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Associazione Culturale "Giulianova sul Web" - C.F. 91040070673
Rivista Madonna dello Splendore n° 23 del 22 Aprile 2004
Spiaggia e "leggiadre fanciulle".
L’ «industria» del turismo balneare a Giulianova tra Otto e Novecento
di Sandro Galantini
Ecco, in riva all’Adriatico,
[…] un paese ricco e incantevole, destinato al più rigoglioso avvenire.
Ermindo Campana
Indubbiamente l’inglobamento degli Abruzzi nello stato
italiano unitario, cui consegue l’inserimento nelle
istituzioni e nell’economia di una grande nazione di
respiro europeo e il contatto con Roma, nuovo polo
urbano di riferimento rispetto a quello tradizionale di
Napoli, introduce modificazioni decisive anche
relativamente al fenomeno dell’uso del tempo libero,
sviluppando in maniera progressiva e sempre più decisa il
turismo di massa, inteso come viaggio di piacere dei ceti
medi[1]. Un ruolo affatto centrale viene individuato dalla
prevalente storiografia, relativamente al passaggio tutto sommato rivoluzionario dalla classica
tipologia del «viaggiatore» a quella - del tutto nuova - del «villeggiante»[2], e quindi ad una
concezione del viaggio effettuato per puro scopo ricreativo, alla realizzazione delle ferrovie.
Queste, oltre a spiegare un sicuro effetto tonificante sul piano economico e commerciale,
almeno per quelle località già dotate di potenzialità proiettive verso i mercati, influiscono
enormemente sulla valorizzazione e sul decollo turistico di molti centri, soprattutto litoranei
(che divengono così depositari di una «civiltà» balneare destinata a conoscere una grande
fortuna nel Novecento[3]) ma anche montani e termali. Il vistoso sviluppo in chiave turistica di
non poche località della costa occidentale, dall’emblematico caso di Sanremo[4] ai non meno
rappresentativi casi di Bordighera e Ospedaletti, è infatti da mettere in relazione causale con il
completamento del prolungamento della linea ferroviaria Parigi - Lione - Mediterraneo fino al
confine italiano, avvenuta nel 1864, e il raccordo, nel 1871, da Genova fino al confine
francese, ciò che permette all’ high-life francese ed inglese, tradizionalmente la più avvezza in
Europa alla pratica del viaggio, di raggiungere agevolmente e in tempi tutto sommato rapidi le
località liguri. E’ ancora la ferrovia a determinare lo sviluppo turistico, stavolta sul versante
adriatico, di Venezia (il cui collegamento con la terraferma mediante il ponte ferroviario
rimonta agli anni quaranta dell’Ottocento) e, più a sud, di Rimini e Senigallia, mentre,
relativamente alle località termali, tra i tanti può essere citato il caso rappresentato da
Porretta. Quanto alla ‘riconoscibilità’ di una vocazione turistica da parte dei centri montani e delle
località lacustri, ciò avviene - per rimanere ancora alla parte settentrionale della Penisola - in
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parte grazie all’apertura di linee paesaggisticamente rilevanti (come la Torino-Genova, a lungo
la più alta delle ferrovie costruite) le quali tra l’altro non poco contribuiscono ad un mutamento
di forma mentis e di abitudini, introducendo esse la concezione del viaggio ‘panoramico’,
svincolato da ogni coefficiente teleologico e perciò altamente gratificante: insomma un viaggio
fatto non più per raggiungere un luogo determinato ma che assume una sua autonoma e
propria valenza. Questa efficacia della ferrovia, sulla quale ci si è volutamente soffermati, va riconosciuta
soprattutto negli anni ottanta, quando cioè si mette mano alla rete delle ferrovie secondarie o
complementari dopo aver completato l’ossatura principale delle grandi linee[5], realizzate negli
anni immediatamente successivi all’Unità avendo riguardo a motivazioni di ordine politico-
militare e poi di bisogno economico generico[6]. Diviene allora possibile, grazie anche alle favorevoli congiunture costituite dalla guerra di
Crimea del 1854 e soprattutto dal contrasto franco-prussiano del 1871 oltre che
dall’unificazione doganale, monetaria e delle misure avvenuta nel 1861, coagulare nelle località
italiane i clienti delle stazioni climatiche del Mar Nero e di quelle termali dell’Europa centrale,
con non pochi tra questi hivernants che si spingono nel sud della Penisola, attratti dal
paesaggio e dalla cultura[7]: un flusso turistico forse non esorbitante ma certo di non poco
momento se una agenzia attivissima come la londinese Thomas Cook apre, sintomaticamente
nel 1860, sue succursali a Napoli e a Palermo attivando un circuito che mette in sequenza le
visite alla Solfatara, al Vesuvio, a Napoli, a Pompei, a Sorrento e a Capri, un tour nel quale -
come esattamente rileva Annunziata Berrino - città e natura, mare e cultura, orrido e classicità
si inseguono, si sovrappongono e stordiscono.[8] Gli Abruzzi, pur tra ritardi e trascuratezze, non rimangono esclusi da questo processo di
‘industrializzazione’ del turismo. Se il caso di più precoce riguarda la montagna, dove la
sezione romana del Club Alpino Italiano ha modo di dare buone prove del suo attivismo
organizzativo e sportivo, rendendo accessibili e familiari i luoghi appenninici della regione alla
nuova borghesia capitolina ancor prima dell’apertura della linea ferroviaria Rieti-Aquila
avvenuta nel 1883[9], quello più vistoso anche se maggiormente complesso concerne la costa,
dove, tra Otto e Novecento, si assiste alla ‘discesa’ dei centri collinari verso il mare dando
origine a ben quattordici dei diciassette insediamenti rivieraschi che conosciamo oggi. Se la rivoluzione insediativi costiera - scrive in proposito Luigi Piccioni - affonda le radici nel
difficile ripopolamento rurale iniziato nel Settecento, la sua esplosione avviene decisamente
con il passaggio della ferrovia, nel biennio 1863-64. La creazione delle stazioni favorisce lo
stabilimento di magazzini e altri edifici commerciali e di servizio ma anche di abitazioni favorite
dall'acqua potabile portata per uso della ferrovia e dal risanamento delle zone paludose.[10]
Tra i casi di trasformazioni urbane specialmente diffuse nell'Abruzzo adriatico tra la fine
dell’Ottocento e l’inizio del secolo successivo, sovente connotati dallo sviluppo in pianta
secondo uno schema a scacchiera che sottende una gerarchia di fruibilità[11], quello di
Giulianova presenta caratteristiche peculiari. Se è pur vero che le leggi di crescita comuni a
molti degli insediamenti litoranei spiegano efficacia anche sulla parte pianeggiante del territorio
giuliese, con buona parte dell’area prossima alla stazione coinvolta negli iniziali interventi di
modernizzazione presto allargatisi a tutto il territorio compreso tra la linea ferrata e la
spiaggia, cioè la Borgata Marina, è anche vero tuttavia che qui non si arriverà - a differenza
della vicina Rosburgo, poi Roseto degli Abruzzi - al ribaltamento delle gravitazioni e dell’intero
assetto territoriale. Infatti, anche a fronte della progressiva erosione della funzione egemonica
del capoluogo assiso in collina, tuttavia la Borgata Marina, che già al principio degli anni venti
del Novecento dispone di una struttura urbanisticamente riconoscibile e peraltro costituisce
l’epicentro dinamico trainante di gran parte delle attività economiche presenti nel territorio,
situazione che appalesa una ‘bipolarità’ o frantumazione dell’aggregato insediativo, tuttavia la
Borgata Marina, si diceva, è incapace di sottrarsi al rapporto strutturale con il centro originario. Che a questa situazione si giunga grazie alla congiunzione ferroviaria non è dubitabile,
così come non è temerario affermare che sia stata la linea ferrata a svolgere un ruolo
insostituibile ai fini del decollo turistico in chiave balneare dell’insediamento litoraneo[12]. Per vero già negli anni cinquanta dell’Ottocento abbiamo testimonianze di una vocazione
balneare in embrione di Giulianova, la cui spiaggia «malinconica vedova e silente», come
poetava Camillo Montori[13], pur si presta alla pratica dei bagni di mare da parte delle élite
locali e di alcuni benestanti teramani, quest’ultimi sovente ospitati - a «modicissimo» prezzo -
nel suo casale a Terravecchia, non lungi dalla battigia, da Angelo Antonio Cosmo de’
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Bartolomei, vero pioniere dell'accoglienza estiva balneare. E’ una illuminante delibera
decurionale del 23 luglio 1856, recante minuziose disposizioni per «conciliare, in occasione dei
bagni, il comodo e la decenza dovuta alla pubblica morale che segna il vero grado di
civilizzazione dei popoli»[14], a segnalare tuttavia i primi ma evidenti accenni di interesse per la
spiaggia e - ça va sans dire - una seppur cauta vocazione cittadina all’offerta balneare, pur
con tutti i limiti rappresentati da una pressoché deserta fascia costiera, raramente ombreggiata
da boschetti di pini e più diffusamente solcata da torrenti od occupata da perniciosi acquitrini,
sulla quale spesseggiano meste e insalubri «pinciaje», cioè i tuguri in argilla e paglia triturata
dei poveri pescatori. La speranzosa ed avveduta prospettiva coltivata da Gaetano Ciaffardoni, primo sindaco
giuliese dell’Unità, di fare della città, grazie alla ferrovia, un «delizioso e salubre stabilimento
[…] per gli annuali usi balneari»[15], diviene in parte realtà nell'estate del 1875, anno in cui
l’«intraprenditore» ascolano Vincenzo Cantalamessa, cui si deve anche la nascita della prima
tipografia locale, giovandosi dei consistenti sussidi all’uopo stanziati con evidente lungimiranza
dal sindaco Pasquale De Martiis il 3 ottobre di due anni prima e ribaditi nel 1874, costruisce lo
stabilimento balneare «Venere», in legno su palafitte, dotandolo di terrazza centrale e
spogliatoi laterali, avendo peraltro cura di attivare, per il «maggior comodo dei bagnanti», il
servizio omnibus tra la città alta e la spiaggia, grazie al sussidio di 150 lire elargito dal
Comune. La realizzazione dello stabilimento balneare, struttura turistica prestigiosa per
eccellenza, non solo segna a Giulianova la svolta tra una pratica dei ‘bagni di mare’ che
sottende non esclusivamente ma in prevalenza esigenze curative ed un’altra che in aggiunta a
preoccupazioni salutistiche prospetta nuove occasioni di incontro e di commistioni sociali,
economiche e culturali, ma pone anche i presupposti per la ‘terza via’ dello sviluppo economico
giuliese, dopo quelle dell’agricoltura, dell’attività commerciale e della pesca. La presenza, pur limitata a poco meno di due mesi l’anno, di una clientela costituita da
aristocratici, grande proprietà ed esponenti del ceto delle professioni di provenienza non
esclusivamente locale, contribuisce comunque ad avvicinare Giulianova al processo di
modernizzazione che coinvolge i luoghi di villeggiatura in questo periodo, con investimenti
pubblici e privati tesi a migliorare la viabilità, le condizioni igieniche, l’illuminazione e, più in
generale, a garantire lo sviluppo della ‘germinazione’ litoranea anche attraverso la presenza di
una chiesa, riferimento di valenza non solo spirituale ma anche aggregativa, richiesta al
vescovo Michele Milella nel 1874 da parte dei «fedeli che dimorano [nella Borgata] e di famiglie
che vi si portano a causa de’ bagni», e la cui realizzazione, come scriverà a sua volta il presule
al sindaco Pasquale De Martiis in una missiva del 21 gennaio 1875 impetrandone i buoni uffici,
avrebbe soddisfatto certamente l’esigenza spirituale dei ‘naturali’ come dei villeggianti ma
realisticamente anche «i materiali interessi per la preferenza che acquisterà la Spiaggia
suddetta sulle altre vicine, nella stagione de’ bagni marini»[16]. La luce a petrolio fa il suo esordio nella Borgata Marina nel 1882, qui trasferendosi sei
vecchi riverberi dalla principale arteria del capoluogo presto sostituiti con altrettanti, posti su
«colonnette in ferro fuso», acquistati ad Ancona; il servizio postale nel 1883 (ed è
rimarchevole che la collettoria postale, entrata in funzione il 1 giugno, esattamente nove mesi
dopo venga elevata alla 1a classe, abilitandola così all'accettazione delle raccomandate),
l’insegnamento elementare nel 1885, sebbene funzionasse già da qualche tempo una scuola
privata con una dozzina di alunni retta dall'anziano frate cappuccino p. Giuseppe da Civitella
Casanova. Rimarrà invece solo una illuminata intuizione non destinata a confrontarsi sul piano
della realizzazione la creazione di un albergo, cui aveva pensato il latifondista Serafino Trifoni
costruendo nel 1875 un palazzo prospiciente la strada adriatica, allora Provinciale,
strategicamente ubicato nei pressi della stazione. Ma l’esito più significativo di una precoce attenzione, a livello politico e amministrativo
locale, alla gestione del territorio finalizzata allo sviluppo del turismo è costituito senza dubbio
da una planimetria della seconda metà degli anni ottanta dell’Ottocento che, lasciando spazio
ad un incipiente privatismo, privilegia una impostazione appunto eminentemente turistica e
latamente commerciale della zona litoranea, con la previsione di strade rettilinee e di
considerevole ampiezza nonché di un viale «viscerale», equidistante dalla ferrovia e dall’arenile
del demanio marittimo, che, partendo dalla «traversa al mare», avrebbe collegato gli estremi
limiti della spiaggia e disimpegnato le laterali, così garantendo - secondo gli intendimenti di
questo che, giustamente, è stato definito un piano regolatore ante litteram - un razionale e se
vogliamo armonico sviluppo urbanistico.
