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MEDICINA LEGALE
TAGETE 2-2007 Anno XIII
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CRITERI D’INDAGINE E PROTOCOLLI DI VALUTAZIONE INERENTI LA PROBLEMATICA DELLA SOFFERENZA FETALE, IN RAPPORTO AL RISCHIO DI
UN’EVENTUALE RESPONSABILITÀ PROFESSIONALE MEDICA: ASPETTI CLINICI, METODOLOGICI E APPLICATIVI. CONSIDERAZIONI MEDICO LEGALI
Dr.ssa Maria Luisa Crisafulli∗
Dr. Angelo Porrone∗∗ – Dr. Gianfranco Magnelli∗∗∗
RIASSUNTO Gli autori, prendendo spunto dall’argomento, inerente la problematica relativa alla condizione definita come “sofferenza fetale” pre - partum, ne analizzano gli aspetti clinici fondamentali ed i protocolli previsti in ostetricia, partendo, soprattutto dalla definizione ipotizzabile della stessa, che non trova univoca applicazione in rapporto ai dati della letteratura specifica del settore, nonché gli approcci squisitamente di tipo preventivo, terapeutico e, più in generale, metodologico – applicativi, utilizzabili in
∗ Dirigente Medico Legale I° Livello - Coordinamento Generale Medico Legale INPS Roma – Specialista in Ostetricia e Ginecologia – Specialista in Medicina Legale e delle Assicurazioni. ∗∗ Dirigente Medico Legale II° Livello - Centro Medico Legale INPS Frosinone - Specialista in Medicina Legale e delle Assicurazioni - Specialista in Medicina del Lavoro - Specialista in Oncologia – Specialista in Dermatologia e Venereologia. ∗∗∗ Dirigente Medico Legale I° Livello - Coordinamento Generale Medico Legale INPS Roma – Specialista in Medicina Legale e delle Assicurazioni - Specialista in Oncologia.
ABSTRACT The authors analyse the fundamental clinical aspects and the scheduled protocols in obstetrics for the condition defined as “pre-partum fetal suffering”, starting from the definition itself that has no univocal application in the specific literature of the sector. Legal-medical reflections concern exploitation of signs and symptoms related to the pathological condition of fetal suffering, therapeutic remedies, evaluation of possible cerebral damage, consequences of verified omissions in the behaviour of doctors and correlated elements of guilt. In particular, evaluations are carried out in order to fix useful parameters to distinguish cerebral results caused by an acute “intra-partum” hypoxic event from other neurological damages at birth due to other causes.
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situazioni più o meno stabili o di assoluta emergenza, in rapporto alle manifestazioni morbose in atto. Altro argomento spinoso, in effetti, riguarda, poi, proprio la diagnosi di “sofferenza fetale”, laddove, altrettanto, non è sempre possibile, con le attuali metodiche diagnostiche disponibili, valutare con rigorosa obiettività ovvero monitorare costantemente, nella totalità dei casi, il benessere fetale, presentandosi, talora la situazione clinica ostetrica in modo alquanto subdolo e tale da non permettere sempre di formulare, criteri generali di condotta di valenza assoluta. Entrando, quindi nello specifico, gli autori passano in rassegna proprio i parametri principali in grado di permettere di testare il grado di benessere e vitalità del feto, specie nelle ultime settimane di gravidanza, laddove, più correttamente, occorre valutare, prima del travaglio, l’apporto materno, tramite la flussimetria, la funzione placentare, con l’ecografia, capace di fornire informazioni sia sulle dimensioni della stessa che sul suo stato di eventuale senescenza, e con gli ormoni placentari: In effetti il livello di crescita del feto può essere indagato sempre con l’ecografia, capace anche di apprezzare bene i movimenti fetali e la vitalità del feto. Peraltro l’ecografia, è, altresì, in grado, in particolare, di valutare anche il volume del liquido amniotico, onde accertare l’esistenza di un oligoidramnios o di un polidramnios, condizioni tali già da sole in grado di creare allarme sull’esistenza di una potenziale sofferenza fetale in atto. Vengono, poi, soprattutto esaminate le metodiche all’uopo utilizzate nelle immediate vicinanze del travaglio, per evidenziare prontamente un’eventuale condizione di sofferenza fetale in fieri, laddove, la cardiotocografia, in primis, con la descrizione delle varie anomalie del tracciato rilevabili e del significato prognostico attribuibile alle stesse, nonché la valutazione dei limiti stessi della metodica, per i falsi negativi e positivi talora accertabili, il partogramma, relativo alla dilatazione cervicale e alla discesa della testa del nascituro, ancora l’ecografia e la flussimetria, eventualmente l’elettrocardiografia indiretta del bambino, dall’addome materno, o quella diretta dalla testa del bambino, in caso di membrane rotte, o, infine il monitoraggio biochimico, sembrano rivestire un ruolo essenziale nella disamina del caso in specie, ai fini della constatazione di una sofferenza fetale. Da ultimo, sicuramente meritevole di osservazione sembra la situazione di una gravidanza ad alto od altissimo rischio, ciò che potrebbe predisporre ampiamente ad una situazione di sofferenza fetale cronica o acuta, all’atto del travaglio, per cui una diagnosi puntuale e rigorosa in tal senso appare essenziale proprio per evitare ripercussioni gravi sul nascituro ed eventuale responsabilità professionale a carico del medico che non abbia ben valutato la situazione clinica e non abbia predisposto gli opportuni presidi terapeutici. Le riflessioni medico legali finali, pertanto, ineriscono le varie condizioni morbose di sofferenza fetale evidenziabili, in forma acuta e cronica, le linee guida utilizzabili, in tal senso, circa i rimedi terapeutici di volta in volta attuabili, le conseguenze delle
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omissioni nell’ambito della condotta medica verificabili, specie in condizioni di acuzie come, ad esempio, una situazione ipossica dovuta ad emorragia da distacco placentare, la valutazione delle eventuali conseguenze cerebropatiche legate al danno ipossico realizzatosi, gli elementi di colpa eventualmente individuabili nell’ambito della condotta medica, in rapporto soprattutto alla valutazione di parametri utili a distinguere gli esiti cerebrali derivanti da un evento ipossico acuto intrapartum da altre forme neurologiche rilevabili alla nascita ma dovute ad altre cause.
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INTRODUZIONE
L’asfissia fetale intra partum rappresenta una causa importante di mortalità
perinatale.
Negli USA, da un’indagine condotta nel 1993, risulta che si erano verificati 700
decessi di bambini alla nascita, con una percentuale di soccombenza di circa il 17,3 per
100 mila nati vivi.
Tale dato va comunque riletto alla luce del fatto che in molti casi neonati in
situazioni di ipossia intrauterina necessitano di manovre rianimatorie e altri manifestano
complicanze importanti, quali acidosi e convulsioni meritevoli in ogni caso di pronto
intervento, per cui il problema della sofferenza fetale alla nascita appare assai più
complesso di una fredda disamina dei dati di incidenza annuale della mortalità
perinatale o connatale, per assumere dimensioni sicuramente più macroscopiche.
La gran parte dei feti è, in verità, in grado di sopportare una ipossia intrauterina
nel corso del travaglio senza, poi, soffrire di complicanze alla nascita, ma il solo
sospetto di sofferenza fetale in atto incide sensibilmente sulla probabilità di un parto
cesareo ai fini dell’espletamento dello stesso.
Non è ancora del tutto nota l’esatta incidenza della sofferenza fetale intra partum.
In base ai certificati di nascita, negli USA, nel 1991, l’incidenza di tale patologia
ammontava ad una cifra pari a 42,9 su 1.000 nati vivi, con picchi maggiori per le fasce
di età < a 20 anni e > di 40 anni, ovvero di razza nera.
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La tecnica principale universalmente accettata per lo screening della sofferenza
fetale e dell’ipossia nel corso del travaglio è, sicuramente la misurazione della frequenza
cardiaca fetale.
La rilevazione delle caratteristiche della frequenza cardiaca fetale è possibile nel
corso del monitoraggio sia manuale, con auscultazione, che elettronico, con la
cardiotocografia.
All’incremento di probabilità dell’esistenza di una sofferenza fetale in atto legato
a tali rilievi non è però attribuibile valore diagnostico assoluto, per la possibilità evidente
di falsi positivi.
D’altronde frequenze cardiache normali o dubbie non escludono la possibilità
della diagnosi di sofferenza fetale, onde anche l’esistenza di diversi falsi negativi.
Non esistono peraltro dati certi circa la percentuale dei falsi positivi o negativi
possibili, mancando, peraltro, una definizione precisa di sofferenza fetale.
Per lungo tempo, pertanto, l’acidosi e l’ipossiemia, verificati attraverso la
determinazione del pH sullo scalpo fetale, sono stati ritenuti parametri molto attendibili
di sofferenza fetale in atto, sia in campo clinico che di ricerca, ma attualmente appare
acclarato che nessuno dei due predetti dati possa essere ritenuto sicuro marker in senso
diagnostico di sofferenza fetale.
Pur tuttavia la cardiotocografia è sicuramente in grado di identificare numerosi
casi di sofferenza fetale ed è, pertanto, utilizzata per il monitoraggio di routine delle
donne in travaglio.
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L’utilizzo della metodica può definirsi, al momento pressoché universale, specie
nei paesi occidentali, laddove, nel 1991, negli USA è stata utilizzata in oltre il 75 % dei
casi.
Esistono due fattori in grado di interferire con l’affidabilità e l’accuratezza della
metodica, riguardo alla pratica clinica corrente, ed essi sono rappresentati da:
• metodo impiegato per misurare l’attività cardiaca fetale, e
• variabilità associata all’interpretazione del tracciato.
Riguardo al primo fattore da tenere in considerazione è da ritenersi che la
massima accuratezza venga o verrebbe raggiunta quando l’elettrodo venga applicato
direttamente sullo scalpo fetale, ciò che sottintende una metodica di tipo invasivo, con
amniotomia ed eventuali complicanze ipotizzabili a carico del feto.
E’ questo il metodo principalmente utilizzato negli studi clinici .
Infatti rispetto a metodi più tradizionali che utilizzano, ad es., l’ecografia esterna,
esiste uno scarto di circa il 20 – 25 % riguardo alla frequenza dei tracciati, con
differenze valutabili, in tal senso, mediamente intorno a 5 battiti al minuto fra la
rilevazione diretta sullo scalpo del feto e l’ecografia esterna.
Da ciò deriva l’assunto che l’ecografia esterna e l’auscultazione diretta del battito
fetale da parte del medico rappresentano delle metodiche gravate da una certa
consistente percentuale di errore in termini di attendibilità diagnostica.
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Esiste, inoltre un altro importante limite dell’impiego su larga scala della
cardiotocografia che è rappresentato dalla mancanza di univocità nell’interpretazione
dei risultati, legata spesso all’inesperienza dei clinici osservatori, con una quota
conseguente più elevata di risultati scorretti e di interventi terapeutici non necessari,
specie verificabile negli ospedali più piccoli e periferici.
In ogni caso appare chiaro che, in base a studi osservazionali svolti negli anni ‘60
e ’70, una diagnosi precoce di sofferenza fetale nel corso del travaglio, ottenuta grazie
all’uso del monitoraggio elettronico fetale è in grado di prevenire e ridurre il rischio di
morte intra partum, morte neonatale e deficit dello sviluppo neurologico malgrado i
limiti di carattere metodologico evidenziati in precedenza.
Molti studi effettuati in precedenza, finalizzati a confrontare il monitoraggio
elettronico fetale, con o senza il prelievo di sangue dallo scalpo fetale, con il
monitoraggio clinico attivo, con auscultazione intermittente, ad intervalli di 15 minuti, tra
il primo e il secondo stadio del travaglio, non hanno consentito di rilevare differenze
significative fra i diversi gruppi, sia in termini di morte intra partum o perinatale, che di
morbilità materna o neonatale che di indice di Apgar che, infine, di emogasanalisi
condotta su cordone ombelicale o di necessità di ventilazione assistita o di ricoveri in
terapia intensiva, malgrado che gli studi stessi, in teoria, possano essere stati gravati da
qualche errore sistematico di randomizzazione.
