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LE PROPOSTE NORMATIVE DELLE ACLI PER IL LAVORO DEI
GIOVANI
PRIORITÀ GIOVANI: INNOVARE E INVESTIRE NELLA FORMAZIONE PROFESSIONALE PER LE NUOVE GENERAZIONI
Se è vero che la sfida posta da industria 4.0 si gioca sul terreno delle competenze, della loro centralità nel continuo allineamento rispetto alle mutevoli esigenze del tessuto produttivo, la proposta non può che essere quella di rafforzare il sistema formativo, soprattutto quello iniziale (IeFP e ITS), per garantire a tutti i giovani il diritto e la possibilità di accedervi. A partire da questa base, va ampliata anche l’offerta formativa per gli adulti, nell’ottica europea del lifelong learning. Il Piano nazionale di interventi per la formazione dei giovani proposto dalle Acli si articola in sei punti, a partire dalla diffusione della IeFP in tutte le Regioni, fino al consolidamento e alla stabilizzazione del sistema duale, senza trascurare una revisione del repertorio delle qualifiche e dei diplomi ed un potenziamento degli ITS. GARANZIA GIOVANI: PRIVILEGIARE LA COMPONENTE FORMATIVA E LE AZIONI DI INSERIMENTO LAVORATIVO
La prima garanzia per l’occupazione dei giovani è la formazione delle loro competenze. Nella prima fase l’attuazione nazionale del programma europeo “Garanzia Giovani” ha privilegiato soprattutto i tirocini, con scarso impatto della misura rivolta ai giovani disoccupati. Facciamo appello alle Regioni perché la seconda fase del programma privilegi azioni integrate di formazione e lavoro, per migliorare i risultati di inserimento lavorativo e l’occupazione, permettendo al contempo l’acquisizione di qualifiche e diplomi professionali, certificati e diplomi di specializzazione tecnica superiore: titoli di studio a carattere professionalizzante, facilmente spendibili nel mercato del lavoro. In altri Paesi dell’Ue con un PIL più elevato del nostro, sono considerati una infrastruttura strategica delle politiche economiche, sociali e del lavoro.
VALORE LAVORO. 50° Incontro nazionale di studi delle ACLI
Le proposte 2
UN SOCIAL BONUS RAFFORZATO PER LA PROMOZIONE DEL LAVORO GIOVANILE
E’ molto importante, e non solo dal punto di vista simbolico, vedere (come, per fortuna, già avviene) giovani che ri-immettono gli immobili nella fruibilità della comunità locale e nel circuito produttivo, meglio ancora se si tratta di beni confiscati alle mafie. La recente riforma del Terzo Settore prevede l'istituzione di un social bonus per erogazioni liberali a favore di progetti di enti di Terzo settore che riutilizzino beni mobili o immobili confiscati alla criminalità organizzata o immobili pubblici in disuso. La nostra proposta chiede la rimozione del vincolo legato alle sole attività di tipo non commerciale per iniziative promosse da giovani o che ai giovani si rivolgano come destinatari.
GIG-ECONOMY, INDUSTRY 4.0 E LAVORO
Il lavoro svolto nella Gig-Economy è fortemente caratterizzato dalla flessibilità in entrata (quale contratto di lavoro applico? Lavoro subordinato o lavoro autonomo?), mentre il lavoro svolto in Industry 4.0 è maggiormente caratterizzato da flessibilità interne (orario di lavoro, salario e mansioni). Molti nuovi lavoratori sono ancora soli nell’affrontare queste sfide e spesso sono molto esposti al rischio e sotto-tutelati. Da dove muovere per ripensare le tutele e estenderne l’ambito soggettivo ai nuovi lavoratori? Ecco una proposta delle Acli.
RICONOSCERE IL VALORE SOCIALE DELLA MATERNITÀ E DEL LAVORO DI CURA
Come ACLI, pur apprezzando la proposta avanzata dal Governo circa la possibilità di ridurre fino a un massimo di 2 anni i requisiti contributivi previsti dall'Ape sociale per donne con figli, avanziamo una proposta alternativa. Agire sulla leva previdenziale, specialmente a ridosso del momento in cui scatterà l'innalzamento dell'età pensionabile e l'unificazione del requisito anagrafico tra uomini e donne per l'uscita dal mondo del lavoro, è importante. Va anche detto, però, che proprio il sistema previdenziale - e il modello di assicurazione sociale su cui si basa - è investito dalle profonde trasformazioni avvenute nel mondo del lavoro, non solo per il problema della riduzione / redistribuzione delle risorse. Le biografie lavorative delle donne e dei giovani principalmente, risultano molto frammentate. E molto più di prima, i soggetti sembrano richiedere sostegno nelle fasi centrali della vita lavorativa.
A cura di: Osservatorio Giuridico – Dipartimento Studi e Ricerche delle ACLI
Contributi di: Fabrizio Benvignati, Antonio Bernasconi, Irene Bertucci, Michele Faioli, Eugenio Gotti, Giuseppe Longhi, Maria Grazia Nardiello, Roberta Piano, Paola Vacchina, Tonino Ziglio
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Le proposte 3
INDICE PRIORITÀ GIOVANI: INNOVARE E INVESTIRE NELLA FORMAZIONE PROFESSIONALE PER LE NUOVE GENERAZIONI .............................................................................................. 4
Rischi e Sfide ........................................................................................................................4
La nostra vision ....................................................................................................................5
Un Piano strategico per la formazione professionale delle nuove generazioni: sei proposte delle ACLI .............................................................................................................................6
1. Investire nella formazione professionale.......................................................................................... 7
2. Consolidare e diffondere l’infrastruttura formativa ......................................................................... 8
3. Innovare le qualifiche e i diplomi...................................................................................................... 8
4. Sviluppare il sistema terziario professionalizzante (ITS) ................................................................... 9
5. Investire in un sistema accogliente di formazione professionale ................................................... 10
6. Accrescere il ruolo delle istituzioni formative nel contesto dell’apprendistato e delle politiche attive del lavoro .................................................................................................................................. 10
GARANZIA GIOVANI: PRIVILEGIARE LA COMPONENTE FORMATIVA E LE AZIONI DI INSERIMENTO LAVORATIVO ....................................................................................... 12
Rischi e Sfide ......................................................................................................................12
La nostra vision ..................................................................................................................13
La nostra proposta .............................................................................................................13
UN SOCIAL BONUS RAFFORZATO PER LA PROMOZIONE DEL LAVORO GIOVANILE....... 14
Rischi e sfide ......................................................................................................................14
La nostra vision ..................................................................................................................14
La nostra proposta .............................................................................................................14
GIG-‐ECONOMY, INDUSTRY 4.0 E LAVORO................................................................... 16
Rischi e sfide ......................................................................................................................16
La nostra proposta .............................................................................................................16
Tutele e Gig-‐Economy......................................................................................................................... 16
Tutele e Industry 4.0 ........................................................................................................................... 17
RICONOSCERE IL VALORE SOCIALE DELLA MATERNITÀ E DEL LAVORO DI CURA .......... 19
Rischi e sfide ......................................................................................................................19
La nostra vision ..................................................................................................................19
In prospettiva… ..................................................................................................................20
