Post on 17-Aug-2020
U N A STORIA DEL M A T E R I A L E
Nell'arco cronologico che abbraccia l'undicesimo e i l dodicesimo secolo la storia dell ' impiego del legno come materiale per la decorazione a tu t to tondo sembra conoscere un radicale cambiamento, almeno sul piano della sua espansione. Precedentemente esso era «nascosto» dal rivestimento metallico e impreziosito dall'incastonamen-to delle pietre. Come si è già visto i l passaggio dalla funzione di «anima» a quella d i supporto docile alla policromia è momento di svolta che rende l ' impiego del materiale assolutamente diverso.
Ora, nella policromia squillante dei contrasti primari , in un accordo ancora una volta con i l metallo eventualmente presente accanto alla stoffa come materiale decorativo mobile rispetto alla scultura nuda, la scultura-reliquiario in legno cede i l passo, nelle cattedrali cittadine come nelle chiese conventuali «madri», alla decorazione i n pietra mentre una produzione in legno continua alla periferia dei grandi centri, con una durata che sembra costituire una sorta di storia «parallela», non ufficiale, rispetto alla produzione scultorea dei grandi centri d i potere. Parallelismo non vuol dire comunque indifferenza o mancanza di relazione fra i l circuito «maggiore» e quello «minore» che appunto dovrebbe essere costituito dalla produzione in legno.
Proprio agli esordi di una letteratura novecentesca sul tema lo stesso approccio alla materia, così diverso rispetto allo specialismo del lapicida, veniva indicato come caratteristica del mondo monastico in cui le statue venivano realizzate con un'opera di pazienza, invece che con l'abilità e l ' impegno anche tecnologico che lo spostamento e la messa in opera delle storie scolpite nella pietra o nel marmo comportavano. (Fogolari, 1903).
Le miniature che illustrano la «società» delle cattedrali intenta alla sgrossatura i n loco delle pietre che diventeranno i capitelli e i portali delle chiese testimoniano un lavoro di équipe, uno sforzo collettivo dell'intera città e una specializzazione delle maestranze che contrastano con i l più diretto e solitario lavoro attorno al tronco o alle parti di legno assemblate per dar vita all 'immagine della devozione. N e l pr imo caso uno sforzo collettivo, nel secondo i l rapporto individuale, che eventualmente può pregiudicare la qualità del manufatto, evidentemente non l'intenzione con cui è stato realizzato.
E questo carattere «umile» del materiale è anche luogo comune nella letteratura sull'argomento: se ne prendano due esempi, cronologicamente distanziati, ma significativamente affini : quello di Giorgio Vasari, all'esordio di un interrogativo sulla progressività dell'espressione plastica, dopo decadenze e rinascite, nel cuore nel Manierismo, e quello di Hegel, anch'esso collocato in una situazione svolta della cultura europea, con la fine dell'arte classica e l'affermarsi di un'arte romantica dalla fisionomia assolutamente diversa rispetto alle fasi precedenti, di liberazione dalla forma ancora costretta dalle necessità rappresentative dovute alla credenza religiosa e superato lo stesso concetto di «forma» bella a vantaggio di una espressività legata al sentimento e all'individualità.
Nella sua ricognizione d'esordio delle «Storie» dedicata ai materiali e alle tecniche di approccio per raggiungerne la perfezione espressiva, Vasari discute, significativamente al l 'ul t imo posto rispetto a altri materiali della scultura, i l legno, definendone le qualità espressive: «Chi vuole che le figure di legno si possino condurre a perfezzione, bisogna che e' ne faccia prima i l modello di cera o di terra come dicemmo. Questa spezie si è usata mol to nella cristiana religione, atteso che inf in i t i maestri hanno fatto m o l t i crocifìssi e diverse figure ancora. Ma invero, non si dà al legno quella carnosità e morbidezza che al metallo et al marmo et a le sculture che noi veggiamo, ciò è cose o di stucchi o di cera o di terra» (Vasari p. 56).
Anche se al materiale in oggetto viene accordata la stessa metodologia di approccio della materia maggiore, la pietra, i l passaggio cioè dal modello di dimensione r i dotte, in cui si sperimenta nella osservazione ravvicinata e coadiuvata dalla esperienza del tatto, alla dimensione monumentale, i l legno presenta delle deficitarie capacità a imitare quegli aspetti della figura umana, «la carnosità», che invece affascinano, nell'ordine di una consumata abilità tesa alla meraviglia, la sensibilità d i Vasari. Solo la «pietà» della religione cristiana, a cui fa significativamente riferimento Vasari, può colmare la distanza fra i l modello e la sua replica incapace di rappresentare g l i aspetti essenziali.