Malgrado ciò è importante sapere che, spesso, vista la dimensione dei campioni
utilizzati, gli intervalli di confidenza delle stime di rischio di morte perinatale sono tali da
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non poter escludere, a priori, possibili aumenti o diminuzioni della mortalità,
statisticamente e clinicamente significativi.
La riduzione del rischio, dovuta all’uso di tecniche più raffinate o invasive, in base
a studi successivi, parrebbe significativa solo in rapporto a travagli prolungati o all’uso
di ossitocina per indurre il parto.
Non è, comunque, ben accertato in che misura i neonati possano davvero trarre
benefico riguardo alla prevenzione delle convulsioni neonatali in rapporto all’uso del
monitoraggio.
Le convulsioni rappresentano, da sé, un fattore prognostico sfavorevole ai fini
dell’incidenza della morte intra partum o di sequele neurologiche a distanza.
Degli studi clinici hanno stabilito che la paralisi cerebrale ha un’incidenza media
variabile da 1,5 a 1,8 casi per mille nati.
L’utilizzo della metodica del monitoraggio fetale elettronico continuo ha
comportato, in base alla metanalisi, un incremento, in generale, da 1,3 a 2,7 volte del
rischio di parto cesareo e un aumento da 2,0 a 4,1 volte del rischio di parto cesareo per
sofferenza fetale.
Le varie associazioni di Ostetricia e Ginecologia americane consigliano un
monitoraggio fetale particolarmente intensivo in caso di gravidanza ad alto rischio, sia
con monitoraggio fetale elettronico che con auscultazione intermittente, a seconda delle
risorse localmente disponibili.
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In particolare le Linee Guida internazionali raccomandano, per le gravidanze a
basso rischio in donne sane, in travaglio di parto, una rilevazione intermittente del
battito cardiaco fetale, mentre il monitoraggio continuo è raccomandato solo nelle
gravidanze a rischio (rilevazione di una frequenza < 110 o > 160 battiti per minuto,
presenza di qualsiasi decelerazione, presenza di eventuali altri fattori di rischio
intrapartum, di carattere locale o generale).
Nonostante l’esistenza di talune incertezze circa l’accuratezza e l’affidabilità della
cardiotocografia nell’identificare i casi di sofferenza fetale, tale metodica rimane un
cardine della diagnostica in travaglio di parto.
Esistono, peraltro, dati confortanti nell’affermare, senza tema di smentita, che la
metodica fetale elettronica sia in grado di ridurre il rischio di convulsioni neonatali, in
caso di travaglio prolungato o indotto con ossitocina.
Condizioni materne più o meno stabili, come febbre, cali pressori, malattie
preesistenti, digiuni prolungati, farmaci, ovvero condizioni fetali patologiche, come
malattie cardiache congenite, cerebrali o di altro genere, situazioni fisiologiche, come
stati di sonno e veglia, epoca gestazionale, ecc., sono tutti fattori in grado di
influenzare la variabilità e le alterazioni del tracciato cardiotocografico.
Il tracciato cardiotocografico dimostra, in ogni caso, un ruolo importante nella
riduzione della mortalità intrauterina in caso di gravidanza ad alto rischio.
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Importante si rivela, talvolta il ruolo della cardiotocografia nelle gravidanze post
termine, poco in quelle pretermine, abbastanza nelle gravidanze multiple, apparendo
dubbio il significato del tracciato in caso di diabete gestazionale.
L’incidenza della asfissia fetale intrapartum è stata calcolata nell’ordine del 20/1.000
nati, con morbilità, per asfissie più o meno severe, nell’ordine del 3-4/1.000 nati.
Altri limiti della CTG derivano da aspetti tecnici secondari, come la diversa taratura
degli strumenti diagnostici, la diversa velocità di registrazione dei tracciati utilizzabile,
a 1,2 o 3 cm/min., e, in particolare dalla variabilità interpretativa intra o inter
osservatore.
Sono in atto dei tentativi atti ad utilizzare una CTG computerizzata rispetto a quella
tradizionale, sia per superare il limite della bassa riproducibilità della CTG
tradizionale che per mettere a punto dei software in grado di diagnosticare in modo
oggettivo i vari tracciati, senza l’ausilio dell’osservatore.
La CTG si rivela, di fatto, un ottimo supporto all’indagine ecografica e flussimetrica,
nell’ambito della sorveglianza materno – fetale, nei periodi ante partum e intra
partum.
Un suo utilizzo ottimale prevede:
• una buona conoscenza delle linee guida;
• un’analisi competente e dettagliata dei tracciati;
• il confronto con i dati clinici disponibili;
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• il confronto con i precedenti tracciati;
• integrazione con altre metodiche, quali, emogasanalisi, flussimetria, ecocardiografia
fetale, eventualmente, ossimetria fetale pulsata.
Andando, poi, nelle specifiche tecniche della cardiotocografia classica
convenzionale, è da considerare che la metodica è atta a registrare in maniera continua
e contestuale, la frequenza cardiaca fetale e l’attività contrattile uterina, in modo tale da
correlarle fra loro e svelare il più precocemente possibile situazioni di rischio legate a
condizioni di sofferenza fetale.
Il monitoraggio continuo mediante cardiotocografia (CTG) è finalizzato ad un
pronto intervento, prevalentemente o esclusivamente con parto cesareo immediato,
laddove si abbia la percezione di un insulto ipossico durante il travaglio.
Non si tratta, in ogni caso di una condizione, quella dell’ipossia intrapartum,
estremamente ricorrente, in rapporto alle sequele neurologiche post partum, poiché, in
base a statistiche di uso corrente, si è dimostrato che la stragrande maggioranza delle
paralisi spastiche infantili e di altre complicanze neurologiche neonatali sono da
attribuire a insulti che si verificano prima dell'inizio del travaglio (paralisi cerebrale).
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I parametri fondamentali che vanno ricercati e valutati in un tracciato
cardiotocografico sono, essenzialmente, in rapporto alla frequenza cardiaca basale, che
è rappresentata dalla frequenza media cardiaca fetale (almeno 60 sec.) misurata fra due
contrazioni uterine, essendo, normalmente la frequenza cardiaca basale variabile tra
120-160 batt/min; sono, quindi da ritenersi essenzialmente i seguenti:
A. variazioni della frequenza cardiaca basale, che si definiscono:
1. Tachicardia: per frequenze maggiori di 160 batt/min.: è prevalentemente attribuibile
ad iperpiressia materna, ad utilizzo di farmaci beta mimetici, ad ipossia fetale
transitoria, dovuta a stimolazione sistema ortosimpatico;
2. Bradicardia: in casi di frequenza minore di 120 batt/min., distinguibile in:
• cronica: con riduzione della frequenza del nodo seno-atriale a circa 100-110
batt/min.; prevale nelle gravidanze oltre il termine;
• acuta: con riduzione della frequenza, accertabile per differenza con il restante
tracciato, rispetto alla linea di base, della durata di almeno 5 min.: è in genere
segno di insulto ipossico e, quindi di sofferenza fetale acuta da danno ipossico in
atto;
B. Variabilità (intrinseca): riguarda la variazione subita dalla frequenza cardiaca basale,
di breve durata (pochi secondi), di tipo più o meno continuativo e di ampiezza
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diversa a seconda dei casi: è influenzata dal sistema nervoso autonomo del cuore
fetale.
Le accelerazioni sono rappresentate da variazioni della frequenza basale, rispetto
alla linea di base, in cui si ha un incremento di 15 battiti per almeno 15 secondi;
possono essere sporadiche o presentarsi in corrispondenza di contrazioni o movimenti
attivi fetali.
Le decelerazioni sono riduzioni della frequenza basale di durata relativamente
lunga (da 20 sec a 60 sec.) che, in rapporto alle contrazioni, possono essere:
1. precoci: iniziano e terminano contemporaneamente alla contrazione, sono
benigne ed indicano compressione della testa fetale con stimolazione dei centri
vagali.
2. tardive: iniziano con un certo ritardo rispetto all'inizio della contrazione uterina e
la loro durata supera quella della contrazione stessa. Hanno un significato
prognostico sfavorevole anche quando sono di ampiezza ridotta e diventano
allarmanti se associate a perdita della variabilità e a tachicardia; sono anche
segno di ipotensione della donna se in posizione supina.
3. variabili: iniziano e terminano in modo variabile rispetto alla contrazione uterina.
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Da sole se non confortate da altre anomalie della Frequenza Cardiaca Fetale non
sono associate ad esiti neonatali.
Riguardo, poi, alle Contrazioni uterine, ai fini diagnostici è necessario verificare
l'entità, il ritmo e la durata delle contrazioni uterine per un'adeguata gestione del
travaglio, in modo tale che è possibile individuare una IPOCINESIA, per contrazioni
ritmiche ma di scarsa entità, una IPERCINESIA, per contrazioni subentranti e un
IPERTONO, per contrazioni di durata superiore a 60-90 secondi.
Le manovre più indicate e i rimedi possibili e, nel caso dell’esistenza di elementi
sospetti al tracciato cardiotocografico, atte a rimuovere la causa, sono, da reputarsi
le seguenti:
1) cambiamento di posizione della gravida;
2) esplorazione vaginale per verificare l’esistenza o meno di un prolasso del funicolo;
3) sospensione dell’eventuale infusione di ossitocina;
4) somministrazione di ossigeno al 100% in maschera facciale ed idratazione;
5) eventuale trattamento tocolitico con betamimetici.
I rischi della tocolisi sono da ritenersi la tachicardia materna e fetale, la riduzione del
potasso sierico, l’iperglicemia materna e l’ipoglicemia neonatale.
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I benefici della tocolisi sono legati al miglioramento della perfusione dello spazio
intervilloso, al rallentamento delle contrazioni uterine, alla riduzione della
compressione sul funicolo, e, infine, al miglioramento dell'ossigenazione e del pH
fetale.
PH-METRIA
La pH-metria è la tecnica che consente, grazie all'effettuazione di un
microprelievo di sangue dalla cute dello scalpo fetale mediante amnioscopio, di
valutarne lo stato di acidemia e, indirettamente, quello di ossigenazione.
Il vantaggio principale è quello di permettere di avere un dato fedele dello stato
di ossigenazione fetale.
I limiti sono legati, essenzialmente al fatto che si tratta di una manovra invasiva
che può essere utilizzabile solo a travaglio avanzato, per la necessità di dilatazione in
grado di consentire l'introduzione di un amnioscopio nel collo dell'utero, essendo in
presenza di membrane rotte; peraltro può essere inficiata da liquido tinto e ha necessità
di valutazioni seriate.
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PULSIOSSIMETRIA
La pulsiossimetria è l'ossimetria pulsata, una metodica di recente acquisizione in
ambito ostetrico, che consente di monitorare il benessere fetale durante il travaglio di
parto in maniera costante ("real time") e diretta mediante la misurazione della
saturazione di O2 nel sangue fetale.
Questa tecnica si basa sull’uso di un saturimetro, costituito da un monitor e da
una sonda, che viene applicata sulla guancia del feto.
SPETTROSCOPIA
La Spettroscopia vicino-infrarosso (NIRS) è un metodo che utilizza la luce ad
infrarossi per misurare il flusso di ossigeno attraverso il cervello. Si può usare per tentare
di vedere se un feto è a rischio di danno di cervello da mancanza di ossigeno durante il
travaglio.
La NIRS è una metodica che prevede l’utilizzo di un cavo inserito attraverso la
cervice (aprendo il collo dell'utero) e fino alla testa del bambino.