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PRIORITÀ GIOVANI: INNOVARE E INVESTIRE NELLA FORMAZIONE PROFESSIONALE PER LE NUOVE GENERAZIONI
Rischi e Sfide L’indagine 2017 sull'occupazione e sugli sviluppi sociali in Europa (Employment and Social Developments in Europe - ESDE), pubblicata dalla Commissione Europea il 17 luglio 2017, conferma un quadro ancora molto critico sull’occupazione in Italia, in particolare su quella giovanile. La questione viene richiamata spesso sui giornali e nei talk show televisivi, nonostante perduri - nei fatti - la mancanza di un Piano strategico per affrontare efficacemente il problema. Come ACLI, riteniamo che occorra innanzitutto sviluppare e far radicare in tutto il territorio nazionale la formazione professionale, soprattutto quella destinata ai giovani di 14/25 anni, attraverso scelte politiche e impegni finanziari progressivi di breve, medio e lungo periodo. Il numero di NEET («Not in Employment, Education or Training») permane allarmante: nel nostro Paese sono il 19,9% dei giovani di 15/24 anni contro una media europea dell’11,5%. In alcune delle più importanti regioni del Mezzogiorno superano il 30%. Questo è un potenziale inespresso per lo sviluppo sociale ed economico del nostro Paese, che va fatto emergere e valorizzato. Se da un lato i giovani trovano difficoltà ad orientarsi nella scelta del loro percorso di studio e di formazione, dall’altro non solo stentano a trovare un impiego, ma soprattutto devono confrontarsi con un mercato del lavoro frammentario, incerto e complesso: i lavori sono sempre più di breve durata, le carriere sono discontinue, la permanenza in un luogo di lavoro è sempre più correlata alla capacità di aggiornarsi e di rispondere, in modo anche proattivo, ai fabbisogni del mercato del lavoro. La progressiva uscita dalla grande crisi iniziata nel 2008 ha coinciso con l’inizio della quarta rivoluzione industriale, l’Industry 4.0, che ha conseguenze rilevanti nel mercato del lavoro: la progressiva automazione dei processi produttivi e l’innovazione digitale che affida alle macchine una sempre maggiore abilità nello svolgere quelle mansioni di complessità medio-alta che fino ad oggi venivano svolte dalle persone. Gli impatti del velocissimo mutamento tecnologico prodotto dall’Industry 4.0 sono molteplici: da una parte si consumano e si distruggono posti di lavoro, dall’altra si aprono nuove prospettive e opportunità, ridefinendo professionalità, fabbisogni occupazionali, competenze, modelli di business. Il confine tra produzione e servizi si riduce: si va verso una personalizzazione di massa dei prodotti e alcuni servizi considerati fino a qualche tempo fa “accessori”, come ad esempio le piattaforme digitali per il trattamento dei dati, diventano ora driver di produzioni, come dimostra la diffusione del car-sharing nel trasporto o lo sviluppo delle piattaforme di prenotazione di viaggi ed alberghi. La formazione professionale per le nuove generazioni può essere, come in altri Paesi dell’Ue, uno strumento formidabile per misurarsi con queste sfide, che richiede anche un investimento culturale sulle famiglie e sulle ragazze e i ragazzi che concludono, in genere, il primo ciclo di istruzione a 14 anni. La maggior parte dell’opinione pubblica non ha ancora la consapevolezza del valore culturale della formazione professionale, che la legislazione nazionale considera, al pari della scuola, utile anche all’assolvimento dell’obbligo di istruzione. Ma il valore di una adeguata infrastruttura di formazione professionale per il Paese non si esaurisce qui. Nei prossimi cinque anni, infatti, i fattori tecnologici e demografici influenzeranno profondamente l’evoluzione del lavoro, ma è ancora poco chiaro l’impatto dal punto di vista occupazionale. Non a caso gli analisti convergono nell’affermare che, in questo quadro di repentina evoluzione dei mercati e delle produzioni, il problema più urgente da affrontare per le generazioni più giovani è gestire lo “skill mismatch”, cioè la mancata corrispondenza tra le competenze possedute e quelle richieste dalle aziende e dal mercato. Il lavoro si sposterà dalle mansioni routinarie (sostituibili dall’automazione) a quelle in cui la risorsa umana produce valore aggiunto, con una probabile tendenza alla polarizzazione dei profili lavorativi tra high skill e low skill. Cresce quindi la domanda di competenze organizzative, decisionali, di comunicazione, di problem solving, di pensiero critico e creativo, di capacità relazionali e interculturali, ma anche quella di personalizzare in modo
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innovativo prodotti e servizi, tipica del Made in Italy. Le competenze tecniche e specialistiche continueranno ad essere necessarie, ma devono essere costantemente aggiornate e sviluppate per evitare di essere rapidamente logorate in contesti dove interagiscono contemporaneamente le opposte tendenze alla globalizzazione e al localismo. Occorre dunque portare una quota più alta di popolazione a qualifiche di livello terziario (sia universitarie che non accademiche) e garantire agli adulti l’accesso ad una formazione di qualità per la riqualificazione professionale. Sulla tenuta e lo sviluppo della nostra economia pesano poi, come noto, anche fenomeni sociali importanti quali la crescente denatalità, l’invecchiamento della popolazione, la tendenza delle famiglie ad essere sempre più mononucleari, l’aumento progressivo delle migrazioni in particolare dall’Africa centrale e occidentale, tema costantemente al centro del dibattito politico e perfino dell’ultimo G20 di Amburgo. I cambiamenti epocali delineati evidenziano la necessità di attivare politiche che sappiano affrontare tali sfide e che riducano i rischi di una crescente diseguaglianza e polarizzazione della società, tra lavoratori a più bassa qualificazione e lavoratori che godono di maggiore sicurezza e di maggiori redditi. Le competenze diventano un generatore di valore per i singoli e la collettività, un patrimonio per la persona e per il Paese, espressione della vitalità produttiva, dello sviluppo economico e sociale, della capacità democratica di garantire mobilità, equità e giustizia. Ai sistemi formativi spetta quindi il compito di generare tali competenze e accompagnare gli individui nel corso di tutta la propria vita a farle crescere, svilupparle, renderle adeguate e adattabili. Per questo motivo l’investimento culturale, economico e sociale nel sistema della formazione professionale iniziale – e non solo in quella continua – è un’operazione strategica da cui può dipendere, in misura non ancora percepita, il declino o lo sviluppo del Paese. Ed è per questo che serve un Piano di intervento pluriennale non più rimandabile, che assuma una visione strategica dei cambiamenti in atto, anticipatrice del futuro di medio periodo.
La nostra vision Per incidere in modo significativo sui fenomeni della disoccupazione giovanile, della dispersione scolastica ed universitaria e dei Neet è necessario mettere in campo nuove idee ed un Piano di interventi che - distinguendosi dai modelli scolastici ed universitari tradizionali - operi su diversi fronti:
• potenzi e diffonda in tutto il Paese l’offerta dei percorsi di formazione professionale iniziale (IeFP), ampliando le figure professionali di riferimento, perfezionando i modelli organizzativi, sviluppando il sistema in senso verticale, verso il livello terziario;
• renda più fluido e più appetibile per le imprese l’ingresso dei giovani nel mondo del lavoro, motivandole ad interagire con le istituzioni formative con un crescente coinvolgimento nel disegno e nella gestione dell’offerta formativa;
• potenzi il ruolo delle istituzioni formative nell’ambito del sistema dei servizi per il lavoro;
• faccia crescere la consapevolezza nell’opinione pubblica, nelle famiglie, nei giovani e nei decisori politici nazionali, regionali e degli Enti locali che la formazione professionale iniziale è una infrastruttura culturale ed economica essenziale per lo sviluppo delle persone e del territorio.
Alcuni passi in avanti sono stati fatti con il Jobs Act, in particolare con la riforma dell’apprendistato formativo, con la sperimentazione del sistema duale, con l’approvazione degli incentivi alle assunzioni dei giovani ed il riordino dei servizi per il lavoro. Anche nel campo dell’istruzione, alcuni spunti presenti nella Legge 107/20151, vanno nella stessa
1 Legge 13 luglio 2015, n. 107, Riforma del sistema nazionale di istruzione e formazione e delega per il riordino delle disposizioni legislative vigenti.