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C’è da dire che la planimetria non senza significato viene concepita subito dopo
l’inaugurazione ufficiale della ferrovia Teramo-Giulianova, avvenuta il 15 luglio 1884[17], cui è
strettamente connessa, qualche mese prima, la decisione di mettere a dimora alberi
ornamentali d’alto fusto lungo la Provinciale adriatica e nel piazzale della stazione, ciò che
appalesa l’importanza attribuita al ‘verde’ in una località di soggiorno da parte degli attenti
organi decisionali dell’epoca[18]. Sarà proprio l’attivazione di quella ferrata, che finalmente allacciava Teramo «con il
mondo» e che nelle aspirazioni sarebbe dovuta proseguire per Roma, ad occasionare il
pregevole volumetto intitolato Note storiche ed aneddotiche pel viaggiatore sulla strada ferrata
Giulianova-Teramo, consegnato per la stampa alla tipografia dello Scalpelli e figlia - ed uscito
proprio in questo anno 1884 - dal trentottenne Francesco Savini, con tutta probabilità già
pensando alle possibili prospettive turistiche legate alla nuova linea[19]. Le Note del Savini,
infatti, si incuneavano in quel filone di letteratura di viaggio su ferrovia che aveva fatto il suo
debutto nel 1848 con l’uscita della sesquipedale Guida del viaggiatore sulle strade ferrate da
Firenze a Livorno e da Firenze a Prato scritta da Carlo Chirici[20]. L’ancor oggi godibilissimo libro
del Savini, esempio pionieristico negli Abruzzi di moderna guida turistica, appare un prodotto
confezionato appositamente per i turisti: la descrizione dei paesaggi e dei principali
monumenti, nonché degli eventi storici dei luoghi lungo la ferrovia mediante un linguaggio
alieno da ogni preziosismo ma non sprovvisto di rilievi colti e circostanziati, coglie l’obiettivo di
intrattenere piacevolmente il viaggiatore ma anche di stimolare in lui interesse e curiosità: una
impostazione che forse ha il suo modello nel toscano Gioacchino Losi, autore tra i più prolifici di
questo genere di guide turistiche ferroviarie compreso un gustoso Viaggio in strada ferrata da
Roma a Sulmona uscito cinque anni dopo le Note saviniane, il quale, sceso a Teramo come
direttore del Genio Civile, nel gennaio 1884 è tra le autorità coinvolte nella simbolica
operazione di battitura degli ultimi chiodi alle rotaie della Teramo-Giulianova. Tra l’altro il 1884 è anche l'anno in cui vede la luce un breve saggio di Gennaro Finamore
su L’Abruzzo come stazione climatica estiva[21], attraverso il quale l’autore ci rimanda
l’immagine di un litorale abruzzese dove, come scrive Luigi Piccioni, oltre che nella ristretta
fascia centrale di costa che va da Castellammare a San Vito, «si è preso a bagnarsi
“seriamente” solo al confine con le Marche, a Giulianova», località nella quale lo scrittore
registra il concorso di villeggianti «nella stagione de’ bagni» decantandone «la spiaggia gremita
di ville», la presenza delle quali è indice sintomatico di una consuetudine di ancient régime tra
le classi abbienti, resa moderna dalla scelta della località in cui organizzare il proprio ‘vivere in
villa’ e dall’acquisizione di peculiari modelli di consumo, sollecitati anche dall’emulazione delle
élite straniere. Qualche mese dopo la torrida estate del 1890[22], trascorsa dai villeggianti in una città
che rafforza il suo ruolo di naturale riferimento per il capoluogo di provincia («volere o volare,
[è] lo scalo naturale di Teramo», scrive il «Corriere Abruzzese»[23]), il 26 novembre il sindaco
Francesco Ciafardoni avrebbe annunciato che la pratica per l’acquisto di una striscia del
demanio marittimo, dell’estensione di un ettaro, destinata alla strada lungomare - secondo il
programma deciso l’anno precedente dalla Giunta - era in via di risoluzione, dopo le non poco
defatiganti trattative intercorse con un esoso Ministero della Marina, fermo nel non concedere
l'invocato ribasso rispetto alle dieci lire a metro quadrato richieste[24]. Ed è ancora il barone Ciafardoni, cui passione ed abilità organizzativa non difettano, a
realizzare nel 1896 nella settentrionale contrada «Fattinotte» l’Ippodromo della Torre[25]. Legato alle attività della Società Ippica Abruzzese, l’Ippodromo giuliese - capace di
accogliere nelle sue tribune a semicerchio di fronte al mare qualcosa come quattromila
spettatori - nasce intenzionalmente per dare il maggiore possibile sviluppo a questo genere di
sport ma anche per i buoni vantaggi in termini turistici che sarebbero stati apportati alla città:
una previsione confortata dai fatti considerando che per oltre un decennio, dal 1896 al
1910[26], la città adriatica sarebbe stata al centro dell'interesse sportivo non solo regionale, con
le scuderie di Savino Ferdinando di Napoli, di Pietro Rempini di Roma, di Giuseppe Sirotti di
Ravenna e del senigalliese barone Bianchi, per citarne solo alcune, a consolidare e sottolineare
la fama dell’impianto abruzzese, il cui nome aveva presto valicato l’ambito geografico
abruzzese con riunioni capaci di competere con quelle classiche di Milano, Firenze, Bologna,
Parma e di altre ben più grandi e note sedi. Qualche tempo dopo la nascita dell’ippodromo e a poca distanza da esso viene
ufficialmente inaugurato, il 21 agosto 1897, l’Ospizio Marino[27]. Realizzato grazie al
mecenatismo del senatore Vincenzo Irelli, che sin dal 1885 ne aveva chiesto la realizzazione al
presidente della Congregazione di Carità di Teramo Berardo Costantini, e dell’ingegnere
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giuliese Gaetano de’ Bartolomei, il quale aveva donato il terreno[28], l’impianto talassoterapico
giuliese – all’epoca il primo e fino al 1905 l’unico presente non solo negli Abruzzi ma addirittura
in tutta la fascia adriatica compresa tra Fano e Santa Maria di Leuca - è il prodotto di quel
vivace dibattito scientifico di primo Ottocento relativo al rafforzamento delle difese organiche
mediante la sostituzione o l’aggiunta alla polifarmacia sintomatica di agenti fisici ricavabili dal
mare, clima, aria, sole. L’utilità della talassoterapia nella cura di talune diffuse patologie aveva
avuto tra i sostenitori italiani Giuseppe Pianelli (che nel 1833, col Manuale dei bagni di mare
esalta la spiaggia di Viareggio), Augusto Guastalla (suo è lo Studio sull’acqua di mare uscito
nel 1842) e, soprattutto, Giuseppe Barellai, vero corifeo degli ospizi marini, la cui opera - sin
dal 1853 e per oltre un trentennio - fu decisiva nel trarre fuori dalle corsie degli ospedali
comuni i fanciulli malati di tubercolosi delle ossa, delle articolazioni, del tessuto linfatico e
portarli alla cura del sole e del clima marino. Al pari della cinquantina di analoghe strutture
balneoterapiche sorte, grazie ai contributi volontari di cittadini, tra Toscana, Emilia e Romagna,
l’Ospizio Marino abruzzese avrebbe apportato, mediante la pratica dei bagni di mare, un
efficace rimedio alla cura del rachitismo e della scrofolosi, una malattia di natura tubercolare
che nella regione - nel solo anno 1887 - aveva cagionato il decesso di 123 bambini, saliti a 127
nell’anno successivo. Le gare di tiro al piccione organizzate da Ventura Trifoni, le accademie con artisti più o
meno celebri organizzate presso la stabilimento «Venere» dagli aristocratici Alberto ed Andrea
Acquaviva d’Aragona (il cui ultimo nome ci sarà tra breve familiare), le corse ai cavalli
all’ippodromo che già conosciamo, i pezzi del repertorio romantico suonati dalla banda
cittadina sotto la direzione del M° Leone, la “cuccagna” in mare, la «gran serata di
beneficenza» nella villa di Emidio Cerulli sono i passatempi estivi dell’estate 1898[29], ormai a
ridosso di quel nuovo secolo che contribuirà non poco al processo di consolidamento della
vocazione al turismo balneare della città. Anche Giulianova, infatti, sin dal primissimo
Novecento viene coinvolta in quelle nuove pratiche turistiche promosse dall’utilizzo della
bicicletta e dell’automobile, moderni mezzi di locomozione che - sottolinea Annunziata Berrino
- hanno la capacità «di esaltare la taglia individuale e il carattere sportivo del nuovo modo di
fare turismo». D’altronde la cittadina del litorale teramano, che a giugno 1901 si dota grazie a
Giulio Federici di una Associazione Sport Ciclisti e Cacciatori “R. Pagliaccetti”[30], aveva
manifestato una più che precoce predisposizione al ciclismo con l’esordio nel gennaio del 1887
- quindi con quasi un decennio di anticipo rispetto alla nascita del Touring Club Ciclistico
Italiano[31] e caso assolutamente unico negli Abruzzi - de «Il Velocipede», organo mensile della
locale Agenzia velocipedistica inglese[32], esperienza straordinaria alle latitudini centro-
meridionali dietro la quale probabilmente occhieggiano la presenza dello sportman Costanzo
Trifoni, celebrato campione della corsa ciclistica Milano-Monaco di Baviera nel 1896[33], e di
quell’Andrea Acquaviva d’Aragona, eclettico rampollo di una casata di illustre lignaggio che,
instancabile promotore nell'ultimo ventennio dell’800 di gare ciclistiche nella sua Giulianova, a
Chieti ma anche altrove, nel primo Novecento non casualmente ritroviamo impegnato
nell’attività promozionale a scopo turistico della città nella veste di capo-console del neonato
Touring Club Italiano[34]. Che i mediocri tempi di metà Ottocento siano distanti lo confermano non solo l’ormai
consueta lunga teoria di carrozze alla volta della spiaggia, attrezzata con una «lunga fila di
casotti» ed un vasto padiglione voluti nel 1903 dal nuovo proprietario dello stabilimento
«Venere» Andrea Bucci[35], ma anche le dinamiche sottese al forte incremento demografico che
- come segnalano i dati del censimento del 1 febbraio 1901 - ha portato a 1169, rispetto ai
4493 del capoluogo, il numero degli abitanti della Borgata Marina, dove peraltro si registra un
consistente aumento degli esercizi commerciali con l’offerta di nuovi servizi alla clientela (come
i gelati di Giovanni Javazzo o il «pane di lusso», cioè bianco, che la ‘privativa’ di Alessandro
Paolini assicura ai bagnanti nel periodo estivo), nonché la tumultuosa e inarrestabile attività
costruttiva di nuove residenze balneari - alcune assai pregevoli, come il villino di Lorenzo Paris
progettato nel 1904 da Silvio Gambini[36], personalità emergente del modernismo italiano
operante prevalentemente in Lombardia a contatto con esponenti prestigiosi come il
Sommaruga ed il Basile[37] - tanto da attirare l’attenzione compiaciuta di Enrico Abate, autore
della monumentale Guida dell'Abruzzo uscita nel 1903[38] sulla quale – come è noto - si
modelleranno le successive guide del Touring Club Italiano. Mediocrità consegnata al passato grazie anche e soprattutto al protagonismo di Giulio
Federici, vero maître des cerimonies tutto etichetta e buone maniere, il quale - ben
comprendendo le potenzialità turistiche della città - lega il suo nome ad una concezione
moderna della ricezione alberghiera, impostata su criteri intelligentemente professionali,
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inaugurando l’8 febbraio 1903 su via XV Ottobre nella città alta, dopo i lavori di ampliamento
della struttura ricettiva consegnatagli nel 1888 dal padre Andrea, il nuovo Albergo-Ristorante
«Belvedere»[39]. Miscela armoniosamente combinata di non comuni capacità imprenditoriali e
pragmatismo, il Federici saprà soddisfare e in non pochi casi anticipare i desideri di una
clientela sempre più esigente dotando il suo albergo, a partire dall’agosto 1904, persino di un
teatro interno, l’«Eden», tenuto a battesimo dalla compagnia di Edoardo e Luigia Marchesini
con la rappresentazione del dramma Fedora interpretato da Agata Tamberlani[40], quindi
trasformato in un più ampio Garden Theatre e nuovamente inaugurato con le festanti musiche
