Post on 17-Feb-2019
Vincenzo Consolo (Sant'Agata di Militello, 18 febbraio 1933 – Milano, 22 gennaio 2012) è stato
scrittore, giornalista e saggista. Nato a Sant'Agata di Militello (Messina), dopo un periodo di
formazione in Sicilia di cui troviamo traccia in tutta la sua opera, si trasferì a Milano.
Debuttò come scrittore nel 1963 con il suo primo romanzo La ferita dell’aprile, una narrativa sulla
vita di un paese siciliano e le lotte politiche del dopoguerra.
In questo periodo i suoi riferimenti umani e letterari sono Leonardo Sciascia, da cui deriva il suo
atteggiamento da ‘‘scrittore impegnato’’ e Lucio Piccolo, che considerava un grande maestro di
letteratura e di poesia, un uomo di sterminata cultura.
Consolo divenne famoso come autore nel 1976 con Il Sorriso dell'Ignoto Marinaio, ricostruzione di
alcuni eventi storici svoltisi nel Nord della Sicilia al passaggio dal regime borbonico a quello unitario e
culminanti nella sanguinosa rivolta contadina di Alcara Li Fusi nel maggio 1860.
Nel 1977 Consolo diventa consulente editoriale della Einaudi per la narrativa italiana, insieme, tra gli
altri, ad Italo Calvino e Natalia Ginzburg.
Insieme a vari premi ricevuti nel corso degli anni, ha vinto nel 1992 con Nottetempo casa per casa, il
prestigioso Premio Strega e nel 1994 il Premio Internazionale Unione Latina per l’insieme della sua
opera.
Muore il 22 Gennaio 2012 a Milano dopo una lunga malattia.
Secondo Vincenzo Consolo esistono due tipi di scrittura e di lingua, quella del romanzo e quella
storica.
Le sue opere possono essere considerate romanzi poetici, con una forte influenza storica
siciliana.
Convinto che scrivere veri e propri romanzi sia quasi un inganno per il lettore, adotta fin
dall’inizio un suo stile di scrittura che predilige una narrazione che tende verso la poesia
concentrandosi però sul passato storico della Sicilia. I suoi saggi rispecchiano ed evidenziano la
tradizione, la storia e la bellezza siciliana.
Consolo scrive incorporando i suoi ricordi e la nostalgia che ha sempre sentito per la sua terra.
Questa sua malinconia è frequente nelle sue opere ed è fortemente sentita dal lettore, anche
perché i suoi saggi sono scritti con un linguaggio semplice, originale, molto emotivo ma
comprensibile a tutti.
Consolo, come tanti scrittori siciliani moderni, scrive costantemente della sua terra d'origine,
traendo spunto dal materiale autobiografico relativo alla sua infanzia e giovinezza "isolana". Ciò
gli ha permesso di ricostruire nelle sue opere momenti e vissuti personali attraverso il "filtro" di
un particolare tipo di memoria che si tinge di nostalgia. Questa posizione di distanza materiale e
vicinanza affettiva sembra provenire insieme da un rapporto di amore e odio con la Sicilia, e da
una doppia esigenza artistica e conoscitiva.
Da una parte la distanza consente una messa a fuoco migliore e più oggettiva della realtà
siciliana, che può essere giudicata più chiaramente anche perché posta in relazione con quanto
accade nel "continente". Da un'altra parte però, la terra dell'infanzia e di un passato ancora più
remoto, ricostruita sul filo della memoria personale, diviene un luogo forse idealizzato dal
ricordo e dalla nostalgia, ma anche per questo capace di diventare un termine di paragone per
rilevare la violenza del tempo e le trasformazioni che devastano un mondo ingiusto ma
comunque carico di valori positivi, per sostituirlo con un mondo non meno ingiusto e per di più
impoverito sul piano umano.