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direzione: l’introduzione nei curricula dell’alternanza scuola-lavoro, l’attenzione data alla didattica laboratoriale, il riordino del sistema di Istruzione Professionale ne sono alcuni esempi. L’esito del referendum del 4 dicembre 2016 ha lasciato la Formazione professionale tra le competenze esclusive delle Regioni, che nel tempo hanno realizzato sistemi territoriali notevolmente differenti, non dialoganti tra loro e in troppe situazioni mal funzionanti o purtroppo del tutto assenti, in particolare nei territori dell’Italia centrale e del Mezzogiorno. Facciamo appello alla Conferenza delle Regioni affinchè pretenda dallo Stato gli strumenti giuridici e le risorse per garantire parità di diritti e di prestazioni su tutto il territorio nazionale nell’offerta di istruzione e formazione professionale rivolta almeno ai giovani di 14/18 anni, impegnando al contempo le Regioni rimaste indietro (ossia che non hanno ancora strutturato il sistema di IeFP degli enti di formazione accreditati) ad accelerare il recupero del terreno perso. Nel confronto con i Paesi dell’Europa centrale e del nord, infatti, ciò che manca al sistema educativo italiano è una forte Filiera professionalizzate sia a livello secondario superiore che terziario non accademico. Le tendenze prevalenti vanno nella direzione, da un lato, della liceizzazione della scuola secondaria superiore anche ad indirizzo tecnico-professionale, e dall’altro all’incremento delle iscrizioni all’Università, cui però corrispondono significative quote di abbandono (da ricordare che l’Italia rimane al di sotto la media UE per numero di laureati). Il nostro sistema di istruzione e formazione professionale è quanto di più vicino esista ai moderni sistemi europei di VET (Vocational Education and Training) ed ai modelli di gestione del mercato del lavoro ispirati alla Flexisicurity, ma ha ragione d’essere se collocato all’interno di una Filiera professionalizzante di livello secondario e terziario non accademico, che dia la possibilità a chi la frequenta di poter accedere a vari livelli di qualificazione: dai corsi triennali e quadriennali dell’istruzione e formazione professionale (IeFP) che rilasciano la Qualifica e/o il Diploma, alla Certificazione di Specializzazione superiore dei corsi IFTS, fino al Diploma di Tecnico superiore previsto per i corsi ITS, prevendo anche la possibilità di passaggi formalizzati per garantire l’eventuale rientro nel canale dell’Istruzione e dell’Università. Ciò che accomuna la IeFP alla VET europea, e la Formazione superiore ai Sistemi di formazione terziaria non accademica europei è il modello formativo che integra organicamente l’apprendimento per via teorica (tendenzialmente deduttivo, basato sul sapere, organizzato prevalentemente in aula su discipline/materie e centrato sul rapporto docente/discente) e l’apprendimento per via pratica (tendenzialmente induttivo, basato sul saper fare, organizzato in laboratorio, su commesse ed esperienze pratiche, sull’alternanza scuola-lavoro e sulla formazione on the job in azienda e centrato sul rapporto tra diversi contesti/stili di apprendimento del soggetto). Ed è proprio grazie a questa impostazione metodologica – esito anche di scelte pedagogiche mirate e sperimentazioni avvenute nel tempo – che la Formazione Professionale è, all’interno del sistema educativo italiano, l’unica realmente in grado di garantire una connessione funzionale tra formazione e lavoro in una prospettiva di lifelong learning e di accompagnamento all’inserimento lavorativo. Siamo consapevoli che l’impatto della “rivoluzione 4.0” sui sistemi formativi produrrà ulteriori e importanti conseguenze nel breve-medio periodo: cambieranno i profili formativi ed il mix di competenze tecnico-professionali e base/trasversali; si svilupperanno nuovi modelli formativi e nuovi contesti di apprendimento più dinamici e connessi ai sistemi informativi (Web, Social media) ed alle tecnologie digitali (FabLab, Trasferimento tecnologico, Progettazione condivisa in rete); si chiederà maggiore attenzione a nuove proposte di soluzione innovative (Laboratori di idee, Start up); s’imporranno nuovi approcci metodologici (Design Thinking, Simulazioni, Sviluppo prototipi, ecc.) in sintonia con le competenze da formare. Siamo solo all’inizio di questo cambiamento, per questo è importante anticipare l’innovazione, (laddove l’innovazione viene concretamente realizzata, ossia nel mondo del lavoro o negli ambienti di ricerca applicata che si occupano di trasferimento tecnologico) e fare in modo che il sistema formativo non rimanga indietro, costruendo l’infrastruttura essenziale per l’innovazione, ovvero le competenze delle persone, in contesti di lavoro in continuo divenire. Da qui le nostre proposte.
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Un Piano strategico per la formazione professionale delle nuove generazioni: sei proposte delle ACLI
1. Investire nella formazione professionale
Il problema in breve. Senza investire nella formazione professionale iniziale, secondaria e terziaria, si brucia il futuro delle nuove generazioni (dispersione scolastica e disoccupazione). Inoltre, l’attuale debolezza del sistema di formazione professionale non consente lo sviluppo di un’efficace aggiornamento professionale per milioni di persone adulte e di lavoratori, né una diffusa riqualificazione per le persone in cerca di lavoro. Solo in una dimensione di filiera si danno gambe e forza ai progetti di vita e di lavoro delle persone.
La formazione professionale va messa al centro del dibattito politico e delle strategie di intervento, perché costituisce un pilastro fondamentale dell’apprendimento permanente delle persone e della formazione continua dei lavoratori. Sino ad oggi, a differenza di molti Paesi dell’Ue, lo Stato ha investito quasi esclusivamente nell’istruzione scolastica, interessandosi solo di una parte del sistema educativo nazionale. La formazione professionale iniziale – espressa dal sistema di IeFP – è rimasta sinora "all'angolo" nel sistema educativo di istruzione e formazione, con i risultati che sono sotto gli occhi di tutti in termini di alti tassi di disoccupazione che coinvolgono gli under 30 e nel fenomeno dei NEET. I NEET non rappresentano tanto una condizione di disagio dei giovani meno abbienti, ma un fenomeno molto più diffuso, dovuto in larga parte ad una mancanza di offerta formativa che dia loro le risposte che cercano e non trovano per poter costruire, sin dall’adolescenza e dalla giovinezza, il loro progetto di vita e di lavoro in contesti di apprendimento permeati dalla cultura del lavoro, molto prossimi alla loro percezione della realtà, come quelli tipici della formazione professionale di qualità. L’assenza di un forte sistema formativo accanto al sistema di istruzione, è la causa principale della dispersione scolastica e dei forti tassi di mismatch tra le competenze in possesso dei giovani e quelle richieste dal mondo del lavoro. Al contrario, nei sistemi regionali che hanno sviluppato una articolata e stabile offerta di IeFP degli enti formativi accreditati si osservano minori tassi di dispersione e buoni risultati occupazionali, se non eccellenti, tra i qualificati e i diplomati (IeFP) e i titolari di certificati di istruzione tecnico-superiore (IFTS e ITS). Si tratta principalmente delle Regioni del nord Italia. Nelle strategie e negli investimenti per la quarta rivoluzione industriale, questo vuoto va riempito nella prossima legislatura, cominciando ad impegnarsi già nella conclusione di quella attuale. Interventi spot non servono, serve una nuova considerazione del valore culturale e socio-economico della formazione professionale iniziale nella percezione dell’opinione pubblica e nel sostegno delle parti sociali. Ciò è vero sia per la formazione di secondo ciclo, sia per quella di livello terziario. I soli sistemi scolastico ed universitario non sono sufficienti a dare una risposta a tutti i giovani ed ai fabbisogni delle imprese. E’ con una Filiera professionalizzante completa, di livello secondario e terziario non accademico, che si dà la possibilità a chi la frequenta di poter accedere a vari livelli di qualificazione. Consolidare la formazione iniziale è il primo impegno da assumere nei tempi più brevi. Sono quattro le nostre proposte per consolidare il sistema di IeFP: a. Superare l’attuale situazione di frammentarietà territoriale ed incompiutezza del sistema,
dando seguito immediato alla richiesta che la stessa Conferenza delle Regioni ha fatto più volte per l’adozione di un Regolamento governativo che presidi il rispetto dei livelli essenziali delle prestazioni stabiliti dallo Stato, accompagnata da misure idonee per sostenere il completamento e il riequilibrio territoriale dell’offerta formativa;
b. Prevedere un finanziamento aggiuntivo di 20 milioni/anno per favorire lo sviluppo di un’offerta formativa di IeFP nelle Regioni in cui gli studenti che frequentano i percorsi di istruzione e formazione professionale presso le istituzioni formative rappresentano una quota inferiore al 2% degli studenti frequentanti le scuole di istruzione secondaria superiore;
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Le proposte 8
c. Rafforzare il sistema duale per il conseguimento di qualifiche e diplomi di IeFP con un finanziamento dedicato e stabile (si veda punto 6);
d. Assicurare agli enti di formazione risorse aggiuntive, anche comunitarie, per la realizzazione di progetti pilota da estendere poi al territorio nazionale, rivolti ai migranti (es. validazione delle competenze, inserimento in percorsi di IeFP con allineamento delle competenze di base e di cittadinanza, moduli ad hoc per l’acquisizione delle competenze di cittadinanza – si veda punto 5).