del maestro Francesco Tancredi e della sua banda francavillese alla fine di luglio del 1906[41],
l’anno in cui, dopo aver perfezionato l’acquisto dell’immobile di Serafino Trifoni da trasformare
in succursale litoranea del «Belvedere», alla fine della stagione balneare - che aveva fatto
registrare un aumento considerevole di presenze, ben il triplo rispetto agli anni passati, con
folte e significative rappresentanze romane e marchigiane - partecipa, insieme con il
costruttore edile Giuseppe Mosca, l’imprenditore Serafino Morganti, il tipografo-editore
Francesco Pedicone e il ricevitore dei Dazi Adolfo Gnoli alla costituzione di una Società fra
esercenti per il miglioramento della spiaggia e per l’organizzazione della stagione balneare. Le
proposte, finalizzate all’incremento turistico e motivate da un latitante impegno
dell’amministrazione comunale, riguardano la costruzione di un locale da destinare a Club per
le riunioni serali (di molto diverso dal modesto club cittadino creato da Francesco Ciafardoni),
la realizzazione di una ampia serie di manifestazioni e di una farmacia, l’aumento delle corse in
tram tra la città collinare e la spiaggia, l’armonizzazione degli orari ferroviari, lo spostamento
verso nord dello stabilimento balneare «Venere» e la costruzione - recuperando un inattuato
piano regolatore dell’ingegner Giuseppe De Sanctis - di una «strada alberata di venti metri di
larghezza al lido del mare» con affidamento dei relativi lavori a Luigi Crocetti[42], quest’ultimo
messosi in luce negli anni precedenti per la efficace e personale azione spesa ai fini del
miglioramento di ampie zone della fascia di piano, con la dotazione di strade e piazze nella
parte settentrionale del lido, la messa a dimora di essenze arboree e la costruzione di decorosi
edifici. Occorrerà tuttavia attendere l’elezione a sindaco, il 29 ottobre 1907, di un trentottenne
colto di due lauree, amante delle buone letture e non sprovvisto di esperienze maturate anche
fuori dei confini nazionali, Giuseppe de’ Bartolomei[43], per veder realizzati - in un clima
fortemente innervato di decisionismo - molti dei progetti che permetteranno di tonificare la
vocazione balneare turistica di Giulianova. Sotto la guida di questo pragmatico homo novus che largheggia in iniziative pubbliche e
lascia spazio ad un incipiente privatismo, la città conosce un periodo di grande effervescenza:
si percepisce quasi ovunque il cambiamento che preme, un futuro alle porte fatto di modernità,
di conquiste. Più che nell’ancora tenacemente agricolo capoluogo collinare, dove pure nella primavera
del 1910 sono ormai a buon punto i lavori relativi alla nuova scuola «d’arti e mestieri» mentre
tra un anno si inizierà a costruire l’ospedale e dove il solito Giulio Federici ha in animo di
realizzare un grande teatro cittadino[44], la penetrante opera di modernizzazione voluta dal
sindaco de’ Bartolomei manifesta i suoi caratteri più decisi e le più significative realizzazioni
nella sottostante Borgata Marina. Qui, dopo aver deliberato, il 20 dicembre 1907, l’integrale
attuazione della pianta planimetrica concepita nell’ultimo ventennio dell’Ottocento[45], decide
nell’ottobre 1909 il recupero del piano De Santis caro alla cognita Società fra esercenti
affidandolo al geometra Emidio De Florentis per le opportune modifiche ai fini attuativi[46]. Un
anno dopo, quindi nel 1910, si preparano e definiscono le procedure che daranno vita al viale
al mare e all’altro cosiddetto «dei quotisti», che costituirà la direttrice dell'espansione abitativa
di una Borgata Marina cui proprio nell’estate 1910 il progresso arride con la straordinaria
novità - qui giunta con la canicola, avendo dunque di mira e pour cause le esigenze soprattutto
della «colonia dei bagnanti» - del cinematografo Edison, opportunamente installato in un locale
«ben areato» per volontà dei commercianti Attilio Buoni e Raffaele De Santis[47]. Non deve
stupire se, in questo periodo signoreggiato da un benefico intreccio tra attivismo pubblico ed
iniziativa privata, a fronte di deficitarie risorse economiche alcuni importanti obiettivi vengano
comunque conseguiti grazie alla generosità individuale o collettiva, facendo della città quel
summer resort - come la definisce nell’agosto 1910 un anonimo corrispondente de «Il Giornale
d’Italia» - in cui spesseggiano «belle case ammiccanti di tra il verde» e la cui spiaggia «ad ogni
stagione vede aumentare il numero delle ville sempre insufficienti alle richieste»[48]. E così, sul
fronte delle iniziative comunali, uno tra gli uomini di punta del sindaco de’ Bartolomei, il
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dovizioso proprietario ed assessore Igino Parere, superando il problema delle stremate finanze
comunali, nel marzo 1909 provvede, a sue spese, alla messa a dimora di 28 nuove piante
ombrellifere lungo la Provinciale adriatica e di una sessantina di pini sistemati secondo un
originale schema a ferro di cavallo di sua ideazione nel piazzale posto al termine della via
Marina, «prospiciente la località ove si erige lo stabilimento balneare»[49], forse il primo vero
spazio di ‘verde pubblico urbano’ della storia moderna di Giulianova. Quanto allo stabilimento balneare, questo, rilevato dal precedente gestore Sante
Cichetti quindi ristrutturato da una cordata imprenditoriale in cui figurano, oltre
all’immancabile Giulio Federici, Flaviano Flagnani e Andrea Bucci ed inaugurato solennemente,
con tanto di banda, il 17 luglio del 1910, viene dotato di due nuovi camerini (saliti così a venti)
all’estremità delle due ali fiancheggianti la piattaforma, anch’essa ampliata, e di una fila di
lampadine che, seguendo le linee principali della costruzione, ne rendeva la sagoma
particolarmente suggestiva durante la notte[50]. Il nuovo «Venere», unica struttura di
riferimento estivo, avrebbe assolto egregiamente al compito di surrogare il Kursaal ormai in
corso di ultimazione, offrendo alla gaia e spensierata «colonia» dei bagnanti simpatici
trattenimenti, serate musicali e persino conferenze dalle velleità latamente culturali o di
impegno addirittura politico, come la Festa intellettuale del 25 luglio del 1912 organizzata dal
colonnellese Primo Bruno Volpi, direttore della «Rivista Adriatica»[51], che avrebbe registrato la
presenza di Verildo Sorrentino, ideatore dell’Università popolare ambulante, dell’avvocato
atriano Tommaso Sorricchio, di Gabriellino d’Annunzio, ventiseienne figlio del Vate e della
duchessa Maria Hardouin di Gallese, e di Carlo Scarfoglio[52]. Per rimanere ancora all'iniziativa privata, va ricordato che alla fine di gennaio del 1911
si era provveduto, con la sistemazione dei locali del compianto Francesco Ciafardoni, a far
rinascere il Club cittadino, presidente l’avvocato Francesco Cerulli affiancato dall’avvocato
Attilio Re, dall’onnipresente Federici, dal ragionier Antonio Colantoni, da Alfonso Nespeca
e Gaetano Capone-Braga[53], mentre nel luglio successivo Pasquale Beccaceci aveva ampliato
e ristrutturato completamente il suo albergo prospiciente la Provinciale adriatica, dotandolo di
acqua potabile, di luce elettrica e, insomma, di tutto il confort, peraltro aggregandovi un nuovo
ristorante[54]. Due anni dopo, il 5 aprile 1913, Giulio Federici inaugurava il rinnovato e civettuolo
restaurant della stazione[55] cui avrebbe aggiunto, a partire dall’11 maggio, anche un caffè-
concerto. E’ sempre Federici a chiedere ed ottenere nel giugno di questo anno 1913 dalla
neghittosa amministrazione ferroviaria la collocazione all’uscita dell’edificio di un orinatoio,
mentre un anno dopo, quindi nel 1914, sarà invece l’amministrazione comunale - dopo
reiterate richieste avanzate sin dal 1909 - a fare in modo che la stazione venga finalmente
dotata di artistica pensilina in ferro poggiante su snelle colonnine, secondo parametri di buon
gusto, deliberando peraltro una somma ammontante a oltre 23mila lire per i lavori di
sistemazione delle strade della Borgata Marina[56]. Sempre in questo davvero effervescente anno 1913, viene pure finalmente inaugurato, il
25 agosto con una festa di beneficenza pro-ospedale, l’imponente edificio del Kursaal, ad un
piano e con originaria impostazione classicheggiante, sede del nuovo Club marino
«Nettuno»[57]. Progettato dal bravo ingegnere teramano Giuseppe Marcozzi e realizzato in un
triennio su un lotto di circa 2mila metri quadrati di superficie, il Kursaal - tra i primi edifici in
cemento armato realizzati in Italia - avrebbe dovuto competere per importanza e dimensioni
con le consimili strutture del litorale romagnolo e marchigiano[58], in particolare con il club
marino realizzato a fine Ottocento nella non distante S. Benedetto del Tronto, ma anche con
l’omonima struttura realizzata a Pescara nel 1910, l’anno - è bene rammentarlo - in cui
esordisce la guida regionale illustrata relativa agli Abruzzi redatta dal Touring Club in
collaborazione con le Ferrovie dello Stato, dove la regione - a differenza di quanto accaduto
nella precedente edizione dedicata alla Puglia - viene tratteggiata dall’articolo introduttivo di
Luigi Vittorio Bertarelli come uno straordinario contenitore di meraviglie ambientali e naturali e
il cui grande futuro turistico, come profetizza Bertarelli, non viene certo compromesso da
comunicazioni ancora carenti o da persistenti assenze di comfort, che in buona parte vengono
opportunamente celate, comunque ostacoli - tranquillizza ancora il prefatore - facilmente
sormontabili a differenza delle altre realtà meridionali. Insomma gli Abruzzi possono essere
riguardati come il laboratorio di eccellenza nel quale il Touring investe tutte le proprie energie per verificare e
dunque dimostrare come la pressione sull’opinione pubblica possa contribuire positivamente a
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un’opera di svelamento e di valorizzazione delle risorse naturali di una regione ai fini dello
sviluppo del turismo.[59]
Uno dei grandi problemi taciuti o ridimensionati da Bertarelli è costituito da una ancora
eccessivamente diffusa presenza, lungo le zone litoranee della regione, di ampie aree paludose
abbisognevoli di decisi interventi di risanamento, peraltro invocati sin dagli anni sessanta
dell’Ottocento, quando il rilevato della sede ferroviaria aveva acuito ancor di più - e in alcuni
casi reso drammatico - il problema dello smaltimento verso mare delle acque creando ristagni
d’acqua pericolosi per la salute pubblica[60]. Anche per Giulianova si imponeva, dopo alcune azioni di carattere igienico, sanitario e
sociale che - a partire dagli anni settanta-ottanta dell’Ottocento sino ai primi del Novecento -
avevano interessato alcune limitate estensioni del territorio con risultati tutto sommato
deludenti[61], un’opera di generale risanamento. Il vulcanico sindaco de’ Bartolomei, con apprezzabile anticipo rispetto al concetto di
bonifica turistica destinato a dominare nel periodo fascista, riuscirà ad ottenere nel febbraio
1915, dopo anni di pratiche rimaste a lungo inevase nei meandri della burocrazia e tra gli
infiniti intralci della politica, la classifica in 1a categoria da parte del Consiglio Superiore della
Sanità del tratto di pianura tra i fiumi Salinello e Tordino, circa 280 ettari di superficie in buona
parte ridotta dalla ferrovia e dai micidiali fossi colatori ad una distesa acquitrinosa quasi del
tutto signoreggiata, a danno dei 1300 abitanti, dalle zanzare malarigene[62]: un provvedimento
importantissimo, dunque, necessario per quell’intervento di bonifica integrale che, paralizzato
dalla Prima guerra mondiale destinata a spazzare via traumaticamente molte illusioni,
