, rispettivamente,
nella costrizione o nell'induzione: “abuso, da una parte, e costrizione o induzione, dall'altra
parte...sono condotte che si integrano e si fondono tra loro”. Fatta questa precisazione, le SU si
preoccupano di chiarire il significato del concetto di abuso di qualità/poteri che, conformemente alle
indicazioni della richiamata dottrina, viene definito come strumentalizzazione di poteri e qualità per
il perseguimento di fini illeciti; come deviazione dalla funzione tipica del diritto all'uso di poteri e
qualità.
3.2 Il discrimen tra le due fattispecie: elementi costitutivi e criteri distintivi forniti dalle Sezioni
Unite
Oltre ai soggetti attivi (la sola concussione è limitata al pubblico ufficiale), gli elementi differenziali
delle due fattispecie in esame sono rappresentati, per l'appunto, dalle condotte di “costrizione” e
“induzione”.
21 Cfr. sent. S.U. n. 12228/2013 cit. p. 2222 G. GATTA, Dalle Sezioni Unite il criterio per distinguere concussione e ‘induzione indebita’: minaccia di un danno ingiusto vs. prospettazione di un vantaggio indebito, in Dir. Pen. , 17/03/2014 23 Cfr. sent. S.U. n.12228/2013 cit. p. 2224 Cfr. sent. S.U. n.12228/2013 cit. p. 22
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- La “costrizione” indica una “etero-determinazione” dell’altrui volontà; infatti “costringere”
significa obbligare taluno a compiere/non compiere una certa azione, il che è realizzabile attraverso
violenza fisica (se il p.u. dispone di mezzi di contenzione/immobilizzazione dei quali abusa, si pensi
ad es. alle forze di polizia) o, più spesso, attraverso minaccia. E' proprio la minaccia, in particolare,
come mostra la prassi e l'effettiva fenomenologia del reato, la modalità (implicita ma nondimeno
tipica) della condotta di concussione con la quale si realizza l'evento di costrizione (l’ipotesi della
concussione realizzata con violenza è “di rara attuazione25”). A differenza della violenza, che
contiene già di per sé un male, l’essenza della minaccia, quale forma di violenza morale, risiede
nella prospettazione ad altri di un male futuro ed ingiusto, che è nel dominio dell’agente realizzare.
La minaccia è una “forma di sopraffazione prepotente, aggressiva e intollerabile socialmente”, che
incide sull'altrui “integrità psichica e libertà di autodeterminazione”. “La dottrina più recente, nel
lodevole tentativo di individuare una nozione unitaria di minaccia”, valida almeno tendenzialmente
all'interno dell'intero ordinamento giuridico (nel diritto penale come nel diritto civile, dove la
minaccia trova espressa definizione normativa nell'ambito dei vizi del consenso negoziale), ha tra
l'altro evidenziato come la prospettazione minacciosa abbia sempre per oggetto un male (art. 1435
c.c.) o un danno (così, espressamente, l'art. 612 c.p. “minaccia”) ingiusto, cioè un fatto “contra ius”
e lesivo di interessi della vittima. La minaccia presuppone sempre una vittima, messa “con le spalle
al muro” perché oggetto di un sopruso e costretta, appunto, ad agire, in assenza di una sostanziale
alternativa, non per conseguire un vantaggio, ma per evitare un danno. La minaccia, quale modalità
dell’abuso costrittivo di cui all’art.317 c.p. presuppone sempre un autore e una vittima, il che spiega
il ruolo di vittima che assume il concusso. La minaccia è modalità della condotta estranea
all’induzione indebita, e tipica invece della concussione; l’induzione indebita non è una forma
minore di concussione, proprio perché ad essa è estranea la minaccia quale mezzo di esecuzione del
reato. Non va dimenticato quel che ha ricordato Carrara nel suo Programma: l’origine latina del
termine “concussione” (lat. “concutere”) rappresenta l’idea dello scuotere un albero per farne
cadere i frutti. E questa idea del grande maestro toscano, pare che, evochi meglio di ogni altra
quella della concussione – e della minaccia che la realizza – come fatto aggressivo/prevaricatore,
che costringe il privato (l’albero scosso), contro la propria libera volontà, a dare o promettere
denaro o utilità (i frutti).26 In conclusione, si può affermare che il criterio discretivo tra il concetto di
costrizione e quello di induzione debba essere ricercato nella dicotomia minaccia-non minaccia, che
è l'altro lato della medaglia rispetto alla dicotomia costrizione-induzione, evincibile dal dato
normativo. Dove non vi è vittima (induzione indebita) non vi è minaccia, perché “mai”
25 Cfr. sent. S.U n.12228/2013 cit. p. 3026 G. GATTA, La minaccia. Contributo allo studio delle modalità della condotta penalmente rilevante, Rome, Aracne, 2013
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nell'ordinamento il destinatario di una minaccia, intesa in senso tecnico-giuridico, è considerato un
correo.
