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9
testi di:
Francesca Bocca
Massim
o Cam
panini
Riccardo Fedriga
Francesca Forte
Ersilia Francesca
Mariateresa Fum
agalli Beonio B
rocchieri
Roberto Lim
onta
Giuseppina M
uzzarelli
Ida Zilio Grandi
Gennaro A
prea
Raffaele A
riano
Giovanni C
arosotti
Gianfranco P
asquino
note biografiche • p.154
9
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Francesca Bocca
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Salvatore Veca
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104 IL CASO MEDIOEVO
Ida Zilio Grandi
PO
VERTÀ
E IS
LAM
I nomi del povero
nel Corano e nella
letteratura islamica
fondativaI term
ini che dicono “po-vero” nel C
orano sono so-stanzialm
ente due: misk
n, da cui deriva l’italiano “m
e-schino”; e faq
r, da cui de-riva l’italiano “fachiro”.S
otto il profilo etimologico,
misk
n rimanda alla quiete
e al riposo. In questo sen-so, il povero è detto m
iskn
perché, non avendo di che m
antenersi, per acquietare il proprio cuore si affida al sostegno degli altri; m
iskn
viene dunque a significare chi è bisognoso degli altri per
sopravvivere. D
’altro canto,
misk
n può
inten-dersi com
e colui che, fidu-ciosam
ente, si acquieta nel sostegno dell’A
ltro per ec-cellenza, cioè D
io; cosic-ché può risultare infine un sinonim
o di “musulm
ano”.L’altro
termine
corani-co per “povero” è faq
r, il cui prim
o senso è “colui che ha le vertebre rotte a causa di una calam
ità so-praggiunta”,
e in
quanto tale necessita degli altri per sopravvivere. A
nche faqr
può avere
un significato
religioso: dice allora la ra-dicale condizione dell’uo-m
o di fronte a Dio, sem
pre e
comunque
bisognoso e fragile, m
entre Dio, per
converso, è “il Ricco” poi-
ché non
ha bisogno
di nulla. A
questo proposito, possiam
o citare la sura co-ranica “del C
reatore”:U
omini, voi avete bisogno
di Dio, m
entre Dio è il R
ic-co, colui che m
erita lode (C
orano 35,15; qui e in se-guito trad. Zilio-G
randi).
Un
altro esem
pio, dalla
sura “di Muham
mad”:
Siete invitati a fare dona-
zioni sul
sentiero di
Dio,
eppure tra voi c’è chi è avaro; m
a costui è avaro solo con se stesso. D
io è il ricco e voi siete i poveri [...] (C
orano 47,38).
Un’osservazione
in chia-
ve comparativa: il term
ine italiano
“povero” deriva,
notoriamente
dal latino
pauper (o pauperus); se-condo
un’etimologia
ac-creditata,
pauper porta
con sé l’idea di pochezza specie
nella produzione
e nel guadagno: si pensi a paucus, “poco”, e all’e-spressione
“pauca pa-
rans”, “colui che procaccia o prepara poco”; secondo un’altra etim
ologia diffusa, pauper deriverebbe da una duplicazione delle radici di paucus e parvus, e sareb-be dunque equivalente a “poco e piccolo”. P
er con-verso, entram
bi i nomi ara-
bi del povero, cioè misk
n
e faqr, accentuano non la
pochezza ma la necessità,
una necessità che presup-pone e anzi reclam
a l’aiuto degli altri. Il che ci rim
anda a un’idea fondam
entalmente diversa
della povertà: nell’universo latino o generalm
ente clas-sico, si tende a osservare la povertà sotto un profilo econom
icistico, visto che il povero è colui che non
produce, che ha un ruo-lo esiguo nella società e conta poco; così, povertà finisce per coincidere con esclusione. N
ell’universo arabo e isla-m
ico, invece,
come
del resto nell’universo biblico, la povertà è inquadrata fin dal principio in un conte-sto assistenziale: il pove-ro è parte integrante della com
unità, costantem
ente
1058 viaBorgog a3 | Oltre il pregiudizio: il caso medioevo
106 IL CASO MEDIOEVO
presente nella vita degli al-tri, in quanto deve essere sostenuto e protetto dalla sua
stessa povertà;
non vi è esclusione del povero, m
a integrazione.