La luce vicino agli infrarossi è emessa poi attraverso il cranio e cervello. Non
esistono evidenze statistiche sulla sua effettiva validità.
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Ci sono, in ogni caso, delle raccomandazioni dettate dalla varie associazioni
americane, fondate su prove di efficacia attendibili e coerenti fra loro che sembrano
dimostrare i seguenti asserti:
• la frequenza dei falsi positivi legati all’uso indiscriminato del monitoraggio fetale
elettronico è piuttosto elevata;
• l’utilizzo indiscriminato della metodica è associato ad un tasso elevato di interventi
operativi, quali il taglio cesareo, l’uso del forcipe, ecc.;
• la cardiotocografia non sembra in grado di ridurre i tassi di paralisi cerebrale.
Altre raccomandazioni indicano che:
• il travaglio di parto di donne partorienti che versano in condizioni di alto rischio
andrebbe monitorato in maniera continuativa;
• non esistono, attualmente indicazioni certe sull’utilizzo della ossimetria pulsatile fetale
nella pratica clinica quotidiana.
Ai fini medico legali tali considerazioni sembrano svolgere un ruolo significativo,
unite al fatto che la reinterpretazione dei tracciati cardiotocografici, specie quando è
ormai noto l’esito neonatale sfavorevole, non è da ritenersi affidabile e, quindi, non
appare scevro da errori.
Assai interessante, in ogni caso, appare sceverare le eventuali cause di paralisi
cerebrale onde poter valutare appieno l’incidenza dell’asfissia fetale intra partum fra i
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fattori scatenanti considerabili, ai fini dell’eziopatogenesi di tale grave infermità anche
avvalendosi delle moderne acquisizioni della scienza a tal proposito.
Nel 1997 è stato sviluppato un interessante lavoro di raccolta della moderna
letteratura, in tal senso da parte della Società Perinatale di Australia e Nuova Zelanda.
In particolare, la ricerca, avvalendosi del contributo di vari esperti dei settori
afferenti, riguardava il tempo dell’insorgenza delle affezioni neurologiche e l’epoca delle
manifestazioni cliniche nel periodo perinatale.
I problemi principali di tale studio apparirono subito in relazione alla validità delle
tecniche di immagine e dei radiogrammi nello stabilire, retrospettivamente, l’effettivo
momento d’inizio delle varie affezioni, la natura della patologia verificata e le cause
determinanti riguardanti le anomalie visionate nelle immagini radiografiche.
Andavano, soprattutto escluse le cause croniche di asfissia e andavano stabiliti
criteri certi per definire una danno ipossico acuto, in corso di travaglio di parto,
escludendo, altresì, eventuali altre cause che erano state in grado di provocare eventi
acuti neurologici.
In effetti è stato dimostrato che esistono molte altre cause in grado di
condizionare l’insorgenza di paralisi cerebrale e, fra queste, vanno annoverate,
nell’ordine:
• anomalie di sviluppo;
• malattie metaboliche;
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• malattie autoimmunitarie o della coagulazione;
• malattie infettive;
• oltre, si intende, i traumi e le asfissie o le ipossie che possono, eventualmente, colpire
i feti e i neonati.
In antitesi rispetto alle convinzioni e alle conclusioni del passato più o meno recente,
è stato possibile, in base agli studi epidemiologici svolti nell’occasione, che nella
maggior parte dei casi gli eventi che determinano la paralisi cerebrale si verificano
prevalentemente nel feto prima dell’inizio del travaglio o nel neonato dopo la nascita.
Di fatto, essendo i test clinici prenatali, atti a stabilire l’effettivo benessere fetale,
basati su misurazioni indirette, essi appaiono, per necessità di cose, inadeguati a
verificare la funzione cerebrale del feto.
Del resto un insulto ipossico o un’asfissia, durante il travaglio, può essere sospettato
in base a molti segni clinici, nessuno dei quali appare specifico per il danno ipossico
e che pertanto potrebbe essere indicativo di altri fattori o di altre condizioni morbose
a carico del feto.
Invece mettendo in associazione tali segni aspecifici o correlandoli con altre indagini
più oggettive è possibile accertare l’esistenza dell’ipossia in modo sicuramente molto
più affidabile.
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Nell’ambito della predetta revisione e del consenso su cui sono addivenuti i
gruppi di lavoro, i termini “sofferenza fetale” e “asfissia” sono stati ritenuti inadeguati
nella pratica clinica corrente.
Di questo avviso appaiono l'American College of Obstetricians and Gynecologists
e la Society of Obstetricians and Gynaecologists of Canada.
Il termine "sofferenza fetale" appare insoddisfacente e impreciso, per cui andrebbe
sicuramente soppiantato con l’espressione "condizione non rassicurante del feto per…",
adeguatamente corredata dalla descrizione dei segni clinici o dai test, che hanno
permesso di formulare tale diagnosi, come ad esempio, un’acidosi fetale di valore
patologico, determinata misurando il pH del sangue mediante prelievo nell'arteria
ombelicale e riscontrato di valore inferiore a 7.0.
Il termine “asfissia” è attribuito, invece, ad un difetto di scambio gassoso
respiratorio, associato allo sviluppo di acidosi metabolica conseguente.
Tale termine, invero, viene utilizzato prevalentemente o esclusivamente in
condizioni sperimentali, nel corso delle quali tali variazioni possono essere
effettivamente oggettivate ed accertate.
Nella pratica clinica corrente l'asfissia fetale è data dall’ipossiemia progressiva e
dall’ipercapnia associate ad una significativa acidosi metabolica apparendo
estremamente difficoltoso o impossibile accertare l’effettiva progressione di questi
cambiamenti.
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L’unico concreto elemento di valutazione, in tal senso, appare, invece, l’effettivo
momento della comparsa.
In base a tale distinzione è possibile definire fetali o prenatali quei segni e sintomi
che appaiono prima dell'inizio del travaglio, intraparto quelli che intervengono nel corso
del travaglio fino alla completa espulsione del bambino, e neonatali quelli che si
verificano dopo la nascita.
Il termine asfissia perinatale, apparendo molto più vago, viene, di norma,
utilizzato quando il momento di comparsa dei segni o dei sintomi della malattia è
incerto.
In base alle caratteristiche temporali, gli elementi semeiologici indicativi di
perturbamento o sfavorevolezza delle funzioni possono essere anche distinti come acuti
o cronici, di carattere continuo o intermittente.
L'encefalopatia neonatale riguarda la comparsa di una sindrome clinicamente
ben definita, che è rappresentata da una disfunzione neurologica presente nel bambino
nato a termine o vicino al termine, non la prematurità, quindi, che si evidenzia nel corso
della prima settimana successiva alla nascita con problemi respiratori legati alla
difficoltà di iniziare e mantenere costantemente l’atto respiratorio, riduzione del tono
muscolare e iporeflessia, alterazioni del livello basale di coscienza e, sovente
convulsioni.
Peraltro, non appare del tutto chiaro quali segni clinici indichino l’insorgenza di
una disfunzione neurologica in bambini nati molto prematuri.
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Ai fini diagnostici la semeiotica neurologica, classicamente intesa, riferita alle
forme di encefalopatia ischemica ipossica, non è assolutamente adottabile nella
fattispecie, in quanto l'ipossia e l'ischemia non sono correlabili alla presenza o assenza
di determinati markers clinici, intesi in senso classico neurologico, e non sembrano
rispondere assolutamente ai criteri diagnostici esercitabili in occasione di eventi ipossici
o ischemici cerebrali, tanto nelle forme acute che croniche.
E’ da ricordare e considerare che in oltre il 75% dei casi di insulti o lesioni
encefalopatiche cerebrali non si evidenziano segni clinici di ipossia in travaglio.
La diagnosi di paralisi cerebrale avviene, di solito alcuni mesi dopo o anno dopo la
nascita, quando le varie funzioni cerebrali si sono andate via via sviluppando,
consistendo, in genere, in un progressivo e anomalo controllo della motilità e della
postura, non esistendo, ad oggi, alcun sistema o metodo in grado di visualizzare e
monitorare, nell’ambito della pratica clinica quotidiana, lo sviluppo e il
funzionamento del cervello fetale.
In effetti le complicazioni principali si verificano nel periodo prenatale e
riguardano circa il 90 % delle cause di paralisi cerebrale, mentre nel restante 10 % dei
casi effettivamente può essere implicato il travaglio di parto, con i danni ipossici
conseguenti aventi origine antecedentemente o durante il travaglio medesimo, ciò che
non sempre è facile sceverare.
Nella maggior parte dei casi, stando alle statistiche di uso corrente, e, quindi in
proporzione considerevole, è possibile individuare la presenza di fattori determinanti ai
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fini dell’insorgenza della paralisi cerebrale, di tipo materno o prenatale, legati,
essenzialmente alla presenza di prematurità, IUGR (difetti di crescita fetale), infezioni
intrauterine, difetti della coagulazione fetale, emorragia prenatale, dovuta
prevalentemente o esclusivamente a distacco placentare, anomalie cromosomiche o
congenite, presentazione podalica, ecc..
Circa i segni o i sintomi indicativi di una compromissione fetale, è da ritenere che
variazioni della frequenza basale fetale, al tracciato cardiotocografico, o passaggio di
meconio non sono da ritenersi, in alcun modo esplicativi o indicativi di una specifica
particolare causa, facilmente individuabile, e neppure, di per sé, in assoluto di un danno
ipossico, contraddistinguendosi per la mancanza di sensibilità e/o specificità, in tal
senso.
La sola presenza, ad es., di un’acidosi metabolica, verificata attraverso
l’emogasanalisi fetale o dalla misurazione del pH fetale o neonatale di sangue arterioso
prelevato dal cordone ombelicale o tramite un prelievo precoce nel neonato, o in
entrambi i modi, pur apparendo di indubbio valore diagnostico nei riguardi della
presenza di una ipossia, non permettono di determinare alcuna altra caratterizzazione,
ovverosia, se trattasi di una forma cronica, intermittente o acuta, o, comunque, di lunga
durata, al punto di poter risalire, retrospettivamente, a giorni o settimane antecedenti, e
neppure, ad es., se un’ipossia acuta si è verificata nel corso del travaglio o nel corso
della nascita di un feto altrimenti sano, in precedenza.
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Ciò, intuitivamente, può comportare non pochi problemi di ordine clinico o,
ancor più, medico legale, nel momento in cui si pone la necessità di dover attribuire o
meno una determinata responsabilità professionale in rapporto al verificarsi di un certo
danno ipossico fetale o neonatale.
Un’insufficienza placentare verificatasi nel III° trimestre di gravidanza e
prolungata, con un’ipossia persistente e moderata nel tempo è in grado di indurre
alterazioni della mielinizzazione e di crescita del cervelletto.
Un episodio ipossico della dura di circa 12 ore, esordito nel II° trimestre di
gravidanza è in grado di determinare danni irreparabili alla sostanza bianca, con morte
neuronale a livello dell’ippocampo, della corteccia cerebrale e del cervelletto.
Da tutto quanto precedentemente espresso, si ribadisce il concetto che,
raramente, in generale, le complicazioni legate al travaglio sono collegabili
epidemiologicamente col determinismo causale della paralisi cerebrale comunque
verificatasi. Peraltro le lesioni cerebrali verificatesi nel feto nel corso di una cattiva
gravidanza appaiono, spesso multifocali, con possibile compromissione anche del
sistema autonomo che controlla il ritmo cardiaco e la respirazione.
Esiste anche l’ipotesi non peregrina che un pronto intervento messo in atto dagli
operatori, in una situazione di cronica compromissione ipossica, adeguatamente
individuata e segnalata, proprio per evitare o diminuire le conseguenze ipossiche legate
all’espletamento di un parto anche normale, possano essere malintese ovvero
interpretate come la dimostrazione indiretta e palese dell’esistenza di un danno ipossico
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acuto, onde l’attribuzione di profili di responsabilità professionale in caso di sequele
neurologiche evidenziabili a posteriori, verosimilmente dovute, magari, a situazioni di
ipossia cronica pregressa e non alle modalità di esplicazione del parto medesimo, con
ovvi, anomali riflessi di ordine medico legale.
