Post on 16-Oct-2021
Indice
Introduzione
Prima parte: Contenuti generali sui palestinesi
Primo capitolo: Dibattito sull’esistenza dei “palestinesi” come etnia e stanziamento nel territorio:
1.1: Concetto etnico di “palestinese”;
1.2: Geografia del territorio e stanziamento negli anni.
Seconda parte: Storia dell’esodo e movimenti migratori
Secondo capitolo: Storia dell’esodo palestinese
2.1: Prima della nascita dello Stato di Israele;
2.2: Cos’è “Al-Nakba”: le motivazioni dell’esodo
Terzo capitolo: Analisi dell’esodo palestinese (distribuzioni nei Paesi; dati dell’esodo; cambio della
geografia dello Stato di Palestina e quello di Israele):
3.1: Distribuzione e dati nei Paesi confinanti, in Europa e in America;
3.2: Cambio della geografia e i rapporti intercorrenti tra i due Stati.
Terza parte: Diritti dei rifugiati palestinesi
Quarto capitolo: Status legale dei rifugiati palestinesi, condizioni socioeconomiche e integrazione nei Paesi
della zona UNRWA:
4.1: Giordania;
4.2: Libano;
4.3: Siria.
Quinto capitolo: Status legale, condizione socioeconomica e integrazione dei rifugiati palestinesi negli altri
Paesi:
5.1: Gli altri Paesi del Medio Oriente, l’Unione Europea, gli Stati Uniti e gli altri Paesi
5.2: Conclusioni.
Ringraziamenti
Bibliografia
Sitografia
Abstract
Introduzione
La domanda di ricerca perseguita da questa tesi vuole andare alla radice del problema della questione
palestinese. Essa sarà maggiormente incentrata, però, sull’esodo che avverrà nel corso negli anni dopo il
conflitto del 1948 con Israele, sulle conseguenze che ha comportato e l’impatto che ha avuto fino ai nostri
giorni. È importante sottolineare quanto sia di attualità questo tema, dato il recente fenomeno migratorio che
coinvolge l’Italia. Questo, però, ha un’origine addietro nel tempo, soprattutto per quanto concerne il tema
che ha per oggetto questa tesi. Infatti, questo fenomeno ha coinvolto dapprima gli Stati arabi in modo più
consistente e, infine, gli Stati considerati interni alla sfera occidentale.
Una prima parte della domanda di ricerca andrà ad analizzare cosa significa “essere palestinese”, la diatriba
inerente alla loro esistenza, la geografia e conformazione del territorio, oltre ad analizzare la demografia
palestinese in tutto il mondo, in particolare i dati concernenti la Striscia di Gaza e Cisgiordania.
In secondo luogo, si utilizzerà un approccio storico per capire la provenienza di tale etnia, quali sono le
differenze sostanziali con gli israeliani e la storia del territorio durante il Novecento, facendo riferimento
particolarmente agli anni della guerra arabo-israeliana e gli effetti che ha comportato nell’esodo palestinese,
definito “Al-Nakba”, come suggerisce il titolo della tesi.
Dopo aver affrontato a livello storiografico l’esodo, si andrà a vedere in linea generale la distribuzione dei
rifugiati, dove si collocano in maniera più massiccia e dove in quantità minori a livello statistico e si
analizzerà come sono cambiati i rapporti tra lo Stato di Israele e i palestinesi residenti all’interno del
territorio considerato “nemico”, i diritti che questi hanno e come Israele si è insediato in alcuni territori
destinati ai palestinesi arabi.
Inoltre, si andrà ad analizzare lo status legale nei Paesi della zona coperta dall’ente UNRWA (Libano,
Giordania e Siria) e quelli fuori, i cui rifugiati si trovano sotto la protezione dell’UNHCR, con particolare
attenzione alla distinzione dei diritti riconosciuti ai rifugiati palestinesi nei Paesi arabi e a quelli riconosciuti
nei Paesi facente parte della sfera occidentale.
