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LIBERTA’ E LEGALITA’
LAVORO TEATRALE IN PIU’ QUADRI
A cura delle classi: IV B SR, IV AFM, V CAT, III A AS Liceo
I QUADRO (PREMESSA)
Vengono proiettate le slide con immagini relative ai magistrati
due ragazzi cantano “Pensa” di Moro:
Ci sono stati uomini che hanno scritto pagine
Appunti di una vita dal valore inestimabile
Insostituibili perché hanno denunciato
Il più corrotto dei sistemi troppo spesso ignorato
Uomini o angeli mandati sulla terra per combattere
una guerra
Di faide e di famiglie sparse come tante biglie
Su un isola di sangue che fra tante meraviglie
Fra limoni e fra conchiglie... massacra figli e figlie
Di una generazione costretta a non guardare
A parlare a bassa voce a spegnere la luce
A commentare in pace ogni pallottola nell'aria
Ogni cadavere in un fosso
Ci sono stati uomini che passo dopo passo
Hanno lasciato un segno con coraggio e con
impegno
Con dedizione contro un'istituzione organizzata
Cosa nostra
Cosa vostra
Cos'è vostro?
È nostra... la libertà di dire
Che gli occhi sono fatti per guardare
La bocca per parlare
Le orecchie ascoltano
Non solo musica non solo musica
La testa si gira e aggiusta la mira ragiona
A volte condanna a volte perdona
Semplicemente
Pensa
Prima di sparare
Pensa
Prima di dire e di giudicare prova a pensare
Pensa
Che puoi decidere tu
Resta un attimo soltanto
Un attimo di più
Con la testa fra le mani
Ci sono stati uomini che sono morti giovani
Ma consapevoli che le loro idee
Sarebbero rimaste nei secoli come parole iperbole
Intatte e reali come piccoli miracoli
Idee di uguaglianza idee di educazione
Contro ogni uomo che eserciti oppressione
Contro ogni suo simile contro chi è più debole
Contro chi sotterra la coscienza nel cemento
Pensa
Prima di sparare
Pensa
Prima di dire e di giudicare prova a pensare
Pensa
Che puoi decidere tu
Resta un attimo soltanto
Un attimo di più
Con la testa fra le mani
Ci sono stati uomini che hanno continuato
Nonostante intorno fosse tutto bruciato
Perché in fondo questa vita non ha significato
Se hai paura di una bomba o di un fucile puntato
Gli uomini passano e passa una canzone
Ma nessuno potrà fermare mai la convinzione
Che la giustizia no
Non è solo un'illusione
Pensa
Prima di sparare
Pensa
Prima di dire e di giudicare prova a pensare
Pensa
Che puoi decidere tu
Resta un attimo soltanto
Un attimo di più
Con la testa fra le mani
Pensa
Pensa
Che puoi decidere tu
Resta un attimo soltanto
Un attimo di più
Con la testa fra le mani
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II QUADRO
(Intervallo scolastico. I ragazzi entrano in scena in ordine sparso. Parlano tra loro,
emerge il problema della libertà. Hanno la sensazione di non essere liberi in varie
situazioni: a scuola ci sono delle costrizioni, a casa i genitori impongono attività e
orari restrittivi, le fidanzate/i impongono tempi e scadenze fastidiosi. Inoltre a volte
i cellulari si rompono e creano improvvisamente delle limitazioni fortissime!)
BRISELDA – Ma che cavolo!! Ma non è possibile studiare 50 pagine per domani!! Ho anche
una vita sociale, ho degli impegni... IO! CIVITELLI – Ma guarda che avresti dovuto studiare volta per volta! Io per esempio, sapendo
che dovevo uscire con il mio tipo, mi sono organizzata e ho già studiato tutto... TONDO – Eh sì, non ci credo neanche... tu studi volta per volta?? Ma cosa dici?? Tutti – (mormorano, danno ragione alle loro compagne) BEVACQUA – E’ difficile organizzare il tempo, molte cose ci vengono imposte e poi non rimane
più tempo per le cose che ci piacciono, non è giusto, uffa....non pretendo che gli altri facciano i
miei comodi, ma un minimo.... TONDO – ecco appunto... giusto (mormorio di approvazione)
CIVITELLI - Vabbeh, parlate pure di questo, per me non è certo questo il problema pricipale.
Vogliamo parlare dei nostri genitori?? Sempre prediche... e il telefono, e le uscite, e quando
ritorni, e dove vai, e con chi sei, e cosa fai... URECHE - ...e perchè lo fai, e non rispondi mai al cellulare, e non studi, e non mi aiuti mai... TONDO- .. e alla tua età io già ero sposato, avevo tre figli, badavo alla casa.... MIDHA- .. e ai fratelli, e alla nonna malata, poi lavoravo dodici ore al giorno.... Tutti - ..Che scatole!!!! Basta!! BEVACQUA - Già sì, basta, basta infierire su di noi, basta costrizioni, vogliamo più libertà, i
tempi sono cambiati!! Tutti – Sì giusto, più libertà per tutti! BRISELDA – Noo, raga, sto impazzendo!! Mi si è rotto il cellulare, come faccio? Avevo tutto
lì... come faccio a parlare con mia mamma ora?? E gli orari dei treni? Nooo, come faccio a
tornare a casa?? Dovevo anche avvisare la mia amica... Sono disperata, non posso più fare
niente. Basta, sono paralizzata, come un carcerato dietro le sbarre... senza più libertà… MIDHA – Ma senti, lascia stare che i problemi sono altri. Magari perdessi io il cellulare! C’è il
mio tipo che continua a mandarmi messaggi, gli devo dire sempre dove sono, con chi sono,
con chi sto parlando e di cosa.... Mi sembra di stare al muro davanti alla mitragliata delle sue
domande!!! Ma si può vivere così?? BEVACQUA - Visto? È ora di dire basta con queste costrizioni! Propongo una ribellione di
massa! Da oggi si fa come diciamo noi! Vogliamo essere liberi!!......
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I ragazzi cantano la canzone di Gaber “La libertà” in due cori
Vorrei essere libero
libero come un uomo
Come un uomo appena nato
che ha di fronte solamente
la natura
che cammina dentro un bosco
con la gioia di inseguire
un’avventura
Sempre libero e vitale
fa l’amore come fosse
un animale
incosciente come un uomo
compiaciuto della propria libertà
La libertà
non è star sopra un albero
non è neanche il volo di un moscone
la libertà non è uno spazio libero
libertà è partecipazione
Vorrei essere libero libero come un uomo
Come un uomo che ha bisogno
di spaziare con la propria fantasia
e che trova questo spazio
solamente nella sua democrazia
Che ha il diritto di votare
e che passa la sua vita a delegare
e nel farsi comandare
ha trovato la sua nuova libertà
La libertà
non è star sopra un albero
non è neanche avere un’opinione
la libertà non è uno spazio libero
libertà è partecipazione
Vorrei essere libero libero come un uomo
Come l’uomo più evoluto che si innalza
con la propria intelligenza
e che sfida la natura con la forza
incontrastata della scienza
Con addosso l’entusiasmo di spaziare
senza limiti nel cosmo
è convinto che la forza del pensiero
sia la sola libertà
La libertà non è star sopra un albero
non è neanche un gesto un’invenzione
la libertà non è uno spazio libero
libertà è partecipazione
III QUADRO
Si abbassano le luci. La musica inizia, i ragazzi escono. Entra un personaggio.
1. Angelo Ansaldi – Primula rossa
vengono proiettate immagini relative al partigiano
Sono nato a Varzi ( Pavia ) il 2 agosto 1921 e morto a Segrate ( Milano ) il 10 agosto 1967.