Dunque un danno neurologico permanente o irreversibile, quale esito finale di
una situazione pregressa di cronica ipossia, perdurata nel corso della gravidanza o di
gran parte di essa, può manifestarsi e definirsi nel corso del travaglio di parto, magari in
un feto fino ad allora in grado di compensare ad una situazione circolatoria deficitaria,
anche nel caso che l’evolversi del parto sia stato monitorato ed espletato correttamente.
In base alla attuali conoscenze non è possibile stabilire, con certezza, se un parto
anticipato sia in grado, nelle gravidanze a rischio più o meno elevato, di ridurre
l’incidenza di paralisi cerebrale senza incrementare il rischio di complicazioni legate alla
prematurità.
Esistono, in ogni caso, livelli di evidenza capaci di suggerire se l’ipossia nel corso
del travaglio di parto sia in grado di provocare un danno neurologico permanente nel
nascituro, e si distinguono, a tal proposito, in criteri essenziali e criteri che insieme ne
suggeriscono l’eventualità, nel secondo caso, quindi, da correlare strettamente ai primi,
ai fini diagnostici specifici.
Volendoli raccogliere è possibile, pertanto distinguere:
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3.4.1 Conclusioni della "ACOG task force on neonatal encephalopathy and cerebral
palsy"
CRITERI ESSENZIALI PER DEFINIRE UN EVENTO ACUTO INTRAPARTUM SUFFICIENTE A CAUSARE PARALISI CEREBRALE (DEVONO ESSERE TUTTI PRESENTI) • Evidenza di acidosi metabolica sul sangue dell'arteria ombelicale ottenuto alla
nascita (pH <7.00 e deficit di basi > o = 12 nmol/l)
• Insorgenza precoce di severa o moderata encefalopatia neonatale in neonati >34
o= 34 settimane di gestazione
• Paralisi cerebrale dei tipo tetraplegia spastíca o discinetica
• Esclusione di altre eziologie identificabili, come traumi, disordini della coagulazione,
infezioni o patologie genetiche.
CRITERI CHE ASSIEME SUGGERISCONO UN TIMING INTRAPARTUM (VICINO A
TRAVAGLIO E PARTO) MA CHE NON SONO SPECIFICI DI UN INSULTO IPOSSICO
• Evento ipossico sentinella che intervenga immediatamente prima o durante il
travaglio
• Improvvisa e prolungata bradicardia fetale o assenza di variabilità dei tracciato CTG
con la contemporanea presenza di decelerazíoni tardive ripetute o di decelerazioni
variabili ripetute, di norma dopo un evento ipossico sentinella, con un tracciato
precedentemente normale,
• Punteggio di Apgar di 0-3 per più di 5 minuti
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• Comparsa precoce (entro 72 ore) di coinvolgimento multisistemico
• Evidenza precoce alla diagnostica per immagini di un'anormalità cerebrale acuta
non focale
ESEMPI DI EVENTI IPOSSICI SENTINELLA
• Rottura d'utero • Distacco di placenta • Prolasso di funicolo • Embolia di liquido amniotico Anemizzazione acuta fetale (da vasa previa o da
emorragia feto-materna)
La dimostrazione dell’esistenza di una causa ipossica capace di determinare una
paralisi cerebrale, nel corso del travaglio di parto, passa attraverso la dimostrazione
della coesistenza dei quattro criteri essenziali, altrimenti resta impossibile invocarli e
qualificarli come fattori discriminanti ai fini dell’insorgenza della paralisi medesima.
L’ipossia può dedursi solo mediante l’acquisizione di dati anomali desunti
dall’effettuazione dell’emogasanalisi in corso di travaglio, condizione ipossica che è
impossibile verificare indirettamente attraverso altri segni da ritenersi non specifici, ed
è, comunque, difficile dedurre il momento d’inizio del danno cerebrale ipossico che
resta, pertanto, assai dubbioso.
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Altrettanto attesa altamente è anche un’acidosi metabolica alla nascita, in caso di
evento acuto ipossico dannoso nel corso del travaglio di parto, anche se tale elemento
da solo, non è dimostrativo in tal senso, riscontrandosi in circa il 2 % dei bambini alla
nascita, per condizioni morbose preesistenti al travaglio.
In ogni caso, come anche detto in precedenza, è assai raro che marcate
encefalopatie in bambini nati oltre la 34^ settimana di gestazione, possano essere
attribuibili ad eventi ipossici acuti verificatisi in corso di travaglio.
Nei bambini nati a termine, ai fini della valutazione della gravità
dell’encefalopatia alla nascita ci si avvale della gradazione di Sarnat, con criteri
differenziali atti a dimostrare la diversa entità di forme moderate e gravi.
In caso di prematurità i criteri sono molto meno categorici e, quindi, stati
comportamentali neonatali anomali sono difficilmente attribuibili, in tal caso, ad ipossie
acute marcate in corso di travaglio.
Le varietà nosografiche sintomatologiche derivabili da eventi acuti ipossici in
corso di travaglio riguardano essenzialmente la tetraplegia spastica e la paralisi
cerebrale discinetica.
La tetraplegia spastica può dipendere anche da altre cause che non il travaglio di
parto, verificandosi in tale ultima circostanza solo nel 24 % dei casi complessivi, pur
rientrando nei criteri essenziali.
L’emiplegia, la paraplegia spastica e l’atassia sono state pure associate ad ipossie
in travaglio.
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Forme di autismo, ritardo mentale o disturbi dell’apprendimento possono ancora
essere associati ad eventi ipossici in travaglio, come pure le oligofrenie gravi o
gravissime.
Forme progressive neurologiche di tipo motorio sono da ritenersi incompatibili
con eventi ipossici acuti in corso di travaglio, rapportandosi a forme e condizioni più o
meno rare, di carattere genetico.
I criteri che insieme suggeriscono l’eventualità di esiti neurologici residui,
meritano, comunque un approfondimento specifico in ordine alle loro caratteristiche e
alla loro importanza.
Per quanto riguarda gli eventi ipossici sentinella è da considerare che nel feto
sano esistono diversi meccanismi fisiologici tali da compensare adeguatamente episodi
transitori e ricorrenti di ipossia che si possono verifcare nel corso del travaglio.
Accade così che per un feto integro sotto il profilo neurologico e che non abbia
sofferto in precedenza per forme di ipossia cronica è necessario un severo danno
ipossico sentinella per determinare un vero dannno cerebrale ipossico.
Tali, ad es., si possono rivelare situazioni critiche come la rottura dell’utero, il
distacco di placenta, il prolasso del funicolo, l’embolia di liquido amniotico, l’emorragia
dovuta alla presenza anomala di vasi previ e l’emorragia feto – materna.
Un evento ipossico che si verifichi prima del parto o nel corso del travaglio può
rimanere silente alla nascita e svelarsi solo nel futuro, quando si sviluppano le funzioni
cerebrali in modo completo.
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Riguardo alla frequenza basale cardiaca, monitorata con il cardiotocografo, si è
più volte ripetuto che essa non è in grado, da sola, di prevenire la paralisi cerebrale.
Anche in caso di decelerazioni tardive multiple o di diminuita variabilità beat to
beat non è possibile formulare una diagnosi specifica di previsione della paralisi
cerebrale, in quanto tali aspetti, ritenuti, apparentemente, molto peculiari e predittivi in
tal senso, sono, invero, gravati da un’altissima percentuale di falsi positivi, pari a circa il
99,8 %, in base alle casistiche in tal senso.
Il vero problema è rappresentato dalla decisione inerente la scelta del parto
anticipato ovvero del cesareo, scelta che sottintende, soprattutto, la mancanza di rischi
per la salute o la vita della madre.
Sotto il profilo clinico e medico legale va, in particolare, ritenuto il concetto che,
l’esatta cognizione dell’esito favorevole o meno dell’espletamento del parto, distorce, di
fatto, il giudizio degli specialisti ostetrici chiamati a pronunciarsi sull’appropriatezza
dell’assistenza.
In genere, non esiste accordo o consenso circa l’atteggiamento da tenere in
rapporto alle caratteristiche rivelatesi più o meno anomale della gran parte dei tracciati.
Esistono, comunque, almeno due diverse circostanze indicative di uno stato di
benessere o malessere del feto, riguardanti la presenza o l’assenza di acidosi.
Nel caso in cui la linea di base del tracciato cardiotocografico rientri nei limiti
della normalità, con 110-160 battiti al minuto e con una variabilità moderata, di 6-25
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battiti al minuto, in assenza di decelerazioni, è lecito pensare che non ci sia rischio di
acidosi.
Al contrario, in caso di assenza di variabilità e in presenza di decelerazioni tardive
o variabili o di bradicardia, si può ritenere ipotizzabile la presenza di un’acidosi
potenzialmente nociva per il feto.
Appare, peraltro assai difficile valutare il significato da attribuire ai punteggi di
Apgar in rapporto alla possibilità di una ipossia dannosa.
Si tratta, come è noto, di un metodo rapido e soggettivo per valutare le condizioni
del neonato.
I punteggi di Apgar, singolarmente presi, non sono in grado di identificare la
causa della condizione morbosa rivelata, che può non necessariamente dipendere da
un’ipossia acuta.
E’ da ritenere che nei neonati prematuri assuma un valore diagnostico molto
limitato.
Una sua durata limitata può soltanto riflettere l’opera di un’efficace rianimazione
senza essere in grado di predire, più di tanto, l’esito.
Teoricamente una grave ipossia può coinvolgere a vari livelli e con diverse
ripercussioni gli organi più sensibili, oltre al cervello, con ad es., necrosi intestinale,
insufficienza renale, danni epatici o cardiaci, ematologici, ecc., ma in caso di ipossia
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acuta, che di solito interessa i diversi organi ed apparati, è difficile, comunque, valutare
l’entità delle disfunzioni a loro carico.
La diagnostica per immagini può essere in grado di suggerire la comparsa di un
eventuale edema cerebrale entro le prime 6-12 ore successive ad un insulto cerebrale
acuto, edema che poi scompare entro 4 giorni, ma è in grado di rilevare solo aspetti
macroscopici e non già danni intracellulari eventualmente prodottisi.
Peraltro non appare in grado di svelare, per il momento l’esatta epoca dell’evento
iniziale o principale, con una certa affidabilità, ma solo in modo piuttosto
approssimativo.
Sono, inoltre contemplati in letteratura diversi fattori in grado di sostenere
l’insorgenza di una paralisi cerebrale e, fra essi, vanno annoverati i seguenti:
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FATTORI CAUSALI DI PARALISI CEREBRALE DIVERSI DALL’IPOSSIA ACUTA
• Alterazioni metaboliche con deficit di basi inferiore a 12 mmol/l o pH maggiore
di 7.00 in arteria ombelicale
• Anomalie congenite o metaboliche maggiori o multiple
• Infezioni del sistema nervoso centrale o sistemiche
• Anomalie neurologiche rivelate attraverso immagini diagnostiche precoci, già
intervenute in epoche pregresse, tali, ad esempio, ventricolomegalia,
porencefalia, encefalomalacia multicistica
• Segni di rallentamento di crescita intrauterina
• Tracciato CTG con ridotta variabilità del ritmo cardiaco dall’inizio del travaglio
• Microcefalia alla nascita (Circonferenza cranica < 3° percentile)
• Distacco di placenta di grave entità prima del travaglio
• Estesa infiammazione dei villi coriali e del liquido amniotico
• Difetti congeniti di coagulazione del neonato
• Altri importanti fattori di rischio in grado di causare la paralisi cerebrale come, ad
esempio, parto prematuro al di sotto delle 34 settimane di gestazione, gravidanza
multipla, o malattie autoimmuni
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• Severi fattori di rischio postnatali di paralisi cerebrale, come, ad esempio,
encefalite postnatale, prolungati cali pressori od ipossia collegabili ad una grave
malattia respiratoria concomitante
• Antecedenti anamnestici a carico di ascendenti o collaterali riferiti alla comparsa
di paralisi cerebrale, in special modo se ritenuta dello stesso tenore.