2. Consolidare e diffondere l’infrastruttura formativa
Il problema in breve. Non è più rinviabile l’innovazione e la diffusione dell’infrastruttura formativa dei Centri di Formazione Professionale (CFP), sedi delle istituzioni formative di IeFP anche attraverso l’utilizzo dei fondi
strutturali comunitari (es. FESR, Fondo Europeo Sviluppo Regionale)
I centri di formazione professionale sono le strutture chiamate ad accompagnare le persone neallo sviluppo e nell’aggiornamento delle proprie competenze. La storica capacità di questi soggetti è quella di rispondere contemporaneamente sia ai bisogni educativi e formativi delle persone, sia a quelli di crescita del capitale umano delle imprese. Per rispondere ai nuovi bisogni di competenze e per affrontare efficacemente il nuovo rilancio della formazione professionale, essi sono chiamati ad una profonda innovazione e ad un nuovo livello qualitativo di intervento. L’evoluzione dei centri di formazione vede un rafforzamento della propria mission nel mutato contesto economico e produttivo, attraverso: un crescente ruolo nel contesto delle politiche attive del lavoro; un adeguamento della propria offerta formativa ai nuovi bisogni di competenze; l’innovazione strutturale, di capitale umano e organizzativa. Sono cinque le nostre proposte per contribuire ad una costante e importante crescita e innovazione dei CFP: a. Rivedere i criteri generali di accreditamento alla formazione per rafforzare la formazione
di qualità. b. Introdurre un credito di imposta per gli investimenti realizzati da parte degli Enti di
formazione. c. Consentire la detraibilità delle erogazioni liberali in favore degli enti di formazione
professionale senza scopo di lucro che appartengono al sistema nazionale di istruzione e formazione, come già avviene per il sistema scolastico.
d. Prevedere l’accesso ai Fondi strutturali per gli investimenti innovativi nei CFP. e. Introdurre efficaci e capillari sistemi di verifica della qualità.
3. Innovare le qualifiche e i diplomi
Il problema in breve. Oggi in Italia malgrado l’elevata disoccupazione giovanile, le imprese trovano difficoltà a
reperire alcune figure professionali in particolare di operai e tecnici specializzati.
Se è vero che la sfida posta da Industry 4.0 non può che giocarsi sul terreno delle competenze, della loro centralità nel continuo allineamento rispetto alle mutevoli esigenze del tessuto produttivo, le nostre proposte non possono che andare nella direzione di costruire offerte formative in grado di rispondere alle esigenze del mercato del lavoro, delle imprese e delle persone. All’interno di FORMA (l’Associazione dei principali enti nazionalei di formazione), stiamo proponendo con forza un aggiornamento e ampliamento del repertorio delle Qualifiche e dei Diplomi professionali, in modo che i contenuti e le certificazioni della formazione professionale possano essere aggiornate e integrate con nuovi profili professionali di figure richieste dal mercato del lavoro per le quali non esistono titoli
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corrispondenti e, nel complesso, risultino più adeguate alle nuove esigenze delle aziende ma anche al sistema europeo delle certificazioni. Ci sono alcuni settori produttivi dove questa necessità di aggiornamento e ampliamento risulta particolarmente urgente, come per esempio: l’ambito della meccatronica; l’ambito della modellazione e protipazione industriale (tutto il mondo connesso alla stampa 3D); l’ambito di sviluppo di applicazioni mobili e connettività; l’ambito dei servizi welfare multidimensionali alla persona e alla famiglia, l’ambito delle professionalità multifunzionali/interfunzionali di un settore agricolo sempre più attento, oltre che alla produzione alimentare, anche a processi di servizio a supporto di politiche educative, sociali, dell'inclusione. Si tratta di un processo articolato e complesso che coinvolge le Regioni e i due Ministeri competenti (MIUR e MLPS) quello che porta alla revisione del Repertorio, tanto che siamo in ritardo di almeno tre anni rispetto alla data in cui sarebbe dovuto avvenire per legge la prima revisione.
Le nostre proposte 1. FORMA (l’assocuazione dei principali enti di formazione nazionali) ha già avviato un
proficuo contatto e dialogo con la IX Commissione della Conferenza delle Regioni, ma facciamo appello alle Istituzioni perché questo processo si possa compiere in tempo utile perché le nuove qualifiche e diplomi della IeFP possano essere avviati contestualmente ai nuovi indirizzi della Istruzione professionale (anno formativo 2018/19). Sarà molto importante che il Repertorio venga aggiornato, ampliato e innovato frequentemente e rapidamente, con attenzione alle esigenze territoriali e dunque con un ruolo importante del sistema delle Regioni.
2. Questo lavoro di ammodernamento e aggiornamento del repertorio ha l’ambizione anche di andare a intercettare, se e dove possibile, nuovi spazi e settori dove proporre formazione per i giovani dai 14 ai 25 anni, come per esempio il settore della tutela ambientale e dello sviluppo del territorio. Oggi le sue vocazioni sono troppo spesso poco conosciute o trascurate, come dimostrano anche i tanti borghi abbandonati che sarebbero invece, se valorizzati, un capitale a misura d'uomo, molto utile per l’occupazione dei giovani, il ripopolamento delle aree in stato di abbandono e la crescita del PIL. I prodotti tipici locali avranno successo nel mondo, anche nel contesto della quarta rivoluzione industriale, se i giovani avranno le competenze per produrre beni e servizi di qualità, frutto del proprio mestiere coltivato con passione sin dall'adolescenza quando si è più creativi, come le botteghe rinascimentali hanno già dimostrato. Oggi le botteghe artigiane hanno bisogno di essere innervate dalle tecnologie di ultima generazione per essere competitive nel mercato globale. La formazione professionale, se innovata, può giocare un ruolo fondamentale nel formare le professionalità richieste dall’economia 4.0 senza disperdere il know how delle tradizioni locali.
4. Sviluppare il sistema terziario professionalizzante (ITS) Attualmente il numero di immatricolati in università ogni anno è intorno ai 270 mila studenti. Di questi, meno di 200 mila con età uguale o inferiore ai 19 anni2. Il tasso di passaggio dalla scuola secondaria di secondo grado all’università è circa del 50%. In particolare, la propensione a proseguire gli studi è più elevata per i diplomati con maturità classica e scientifica (rispettivamente 84,4% e 81,4%) mentre scende al 30,8% dei diplomati tecnici ed all’11,4% per coloro che hanno conseguito il diploma di istruzione professionale. Si consideri che il finanziamento del sistema universitario da parte del Miur è di circa 6,9 miliardi anno per il funzionamento ordinario, più 1,1 miliardi di altri trasferimenti finalizzati, per un totale di 8 miliardi3. A fronte di ciò, l’ITS accoglie attualmente nel nostro Paese meno di 10.000 giovani, con un finanziamento stimabile in circa 60 milioni l’anno. Risulta evidente la sproporzione.
2 Cfr. MIUR, “Gli immatricolati nell’anno accademico 2014/2015”, gennaio 2016. 3 Riferito all’anno 2012. Cfr. Anvur, Rapporto sullo stato del sistema universitario e della ricerca 2013, pubblicato anno 2014.
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Le proposte 10
La nostra proposta consiste nel potenziare e diffondere l’offerta formativa degli Istituti tecnici superiori, che rappresenta anche il livello terziario di possibile sbocco per i qualificati e diplomati IeFP / IFTS. Per lo sviluppo del sistema terziario professionalizzante, gli ITS dovrebbero progressivamente aumentare il numero di iscritti ad anno, passando dagli attuali 6 mila ad almeno 30 mila immatricolati ogni anno, con uno sviluppo progressivo di +5 mila iscritti ogni anno. Tendenzialmente, sulla base di dati Eurostat, si può ipotizzare un costo per le finanze pubbliche di circa 8mila euro/anno studente.
5. Investire in un sistema accogliente di formazione professionale
Il problema in breve. Di fronte all’imponente massa di flussi migratori, la formazione professionale può diventare "HUB" per la formazione dei giovani migranti e il nostro Paese può svolgere un ruolo essenziale sia nel garantire una maggiore inclusione sociale nello spazio euromediterraneo, sia per contribuire alla crescita produttiva dei Paesi
da cui provengono, in primis dell’Africa.