promesse, speranze e progetti, come avremo modo di vedere si attuerà solo nel Ventennio. Rimarginate faticosamente le piaghe e rimosso un periodo di stenti e rassegnati dolori,
la spiaggia torna dapprima timidamente, poi con maggior decisione, a rianimarsi. Pur tra i
problemi economici (il prezzo triplicato dei generi alimentari imponeva sacrifici non lievi), una
evidente arretratezza e le serie questioni sollevate dai reduci[63], già nel 1918 viene
organizzata - nonostante l’ epidemia di spagnola - la corsa automobilistica Teramo-Giulianova
e ritorno, in due tappe, con tassa di iscrizione di lire 5 per corsa. Il ritorno dei bagnanti – captati dal solito Kursaal, che riapre i battenti nel luglio 1921
su iniziativa dell’avvocato Francesco Cerulli, presidente del Club marino[64], ma non più
dall’albergo «Belvedere», affondato nel gennaio 1920 da sfavorevoli congiunture e forse basse
operazioni speculative[65] - spinge le autorità comunali a provvedere alla risagomatura della
strada di lungomare e ad affidare ad Alfonso De Albentiis, con delibera del 20 settembre
sempre del 1921, il progetto di ristrutturazione della rete viaria interna della Borgata Marina,
mentre torna a prendere vigore l’attività edilizia, soprattutto quella residenziale, grazie
all’impegno progettuale dello Studio Tecnico Edile Industriale degli ingegneri Alessandro De
Annibalis e Luigi Crocetti, ma anche di Ernesto Pelagalli, Bruno Ravaglioli, Costanzo Testoni e
Vincenzo Pultroni, una folta pattuglia di professionisti locali cui si aggiungono i nomi, ben più
noti, dell’architetto romano Achille Petrignani, del già menzionato Silvio Gambini e di Vincenzo
Pilotti, formatosi alla scuola di Adolfo De Carolis[66]. E’ questo il periodo in cui le slanciate torri
dei villini balneari così come le merlature, gli archi, i profondi loggiati, i motivi floreali e le
vetrate istoriate, segnalano la penetrazione del Liberty nella sua peculiare impostazione
abruzzese, un’architettura leggera e spensierata suggestionata sovente dalla personalità e
dalla poetica di d’Annunzio e dalla pittura di Michetti che trova proprio nella «marina» di
Giulianova (e, con qualche non trascurabile esempio, nella parte alta della città) il terreno
ferace per la sua libertà espressiva ed interpretativa, peraltro già fertilizzato da alcune
significative realizzazioni nel primo decennio del Novecento[67]. Il periodo che si distende tra il 1923 e il 1929 è emblematico dei problemi, di alcune
dichiarazioni d’intenti rimaste solo – al limite – buone prove di volontà ma anche di
importantissime realizzazioni che contribuiscono a disegnare una netta strutturazione del
sistema balneare di Giulianova, il cui stabilimento con il resto dell’arenile viene fissato in un
disegno che correderà la voce “spiaggia” nel Vocabolario della lingua italiana dello Zingarelli
nel 1922. Il nostro discorso principia con la delibera 4 luglio 1923[68], a mezzo della quale Alfredo
Angeloni, dal 16 marzo precedente Regio commissario straordinario a Giulianova[69], determina
di fare eseguire un piano regolatore di ampliamento per la frazione. Vero è che nel
sesquipedale preambolo si motiva tale scelta con la necessità di provvedere a vari problemi –
dalla irreperibilità, causa il «grave disordine» in cui versa l’archivio comunale, del precedente
piano regolatore alla regolarizzazione delle disinvolte ma utili operazioni poste in essere dal
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sindaco de’ Bartolomei, dal non più eludibile assetto definitivo da dare alla borgata alla
eliminazione di una sorta di anomìa che ha fatto moltiplicare, accanto a villini e fabbricati,
anche pozzi neri, stalle e depositi di immondizia. Premesso tutto ciò, rimane tuttavia il dato
fondamentale che la scelta di mettere mano al nuovo piano regolatore sembra far perno sul
«promettente sviluppo» della borgata, il cui «prepotente bisogno di espansione» fa
ragionevolmente ritenere al commissario Angeloni che sussistano «giusti e fondati motivi» per
una esistenza arrisa dal successo, grazie anche e soprattutto alle prospettive turistiche. Tanto vero che l’Angeloni si premura di assecondare questo inarrestabile moto, intanto
con l’approvare l’11 maggio lo stralcio ed aggiornamento, commissionato all’ingegner
Alessandro De Annibalis, del progetto De Albentiis che conosciamo, decisione seguita quattro
giorni dopo dalla deliberazione mercé la quale viene ripristinata – con un occhio più che vigile
nei confronti della «colonia dei bagnanti» - la fiera alla borgata (fissata inizialmente per
l’ultima Domenica di luglio, poi spostata alla data fissa del 22 di quel mese, sia perché «in
detto giorno ricorrono le feste della Madonna della Spiaggia, sia perché nella ultima Domenica
di luglio si tiene a S. Benedetto del Tronto altra festa e fiera e non conviene stabile [recte
stabilire] una concorrenza nell’interesse delle due popolazioni»[70]), per la cui organizzazione,
oltretutto, un comitato appositamente costituito chiede 250 lire, concesse il 7 luglio essendo
necessario, a detta dell’Angeloni, «incoraggiare l’incremento di detta Borgata», ed infine, il 25
agosto, determinando di affidare a «tecnici provetti» un progetto di massima per il
risanamento dell’abitato. Il commissario Ermanno Colucci, subentrato al collega Angeloni il 16 settembre, non
solo prosegue ma diremmo perfeziona addirittura l’attività intrapresa dal suo predecessore, per
un verso preoccupandosi di assecondare la rampollante iniziativa privata, per altro verso
predisponendo le coordinate di massima onde disciplinare l’espansione dell’abitato sotto il
profilo urbanistico. Così, sotto il primo dei due profili autorizza l’apertura di tre nuove
‘privative’, il 7 dicembre 1923 per quella che Giovanni Ricci ha chiesto di istituire in località
Ospizio Marino; il 13 successivo per la rivendita che Alessandro Orlandi intende ubicare pure
nella zona settentrionale della Marina, in quella contrada Salino che oramai conta 500 abitanti;
il 14 marzo 1924, infine, per lo spaccio del “Rione della Torre”, popolata da circa 800 residenti,
giusta richiesta avanzata da Florindo Buoni. Sotto il secondo, provvedendo ad iscrivere nel
bilancio preventivo del 1925 la somma di 15mila lire - e dando contestuale incarico al tecnico
comunale di redigere il relativo progetto - per i marciapiedi «con guide speciali» destinati alla
piazza Sabatini, alla via Nazionale Adriatica dalla chiesa a nord, alla casa Tempera a sud, alla
via dello Stabilimento, al viale lungo Mare, alle vie Viscerale, Spinozzi e Massei, tutte
realizzazioni postulate, a detta del commissario, dal palmare incremento demografico, dallo
sviluppo del traffico, dall’estetica e, naturalmente, dalla consistente affluenza dei villeggianti in
quella ch’egli definisce la «spiaggia ridente». Altre 3 mila lire vengono previste, sempre nel
bilancio 1925, tanto per l’alberatura ex novo della via dello Stabilimento e del viale lungo Mare,
quanto per il rinnovo delle piantagioni esistenti nella Piazza Lido e lungo l’ Adriatica, essendo
«meritevoli di speciali considerazioni […] i benefici effetti delle piantagioni, nei riflessi igienici,
estetici ed economici». In previsione della realizzazione di una nuova strada parallela alla ferrovia (l’attuale via
Gorizia) per facilitare le comunicazioni della marina, viene altresì deliberato l’acquisto di una
striscia di terreno di forma trapezia adiacente al viale principale dalla ferrovia al mare,
prossima al passaggio a livello. Nel marzo del 1925 viene anche approvato il nuovo
regolamento edilizio. Siamo dunque arrivati, dopo la serie delle pur meritevoli gestioni commissariali (non
immuni tuttavia da aspetti chiaroscurali[71]), ad Amato Alfonso Migliori, rampollo di una
famiglia locale che ha tratto la propria grande ricchezza dalla lavorazione del corallo e che
viene nominato sindaco – il primo della città nella nuova era fascista – il 1 giugno di questo
1925[72]. Il neo-sindaco, che ha in Vincenzo Bindi un suo utilissimo consigliere ‘occulto’, come
appalesa il suo programma amministrativo[73] certamente volge sguardi benevoli al capoluogo
assiso in collina, ma riserva una attenzione né pigra né distratta a quell’ormai ampia e
tumultante realtà di pianura che continua a infittirsi di case e di impianti industriali (alcuni
“scivolati” a valle per effetto della triplice sollecitazione spiegata da strada-ferrovia-porto) e
che ospita montanti flussi turistici. Due sue decisioni relative alla borgata prese nell’adunanza di giunta del 23 giugno
1925, la terza dal suo insediamento, confortano l’assunto[74].
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La prima riguarda la sistemazione dei marciapiedi dell’arteria commerciale della frazione
(quella che di qui a qualche anno perderà la originaria denominazione di via dello stabilimento
o Marina per assumere l’altra, meno generica e più aderente al mutato clima politico, di
Nazario Sauro), una «impellente necessità», ammette il Migliori, per la risoluzione della quale,
oltre a confermare la somma di 15mila lire già stanziata dal commissario Colucci, viene dato
formale incarico al tecnico comunale affinché «provveda con sollecitudine» alla compilazione
del progetto. La seconda riguarda invece il progetto di dotare di conveniente illuminazione alcune
zone che ne sono ancora prive ed altre che ne beneficiano ma in maniera insufficiente (viale
Adriatico e strade del rione Orsini-Massei e Porto, specificamente), anche qui con l’incarico
dato al tecnico comunale di acquistare il materiale occorrente e, in subordine, di utilizzare
quello di risulta dell’ormai obsoleto impianto di illuminazione a petrolio e «dell’altro che
eventualmente si trovasse nel magazzino del Comune». Anche per i lavori deliberati il 13 novembre 1925 e relativi alla sistemazione delle strade
della borgata[75], un reticolo viario ormai di «importanza nazionale, per il traffico incessante di
veicoli di qualsiasi specie» epperò mancante «di qualsiasi manutenzione», con strade nella
maggior parte dei casi prive addirittura di massicciata e non livellate, quindi del tutto
impraticabili nella stagione invernale, il sindaco opta per la loro esecuzione in economia,
addirittura prevedendo il ricorso, ovviamente sotto la supervisione del tecnico comunale, delle
prestazioni d’opera degli abitanti («ovviandosi così - ammette Migliori - anche alla
disoccupazione esistente nella classe operaia», evidentemente in questo periodo a livelli
preoccupanti), e opportunamente utilizzando la ferrovia Decauville messa a disposizione
gratuitamente dall’impresa Giraldi di Senigallia, già impegnata nei lavori portuali. Nemmeno un
mese dopo il sindaco Migliori – consapevole che, come si legge in una corrispondenza apparsa
su «Il Giornale d’Italia», la sua città «vive, oltre che di commercio, anche dell’industria del
forestiero»[76] - costituisce una società per la gestione ed il rilancio del glorioso albergo
«Belvedere», coinvolgendo, oltre a Giulio Federici (che ormai gestisce solo la struttura
omonima alla Spiaggia, attivata a partire dal 1916), gli avvocati Attilio Re e Francesco Cerulli,
un’operazione non coronata da successo, come fallimentare sarà anche la sua battaglia – pur
decisa – condotta per spostare verso la collina quell’ingombrante tracciato ferroviario[77] che
sin dall’Ottocento soffocava la Borgata Marina frangendo l’unità dell’abitato e impedendone
quindi un più dinamico sviluppo anche in chiave turistica, tralaticio problema già affrontato nel
1914[78], quindi nel 1919 e ancora, con esiti naturalmente deludenti, nel maggio 1924 dal
Commissario Prefettizio Ermanno Colucci[79]. Prove indubbiamente di buona volontà, queste del Migliori, ma a volta nulla di più.