Nettamente di minore valore predittivo della paralisi cerebrale appaiono altri segni
quali, ad es., la comparsa di liquido amniotico tinto di meconio.
Maggiore rilevanza può invece essere associata ad alcune importanti e frequenti
patologie ostetriche, fra le quali vanno sicuramente annoverate l’oligoidramnios e
l’invecchiamento placentare.
Entrambi tali patologie sono in grado di mettere gravemente a rischio la vita del
nascituro e sono, comunque, da ritenersi fattori precipitanti di estrema rilevanza
pratica ai fini di un esito favorevole del parto e, ipoteticamente capaci di sostenere
situazioni ipossiche severe con danni cerebrali conseguenti.
Importanti considerazioni investono, poi, la problematica della possibile prevenzione
delle sequele neurologiche nel caso in cui non sia stato rilevato alcun tipo di evento
ipossico sentinella.
Gli aspetti dirimenti della questione riguardano, in particolare il giudizio postumo alle
sequele medesime, inerente la possibilità di accertare se un intervento ostetrico più
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rapido e tempestivo avrebbe potuto evitare, nelle singole fattispecie, l’instaurarsi di un
danno cerebrale permamente di tipo ipossico.
Sotto tale profilo appare dirimente giudicare le condizioni e l’organizzazione
disponibile al momento dell’espletamento del parto e verificare se l’entità e la durata
di ogni eventuale alterazione della risposta clinica possano essere considerate di
carattere critico in relazione allo sviluppo di una paralisi cerebrale.
In realtà non è nota la soglia della durata e dell’entità dell’evento ipossico che sia
sperimentalmente in grado di provocare la paralisi cerebrale, in ragione dei numerosi
meccanismi fisiologici esistenti in grado di prevenire il danno, della diversa risposta
dei soggetti agli insulti ischemici e della possibile evenienza di ipossie fetali croniche
pregresse.
In sede di indagine retrospettiva appare estremamente importante, pertanto valutare
tutti i seguenti ordini di fattori:
• ricognizione di eventuali fattori di rischio di paralisi cerebrale preesistenti al parto;
• rilievo della presenza eventuale di un evento ipossico sentinella;
valutazione circa l’esistenza, nella fattispecie di eventuali interventi o presidi
terapeutici in grado di minimizzare le possibilità di una paralisi cerebrale;
• elementi di cognizione, ovvero segni e sintomi in grado di dimostrare la circostanza
di un evento ipossico intra partum;
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• possibilità di identificazione diagnostica dei segni di compromissione fetale
eventualmente manifestatisi;
• verifica dell’entità di un eventuale ritardo nell’espletamento del parto, tale da
comportare danni ipossici importanti o maggior rischio per il feto;
• bilancio dell’impatto eventuale dell’espletamento più rapido del parto sulla salute
della madre;
• in definitiva, giudizio sulla capacità di una maggiore tempestività dell’espletamento
del parto di recitare un ruolo determinante ai fini di un miglior esito o di un esito
completamente favorevole.
Una simile disamina, comunque, anche se delinea l’indirizzo generale di un’indagine
retrospettiva, pecca, sicuramente, di genericità non potendosi, così come delineata,
applicare a casi specifici e a situazioni particolari, ancorché standardizzate, nella
prassi clinica corrente.
Può essere utile nella diagnosi differenziale tra ipossiemia cronica e acuta
valutare i risultati di alcune indagini effettuate in corso di gravidanza, quali:
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• la flussimetria che misura il flusso del sangue in un vaso, e si avvale della tecnica
flussimetrica doppler, utile per lo studio dell’emodinamica fetale, feto – placentare e
utero – placentare;
• il monitoraggio ecografico che va eseguito, come noto, almeno in tre occasioni,
ossia fra la 8^ e la 12^ settimana di gestazione, fra la 18^ e la 22^ e alla 32^,
in quest’ultimo caso per valutare l’accrescimento del feto, ecografia biometrica, o
fare diagnosi di malformazioni insorte dopo il 2° esame ecografico, per poter
evidenziare eventuali difetti di crescita, di tipo simmetrico o asimmetrico, o un
eventuale arresto di crescita, o anche un deficit transitorio di crescita, da addebitare
a patologie ad andamento cronico
La determinazione del pH su scalpo fetale, con la conseguente valutazione della
presenza di acidosi e di ipossiemia, per quanto ritenuti indicativi, insieme agli altri
eventuali dati strumentali e laboratoristici o clinici, della possibile esistenza di ipossiemia
fetale, da soli non sono in grado di far porre diagnosi sic et simpliciter di sofferenza
fetale.
La non univocità esistente circa l’interpretazione dei tracciati CTG, specie da parte
di personale non esperto o poco esperto, rappresenta un altro evidente limite della
metodica.
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In ultimissima analisi lo scopo principale di una metodica come la CTG dovrebbe
essere, appunto, quello di una diagnosi precoce di sofferenza fetale ipossica, ma in
base a molti lavori scientifici in materia il suo utilizzo non ha comportato,
apparentemente riduzione della mortalità neonatale, migliori punteggi di Apgar, migliori
dati di emogasanalisi né riduzione della morbilità neonatale, per cui il ruolo nel
monitoraggio elettronico pre partum e intra partum resta molto discusso.
In compenso il monitoraggio cardiotocografico sembra aver provocato un aumento
dei parti cesarei.
Il monitoraggio parrebbe, invece apportare dei vantaggi nei travagli complicati,
prolungati o indotti con ossitocina, laddove viene anche raccomandato il prelievo di
sangue da scalpo fetale per la misura del pH sanguigno fetale.
Alla luce di tutte le predette considerazioni, appare molto interessante il discorso
che riguarda la problematica inerente le Linee Guida.
Vengono, negli USA, distinti tre diversi livelli di assistenza ostetrica, in base alla
disponibilità delle risorse dei Centri di cura esistenti, alla possibilità di risoluzione di
problemi di differente complessità e alla qualificazione dei medici e del personale
parasanitario afferente ai centri ospedalieri.
Le linee guida possono, pertanto, essere adottate o modificate in base alle
circostanze.
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La circostanza dell’esistenza di centri in grado di far fronte a qualsiasi tipo di
problema è da ritenersi puramente ideale.
Nelle istituzioni considerate di III° Livello la presenza costante di medici capaci di
affrontare le diverse esigenze del caso, comprende le strutture e il personale riservati ai
parti cesarei che è, poi da ritenersi la più importante.
Lo sforzo maggiore dovrebbe essere improntato verso un tipo di organizzazione
capace di far fronte a qualsiasi tipo di emergenza, con la presenza costante degli
specialisti garantita in ogni momento.
In tutti gli ospedali provvisti di reparti ostetrici la presenza dei medici dovrebbe
essere rapportata alla prevedibili esigenze di ogni singolo paziente, alle strutture idonee
per accogliere le donne in travaglio e al numero dei travagli prevedibili.
Esistono, poi delle indicazioni relative alla comunicazione fra i medici e le diverse
strutture afferenti, atte ad ottimizzare ed armonizzare tempi e modi relativi all’assistenza
alle partorienti.
L’importanza, talvolta, di cure individualizzate nei centri ostetrici è da ritenersi
dirimente nei casi di emergenza.
Il primo concetto parte dalla definizione dei tre diversi livelli delle Unità
Ospedaliere Ostetriche di cura e prevede, nell’ordine:
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Livello I°: un ospedale periferico che provvede alle cure delle partorienti che non
presentano fattori di rischio maggiori e possono, normalmente, fare a meno del
supporto degli specialisti con particolari tipi di addestramento;
Livello II°: un centro od ospedale regionale che provvede alle cure delle gravidanze sia a
basso che ad alto rischio con supporto degli specialisti con particolari tipi di
competenze;
Livello III°: un centro od ospedale interregionale particolarmente attrezzato che provvede
alle cure delle gravidanze ad alto rischio, attrezzati con servizi idonei per l’assistenza
perinatale, neonatale e di rianimazione presenti in sede.
Questa definizione è stata formulata nella edizione dell’aprile 2000 del Family-
Centred Maternity e del Newborn Care, a titolo: National Guidelines.
Protocolli di emergenza per il trasferimento delle partorienti in centri
adeguatamente attrezzati per i parti cesarei sono da valutarsi e adottarsi nel modo più
opportuno.
Dovrebbero, altresì essere adottati nei tempi più brevi protocolli per la pronta
risoluzione di problemi derivanti dalla necessità di trasferimento dei casi ad alto rischio
in idonei centri di cura.
Delle regole condivise in tal senso dovrebbero essere stabilite e portate alla
diretta conoscenza di medici, personale professionale specializzato, ovvero pubblicizzate
fra gli addetti nel modo più giusto e corretto.
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Delle Linee Guida sono state redatte dalla SOGC Clinical Practice Obstetrics
Committee, Maternal Fetal Medicine Committee, e ALARM Committee, anche con
l’ausilio della Canadian Medical Protective Association.
Lo sponsor è la Società di Ostetrici e Ginecologi del Canada.
In conclusione, le raccomandazioni e i punti critici valutati dalle associazioni di
ostetricia canadesi e americane possono essere applicate anche alla pratica clinica di
uso corrente nel nostro paese e, in particolare gli elementi nevralgici dell’assistenza
ottimale ai parti, in corso di travaglio, possono essere elencati e descritti nel modo
seguente:
1. tempi adeguati di attesa di un medico, ai fini dell’assistenza;
2. conoscenza di qualsiasi fattore di rischio prenatale che dovrebbe essere
accuratamente analizzato e prevenuto nel corso del travaglio; i fattori di rischio intra
partum dovrebbero essere posti su un piano diverso e i problemi inerenti esistenti
affrontati in un lasso di tempo ragionevole;
3. la sostituzione dei medici assenti dovrebbe avvenire con medici di eguali competenze
e opportunamente informati sui fatti e aspetti importanti che riguardano il caso in
specie;
4. i tempi della progressione del travaglio dovrebbero essere ben identificabili e
adeguatamente annotati e misurati;
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5. il monitoraggio del cuore fetale, mediante auscultazione diretta fisica sull’addome
della paziente o tramite monitoraggio elettronico cardiotocografico, dovrebbe essere
attuato in accordo con i protocolli standard esistenti e interpretati nel modo più
esatto;
6. le indicazioni relative ad ogni tipo di intervento attuabile nella circostanza
dovrebbero essere basate su argomenti e tesi validate e competenti, documentando
molto bene i tempi dei vari eventi; quando è richiesto l’ausilio di tecniche strumentali,
come il forcipe o attrezzi di altro genere, la SOGC raccomanda l’aderenza a
definizioni accettabili di piccolo o medio forcipe, in aderenza proprio alle linee guida
promosse dalla predetta associazione;
7. gli aspetti rilevanti del travaglio e del parto dovrebbero essere chiaramente riportati
contemporaneamente e concordemente da parte del personale coinvolto
nell’assistenza;
8. l’emogasanalisi dovrebbe essere effettuata routinariamente; immediatamente dopo il
parto il funicolo viene doppiamente clampato e così con una siringa è possibile
effettuare un prelievo di sangue da inviare al laboratorio oper l’emogasanalisi;
9. non è auspicabile la dilazione dell’emogasanalisi a 24 ore dal prelievo in quanto un
deterioramento improvviso delle condizioni del neonato o la sua morte si possono
verificare anche dopo un parto normale; questo tipo di analisi possono consentire di
attingere importanti informazioni tali da preservare la salute del neonato; la siringa
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eparinizzata con il prelievo eseguito va tenuta in ghiaccio in quanto la successiva
analisi può essere effettuata fino a 60 ore dopo il parto;
10. tutti gli ospedali dovrebbero adottare queste procedure nei piani previsionali di
cura ostetrica. L’emogasanalisi di routine può consentire un’assistenza appropriata
del neonato;
11. il settore delle emergenze relative ai parti cesarei dovrebbe essere allertato ed
equipaggiato anche quando non venga sospettata una sofferenza fetale acuta e il
parto non sia imminente;
12. in casi ostetrici in cui la sofferenza fetale acuta e/o materna non è evidente ma in
cui la situazione clinica del paziente o la progressione del travaglio è tale da
richiederlo, occorre mettere in atto il taglio cesareo urgente, ciò che è sicuramente
indicato;
13. i motivi per cui il cesareo venga eventualmente procrastinato dovrebbero essere
riportati, in dettaglio, nella cartella clinica ostetrica, anestetica e del personale di
nursing;
14. in caso di fallimento dell’espletamento di parto per via trans vaginale, ovvero per
distocia di parto, o nell’evenienza di gravidanze multiple o per problemi che
persistono malgrado l’uso del forcipe, in ogni caso, comunque in cui il parto
naturale o assistito si dimostri indaginoso o impossibile, è sicuramente indicato il
taglio cesareo senza ulteriori ritardi;
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15. ci potrebbe essere necessità di comunicazione di casi difficili tra la sala parto e la
sala operatoria; gli addetti alla sorveglianza dovrebbero ottimizzare in modo
appropriato i tempi di risposta per le necessità di cura dei pazienti;
In pratica le linee guida definiscono gli standard delle prestazioni attraverso
l’applicazione e la documentazione del monitoraggio fetale in travaglio, ciò che
potrebbe diminuire l’incidenza sia dell’asfissia che del tasso degli interventi ostetrici.