Donare
ai poveri non è un’opzio-ne m
a un dovere, perché ad essi spetta il frutto della generosità dei credenti. S
ul carattere
coercitivo della
donazione ascoltiam
o la
sura delle Donne:
Dio non am
a chi è super-bo
e vanesio
né coloro
che sono
avari e
invita-no
gli uom
ini all’avarizia
e tengono nascosti i beni che
Egli ha
donato loro
[…]. D
io non ama neppure
quelli che donano dei loro beni per farsi vedere dalla gente senza credere in D
io e nell’ultim
o giorno, chi ha S
atana per compagno ha
un com
pagno pessim
o (C
orano 4,36-38).
Povertà e riservatezza
Proprio
perché la
pover-tà è vista in prim
a istanza com
e uno stato di bisogno che richiede assistenza, il “povero” nel C
orano non è soltanto chi ha bisogno di cibo, m
a anche l’orfano,
il viaggiatore,
lo schiavo,
il debitore,
e l’aspirante
combattente che non ha
mezzi
sufficienti per
pro-curarsi le arm
i e uscire in battaglia con gli altri. Tutti questi “poveri” ovvero “bi-sognosi” sono considerati dei protetti della com
unità. Il C
orano cita spesso delle triadi di “protetti”; si tratta per esem
pio del bisogno-so (m
iskn), del viaggiatore
(ibn al-sabl) e del parente
(dh l-qurb
), oppure del bisognoso
(misk
n), del
viaggiatore (ibn al-sabl) e
dell’orfano.M
a in
molti
altri casi,
i poveri
sono i
poveri nel
senso più comune di indi-
genti, come nella sura del
Raduno:
Il bottino
appartiene agli
emigrati poveri (fuqar
) che sono
stati scacciati
dalle loro case e dai loro beni, che cercano solo il favore che viene da D
io e il suo com
piacimento, e aiutano
Dio
e il
suo m
essagge-ro, ecco i sinceri (C
orano 59,8).
Un tipo particolare di po-
vero, sem
pre secondo
il
Corano,
è quello
di chi
non osa rivelare ad altri la propria
povertà per
non pesare su di loro, e così si dim
ostra il più merite-
vole della carità altrui. Un
lungo passo nella sura del-la Vacca insiste appunto sulla levatura m
orale della riservatezza da parte dei poveri, che non caricano gli altri del proprio stato di indigenza,
ma
anche da
parte di quanti compiono
l’elemosina, che non m
a-nifestano
pubblicamente
la loro carità e confidano solo
nell’onniscienza di-
vina. Ecco un passo im-
portante, dalla sura della Vacca:Ti chiederanno cosa devo-no dare in carità. R
ispondi: «Q
uel che donate del bene che possedete sia per i ge-nitori, i parenti, gli orfani, i poveri, i viandanti, e tutto il bene che farete D
io lo co-noscerà» (C
orano 2,215).
Ancora una citazione dalla
stessa sura:Le
elemosine
che farete
pubblicamente
sono una
cosa buona, ma nascon-
derle e darle ai poveri è
cosa migliore per voi, ser-
viranno a rimettervi parte
delle vostre colpe. Dio è
bene informato di quel che
fate […] e quel che done-
rete di bene sarà a vostro vantaggio,
ma
dovrete donare solo per desiderio del volto di D
io, e quel che di buono avrete donato vi sarà reso senza farvi alcun torto.
Donerete
ai poveri
(fuqar) che sono caduti in
miseria sul sentiero di D
io e non possono percorrere la terra per com
merciare.
L’ignorante li crede ricchi (aghniy
) per la loro riser-vatezza. La loro caratteri-stica, per cui li riconosce-rai, è che non chiedono la carità alla gente inopportu-nam
ente. Ciò che donere-
te di buono, Dio lo sa (C
o-rano 2,271-273).