Ma i l nesso ideologico fra osservatore e soggetto rappresentato inaugurato da Vasari viene ampiamente ripreso da Hegel che trova nel legno i l materiale più antico,
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nella sua vicinanza con il mondo naturale facilmente frequentato dall 'uomo, per la rappresentazione del fenomeno religioso che viene titolato come "simbolico*' in opposizione all'arte classica, libera in quanto tale da vincoli rappresentativi. In un rapporto simbolico fra oggetto e soggetto, l'imperfezione e la limitata capacità di alludere alla realtà dell'espressione scultorea viene in qualche modo completata dalla devozione dell 'uomo, nella sua fase ingenua, infantile, come nella fase dominata dalla superstizione: quanto manca alla rappresentazione completa del soggetto viene neutralizzato dalla tensione dell 'uomo adorante, del credente a cui è sufficiente una traccia anche labile della realtà in cui crede perché possa avvenire comunicazione. Questo particolare atteggiamento da una parte rende all'arte religiosa una «stazionarietà» che coincide con l ' immagine «a temporale», diretta, cui si è fatto riferimento precedentemente; dall'altra sottolinea la «convenzionalità» dell 'immagine, la sua appartenenza a una cerimonia le cui coreografìe esorbitano dall'osservazione dell'oggetto i n quanto tale, della sua capacità replicativa e rappresentativa.
Ecco allora ai pr imordi dell'infanzia dell 'uomo la scelta del legno come materiale capace di «alludere», nella sua sostanziale incapacità illusionistica, alla presenza del m i stero nel contingente. «Fra i materiali d i diverso genere di cui g l i scultori si servivano per le statue degli dei, uno dei più antichi è i l legno. U n bastone, un palo sormontato da una testa costituì l'inizio...» (Hegel p. 863). I l bastone comando, la cui capacità assiale di congiungere cielo e terra, è tema caratteristico della società tribale e la sua trasformazione nello scettro della divinità cristiana o del monarca occidentale accentua una catena simbolica delle «figure» primordial i su cui è diffìcile costruire una teoria ma che in ogni caso rappresenta un «luogo» ineliminabile e ingombrante in un ragionamento sul simbolico, i l bastone appunto richiama per «figura» e per «materia» un universo naturale la cui interpretazione «simbolica» è alla radice della conoscenza del mondo dalla sua infanzia. È d'altra parte interpretazione cara alla sensibilità europea, nella continuità di una riflessione sulla storia umana di carattere organico, attribuire all'infanzia, e conseguentemente al pr imit ivo , una capacità fantastica nei confronti dei fenomeni naturali e dei suoi elementi che contrasta con l'artificialità e la razionalità del pensiero moderno. I l legno allora, già presente in natura nella figura essenziale dell'albero della vita, nella sua capacità di radicarsi alla terra e di svettare verso i l cielo, verso la spiritualità, diventa agli occhi di chi ha già in sintesi recensito la storia simbolica dell'Occidente, i l f rut to d i una indagine primit iva, essenziale: successivamente verranno la pietra e i l metallo, i n cui la quantità e la complessità delle operazioni che portano alla redazione definitiva del manufatto conoscono tempi e modi assolutamente distanti rispetto alla società dei raccoglitori e dei manipolatori , più attenti e rispettosi alle «figure» scopribili nel materiale che consci della razionale capacità di modificare la materia ai desideri e all ' ini
maginazione dell'ani male-uomo ormai emancipato, e quindi distante, dalla fase dell'istintività. La nostalgia del «primitivo» o meglio l'inclinazione verso esso, per usare una espressione di Giacomo Leopardi, mette in relazione una «infanzia» del genere umano e una «infanzia» del singolo soggetto, a cui nell'epoca della maturità si ritorna, in una sorta di rifugio capace di accogliere quanto di irrisolto, d i non compreso, quanto di aspettativa delusa può affermarsi nell'evoluzione del pensiero adulto. L'ingenuità, l'approssimazione, ma anche la vicinanza al naturale dell'espressione plastica che i l legno può produrre, diventano agli occhi d i Hegel, ma nel complesso possiamo alla sua accostare tanta sensibilità attuale nell'apprezzamento del pr imi t ivo , dell'arcaico, colpita dalla immediatezza, dalla semplicità e nello stesso tempo dalla profondità del sentimento espresso, i caratteri salienti dell'arte «simbolica», successivamente superati dall'artificialità autonoma dell'arte classica del cui declino i l filosofo sembra essere testimonio e interprete essenziale.