Lo scopo è quello di analizzare sotto diverse chiavi di lettura la migrazione palestinese, le conseguenze che
ha portato sia all’interno dello Stato d’Israele e dello Stato di Palestina, che ancora non è nato, sia quelle che
ha generato nei rapporti con gli altri Stati esteri e come essi hanno reagito a tale ondata.
In effetti, ogni Stato ha messo in atto politiche diverse nei confronti dei profughi e rifugiati palestinesi,
concedendo diritti più o meno ampi a seconda delle condizioni di base e il contesto di riferimento in cui si
trovava e collocava il Paese di accoglienza. In altri casi, invece, il Paese di accoglienza applicava politiche in
cui i rifugiati erano considerati alla stregua di stranieri, se non addirittura percepiti come una “minaccia” alla
stabilità del Paese.
Analizzare lo status legale dei palestinesi è importante al fine di definire le condizioni di vita di questi ultimi
nei campi profughi o il livello di integrazione all’interno dello Stato di accoglienza e comprendere tutti gli
ostacoli che affrontano nella vita quotidiana i rifugiati palestinesi, che si trovano senza patria, in alcuni casi
senza diritti e senza tutele.
Prima parte: contenuti generali sui palestinesi
Primo capitolo: dibattito sull’esistenza dei “palestinesi” come etnia e il loro stanziamento.
1.1 Concetto etnico di palestinese
Da molto tempo, il termine “palestinese” è sottoposto a un dibattito in cui sono frapposte due correnti di
pensiero: coloro che sostengono che il popolo palestinese esista e coloro che sostengono che sia
un’invenzione ideata dopo il 1947.
Da questo punto di vista può aiutare l’etimologia della parola “Palestina”: questa proviene dal greco e si
riferiva a tutte quelle zone a sud della Fenicia occupate nel XII secolo a. C. dai cosiddetti Filistei. Questi
ultimi erano un popolo indoeuropeo, proveniente probabilmente da Creta e che navigarono fino alla regione
litorale delle cosiddette “Terre di Canaan” dove si stanziarono1, come si può evincere anche dalla seguente
immagine.
1 http://www.treccani.it/enciclopedia/palestina_%28Enciclopedia-Italiana%29/
2
La storia del “popolo del mare” aiuta a comprendere il punto di vista dei sostenitori dell’esistenza del popolo
palestinese. I Filistei, una volta insediatisi, videro anche l’avanzata del popolo d’Israele verso le Terre di
Canaan, le cui storie si intrecciano e si incontrano tra loro, come testimoniato da vari Libri della Bibbia
(Amos, Ezechiele, Samuele, giusto per citarne alcuni). Nonostante i conflitti tra le due popolazioni e la
sconfitta dei Filistei per mano del popolo d’Israele (come testimoniato nel famoso scontro di Davide contro
il filisteo Golia), questi non sparirono, anzi sopravvissero anche quando vennero conquistati dall’impero
assiro e dopo dai babilonesi. Solamente nel V secolo a. C. si concluse il processo di fusione con gli altri
popoli, subendo un processo di “ellenizzazione” da un lato oppure costretti a convertirsi all’Ebraismo
dall’altro.
La regione storica che fu dei Filistei e che venne denominata “Palestina” fu sottomessa a vari imperi. Oltre a
quelli già citati, si ricordano anche l’impero persiano, quello ellenistico, quello romano, trasformatosi dopo
la scissione tra Impero Romano d’Occidente e d’Oriente in bizantino, e, infine, quello ottomano. In
particolare, gli scontri tra i Romani e gli ebrei hanno una rilevanza non indifferente nella regione: infatti, i
Romani contribuirono a generare quella confusione per cui si associa la Palestina come un territorio di
origine ebraica poiché, dopo le tre guerre giudaiche, nel 135 d. C. cambiarono il nome della Provincia Iudea
in Provincia Syria Palaestina, più comunemente nota come Palaestina3.