Sulla povertà tanto più no-
bile quanto più dissimula-
ta, ecco una citazione dal-la Tradizione del P
rofeta:C
’era un convertito di Me-
dina - siamo quindi dopo
l’egira - al quale il Profeta
di Dio aveva affidato un
ospite che aveva. Quando
l’ospite, insiem
e all’uo-
mo, giunse nella casa di
quest’ultimo,
la m
oglie chiese:
- C
hi è
costui? L’uom
o le rispose: - È un ospite dell’Inviato di D
io. La donna esclam
ò: - Te lo giuro su C
olui che rivela il C
orano a Muham
mad, per
questa sera ci resta solo una pagnotta, che basterà a sfam
are o me, o te, o
l’ospite, o il nostro servo. Il m
arito le disse: - Tu dividila in parti, condiscila con del grasso, portala in tavola, e poi di’ al servo che spen-ga la lam
pada. [Al buio], la
moglie e il m
arito si misero
a fare rumore con la boc-
ca e così l’ospite pensò che
stessero m
angiando anche
loro. La
mattina
dopo […], l’Inviato di D
io chiese
in giro:
- D
ov’è l’uom
o che ha accolto il m
io ospite? Lo disse per tre volte. Finalm
ente l’uo-m
o, che fino ad allora era rim
asto in silenzio, disse: - S
ono io. Allora il P
rofe-ta gli riferì così: - L’angelo G
abriele mi ha raccontato
che quando hai chiesto al tuo servo di spegnere la luce, D
io Altissim
o ed Ec-celso, ha riso.
1078 viaBorgog a3 | Oltre il pregiudizio: il caso medioevo
108 IL CASO MEDIOEVO
Il sostegno ai poveri com
e obbligo individuale: l’elem
osina legaleS
empre secondo il C
ora-no, nutrire il povero è una caratteristica di “quelli del-la destra”, cioè coloro che sono destinati al paradiso. C
osì dichiara
una sura
molto
antica nella
storia della rivelazione, detta “del P
aese”. Vi
compare
una descrizione generale della creatura um
ana, e anche un’im
magine della dicoto-
mia tra opere buone e ope-
re cattive, esemplificata dal
tema dei due altopiani e
del pendio. Com
e vedre-m
o, tra le azioni dei buoni figura la prim
a delle opere della
misericordia
corpo-rale, cioè dar da m
angiare all’affam
ato: non gli abbiam
o dato due occhi e una lingua e due labbra,
non lo
abbiamo
guidato ai due altopiani? P
erò non si avventura sul pendio.
Chissà
il pendio
cos’è? È
affrancare uno
schiavo o
nutrire in
un giorno
di inedia
un pa-
rente orfano o un povero pieno di polvere. È stare
in Dio e nell’ultim
o giorno, negli angeli, nel libro e nei profeti,
di chi
dona dei
propri beni, per quanto li am
i, ai parenti, agli orfani, ai poveri, ai viandanti e ai m
endicanti e per il riscatto dei prigionieri, è quella di chi com
pie la preghiera e paga l’elem
osina (zakt) e
tiene fede al patto dopo averlo stipulato, di chi è paziente nei dolori, nelle avversità
e nei
mom
enti di tribolazione. Ecco quel-li che sono sinceri, ecco quelli che tem
ono Dio (C
o-rano 2,177).
L’obbligo della
zakt
ha lo
scopo di
consolidare la com
unità e mantenere
la coesione sociale, cosa di
pubblico interesse
e, quindi,
responsabilità di
tutti; l’imm
agine è quella di una com
unità coesa, fon-data sugli ideali di com
-passione
condivisione e
giustizia sociale.
Ma
la donazione rafforza innan-zitutto il singolo individuo, sia il beneficato sia il be-nefattore. S
econdo la les-sicologia m
edievale, l’eti-m
ologia di zakt rim
anda
alla purificazione; un altro significato di questa radi-ce è quello di aum
ento e ingrandim
ento com
e ri-
sultato della grazia di Dio.