Appartenevo a una famiglia modesta e lavoravo nel mio paese come manovale. Mi ribellai allo
strapotere, all’ingiustizia sociale e alla guerra in cui ci aveva trascinato il fascismo, formando,
nel maggio 1944, una banda armata composta da giovani della mia zona. Rifiutai sempre di
essere etichettato politicamente e di rientrare in un’inquadratura di partito: eravamo ribelli e
autonomi. Nell’agosto 1944, durante il rastrellamento tedesco estivo, venne ucciso il giovane
carabiniere Nando Dellagiovanna , mio grande amico e sempre al mio fianco fin dai primi
giorni: fu per me un cocente dolore. Il mio nome di battaglia divenne PRIMULA ROSSA, come l’eroe francese immortalato nei
romanzi dell’Ottocento, che combatteva il terrore dei giacobini dopo la rivoluzione francese e
che sfuggiva ad ogni cattura. Infatti ero velocissimo nell’azione e sfuggivo alla cattura sfidando
il pericolo. Nel giugno del 1944 disarmai il presidio fascista di San Sebastiano in val Curone, procurando
armi e munizioni alla mia banda.
In seguito i capi del CLN dell’Oltrepo mi convinsero ad entrare nella Resistenza ufficiale dei vari
gruppi partigiani della zona. Accettai e divenni così il comandante della brigata garibaldina
CAPETTINI.
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Disarmato il presidio fascista di Cabella Ligure, fummo vittoriosi nella battaglia dell’Aronchio
presso Varzi, combattuta insieme all’Americano e alle formazioni di “Giustizia e Libertà “. A Dego, il 10 agosto 1944 mettemmo in fuga la famigerata SICHERHEITS, che fu costretta a
ripiegare su Varzi. Presa Pietragavina il 13 agosto 44, preparammo la liberazione di Varzi. Fu
mia l’idea ed era un’idea che piaceva poco ai capi politici del CLN di zona. Ma io volevo liberare
il mio paese e mi buttai nell’impresa come Garibaldi. Gli Alpini fascisti erano ormai allo stremo delle forze rifugiati nella palestra delle scuole
elementari in via Rosara. La battaglia di Varzi fu aspra e cruenta. Vennero in nostro aiuto le
formazioni partigiane vicine. Poco più in alto, vicino alla salita verso Rosara, mori il giovane
ENZO TOGNI di Broni. Gli alpini alla fine si arresero e molti di loro passarono dalla nostra
parte: divennero partigiani.
Varzi liberata diventò un simbolo di riscossa per quanti aspettavano la caduta definitiva del
fascismo la sconfitta dei tedeschi: si diede un ordinamento democratico con l’elezione di una
giunta, che elaborò una vera e propria Costituzione. Ero fiero e orgoglioso di aver liberato Varzi e poco mi toccavano le accuse di intemperanza e di
decisionismo individuale.
I tedeschi risposero con un ferocissimo rastrellamento su tutta la valle Stàffora e i suoi monti,
seminando terrore, incendi, violenze e morte tra la gente. Fu un inverno terribile. Noi partigiani
salimmo in montagna.
La guerra non finiva e Varzi era stata ripresa dai fascisti. Ma l’esperienza della repubblica
continuo poi alcuni mesi dopo . Il 17 gennaio 1945 caddi nella feroce imboscata nazifascista
presso Bralello. Ferito ad una gamba mentre fuggivo sugli sci nella neve, feci in tempo a nascondere in una
buca i preziosi documenti della mia compagnia. Fui fatto prigioniero e portato a Voghera,
quindi all’ospedale di Alessandria mi venne amputata la gamba sinistra. Un mese dopo, liberato tramite una trattativa di scambio di prigionieri, tornai, pesantemente
menomato nell’animo e nel fisico, alla guida della mia CAPETTINI, che mi diede il coraggio e la
forza di ritrovare me stesso, di reagire e di riprendere a combattere con nuovo coraggio e
grande determinazione, appoggiato alla mia stampella. Fui molto amato dalla Varzi popolare e democratica, come disse il responsabile della missione
americana Roanoke: “Ansaldi è il comandante più amato dalla sua gente” e come testimonierà
nel suo diario Don Rino Cristiani, parroco di Nivione e comandante partigiano. Dopo la liberazione, lontano da onori e oneri, invalido e deluso dalla solitudine in cui ero
isolato, tornai alla mia vita familiare e di umili lavori.
Pochi giorni prima di morire, precocemente colpito da malattia a 46 anni, chiamai al mio
capezzale Enrica, la mia figlia più grande allora tredicenne. Le consegnai la bandiera della
brigata Capettini, lacera e strappata, che ora si trova al Museo di Voghera. E le dissi queste
parole: “Conservala sempre, perché per questa bandiera e per la libertà d’Italia ha combattuto
anche tuo padre, Angelo Ansaldi, Primula Rossa “.
(musica – l’attore esce, entra un altro personaggio)
2. Franco Antonicelli
Recitato, Quinti
I partigiani del nostro territorio sono stati molti, ma oggi voglio raccontarvi la mia storia. Ho
operato lontano dalla mia città, senza per questo tagliare il cordone ombelicale che mi lega ai
luoghi dove sono nato.
Mi chiamo Franco Antonicelli. Sono nato a Voghera il 15 novembre 1902. Sono stato, prima di
tutto, un insegnante, poi un poeta, ma soprattutto un antifascista. Se andate a cercarmi sul sito
dell’ANPI troverete un ricordo di me, anche se sono più di quarant’anni che sono scomparso.
Nel 1943, nei giorni dell’armistizio, ho tentato una difesa di Torino dalle truppe tedesche,
pubblicando un articolo che invitava la popolazione a combattere sulla “Stampa”, il giornale di
Torino. Sono scappato poi a Roma, dove ho organizzato la Resistenza, ma il 6 novembre sono
stato arrestato, perché lavoravo a un giornale clandestino chiamato “Risorgimento Liberale”. Mi
hanno scarcerato solo nell'aprile del 1944.
Allora sono tornato nel Nord, dove ho rappresentato il Partito Liberale all'interno del CLN
piemontese. Se non lo sapete, il CLN era un gruppo di persone che combattevano contro il
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fascismo, a cui partecipavano tutti i partiti, dai liberali ai democristiani, dai socialisti ai comunisti.
I miei nomi di battaglia erano Ranieri, Soler e Ansaldi. Alla vigilia del 25 aprile, Antonicelli sono
diventato addirittura il presidente del CLN.
Dopo la liberazione non ho interrotto la lotta antifascista. Ho diretto il quotidiano liberale
“L'Opinione”, per cui avevo lavorato dal 1944 al 1945. “L'Opinione” fu un giornale che riprese le
proprie pubblicazioni nel '44 venendo considerato come giornale clandestino in quanto trattava
di argomenti contrari al fascismo.
Ma forse è meglio far raccontare la mia storia da altri… Da ragazzi che hanno la vostra età…
Proiezione del video realizzato dagli alunni, in cui si racconta la storia di Antonicelli
giovane dal 1929 al 1940 (durata di circa 4 minuti)
Lettura della poesia A un compagno di Corrado Alvaro, trovata fra le carte di Antonicelli con data 1944.
(recitato, Castelli & Ricotti)
A UN COMPAGNO
Se dovrai scrivere alla mia casa,
Dio salvi mia madre e mio padre,
la tua lettera sarà creduta
mia e sarà benvenuta.
Così la morte entrerà
e il fratellino la festeggerà.
Non dire alla povera mamma
che io sia morto solo.
Dille che il suo figliolo
più grande, è morto con tanta
carne cristiana intorno.
Se dovrai scrivere alla mia casa,
Dio salvi mia madre e mio padre,
non vorranno sapere
se sono morto da forte.
Vorranno saper se la morte
sia scesa improvvisamente.
Di’ loro che la mia fronte
è stata bruciata là dove
mi baciavano, e che fu lieve
il colpo, che mi parve fosse
il bacio di tutte le sere.
Di’ loro che avevo goduto
tanto prima di partire,
che non c’era segreto sconosciuto
che mi restasse a scoprire;
che avevo bevuto, bevuto
tanta acqua limpida, tanta,
e che avevo mangiato con letizia,
che andavo incontro al mio fato
quasi a cogliere una primizia
per addolcire il palato.