Il fenomeno migratorio nel nostro Paese non è una emergenza, ma rappresenta un evento epocale di medio lungo termine, che richiede di essere affrontato con adeguate politiche, tra cui quelle rivolte alla scolarità dei minori ed alla valorizzazione delle qualificazioni dei migranti, per la migliore integrazione sociale e lavorativa. In tal senso, il riconoscimento delle competenze già acquisite dai migranti, una formazione specifica ed intensiva nell’ambito di politiche del lavoro per l’inserimento lavorativo, potrà favorire un più efficace e positivo inserimento delle persone migranti nel nostro mercato del lavoro. Ma non solo. Oggi arrivano in Italia – a differenza di altri Paesi dell’Ue – i migranti con i più bassi livelli di istruzione e formazione, che andrebbero invece formati nei loro Paesi d’origine con il coinvolgimento delle imprese nazionali in grado di concorrere allo sviluppo di una formazione professionale di qualità utile allo sviluppo dei territori di appartenenza e anche del nostro Paese sotto il profilo economico e della coesione sociale. La questione è di particolare rilevanza per i giovani di 14/25 anni. In questa prospettiva, l’Italia può giocare un ruolo importantissimo nello spazio euromediterraneo per la formazione dei giovani, in particolare dei minori provenienti e/o residenti in Africa.
6. Accrescere il ruolo delle istituzioni formative nel contesto dell’apprendistato e delle politiche attive del lavoro, consolidare il sistema duale
Il problema in breve. La mission della Formazione professionale persegue il successo formativo e l’occupabilità ed è intrinsecamente orientata a modelli formativi “duali”, dove struttura formativa ed impresa cooperano per raggiungere gli obiettivi di crescita personale, sociale e professionale dei ragazzi ed al contempo costruire percorsi
che possano anche garantire effettive opportunità occupazionali
All’interno del sistema educativo italiano la formazione professionale è oggi il principale “driver formativo” in grado di garantire un’interconnessione funzionale tra formazione e lavoro in una prospettiva di lifelong learning e di orientamento ed accompagnamento all’inserimento lavorativo. L’evoluzione dei modelli sociali e produttivi impone un nuovo paradigma formativo basato sulla valorizzazione dei talenti individuali, e sulla personalizzazione dell’apprendimento, sulla pluralità dei modelli formativi, in una prospettiva sincronica che integra formazione e lavoro lungo tutto l’arco della vita (la persona continua ad apprendere ed a sviluppare nuove competenze), che connette la struttura formativa al territorio ed al contesto produttivo e sociale, mette sullo stesso piano cultura umanistica e cultura tecnico-scientifica, fa sintesi tra teoria e pratica, tra esecuzione e riflessione critica, tra sapere, saper fare e saper essere.
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Le proposte 11
Il mondo della formazione professionale ha nella propria natura un’apertura alla collaborazione con le imprese, avendo accumulato esperienze significative nella formazione per l’ingresso al lavoro (IeFP, Specializzazione, Formazione superiore) gestendo tirocini curriculari ed extracurriculari. Lo sviluppo delle politiche del lavoro ha rafforzato la capacità di placement degli enti di formazione che si sono via via accreditati per la gestione dei Servizi al lavoro, contestualmente allo sviluppo nel nostro Paese delle politiche attive per il lavoro. Lo ha dimostrato la capacità degli enti di formazione di attivarsi nella sperimentazione del modello formativo “duale” nell’ambito della IeFP, promossa dal Ministro del Lavoro e dalle Regioni, dove struttura formativa ed impresa cooperano per raggiungere gli obiettivi di crescita personale, sociale e professionale dei ragazzi ed al contempo ricostruiscono percorsi che possano anche garantire effettive opportunità occupazionali perché rispondenti ai fabbisogni professionali delle imprese. A partire infatti dall’esperienza del sistema duale, che sta dando risultati importanti, anche in termini di contratti di apprendistato stipulati, c’è la concreta possibilità che anche in Italia l’apprendistato formativo di primo e terzo livello diventi una modalità sempre più diffusa per raggiungere i titoli di studio di IeFP ed in parte anche quelli dell’istruzione. Il sistema di Formazione professionale assolve, in tal senso, ad una funzione di cerniera tra sistema educativo, sistema sociale e sistema lavoro che:
- facilita il funzionamento del mercato del lavoro, nell’ambito delle Politiche attive del lavoro, per quanto concerne sia l’ingresso dei giovani al lavoro che il re-ingresso al lavoro delle persone che perdono il lavoro o che sono costretti a cambiarlo;
- supporta, attraverso l’aggiornamento e lo sviluppo delle skills professionali dei lavoratori, la crescita professionale delle risorse umane e la competitività delle imprese;
- sostiene l’integrazione socio-lavorativa delle fasce deboli, favorendo l’integrazione e la coesione sociale.
In questo quadro, la nostra proposta va quindi nella direzione di favorire l’incontro tra domanda e offerta di lavoro per le nuove generazioni. E’ una mission che le istituzioni formative hanno sperimentato e poi consolidato con il sistema duale. Chiediamo che: 1. Siano aumentati e resi stabili i finanziamenti che sono stati destinati alla
sperimentazione del sistema duale, promossa dal Ministero del Lavoro e denominata “La via italiana al sistema duale”, con particolare attenzione all’apprendistato formativo di primo e terzo livello;
2. Sia facilitata l’acquisizione di titoli di studio da parte dei giovani adulti e degli adulti, attraverso il riconoscimento delle competenze acquisite in ambito informale e non formale e il rafforzamento dei percorsi di studio brevi ed intensivi, anche in sistema duale, per l’ottenimento di titoli di studio, in particolare qualifiche e diplomi professionali IeFP e certificazioni ITS;
3. Sia considerata la formazione professionale parte integrante di tutte le misure destinate a favorire e sostenere l’occupazione dei giovani perché non possono bastare, per le considerazioni che abbiamo esposto, i soli incentivi per la loro assunzione.
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GARANZIA GIOVANI: PRIVILEGIARE LA COMPONENTE FORMATIVA E LE AZIONI DI INSERIMENTO LAVORATIVO
Rischi e Sfide “Garanzia Giovani” ha oggi due piste distinte in tema di formazione e lavoro: la prima destinata soprattutto al reinserimento dei giovani di età compresa tra i 15 e i 19 anni non compiuti, privi di qualifica o diploma, in percorsi di istruzione e formazione professionale; la seconda destinata soprattutto all’inserimento lavorativo dei giovani adulti attraverso azioni formative on the job, strettamente mirate ai fabbisogni delle imprese. I giovani hanno aderito con grande disponibilità al programma. Alla fine dello scorso mese di luglio, al netto delle cancellazioni, il loro numero era pari a 1.191.306; si sono sentiti protagonisti anche per la possibilità di scegliere le Regioni in cui svolgere esperienze lavorative o formative. Molti giovani del Mezzogiorno hanno avuto così la possibilità di fare esperienze in altre regioni, soprattutto del Settentrione. La prima attuazione in Italia del programma – nato per garantire ai giovani, entro quattro mesi dal termine degli studi, un’offerta di lavoro, prosecuzione della formazione, apprendistato o tirocinio – si è orientata prevalentemente su tirocini e bonus occupazionali. Sono rimaste limitate le attività formative e di inserimento lavorativo e ciò ha deluso le aspettative di molti di loro. Il prossimo avvio della seconda fase di Garanzia Giovani vedrà ancora un importante investimento - oltre 1,2 miliardi di euro – e diventa necessario migliorare l’intervento e l’impatto del programma anche tenendo conto dei suggerimenti formulati dalla Corte dei Conti europea nella relazione valutativa sulla Youth Employment Initiative. In primo luogo è necessario progettare azioni mirate all’“ingaggio”, per coinvolgere nella misura i Neet più inattivi, che sono così sfiduciati da non aderire nemmeno al programma. In secondo luogo, bisogna aumentare il tasso di permanenza dei giovani nel mercato del lavoro e la qualità del loro impiego, in termini di mansione professionale e stabilità occupazionale. Per questo, è necessario favorire una più stretta collaborazione tra istituzioni formative e operatori del mercato del lavoro, potenziando la logica di azione integrata per la costruzione di un sistema di politiche attive del lavoro che connetta anche azioni formative. Ciò si ottiene rafforzando ed estendendo nella programmazione di “Garanzia Giovani” la formazione duale e la formazione di specializzazione, strettamente collegate all’inserimento lavorativo. In tal modo si potranno costruire le condizioni per un reale sostegno all’inserimento lavorativo e non solo fornire un’esperienza di lavoro, quali sono i tirocini. Si giudica positivamente il fatto che, nelle nuove linee di intervento, si prefigurano corsi di formazione post-assunzione per il perfezionamento delle competenze professionali. Il successo ottenuto nel primo anno della sperimentazione duale - con 23mila giovani inseriti nei percorsi formativi e con oltre 10mila contratti di apprendistato attivati - è la più evidente testimonianza dell’apprezzamento di giovani, famiglie e imprese verso questo nuovo modello formativo che può rappresentare il più efficace strumento di contrasto della disoccupazione giovanile indotta, in larga misura, dalla lunga transizione oggi esistente tra la fine degli studi e l’inserimento nel mercato del lavoro, motivata per lo più dagli insufficienti livelli di competenze professionali posseduti in uscita dal sistema scolastico.