I n questa ricognizione del carattere «simbolico» del materiale legno, è opportuno riconoscerne la dipendenza con la sua forma naturale, con l'albero della vita si è detto, ma anche con quelli della profezia testamentaria, che ne recuperano completamente la funzionalità rispetto all'uomo. I l totem-scettro del comando o la strada-feticcio si trovano, appunto collegati dalla materia con cui vengono realizzati, in sintonia con una serie di artefatti d i natura estremamente ampia: i l materiale, sia pura modificato dalla necessità dell 'uomo - dalla forma-vincolo che è la forma eretta si passa al suo ridisegno funzionale - è comune allo strumento di lavoro nei campi come alla staccionata che perimetra i l luogo della proprietà, o al rivestimento laterale o allo stesso tetto dell'edifìcio. Ma ancora il medesimo legno è la fonte di energia e di calore fra i più frequenti: la sua vitalità, la sua essenzialità nella vita della società antica rende i l nostro ragionamento aperto a una complessità di andamenti «centrifughi» che sembrano scoraggiarne una indicazione sistematica. Al le soglie della selva, quella soglia della foresta che è a un tempo soglia della non civiltà, luogo della incertezza della vita mortale come di quella spirituale, e fonte di una nuova ricchezza in quanto terreno vergine, da dissodare e da restituire alle ingigantite esigenze del l 'uomo della riconquista della terra, risulta centrale un materiale, appunto i l legno, che sotto la forma dell'albero costituisce, nell'universo simbolico come in quello materiale, della sopravvivenza, un cardine insostituibile. I l mondo del raccoglitore lo venera, i l coltivatore ne seleziona la specie e I'innestatore inizia una artificializzazione della natura la cui storia è ancora i n corso: la visione profetica del paradiso ne prevede l'abbondanza, e la copiosità dei f r u t t i , con un r i tmo che cresce con l'avvicinarsi della predizione. I I giardino paradisiaco di Ezechiele si molt ipl ica nella visione dell'Apocalisse canonica; in quelle apocrife di Pietro e di Paolo la visione di una natura incommensurabilmente abbondante rispetto alla soddisfazione del necessario, trova la sua esplicitazio-
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ne più ampia: l'albero produce frut t i in una abbondanza c he solo una mentalità contadina, vicina alla osservazione realistica del fenomeno ciclico, può apprezzare nella sua enormità: ma l'albero-legno è anche segnale di una stagionalità, di una periodizzazione del tempo che se trova una sua logica nella successione breve delle stagioni, incontra i l paragone più arduo nel confronto con l'assolutezza e la defìnitorietà del giudizio u l t imo, appunto al termine di un percorso pure segmentato dal r i tmo del sistema nascita/morte/resurrezione. Del complesso simbolismo dell'albero risulta comunque essere uno degli esempi più intricati proprio quell'albero della croce la cui storia Jacopo da Varagine, nella sua Legenda aurea segue citando fonti differenti: dal ramoscello che l'angelo offre a Set per Adamo moribondo all'albero adulto che viene gettato dagli operai di Salomone perché inaccessibile a qualsiasi lavorazione, alla deferenza mostrata dalla Regina di Saba, al suo seppellimento nella piscina probatica e al finale util izzo come strumento di pena per Cristo.
Ma la croce-albero universale è tema troppo ampio perché se ne possa rendere conto i n questo contesto.