In altri termini, disfarsi di
parte del proprio denaro per nutrire i poveri e i bi-sognosi è sentito, da un lato, com
e un modo per li-
berare la propria ricchezza dalle im
purità e dalle sco-rie, e dall’altro lato com
e un
modo
per propiziare
l’ulteriore aum
ento della
ricchezza stessa.Le raccolte più accreditate di detti e fatti del P
rofeta
(quel che si definisce Sun-
na) ricordano che, durante una predica, M
uhamm
ad ordinò di offrire per il pa-sto una m
isura di datteri oppure d’orzo a tutte le coppie seguenti: il picco-lo e il grande, il libero e lo schiavo,
il m
aschio e
la fem
mina; e spiegò che il
ricco tra loro avrebbe pu-rificato il proprio denaro, m
entre il povero tra loro avrebbe avuto indietro da D
io più di quel che aveva dato.
Un’idea
particolar-m
ente presente nel Cora-
no è che le ricchezze in-
dividuali devono circolare all’interno della com
unità dei
credenti ed
essere distribuite in un un’ottica di equità ed equivalenza. S
e la buona circolazione della ricchezza è garantita dall’elem
osina legale,
la cattiva circolazione è data invece dal prestito a inte-resse, cioè l’usura (rib
). C
ome afferm
a la sura “dei R
omani”:
Quel che prestate a usura
perché cresca
con l’ac-
crescersi dei
beni altrui
non crescerà affatto pres-so D
io, ma quel che date
tra i credenti, quelli che si raccom
andano a vicenda la
pazienza, che
si rac-
comandano a vicenda la
compassione, ecco quelli
della destra
[…]
(Corano
90,8-18).
Si è già detto sopra che,
nel pensiero
coranico, il
sostegno ai poveri non è un’opzione m
a un obbli-go. Tale obbligo si concre-tizza in m
odo tanto più co-gente nell’istituto giuridico dell’elem
osina legale o zakt, uno dei cinque doveri
capitali del musulm
ano, i cosiddetti
“pilastri dell’I-
slam”.
Secondo
l’istituto giuridico
dell’elemosina
legale, una data percen-tuale delle proprie ricchez-ze
va devoluta
a favore
dei poveri e dei bisogno-si
della com
unità. In
un passo
coranico celeber-
rimo, nella seconda sura,
il pagamento della zak
t è appunto tra le opere che definiscono e individuano il vero m
usulmano:
La vera pietà non è vol-gere il viso verso oriente o verso occidente, la vera pietà è quella di chi crede
1098 viaBorgog a3 | Oltre il pregiudizio: il caso medioevo
110 IL CASO MEDIOEVO
in elem
osina cercando
il volto di Dio, quello sì vi
sarà raddoppiato (Corano
30,39).
Oltre all’elem
osina legale o zak
t, il Corano riserva
ai poveri anche le libere donazioni
(adaq
t). U
n esem
pio:Il ricavato delle donazioni serve per i poveri e per chi ha bisogno, e per chi è incaricato di raccoglier-le, e per quelli dei quali abbiam
o am
mansito
il cuore, e serve per riscat-tare lo schiavo e il debito-re insolvente, e per la lotta sul sentiero di D
io e per il viandante. Q
uesto è un obbligo im
posto da Dio,
e Dio è sapiente e saggio
(Corano 9,60).
Così la sura della C
onver-sione. Il C
orano guarda ai poveri ovvero ai bisognosi anche per la destinazio-ne delle quote ereditarie. C
ome è detto nella sura
delle D
onne, “qualora
i parenti, gli orfani e i poveri siano presenti alla sparti-zione dell’eredità, ne da-rete loro una parte e direte
loro parole gentili” (Corano
4,8).