Coloro che sostengono che non esista un popolo palestinese parte proprio da questo assunto: la Palestina è
sempre stata una regione sottoposta al potere di altri imperi e, di conseguenza, può essere considerata una
regione, non uno Stato indipendente4. Ad avvalorare questa ipotesi vi sono alcune affermazioni, tra cui
2 https://it.wikipedia.org/wiki/File:12_trib%C3%B9_in_Israele.svg 3 https://it.wikipedia.org/wiki/Palestina 4 http://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=3376
quella di Ahmed al-Shuqairi, futuro fondatore dell’OLP (Organizzazione Liberazione Palestina), che nel
1956 affermava:<<È comunemente noto che la Palestina non sia altro che il Sud della Siria>> 5 .
In questo modo, il popolo palestinese sarebbe un’invenzione atta a perseguire da una parte l’unità araba nel
Medioriente e dall’altra la conseguente distruzione dello Stato d’Israele, come dichiarato nel 1977 da Zahayr
Muhsin, membro dell’OLP6.
Sebbene in principio l’obiettivo era la creazione di un’entità degli Stati arabi uniti, Limes, in un articolo
datato al 7 novembre 2018 scritto da Lorenzo Trombetta, fa notare come per i media arabi la cosiddetta
“questione palestinese” sia passato in secondo piano7, sintomo di un crescente distacco alla causa.
La professoressa Francesca Maria Corrao, docente dell’università LUISS Guido Carli, nel suo libro “Islam,
religione e politica” sottolinea come dopo la sconfitta della Guerra dei sei giorni da parte dei leader arabi
contro gli israeliani, gli stessi poeti avevano perso fiducia nel progetto di unità araba, portata avanti
dall’ideologia cosiddetta “panarabismo”. In particolare, i palestinesi hanno cominciato ad armarsi dopo il
voltafaccia dei Paesi arabi, intraprendendo una lotta armata che porterà a molte conseguenze anche
nell’ambito dell’emigrazione palestinese in altri Paesi8.
Inoltre, è irrilevante il fatto che il popolo palestinese è stato sottoposto al potere di molti imperi nei vari
secoli. La stessa Italia è stata per secoli divisa e amministrata da vari Stati che non avevano nulla a che fare
tra loro: diverse culture, diverse lingue, diverse tradizioni. Ciò non ha impedito di poter costituire nel tempo
uno Stato italiano e che esso fosse riconosciuto nel mondo.
D’altra parte, un individuo per quanto si possa identificare con un popolo non è mai, a livello genetico,
“completamente puro”. Il portale di viaggi Momondo nel 2016 aveva lanciato un progetto chiamato “The
DNA Journey” dove invitava 67 persone provenienti da Paesi diversi a sottoporsi a un test del DNA per
scoprire le proprie origini. Nessuna di queste persone nel proprio DNA aveva discendenze da un unico
popolo, proprio perché con i secoli i popoli si sono mescolati tra di loro.
È difficile, dunque, stabilire se esista o meno un popolo palestinese, ma questo non nega ai palestinesi il
diritto all’autodeterminazione dei popoli difeso dallo ius cogens internazionale.
1.2 Geografia del territorio e stanziamento negli anni
La regione “Palestina”, contesa tra ebrei e palestinesi, confina a nord con il Libano, ad est con la Siria e con
la Giordania, a sud con il Mar Morto ed Egitto e a ovest con il Mar Mediterraneo.
5 https://digilander.libero.it/livuso/Chi%20sono%20i%20Palestinesi.htm 6 Thomas L. Friedman, From Beirut to Jerusalem, HarperCollins Publishers, 1998, 2nd ed., p. 118 7 http://www.limesonline.com/la-questione-palestinese-non-esiste-piu-e-intrappola-i-palestinesi/109501?prv=true 8 “Islam, religione e politica. Una piccola introduzione” pagina 124, Francesca Maria Corrao, 2015, LUISS University Press –
Pola s.r.l.
9
Questi confini coincidono con quelli della Palestina sotto il mandato della Gran Bretagna, mentre
inizialmente erano ancora più estesi. Addirittura, in epoca bizantina, la Palestina venne divisa in tre zone:
Palaestina prima, secunda e tertia.