- “L’induzione” viene definita, in negativo, come effetto che non consegue a una minaccia.
Secondo le Sezioni Unite la nozione di “induzione” va determinata in connessione con l'abuso di
potere o qualità dell'agente pubblico e con l'elemento della punibilità del privato indotto alla
dazione o promessa indebita : “la punibilità del privato è il vero indice rivelatore del significato
dell'induzione”, che va intesa come “alterazione del processo volitivo altrui, che, pur condizionato
da un rapporto comunicativo non paritario, conserva, rispetto alla costrizione, più ampi margini
decisionali, che l'ordinamento impone di attivare per resistere alle indebite pressioni del pubblico
agente e per non concorrere con costui nella conseguente lesione di interessi27” facenti capo alla
p.a.. Le “modalità della condotta induttiva” che non devono essere evidentemente aggressive , non
possono che concretizzarsi nella persuasione, nella suggestione, nell'allusione, nel silenzio e,
perfino, nell'inganno (“sempre che quest'ultimo non verta sulla doverosità della dazione o della
promessa, del cui carattere indebito il privato resta perfettamente conscio; diversamente si
configurerebbe il reato di truffa”). Tali condotte rappresentano forme di condizionamento psichico
che, nel contesto della figura delittuosa di cui all'art. 319-quater c.p., sono funzionali a carpire una
complicità prospettando un vantaggio indebito: “è proprio il vantaggio indebito che, al pari della
minaccia tipizzante la concussione assurge al rango di “criterio di essenza” della fattispecie
induttiva, il che giustifica...la punibilità dell'indotto. Dall’indotto, non vittima di costrizione, è
esigibile il dovere di resistere alla pressione induttiva dell’intraneus…l’extraneus riceve una spinta
motivante di natura utilitaristica e, ponendosi nella prospettiva di conseguire un indebito
tornaconto personale, si determina coscientemente e volontariamente alla promessa o alla dazione
dell’indebito28”. Può affermarsi che “l'induzione non costringe ma convince”. La punibilità
dell’indotto si giustifica in relazione all’art. 27 Cost. proprio per il disvalore insito nella condotta
posta in essere, disvalore ravvisabile più che nella mancata resistenza all’abuso esercitato dal p.u.,
soprattutto nel fatto di avere approfittato di tale abuso con l’evidente finalità di conseguire un
vantaggio indebito (certat de lucro captando).
- La netta conclusione alla quale giungono le SU è dunque che “danno ingiusto” e “indebito
vantaggio” “sono elementi costitutivi impliciti29”, rispettivamente, delle fattispecie di cui agli artt.
317 e 319 quater c.p., i quali devono essere apprezzati con approccio oggettivistico, che deve però
27 F. VIGANO’ , I delitti di corruzione nell’ordinamento italiano: qualche considerazione sulle riforme già fatte, e su quel che resta da fare, cit. p. 11, in dir. Pen. Contemporaneo, Riv. Trim n. 3, 4/2014 28 Cfr. sent. S.U n.12228/2013 cit. p. 3829 Cfr. sent S. U n. 12228/2013 cit. p. 39
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coniugarsi con la valutazione della proiezione degli elementi nella sfera conoscitiva e volitiva delle
parti. Proprio la netta differenza tra la posizione del concusso, vittima del reato, e quella
dell’indotto, correo, impone l’indagine sulle spinte motivanti che hanno sorretto in particolare la
condotta di tali soggetti. È opportuno partire da tale condotta per stabilire la sussistenza e la natura
del condizionamento psichico subito e ricostruire il rapporto intersoggettivo tra i protagonisti. La
complessa motivazione della sentenza non si ferma però qui: va oltre, e riconosce che la soluzione
proposta è “certamente fruibile30” nei casi “facili”, in cui risulta evidente la presenza o l'assenza di
un effetto coartante o persuasivo del pubblico agente. Le SU considerano le difficoltà che si
presentano all'interprete “nei casi più ambigui, borderline31”, che si collocano al confine tra
concussione e induzione indebita. Costruita la regola si apre dunque la porta, con atteggiamento di
sano realismo, alle eccezioni. “Sono anzitutto i casi in cui si registra la compresenza di danno
ingiusto e vantaggio indebito; casi che secondo le S.U. devono essere risolti invitando il giudice,