Ritorno e restituzione,
compensazione ed
espiazioneLa ricchezza che D
io ha garantito ad alcuni e non ad altri è intesa com
e un favore della divinità, e in-siem
e come un sovrappiù
ovvero un’aggiunta;
ag-giunta che, in quanto tale, chiede d’essere appiana-ta. In questo m
odo, la di-stribuzione della ricchezza equivale a una restituzione, poiché è dare indietro agli altri quel che a loro spetta di diritto; per dirla con la sura “delle S
cale”, i musul-
mani sono coloro che
sanno che nelle loro ric-chezze c’è una parte dovu-ta (ovvero “un diritto noto”, aqq
ma’l
m),
al m
endi-cante e al m
isero (Corano
70,24-5; cf. 51,19).
In effetti, una caratteristi-ca di quella che potrem
-m
o chiam
are “econom
ia islam
ica della povertà”, ha a che fare con il concetto di ritorno. Vale a dire che la
distribuzione della
ric-
chezza è sentita come una
restituzione della ricchezza stessa, e quindi com
e una ridistribuzione. S
ia o non sia già radicata nel pas-sato preislam
ico, è certo che quest’idea di un do-vuto ritorno della ricchezza com
pare anche nella lette-ratura fondativa dell’Islam
. S
econdo alcuni
racconti, M
uhamm
ad istruì gli esat-tori
della zak
t affinché
“prendessero le ricchezze degli abbienti e le restitu-issero ai poveri”; e afferm
ò che “D
io ha posto l’obbli-go
della donazione
[…],
che fosse preso ai ricchi tra loro e restituito ai pove-ri tra loro”. E non si tratta m
ai di successivo ritorno dal povero al ricco; vale a dire che il dono ricevuto è dono, e il ricco non dovrà chiedere com
pensazione.Tra gli autori m
oderni che hanno
ripreso con
forza quest’idea della redistribu-zione della ricchezza com
e ritorno
dovuto, va
citato alm
eno il riformista egizia-
no Sayyid Q
ub (m
. 1966). Il suo La giustizia sociale nell’Islam
(Cairo 1949, edi-
zione riveduta 1964) è la
prima opera di provenien-
za islamica a im
piegare la locuzione “giustizia socia-le” com
e risposta islamica
al socialismo di ricezione
occidentale. U
n altro termine utile per
comprendere il significato
del sostegno dovuto al po-vero, specialm
ente tramite
il dono di cibo, è quello di kaff
ra o “espiazione”, di cui trattano sia il C
orano (ad esem
pio 5,89 e 95) sia la letteratura successiva di tipo giuridico: kaff
ra non significa
compensazione,
tramite
re-distribuzione, della ricchezza posseduta, m
a com
pensazione delle
proprie colpe, ad esempio
la violazione delle pratiche connesse
al pellegrinag-
gio o
al digiuno
legale, oppure
il tradim
ento di
una prom
essa solenne,
o altre
forme
di peccati
gravi; tutte colpe sanabili attraverso l’aiuto prestato ai poveri e ai bisognosi. E poiché le varie form
e della carità si intendono prim
a di tutto com
e compensa-
zione della
generosità di
Dio, i virtuosi sono coloro
che sostengono gli altri per 1118 viaBorgog a3 | Oltre il pregiudizio: il caso medioevo
112 IL CASO MEDIOEVO
amore di D
io. Nella sura
detta “dell’Uom
o” si recita:[i virtuosi sono coloro che] nutrono il povero, il prigio-niero e l’orfano [e dicono]: “N
oi vi nutriamo per il volto
di Dio, non vogliam
o da voi
alcuna ricom
pensa e
nemm
eno gratitudine, noi tem
iamo un giorno oscuro
e minaccioso che viene dal
nostro signore”
(Corano
76,8-10).