Vengono prese in considerazioni sia le gravidanze a basso che ad alto rischio.
Queste linee guida dovrebbero essere usate da tutte le persone impegnate
all’assistenza intra partum, comprese le nurse i medici e il personale paramedico.
Ulteriori utili raccomandazioni riguardano lo standard di monitoraggio e
sorveglianza in travaglio e indicano quanto segue:
1. il monitoraggio con l’auscultazione intermittente viene stabilito nel protocollo di
sorveglianza e risponde al metodo elettivo della sorveglianza fetale nella fasi di
travaglio di parto;
2. l’induzione del travaglio richiede il monitoraggio dell’attività uterina e della
frequenza basale fetale con cardiotocografo;
3. in presenza di anomale frequenze fetali le cui caratteristiche sono svelate mediante
l’auscultazione intermittente fetale e non responsive alle manovre rianimatorie, la
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sorveglianza dovrebbe proseguire con il monitoraggio fetale elettronico con
cardiotocografia o rilevazione diretta della frequenza sullo scalpo fetale, fino
all’espletamento del parto;
4. il monitoraggio fetale cardiaco elettronico continuo viene raccomandato:
• per le gravidanze in cui esiste un più alto rischio di morte, paralisi
cerebrale o encefalopatia neonatale;
• quando viene usata l’ossiticina per provocare o accelerare il travaglio;
5. in caso di monitoraggio elettronico fetale, tutti i professionisti dovrebbero conoscere
la velocità utilizzata per i tracciati e ogni caso di difficile o dubbia interpretazione; i
tempi utilizzati nella misurazione dovrebbero essere opportunamente memorizzati e
riportati;
6. i traccati del monitoraggio elettronico fetale dovrebbero essere valutati e
documentati ogni 15 minuti, nella fase attiva del travaglio e ogni 5 minuti nel II°
stadio del travaglio;
7. il pattern relativo ai tracciati CTG deve essere costantemente confrontato con quello
relativo alle contrazioni uterine; la frequenza, la durata e l’intesità delle contrazioni e
il retstante tono dovrebbe essere verificato e riportato documentalmente; la
palpazione addominale con un tocodinamometro o un catetere per misurare la
pressione intrauterina possono essere usati per facilitare il controllo;
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8. dovrebbe essere utilizzato uno standard di terminologia atto a descrivere le
caratteristiche del tracciato CTG e le misure relative del monitoraggio elettronico
fetale;
9. il prelievo di sangue dallo scalpo fetale viene raccomandato in associazione con il
monitoraggio elettronico fetale che non è interpretabile o dubbio, come, ad es., una
minima e sostenuta assenza di variabilità, lunghe decelerazioni che non si
correggono, tachicardia fetale e caratteristiche anormali del tracciato basale o
dell’auscultazione;
10. l’utilizzo dell’ossimetria pulsata fetale quale integrazione del monitoraggio della
frequenza basale fetale non è attualmente altrettanto raccomandato; viene,
comunque, auspicato;
11. l’uso di metodiche computerizzate di analisi del tracciato è auspicata ma non
raccomandata;
12. anche la spettroscopia ad infrarossi in aggiunta alla CTG non viene
raccomandata; studi futuri su tutte le predette metodiche sono, comunque,
incoraggiati;
13. nell’ambito degli interventi e della gestione della situazione, in rapporto a
frequenza basali fetali anomale o di altre potenziali cause di allarme, o anche di
condizioni materne pericolose o di innalzamento della temperatura materna, è
indicato un esame vaginale.
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L’attenzione principale è rivolta all’eliminazione o alla riduzione degli effetti dei
problemi e/o delle cause.
L’intervento può anche essere teso a risolvere 4 situazioni ritenute fisiologiche:
• deficit di flusso di sangue uterino;
• deficit di flusso di sangue ombelicale;
• deficit di ossigenazione;
• decremento dell’attività uterina.
Misure di sorveglianza aggiuntive possono riguardare, come detto, il monitoraggio
elettronico fetale invece della semplice auscultazione intermittente, l’emogasanalisi
attraverso l’arteria ombelicale, ecc., come previsto in precedenza, laddove occorre
notificare la situazione di allarme al responsabile del reparto, considerare la
possibilità o meno che il problema possa o meno essere risolto, valutare, quindi, le
decisioni in merito da prendere.
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CONSIDERAZIONI MEDICO LEGALI E CONCLUSIONI
Da tutto quanto detto e analizzato in precedenza, appare chiaro che il problema
del monitoraggio nel corso del travaglio di parto o del parto medesimo non appare di
facile soluzione e non esistono indirizzi certi e sicuri in grado di prevenire una situazione
di ipossia fetale o ancor meno le sue più o meno imprevedibili conseguenze, nell’ambito
delle encefalopatie neonatali o infantili o delle paralisi cerebrali.
Il monitoraggio fetale elettronico con la cardiotocografia, metodo attualmente
utilizzato in prevalenza nella stragrande maggioranza dei paesi con un sistema sanitario
sufficientemente sviluppato, non sembra in grado di accertare in modo affidabile
l’insorgenza più o meno improvvisa di una situazione ipossica acuta o cronica e
soprattutto di prevenire e permettere di rimuovere le condizioni ipossiche in grado di
determinare la paralisi infantile.
Le analisi retrospettive dei tracciati CTG, magari in situazioni già chiaramente
compromesse sotto il profilo neurologico e con esito sfavorevole appaiono, comunque,
gravate da condizionamenti legati agli effetti negativi ormai noti da parte degli esperti
chiamati a svolgere un’indagine peritale in giudizio.
Al di là di queste generiche considerazioni, il problema vero risiede nella difficile
valutazione, nell’ambito della colpa professionale, dei reati di tipo omissivo, laddove, al
di là del rilevamento del danno, ovvero della sua oggettivazione, e dell’esistenza più o
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meno dimostrata di una colpa professionale medica, resta sempre molto difficile
dimostrare, soprattutto, che esiste un reale nesso di causalità materiale che collega la
colpa e il danno, nel senso che è spesso molto difficile riuscire a trovare un netto
collegamento fra la colpa e il danno che, attendibilmente si è generato.
Nel caso specifico è, talvolta, assai difficile mettere in correlazione una eventuale
omissione relativa ad un atto medico e le sue ipotetiche conseguenze neurologiche o la
morte del nascituro.
A tal proposito va ricordato che, in base alle ultime sentenze della Cassazione, le
probabilità che il verificarsi di un evento dannoso siano dovute ad un reato omissivo, o
anche commissivo, nell’ambito della colpa medica, devono ritenersi assai vicine alla
ragionevole certezza per poter attribuire a quella determinata azione od omissione il
crisma della responsabilità professionale medica.
In tal senso va ritenuta “epocale” la sentenza Franzese, delle Sezioni Unite della
Corte di Cassazione, n. 30328, del 11/9/2002 in cui, nell'affermare la sussistenza di
responsabilità omissiva del medico, si richiedeva un elevato grado di probabilità
razionale di evitare l'evento.
E' stata, quindi, sottoposta all'esame delle Sezioni Unite la controversa questione
se "in tema di reato colposo omissivo improprio”, la sussistenza del nesso di causalità fra
condotta omissiva ed evento, con particolare riguardo alla materia della responsabilità
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professionale del medico chirurgo, debba essere ricondotta all'accertamento che, con il
comportamento dovuto ed omesso, l'evento sarebbe stato impedito con elevato grado di
probabilità “vicino alla certezza”, e cioè in una percentuale di casi “quasi prossima a
cento”, ovvero siano sufficienti, al contrario, a tal fine, soltanto “serie ed apprezzabili
probabilità di successo” della condotta che avrebbe potuto impedire l'evento.
Sul tema si sono, quindi, delineati due indirizzi interpretativi all'interno della
Quarta Sezione della Corte di Cassazione: al primo orientamento, tradizionale e
maggioritario (ex plurimis, Sez. IV, 7.1.1983, Melis, rv. 158947; 2.4.1987, Ziliotto, rv.
176402; 7.3.1989, Prinzivalli, rv. 181334; 23.1.1990, Pasolini, rv. 184561;
13.6.1990, D'Erme, rv. 185106; 18.10.1990, Oria, rv. 185858; 12.7.1991, Silvestri,
rv. 188921; 23.3.1993, De Donato, rv. 195169; 30.4.1993, De Giovanni, rv.
195482; 11.11.1994, Presta, rv. 201554), che ritiene sufficienti “serie ed apprezzabili
probabilità di successo” per l'azione impeditiva dell'evento, anche se limitate e con ridotti
coefficienti di probabilità, talora indicati in misura addirittura inferiore al 50%, si
contrappone l'altro, più recente, per il quale è richiesta la prova che il comportamento
alternativo dell'agente avrebbe impedito l'evento lesivo con un elevato grado di
probabilità “prossimo alla certezza”, e cioè in una percentuale di casi “quasi prossima a
cento” (Sez. IV, 28.9.2000, Baltrocchi, rv. 218777; 29.9.2000, Musto; 25.9.2001,
Covili, rv. 220953; 25.9.2001, Sgarbi, rv. 220982; 28.11.2000, Di Cintio, rv.
218727).
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Si vedano a tal proposito anche altre sentenze, fra le quali:
Sentenza Corte di Cassazione 38334 del 15 Novembre 2002
Responsabilità per omissione - Alto grado di probabilità statistica - Sussistenza del nesso
di causalità - Fattispecie di colpa professionale medica per omessa, precoce, diagnosi di
neoplasia polmonare determinata da superficiale o errata lettura del referto radiologico,
per la quale la Corte ha ritenuto sussistente il nesso di causalità pure in mancanza di
indagine autoptica.
In altre parole la condotta medica, analizzata sotto il profilo della perizia diligenza
e prudenza, criteri che dovrebbero sempre ispirare ogni atto medico, deve aver
provocato il danno, presuntivamente indotto, con criterio di verosimiglianza vicino alla
certezza.