Spesso, infatti, alle dichiarazioni di intenti non seguono i fatti, o tra il progetto e la sua
realizzazione v’è un discrimen tanto netto da rendere in alcuni casi questa un bolso surrogato
di quello. Ce lo dimostra una lunga corrispondenza spedita da Giulianova il 9 gennaio 1926 e
pubblicata il giorno successivo su «La Tribuna» - curiosamente proprio lo stesso giornale al
quale il Migliori collaborerà come corrispondente tra un paio di anni - che vale la pena riportare
almeno nei passaggi essenziali. Dopo aver premesso che innumeri sono stati gli sforzi delle
amministrazioni passate e del commissario prefettizio Colucci, l’anonimo estensore conclude
mestamente che
«lo stato di viabilità della […] spiaggia permane gravissimo. Il marciapiedi è tuttora
un mito ed in suo luogo fanno bella mostra i profondi fossi di scolo, ove, per difetto
di pendenza e di conveniente sistemazione, le acque piovane ristagnano e
marciscono, sviluppando miasmi ed esalazioni mefitiche; il viale interno, costruito
per soli 600 metri tra via dello Stabilimento e via dell’Ospizio, non è ancora
trafficabile da alcuna sorta di veicoli, stante la mancata costruzione dei ponticelli sui
fossi che l’attraversano e la mancata compressione e sagomatura della massicciata;
del viale al mare sono stati costruiti soli 600 metri a nord del Kursaal; ma quivi
mancano ancora i marciapiedi e le piantagioni ornamentali, per altro assolutamente
imposti dalla caratteristica villeggiatura estiva a cui sono, per lo più, affidate le
risorse maggiori della spiaggia».[80] Una lunga sequela, dunque, di problemi irrisolti e promesse non mantenute, che
gravano con tutto il loro peso - e col non remoto rischio di malaria e di epidemie tifose, come
avverte l’anonimo estensore dell’articolo - sui residenti, vecchi e nuovi (atteso che, infatti, ogni
anno qui «sorgono, alla periferia, nuovi aggruppamenti di diecine di case»), spesso addirittura
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impossibilitati, nella stagione invernale, a raggiungere le rispettive abitazioni, assediate -
immaginiamo - dal fango e dall’acqua. Eppure, questo quadro urbano complessivamente non edificante, certo non palliato
dall’apertura, sempre nella borgata e con evidente riguardo – è infatti primavera – alle
esigenze turistiche, di un’agenzia dell’Istituto Nazionale di propaganda radiofonica di Roma[81],
eppure tale non edificante quadro, si diceva, non impedisce nel novembre 1926 a Sergio
Cesareo - ganimede già conquistato dal registro aulico sfruttato ampiamente in quegli anni da
scrittori e giornalisti - di scrivere sulle pagine della rivista «Terra Vergine» che Giulianova è
«tutta un sorriso, occhieggiante la immensa distesa marina con aria civettuola di fanciulla
leggiadra»[82]. Espressioni non dissimili rintracciamo l’anno seguente sfogliando le pagine della
monografia scritta da Vincenzo Bindi su Giulianova ed uscita ad aprile[83] per la prestigiosa casa
editrice meneghina Sonzogno come fascicolo 161 – significativamente il secondo dedicato ad
una città abruzzese dopo Chieti – della fortunata serie «Le cento città d’Italia illustrate»,
davvero una raffinata e scaltra operazione di valorizzazione turistica più che culturale di quella
sua città per la quale l’intellettuale giuliese adotta, con evidente tentativo di stabilire un sottile
legame paesaggistico e culturale con Napoli, il lemma “Posillipo d’Abruzzo”, riciclando la
stessa definizione che il Finamore con larghissimo anticipo aveva dato a Francavilla nella sua
opera del 1884, quella che già conosciamo sull’Abruzzo come stazione climatica estiva.
«Giulianova – esordisce orgoglioso il Bindi - è oggi una delle più belle, graziose
e ridenti città della Regione Abruzzese, e la sua spiaggia, tra le più incantevoli e
salubri della riviera Adriatica. […] Quivi sorgono, tra verdeggianti e fioriti
giardini, ville e casini di elegante costruzione; quivi un Kursaal decoroso e
gradito convegno della più eletta società balneare; quivi alberghi, negozi e
comodi di vita; quivi accorre, nella stagione estiva, da tutte le parti della
Provincia ed anche dai paesi più lontani, gente desiderosa di godersi il purissimo
cielo, le limpide acque, il dolce clima, la cortese ed affettuosa ospitalità che i
cittadini offrono»[84]. Che però non sia tutto o solo iperbole ce lo dice un minuzioso elenco relativo alla per
vero folta presenza di alberghi, pensioni, negozi ed esercizi di varia natura destinati ad
assicurare quei «comodi di vita» cui alludeva il Bindi, contenuto in un assai interessante
Annuario che Alessandro Alebardi - dinamico proprietario dello “Studio Tecnico d’Arti Grafiche
e Pubblicità” di Teramo e direttore del giornale satirico-umoristico giuliese «Il Fischio»[85], a
forte caratterizzazione balneare - pubblica presso la giuliese Stea proprio nel 1927.[86] Pure nel 1927, ad agosto, quando peraltro si rende necessario istituire il nuovo ufficio
distaccato di P.S. dipendente dalla Regia Questura di Teramo per fronteggiare le esigenze
d’ordine pubblico nella stagione estiva[87], e preceduto da un articolo apparso a luglio su «La
Tribuna» in cui stavolta Giulianova è esaltata con la sua «amenissima spiaggia, dove una folla
multicolore, tra casotti e cabine, folleggia spensieratamente»[88], nell’agosto del 1927, si
diceva, esce dai tipi della locale Tipografia Artistica Libraria Abruzzese di Giulio Braga e Mario
Leone un Memoriale per l’ampliamento del territorio scritto dall’ora Podestà Amato Alfonso
Migliori[89] che, con toni ed espressioni così simili rispetto a quelli utilizzati dall’amico e
corrispondente Bindi da legittimare più di un sospetto, si produce nella esaltazione della «bella
e fiorente cittadina» che non è rimasta chiusa entro le mura ma ha voluto distendere «le sue
propaggini nella pianura verso la sua parte di Adriatico e lungo [gli] ampii viali e piazze che vi
ha tracciato con modernità e larghezza di vedute», non mancando di sottolineare l’esorbitante
coagulo «di case e villini esteso oramai per oltre due chilometri» e la qualificante presenza di
«un decoroso club ed un sontuoso Kursaal». Preoccupazioni propagandistiche a parte, Giulianova ha ormai consolidato, pur con tutti i
limiti che pure sono stati messi in evidenza, la caratteristica di stazione balneare a tutti gli
effetti - peraltro già entrata in competizione con la vicina Roseto – e nella quale la ormai
cresciuta popolazione residente, generosamente indicata in quasi cinquemila abitanti, «si
raddoppia e si triplica durante la stagione balneare», come annota nell’estate 1928 un anonimo
corrispondente del marchigiano «Corriere Adriatico»[90]. Ma è nell’estate del 1929 che il miglioramento e la diversificazione dell’offerta ricettiva
di Giulianova – la «spiaggia deliziosa» rammentata proprio in quest’anno da uno scritto di
Maurice Mignon, il noto italianista che fu anche direttore del Centro Universitario
Mediterraneo[91] - conquista il suo segnacolo in vessillo con l’entrata in scena, accanto e in
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aggiunta ai cinque alberghi operanti in quell’anno[92], dell’ Hotel Kursaal Lido nella sua
conformazione definitiva, grazie all’avvenuta ultimazione del piano superiore. Gestito dal milanese Vladimiro Dalmasco, il davvero sontuoso albergo metteva a
disposizione della selezionata clientela, per la stagione balneare allora compresa tra il 10 luglio
e il 10 settembre, venticinque camere per complessivi quaranta posti letto, acqua corrente
calda e fredda, un raffinato salone delle feste, graziose sale da conversazione e da ritrovo, un
moderno bar, il ristorante e persino un cinematografo sonoro. Con vigile attenzione estetica, il
suo parterre-giardino, capace di contenere quasi 600 persone, era stato cinto da muretti,
cancellate e colonne, su ciascuna delle quali brillava un artistico lampione. Un bel portico a
colonne, d’impronta classica, occupava il centro della fronte, sormontato appunto dal terrazzo.