Povertà m
ateriale e povertà spiritualeC
ome si è visto sopra, i
nomi arabi che traducono
l’italiano “povero”, cioè faq
r e misk
n, possono signi-ficare sia il povero in senso m
ateriale, indigente e bi-sognoso di aiuto da parte del prossim
o, sia il povero com
e uom
o in
generale, sem
pre radicalm
ente bi-
sognoso di aiuto da parte di D
io. In quest’ultima ac-
cezione è più esplicito un altro
termine,
sconosciu-to al C
orano e anche alla Tradizione del P
rofeta, ma
attestato nella
letteratura successiva. È darw
sh, di origine non araba m
a per-siana, da cui l’italiano “der-viscio”.Q
uando i
comm
entato-
ri persiani del Corano, e
specialmente quelli appar-
tenenti al movim
ento noto com
e “sufismo” iniziarono
a com
porre com
mentari
mistici del C
orano nei pri-m
i secoli dell’era islamica,
scelsero proprio
darwsh
per tradurre l’arabo faqr;
e questo loro impiego de-
cretò l’ingresso di darwsh
anche nel lessico dei mi-
stici di lingua araba, a si-gnificare
in particolare
il povero in senso spirituale; in breve tem
po, il termine
darwsh
venne im
piegato per indicare sic et sim
pli-citer il m
istico musulm
ano. Q
uesta povertà del mistico
non corrisponde, o almeno
non corrisponde necessa-riam
ente, alla povertà fisica com
unemente intesa; per
richiamare un’espressione
condivisa tra i mistici stes-
si, è “una morte dei desi-
deri del
mondo
a fronte
di un cuore vivo e vitale”. Vero è che questa povertà spirituale che è rinuncia al m
ondo può condurre alla povertà m
ateriale e perfino all’indigenza;
e a
questo riguardo i m
aestri sufi, e com
e loro anche i giuristi,
non concordano
sull’op-portunità
di includere
questi poveri tra i destinatari dell’elem
osina legale o zakt,
giacché la loro povertà è alla fine dei conti volontaria. N
on c’è accordo neppure sulla m
endicità che questa povertà può causare: alcu-ni m
aestri la consentono, la dichiarano lecita; altri la raccom
andano o la con-siderano
perfino neces-
saria per demolire l’am
or proprio in vista dell’am
ore onnicom
prensivo di
Dio;
altri ancora, che sono i più, la
aborriscono in
quanto sfoggio di povertà, o via che porta il m
istico ad umi-
liare se stesso di fronte ad altri che al S
ignore, non-ché ad appropriarsi inde-bitam
ente delle ricchezze altrui,
così nuocendo
al prossim
o. Il
divieto della
mendicità
è am
piamente
diffuso perché poggia su alcuni
versetti coranici
e su m
olti detti profetici. Tra questi ultim
i, il seguente:U
n uomo [...] andò a m
en-dicare dal P
rofeta, e il Pro-
feta gli domandò: - A
casa tua non c’è nulla? - S
ì - ri-spose l’uom
o, - c’è una
coperta, che un po’ indos-siam
o e un po’ usiamo da
giaciglio, e una coppa, che ci serve per bere. Il P
ro-feta gli disse: - P
ortamele
tutti e due. - L’uomo gliele
portò, il Profeta le prese in
mano e chiese alla gente: -
C’è qualcuno che le vuole
comperare? Io, - rispose
uno, – le prendo per una m
oneta d’argento. Il Pro-
feta chiese ancora: - C’è
qualcuno che
le com
pra per più di una m
oneta? Ri-
peté la domanda due o tre
volte finché un altro disse: - Li com
pro io per due. - Il P
rofeta prese le due mo-
nete d’argento e li diede al convertito di M
edina di-cendo: - C
on una moneta
compra
del cibo
e nutri
la tua famiglia, con l’altra
compra una testa d’ascia
e portala da me. - Q
uando l’uom
o gliela portò il Profe-
ta, con le sue stesse mani,
la legò stretta a un bastone e poi gli disse: - Va’ a far le-gna e vendila, e non torna-re prim
a di quindici giorni. - L’uom
o di Medina se ne
andò a far legna e a ven-derla, e quando tornò ave-va dieci m
onete. Il Profeta
1138 viaBorgog a3 | Oltre il pregiudizio: il caso medioevo
114 IL CASO MEDIOEVO
gli disse: - Per te, questo
è m
eglio che
presentarti nel G
iorno del Giudizio con
i segni della mendicità sul
viso”.