’’Io non so che voglia sia questa, ogni volta che torno in Sicilia, di volerla girare e girare, di percorrere ogni capo della costa, inoltrarmi all'interno, sostare in città e paesi, in villaggi e luoghi sperduti, rivedere vecchie persone, conoscerne nuove. Una voglia, una smania che non mi lascia star fermo in un posto. Non so. Ma sospetto sia questo una sorta di addio, un volerla vedere e toccare prima che uno dei due sparisca.’’ (Le pietre di Pantalica, 1988)
Al centro di quasi ogni opera di Consolo vi è la percezione del male di vivere. Egli rappresenta la tragedia del vivere
su due livelli diversi. Innanzitutto c'è la riflessione esistenziale e trascendentale sul destino eterno dell'uomo, sulla
sua sofferenza e sull'inevitabile vittoria della corrosione e della morte.
In Filosofiana, uno dei racconti de Le pietre di Pantalica, il protagonista si chiede:
« Ma che siamo noi, che siamo?... Formicole che s'ammazzano di travaglio in questa vita breve come il giorno, un lampo. In fila avant'arriere senza sosta sopra quest'aia tonda che si chiama mondo, carichi di grani, paglie, pùliche, a pro' di uno, due più fortunati. E poi? Il tempo passa, ammassa fango, terra sopra un gran frantumo d'ossa. E resta, come segno della vita scanalata, qualche scritta sopra d'una lastra, qualche scena o figura. Bisogna notare che questa riflessione avviene mentre il protagonista sta "masticando pane e pecorino con il pepe",
controbilanciando così il tono alto con un riferimento basso, quasi comico: una situazione tipica della narrativa di
Consolo. Consolo tende spesso a ricordare al lettore che la sofferenza è sì di tutti, ma che non si distribuisce in parti
uguali, anzi rispetta perfettamente le differenze di classe.
Ecco quindi che si arriva all'altro livello della rappresentazione della tragedia del mondo, e alla violenza non più
della natura sull'uomo ma dell'uomo contro il suo simile. Egli sottolinea soprattutto la recita esterna del potere,
"quella di sempre, che sempre ripetono baroni, proprietari e alletterati con ognuno che viene qua a comandare, per
avere grazie, giovamenti, e soprattutto per fottere i villani".
Di particolare interesse è il modello linguistico di Consolo: la sua lingua è una ricerca continua di
originalità.
In un'intervista curata da Marino Sinibaldi, Consolo dichiarava che fin dal suo primo libro ha
cominciato a creare una lingua che esprimesse una ribellione totale alla storia e ai suoi esiti, non un
dialetto ma un’immissione del codice linguistico nazionale, un “innesto” di vocaboli che sono stati
espulsi e dimenticati. Infatti nella sua narrativa si riscontra sempre un originale rapporto tra
memoria storica e ricerca linguistica e molta attenzione sulle varietà di linguaggio, che aiuta a far
capire la cultura e le tradizioni siciliane.
Consolo ha affermato in molte interviste che la lingua italiana è una fra le più belle e nobili e che
contiene un “giacimento” linguistico che molti invidiano, ma i dialetti e le tradizioni siciliane anche
nel bacino Mediterraneo si stanno purtroppo perdendo. Per questo motivo l’autore nella sua
narrativa ha incorporato, parole in dialetto che aiutano a conservare la lingua italiana che, come
diceva lui stesso, sta diventando troppo tecnica a seguito dell’introduzione delle parole straniere sui
giornali ed in televisione.
Leggendo le sue opere si può scoprire molto della situazione italiana e siciliana del post seconda
guerra mondiale. Lo scrittore racconta l’emigrazione siciliana, la vita dei minatori di zolfo, il
passaggio del mondo contadino, l'industrializzazione, la devastazione della terra, i terremoti e le
ricostruzioni inadeguate, i dolorosi massacri passati e presenti della mafia, le scelte politiche ed
economiche di chi è al potere dal dopoguerra fino alla nostra società attuale.
-La ferita dell'aprile, romanzo, Milano, Mondadori, 1963; Torino, Einaudi, 1977; Mondadori 1989 (con
introduzione di Gian Carlo Ferretti).