Altri due terrazzi inoltre coronavano le due ali sporgenti dell’edificio che nella sua originaria
tinta paglierina, nelle persiane color marrone, nelle armoniose modanature e nei sobri fregi
aveva un tono dignitoso e serio. Riferimento obbligato negli anni a venire per buona parte del litorale abruzzese ma
anche marchigiano, il Kursaal già il 3 agosto 1929, con la «indimenticabile» serata di gala
organizzata sotto l’abile regia dell’avvocato Francesco Cerulli, proprio in quell’anno subentrato
al barone Carlo Ciafardoni nella direzione del Club marino e destinario di un telegramma di
auguri per la serata da parte del potente Giacomo Acerbo, convogliava nella città balneare, con
le musiche dell’orchestra Luna Part di Roma, il milieu della colonia bagnante, con ben 144
potenti e lussuose auto degli invitati allineate oltre i cancelli[93]. Con il nuovo podestà Domenico Trifoni, insediatosi il 5 aprile 1930, si apre la stagione
dei grandi investimenti pubblici e dell’ampia programmazione voluti dal fascismo per
incoraggiare e rendere popolare la pratica turistica, attraverso la istituzione di treni popolari,
gite aziendali, adunate di Partito tesi a far conoscere l’Italia agli italiani, oltre che ad offrire agli
stranieri un’immagine moderna ed efficiente del Paese, perseguendo in questa ottica il
miglioramento igienico dei centri urbani, la riduzione della zone malsane grazie alle bonifiche
integrali, i provvedimenti antitubercolari, la prevenzione contro le malattie costituzionali[94] Prova ne è il fatto che già nel corso del 1930 non solo si porta a termine, mediante la
messa a dimora di oleandri, la piantagione ornamentale del viale Lungomare e della piazza
antistante il Kursaal avendo cura di provvedere alla modifica dell’impianto di illuminazione
pubblica, ma anche, a fronte di una spesa ammontante a 353mila lire, si trasforma la Colonia
Marina – detta anche Colonia “Ventilii” in onore del benefattore moscianese Pasquale Ventilii
che aveva elargito una somma considerevole per il miglioramento della struttura – in nuovo
Istituto permanente per la profilassi antitubercolare. Il 1930 è anche l’anno in cui, oltre all’attivazione del nuovo servizio autobus città alta-
stazione-spiaggia su Fiat 621 dei fratelli Iaconi[95], vedono la luce – durante la stagione estiva
e pressoché simultaneamente - «Il Kursaal Lido» e «Il Lido», primi di una lunga serie di fogli
locali nati quasi tutti nel periodo delle vacanze per condividere un’esistenza dichiaratamente e
palesemente effimera. A signoreggiare la vivace fioritura di questi numeri numeri unici o
semiunici dalla modesta foliazione, tuttavia in alcuni casi non privi di spunti di un qualche
interesse, è l’attivissimo giornalista e scrittore Francesco Manocchia, che da ora e sino al ‘39
legherà il suo nome a tutti i successivi periodici balneari – da «Il Lido Abruzzese» a «Il Lido
Adriatico» concludendo con «Il Lido illustrato» e un più che prevedibile «Il Lido Estivo» - che,
pur parzialmente diversi nella testata, sono tuttavia accomunati da intenti sostanzialmente
ludici e di disimpegno[96]. Questi – svago e divertimento – sono d’altronde le aspirazioni dei
sempre più numerosi bagnanti che possono avere in Giulianova una città - «veramente amena
e tra le più belle d’Abruzzo», come scrive su «Il Popolo di Roma» Giuseppe De Sanctis[97] - in
grado di alloggiare complessivamente 1500 persone sulle 3mila che la sceglievano per le
vacanze estive, secondo i calcoli indubbiamente approssimativi ma non sprovvisti di
ragionevolezza del noto scrittore Ulderico Tegani, resi noti in un suo lungo articolo pubblicato
nel 1932 su «L’Albergo in Italia», il diffuso mensile di propaganda alberghiera del Touring Club
Italiano e dell’Ente Nazionale Industrie Turistiche[98]. Di questi 1500 turisti, 300 venivano
accolti nelle strutture ricettive presenti nel 1932 nella città, disponendo il Kursaal Lido di 25
camere, il Belvedere di Giulio Federici di 10, l’albergo Vittoria di 4, la Pensione Beccaceci di 6 e
l’Albergo Ristorante Commercio di Orazio Misticoni di 4, in aggiunta alle 6 camere
rispettivamente messe a disposizione dai due alberghi presenti nella parte alta della città, cioè
l’Albergo Ristorante Italia di Michele Galdieri ed il Miramare[99]. La gran parte della popolazione turistica, infatti, ricorreva a sistemazioni alternative,
rappresentate da abitazioni private (circa 200 famiglie per un totale di mille unità) e, in misura
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minore, dalle ville (40 famiglie per un totale di 200 unità), con un grosso ruolo svolto dalla
miriade di affittacamere diffusi un po’ ovunque tra la stazione e la spiaggia. Quanto ai prezzi, nel 1933, all’interno del periodo clou compreso tra il 15 luglio e il 15
agosto, ognuno dei 360 casotti – cioè le capanne di legno – messi a disposizione dei bagnanti
nel tratto compreso tra il Molo Nord del porto e il piazzale Fiume d’Italia si affittava per l’intera
stagione con una spesa compresa tra le 100 e le 300 lire; tra le 25 e le 30 lire – fermo
restando l’imposta di soggiorno fissata nella misura del 6% del prezzo stabilito per la camera –
era invece il costo giornaliero di una stanza presso il raffinato Kursaal o il confortevole e più
che dignitoso Albergo Belvedere[100]. In quell’anno 1933 Alfonso De Santis, fino all’11 agosto commissario prefettizio e poi
ennesimo podestà[101], aveva affidato all’architetto-ingegnere Giuseppe Meo la progettazione di
un muretto di difesa che andasse dal molo nord del porto al piazzale Fiume d’Italia al fine di
sistemare la strada di lungomare in parte corrosa dalle mareggiate[102]. Il progetto, ben presto
emancipatosi dall’originario impianto e destinato ad aprire le porte al nuovo lungomare
monumentale, fu redatto, con estrema sollecitudine, il 10 maggio 1933 e, con la gara definitiva
di appalto esperita il 13 aprile 1936[103], venne dato l’avvio ai lavori, affidati con contratto del 5
settembre successivo all’impresa Matricardi & Angelini di Ascoli Piceno, a fronte di una spesa di
oltre 240mila lire. Un inopinato ordine inviato alla fine di ottobre del 1936 da parte delle superiori autorità
che imponeva la rapida realizzazione dei lavori, da ultimare perentoriamente entro il 20
novembre successivo essendosi allora annunziata come certa ed imminente la venuta di
Mussolini per l’inaugurazione dell’Acquedotto del Ruzzo, rese possibile la ultimazione più che
sollecita dell’opera, con la collocazione delle 80 colonne di travertino e la dotazione del sistema
di illuminazione, costato quasi 70mila lire (40 in più delle colonne), consistente in candelabri e
lampade elettriche forniti e messi in opera dalla Società Impianti Materiali Elettrici (SIME) di
Ascoli Piceno[104]. Il nuovo lungomare vanto della città turistica, modellato con tutta probabilità su quello
più noto di Bengasi, si presenta ai villeggianti nella stagione estiva del 1937 come una
«imponente opera di pietra bianca», per riprendere l’espressione del poeta teramano Luigi
Brigiotti[105]: una gradevole passeggiata di 675 metri frequentemente intervallata di erbetta,
palmizi, mortella e aiuole novecentesche, parallela alla strada bitumata egualmente nel 1936 e
confinante con una estesa area convenientemente sistemata a partire dal febbraio 1935, grazie
anche ad accordi intervenuti - il mese prima - tra l’amministrazione podestarile di Giulianova
ed il Comando di Centuria della Milizia Forestale di Teramo e mediante un prestito di 20 mila
lire concordato con la Banca Agricola Commerciale del Mezzogiorno, mediante riporti di terra,
lavori di giardinaggio e piantagioni di pini, allo scopo di valorizzare maggiormente la spiaggia e
di proteggere le retrostanti colture dall’azione dei venti marini[106]. Le nuove essenze peraltro si
aggiungevano agli oltre 4mila pini marittimi messi a dimora tra il 12 marzo e il 9 giugno del
1934, in occasione dei lavori di bonifica dell’intero litorale giuliese[107]. Nel frattempo la città litoranea, che nel 1934 con 3433 abitanti rispetto ai 2721 della
città alta effettuava il “sorpasso” demografico, con deliberazione 8 febbraio 1934 veniva
elevata dal podestà De Santis a parte integrante del capoluogo con la nuova denominazione di
Giulianova Lido[108], mentre qualche centinaio di metri a nord dell’Ospizio Marino, trasformato
un anno prima in colonia climatica marina dell’Ente Opere Assistenziali (una delle 261 allora
presenti sul territorio nazionale)[109], veniva ultimato dall’impresa giuliese Cesare Albani &
Fratelli su progetto dell’ing. Alberto Ricci l’immenso complesso – ben mille i posti disponibili –
della colonia “Rosa Maltoni Mussolini”, forse il maggiore tra quelli realizzati in Italia dall’Istituto
Nazionale Assistenza Magistrale[110]. Di qui a un anno il piano regolatore degli ingegneri Giuseppe Jannetti ed Ernesto
Pelagalli avrebbe codificato per la parte pianeggiante la nascita di una nuova città,
dell’estensione tre volte superiore a quella allora esistente[111], dotata di una rete stradale
capillare, parchi pubblici ed edifici monumentali e destinata ad accogliere – in una piazza “foro”
della nuova città, le sedi più rappresentative del Regime[112]. Un sicuro progetto urbano, pur
con tutti i suoi limiti comunque destinato nelle intenzioni a proiettare Giulianova anche in uno
scenario turistico più ampio, preoccupazione che viene appalesata non solo dall’affidamento
alla Società Films Italo-Brasiliana di realizzare una «pellicola cinematografica dei panorami di
Giulianova»[113] ma soprattutto dall’obiettivo di favorire la «fusione» dell’abitato ed
emanciparlo una volta per tutte dall’inveterato problema dell’attraversamento della ferrovia
mediante il suo arretramento collinare, tanto vero che proprio nel 1935, insieme con
l’intenzione di allogare un «Ufficio di Turismo» nei pressi della stazione presso i locali della
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Sezione di Imposta di Consumo, e la effettiva realizzazione – sempre al Lido – dell’ufficio
telefonico[114], si accarezza l’idea di eliminare lo scomodo passaggio a livello di Via Revel –
realizzato nel 1933[115] - con la costruzione di un sottopassaggio[116]. Ma il piano del ’35 con tutte le sue ambizioni non verrà mai attuato: ancora una
manciata di anni e l’«industria» del turismo, sul cui prima timido poi più deciso incedere
abbiamo sin qui discorso, diverrà solo un ricordo seppellito tristemente dalle macerie.
[1] Circa la storia del turismo italiano, sulla quale è fiorita una interessante letteratura, cfr. per
tutti: M. C. CARDONA, La storia della villeggiatura: dall’epoca romana al Novecento, Roma,
Edizioni Abete, 1994; F. PALOSCIA, Storia del turismo nell'economia italiana, Roma, Petruzzi,
1994; J. URRY, Lo sguardo del turista: il tempo libero e il viaggio nelle società contemporanee,
Roma, Edizioni Seam, 1995. [2] Sul punto cfr. G. MAGHERINI, Dal viaggio romantico al perturbante turistico, in «Il Ponte»,
gennaio-aprile 1988, pp. 309-332. [3] In argomento G. TRIANI, Pelle di sole, pelle di luna. Nascita e storia della civiltà balneare
1700-1946, Padova, Marsilio, 1988. [4] In argomento M. SCATTAREGGIA, Sanremo 1815-1915. Turismo e trasformazioni territoriali,
Milano, Franco Angeli, 1986. [5] Un ottimo lavoro relativo alla creazione della rete ferroviaria nazionale è quello di A.
GIUNTINI, Nascita, sviluppo e tracollo della rete infrastrutturale, in Storia d’Italia,.Annali 15.
L’industria, a cura di F. Amatori, D. Bigazzi, R. Riannetti e L. Segreto, Torino, Einaudi, 1999,
pp. 551-616. [6] Così R. COLAPIETRA, I tracciati ferroviari e la loro incidenza sull’articolazione urbana e
territoriale in Abruzzo e Molise, in «Cheiron», a. X (1993), n. 19-20, n. speciale, Abruzzo e
Molise. Ambienti e civiltà nella storia del territorio, a cura di M. Costantini e C. Felice, pp. 231-
243 (ora in Don Giulio Di Francesco. Sacerdote Insegnante e Storico teramano. Testimonianze
e contributi, a cura di A. Marino, Teramo, Centro Abruzzese di Ricerche Storiche, 1994, pp.
147-148). Sulla questione ferroviaria cfr. dello stesso COLAPIETRA, Problemi politici e sociali
dell’Abruzzo a fine Ottocento, in «Nuovi quaderni del Meridione», a. V (1967), n. 18, spec. pp.
7-24, e Le ferrovie medio-adriatiche, in La questione ferroviaria nella storia d’Italia. Problemi
economici, sociali, politici e ambientali, a cura di R. Lorenzetti, Roma, Editori Riuniti, 1989, pp.
9-19. Relativamente all’importanza del ruolo strategico delle strade ferrate nella guerra di
movimento, si veda il sintetico ma penetrante saggio di C. BARUCCI, Il ruolo strategico delle
ferrovie nell’organizzazione militare del territorio, in «L’Ambiente storico», fasc. 10-11 (1987),
p. 151-168. Per una ricostruzione del dibattito politico regionale nel periodo postunitario cfr.
utilmente, tra gli altri, P. MUZI, L’Abruzzo nella storiografia dell’ultimo decennio, in «Bollettino
del diciannovesimo secolo», a. II (1994), n. 2, spec. pp. 91-92; sulla pubblicistica locale che
accompagnò la costruzione delle ferrovie si rimanda ad A. GIUNTINI, Contributo alla formazione
di una bibliografia storica sulle ferrovie in Italia, Milano, Società Nazionale di Mutuo Soccorso
tra i Ferrovieri e i Lavoratori dei Trasporti, 1989, pp. 480-483 [7] Sul punto cfr. J. PEMBLE, La passione del sud. Viaggi mediterranei nell’Ottocento, Bologna, Il
Mulino, 1998. [8] A. BERRINO, L’Italia nella storia del turismo, in Decimo rapporto sul turismo italiano, a cura di
P. Barucci [et al.], Firenze, Mercury Touring University Press, 2001, p. 759, ora in ID, Storia
del turismo italiano, Milano, Franco Angeli, 2002. [9] In argomento cfr. A. CIOCI, Storia delle ferrovie in Abruzzo dalle origini ai giorni nostri,
Cerchio, Adelmo Polla editore, 1997. [10] L. PICCIONI, Viaggiatori, villeggianti e intellettuali alle origini del turismo abruzzese (1780-
1910), in Abruzzo. Economia e territorio in una prospettiva storica, a cura di M. Costantini e C.
Felice, L’Aquila, Regione Abruzzo – Assessorato alla Promozione culturale [Vasto, Cannarsa],
1998, p. 376, ora ID., La natura come posta in gioco. La dialettica tutela ambientale – sviluppo
turistico nella storia della «regione dei parchi», in Storia d’Italia. Le regioni dall’Unità ad oggi.