Per questi e altri presup-
posti scritturali,
i grandi
maestri del sufism
o hanno sem
pre messo in guardia
gli adepti contro la povertà autoinflitta, la quale, a loro
avviso riflette uno stato di m
iseria interiore, e dimo-
stra pochezza di intelletto e fragilità psicologica. C
omunque sia, il darw
sh non nutre alcun desiderio per il m
ondo di quaggiù ed è grato a D
io per la sua po-vertà, perché confida nella provvidenza divina; è indif-ferente alla ricchezza per-ché sa che essa lo rende-
rebbe schiavo, e si consi-dera superiore ai sovrani e ai ricchi visto che, al pari di D
io – il quale, si è già visto, è il R
icco in senso assoluto - non ha bisogno di nulla, eccetto che D
io. I maestri
sufi riportano
spesso, a
questo proposito, il detto di G
esù secondo il quale “è più facile per un cam
-m
ello passare
attraverso la cruna di un ago, che per un ricco entrare nel regno di D
io” (cf. Mt 19,24), e
affermano che il darw
sh entrerà in paradiso più fa-cilm
ente del ricco.
Un m
odello di povertà: Ibr
hm
ibn Adham
Ibrh
m
ibn A
dham
(m.
161 dell’egira / 777 o 778 d.C
.) è
un personaggio
storico. Tra i più importanti
mistici m
usulmani dell’VIII
secolo della
nostra era,
appartenne a
una fam
i-glia agiata del K
horasan; ancora giovane si spostò in S
iria, e di lì continuò a viaggiare per il resto del-la sua vita. C
ontrario alla m
endicità, lavorò per man-
tenersi, ad esempio m
aci-nando il m
ais o raccoglien-
do la frutta. Prese parte ad
alcune spedizioni
militari
contro Bisanzio, e nel cor-
so di una campagna per
mare m
orì. Di questa figura
storica si impadronì presto
la leggenda, che ne fece il re di B
alkh, una provincia dell’attuale A
fghanistan, il quale abdicò al trono, ri-nunciò a ogni ricchezza e si diede alla vita ascetica. C
osì, Ibrh
m ibn A
dham
divenne un
modello
per generazioni di sufi, special-m
ente quelli appartenenti alla confraternita che porta il suo nom
e, la Adham
iyya, m
a non solo questa. È ve-nerato
per la
generosità, le
azioni caritatevoli
nei confronti degli am
ici, e so-prattutto per vari episodi di abnegazione in contrasto con la vita lussuosa della propria giovinezza.M
olti aneddoti
insistono sulle cause e le m
odalità della conversione di Ibr
hm
ibn A
dham alla vita asce-
tica. S
econdo alcuni,
si convertì all’ascetism
o os-servando l’espressione di felicità sul volto di un m
en-dicante
seduto all’om
bra del suo palazzo; secondo
altri, ricevette una visita del profeta al-K
hir - il com
pa-gno di viaggio di M
osè se-condo il C
orano nella sura “della
Caverna”
(Corano
18,65-82) – che gi si mo-
strò nelle sembianze di un
povero, e lo mise in guar-
dia sulla natura transitoria del m
ondo terreno.M
a il racconto più famo-
so situa la conversione di Ibr
hm
ibn Adham
men-
tre era a caccia. Ecco il racconto,
narrato da
un suo fidato com
pagno, nel-la versione proposta dallo storico e tradizionista da-m
asceno M
uam
mad
al-D
hahab (m
. 673/1348):C
hiesi a
Ibrh
m
ibn A
dham: - C
om’è com
in-ciata la tua storia?R
ispose: - Cam
biamo di-
scorso.D
issi: - Su, raccontam
i, te lo chiedo nel nom
e di Dio
il Quale forse un giorno ci
aiuterà.R
ispose: - Mio padre era
un re
molto
abbiente, e
ci fece
amare
la caccia.