sulla base di un'attenta ricostruzione in fatto, a cogliere “il dato di maggiore significatività32”: se
nella scelta di dare o promettere l'indebito ha cioè prevalso, nel privato, la prospettiva di ottenere un
vantaggio piuttosto che quella di evitare un danno33” . Ancora, sono casi “in cui il privato persegue
comunque un vantaggio che non gli spetta, versando tuttavia in una situazione di vera e propria
“coazione morale”, che giustifica per un verso l’inquadramento come concussione – e non mera
induzione – della condotta del pubblico agente, e per altro verso la soluzione della radicale non
punibilità del privato34”. Si pensi all’abuso di qualità, in cui il pubblico funzionario, ad esempio una
forza di polizia che, dopo avere consumato un pranzo con amici nel ristorante, facendo valere il suo
status, pretenda di non pagare il conto. L’abuso soggettivo può porre il privato o in una condizione
di totale soggezione determinata da possibili ritorsioni antigiuridiche, per evitare le quali finisce con
l’assecondare la richiesta; ovvero può indurre il privato a dare o promettere l’indebito per acquisire
la benevolenza del pubblico agente in vista di futuri favori. Si dovrà qui valutare, secondo le SU, se
il fatto si colora della sopraffazione(concussione) o della dialettica utilitaristica (induzione
indebita). Si pensi alle situazioni “miste” di minaccia-offerta o minaccia-promessa35. Può accadere
che il pubblico agente non si sia limitato a minacciare un danno ingiusto, ad esempio l’esclusione
illegittima ed arbitraria da una gara d’appalto, ma abbia promesso contestualmente al privato un
indebito vantaggio, l’aggiudicazione dell’appalto a scapito dei concorrenti. Minaccia ed offerta si
30 Cfr. sent. S.U n. 12228/2013 cit. p. 4031 Cfr. sent. S.U n. 12228/2013 cit. p. 4032 Cfr. sent. S.U n. 12228/2013 cit. p. 4033 G. GATTA, Dalle Sezioni Unite il criterio per distinguere concussione e ‘induzione indebita’: minaccia di un danno ingiusto vs. prospettazione di un vantaggio indebito, in Dir. Pen. Contemporaneo, 17/03/201434 F. VIGANO’, I delitti di corruzione nell’ordinamento italiano: qualche considerazione sulle riforme già fatte, e su quel che resta da fare, cit. p 18, in dir. Pen. Contemporaneo, Riv. Trim n. 3, 4/201435 Cfr. sent. S.U n. 12228/2013 cit. p. 41
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fondono tra loro. È necessario accertare se il vantaggio indebito abbia prevalso sull’aspetto
intimidatorio, ove ciò dia esito positivo, si configurerà l’illecito di cui al 319 quater, dato il comune
coinvolgimento dei protagonisti. Vi sono altresì casi nei quali è opportuno procedere attraverso il
bilanciamento tra i beni giuridici coinvolti nel conflitto decisionale36. Nel caso del primario di una
struttura pubblica, che allarmi il paziente circa l'urgenza di un intervento salvavita, e che pretenda
denaro per operarlo personalmente e con precedenza, è configurabile la concussione. E' vero che il
paziente, cedendo alla pretesa, ottiene un vantaggio indebito; questo però non guida il suo processo
volitivo, che è in realtà piegato dalla prospettiva di esporre a grave rischio la propria vita,
trattandosi di un proprio interesse di un rango particolarmente elevato.
- Le Sezioni Unite hanno deciso i casi sottoposti al loro giudizio con l'ordinanza di rimessione, che
per come sono contestati presentano la struttura “ambigua” della minaccia-promessa (o offerta). I
casi riguardavano richieste di denaro o altre utilità a commercianti o imprenditori, da parte di
ispettori del lavoro, per azzerare o porre nel nulla le contestazioni già effettuate in conformità alla
legge, con la prospettazione che in caso di mancato accoglimento delle richieste sarebbero state
applicate sanzioni per importi maggiori a quelli dovuti 37. Senonché le SU hanno rilevato in atti la
mancanza di prova circa la prospettazione di un male contra ius e, quindi, circa una condotta
costrittiva. Di qui la qualificazione dei fatti come induzioni indebite e l'annullamento con rinvio,
per la rideterminazione della pena ai sensi dell'art. 2, co. 4 c.p., delle condanne per concussione
(tentate o consumate) pronunciate nei precedenti giudizi di merito.
36 Cfr. sent. S.U n. 12228/2013 cit. pp. 42-4337 Cfr. sent. S. U n. 12228/2013 cit. p. 54
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