L’Abruzzo, a cura di M. Costantini e C. Felice, Torino, Einaudi, 2000, p. 960.
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[11] Sul punto cfr. S. MAGNELLI, M. MORANDI, G. TAMBURINI, Urbanizzazione diffusa e riuso dei
sistemi urbani preesistenti: la fascia litoranea abruzzese e la Val Pescara, in Piccola città &
piccola impresa. Urbanizzazione, industrializzazione e intervento pubblico nelle aree
periferiche, a cura di R. Innocenti, Milano, Franco Angeli, 19883, pp. 179-181, 184, 198-200. [12] C. FELICE, Sviluppo economico e sistema ferroviario in Abruzzo e Molise, in Centri
dell’Abruzzo, Sulmona, Edizione del Premio “Filomena Carrara”, 1996, p. 8. [13] La lettera in versi, indirizzata nel luglio 1858 ad un amico del Montori, villeggiante in Giulia,
è in L. SAVORINI, In memoria di Giuseppe Montori, Teramo, Tip. del Corriere Abruzzese, 1899,
pp. II ss [14] R. CERULLI, Giulianova 1860, Teramo, «Abruzzo Oggi», 19682, cit., pp. 51-52. [15] Cronaca. Breve cenno di Castro e Giulia in Abruzzo Primo per lo giudice Gaetano de’ Baroni
Ciaffardoni, Teramo, Scalpelli, 1861, p. 60 ora riprodotto in Opuscula 2, Teramo, Istituto
Abruzzese di Ricerche Storiche, 1998. [16] O. DI STANISLAO, La Chiesa della Natività di Maria Vergine nella marina di Giulianova, S.
Gabriele, Edizioni Eco, 1984, pp. 21-22. [17] Un ottimo e analitico lavoro relativo a questa tratta ferrata è quello di A. CIOCI, La ferrovia
Teramo-Giulianova, Cortona, Calosci, 1994. [18] Cfr. R. CERULLI, Giulianova 1860, cit., p. 309. [19] Cfr. in proposito S. GALANTINI, Dalla vaporiera al libro. La ferrovia Teramo-Giulianova e le
Note storiche ed anedottiche di Savini, in F. SAVINI, Lungo la strada ferrata da Giulianova a
Teramo (Note storiche ed anedottiche), a cura di S. Galantini, Teramo, Ricerche&Redazioni,
20032, spec. pp. IX-X. [20] Firenze, Benelli, 1848. Una panoramica relativa alla genesi ed alla successiva evoluzione
del genere delle guide è in L. DI MAURO, L’Italia e le guide turistiche dall’Unità ad oggi, in Storia
d’Italia. Annali 5, Torino, Einaudi, 1985, pp. 369-428. [21] Lanciano, Carabba, 1884. [22] «Corriere Abruzzese», 20 agosto 1890. [23] «Corriere Abruzzese», 11 settembre 1890. [24] R. CERULLI, Giulianova 1860, cit. pp. 315-316. [25] Ibid., p. 332-333. [26] Cfr. «Il Giornale d’Italia», 17 agosto 1910. [27] R. CERULLI, Giulianova 1860, cit., pp. 310-311. In argomento vedasi anche Il Comitato
permanente di pubblica beneficenza “Giuseppe Cerulli” in Teramo. La sua fondazione. L’opera
svolta. Propositi e speranze. 1892-1912, Teramo, Tip. del Lauro, 1913. [28] Sulla genesi ed il successivo sviluppo dell’Ospizio Marino cfr., oltre a S. GALANTINI,
Giulianova com’era. Storia e memoria della città attraverso le cartoline d’epoca, Pescara, Paolo
de Siena Editore, 2001, pp. 144-146, M. MAZZONI, Storia sociale e sanitaria della tubercolosi a
Teramo, in «Notizie dalla Delfico», 1-2/2001, pp. 26-28. [29] «Corriere Abruzzese», 31 agosto 1898. [30] «Il Fuoco», 23 giugno 1901. [31] Il Touring Club Ciclistico Italiano era nato nel 1894 con lo scopo di riunire i ciclisti
viaggiatori. Nel 1896 l’associazione poteva contare su circa 7mila soci, in grandissima parte
lombardi, liguri e piemontesi, con sparute rappresentanze campane, venete, emiliane, toscane
e laziali. Cfr. in proposito l’Almanacco Italiano, II, Firenze, R. Bemporad & Figlio, 1897, pp.
404-405. [32] Cfr in proposito S. GALANTINI, Dalla redingote all’orbace. Giornali e giornalisti a Giulianova
dalla fine dell’800 al Ventennio, in Giornali e riviste in Abruzzo tra Otto e Novecento, a cura di
G. Oliva, Roma, Bulzoni, 1999, pp. 136-138. [33] Sulla figura del Trifoni cfr. i due articoli di F. AURINI, Costanzo Trifoni campione biciclista, «Il
Giornale d’Italia», 6 maggio 1957 e L’eroe della Milano-Monaco, «Il Messaggero», 16 gennaio
1987. [34] Per notizie bio-bibliografiche relative al conte Andrea Acquaviva, nato il 25 maggio 1852 da
Carlo e da Alessandrina d’Obrescoff, cfr. utilmente F. ACQUAVIVA D’ARAGONA, Personaggi
acquaviviani a Giulianova, in «La Madonna dello Splendore», n. 15, 1996, p. 55. Circa la
nascita e l’attività dispiegata dal Touring Club Italiano si rinvia al vol. I sessant’anni del Touring
Club Italiano, a cura di G. Vota, Milano, s.e., 1954 e 90 anni di turismo in Italia 1894-1984,
Milano, TCI, 1984. [35] «Corriere Abruzzese», 27 maggio 1903.
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[36] Se ne veda la bella scheda di Anna Valerii pubblicata in Eclettsmo e Liberty nella provincia
di Teramo, Teramo, Fondazione Tercas - L’Aquila, Soprintendenza per i B.A.A.A.S, 1997, p. 82.
E’ appena il caso di rammentare che il relativo progetto sarebbe stato pubblicato, nel 1904,
sulla rivista specializzata «Memorie di un architetto». [37] Cfr. L. BARTOLINI SALIMBENI, Ville del litorale teramano, Calendario della Cassa di Risparmio
della Provincia di Teramo 1986. [38] E. ABBATE, Guida dell’Abruzzo, Roma, Club Alpino Italiano – Sezione di Roma, 1903, p. 67
per la parte relativa a Giulianova. [39] «Il Centrale», 14-15 febbraio e 5 marzo 1903 . Una panoramica ad ampio respiro
sull’attività alberghiera dei Federici è quella di G. DI MICHELE, Giulianova: la ricezione
alberghiera e quanto attinente l’ospitalità tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del nuovo secolo, in
«La Madonna dello Splendore», n. 13, 1994, pp. 69-77, ora ne Il cerchio inconchiuso. Momenti
di storia giuliese attraverso le pagine della rivista “La Madonna dello Splendore”. 1982-1995, a
cura di S. Galantini, Teramo, Demian, 1995, pp. 113-115. [40] Cfr. il «Corriere Abruzzese», 17 agosto 1904. [41] «L’Araldo Abruzzese», 4 agosto 1906. [42] «L’Italia Centrale», 22-23 settembre 1906. [43] Sulla figura e sull’attività del sindaco de’ Bartolomei si rimanda a R. CERULLI, Giulianova
1860, cit., pp. 337 ss. [44] Il relativo progetto è in possesso della Sig.na Florinda Losco, nipote per linea materna del
Federici, che ringrazio per averlo messo a mia disposizione. La notizia di questo ambizioso
progetto accarezzato dal Federici appare un anno più tardi, nell’edizione 20 agosto 1911 del
«Giornale d’Italia». [45] R. CERULLI, Giulianova 1860, cit., pp. 338-339. [46] ARCHIVIO COMUNALE DI GIULIANOVA (d’ora in poi A.C.G.), Registro delle deliberazioni della
Giunta Municipale dal 1 settembre 1908 al 31 dicembre 1911, n. 72 del 29 ottobre 1909. Cfr.
anche A.C.G., cat. X, cl. 10, b. 2, fasc. 2. [47] «L’Italia Centrale», 6-7 agosto 1910. [48]«Il Giornale d’Italia», 22 agosto 1910. [49] A.C.G., Registro delle deliberazioni della Giunta Municipale dal 1 settembre 1908 al 31
dicembre 1911, n. 17 del 12 marzo 1909. [50] «L’Italia centrale», 27-28 luglio 1910. [51] Sulla figura del Volpi e sulla sua attività giornalistica cfr. ora A. IAMPIERI, Giornali e Riviste
della Val Vibrata (1911-1938), Colonnella, Grafiche Martintype, 2002, pp. 30 ss. [52] «L’Italia Centrale», 2-3 agosto 1912. [53] «L’Italia Centrale», 22-23 e 25-26 gennaio 1911. [54] «L’Italia Centrale», 26-27 luglio 1911. [55] «L’Italia Centrale», 10 aprile 1913. [56] S. GALANTINI, Giulianova com’era, cit., pp. 116, 134. [57] Cfr. «L’Italia centrale», 28-29 agosto 1913. [58] S. GALANTINI, Giulianova com’era, cit., p. 154. [59] A. BERRINO, L’Italia nella storia del turismo, cit., p. 762. [60] La presenza degli stagni lungo la linea ferrata, in particolare, è un problema che preoccupa
ed irrita i sindaci del tempo di varie località adriatiche - come Pescara, Casalbordino, Torino di
Sangro e San Salvo, tutte stazioni che la stessa Società delle “Meridionali” indica soggette a
malaria - la indignatio dei quali viene appalesata dalle reiterate richieste alle Ferrovie
Adriatiche di dar luogo sollecitamente alla loro «ricovertura», non tanto per esigenze, pur
avvertite, di “decoro” quanto da ben più cogenti ragioni sanitarie, costituendo altrettanti focolai
permanenti d’infezione per la cittadinanza. Cfr. in proposito C. FELICE, Il disagio di vivere. Il
cibo, la casa, le malattie in Abruzzo e Molise dall’Unità al secondo dopoguerra, Milano, Franco
Angeli, 1989, p. 150 e, per Pescara, l’ottimo lavoro di R. COLAPIETRA, Pescara 1860-1927,
Pescara, Costantini, 1980, p. 34. Quanto alla situazione venutasi a creare in Torino di Sangro,
cfr. D. PRIORI, Torino di Sangro, Lanciano, Cooperativa Editoriale Tipografica, 1957, p. 162. [61] Si rimanda in proposito a S. GALANTINI, La salute assente. Problemi sanitari, ambiente ed
ospedalità a Giulianova dall’Unità all’età giolittiana, in L’esemplare vicenda. Studi storici
sull’Abruzzo offerti a Riccardo Cerulli ottuagenario, a cura di S. Galantini, Teramo, Edigrafital,
2000, pp. 111 ss. [62] La relativa e folta documentazione è in ARCHIVIO CENTRALE DELLO STATO, Ministero
dell’Interno, Direzione generale della sanità pubblica, 1910-1912, b. 578. Sul punto si rimanda
a C. FELICE, Il disagio di vivere, cit., p. 157, e, per un discorso a più ampio spettro, a Id.,
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Quadri ambientali e dinamiche insediative tra malaria e bonifica: Abruzzo e Molise dall’unità al
fascismo, in «Bollettino della Società geografica italiana», s. XI, vol. V, 1988, fasc. 4-6, pp.
259-283. [63] Un quadro ampio e sufficientemente dettagliato, limitatamente alla città, dei problemi e
delle vivaci dispute politiche nel periodo postbellico è in R. CERULLI, Giulianova 1860, cit., pp.