-Il sorriso dell'ignoto marinaio, romanzo, Torino, Einaudi, 1976; Milano, Mondadori, 1987 (introduzione di
Cesare Segre)
-Lunaria, racconto, Torino, Einaudi, 1985; Milano, Mondadori, 1996.
-Retablo, romanzo, Palermo, Sellerio, 1987; Milano, Mondadori, 2000. (Premio letterario Racalmare
Leonardo Sciascia 1988)
-Le pietre di Pantalica, racconti, Milano, Mondadori, 1988; 1990 (con introduzione di Gianni Turchetta).
-Nottetempo, casa per casa, romanzo, Milano, Mondadori, 1992 Premio Strega; 1994 (con introduzione di
Antonio Franchini); Torino, Utet, 2006 (con prefazione di Giulio Ferroni).
-Lo spasimo di Palermo, Milano, Mondadori, 199802
-Di qua dal faro, Milano, Mondadori, 1999
-il corteo di Dionisio, Roma, La Lepre Edizioni, 2009
-La mia isola è Las Vegas (postumo), a cura di Nicolò Massina, Milano, Mondadori, 2012
-L'opera completa (contiene: La ferita dell'aprile, Il sorriso dell'ignoto marinaio, Lunaria, Retablo, Le pietre
di Pantalica, Nottetempo, casa per casa, L'olivo e l'olivastro, Lo spasimo di Palermo, Di qua dal faro), a
cura e con un saggio introduttivo di Gianni Turchetta, con uno scritto di Cesare Segre, Collana I Meridiani,
Mondadori, Milano, I° ed. gennaio 2015.
A questo bisogna aggiungere saggi, raccolte di articoli giornalistici, contributi, collaborazioni e interviste.
“La mia isola è Las Vegas” è una raccolta di racconti che può considerarsi
l’autobiografia intellettuale di Vincenzo Consolo.
Qui l’autore ci racconta la sua storia di emigrato al nord, a Milano, e la sua Sicilia da
giovane, così come le sue prime avventure giornalistiche e di scrittore di romanzi.
Nei cinquantadue racconti che compongono il libro, in particolare in quelli in cui
descrive i luoghi della sua gioventù, ci guida per mano mentre dipinge i paesaggi e i
personaggi e ci lascia affascinati con le storie che racconta senza dimenticare un
pizzico di critica politica.
Molto interessante sotto il profilo storico è il racconto “E poi arrivò Bixio, l’angelo
della morte”. Qui l’autore ripercorre le vicende storiche che riguardano Bronte dal
1859 al 1861.
Nel racconto La mia isola è Las Vegas, che dà anche il titolo alla raccolta, l’autore
immagina la sua terra di origine, la Sicilia, come uno stato appartenente agli Stati
Uniti con sale da gioco e con tutto quello che si può trovare a Las Vegas.
Nell’ultimo racconto dal titolo “La meraviglia del cielo e della terra” ci strappa una
lacrimuccia con la storia di un semplice pastore, Benedetto detto Bitto.
“Mi sono sposato e ho due figli. Ma qui ripenso sempre con nostalgia al mio bosco della Miraglia, ripenso a quel cielo notturno che mio padre Delfio, che ormai pace all’anima sua sarà morto, m’insegno a leggere. Bosco e cielo che non posso qui far leggere ai miei figli”.
Ritorno al paese perduto è un capitolo tratto dal libro «la mia isola è Las Vegas». In questo racconto Consolo parla del ritorno al suo paese d’origine, Sant’Agata. Lo scrittore narra di quando era bambino e passava il suo tempo ad osservare le barche, che al tramonto salpavano dal lucente porto Santagatese. E’ divenuto ormai un paese in cui non c’è più spazio per il linguaggio, per la letteratura, della poesia è un’paese perduto, senza speranza.
Il capitolo intitolato «Natali Sepolti» racconta di come
Consolo passava il Natale con il fratello Melo, e di come
passavano il tempo raccogliendo le pietre laviche, nere
e porose per la base del presepe. Ormai solo ricordi,
erano finiti quei Natali allegri con il fratello. Questa
grande festa oggi è mutata in un consumo di merci.