Montai in sella, un coniglio
o una volpe si mosse, io
spronai il mio cavallo e a
quel punto udii una voce 1158 viaBorgog a3 | Oltre il pregiudizio: il caso medioevo
116 IL CASO MEDIOEVO
dietro di me che diceva:
“Non sei stato creato per
questo, e
non è
questo quel che ti è stato ordina-to”. M
i fermai, guardai, non
vidi nessuno e maledissi il
demonio. S
pronai nuova-m
ente il mio cavallo e udii
una voce, più vicina di pri-m
a, che diceva “Ibrh
m!
Non sei stato creato per
questo, e
non è
questo quel che ti è stato ordina-to”.
Maledissi
il dem
onio e a quel punto udii una voce che proveniva dalla m
ia sella, e allora mi dissi:
“Sono stato avvisato, sono
stato avvisato,
l’amm
oni-tore è venuto a m
e e giuro su D
io che non disubbidirò m
ai più a partire da oggi, fintanto
che D
io m
i pro-
teggerà dal
male.
Tornai dalla m
ia famiglia, lasciai lì
il cavallo, poi mi recai dai
sudditi di mio padre, presi
da loro un vestito di iuta e gettai via i m
iei ricchi abiti. Q
uindi me ne andai in Iraq,
dove lavorai per un po’, m
a non trovai vantaggio in quella perm
anenza. Mi dis-
sero di andare in Siria.
A quel punto raccontò la
storia di quando faceva il
guardiano in un campo di
melograni.
Un servo gli aveva detto: -
Tu mangi i nostri frutti e non
sai nem
meno
distingue-re qual è m
aturo e qual è acerbo! Lui rispose: - G
iuro che non ne ho assaggiato nem
meno
uno! Il
servo, canzonandolo,
ribatté: -
Davvero? N
on sarai mica
Ibrh
m ibn A
dham?! E se
ne andò. Il giorno seguen-te – m
i raccontò ancora Ibr
hm
ibn
Adham
–
le m
ie fattezze vennero de-scritte in m
oschea e qual-cuno m
i riconobbe. Giunse
anche quel servo con della gente, perciò m
i nascosi dietro gli alberi, e m
entre la gente entrava in m
oschea m
i confusi
tra la
folla e
scappai.
Ecco un
altro racconto
sulla frugalità di questo pio personaggio, rappresenta-zione della povertà, nella relazione
del m
edesimo
compagno:
Una notte m
i trovavo con Ibr
hm
ibn Adham
e non avevam
o da
mangiare.
Lui disse: - Ibn Bashsh
r, quanto agio e quanta se-
renità ha donato Iddio ai poveri e ai bisognosi! N
el giorno
del giudizio
non chiederà loro conto dell’e-lem
osina legale, né del pel-legrinaggio, né delle libere donazioni, e nem
meno se
ha rispettato
i legam
i di
sangue! Non preoccuparti,
la provvidenza divina ti rag-giungerà, e, quant’è vero Iddio,
noi siam
o pieni
di ricchezze, i re, il benessere arriverà presto se D
io prov-vede a noi, e se ubbidiam
o a D
io non ci preoccupia-m
o della situazione in cui versiam
o, qualunque essa sia. P
oi andò a pregare e andai a pregare anch’io. A
quel punto arrivò un uom
o con otto pagnotte e m
olti datteri e m
i disse: - Mangia
tu, che sei angustiato. A
quel punto entrò un men-
dicante e lui gli diede tre pagnotte
con datteri;
ne diede tre anche a m
e, e lui ne m
angiò solo due.
Ancora sulla sua frugalità,
e sull’impegno lavorativo:
Si
racconta che
Ibrh
m
ibn Adham
raccolse in una notte tanti frutti quanti al-tri ne raccolgono in dieci
notti, e prese come salario
una sola moneta d’argen-
to.
Tra le sue massim
e, dalla stessa opera, la seguente contro la m
endicità:N
essun re è giusto, lui e il ladro sono uguali; nessun sapiente è tim
orato di Dio,
lui e il lupo sono uguali; e chiunque si um
ilia di fron-te ad altri che a D
io, lui e il cane sono uguali.
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