Risparmiando tutto l’escursus sulle varie linee di tendenza giurisprudenziali negli
anni che si sono avvicendate, da qualche famosa sentenza che attribuiva valore ad un
tasso di probabilità vicine almeno al 50 % dei casi ipotizzabili (Prima la Sezione Quarta
della Corte di Cassazione, che si occupa di responsabilità professionale medica,
esprimeva il convincimento che, per ritenere sussistente il nesso causale, occorreva
accertare se il comportamento che il medico avrebbe dovuto tenere in luogo di quello
effettivamente verificatosi, avrebbe dato “serie e apprezzabili probabilità di successo”).
Per la quantificazione in percentuale di tale esigenza si riteneva sufficiente un grado di
probabilità non superiore al cinquanta per cento (tra le molte, sent. 7/1/1983, Melis, in
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Cass. Pen. 1142, 1984), fino agli attuali indirizzi giurisprudenziali, precedentemente
riportati, è indubbio che, in ogni caso, ai fini della disamina della relativa colpa medica,
nell’ambito dei reati omissivi, la dimostrazione della colpa, ossia del giudizio di merito
circa l’esistenza di un rapporto di causalità materiale fra la condotta medica, imperita o
negligente o imprudente e il danno eventualmente prodottosi deve necessariamente
passare attraverso un giudizio controfattuale, ossia attraverso l’ipotizzazione di ciò che,
invece si sarebbe verificato in assenza di quella determinata omissione.
Non basta, quindi, ad es., nella fattispecie dimostrare che ci sia stata l’omissione
medesima o che l’ostetrico si sia allontanato dalle linee guida tracciate o non abbia
eseguito alla lettera una determinata raccomandazione o addirittura uno specifico
protocollo per dimostrare l’esistenza della responsabilità professionale, altrimenti, come
è capitato di leggere su alcune sentenze della Cassazione, il danno verrebbe o
apparirebbe “confuso” nella colpa medica, rimanendo indimostrato che ne risulti la
logica e regolare conseguenza, in ossequio al noto principio del id quod plerumque
accidit, ossia ciò che accade nella stragrande maggioranza dei casi.
In effetti la dimostrazione del nesso di causalità materiale, in medicina legale si
avvale dei cosiddetti criteri, ossia, nell’ordine, quello cronologico, modale, qualitativo,
quantitativo, topografico e di esclusione di altre cause, tanto per citare i principali, criteri
che vanno tutti soddisfatti adeguatamente per dimostrare l’assunto che tra tutti gli
antecedenti considerabili, rispetto al verificarsi di un certo danno, la condotta medica
assurge veramente al rango di fattore causale efficiente e determinante, o concausale
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determinante, rispetto al quale tutti gli altri antecedenti considerabili, nella singola
fattispecie, assumono le caratteristiche, ovvero scadono al rango, di meri aspetti di tipo
condizionale.
Così, ad es., il criterio cronologico studia e valorizza i tempi minimi e massimi
entro i quali si possono verificare taluni fenomeni o eventi biologici, per cui appaiono da
escludere determinati fattori causali che abbiano eventualmente agito prima o dopo il
lasso di tempo teoricamente considerabile rispetto alla singola fattispecie presa di volta
in volta in esame.
Il criterio modale studia, appunto, il modo, le modalità con cui può aver agito
una determinata causa, teoricamente ipotizzabile, per essere atta a determinare un certo
tipo di evento, ovvero la via o il percorso o, più semplicemente, il tramite mediante il
quale essa deve necessariamente aver agito per produrre un certo tipo di effetto o
fenomeno.
Il criterio qualitativo serve a stabilire e dettagliare gli aspetti inerenti il tipo o il
genere relativo alla vis agendi, ossia le caratteristiche intrinseche che deve possedere la
causa per ritenersi sempre atta a produrre un certo tipo di fenomeno o evento.
Il criterio quantitativo riguarda l’intensità e la potenza con cui deve aver agito la
causa eventuale per avere l’efficacia necessaria e la forza lesiva che occorrono per
determinare un certo tipo di lesione.
Il criterio topografico serve a verificare se si sono prodotti gli effetti attesi a carico
di un certo organo o apparato, sulla base delle risultanze della ricognizione svolta
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mediante i precedenti criteri e in particolare, in stretto rapporto con il manifestarsi di
quel determinato evento dannoso finale, ovvero se coincide l’organo o gli organi
bersaglio colpiti in funzione delle eventuali cause lesive considerabili nell’occasione.
Il criterio di esclusione di altre cause mira a escludere che cause concomitanti o
teoriche, diverse da quella di volta, in volta, presa in esame, possano aver agito con
eguale attitudine ed intensità fino a determinare un certo evento lesivo, in quanto dotati
di una vis agendi atta, in ogni caso, a produrre un certo tipo di evento, laddove,
rimangano, comunque, soddisfatti tutti gli altri tipi di criteri considerati.
Va, da ultimo, considerato che, in ogni caso, non basta che venga dimostrata l’esistenza
di un rapporto di causalità materiale fra la causa, colposa, in generale, e l’evento lesivo
dannoso verificatosi ma occorre, principalmente, che il danno, per essere ritenuto
giuridicamente tale, ovvero sia la modificazione peggiorativa dello stato anteriore
medico legalmente valutata, abbia le caratteristiche del cosiddetto danno “cum iniuria”,
ossia “contra legem”, in quanto lesivo di un bene assoluto giuridicamente tutelato (Libro
IV Delle obbligazioni - Titolo IX - Dei fatti illeciti - Art. 2043 - Risarcimento per fatto
illecito – “Qualunque fatto doloso o colposo [1176], che cagiona ad altri un danno
ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno”. [7, 10, 81, 129bis,
840, 844, 872 c. 2, 935, 939 c. 3, 948, 949, 1440, 2395, 2600, 2395, 2675,
2947].
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Volendo tornare all’oggetto principale del discorso, ossia la sofferenza fetale
ipossica e le nascenti, relative, responsabilità, legate alla condotta medica
eventualmente colposa, che, teoricamente ne possono derivare, ciò che, principalmente
va giudicata è l’ipotetica imperizia dimostrata nella singola fattispecie dal sanitario o
dalla struttura, ovvero dall’équipe medica impegnata nell’assistenza di una partoriente,
prima del travaglio di parto, o nel corso dello stesso, o all’espletamento stesso della
gravidanza.
Teoriche quanto gravi responsabilità colpose possono essere anche
essenzialmente legate a:
• errata od omessa diagnosi della situazione a rischio prodottasi, magari più o meno
attesa, presumibilmente possibile in base ai segni strumentali e ai sintomi manifestati
nell’occasione e non opportunamente valorizzati e considerati da chi aveva la
posizione di tutela e di garanzia della risoluzione del caso clinico, in specie, come
definito in senso giuridico;
• errata o molto discutibile scelta del tipo di intervento da eseguire, nell’occasione,
ovvero sia, presidi terapeutici inidonei o inefficaci ai fini della risoluzione possibile del
problema di cui trattasi, con responsabilità di tipo commissivo od omissivo di volta in
volta diversamente rilevabili;
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• errata o discutibile scelta del momento in cui intervenire, per cui si possono essere
verificati sia ritardi ingiustificati dell’intervento necessario, colpa omissiva vera e
propria, con grave pregiudizio della salute o della paziente o del nascituro, ovvero
interventi erroneamente anticipati, o comunque dilazionabili nel tempo, ovvero
precipitosi, a fronte di situazioni anche di emergenza, ma in cui il bilancio fra costi e
benefici dell’intervento in prima battuta vanno ben considerati e ponderati in
situazioni delicatissime in cui bisogna tutelare sia la salute della madre che quella del
feto, laddove, ad es., in caso di eccessiva prematurità, può risultare anche decisivo
procastinare l’intervento il più a lungo possibile;
• allontanamento dai protocolli e dalle linee guida tracciate in modo grave ed
arbitrario, non solo rispetto alle regole raccomandate dalle istituzioni deputate a
formularle, nell’ambito dell’assistenza alle donne in corso di travaglio, nel corso
della verifica della situazione ad eventuale grave rischio ipossico in atto, ma, più in
generale di fronte alle situazioni di emergenza di volta in volta riscontrabili, laddove
la responsabilità del medico può derivare anche e soprattutto dal mancato o
ritardato trasferimento della gestante in strutture più attrezzate o dotate di personale
specializzato o macchinari, ovvero beni strumentali, in pratica le risorse indispensabili
alla soluzione favorevole della singola fattispecie in atto.
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In pratica, il medico ostetrico deve, essenzialmente, essere dotato di due fondamentali
qualità peculiari che non dovrebbero mai fargli difetto nella sua pratica clinica
quotidiana, in rapporto alla specifica disciplina di competenza.
In ogni suo atto medico, nell’ambito dell’assistenza e di monitoraggio al travaglio
o al parto deve dimostrarsi, forse più di qualunque altro medico, al tempo stesso, “iper
prudente e decisionista”, due doti, apparentemente antitetiche ma che invece occorre
che vengano plasmate bene fra loro, traendo quotidiana ispirazione dall’esperienza, in
modo da poter essere sempre in grado di fronteggiare bene le numerose situazioni di
emergenza che costantemente si verificano nell’ambito della disciplina di riferimento,
essendo, non bisogna dimenticarlo in alcun modo, la posta in palio molto alta, ossia la
vita e l’incolumità fisica della gestante e del bambino.
Talvolta occorre anche operare delle scelte difficili e anche un po’ rischiose,
sempre, comunque in ossequio ai dettami della scienza medica, dei protocolli e delle
linee guida eventualmente tracciate in situazioni similari, in condizioni di emergenza.
L’intervento va, dunque, calibrato e ponderato nel modo più giusto, cercando di
scegliere sempre il momento più adatto in cui intervenire, laddove può occorrere
intervenire prontamente o dilazionare il momento del trattamento o il presidio chirurgico
da utilizzare, comunque, nell’occasione.
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Riguardo alle esemplificazioni apparentemente più comuni, formulate in
precedenza, nell’ambito di possibili errori ed evenienze negative in cui può incorrere il
medico, con riferimento ad una eventuale condotta medica colposa, si possono fornire
degli esempi pratici, argomentando su ogni singola ipotesi precedentemente riportata e
descritta.
Così, ad es., la errata od omessa diagnosi di una grave ipossia fetale in atto, può
riguardare o la mancata esecuzione o la mancata valorizzazione di taluni aspetti
peculiari precedentemente tracciati e desunti atti a far diagnosi di sofferenza ipossica
grave, condizione morbosa in grado di mettere a repentaglio la sopravvivenza del feto o
la sua integrità cerebrale, pur con tutti i dubbi e le incertezze legate al valore attribuibile
ai responsi degli esami richiesti ed eseguibili nella singola occasione.
Il tracciato cardiotocografico, pur con tutti i limiti della metodica, nei casi
conclamati e con evidenti anomalie del tracciato deve, comunque, indurre il sanitario ad
operare delle scelte di campo, specie nei casi apparentemente meno dubbi e spingerlo
ad accelerare il travaglio e il parto, facendo sicuramente ricorso al taglio cesareo,
laddove ne rilevi la necessità.
L’effetto finale di questo tipo di esigenza appare, in ogni caso, un numero di tagli
cesarei maggiore di quelli eventualmente attesi ed effettivamente necessari, ma è
sicuramente preferibile adottare, a conti fatti, tale rimedio chirurgico, in luogo del parto
naturale, in situazioni oggettivamente molto dubbie e in presenza di gravi turbe del
tracciato cardiotocografico, che sfidare la sorte e rischiare l’incolumità fisica del feto.
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Per quanto tale tipo di discorso possa, in effetti, risultare assai poco protocollare e
anche per certi versi, scientificamente discutibile, coincide, poi, con ciò che in realtà
accade nella pratica clinica quotidiana.