10 11
9 https://it.m.wikipedia.org/wiki/File:Map_of_Mandatory_Palestine_in_1946_with_major_cities_(in_English).svg
Nell’immagine a sinistra le tre linee simboleggiano come i confini della Palestina si sono modificati nel
tempo: la linea verde continua corrisponde ai territori della Palestina in epoca romana, quella tratteggiata a
quella bizantina, mentre quelli in rosso corrispondono a quelli citati precedentemente. A destra, invece, vi è
una cartina che mette in evidenza l’estensione del territorio sotto l’impero bizantino.
Attualmente, questa regione geografica è spartita da due Stati: da una parte Israele, dall’altra lo Stato di
Palestina.
Lo status dello Stato di Palestina è piuttosto controverso: non riconosciuto da molti membri dell’ONU, tra
cui Israele e l’Italia, esso è uno Stato autoproclamatosi nel 1988 grazie all’OLP. Attualmente lo Stato di
Palestina non è membro dell’ONU, ma gode dello status di osservatore permanente, come la Città del
Vaticano.
12
La figura posta sopra rappresenta gli attuali territori dello Stato palestinese, secondo l’ONU: la parte della
Cisgiordania, denominata dagli israeliani “West Bank” e che comprende anche Gerusalemme est, e la
cosiddetta Striscia di Gaza, lunga 40 chilometri e larga una decina. Secondo gli accordi di Oslo
(Dichiarazione dei Principi riguardanti progetti di autogoverno ad interim), siglati nel 1993, su queste due
porzioni doveva sorgere il futuro Stato palestinese. Nonostante ciò, la situazione de facto implica una realtà
molto più complessa: in Cisgiordania vi sono porzioni di territorio controllate dai palestinesi (chiamate aree
A), altre controllate dagli israeliani (aree C), e infine quelle miste (aree B). Lo Stato di Israele è riuscito a
insediarsi in questi territori grazie alla comunità di ebrei ortodossi o ultranazionalisti, difendendo questi
territori con le armi. Nella striscia di Gaza, il clima, se possibile, è anche peggiore. È stato imposto da Israele
10 https://it.wikipedia.org/wiki/Palestina#/media/File:Historical_boundaries_of_Palestine_(plain).svg 11 https://commons.wikimedia.org/wiki/File:SASH_D082_Map_of_classical_syria.jpg 12 https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Palestina_en_Wikiviajes.svg
il blocco navale, colpendo duramente l’economia palestinese, in quanto vi è carenza di materiali, quali quelli
edili, il petrolio e l’acqua. I pescatori sono costretti a lavorare non oltre le sei miglia marittime, a causa di
ciò13.
Per quanto riguarda la demografia, i palestinesi storicamente avevano una comunità molto più ampia rispetto
a quella ebraica, come ci mostra la seguente immagine.
14
Essa si riferisce al 1947, ma già dall’inizio del Novecento si assisteva a una mobilitazione di massa da parte
degli ebrei di tutto il mondo per riprendersi la “Terra Promessa”. Il numero di ebrei sul territorio era, però,
insignificante: come riporta “The status of Palestinian refugees in International Law” (Lex Takkenberg,
Claredon Press Oxford, 1996), gli ebrei che vivevano sul territorio erano 56,000 su una popolazione di
608,000.
Sempre nel 1947, l’Assemblea Generale dell’ONU ha approvato la risoluzione n. 181 (“Piano di ripartizione
della Palestina”) che prevedeva di affidare il 55% dei territori a Israele e il restante agli arabi, nonostante il
numero di arabi fosse maggiore rispetto a quello di ebrei, come si evince dalla seguente tabella15.
