Post on 18-Feb-2019
l’insostenibilità del modello attuale
i “grandi consumatori” (un quinto della popolazione mondiale) che abitano nei paesi con maggiori livelli di reddito procapite, e, da soli, assorbono oltre 86% delle spese relative ai consumi; i “poveri” o gli “esclusi dal consumo” (un quinto della popolazione mondiale) che non raggiungono 1% delle spese relative ai consumi; infine, la classe media (tre quinti della popolazione mondiale) che ha accesso ai bisogni primari, ma rimane ancora nel “limbo del consumismo” avendo come punto di punto di riferimento gli stili di consumo dei “grandi consumatori”.
IL CORAGGIO DI OSARE: OBIETTIVO SPRECO ZERO | Andrea Segrè
https://www.youtube.com/watch?time_continue=11&v=WQz-3DnHtQo
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l’insostenibilità del modello attuale
• Secondo l’indice "footprint" di sostenibilità ecologica, una misurazione indipendente basata su statistiche delle Nazioni Unite, se ogni persona sulla faccia della Terra dovesse comportarsi come l’abitante medio delle nazioni ad alto reddito, ci sarebbe bisogno di altri 2,6 pianeti per soddisfare le necessità di noi tutti.
• James Hansen: Why I must speak out about climatechangehttp://www.ted.com/playlists/154/how_do_you_solve_a_problem_lik
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Crescita Popolazione
Mondiale
Nel periodo 1950 – 2050 (Agg.to Dic.2008)
Ian Goldin: Navigating our global futurehttp://www.ted.com/playlists/85/what_does_the_future_look_like
Conferenze internazionali
1972Conferenza delle Nazioni
Unite sull’ambiente
umano di Stoccolma:
nasce l’UNEP
1979Conferenza di
Ginevra
1980Conferenza di
Toronto
1994Conferenza del
Cairo
1992Conferenza delle Nazioni Unite
sull’ambiente e lo sviluppo, Rio de
Janeiro (UNCED)
1997Conferenza di Kyoto
2002Conferenza di Johannesburg:
Vertice mondiale sullo
sviluppo sostenibile (WSSD)
2015Conferenza di Parigi
1987Conferenza di
Tokyo
Conferenza di Tokyo
1987
1987
Conferenza di
Tokyo
In occasione della Conferenza
delle Nazioni Unite per
l’Ambiente e lo Sviluppo, viene
presentato il “Rapporto
Brundtland”, così chiamato dal
nome della presidentessa
norvegese della Commissione
appositamente istituita dalle
Nazioni Unite nel 1983
Rapporto Bruntland
Il concetto di sviluppo sostenibile nasce
nell’ambito delle Nazioni Unite, nel 1987, su
proposta di un gruppo di studiosi, la
“Commissione mondiale per l’ambiente e lo
sviluppo” presieduta dalla norvegese Gro
Harlem Bruntland e composta da 22 membri
di 21 paesi diversi.
Il Rapporto Bruntland “Our Common
Future”, afferma che il futuro di noi tutti
dipende da uno sviluppo sostenibile.
Concetto sviluppo sostenibile
Sviluppo sostenibileAttraverso modelli
economici più
efficienti nell’uso
delle risorse
Con una rinnovata attenzione
all’ambiente attraverso
comportamenti individuali e
collettivi più responsabili
Uno sviluppo che
tutela le persone e
le comunità
attraverso tempi
lavoro più adeguati,
ecc.
“L’umanità ha la possibilità di rendere
sostenibile lo sviluppo, facendo sì che
i bisogni dell’attuale generazione
vengano soddisfatti senza
compromettere le capacità di quelle
future di realizzare i propri bisogni”.
Conferenza di Rio de Janeiro
178 governi partecipano alla
Conferenza dell’ONU a Rio de
Janeiro su “ambiente e sviluppo”.
Scopo della conferenza è quello
di individuare i criteri più opportuni
per conciliare le esigenze dei
Paesi poveri e quelle dei Paesi
industrializzati. Dichiarazione di
intenti sulle foreste
(giuridicamente non
vincolan
te)
Convenzione sul
Clima
(giuridicamente
vincolante)
Convenzione sulla
Biodiversità
(giuridicamente
vincolante)
Dichiarazione di Rio
(27 principi relativi
all’integrazione
ambiente e
sviluppo)
Agenda 21
Conferenza di Kyoto 1997
A Kyoto è stato creato un protocollo con obiettivi
precisi e vincolanti, che impegna i Paesi
industrializzati e quelli in via di sviluppo a ridurre
complessivamente del 5% le principali emissioni
di gas capaci di alterare l'effetto serra naturale
del nostro pianeta
Il protocollo di Kyoto entrerà in vigore solo dopo
la ratifica di 55 Paesi: tra questi dovranno esserci
34 Paesi industrializzati con una percentuale che
rappresenti almeno il 55% delle emissioni di
anidride carbonica
2002: la conferenza di Johannesburg, una cultura della co-responsabilità
• Cina, Canada e Russia durante il summit di Johannesburg annunciano la loro intenzione di aderire al protocollo di Kyoto
• Durante la conferenza di Johannesburg gli Stati si rendono conto che una tutela dell’ambiente “imposta dall’alto” è impossibile: bisogna coinvolgere la popolazione.
