Post on 02-May-2015
Noi siamo della materia di cui sono fatti i sogni. E la nostra breve vita si chiude in un sonno.
Prospero, The Tempest
.La Tempestadi William
Shakespeare
sonno morte
sogno illusione
Noi siamo della materia di cui sono fatti i
sogni. E la nostra breve vita si chiude in un sonno.
Prospero, The Tempest
si chiude finisce
Un simbolo parla per allusione, dice una cosa e ne intende
un’altra,
quindi trattiene ciò che una definizione semplice e chiara distruggerebbe.
Edgar Wind
1611 , The Tempest
di William Shakespeare
chiave filosofica
chiave autobiografica
“La Tempesta è un enigma”.
Peter Brook
allegoria politica
1948
1977/78
1983/84
Tre allestimenti di Giorgio Strehler
“Perché dunque rappresentare La Tempesta? Risponderei: perché bisogna sfidare l’impossibile, perché è il nostro dovere di uomini di teatro (e, a lampi, di artisti) ad un certo punto della nostra vita e della nostra conoscenza – affrontare direttamente
l’impossibile, anche a costo di uscirne spezzati – ma anche per strappare un altro pugno di verità del mondo”.
1948
1977/78
1983/84
Giardini di Boboli, Firenze, 1948
“la divina incoscienza della giovinezza”
“itinerario nel
buio per arrivare ad una particella di luce, umana e poetica”
Strehler
Giorgio De Lullo (Ferdinando)
Camillo Pilotto, Prospero
Giorgio De Lullo , Ferdinando
Lilla Brignone, Ariele
Marcello Moretti, Calibano
Nino Manfredi, Sebastiano
Marcello Moretti (Calibano) Lilla Brignone (Ariele)
Ebe Colciaghi, Riproduzione degli spazi dell’incanto
Ebe Colciaghi, bozzetti per il personaggio di Miranda
“Nel cuore della Tempesta l’uomo di teatro tocca o crede di toccare gli estremi limiti del teatro. Nella Tempesta c’è la glorificazione del teatro, delusa e trionfante, del teatro come mezzo altissimo e insostituibile di conoscenza e di storia, ma entro certi limiti inutile, terribilmente inutile o insufficiente, per il muoversi inconcepibile della vita che sempre lo supera”
Teatro Lirico, Milano 1977/78
“Occorre un grande coraggio, un disperato coraggio, per fare La Tempesta di Shakespeare,
oggi. Ma forse è di gesti come questi che oggi si ha bisogno”.
Strehler
“La storia è arrivata
puntualmente dentro i
muri chiusi di un teatro,
in cui una piccola
collettività stava
lavorando sulle parole
di un grande
poeta per inventare
sogni”. Strehler
“Occorre un grande coraggio, un disperato coraggio, per fare La Tempesta di Shakespeare,
oggi. Ma forse è di gesti come questi che oggi si ha bisogno”.
Strehler
Tino Carraro, Prospero
Giulia Lazzarini, Ariele
Michele Placido, Calibano
Fabiana Udenio, Miranda
Massimo Bonetti, Ferdinando
Giulia Lazzarini e Tino Carraro
Fabiana Udenio e Tino Carraro
Tino Carraro, Massimo Bonetti, Fabiana Udenio
Luciano Damiani, scenografia per la Tempesta
“Durante il viaggio, schizzai
una scena con un
velo per il cielo in
sala, e uno per il mare
che entrava in palcosceni
co a lambire i
bordi
dell'isola di
Prospero”.L. Damiani
“Durante il viaggio, schizzai
una scena con un
velo per il cielo in
sala, e uno per il mare
che entrava in palcosceni
co a lambire i
bordi
dell'isola di
Prospero”.L. Damiani
“Cercai di spiegare che la scena senza il velo in sala avrebbe perduto ogni significato.E fu così”.L. Damiani
Teatro di documenti - Roma
“Il Teatro di documenti è a un tempo la realtà e il quadro in cui è dipinta”
Franco Quadri
Luciano Damiani, bozzetto per il personaggio di Calibano (Michele Placido)
Luciano Damiani, bozzetto per il personaggio di Stefano
Luciano Damiani, bozzetti per i personaggi di Trinculo e Ariele (arpia)
Luciano Damiani, bozzetti per i personaggi di Prospero, Miranda e Ferdinando
Luciano Damiani, bozzetti per la scena
Luciano Damiani, bozzetti per la scena
Luciano Damiani, bozzetti per la scena
Luciano Damiani, bozzetti per la scena
La Tempesta, luogo della mente
“Questa meditazione teatrale che coinvolge l’uomo intero non ci ha lasciati indenni. Ci ha lacerati. Mai come in questa Tempesta abbiamo sentito la fallibile, disperante, trionfale grandezza e responsabilità del nostro mestiere. (…) La Tempesta è un’opera disperata, ma nello stesso tempo attiva, che domanda non il gesto suicida della rinuncia ad essere uomini, ma la domanda di essere migliori e che ci consegna la quieta e profonda consapevolezza che soltanto la conquista dell’umano – che non è semplicemente pietà, giustizia o tenerezza, ma accettazione della realtà umana, così come è, oltre la dolce utopia – può aiutare l’uomo a prendere il mondo nelle sue mani, non per distruggerlo o avvilirlo, come sembra stia facendo ad ogni tornante della sua storia”.