Di’ loro che c’era gran sole
pel campo, e tanto grano
che mi pareva il mio piano;
che c’era tante cicale
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che cantavano; e a mezzo giorno
pareva che noi stessimo a falciare,
con gioia, gli uomini intorno.
Di’ loro che dopo la morte
è passato un gran carro
tutto quanto per me;
che un uomo, alzando il mio forte
petto, avea detto: Non c’è
uomo più bello preso dalla morte.
Che mi seppellirono con tanta
tanta carne di madri in compagnia
sotto un bosco d’ulivi
che non intristiscono mai;
che c’è vicina una via
ove passano i vivi
cantando con allegria.
Se dovrai scrivere alla mia casa,
Dio salvi mia madre e mio padre,
la tua lettera sarà creduta
mia e sarà benvenuta.
Così la morte entrerà
e il fratellino la festeggerà
Queste sono le parole del poeta Corrado Alvaro, che Antonicelli conserva, fra le sue carte, nel
1944.
(musica – il personaggio esce, entra un altro personaggio)
3. mamma Togni Viene proiettata la fotografia di Mamma Togni
Costanza: “Mamma, mamma, se io non torno, tu resti coi compagni finché finisce, tu resti con
loro”
“Sì, caro, io resto”.
E come facevo a lasciarli, io facevo l’infermiera, ero diplomata, senza vantarmi io ero brava.
Avevo da curare fino a cinquanta feriti nella mia infermeria.
Mi ricordo quando c’è stato il rastrellamento dei mongoli… volevano che io me la squagliavo in
ospedale… che m’avevano trovato un posto, ma io, ma piuttosto crepare… mi son presa i miei
trentadue ragazzi e pasin pasin… quello zoppo s’aiutava con quello con l’occhio tappato, quello
con la ferita alla pancia lo portavano in barella due che erano feriti di striscio alla testa… sem-
bravamo una carovana dei disperati, ma andavamo avanti e con me si sono salvati, li ho sal-
vati tutti. Il guaio era il trovare da mangiare, mangiare per trentadue e ogni giorno… io li siste-
mavo in una cascina o sotto un ponte e poi andavo alla cerca. Casa per casa. E dappertutto ‘sti
contadini, ‘sti montanari, con tutto che non avevano quasi più niente, si tiravano via la roba
dalla bocca per aiutarci… stracciavano le lenzuola per darmi delle bende per i feriti… lenzuola
belle, addirittura di lino! Invece capitava che magari andavo a chiedere in qualche famiglia di
sfollati, gente benestante, dentro le villette e quelli dicevano: “No, non possiamo dare niente”
E allora io tiravo fuori di botto la mia pistola P 38 quindici colpi e gliela picchiavo sotto il naso e
gridavo: “visto che sei così taccagno allora sputa fuori tutto quello che ti chiedo se no ti am-
mazzo, o pidocchio”.
Sì, ho fatto anche delle rapine per salvare quei ragazzi, i miei ragazzi, c’è qualcosa da dire? E
lo farei ancora oggi. I miei ragazzi… ero la loro mamma… mamma Togni, guai a chi toccava
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mamma Togni. L’americano, il comandante, diceva: “A mamma Togni non si dice mai di no!” E
tutti mi ubbidivano.
Quando quel giorno di primavera del ’44 mio figlio era andato giù che dovevano prendere la
caserma dei briganti neri, dopo un’ora vedo tornare il Ciro, bianco che mi dice: “L’hanno ferito,
tuo figlio è ferito”
“Fermo lì, guardami Ciro, io non piango, non grido, guardami, io non piango… E’ morto, vero?
Lo so che è morto”
“Sì”.
Me l’hanno portato su in braccio, in due. Mi son messa seduta e me l’hanno messo sulle ginoc-
chia, aveva un buco piccolo sul collo. I compagni me l’hanno portato via… l’hanno portato sotto
il portico, io sono andata dentro nello stanzone dove c’erano tutti i miei ragazzi feriti e gli ho
detto: “Fieuj, ragazzi, il mio figlio è morto, adesso non ho più nessuno… adesso siete voi che
mi chiamerete mamma… adesso sono la vostra mamma”.
Ghè stà un gran silenzio e po’: “Mamma, mamma – si son messi a gridare tutti – mamma”.
E adesso per tutti sono rimasta Mamma Togni.
(musica – il personaggio rientra dietro le quinte – entra un altro personaggio)
4 . RENATO CODARA
vengono proiettate immagini relative al partigiano mentre cinque ragazzi che entrano
espongono vita ed eventi relativi al personaggio
BREGA – MIDHA – URECHE – CALATRONI - DELMONTE
BREGA - Mi chiamo Renato Codara sono nato il 18 luglio del 1922, mio papà si chiamava
Ferdinando ed era un pensionato invalido delle Ferrovie dello Stato.. Ho prestato servizio
militare nella regia arenautica, ma l’otto settembre 1943 con la dichiarazione d'armistizio mi
trovai fuggiasco e sbandato, come altri giovani miei coscritti.
Durante questo periodo di sbandamento, in un clima caotico e in un’Italia senza più certezze,
trovai un lavoro presso il signor Guido Vigoni; andavo con altri contadini a falciare l'erba del
sottobosco che poi veniva messo in cascina per foraggiare il bestiame bovino. La mia paga era
solo di 100 lire al giorno. Nei boschi dove operavo non c'era pericolo di brutti incontri, cioè i
fascisti, quindi si poteva lavorare in sicurezza e in tranquillità.
MIDHA - Ad un certo punto ci fu la chiamata alle armi delle nostre classi ed il signor Guido ci
disse che non poteva più darci lavoro, era troppo pericoloso perché si minacciavano sanzioni
durissime per i disertori e per i cittadini che li avessero aiutati. Ero triste per aver perso il
lavoro e non volendo essere un peso per la mia numerosa famiglia cercai un'altra occupazione,
ma in quel periodo il lavoro scarseggiava. Però dall'altra parte mi rifiutavo di prestare servizio
nell'esercito "repubblichino". Decisi, quindi, di fuggire in montagna, era una decisione che
avevo maturato dopo averne parlato con i miei genitori i quali con tanta tristezza mi diedero la
loro approvazione.
Dopo essere partito per l'Oltrepo', trovai Stefano Bolduri che con il suo traghetto mi portò a
Portalbera. A piedi, cercando di evitare i centri abitati, aggirai Stradella e arrivai a Santa Maria
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Della Versa e qui alcune brave persone mi fecero passare il posto di blocco e mi
accompagnarono a Sovranco a piedi. Fui aggregato a un Plotone comandato da un giovane di
Nibbiano. Rimasi lì circa due mesi, fino a quando iniziò l'offensiva fascista che portò le truppe
"repubblichine" a Santa Maria Della Versa.
URECHE- Io appartenevo all'87^ Brigata Garibaldi della divisione "Aliotta". La vita del
partigiano era dura, si era sempre in movimento, ci si muoveva a piedi. Si scendeva dalla
montagna durante la notte per essere sul posto di primo mattino per tendere gli agguati a
piccoli gruppi di fascisti e tedeschi che passavano sulla via Emilia.
Partecipai con il mio reparto alle battaglie per la presa di Pietragavina e Varzi ed a quella di
"costa pelata" che rappresentò una svolta nella guerra partigiana. Terribile fu l'inverno del
1944-1945, iniziarono in tutto l'Oltrepò e nelle zone vicine i massicci rastrellamenti di nazi-
fascisti che commisero azioni atroci distruggendo, incendiando e fucilando anche intere
frazioni.
La mia brigata, sfuggendo all'accerchiamento, si portò nella zona di Novi Ligure. Ricevemmo in
seguito l'ordine di tornare a piccoli gruppi nei posti di partenza. Cosi tornai a Valverde, che era
occupata dai fascisti, con me c'era il figlio del sepellitore del posto, il quale scavando una buca
nel cimitero ci trovò un rifugio e lì rimanemmo nascosti, coperti dalla neve per alcuni giorni.