• Lo sviluppo sostenibile non dipende solo dalla soluzione dei grandi problemi del pianeta, dipende anche dai comportamenti quotidiani dei cittadini. È necessario che tutti imparino a rispettare l’ambiente in cui vivono.
Definizione di sviluppo sostenibile per il WWF
Per ottenere uno sviluppo delle società umane che sia sostenibile è necessario che:
– l’intervento umano sia limitato entro le capacità di carico dei sistemi naturali conservandone la loro vitalità e la loro resilienza;
– il progresso tecnologico per la produzione di beni e servizi venga indirizzato all’incremento dell’efficienza piuttosto che all’incremento del flusso di energia e materie prime;
– i livelli di prelievo delle risorse non rinnovabili ecceda le loro capacità rigenerative;
– l’emissione di scarti e rifiuti (solidi, liquidi e gassosi) dovuti al metabolismo dei sistemi sociali non ecceda la capacità di assimilazione dei sistemi naturali.
Caratteristiche dello sviluppo sostenibile
Da questa definizione e dal dibattito internazionale conseguente sono emersi e sono stati riconosciuti i seguenti tratti caratteristici dello sviluppo sostenibile:
– la stretta interrelazione fra sviluppo economico, sociale ed ambientale e quindi approccio olistico allo sviluppo;
– la logica del lungo periodo;
– l’equità, estesa alla prospettiva intergenerazionale ed infragenerazionale, e la giustizia;
– l’efficienza nell’uso delle risorse;
– la sostenibilità ecologica, ovvero la conservazione dello stock di
risorse e la creazione di ricchezza senza danneggiare i sistemi a
sostegno della vita.
• La convergenza fra il processo di Rio e il seguito dato agli OSM è culminata nell'adozione, nel settembre 2015, di una nuova agenda internazionale: "Transforming our World: The 2030 Agenda for Sustainable Development" (Trasformare il nostro mondo: l'Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile).
• Le Nazioni Unite hanno adottato 17 obiettivi di sviluppo sostenibile (OSS) e 169 obiettivi associati, che coprono tutti gli aspetti dello sviluppo sostenibile, inclusi valori politici quali il buon governo, i diritti umani e la pace.
• Dato il loro carattere universale, gli OSS, che impongono obblighi a tutti i paesi in quasi tutti i settori, sono anche uno strumento per promuovere l'effettiva coerenza delle politiche di sviluppo sostenibile.
• Le sfide davanti a noi sono enormi. Sebbene dal 1992 siano stati compiuti progressi quanto all'integrazione di considerazioni di ordine ambientale nella concezione e pianificazione dello sviluppo, in molte regioni del pianeta il degrado ambientale si è ulteriormente aggravato.
Il rapporto OSM del 2015 indica che la deforestazione ha rallentato, ma che continua a minacciare le specie così come le fonti di sostentamento di milioni di persone.
Tra il 1990 e il 2012 le emissioni globali di biossido di carbonio sono aumentate di più del 50%. Sono stati realizzati progressi per quanto riguarda la protezione delle zone terrestri e costiere, ma è necessario intensificare gli sforzi per evitare un'ulteriore perdita di biodiversità.
Il continuo deterioramento sottolinea l'importanza di concludere, a Parigi, un accordo ambizioso e giuridicamente vincolante per mantenere il riscaldamento globale sotto la soglia dei 2°C.
Basandosi sul suo quadro per l'energia e il clima all'orizzonte 2030, l'Unione europea ha presentato nel marzo 2015 un obiettivo vincolante, un "contributo previsto stabilito a livello nazionale" (INDC), che prevede per il 2030 una riduzione delle emissioni di gas serra pari almeno al 40%, rispetto ai livelli del 1990.
Bioeconomia
La Bio-economia indica:
• nuove produzioni alimentari,
• nuovi stili di vita,
• modelli di consumo più consapevoli e attenti all’ambiente,
• politiche che favoriscano la crescita di industrie a basse emissioni di carbonio, efficienti sotto il profilo delle risorse e dei processi di bioconversione, quindi sostenibili e competitive
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Bioeconomia in europa
• La bioeconomia europea vale circa 2.000 miliardi di euro e impiega oltre 22 milioni di persone, circa il 9% dell’occupazione complessiva dell’EU; ne fanno parte l’agricoltura, la silvicoltura, la pesca, la produzione alimentare, la produzione di pasta di carta e carta, nonché l’industria chimica, biotecnologica ed energetica.