Jews Arabs and others total
13 https://www.lapresse.it/esteri/focus_medioriente_i_territori_occupati_cosa_sono_e_come_funzionano-421976/news/2014-07-
20/ 14 https://it.wikipedia.org/wiki/File:Map_of_Jewish_settlements_in_Palestine_in_1947.png 15 https://unispal.un.org/unispal.nsf/0/07175de9fa2de563852568d3006e10f3
The Jewish State 498,000 407,000 905,000
The Arab State 10,000 725,000 735,000
City of Jerusalem 100,000 105,000 205,000
Total 608,000 1,237,000 1,845,000
Ovviamente, la popolazione araba non era totalmente musulmana: infatti 145.000 arabi erano cristiani.
Questo dato è importante per comprendere meglio quanto effettivamente possa incidere la questione
religiosa all’interno di questo conflitto. Inoltre, nel territorio ebraico altri 90.000 che erano di origine
beduina non furono contati all’interno di questo calcolo16.
Nel 1948 si giunge al grande esodo, definito dalla popolazione araba Al-Nakba, a causa dello scoppio del
conflitto arabo-israeliano: decine di migliaia di famiglie arabe palestinesi abbandonarono, o furono costrette
a farlo, la Palestina e non poterono più fare ritorno nelle loro case perché lo Stato di Israele glielo impedì.
La fuga, secondo l’ONU, coinvolse circa 711.000 persone17, ma le stime sono diverse a seconda delle fonti,
poiché le stime variano a seconda di quale fazione si esprime, con la Palestina che attesta un numero
maggiore, a differenza di Israele con un numero minore.
Attualmente, la popolazione mondiale palestinese, secondo il Palestinian Central Bureau of Statistics
(PCBS), ammonta a 12.37 milioni di persone, di cui quasi 5 milioni nelle zone di Cisgiordania e Striscia di
Gaza e 1.47 milioni nello Stato di Israele, 5.46 milioni presenti in altri Paesi arabi e 685 mila unità presenti
sparsi nel mondo. Dati che fanno riflettere, in quanto nel 2015 la popolazione palestinese andava quasi ad
eguagliare quella dello Stato di Israele (6,22 milioni di palestinesi contro i 6,34 milioni di ebrei) e alla luce
di un tasso di natalità maggiore rispetto a quello degli israeliani, dovrebbe portare entro il 2020 al sorpasso
della popolazione araba su quella di Israele su tutta la regione della Palestina18.
Molti di questi dati sono contestati dall’establishment israeliano. Durante il censimento compiuto nel 2012,
essi affermavano che i dati sui palestinesi residenti in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza sono stati
falsati19.
È necessario ricordare, però, che i dati anagrafici palestinesi sono controllati dagli stessi israeliani, in quanto
registrano lo status civile di ogni palestinese, rilasciando a sedici anni una carta di identità, rigorosamente
scritta in ebraico.
Queste informazioni sono rilevanti al fine di comprendere meglio cosa ha spinto il grande esodo palestinese
e dove si sono stanziati i rifugiati.
16 https://unispal.un.org/unispal.nsf/0/07175de9fa2de563852568d3006e10f3 17
https://web.archive.org/web/20141028123125/http://domino.un.org/unispal.nsf/9a798adbf322aff38525617b006d88d7/93037e3b9
39746de8525610200567883?OpenDocument 18 https://www.pcbs.gov.ps/site/512/default.aspx?tabID=512&lang=en&ItemID=1566&mid=3171&wversion=Staging 19 https://www.ilfattoquotidiano.it/2012/01/04/espansione-demografica-palestinesi-superano-israeliani-milioni-contro/181524/
Seconda parte: Storia dell’esodo e movimenti migratori
Secondo capitolo: Storia dell’esodo palestinese
2.1 Nascita dello Stato d’Israele e inizio delle tensioni con la Lega araba
Lo Stato di Israele nasce nel 1947, una volta finita la Seconda Guerra Mondiale, ma la volontà di costituirlo
risale ad anni addietro a quella data. Tale volontà nasce con il sionismo, un movimento costituitosi in Europa
alla fine del XIX secolo. Essa era una corrente minoritaria all’interno del popolo ebraico, ma che si è
rafforzata come conseguenza dell’Olocausto.