Questi risultati vanno consolidati e ampliati per aumentare l’occupazione con una visione sistemica che coinvolga le istituzioni formative anche in azioni capaci di intercettare le strategie di intervento in tema di imprenditorialità giovanile (ad es. per lo sviluppo delle aree interne del Paese, per la valorizzazione delle produzioni tipiche, per nuovi servizi alle imprese in linea con Industria 4.0). Non serve sostenere migliaia di stage senza alcuna possibilità di contratto; serve investire per sostenere i giovani che desiderano mettersi in gioco attraverso la formazione e i prestiti per lo sviluppo delle imprese cooperative, anche piccolissime.
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La nostra vision La nostra visione è la vision di sistema e di metodo che maggiormente connota la Raccomandazione dell’Ue su “Garanzia giovani”4. Passo dopo passo, vanno costruiti ponti tra formazione e lavoro. Questi ponti costituiscono una delle infrastrutture essenziali per rispondere alla domanda di competenze dei settori produttivi che esprimono i maggiori potenziali di crescita, con una particolare attenzione allo sviluppo delle vocazioni del territorio. Le risposte richiedono lo sviluppo di reti di stabile collaborazione tra imprese e istituzioni formative, alle quali partecipino le agenzie per il lavoro.
I giovani acquisiscono maggiori conoscenze e competenze immediatamente spendibili nel mercato del lavoro soprattutto attraverso la formazione. Ciò è ancora più importante in contesti interessati sempre più da cambiamenti sostanziali e continui. Senza la “cassetta degli attrezzi culturale e professionale” non solo è difficile entrare nel mercato del lavoro, ma anche restarci. Non c’è una cassetta degli attrezzi uguale per tutti, perché ogni giovane deve costruirsela in modo personalizzato per diventarne protagonista e responsabile della sua manutenzione. Le istituzioni formative sono fondamentali per questo, non solo per le ragazze e i ragazzi più giovani. Due dei pilastri della Raccomandazione riguardano: 1) il rafforzamento delle partnership tra servizi per l’impiego pubblici e privati, istituzioni formative e servizi di orientamento; 2) il coinvolgimento dei giovani nello sviluppo del sistema, oltreché del proprio progetto di studio e di lavoro.
La nostra proposta La nostra proposta fa appello alle Regioni perchè la nuova fase di Garanzia Giovani veda un rafforzamento della componente formativa e lo sviluppo del sistema duale per l’acquisizione di qualifiche, diplomi e specializzazioni professionali per tutti i giovani interessati al programma e non solo per quelli più giovani, perché il loro potenziale inespresso venga messo in valore e non costituisca più una sacca di sottosviluppo per il Paese.
Andrebbe, quindi, incentivata la programmazione regionale che destina risorse per integrare l’azione di inserimento lavorativo con la formazione professionale per l’acquisizione sia di qualifiche e diplomi professionali sia di certificati e diplomi di specializzazione attraverso lo strumento dell’apprendistato formativo, così come per supportarli nell’inserimento lavorativo con una formazione mirata all’acquisizione delle specifiche competenze richieste dal tessuto produttivo. Ogni giovane dovrebbe avere la possibilità di costruirsi la personale “cassetta degli attrezzi” per il lavoro anche attraverso percorsi modulari step by step, capaci di rimotivarlo all’apprendimento e al lavoro con il riconoscimento, la validazione e la certificazione di ciò che sa e sa fare.
I processi di modernizzazione del Paese richiedono più mature consapevolezze: la prima è innovare per dare un futuro alle nuove generazioni, rimettendo al centro la loro crescita umana, culturale e professionale che ha il volano principale nelle reti di formazione e lavoro.
4 Raccomandazione del Consiglio del 22 aprile 2013 sull'istituzione di una garanzia per i giovani (2013/C 120/01)
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UN SOCIAL BONUS RAFFORZATO PER LA PROMOZIONE DEL LAVORO GIOVANILE
Rischi e sfide Le difficoltà di trovare lavoro da parte delle nuove generazioni possono essere lette come uno specchio che riflette la realtà di un Paese (e di un mondo) dove, nei decenni che hanno portato alla crisi del 2007 e con maggior forza oggi, non è tanto mancata la ricchezza e la capacità di crearla, quanto una sua “equa” e diffusamente produttiva destinazione. La ricchezza prodotta, infatti, non si è indirizzata verso la creazione di nuovo lavoro, favorendo piuttosto l’accumulazione e la rendita a vantaggio di una fascia sempre più ridotta di popolazione. Oltre e insieme alla conseguenza più grave - quella di una crescita diffusa di diseguaglianze sproporzionate e sempre più rischiose per la tenuta della coesione civile - cresce allora la difficoltà di rimettere in circolo la ricchezza creata dalle generazioni precedenti. Nel nostro Paese, in particolare, emerge come una larga fetta di quella ricchezza privata netta (che, essendo oltre 5 volte il PIL, consente di bilanciare l'enorme debito pubblico) sia in realtà costituita prevalentemente da abitazioni ed immobili. Questo enorme stock “di mattoni” è la migliore rappresentazione di un Paese iniquo e fermo, ostaggio del passato, incapace di fare fronte al drammatico mix di crisi demografica, difficile integrazione dei migranti e debole tasso di occupazione, soprattutto giovanile. Questa ricchezza, peraltro, sembra destinata – nella situazione attuale – a perdere valore per eccesso di offerta, con prevedibili pesanti conseguenze anche sul reddito nazionale. Si tratta di un problema che ormai da tempo si è esteso anche agli immobili pubblici, per i quali la difficoltà delle amministrazioni di metterli a reddito e il loro prolungato disuso talvolta concorrono ad aumentare il degrado urbano e il senso di abbandono del territorio.
La nostra vision Il problema è di ampie proporzioni e non risolvibile senza affrontarne le cause strutturali. Tuttavia, anche sul piano simbolico, è importante vedere (come, per fortuna, già avviene) nelle nostre città e nei nostri Paesi giovani che ri-immettono gli immobili nella fruibilità della comunità locale e nel circuito produttivo, meglio ancora se si tratta di beni confiscati alle mafie, perchè in tal modo si riprendono in mano risorse e potenzialità di un Paese tutt'altro che privo di opportunità. Su questo tema le ACLI da tempo propongono di favorire e valorizzare progetti e azioni che vadano in tal senso, favorendo soprattutto una nuova imprenditorialità e creatività sociale giovanile (si veda in proposito la campagna “La forza del lavoro”5).
La nostra proposta La recente riforma del Terzo Settore prevede l'istituzione di un social bonus, ovvero un credito d'imposta del 65% per i cittadini, fino a un massimo del 15% del reddito, e del 50% fino ad un massimo del 5 per mille del reddito delle società, per erogazioni liberali a favore di progetti di enti di Terzo settore che riutilizzino beni mobili o immobili confiscati alla criminalità organizzata o immobili pubblici in disuso (art. 81 del Decreto legislativo 117 del 2017, Codice del Terzo settore). Ciò a patto che questi progetti siano destinati esclusivamente, come dettato dall’art. 5 del citato decreto, allo svolgimento di attività “di interesse generale per il perseguimento, senza scopo di lucro, di finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale”, svolte con modalità non commerciali (per cui, ad esempio, se si promuovono attività sportive, queste devono essere gratuite o quasi). La nostra proposta chiede la rimozione del vincolo legato alle sole attività di tipo non commerciale, per le iniziative di enti e imprese del Terzo Settore che siano promosse da giovani o che ai giovani si rivolgano come destinatari.
5 Per saperne di più: http://www.acli.it/le-‐notizie/news-‐nazionali/8862-‐la-‐forza-‐del-‐lavoro
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Spesso infatti le sole iniziative non commerciali (tipo centri giovani, attività di animazione culturale, servizi sociali, ecc.) faticano a darsi progettualità sostenibili e continuative nel tempo, in grado di creare una solida quantità di occupazione e intrapresa.