Per una mentalità «vicina» alla vita «naturale» del legno i riferimenti possono essere evidenti, come nel Pastore di cui si possono riferire due diverse interpretazioni del legno nella sua fase vitale. Nella «Allegoria seconda» Erma vede un olmo e una vite intrecciati. La spiegazione, costantemente richiesta per ogni apparizione che i l protagonista ha occasione di vedere, è esauriente: «Questa vite porta frutto, mentre l 'o lmo è un albero infrutt i fero. Ma se la vite non si arrampica sull 'olmo, non può produrre mol t i f rut t i e quei pochi che produce giacendo sul terreno sono infradiciti perché manca i l sostegno. Invece quando la vite sta avvinghiata all 'olmo porta f rut to per sé e per l 'olmo. Vedi dunque che anche questo u l t i m o porta frutto non meno della vite, anzi, forse più abbondante» (Cort i , 1966 p. 298). L'abbondanza dell 'uno e la deficienza dell'altro albero e la solidarietà che si instaura fra i due vegetali per la loro mutua sopravvivenza sono lett i come i l rapporto vicendevole fra ricco e povero, capaci d i integrarsi in una armonia spirituale conciliante rispetto alla realtà terrena e alle sue contraddizioni che sembra essere preoccupazione costante dell'autore. L' immaginario suscitato è quello di una familiare frequenza con la natura assoggettata al dominio dell 'uomo: i l paragone evidenziato dal testo della prima cristianità si affida a una conoscenza dell'albero erede di una tradizione appropriativa secolare che i l mondo dell'alto Medioevo sembra aver d i menticato. Ma anche la natura nella sua spontanea manifestazione costituisce un repertorio frequentato dal nostro autore; nell 'Allegoria successiva, significativamente, alla prima immagine della solidarietà fra la vite e l 'o lmo ne viene offerta una seconda, in cui gl i alberi, nella stagione invernale, presentano una medesima e indifferente facciata di squallore e di morte: «Mi mostrò m o l t i alberi pr i vi di foglie che mi parevano quasi secchi, ed erano tut t i eguali... I n questo mondo non si vede chi è giusto e chi è
peccatore: t u t t i sono uguali. Questo mondo è un inverno per i giusti : stanno insieme con i peccatori e non si manifestano. D' inverno, infatti , gl i alberi, perdute le foglie, sono tut t i s imil i , e non si può distinguere quali siano secchi e quali siano vegeti; così in questo mondo non si può vedere chi è giusto e chi è peccatore: sono t u t t i eguali» (cit. p. 3 0 0 ) .
Della sterminata letteratura simbolica sull'albero, come capacità di unire cielo e terra ma anche come collegamento spazio-temporale fra entità che la fede colleziona in quanto dipendenti l'una dall'altra che la logica comunque può anche separare per la distanza del tempo o la d i versità del luogo, non è questo l 'ambito per riproporre una sintesi, anche se nell 'immaginario iconografico del Medio Evo, dalla cornice e dagli stipiti delle cattedrali ai margini dei fogli miniat i , la ricorrenza della figura sembra assumere una continuità che ne rende centrale la memoria ogni volta che se ne affronti un aspetto, sia pure laterale, come i l materiale di cui è composto. I n questo senso la parentesi sul «legno naturale» non sembra assolutamente estranea all ' immaginario di cui stiamo trattando: anche i l legno con cui sono realizzate le sculture della devozione, se pure risponde a necessità d i natura funzionale, alla capacità del reperimento del materiale e alla necessità di una «immagine» adeguata al trasporto, abilitata alla manipolazione, si intreccia indissolubilmente con la sua orìgine naturale, con la sua organicità che l'occhio pr imi t ivo confronta, in una lettura unitaria del creato, con i l più generale ordine dell'universo. Che un suo frammento, appartenente all'ordine superiore del vivente e in stretto rapporto con altri manufatti che risultano essenziali alla sopravvivenza dell 'uomo, sia destinato all'erezione di un simulacro di salvezza, da venerare e da accrescere con la donazione delle proprie ricchezze e dell'atto cerimoniale della venerazione, costituisce un ulteriore, ineliminabile, anello della nostra storia.