CALATRONI - Con l'arrivo della primavera si facevano sempre più evidenti i segni di debolezza
dei fascisti che si ritiravano pian piano verso la valle del Po. Noi eravamo sempre più con il
morale alto perchè ci dava molto coraggio e fiducia sapere che presto ci sarebbe stata la
"insurrezione generale" proclamata dal comitato di liberazione nazionale e la battaglia decisiva
per la liberazione dell'Italia. Partimmo il 24 aprile alla volta di Pietragavina per liberare Voghera
e ci riuscimmo.
Mi ricordo che nella cantina della villa del segretario del fascio di questa città trovammo un
baule pieno di fedi d'oro. Portammo tutto in Comune e le consegnammo alle autorità locali. Il
giorno dopo nel castello visconteo di Pavia incontrai Maria, la donna che abitava vicino alla mia
famiglia e la pregai di andare a salutare i miei, di dire loro che stavo bene e che appena mi
fosse stato possibile sarei tornato a casa, però ancora non potevo perchè il mio reparto era in
partenza per Milano dove ancora si combatteva.
DELMONTE - Arrivai a Milano in tarda sera e fummo alloggiati nelle scuole di Viale Romagna,
piene di prigionieri tedeschi terrorizzati dal fatto che i partigiani li fucilassero!
Il giorno dopo mi scelsero con undici miei compagni per formare una scorta. I miei coman-
danti, il conte Luchino Dal Verme, Italo Pietra, Paolo Murialdi, mi informarono solo molto som-
mariamente della natura della missione. Che era segretissima. Non mi è mai piaciuto parlare di questa missione, era così delicata, così grave, così urgente,
difficile e piena di rischi e di incognite… ma poi ho capito che dovevamo, dovevamo compierla,
a noi sarebbe spettato di scrivere, nel bene o nel male, la prima vera pagina di storia dell’Italia
che stava nascendo, grazie al sacrificio e alla volontà partigiana. Andammo a Dongo, sulle rive del lago di Como dove i partigiani garibaldini della zona avevano
fermato e arrestato il duce e i suoi pretoriani. Dovevamo chiudere i conti con Mussolini e gli ultimi gerarchi della repubblica di Salò che gli
erano rimasti fedeli. E li chiudemmo. (Rumore forte di spari)
Certe volte mi domando se ne è valsa la pena di fare quello che abbiamo fatto! Ma non bisogna
dimenticare, solo così si continua a sperare, pensando al futuro, ai giovani ai quali cerchiamo
di trasmettere i valori dell'antifascismo.
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Uno dei miei ultimi desideri è stato avere sulla mia tomba una sola scritta "PARTIGIANO."
Quell'esperienza ha segnato la mia vita, in quel nome e in quei valori, sentivo di potermi
riconoscere.
(musica – il personaggio rientra dietro le quinte – entra un altro personaggio)
5. Cesare Pozzi – Fusco
Viene proiettata la fotografia di Fusco
Mi chiamo Cesare Pozzi, sono nato nel 1914, ho passato la mia infanzia e la mia giovinezza a
Montù Beccaria. Il 18 aprile del ‘44 la Repubblica Sociale Italiana espose, sotto l’Albo pre-
torio di Montù, chiamato comunemente dai montuesi “il Portichetto”, il bando di chiamata alle
armi della classe 1914. A rispondere alla chiamata non ci pensavo neanche e volli dare al mio
rifiuto un senso di netta ribellione e di spregiudicata propaganda. Pregai Paolo Montemartini,
nipote del Senatore, di fare una fotografia con me sotto al Portichetto, dove, additando il mani-
festo della mia chiamata alle armi, lo avrei irriso con una sghignazzata. E così fu, il mio rifiuto
fu immortalato.
Però, poiché il giorno dopo sarei diventato un renitente alla leva, la sera del 18 col mio zaino in
spalla, coperte e qualcosa di indispensabile, lasciai qualche amico che mi aveva accompagnato
sino al Cantinone e, salita la rupe fino a Casa Bernardini dove mi attendevano mio fratello Ma-
rio, Albino e “Sangue di gatto” insieme andammo al Novello, un casino di campagna nella valle
che guarda Casa Barbieri.
Eravamo entrati in clandestinità. Da allora sono diventato Fusco, il leggendario comandante
della Brigata Matteotti, con i miei uomini ho dato filo da torcere a tutti, fascisti e tedeschi, e ho
avuto l’onore e la gioia di liberare Stradella il 26 aprile 1945.
Dopo la guerra ne ho viste e ne ho sentite di tutti i colori sulla Resistenza: verità, bugie, criti-
che, elogi...
Una cosa ho capito: che la Resistenza è stata un meraviglioso momento del Popolo italiano!
Siatene orgogliosi!
Si dice che la libertà l'abbiano portata gli alleati... sì, ci han dato una mano... ma non qui!
Nell'Italia del Nord gli alleati sono arrivati "invadendo" le città con quelle... Jeep... e i fucili nei
bagagliai... l'Italia era libera!
Poi c'è un dato di fatto: nell'Italia del Nord, durante la Resistenza, ci siamo scontrati varie volte
con i tedeschi.
A guerra finita i tedeschi hanno rastrellato tutti i loro morti dell'Italia del Nord facendo un fune-
rale a Costermano, sul lago di Garda.
Là c'è un cimitero militare tedesco che ha ventiduemila morti! ...che non sono morti di polmo-
nite!
E ora, miei cari, un saluto... un saluto affettuoso, cordiale... ricordatevi: io sarò sempre il vo-
stro Fusco.»
(musica – il personaggio rientra dietro le quinte – entra un altro personaggio)
https://it.wikipedia.org/wiki/Repubblica_Sociale_Italianahttps://it.wikipedia.org/wiki/Albo_pretoriohttps://it.wikipedia.org/wiki/Albo_pretoriohttps://it.wikipedia.org/wiki/Utility_truck_¼_t_4x4_Jeephttps://it.wikipedia.org/wiki/Cimitero_tedesco_di_Costermano
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1. LUCHINO DAL VERME
vengono proiettate immagini relative al partigiano mentre sei ragazzi che entrano espogono
vita ed eventi relativi al personaggio
GRAMEGNA – FIORINO – GINGILLO – SLEVOACA – BODURRI - FAZARI
GRAMEGNA – Sono Luchino dal Verme, ho 103 anni e sono libero. Durante la mia vita non ho
avuto la possibilità di esserlo, per lo meno quando sono stato giovane. Sono nato in una famiglia
aristocratica, molto agiata, avrei potuto continuare a vivere in quella realtà, ma decisi di seguire
i miei ideali e combattere per la libertà. La mia fiducia venne tradita l’8 settembre da chi avrebbe
dovuto guidarci e proteggerci, ma in realtà ha lasciato allo sbaraglio il nostro paese.
FIORINO - Erano tutti scappati, persino i capistazione e i Podestà che erano diventati fascisti,
tutto era travolto nel fango: il re, il giuramento verso di lui, la parola “dovere” era crollata, era
nata al suo posto la parola “coscienza” con la quale rispondi dei tuoi atti verso te stesso,
mentre il dovere è verso gli altri, verso lo Stato. Riunii I miei uomini, comprai una risma di carta bianca su cui scrissi " ha servito con onore il
suo paese". la consegnai loro, riconoscendo il loro servizio fatto a quei bastardi.
GINGILLO -Tornai a casa quando era buio. Sono andato dalla mamma e le ho detto “mamma
non so più qual è il mio dovere” lei mi ha detto “non sei solo, la tua situazione è la nostra e di
tutti i ragazzi che sono passati di qui”.
Un prete mi disse ” Ma tu credi alla vita, credi che un altro uomo sia anche lui una creatura e
cerchi sempre di capire l'altro chi sia? Ecco, il passo immediatamente successivo è la libertà.
Allora, hai paura di batterti per la libertà di un altro uomo? hai il dovere di batterti”.
Allora sono andato dalla mia mamma e le ho detto “sono a posto, io mi batto per la libertà di
un altro uomo”.