Di certo bisogna tenere nel dovuto conto anche eventuali episodi sentinella
rilevati nel corso del travaglio che potrebbero effettivamente preludere a conseguenze
assai gravi, di tipo ipossico, a carico del feto.
In realtà una diagnosi precoce di sofferenza ipossica grave fetale appare,
realisticamente, assai difficile, come già tracciato in precedenza, per il numero assai
elevato di alti positivi e negativi legati alla metodica cardiotocografica e per la
mancanza di elementi clinici e strumentali che, talvolta o molto spesso, dovrebbero
essere in grado di svelare, in modo precoce e veritiero, i segni premonitori atti a
dimostrare l’esistenza di una sofferenza fetale grave ipossica, tale da spingere il medico
ad intervenire nel modo più deciso e rapido possibile.
Sotto questo profilo appare più dirimente la diagnostica attuabile in stretta
prossimità del parto o all’atto del medesimo, laddove il riscontro di una severa acidosi
metabolica, su sangue arterioso proveniente dall’arteria ombelicale o da campioni
ematici precoci, dedotta mediante emogasanalisi, o il rilievo di un severo evento
ipossico sentinella in corso di travaglio o il riscontro di segni neurologici anticipati in un
neonato, ovvero bassi punteggi di Apgar in modo prolungato nel tempo, o immagini
diagnostiche deponenti per danni ischemici cerebrali, ecc., possono tutti apparire come
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molto indicativi e deduttivi di una severa condizione ipossica neonatale tale da apparire
premonitrice di una sequela neurologica pressoché certa.
Il discorso in tal senso, rapportato alle Linee Guida esistenti, può così sottolineare
l’esigenza di far effettuare, in ogni caso, l’emogasanalisi precoce del sangue neonatale,
da ottenere, prioritariamente, entro il rigoroso limite delle 24 ore di tempo, onde poter,
poi, intervenire efficacemente per correggere la situazione di ipossia ed evitare le
possibili sequele neurologiche.
In effetti responsabilità maggiori a carico del medico potrebbero insorgere in caso
di gravidanze ad alto od altissimo rischio che vanno vigilate e monitorate nel modo più
intensivo ed opportuno possibile.
Profili di responsabilità possono, poi, emergere, per errata o molto discutibile
scelta del tipo di intervento da eseguire, nell’occasione, ovvero sia, presidi terapeutici
inidonei o inefficaci ai fini della risoluzione possibile del problema di cui trattasi.
In effetti, talvolta il problema reale permane, ancora, soprattutto sotto il profilo
squisitamente diagnostico, potendosi instaurare nel tempo, sia condizioni di eventi
ipossici acuti severi, legati a fattori causali di emergenza, quali, a titolo esemplificativo, il
distacco placentare o le emorragie intrauterine, ecc.,, ovvero ogni forma di emorragia
acuta che dovrebbe non solo essere, ove possibile, prontamente prevenuta, ma,
soprattutto corretta chirurgicamente, in tempi assai rapidi, sia condizioni di grave
situazione di sofferenza fetale ipossica di tipo cronico, legate a molti tipi di situazioni
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diversificate, placentari e metaboliche, per cui appare anche molto importante, sotto
tale profilo, la raccolta di una buona anamnesi materno – fetale.
Condizioni, per certi versi, relativamente poco note, come minimi distacchi
placentari successivi a traumi addominali chiusi, per eventi infortunistici stradali piuttosto
comuni al giorno d’oggi, patiti in epoche gestazionali maggiormente a rischio, come la
27 – 28^ settimana di gestazione, vanno rilevate e monitorate in modo intensivo,
poiché oltre a poter ingenerare situazioni a grave rischio ipossico fetale, possono anche
dar luogo a minacce di parto pre – termine o alla rottura precoce delle membrane, per
cui il massimo sforzo del medico ostetrico sarà quello di procrastinare il più a lungo
possibile il parto, ovvero di protrarre per una – due settimane l’espletamento ormai
imminente del parto stesso, laddove il feto sia molto prematuro e non esista ancora un
rischio ipossico elevato, ove quindi ciò sia possibile, oppure l’esatto contrario in caso di
emergenza ipossica grave fetale.
La scelta del tipo di trattamento, se parto naturale o cesareo, può anche apparire
dirimente in rapporto al peso raggiunto dal feto e al grado di maturità, in generale,
laddove, in pratica, si lascia preferire, comunque, il parto cesareo, per evitare il trauma
da parto per via vaginale, per quanto venga da talun autore prescritto il parto naturale
per pesi fetali al di sotto degli 800 grammi.
Tutto ciò fa comprendere ed intuire immediatamente un altro fattore dirimente in
grado di ingenerare una grave responsabilità da parte del medico chirurgo ostetrico, ed
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è appunto quella legata alla decisione del momento in cui intervenire, con possibilità di
ritardi di esecuzione di interventi necessari o viceversa di inopportuni ed intempestivi
interventi chirurgici o terapeutici, magari attuati in modo improprio.
Esempi luminosi, in tal senso, riguardo ai possibili ritardi, riguardano, nell’ordine,
situazioni e condizioni comunque a grave rischio fetale ipossico, come il polidramnios e
l’oligoidramnios.
Altre classiche frequenti condizioni in grado di provocare ipossie fetali croniche
molto marcate sono da ritenersi, inoltre, l’invecchiamento placentare e la post maturità,
ovvero il ritardo dell’espletamento del parto oltre la 40^ settimana di gestazione, tutte
situazioni che vanno attentamente monitorate e possono necessitare dell’espletamento
del parto a breve o anche brevissima scadenza per non mettere gravemente a rischio la
salute del feto, scelte terapeutiche che, laddove non adeguatamente e prontamente
adottate possono identicamente far ricadere grosse responsabilità a carico dei sanitari
ostetrici impegnati nelle terapie del caso.
La fibromatosi uterina, classicamente intesa, non va ritenuta condizione di per sé
a grave rischio, anche se sono riportati, in letteratura, esempi di aborti, gravidanze a
rischio o ad alto rischio, minacce di parti pre termine o veri parti pre termine, specie in
caso di fibromi intramurali che sono in grado di influenzare il corretto sviluppo fetale.
In ogni caso condizioni di gravidanze a basso o medio rischio, laddove non
vengano evidenziate conclamate condizioni di sofferenza fetale ipossica, ovvero sia
ancora documentato un buon grado di benessere fetale non devono indurre, in ogni
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caso, e non autorizzano il medico a provocare il parto anticipatamente, anche con
taglio cesareo elettivo e pure in una settimana di gestazione piuttosto avanzata, laddove
non ne ricorrano oggettivamente seri motivi legati ad una documentata sofferenza fetale
ipossica, per il rischio, comunque, di complicanze legate alla prematurità più o meno
accentuata.
La scelta di un taglio cesareo in caso di una notevole prematurità, in luogo di
quello per via vaginale, può essere assolutamente dirimente per evitare al feto gravi
danni traumatici a carico del cervello o il decesso del neonato per le gravi lesioni
riportate a carico dell’encefalo, come poi talvolta documentato al tavolo autoptico.
Da ultimo, l’allontanamento dai protocolli e dalle linee guida tracciate in modo
grave ed arbitrario, può apparire, in corso di travaglio o dell’espletamento del parto,
elemento decisivo per ingenerare una grave colpa professionale a carico del sanitario
impegnato nell’assistenza al parto.
Nel caso di esito sfavorevole della gravidanza, sia con la morte del feto che con il
successivo instaurarsi delle complicanze o sequele neurologiche, si dovrebbe
teoricamente tenere conto di tutta una serie di elementi che, nell’ambito delle linee
guida e dei protocolli tracciati, possono, in pratica, prevedere:
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• la presenza o l’assenza di anomalie persistenti e gravi, decelerazioni, bradicardia,
ecc., nel tracciato cardiotocografiche, ovvero il monitoraggio dell’esatta misura in
cui siano state rilevate e diagnosticate, ossia quali fossero i segni e i sintomi
concomitanti presenti nel corso del travaglio e/o del parto e quali siano state le
misure terapeutiche adottate nell’occasione e la loro rilevanza e incidenza teorica nel
risolvere la situazione di ipossia grave verificatasi a carico del feto;
• il fatto se trattavasi o meno di una gravidanza ad alto od altissimo rischio, in modo
documentato e provato, e le misure di prevenzione e terapeutiche adottate nella
fattispecie;
• le indagini diligentemente ed opportunamente espletate per dirimere i casi dubbi di
ipossia fetale, con l’ausilio o meno delle misurazioni dell’emogasanalisi;
• l’individuazione o meno di un evento ipossico sentinella severo, le misure adottabili
in rapporto a quelle adottate;
• l’individuazione preventiva di condizioni materne e prenatali, in grado di aggravare
la situazione in travaglio, come l’ipertensione, la pre eclampsia, il diabete, ecc., sul
versante materno, la placenta praevia, l’oligoidramnios, l’insufficiente crescita fetale
ecograficamente accertata, una gravidanza multipla, ecc, sul versante fetale, e le
misure atte a prevenirle in rapporto a quelle adottate nell’occasione;
• un travaglio di parto prolungato ovvero distocico, con l’espletamento conseguente di
un parto cesareo in tempi eccessivamente lunghi o meno;
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• la tipologia del livello della struttura ospedaliera che ha ospitato la gestante, e la
valutazione delle possibilità di assistenza al parto in specie, ovvero la capacità
intrinseca della struttura medesima di far fronte a situazioni critiche di quel
determinato tipo;
• il tipo di organizzazione e di qualificazione di quella struttura, il livello di
specializzazione raggiunto nei singoli settori, la disponibilità con i relativi tempi delle
sale operatorie e delle sale parto, le capacità di accoglienza in termini di posti letto e
parti espletabili quotidianamente;
• il numero, la specializzazione e la qualificazione della varie figure professionali
impegnate nell’assistenza al parto;
• la capacità della struttura ospedaliera di far fronte alle varie emergenze di tipo
chirurgico o assistenziale neonatale, la maggiore o minore distanza da centri di
maggiore qualificazione e di altro livello.
Sul piano più squisitamente medico legale vanno valutate tutte le circostanze del
caso, con particolare riguardo ai seguenti elementi di cognizione:
• condizioni ed eventuali sequele neurologiche del neonato;
• condizioni ed eventuali sequele di vario tipo della gestante;
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• aspetti del tracciato cardiotocografico e concomitanza di segni strumentali o segni
clinici concomitanti;
• identificazione della natura ezioilogica, ove possibile, dell’insorgenza di un grave
danno ipossico fetale;
• preesistenza di condizioni ipossiche croniche severe;
• eventuale identificazione di una gravidanza ad alto rischio;
• diagnosi precoce o ritardata di ipossia acuta fetale;
• pronto rilevamento di un ipotetico evento ipossico sentinella;
• presidi terapeutici intrapresi in rapporto a quelli ritenuti necessari, eventuali ritardi o
anticipazioni rispetto ai tempi richiesti degli interventi;
• completezza degli aspetti documentali e dei referti delle indagini strumentali
intraprese;
• raccolta anamnestica doviziosa riguardo alle caratteristiche della gravidanza
esaminata;
• individuazione del momento, ove possibile, dell’ipossia severa fetale instauratasi;
• esclusione di altre cause determinanti le sequele neurologiche nel neonato.
Le competenze del perito nominato potrebbero essere specialistiche ovvero
esclusivamente di tipo medico legale, magari integrate da uno specialista ostetrico in
grado di collaborare.
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In definitiva il problema dell’individuazione di una colpa professionale medica
nell’ambito di una grave condizione ipossica fetale, avente per conseguenze la morte o
le sequele neurologiche nel neonato, non è di facile soluzione e richiede un’indagine
peritale a tutto campo, con valorizzazione di tutti gli elementi di conoscenza strumentali
o clinici e con una buona o vasta esperienza specifica nel settore di competenza.
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