• Per ogni euro investito in ricerca e innovazione nella bioeconomia la ricaduta in valore aggiunto nei settori del comparto bioeconomico potrebbe essere pari a dieci euro entro il 2025.
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la strategia europea
Stra
tegi
aSfide sociali
• Garantire la sicurezza alimentare
• Gestire le risorse naturali in modo
sostenibile
• Ridurre la dipendenza da non
risorse rinnovabili
• Mitigazione e l'adattamento al clima
cambiare
• Creazione di posti di lavoro e il mantenimento
competitività europea
Sviluppo di una Bioeconomia
• una più investimenti in conoscenza,
innovazione e competenze
• una governance partecipativa ed un
dialogo informato con la società
• nuove infrastrutture
Pia
no
di a
zio
ne
Investimenti in ricerca, innovazione e competenze
Potenziamento delle interazioni politiche e del coinvolgimento degli stakeholder
Miglioramento della competitività nei settori della bioeconomia
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da consumatore distratto a cittadino responsabile
• http://www.sustainable-lifestyles.eu/publications/videos.html
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Ambiente
AlimentazioneAbitare
Salute
Paul Gilding: The Earth is full
http://www.ted.com/playlists/154/how_do_you_solve_a_problem_lik
La sensibilità verso una domanda ecologica
• Las Nielsen ha realizzato la Global Survey of Corporate Social Responsibility and Sustainability, condotta
intervistando 30.000 utenti internet in 60 Paesi, tra cui l’Italia, per analizzare il comportamento dei
consumatori nei confronti dei temi di responsabilità sociale dei produttori del largo consumo.
• Globalmente, nell’ultimo anno le vendite dei prodotti dei brand attivi nel rendersi responsabili socialmente ed
eticamente, sono cresciute di più del 4%*, rispetto alle altre che sono cresciute di meno dell’1%.
• Il 66% dei consumatori dichiara di essere disposto a pagare di più per un brand “responsabile”, con un trend in
crescita dal 55% del 2014 e dal 50% del 2013.
• Si notano differenze significative tra Nord America ed Europa, dove solo il 44% e 51% rispettivamente è
disposto a pagare di più per un brand responsabile, rispetto alle altre aree in cui i tassi di crescita o di
urbanizzazione sono molto più elevati, con un conseguente stress sull’ambiente e le persone: in Sud America
la percentuale sale al 71%, in Africa e Medio Oriente/Pakistan al 75%, per raggiungere il massimo tra i
consumatori di Asia Pacifico e Sud Est Asiatico (76% e 80% rispettivamente).
La sensibilità verso una domanda ecologica
• li italiani sono allineati con la media Europea, con il 52% dei consumatori che riconosce un prezzo maggiore ai
prodotti che offrono questo beneficio collettivo. Da rilevare che è un trend in continua crescita, partito da un
32% nel 2013, trend condiviso a livello europeo.
• In Italia, la freschezza e presenza di ingredienti naturali/biologici risulta essere l’elemento più importante per
un prodotto (61%), seguito dalla presenza di benefici salutistici (53%). Queste indicazioni trovano conferma
nella continua crescita del comparto biologico in Italia (866 milioni di Euro, +14% nell’ultimo anno), e di quegli
alimenti alleggeriti (senza glutine 101 milioni di Euro, +31%; meno grassi 25 milioni di Euro, +10%) o del
comparto dell’integrale (235M€ +11%). La fiducia nel brand si ferma al 53%, contro il 62% a livello globale
dove è il fattore numero uno.
• Gli aspetti legati alla protezione dell’ambiente risultano più importanti per gli italiani di quelli legati all’impatto
sociale. Il 41% ha acquistato il prodotto perché la società produttrice è nota per essere amica dell’ambiente e il
38% per la confezione a basso impatto ambientale. I valori sociali sono distanziati, con il 33% di scelta per
l’impegno sociale e il 31% per l’impatto diretto sulla propria comunità.
Il consumatore richiede sempre più prodotti buoni: buoni per
l’acquirente e buoni per la comunità e l’ambiente. Un trend in
continua crescita che rappresenta un’opportunità per i
produttori, sia in termini di maggior potenziale di fatturato
che per creare le basi per una crescita sostenibile dell’azienda
stessa..
Verso un consumo sostenibile
Alcune sfide dello sviluppo sostenibile
il cambiamento del
clima e i suoi effetti
negativi
lo spreco di risorse, di
rifiuti prodotti in
rapporto al PIL
la povertà: circa il 7%
della popolazione
europea vive in
condizioni di miseria
Il livello di
inquinamento dei
centri urbani