SLEVOACA . Quando mi chiedono se ne valeva la pena io rispondo “non c'è dubbio bisognava,
non si poteva non fare. E’ nato un bisogno di verità dopo l' 8 settembre Decisi perciò di stravolgere la mia vita e presi parte alla Resistenza. Ho guidato tante persone
che come me perseguivano il sogno della libertà. Uomini e donne legati per lottare, con
l’obiettivo di raggiungere una società più giusta. Non eravamo ancora in grado di ribellarci, ma
ad un certo punto bisogna smettere di scappare e farlo veramente.
BODURRI - Mi domando spesso ma il nostro paese meritava tutto questo ? ho visto tante
vedove, io ho visto morire tanti soldati. Non è vero che morivano con il sorriso sulle labbra
morivano chiamando la loro mamma. C’era un grande valore della famiglia, stavamo delle ore
qui nel bosco durante le imboscate a parlare, e di che cosa si parlava? della famiglia, della
casa. Sono stato ricevuto di notte in tante di queste case gente che si è alzata e mi diceva “venga lei
non ne può più abbiamo preparato un letto per lei”. non era vero qualcuno di loro si era alzato
perché era ancora caldo per farmi dormire una notte nel loro letto. Voleva dire rischiare di farsi
bruciare la casa. In questo gli italiani sono eccezionali.
FAZARI - Il 25 aprile ero a Milano, fucilate da ogni parte e mi sono detto “no ora è finita non
voglio più morire” e sono venuto qui nell’Oltrepò e qui l’ 8 maggio abbiamo fatto una grande
festa. Il paese è venuto fuori da questo vuoto totale di istituzioni, vuol dire che questo è possibile.
Questa è la speranza che vedo: l'Italia ce la può fare malgrado tutto ciò. E voi giovani non
avete il diritto ma il dovere di ribellarvi per la libertà
escono
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IV QUADRO
Entrano dei ragazzi
MICHELA – RAMONA – TONDO – SLEVOACA
MICHELA – caspita, che eroi! Certo che hanno vissuto in un momento storico davvero difficile RAMONA – Sì, la guerra è sempre brutta, ma questi partigiani l’hanno vissuta anche con
grandi disagi… però nello stesso tempo pensa che entusiasmo quando sai che stai lottando per
la libertà tua e del tuo popolo! Io mi sentirei davvero grande! TONDO – Sì, perché sei qui, nel 2018 e spaparanzata là… secondo me è difficile mettersi oggi
nei loro panni. SLEVOACA – non so, io cosa avrei fatto se fossi stato in loro? Boh, forse sarei scappato… RAMONA – Ma non hai sentito? Mica potevi scappare e basta. Se ti prendevano ti fucilavano! MICHELA – difficile da capire veramente. Oggi se ti privassero della libertà, ci sarebbe
qualcuno pronto a difenderti...puoi contare sui Carabinieri, la Polizia.. TONDO- al giorno d'oggi se ti succede qualcosa sai che puoi risolverla contando sulle
istituzioni.. MICHELA - infatti, ora siamo una Repubblica, abbiamo una Costituzione che ci tutela, non può
più accadere tutto questo RAMONA- si, vabbeh, però c'è ancora tanto da fare. C'è gente che non rispetta le leggi e la
libertà degli altri per avere più potere, più denaro, per essere più temuti… SLEVOACA- .. e per raggiungere tutto questo sono pronti a fare del male, molto male agli
altri...
V QUADRO
Si abbassano le luci. La musica si fa cupa, i ragazzi escono. Entra un personaggio per
volta e presenta la sua vita:
1. Carlo Alberto Dalla Chiesa
vengono proiettate immagini relative al personaggio. Un ragazzo espone vita ed eventi relativi
al personaggio
Sono nato a Saluzzo il 27 settembre 1920, sono morto a Palermo il 3 settembre 1982.
Fui generale e prefetto italiano.
Figlio di un generale, entrai nell'arma dei carabinieri durante la seconda guerra mondiale e
partecipai alla Resistenza.
Nel dopoguerra partecipai alla lotta al banditismo in Campania e in Sicilia.
Dopo un periodo trascorso a Firenze, Como, Roma e Milano, tra il 1966 e il 1973 fui di nuovo in
Sicilia come colonnello comandante della Legione Carabinieri di Palermo e cominciai le indagini
su Cosa Nostra.
Tornato al nord come generale di brigata dal 1973 al 1977 fui protagonista nella lotta contro le
Brigate Rosse. Erano gli anni della “strategia della tensione”, iniziata nel 1969 con l'autunno
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caldo delle lotte sindacali e la strage di Piazza Fontana a Milano il 12 dicembre dello stesso
anno.
Bombe e attentati si susseguivano in ogni dove, soprattutto nel Nord del nostro paese stazioni
e città principali erano bersagliate.
Si formarono nuclei eversivi violenti, che si diedero il nome di Brigate Rosse. Le loro azioni
terroristiche culminarono nel 1978 con il sequestro del ministro Aldo Moro e l'uccisione della
sua scorta il 16 marzo, alla vigilia della firma del primo governo DC/PCI, i due magiori partiti
italiani che avevano stipulato un accordo importante per la governabilità e le riforme
nell'interesse del nostro paese.
Così nel 1978 mi furono attribuiti poteri speciali come coordinatore delle forze di polizia e dei
massimi agenti informativi.
Voi capite che con questi incarichi la mia esposizione era indiscutibilmente totale e metteva in
pericolo la mia stessa vita.
Ma riuscimmo a sconfiggere il terrorismo, nei confronti del quale l'allora presidente della
Repubblica Sandro Pertini, grande comandante partigiano, adottò una linea dura, ferma,
intransigente.
Dopo il successo ottenuto nella lotta contro il terrorismo, il governo italiano mi nominò prefetto
di Palermo, affidando a me il compito e la speranza di debellare il potere mafioso in Sicilia.
Pochi mesi dopo, durante i quali avevo cominciato a toccare con mano i gangli e le persone più
pericolose e potenti, venni ucciso in un attentato con mia moglie Emanuela Setti Carraro e il
mio agente di scorta Domenico Russo.
I resti dell'auto su cui viaggiavo, completamente distrutta e accartocciata, potete vederli di
persona al Museo storico di Voghera.
Lo sapevo, sarebbe finita così, ero poco protetto e solo a combattere contro un mostro... la
mafia è cauta, lenta, ti misura, ti ascolta, ti verifica alla lontana...
Per i tre omicidi furono condannati all'ergastolo, come mandanti, i vertici di Cosa Nostra:
Totò Riina
Bernardo Provenzano
Michele Greco
Pippo Calò
Bernardo Brusca
Nenè Geraci
Nel 2002 vennero condannati in primo grado gli esecutori materiali dell'attentato.
Voce fuori campo - Sul luogo della strage, all'indomani dell'omicidio di Carlo Alberto Dalla
Chiesa apparve una frase: “Qui è morta la speranza dei palermitani onesti”
(musica – il personaggio rientra dietro le quinte – entra un altro personaggio)
3. Rocco Chinnici
Christian Lanzillotta
vengono proiettate immagini relative al personaggio mentre un ragazzo espone vita ed eventi
relativi al personaggio
Sono stato un magistrato italiano; forse ho fatto qualcosa e non sono un giudice qualsiasi, ma
sono ricordato soprattutto per aver fondato un gruppo straordinario, ovvero il primo “pool
antimafia”. Mi piace ricordare di aver partecipato in qualità di relatore a molti congressi e
convegni giuridici, credendo molto nel coinvolgimento dei giovani nella lotta contro la mafia. Tra
questi giovani magistrati verranno a far parte della mia squadra Giovanni Falcone e Paolo
Borsellino; siamo stati molto produttivi, a tal punto da lavorare al primo grande processo di Cosa
Nostra, ovvero il cosiddetto “maxi processo” di Palermo. La cosa di cui vado più fiero è però
l’aver incontrato tanti giovani nelle scuole d’Italia e di averli messi in guardia dai pericoli delle
droghe, oltre che da quelli della mafia. Detto questo, fatemi le vostre domande.