In questo modo, si raggiungerebbero contemporaneamente tre obiettivi di interesse generale:
1. favorire l’occupazione giovanile;
2. valorizzare i beni immobili pubblici non utilizzati;
3. dare slancio al Terzo Settore recentemente riformato, ed in particolare alla nuova impresa sociale.
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GIG-ECONOMY, INDUSTRY 4.0 E LAVORO6
Rischi e sfide L’attuale sistema di “connettività tecnologica” derivante da Industry 4.0 e Gig-Economy ha ripercussioni sul lavoro perché:
1. si genera una aspettativa di ubiquità delle persone, con riflessi sul loro tempo di vita; 2. il mercato del lavoro su polarizza dando rilevanza ai knowledge gaps; 3. si modifica l’organizzazione del lavoro – l’unità di luogo, tempo e azione tipica del
fordismo è spezzata; 4. acquistano maggiore rilevanza la versatilità e l’adattabilità, quali capacità di risolvere
problemi inaspettati; 5. si incrementa il lavoro non remunerato, anche a scapito di quello remunerato
(aumenta il lavoro durante il consumo). La tecnologia è da sempre uno dei fattori dell’evoluzione delle relazioni industriali e di lavoro. In Industry 4.0 e Gig-Economy la tecnologia, intesa come intelligenza artificiale e big data, diviene datore di lavoro. Il ricorso alle tecnologie digitali (Gig-Economy e Industry 4.0) rischia di intensificare la subordinazione, pur con una eventuale riduzione della durata dell’attività lavorativa. Il progresso tecnologico ha, infatti, facilitato l’etero-organizzazione fino al punto di ridurla a una costrizione alla connettività (per altro già imposta nei rapporti sociali). Nella ricostruzione teorica si distingue tra il lavoro svolto nella Gig-Economy, flessibile in entrata (quale contratto di lavoro applico? Lavoro subordinato o lavoro autonomo?), e il lavoro svolto in Industry 4.0, caratterizzato tra flessibilità interne (orario di lavoro, salario e mansioni). Il lavoro svolto nella Gig-Economy trova già oggi alcune soluzioni nella legislazione vigente (art. 2, D. Lgs. 81/20157 e L. 81/20178). Il lavoro svolto nel sistema Industry 4.0 è rimesso alla contrattazione collettiva anche aziendale. I due fenomeni possono essere collegati nell’ambito delle filiere e delle catene di valore. Si impongono soluzioni legislative nuove, in grado di cogliere le specificità del lavoratore della Gig-Economy, che non è né quello subordinato, né quello autonomo né quello parasubordinato che, ad oggi, conosciamo. Come evidenziato dalla giurisprudenza inglese e nordamericana, i lavoratori della nuova era sconfinano dagli schemi giuridici tradizionali perché la rivoluzione tecnologia ha messo in crisi le categorie su cui essi si sono retti. In Germania, la giurisprudenza è orientata, in parte, a ricondurre tali lavoratori sotto l’alveo delle “persone simili ai lavoratori subordinati”.
La nostra proposta Tutele e Gig-Economy Da dove muovere per ripensare le tutele e estendere l’ambito soggettivo delle tutele ai lavoratori della Gig-Economy? Ai lavoratori della Gig Economy, deve essere garantita la possibilità di esercitare quei diritti sindacali già riconosciuti agli altri lavoratori. Dovrebbe, quindi, essere estesa loro la possibilità di costituire rappresentanze sindacali nei luoghi di lavoro, con funzioni anche contrattuali. Di notevole importanza è la necessità di garantire tutele che consentano loro di
6 Per le proposte qui presentate, si vedano gli studi di M. Faioli: “Jobs App, Gig-‐Economy e sindacato”, in Riv. Giur. Lav., 2017, 2, I, pag. 291 ss.; “Gig-‐economy e Market design. Perché regolare il mercato del lavoro prestato mediante Piattaforme digitali”, in Gaetano Zilio Grandi e Marco Biasi (a cura di), Commentario breve allo statuto del lavoro autonomo e del lavoro agile, 2017, in corso di pubblicazione. 7 Decreto Legislativo 15 giugno 2015, n. 81, Disciplina organica dei contratti di lavoro e revisione della normativa in tema di mansioni, a norma dell'articolo 1, comma 7, della legge 10 dicembre 2014, n. 183. 8 Legge 22 maggio 2017, n. 81, Misure per la tutela del lavoro autonomo non imprenditoriale e misure volte a favorire l'articolazione flessibile nei tempi e nei luoghi del lavoro subordinato.
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esercitare i diritti (sciopero compreso) senza che a tale esercizio possano seguire comportamenti discriminatori e punitivi da parte del datore di lavoro. E’ indubbio, inoltre, che le organizzazioni sindacali dovranno farsi portatrici anche degli interessi di questa tipologia di lavoratori, nel caso anche costituendo apposite federazioni. Una possibile strada per garantire ai lavoratori della Gig Economy un’adeguata tutela potrebbe essere quella di estendere, a questi particolari rapporti lavorativi, la disciplina in materia di somministrazione di lavoro9, qualificando la piattaforma digitale quale agenzia di somministrazione e l’esercente che utilizza il servizio del lavoratore quale utilizzatore10. Ciò comporterebbe l’immediata applicazione delle discipline che attengono alla sicurezza sul lavoro, ai diritti previdenziali, ai minimi retributivi, alla parità di trattamento, alla formazione e all’orario di lavoro. Stante la varietà di piattaforme esistenti (Uber, Deliveroo, Foodora, TaskRabbit, etc.), si tratta di una soluzione che potrà trovare applicazione solo ad un numero circoscritto di ipotesi (in particolare alle piattaforme che gestiscono la distribuzione di beni – si v. il caso Foodora). Ipotesi, però, che appaiono essere quelle maggiormente bisognose di tutele e che difficilmente e diversamente da altre potrebbero essere ricondotte al lavoro subordinato tout court. E’ indubbio, inoltre, che le particolarità della prestazione lavorativa nell’ambito della Gig Economy (discontinuità, saltuarietà, occasionalità, etc.) richiederanno l’introduzione di alcuni correttivi alla disciplina vigente. In questo modo sarebbero direttamente predisposti/estesi strumenti di tutela che garantiscono ai lavoratori della Gig Economy delle tutele minime in caso di disoccupazione involontaria, malattia e maternità. Occorre inoltre implementare meccanismi che possano garantire, anche a fronte di prestazioni occasionali e di una carriera lavorativa disarticolata, la possibilità per i lavoratori della Gig Economy di beneficiare di un trattamento pensionistico complementare.
Tutele e Industry 4.0 Nel paradigma di Industry 4.0, la fabbrica del futuro presuppone specificità inedite rispetto al passato, che solo la contrattazione collettiva aziendale è in grado di cogliere. Nell’industria del futuro ci saranno tre elementi che saranno oggetto di rivisitazione, data la gestione dei modelli organizzativi secondo schemi innovativi di tecnologia, e che riguardano: la gestione del tempo (orario), del salario e delle mansioni (inquadramenti professionali). Per questo è forte l’esigenza di decentrare la contrattazione collettiva dal livello nazionale, che oggi gioca un ruolo predominante, a quello aziendale e munire le rappresentanze sindacali aziendali di poteri in grado di esercitarla efficacemente, secondo le indicazioni provenienti dalla sentenza della Corte Costituzionale del 201311 e dagli accordi in merito raggiunti dalle parti sociali negli ultimi anni12.