349 ss. Notazioni pertinenti ma relative ad un quadro dai margini più dilatati sono in C. FELICE,
Il disagio di vivere, cit., pp. 94-165 e passim. [64] Cfr. «Il Solco», 23 luglio 1921. [65] «Il Giornale d’Italia», 2 gennaio 1920. [66] Cfr. S. GALANTINI, Giulianova com’era, cit., pp. 150-151. Sull’opera e la figura dell’architetto
Vincenzo Pilotti, marchigiano di nascita ma di famiglia originaria di Teramo, cfr. E. COTELLUCCI,
S. TROIANI, L’opera e la figura di Vincenzo Pilotti architetto. Interventi edilizi e immagine della
città di Pescara tra le due guerre, in Intellettuali e società, cit., vol. I, spec. pp. 57-59. [67] S. GALANTINI, Giulianova com’era, cit., pp. 92-94. Utili rilievi sulla espansione del Liberty
abruzzese tra Giulianova ed Ortona sono in R. CIGLIA, L’attività artistica, in Abruzzo nel
Novecento, Pescara, Didattica Costantini, 1984, spec. p. 153. Cfr. anche E. GENOVESI , Il liberty
in Abruzzo, in «Rivista Abruzzese», a. XXXIX (1986), n. 3, pp. 191-199 e G. LERZA, Sviluppi dell’edilizia residenziale sulla costa teramana, in Storia come presenza.
Saggi sul patrimonio artistico abruzzese, Pescara, Rotary Club - Cassa di Risparmio di Pescara
e Loreto Aprutino, 1984, pp. 205-207. [68] A.C.G., Deliberazioni della Giunta dal 9 settembre 1922 al 15 marzo 1923 e del R.
Commissario dal 16 marzo 1923 al 13 settembre 1923, n. 78 del 4 luglio 1923. [69] Cfr. O. DI STANISLAO, Sindaci di Giulianova, in «La Madonna dello Splendore», n. 22, 2003,
p. 145. [70] A.C.G., Deliberazioni della Giunta dal 9 settembre 1922 al 15 marzo 1923 e del R.
Commissario dal 16 marzo 1923 al 13 settembre 1923, n. 34 del 15 maggio e n. 83 del 7 luglio
1923. [71] Cfr. in proposito i feroci attacchi alle gestioni commissariali da parte de «Il Risveglio» nelle
edizioni 14 luglio, 12 agosto e 5 settembre 1925. [72] O. DI STANISLAO, Sindaci di Giulianova, cit., p. 145. [73] Cfr. in proposito La rinascita di Giulianova, «L'Italia Centrale», 27-28 febbraio 1926. Poco tempo dopo il suo insediamento il sindaco Migliori con apprezzabile sollecitudine aveva
inoltrato ai competenti organi governativi, tramite il R. Provveditorato alle Opere Pubbliche
dell’Aquila, i progetti riguardanti la bonifica generale della spiaggia, la sistemazione delle vie
interne e della spiaggia, le fognature del capoluogo e dell'abitato alla «marina», l’isolamento
della chiesa di San Flaviano, la costruzione del Palazzo Comunale, di scuole urbane e rurali e,
infine, del mattatoio. Circa il Migliori e la sua gestione amministrativa si rimanda a S.
GALANTINI, La Cattedrale di Giulianova nella corrispondenza epistolare Vincenzo Bindi – Alfonso
Migliori, in DEPUTAZIONE ABRUZZESE DI STORIA PATRIA, Incontri culturali dei Soci, VII, Avezzano 10
Maggio 1998, L’Aquila, Deputazione Abruzzese di Storia Patria, 1998. [74] A.C.G., Deliberazioni della Giunta Municipale dal 27 settembre 1923 al 17 marzo 1927,
rispettivamente n. 235 e 236. [75] Ibid., n. 281. [76] L’articolo, significativamente intitolata Per l’industria del forestiero, è una corrispondenza
anonima da Giulianova del 18 dicembre pubblicata però nell’edizione 20 dicembre 1925 de «Il
Giornale d’Italia». E’ appena il caso di rilevare che lo stesso titolo e contenuti sostanzialmente
simili avrà un articolo apparso nel primo numero del gennaio 1926 sul teramano «Il
Gazzettino». [77] Cfr. in proposito la deliberazione consiliare n. 81 del 19 ottobre 1926, approvata dal
Prefetto in data 20 ottobre, Div. 4 n. 16978. [78] Risale infatti proprio al 1914 il progetto presentato dall’Amministrazione comunale alla
Direzione delle Ferrovie – peraltro da questa tecnicamente approvato – diretto
all’avvicinamento della stazione al paese ed alla conseguente deviazione pedecollinare della
strada ferrata tra i chilometri 310-314. Il tracciato originario della ferrovia ostacolava, secondo
i vertici comunali, la fusione del nuovo borgo al capoluogo, lasciava “monche” le strade della
«Marina» impedendo la libera circolazione e aveva condotto, a causa del dislivello (la livelletta
della strada ferrata, difatti, forse per ragioni di economia fu tenuta, nel tratto compreso tra il
Salinello ed il Tordino, ad una quota di 4,25 metri dal livello sul mare, quando di 2 metri era la
quota del terreno) alla creazione di zone malsane per impossibilità del deflusso delle acque dei
fossati al mare. Vedasi in proposito l’articolo apparso sul «Corriere Adriatico», 2 giugno 1928.
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[79] Sulla questione cfr. la Relazione intorno al Progetto di Massima per lo Spostamento della
Strada ferrata fra i Km. 310-314 della Linea Ancona-Foggia, Giulianova, Stab. Tip. “TALIA” di
Mario Leone, 1926. Inoltre vedasi l’articolo Per lo spostamento della ferrovia alla stazione di
Giulianova, «La Tribuna», 24 agosto 1926 e il resoconto apparso ne «Il Solco», 24 ottobre
1926. [80] «La Tribuna», 10 gennaio 1926. [81] «L’Italia Centrale», 24-25 maggio e 12-13 luglio 1926. L’Agenzia, ospitata presso il villino
di Adolfo Caravelli, che ne era il titolare, disponeva di una stazione ricevente con altoparlante. [82] S. CESAREO, La spiaggia abruzzese, in «Terra Vergine», a. I (1925), n. 14, p. 25. [83] Se ne veda la tempestiva recensione di Amedeo Finamore ne «Il Risorgimento d’Abruzzo e
Molise», 1 maggio 1927. [84] Giulianova. La Posillipo degli Abruzzi, Milano, Sonzogno, s.d. (ma 1927), p. 14, disponibile
anche nella ristampa, corredata dalle interessanti note di M. M. Antonelli, Teramo, Galleria
d’Arte Moderna di Carla Limoncelli & C sas, s.d. (ma 1992). [85] S. GALANTINI, Dalla redingote all’orbace, cit., p. 155. [86] Annuario degli Abruzzi Alebardi, Giulianova, Stea, 1927, pp. 101 ss. Per altri opportuni dati
cfr. anche l’ Annuario Generale 1925-26, Milano, Touring Club Italiano, 1926, p. 667. [87] Cfr. A.C.G., Deliberazioni podestarili dal 19 novembre 1927 al 1° febbraio 1930, n. 125 del
31 dicembre relativa all’alloggio alla PS per i servizi estivi. [88] Nell’incanto delle marine d’Abruzzo da Giulianova a Vasto, «La Tribuna», 7 luglio 1927. [89] Amato Alfonso Migliori viene nominato podestà – il primo della città – il 21 aprile 1927. Sul
punto O. DI STANISLAO, Sindaci di Giulianova, cit., p. 145. [90] «Corriere Adriatico», 15 luglio 1928. [91] Cfr. in proposito il volume collettaneo Le visage de l’Italie publié sous la direction littéraire
de Gabriel Faure, préface de Benito Mussolini, Paris, Aux Horizons de France, 1929, p. 259
(ora in Viaggiatori Francesi in Abruzzo. Ottocento e Novecento, a cura di M.J. Hoyet, Chieti,
Vecchio Faggio, 1989, p. 264). [92] Cfr. l’ Annuario Generale 1929, Milano, Touring Club Italiano, s.d. (ma 1929), p. 493 sub
Giulianova. [93] F. MANOCCHIA, Serata di gala al Kursaal, «L’Italia Centrale», 10 agosto 1929. [94] A. BERRINO, L’Italia nella storia del turismo, cit., pp. 769-770. [95] «L’Italia Centrale», 17 e 30 giugno 1930. [96] S. GALANTINI, Dalla redingote all’orbace, cit. pp. 156-159. [97] G. DE SANCITS, Giulianova o dell’ameno soggiorno, «Il Popolo di Roma», 16 giugno 1933. [98] U. TEGANI, Giulianova, in «L’Albergo in Italia», a. VIII (1932), n. 9, pp. 513 ss. [99] Cfr. l’ Annuario Generale 1932-33, Milano, Touring Club Italiano, 1933, p. 470. [100] I dati relativi sono tratti dalla Guida pratica ai luoghi di soggiorno e di cura d’Italia. Parte I
– Le stazioni al mare, vol. II, Le stazioni del mare Adriatico e del mar Ionio di Rodi e della
Libia, Milano, Touring Club Italiano, 1933, pp. 150-151. [101] O. DI STANISLAO, Sindaci di Giulianova, cit., p. 145. [102] S. SEGRETI, Il lungomare, in Opuscula 1, Teramo, Edigrafital, 1998, pp. 59-60. [103] ARCHIVIO DI STATO DI TERAMO, Prefettura, II-41, lavori pubblici vari 1923-1949, b. 82, fasc.
598. [104] Cfr. S. GALANTINI, Giulianova com’era, cit., p.162. [105] Cfr. «La Riviera Abruzzese», numero unico del 29 agosto 1937, p. 3. [106] A.C.G., Registro delle deliberazioni del Commissario prefettizio dal 24 giugno 1933 al 12
agosto 1933, del podestà dal 19 agosto 1933 al 28 giugno 1935, n. 304 del 23 marzo 1935. [107] S. GALANTINI, Giulianova com’era, cit., pp. 161-163 e A.C.G., Registro delle deliberazioni
del Commissario prefettizio dal 24 giugno 1933 al 12 agosto 1933, del podestà dal 19 agosto
1933 al 28 giugno 1935, n. 154 dell’8 maggio 1934 e n. 185 del 23 giugno 1934. Cfr. anche A.
PROVENZALE, La bonifica integrale nel compartimento degli Abruzzi e Molise, in SINDACATO
PROVINCIALE DEI TECNICI AGRICOLI DI PESCARA, Problemi dell’agricoltura abruzzese, Teramo, Casa
editrice tipografica teramana, 1934, p. 187. [108] A.C.G., Registro delle deliberazioni del Commissario prefettizio dal 24 giugno 1933 al 12
agosto 1933, del podestà dal 19 agosto 1933 al 28 giugno 1935, n. 79 dell’8 febbraio 1934 [109] Colonia Marina dell’Ente Opere Assistenziali, «Il Solco», 2 settembre 1933. [110] S. GALANTINI, Giulianova com’era, cit., pp. 147-149 e, amplius, U. BORGHI, Cinquant’anni di
solidarietà magistrale, Roma, ENAM – Ente Nazionale di Assistenza Magistrale, 1998, pp. 167 ss.
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[111] Utili rilievi anche in chiave comparativa in M. MORANDI, L’analisi storica per una
riconoscibilità dei luoghi, in Una trasformazione inconsapevole. Progetti per l’Abruzzo adriatico
(1922-1945), a cura di M. Morandi, Roma, Gangemi Editore, 1992, spec. p. 16. [112] O. ARISTONE, G. TAMBURINI, La pianificazione urbana in Abruzzo prima della Legge del 1942,
in Intellettuali e società in Abruzzo tra le due guerre. Analisi di una mediazione, a cura di C.
Felice e L. Ponziani, Roma, Bulzoni, 1989, pp. 15-16. [113] A.C.G., Registro delle deliberazioni del Commissario prefettizio dal 24 giugno 1933 al 12
agosto 1933, del podestà dal 19 agosto 1933 al 28 giugno 1935, n. 356 del 16 giugno 1935.
La decisione viene presa considerando che si è al cospetto di una «notevole affluenza di
forestieri provenienti da diverse regioni d’Italia». [114] A.C.G., Registro delle deliberazioni del Commissario prefettizio dal 24 giugno 1933 al 12
agosto 1933, del podestà dal 19 agosto 1933 al 28 giugno 1935, n. 216 del 25 agosto 1934 e
n. 233 del 6 ottobre 1934. [115] A.C.G., Registro delle deliberazioni del Commissario prefettizio dal 24 giugno 1933 al 12
agosto 1933, del podestà dal 19 agosto 1933 al 28 giugno 1935, nn. 115 e 116 del 29 luglio
1933 e n. 70 del 20 gennaio 1934. [116] «Il Solco», 9 marzo 1935.