Intervista a Rocco Chinnici
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Metodo: domande dal pubblico, un alunno risponde come se fosse Chinnici (oppure
video, da concordare con i ragazzi)
- I magistrati non si sentono in pericolo, dopo quello che è successo a Ciaccio Montalto,
che è stato assassinato poco tempo fa? (Rebuffi)
Chi lavora in questo ambito è consapevole del rischio che corre ogni giorno, ma i magistrati
dispongono di scorte armate sempre più nutrite; nel caso di Ciaccio c’è da capire perché questa
non sia entrata in azione.
- Ecco, giudice, secondo lei cos’è realmente la mafia? (Castelli)
La mafia è un fenomeno mortale, nato dall’esigenza di difendere la proprietà, da 150 anni a
questa parte. Prima era il feudo da difendere, ora sono i grandi appalti pubblici, i mercati dove
girano tanti soldi, i contrabbandi che percorrono il mondo e amministrano migliaia di miliardi.
- C’è un legame tra la mafia e la politica? (Ricotti)
La mafia stessa è un modo di far politica attraverso la violenza, è fatale che cerchi una complicità,
un riscontro, una alleanza con la politica pura, cioè praticamente con il potere. Non posso
scendere nei dettagli perché sarebbe come riferire nelle direzioni delle indagini, ma una cosa è
certa: esiste una connessione profonda fra mafia e politica.
- Lei ritiene che la legge La Torre, che istituisce il regime carcerario 41 bis, con tutta
la sua durezza, sia veramente utile? (Marossa)
Sicuramente la legge La Torre è uno strumento di eccezionale validità, mettendo a disposizione
delle autorità i mezzi giuridici necessari per poter incriminare autori di reati mafiosi che nel
passato, anche in quello più recente, sono sempre riusciti a farla franca sfuggendo alle indagini
con diversi espedienti. Ma onestamente la legge La Torre non basta a contenere il fenomeno
mafioso in tutte le sue manifestazioni: abbiamo bisogno di mezzi che non siano soltanto giuridici,
basti dire che negli recentemente la criminalità organizzata ha moltiplicato la sua potenza,
mentre gli organici nelle varie sedi gudiziarie sono gli stessi di quindici anni fa e necessitano
quindi di un aumento.
Inoltre, con l'istituzione delle sciagurata politica del confino che ha esportato la mafia in tutto il
territorio italiano, esiste la necessità di uno strumento più moderno ed efficace, una banca dei
dati che possa mettere in condizione di sapere istantaneamente chi sono i personaggi implicati
nei vari delitti mafiosi e quali eventuali collegamenti ci siano tra di loro. Lo Stato deve intervenire
concretamente nella struttura tecnica della lotta.
- Credi in una legge sul mafioso pentito? (Ghioni)
Io non credo al pentimento del mafioso. Il mafioso, come il terrorista, è e rimarrà violento e
criminale, non può pentirsi, ma può esserci un mafioso che sapendo di essere stato condannato
a morte, si rivolge alla Giustizia che ha sempre disprezzato. La Giustizia è la sua ultima possibilità.
Può servire una diminuzione di pena per il mafioso che si è deciso a contribuire alla Giustizia
purchè il suo contributo sia utile. Ben venga quindi una legge sui mafiosi pentiti.
- Quale è stata la reazione dei giudici del trapanese di fronte all’omicidio di Rocco
Montalto: rassegnazione, collera, impotenza, paura? (Hallulli)
Non ho paura e non mi demoralizzo, vado avanti con più forza. Per ognuno che cade ce ne sono
altri dieci disposti a proseguire con maggior impegno, coraggio e determinazione.
Lettura dell’appello di Chinnici ai giovani
lettura, Rebuffi
Io credo nei giovani. Credo nella loro forza, nella loro limpidezza, nella loro coscienza. Credo nei
giovani perché forse sono migliori degli uomini maturi, perché cominciano a sentire stimoli morali
più alti e drammaticamente veri. E in ogni caso sono i giovani che dovranno prendere domani in
pugno le sorti della società, ed è quindi giusto che abbiano le idee chiare. Quando io parlo ai
giovani della necessità di lottare contro la droga, praticamente indico uno dei mezzi più potenti
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per combattere la mafia. In questo tempo storico infatti il mercato della droga costituisce senza
dubbio lo strumento di potere e guadagno più importante. Nella sola Palermo c’è un fatturato di
droga di almeno quattrocento milioni al giorno, a Roma e Milano addirittura di tre o quattro
miliardi. Siamo in presenza di una immane ricchezza criminale che è rivolta soprattutto contro i
giovani, contro la vita, la coscienza, la salute dei giovani. Il rifiuto della droga costituisce l’arma
più potente dei giovani contro la mafia.
(musica – il personaggio rientra dietro le quinte – entra un altro personaggio)
4.Antonino Scopelliti
Andrea: Il giudice solo: così era stato ribattezzato il magistrato Antonio Scopelliti, ucciso in un
agguato di mafia a pochi chilometri da Villa San Giovanni, in Calabria, mentre era alla guida
della sua auto. Nativo di Reggio Calabria, dove era nato nel 1935 , da Roma, dove abitava, era
tornato nella sua regione per trascorrere le vacanze estive con la sua famiglia. Come Sostituto
Procuratore Generale presso la Suprema Corte di Cassazione, avrebbe dovuto rappresentare
l’accusa contro gli imputati del maxiprocesso di mafia a Palermo. Secondo i pentiti della
‘ndrangheta Giacomo Lauro e Filippo Barreca, sarebbe stata la cupola di Cosa Nostra siciliana a
chiedere alla ‘ndrangheta di uccidere Scopelliti, che, in cambio del ”favore” ricevuto, sarebbe
intervenuta per fare cessare la ”guerra di mafia” che si protraeva a Reggio Calabria.
Viene proiettato il video di Rosanna Scopelliti che parla del padre.
Denis:“… il giudice non è mai popolare, soprattutto il Pubblico Ministero, che è quasi
sempre impopolare in tutti i processi. Il giudice va incontro a queste critiche, a volte anche
aspre, vivaci, a volte anche ingiuste, ma non può sacrificare il suo ministero, la sua milizia
ormai, per una popolarità che non è un suo privilegio, può essere popolare o impopolare ma
deve fare anzitutto il proprio dovere. Quindi la popolarità è un privilegio del quale il giudice non
deve tener conto. […] L’importante è avere la coscienza di fare il proprio dovere. È questo
secondo me il traguardo unico ed essenziale che il giudice deve proporsi sempre.”
Andrea: Le è mai accaduto che nel corso di una indagine o di un processo di
accorgersi che forse la strada che stava seguendo non era quella giusta e di non aver
potuto o di non aver voluto cambiar strada?
Denis:“Sì debbo dirle che spesso mi sono accorto che la strada che seguivo non era quella
giusta e penso che qualunque giudice, non voglio che questo sia un mio privilegio, che ad un
certo punto si accorga che la strada percorsa non è quella giusta, la cambi. Deve cambiarla. In
fondo, credo che il buon giudice è quello che lavora in assoluta umiltà, sempre pronto ad
ascoltare gli altri perché gli altri quando parlano possono dire delle cose che il giudice non ha
visto ed è importante che il giudice si accorga che quelle cose che non ha visto andavano
vedute, io spesso mi sono trovato in situazioni, agli incroci, ai bivi ed ho dovuto cambiare
strada e l’ho fatto volentieri. Le posso dire anche questo: spesso succede che nei processi io
porto a giudizio una determinata persona e mi accorgo poi in dibattimento, nella coralità del
contraddittorio che la mia tesi non è quella giusta e sono felicissimo di cambiarla, perché penso
che questo atto di umiltà è un atto di estrema cultura e di estrema responsabilità.”
Andrea: Lei crede come molti che il giudice o il magistrato non politicizzato, alla fine
diventi un emarginato?