Fra i fattori che si sono indicati come determinanti la scelta del legno come materiale adatto alla scultura a tut to tondo nella cappella del convento o della chiesa alle soglie della civiltà cittadina, si sono indicati quelli della vicinanza della materia alla dimensione ambientale dell'insediamento, ai l i m i t i della foresta che procura altre font i d i sostentamento, dall'architettura all'arredo interno degli stabili, quelli ancora di una simbolica catena che lega l'elemento naturale «vivo» come l'albero alla «rinascita» spirituale che si vuole testimoniare erigendo un segnale tangibile e fisico della salvezza, una presenza sensorialmente percepibile del mistero che ha trovato una sua forma altrettanto tangibile di manifestazione, la semplificata tecnologia del materiale, che può essere aggredito e soprattut to manipolato dal singolo monaco-artigiano e che quindi semplifica i l complesso di lavoro parcellizzato che caratterizza la grande fabbrica. Sono ulteriore elemento comprobante una scelta del materiale derivata dalla necessità liturgica, proprio le caratteristiche manipolabili, di trasporto nella cerimonia come nella semplice vestizione
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dell'arredo sacro coincidente con la festa: in questo modo la statua in legno, nella duttilità della sua costituzione organica, si apparenta in modo inevitabile con i l reliquiario o i l porta- messale, con l'arredo liturgico «minore» che, a differenza della statuaria in pietra, conosce la frequenza dell'uso in modo così ampio da rendere legittimo il successivo intervento, nell'ambito del restauro come in quello dell'adeguamento della figurazione al mutamento del gusto, dell 'immaginario. È certo che nello spinto medievale - ma i l rilievo deve essere esteso anche a ogni sorta di '•aggiornamento" nell'ordine della censura come in quello dell'ammodernamento, che l 'immagine sacra o l'oggetto d'uso liturgico conosce fino alla sensibilità filologica di una temperie più recente - non esiste attenzione archeologi*, a, o meglio etnologica, al mantenimento del documento originale come «segnale» di una mentalità storicamente definibile: da questo punto di vista la statua della devozione deve seguire, conoscendo mutilazioni, sostituzioni, interpretazioni eccentriche, la variabilità della sensibilità in quanto «segnale» di una sensibilità anch'essa i n continuo mutamento. La sovrapposizione di cromie differenti, la sostituzione anche arbitraria di parti mancanti con interpretazioni più consone al gusto delle varie epoche, sembrano essere comunque attività non troppo distanti da un lontano o un recente passato. I I restauro «creativo» che un intervento sui marmi classici (Rossi Pinelli 1986) «interpretati» a partire dalla sensibilità manierista ha chiaramente stigmatizzato ma che giunge a quello altrettanto impietoso della «imbiancatura» delle chiese romaniche dalle «incrostazioni» barocche effettuate dallo scientifico intervento delle Autorità del nuovo stato italiano, ha alla sua base, indipendentemente dalle ironie o dalle «distanze» critiche che si possono assumere una volta tramontata o modificata la moda o l ' immaginario che lo ha determinato, la volontà di rendere attuale, o vicino alla propria immagine dell'universo, un soggetto, sia esso quello sacro della Vergine o del Cristo o quello più laico dell 'uom o e del suo rapporto con lo spazio architettonico o d i pinto.
Il restauro integrativo, o anche stravolgente, che conoscono le sculture lignee medioevali risponde allora a una necessità, non tanto distante dalla sensibilità di ogni tempo, di adeguare un immaginario alla sensibilità visiva e simbolica che si evolve con il mutare delle coscienze e della propria immagine del mondo, e quindi della creazione delle fattezze del «modello».
La statua di pietra può conoscere nel corso del tempo una traumatica mutilazione: g l i atti che la distruggono appartengono alle azioni collettive violente in cui la d i struzione dell'icona coincide con una festa collettiva, con un r i to che osserva, nella cancellazione dell ' immagine, la sparizione dell 'ultima memoria del tiranno: la cancellazione o la trasformazione della figura in legno, anche per la sua più modesta pretesa ostensiva, all ' interno e non all'esterno dell'architettura, mobile come posizione, può conoscere una più immediata perdita, ma anche la longe
vità sofferta del reperto che, in quanto trasportabile e toccabile, può assorbire le aggressioni «estetiche» più oltraggiose senza particolari traumi.
E i l particolare rapporto fra la pietà e l'oggetto, fra la devozione e l'identità dell 'immagine cui ci si riferisce che motiva e legittima i l mutamento: i l carattere a-temporale del tema e i l desiderio di adeguarlo rende l'opera scolpita assolutamente subalterna rispetto al soggetto. La statua in legno è allora affine all'oggetto d'uso comune nella l i turgia, non staccato ma in continua evoluzione proprio a partire dalla sua qualità di essere manipolato e essere inseri to in una cerimonia collettiva che legittima, in quanto attualità, i l mutamento.
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