9 Normativa di riferimento: D. Lgs. 15 giugno 2015, n. 81, capo IV, artt. 30-‐40. 10 "Uber come un'agenzia di somministrazione del lavoro? L'equiparazione giuridica tra le piattaforme digitali del terzo millennio e quelle che giusto vent'anni fa nacquero come "agenzia interinali", specializzate nel lavoro in affitto, non è più solo una suggestione da economisti specializzati". Così si legge su la Repubblica del 25 giugno 2017, nell'articolo "Lavoro, trasformare Uber & Co. in agenzie di contratti interinali. Ecco la proposta del Ministero", che poi precisa "L'idea di Sacchi-‐Treu -‐ formulata già dal ricercatore Michele Faioli -‐ di «dare trasparenza e tutele laddove regnano confusione di regole, incertezza e scarsa protezione sociale» è per ora allo stato embrionale...". 11 La sentenza della Corte costituzionale 23 luglio 2013, n. 231 ha indicato alcune soluzioni, tra cui la “valorizzazione dell’indice di rappresentatività costituito dal numero degli iscritti, o ancora nella introduzione di un obbligo a trattare con le organizzazioni sindacali che superino una determinata soglia di sbarramento, o nell’attribuzione al requisito previsto dall’art. 19 dello Statuto dei lavoratori del carattere di rinvio generale al sistema contrattuale e non al singolo contratto collettivo applicato nell’unità produttiva vigente, oppure al riconoscimento del diritto di ciascun lavoratore ad eleggere rappresentanze sindacali nei luoghi di lavoro. Compete al legislatore l’opzione tra queste od altre soluzioni”. 12 Ci si riferisce qui all'Accordo Interconfederale 28 giugno 2011 (concernente in particolare le regole della rappresentanza e l’efficacia della contrattazione aziendale), al Protocollo di Intesa 31 maggio 2013 (sulla misurazione della rappresentatività, titolarità ed efficacia della contrattazione collettiva nazionale), e al successivo Accordo Interconfederale siglato tra CGIL, CISL, UIL e Confindustria il 10 gennaio 2014, in merito al Testo unico sulla rappresentanza, attuativo dei due accordi.
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La rappresentanza dei lavoratori, sul modello francese e tedesco, potrebbe in tal modo: realizzare un ruolo di rappresentanza esclusiva in azienda e negoziare, in un sistema che sollecita una partecipazione attiva, accordi vincolanti che permettano un adattamento delle discipline al caso specifico dell’organizzazione del lavoro.
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RICONOSCERE IL VALORE SOCIALE DELLA MATERNITÀ E DEL LAVORO DI CURA
Rischi e sfide Essere madre e lavoratrice oggi in Italia risulta ancora molto difficile. Esistono infatti una serie di condizioni che rendono arduo coniugare la maternità con il lavoro da parte delle donne, quali: 1) Una organizzazione del lavoro che continua a premiare l’impegno quantitativo piuttosto che qualitativo; 2) La difficoltà a coniugare i tempi lavoro con il lavoro di cura materno, peraltro in Italia ancora molto squilibratamene gravante nella coppia a carico della donna; 3) Una offerta di Servizi sociali per l’infanzia ancora al di sotto delle richieste, oppure adeguata ma dai costi ormai troppo elevati; 4) Una organizzazione dei Servizi ancora incoerente con i tempi lavorativi (basti pensare al dramma delle “chiusure estive”). Non è dunque un caso che in Italia una donna su cinque13 abbandoni il posto di lavoro dopo la maternità, percentuale che cresce ulteriormente con la nascita del secondo figlio o, se non lo abbandona, spesso è costretta ad un lavoro part-time o comunque ad una riduzione della propria retribuzione, tant’è vero è che la stima media è che una donna che diviene madre mediamente perde il 35 per cento del proprio reddito di lavoro14 e moltissime chances di carriera.
La nostra vision Come ACLI, apprezziamo la proposta avanzata il 7 settembre scorso dal Governo al Tavolo di confronto avviato con le Organizzazioni sindacali, circa la possibilità di ridurre fino a un massimo di 2 anni i requisiti contributivi previsti dall'Ape sociale per donne con figli.
L’ipotesi di lavoro dell’Esecutivo si basa sul riconoscimento del lavoro di cura ai fini previdenziali, questione rispetto alla quale le Acli da sempre si battono, ma anche sulla constatazione che c’è stato un numero significativamente più basso di domande da parte delle donne per l’Ape social in ragione della carriera contributiva rispetto agli uomini, come ha riconosciuto lo stesso ministro Poletti.
Come ACLI, pur apprezzando la proposta avanzata dal Governo circa la possibilità di ridurre fino a un massimo di 2 anni i requisiti contributivi previsti dall'Ape sociale per donne con figli, avanziamo una proposta alternativa. Agire sulla leva previdenziale, specialmente a ridosso del momento in cui scatterà l'innalzamento dell'età pensionabile e l'unificazione del
13 Secondo l'ultimo approfondimento dell'Istat dalle indagini campionarie sulle nascite e sulle madri, Avere figli in Italia negli anni 2000, pubblicato nel febbraio 2015, il 22,4% delle madri occupate all’inizio della gravidanza, non lo era più a due dalla nascita del figlio. “Il fenomeno dell’uscita dal mercato del lavoro in seguito alla nascita di un figlio – si legge nel rapporto – è, dunque, ancora molto diffuso. L’indagine campionaria sulle nascite consente di concentrare l’attenzione sulle donne che hanno voluto, o dovuto, lasciare il lavoro. Il rischio di lasciare o perdere il lavoro è particolarmente influenzato sia dall’area di residenza delle madri che dal numero di figli avuti. Risiedere al Nord o al Centro comporta un minor rischio, mentre le madri del Sud risultano decisamente più svantaggiate, soprattutto se sono al primo figlio: il 33,9 per cento di esse, circa due anni dopo la nascita del figlio, non ha più un’occupazione (contro il 16,3 per cento nel Nord-‐ovest)…”. 14 "Un’analisi di regressione, che stima la perdita reddituale sperimentata dalla donna dopo la nascita del figlio rispetto al trend precedente controllando per effetti fissi individuali, suggerisce che, 24 mesi dopo l’inizio del congedo di maternità, la donna guadagna circa il 35% in meno di quanto avrebbe guadagnato se non avesse avuto il figlio. Ripetendo l’analisi solo sulle donne che tornano a lavorare dopo il congedo, la penalità si riduce ed è stimata di poco superiore al 10%. Il canale principale sembra dunque essere l’uscita dal mercato del lavoro dopo la nascita del figlio...", Natalità e occupazione femminile nei dati Visitinp, sta in XVI Rapporto annuale INPS, Luglio 2017.
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Le proposte 20
requisito anagrafico tra uomini e donne per l'uscita dal mondo del lavoro, è importante. Va anche detto, però, che proprio il sistema previdenziale - e il modello di assicurazione sociale su cui si basa - è investito dalle profonde trasformazioni avvenute nel mondo del lavoro, non solo per il problema della riduzione / redistribuzione delle risorse. Le biografie lavorative delle donne e dei giovani principalmente, risultano molto frammentate. E molto più di prima, i soggetti sembrano richiedere sostegno nelle fasi centrali della vita lavorativa.
Per questo, nella prospettiva di aprire un confronto propositivo, avanziamo come ACLI la proposta di intervenire su questo fronte, formulando qualche prima ipotesi, che chiede ulteriore approfondimento.
In prospettiva… L’ipotesi da cui partire è che si debba agire su quella parte dell’aspetto previdenziale che interessa – nel caso specifico – le donne in attività, vale a dire dai contributi previdenziali (versamenti) piuttosto che dai trattamenti previdenziali (misura o requisiti).
La proposta è dunque quella che, valutando le condizioni economiche della madre, il reddito, ed altri requisiti di equità, si giunga, per un tempo definito - in maniera inversamente graduale al crescere del reddito da lavoro della madre, ed in proporzione crescente al crescere del numero dei figli - ad una temporanea “fiscalizzazione” dei versamenti contributivi gravanti sul reddito da lavoro delle neo madri, in modo da aumentare il valore dello stipendio netto rispetto alla retribuzione lorda (in sintesi: riducendo temporaneamente il “cuneo fiscale” con oneri a carico della collettività). In questo modo la madre (esattamente come per i contributi figurativi durante la gravidanza) non avrebbe danno sul suo futuro trattamento pensionistico ma nel contempo potrebbe godere subito, quando effettivamente le serve, del vantaggio di avere un maggior reddito disponibile. A questo, in determinate condizioni, si potrebbe poi aggiungere una “fiscalità di vantaggio” sul reddito da lavoro in più che ne scaturirebbe.
Si tratterebbe quindi di un contributo del Sistema previdenziale alla maternità, che metterebbe la donna nelle condizioni di non essere incentivata a ridurre o persino lasciare il proprio rapporto di lavoro, e che non avrebbe l’effetto di produrre solo un “riconoscimento postumo” allo sforzo che una donna lavoratrice deve compiere in vista della maternità, senza inoltre alterare il rapporto rispetto alle altre donne lavoratrici circa i requisiti per la pensione, logica peraltro non del tutto equa rispetto a chi non accede alla maternità, perché appare lontana dal premiare la “causa-effetto” legata al valore sociale della maternità, vista la lontananza da essa quando tali benefici si attivano.
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Napoli 14-16 settembre 2017