Denis: “No, affatto. Io non mi sento un magistrato politicizzato, anzi io ritengo che il giudice
che professa un credo politico in modo molto clamoroso, ecco non è il mio giudice, non è
l’esempio che io condivido, perché se per magistrato politico si intende il magistrato che deve
vivere nel suo tempo, rendersi conto di certi problemi, di trasformazione …della società, di
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tante altre tensioni morali, il giudice che deve vivere nel suo mondo, se politico si intende
questo e sia politico! Ma se per politico si intende il magistrato che professa clamorosamente
un credo politico, non sono più d’accordo perché secondo me, pur essendo sereno e mi rifiuto
di pensare che non lo sia nel suo giudizio, non appare tale al cittadino. Il cittadino ha bisogno
non solo di vedere il suo giudice sereno ma tale deve apparire anche il giudice agli altri, cioè la
credibilità nelle istituzioni, nel giudice. Il sospetto che il giudice possa, quello politicamente e
clamorosamente impegnato, nella decisione farsi sedurre dal fascino di certe suggestioni
politiche: questo non è che porti giovamento alla credibilità del suo ministero.”
(musica – il personaggio rientra dietro le quinte – entra un altro personaggio)
5.Libero Grassi
vengono proiettate immagini relative al partigiano mentre sei ragazzi in scena espogono vita
ed eventi relativi al personaggio
D’ALFONSO - Io sono Libero…. Libero Grassi. I miei genitori avevano deciso di chiamarmi
così in nome di Giacomo Matteotti, un vero esempio di libertà. E questo nome ha segnato il
mio destino, perché anch’io sono morto per la libertà. Il 7 agosto del 1991 sono stato ucciso
dall’omertà, dall’associazione degli industriali, dall’indifferenza dei partiti e dall’assenza dello
Stato.
MAGROTTI- Nel 1932 avevo otto anni quando la mia famiglia si trasferì da Catania a Palermo,
perché papà fu promosso direttore dei negozi “CROFF”. Vivevo con spensieratezza gli anni
dell’adolescenza, imparando a comprendere il significato dei principi di democrazia e libertà.
Mentre ero al liceo capii che il fascismo mi stava francamente antipatico, e manifestai “pacifici”
atteggiamenti antifascisti. Poi scoppiò la guerra e ci trasferimmo a Roma. Nel 1943 iniziai a
frequentare l’università e di nuovo si presentò una cocente avversione alla politica antisemita,
nazista e fascista. Decisi addirittura di entrare in convento come seminarista, per non
combattere una guerra ingiusta al fianco di fascisti e nazisti.
Dopo la laurea in legge ho vissuto parecchio al nord dove ho incominciato a fare l’imprenditore.
Ho anche partecipato attivamente alla politica e sono stato uno dei primi a pensare di sfruttare
l’energia solare per produrre energia elettrica.
PRENGA - La mia azienda di famiglia però era la SIGMA, producevo pigiami. Nella metà degli
anni '80 iniziarono i problemi con la criminalità organizzata. Ricevetti una telefonata di minacce
alla mia incolumità personale, se non avessi pagato una certa somma a due emissari che mi
presenteranno per riscuotere: rifiutai.
La prima conseguenza fu il rapimento di Dick, il mio cane lasciato a guardia degli stabilimenti
della SIGMA, che mi venne restituito in fin di vita. Dopo poco tempo, due giovani a volto
scoperto tentarono di rapinare le paghe dei dipendenti della fabbrica: vennero identificati e
arrestati grazie ad alcuni miei dipendenti. Ma era solo l'inizio.
BARBIERI - La mia colpa è stata quella di far pubblicare, sul Giornale di Sicilia, una lettera
per far capire a tutti gli imprenditori di non pagare il pizzo. Ho scritto questo (apre un foglio e
legge):
« Volevo avvertire il nostro ignoto estorsore di risparmiare le telefonate dal tono minaccioso e
le spese per l'acquisto di micce, bombe e proiettili, in quanto non siamo disponibili a dare
contributi e ci siamo messi sotto la protezione della polizia. Ho costruito questa fabbrica con le
mie mani, lavoro da una vita e non intendo chiudere. Se paghiamo i 50 milioni, torneranno poi
alla carica chiedendoci altri soldi, una retta mensile, saremo destinati a chiudere bottega in
poco tempo. Per questo abbiamo detto no al "Geometra Anzalone" e diremo no a tutti quelli
come lui. » (chiude il foglio)
VERCESI - in questa lettera ho voluto denunciare pubblicamente la mafia. La prima volta mi
chiesero i soldi per i “poveri amici carcerati”, i “picciotti chiusi all’Ucciardone”. Quello fu il
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primissimo contatto. Dissi subito di no. Mi rifiutai di pagare. Così iniziarono le telefonate
minatorie: “Attento al magazzino”, “Guardati tuo figlio”, “Attento a te”. Il mio interlocutore si
presentava come il geometra Anzalone, voleva parlare con me. Gli risposi di non disturbarsi a
telefonare. Minacciava di incendiare il laboratorio.
Non avendo intenzione di pagare una tangente alla mafia, decisi di denunciarli. Sono stato
anche invitato da Santoro a “Samarcanda”, un vecchio programma su rai 3, per dichiarare con
forza a Santoro che non sono pazzo. non mi piace pagare. Perché la rinunzia è una rinunzia
alla mia dignità di imprenditore, io non divido le mie scelte con i mafiosi. Inizialmente quando
cominciai a denunciare la mafia nessuno mi appoggiò, nemmeno la mia associazione
Assindustria.
GRENGHI - Ma io ora sono libero davvero, e mio figlio Davide ha mostrato a tutti il segno della
vittoria mentre portava a spalla il mio feretro. Hanno ucciso l’uomo non la sua idea, che
continuerà a vivere nell’opera di ogni cittadino onesto
(musica – il personaggio rientra dietro le quinte – entra un altro personaggio)
6.Giovanni Falcone
vengono proiettate immagini relative al partigiano mentre alcuni ragazzi in scena espogono
vita ed eventi relativi al personaggio
LOGU – Mi chiamo Giovanni e sono libero. Sono nato nella primavera antecedente la Seconda
Guerra Mondiale a Palermo. Sono nato con i pugni chiusi e senza urlare mentre dalla finestra aperta entrò una colomba,
simbolo di pace. Quella colomba l’ho tenuta a casa. Mi hanno chiamato come mio zio Giovanni, coraggioso e valoroso tenente che morì per la
Patria durante la Prima Guerra Mondiale sul Carso. Ho frequentato le scuole elementari al Convitto Nazionale di Palermo e le medie alla scuola
“Giovanni Verga”. In questi anni trascorro i miei pomeriggi all'oratorio giocando con i miei
compagni a calcio.
Qui sono diventato molto amico di Paolo, Paolo Borsellino, e poi ho conosciuto anche Tommaso
Spadaro con cui mi sono scontrato in qualche partita a ping pong, e Tommaso Buscetta, ma
con loro non ho mai instaurato una vera e propria amicizia.
Oltre agli sport mi piace leggere: il mio libro preferito è sempre stato “I tre moschettieri”,
perché ha un significato vicino i miei ideali: insieme, il bene può sempre battere il male!
Ho frequentato il liceo classico “Umberto I” e qui ho trovato un insegnante che mi fece da
guida per tutto il mio percorso di studi, si chiamava Franco Salvo, insegnava storia e filosofia e
amava l'Illuminismo perché sosteneva che su tutti i fronti la ragione dovesse prevalere sul
sentimento. Nel 1958 mi sono iscritto alla Facoltà di Giurisprudenza dell'Università degli Studi di Palermo.
Mi sono laureato, dopo tre anni, con 110 e lode e a 25 anni sono riuscito, attraverso un
concorso, ad entrare nella magistratura italiana. Sono fiero di me e felice, anche perché tra un
paio di settimane sposo Rita, la donna che amo.
BRISELDA - Da due anni a questa parte è un periodo travagliato per me, perché è morto mio
padre, che era un grande punto di riferimento, e come se non bastasse, mia moglie, dopo 14
anni di matrimonio mi vuole lasciare per rimanere qui a Trapani con un altro uomo.
Sono andato a Palermo. Ho accettato l’offerta di Rocco Chinnici, mi piace perché sta
rinnovando l’organizzazione giudiziaria. Lavoro con il mio amico di sempre, Paolo Borsellino.
Ora, e siamo nel 1980, Chinnici mi ha affidato un'inchiesta contro Rosario Spatola, un noto
imprenditore visto dal popolo siciliano come un eroe perché offre lavoro a molte persone. Ma
questo lo fa per riuscire a riciclare il denaro sporco prodotto dai traffici illeciti di eroina. Come
ho fatto a scoprirlo? Facile per me, ho seguito il percorso che faceva il suo denaro da una
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banca all’altra, e sono riuscito a scoprire i collegamenti con i clan italo-americani. Certo che a
New York sono organizzatissimi, hanno degli strumenti che qui in Italia ci sogniamo! Hanno
anche il computer! Hanno collaborato alla mia ricerca, anche l’FBI, e abbiamo scoperto il Pizza
Connection, che è, detto semplicemente, il traffico di eroina nelle pizzerie.
E intanto Spatola, “l'eroe del popolo” (in modo sprezzante), è stato condannato a 10 anni di
reclusione insieme ai suoi 75 uomini. E ora questo modo di lavorare ha il mio nome.
CIVITELLI. Il 29 luglio 1983 un’autobomba ha massacrato Chinnici insieme alla scorta e al portinaio della sua casa in via Pipitone. Sono sconvolto, sono stati uccisi tanti altri come il
colonnello Russo, Boris Giuliano, il capitano Basile, Mario Francese, Pio La Torre, il presidente
della Regione Pier Santi Mattarella, il procuratore Costa, Cesare Terranova, l’agente Calogero
Zucchetto, il Professore Paolo Giaccone, e, come estrema sfida, la mafia aveva massacrato
Carlo Alberto Dalla Chiesa, la moglie Emanuela Setti Carraro e l’agente Domenico Russo.
Palermo si sente violata e ha affidato a me il compito di riscattarla. Così nasce il pool
antimafia. Questo progetto è nato nel marzo 1984 dall'idea di Rocco Chinnici e costituito da
quattro magistrati, tra cui il mio amico d'infanzia Paolo Borsellino. Lo scopo è quello, tramite il
coordinamento delle indagini, di restituire la città ai palermitani e la Sicilia ai siciliani onesti.
Il metodo attuato ha portato ad una svolta epocale: l'arresto del boss mafioso Tommaso
Buscetta che, dopo una lunga sequenza di interrogatori, ha deciso di collaborare con la
giustizia italiana rivelando la struttura e le chiavi di lettura di Cosa Nostra.
RESULI - Ho cominciato realmente ad avere paura per la mia vita e per quella dei miei
collaboratori, infatti per motivi di sicurezza abbiamo soggiornato, con le nostre famiglie, al
carcere dell'Asinara. Durante il soggiorno abbiamo continuato le inchieste avviate da Chinnici per costituire il primo
grande processo contro la mafia in Italia: il maxi processo di Palermo, che è durato poco meno
di due anni, ha inflitto 360 condanne, 2665 anni complessivi di carcere e 11 miliardi e mezzo di
lire di multe da pagare.
Nel frattempo però Borsellino è stato nominato Procuratore della Repubblica e ha lasciato il
pool e Caponnetto lascia l’incarico per ragioni di salute.
In sua sostituzione sono stato candidato insieme ad Antonino Meli, che ha vinto per scelta del
Consiglio Superiore della Magistratura.
L'elezione di Meli, motivata dall'anzianità di servizio, mi ha reso un bersaglio più facile per la
mafia perché sembra che non sia stimato come si credeva.
Meli ha smantellato tutto il mio metodo di lavoro, abbiamo avuto tanti ostacoli nella nostra
attività, tanto che il pool antimafia si è sciolto.
Sono davvero amareggiato, ho chiesto di essere destinato ad un altro ufficio. Preferisco
lavorare ad un’operazione antidroga con Rudolph Giuliani, procuratore distrettuale di New York. Ci sono contro di me delle menti raffinatissime, che mi vogliono morto per bloccare la mia
inchiesta sul riciclaggio. Hanno già tentato di farmi saltare in aria nella villa al mare. Ora anche
le lettere anonime cercano di screditare il mio lavoro e quello dei miei colleghi Ayala, Parisi e
altri.
BEVACQUA E’ iniziata una stagione brutta la stagione dei veleni, il sindaco di Palermo, Leoluca
Orlando, si sta scagliando contro di me, pensa che sia stato io a organizzare l’attentato contro
di me per farmi pubblicità e poi dice che tengo segreti dei documenti riguardo dei delitti
eccellenti della mafia.
Il 10 agosto 1991, al funerale di Antonino Scopelliti in Calabria, mi sono sentito di essere in
pericolo e ho detto al fratello di un mio collega “Se hanno deciso così non si fermeranno più...
ora il prossimo sarò io!”.
RESULI - SLIDE CON DISCORSO PER SCOPELLITI
BEVACQUA - Sto tornando da Roma, come al solito nei fine settimana. Ho un weekend
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rilassante, da passare con la mia famiglia... ma succede qualcosa... Gioacchino La Barbera (mafioso di Altofronte) sta seguendo me e la mia scorta fino allo
svincolo di Capaci, tenendosi in contatto telefonico con Antonino Gioè (capo della famiglia
Altofronte), che aspettano il mio arrivo a quel maledetto svincolo da una collinetta sopra
Capaci.
Al mio passaggio Brusca, che si trova sulla collina con Gioè, aziona un detonatore.
(Rumore forte di uno scoppio)
Un'ora e sette minuti dopo la strage rimango senza vita dopo numerosi tentativi di
rianimazione. Mia moglie muore qualche ora dopo di me.
Ma io non sono morto, o meglio, il mio corpo è morto... fatemi spiegare meglio “E a questa
città vorrei dire: gli uomini passano, le idee restano. Restano le loro tensioni morali e
continueranno a camminare sulle gambe di altri uomini”.
FINALE
Alla fine i ragazzi, dopo aver sentito le testimonianze, aver intervistato alcuni di loro,
capiscono che la libertà è un valore molto più grande di quello che pensavano loro.
Ci sono stati uomini che hanno lottato per la libertà e per la legalità perché i due
valori sono una cosa sola, perché non sei libero se non sei onesto e attento alla
libertà dell’altro.
D’ALFONSO- Caspita raga, avete sentito? C’è da rabbrividire, non mi aspettavo che delle
persone ai nostri tempi combattessero una vera e propria guerra, come hanno fatto i partigiani BRIS- Sì, una guerra all’ultimo sangue contro un nemico nascosto, pericoloso perché è capace
di indossare tante facce, anche quella del benefattore che ti vuole aiutare e invece ti sta
attirando dentro una ragnatela che soffocherà te, la tua famiglia, il tuo lavoro, la tua dignità. CIVITELLI- Quindi, sia i partigiani che i magistrati hanno combattuto contro un sistema
corrotto fatto di illegalità, di ingiustizie, di disprezzo della dignità della persona D’ALFONSO- Questi uomini hanno davvero combattuto per la nostra libertà…. SLEVOACA- Si forse ragazzi finora pensavamo che lottare per la libertà volesse dire essere
arroganti, disprezzare regole e leggi, invece è tutto l’opposto! LOGU- Certo, ora abbiamo capito che non siamo liberi se non siamo onesti e attenti prima di
tutto alla libertà degli altri… BEVACQUA - E per questo bisogna sempre lottare, senza avere paura, contro chi ci propone le
scorciatoie verso felicità artificiali, verso falsi poteri fondati sul disprezzo dell’altro e delle leggi Bisogna scegliere da che parte stare, anche se è quella più difficile. La nostra rivoluzione sarà
questa! La libertà è la legalità!
Canzone finale
La Libertà (RIT. 2 VOLTE)