La costituzione dello Stato d’Israele si scontra con la volontà della popolazione araba presente in codesti
territori di dar vita a uno Stato arabo che si estendesse dal Marocco fino alla Penisola araba.
20
20 https://it.wikipedia.org/wiki/File:Arab_World_Green.svg
Questa volontà risale all’inizio del Novecento, in quanto i nazionalisti arabi volevano ottenere
l’indipendenza dall’Impero Ottomano. Dalla rivoluzione dei Giovani Turchi del 1908, l’Impero non solo
uscì fortemente indebolito, ma subì un processo di “turchizzazione”, contrario alla volontà dei sostenitori del
panarabismo di implementare l’uso dell’arabo nelle scuole e nel servizio militare autoctono.
In principio, il movimento per la creazione di uno Stato arabo unito non era così popolare e l’obiettivo era la
creazione di uno Stato, chiamato “Grande Siria” che comprendesse la Siria, il Libano, la Giordania e quella
che sarebbe diventata la futura Palestina. Durante la Prima Guerra Mondiale, però, si profilò la possibilità di
poter ottenere questi territori sostenendo le truppe inglesi durante la guerra contro l’Impero Ottomano e
questo generò un’ondata di entusiasmo e di sostegno al panarabismo21.
Per questo, nel giugno 1916, il capo dei nazionalisti arabi, lo Sharif al-Husayn ibn ‘Ali Himmat, fece
un’alleanza con il Regno Unito e la Francia contro l’Impero Ottomano, garantendo il loro sostegno e dando
inizio alla Rivolta Araba22. Alla fine, nel 1918, avvenne il collasso dell’Impero e portò alla spartizione di
esso.
Le aspettative degli arabi, però, furono disattese dagli alleati: Francia e Gran Bretagna avevano stabilito in
un accordo segreto stipulato precedentemente (l’accordo Sykes-Picot, fatto nel maggio 1916) che vi fossero
delle aree di influenza in Medio Oriente da parte delle due nazioni.
Inoltre, nel 1917, il generale inglese Balfour rilasciò una dichiarazione affermando che la Palestina dovesse
divenire “national home for the Jewish people”, invitando tutti gli ebrei dispersi in altri Paesi a raggiungere
quei pochi che abitavano già la Palestina. Quest’affermazione fu sostenuta da tutti i governi degli alleati di
guerra e fu una linea guida della nascente Società delle Nazioni, fondata nel 1919.
Nonostante gli sforzi per liberarsi del giogo ottomano, gli arabi si ritrovarono sotto il controllo di altre
potenze: da una parte la Francia, che aveva una sfera di influenza sulla Siria, mentre la Gran Bretagna aveva
esteso il suo controllo sulla Mesopotamia e, nel 1920, sulla Palestina.
Negli accordi di Sykes-Picot, in realtà, la Palestina avrebbe dovuto essere territorio di un’amministrazione
internazionale che vedeva coinvolte altre nazioni, come la Russia23. In realtà, la Palestina fu sottoposta a
Mandato britannico che si adeguò alla linea guida esposta dalla Società delle Nazioni, come espressamente
sottoscritto nell’accordo del mandato.
Cominciarono però una serie di sommosse contro l’arrivo degli ebrei, che si verificarono nel 1921 e nel 1929
e che ne seguirono due dei tre “libri bianchi” in cui i britannici rassicuravano i palestinesi sulla presenza
ebraica nel territorio.
Nel 1937 fu proposta dal governo britannico una divisione della Palestina in due aree: una con uno Stato
arabo e un altro con uno Stato ebraico. La proposta fu accettata dagli ebrei ma non dagli arabi e questo
21 https://it.wikipedia.org/wiki/Nazionalismo_arabo 22 https://it.wikipedia.org/wiki/Rivolta_Araba 23 https://it.wikipedia.org/wiki/Accordo_Sykes-Picot
inasprì ulteriormente la Grande Rivolta Araba, scoppiata nel 1936 e che fu soppressa nel 193924. Nel
medesimo anno fu redatto l’ultimo dei “libri bianchi”25.
Dopo la Seconda Guerra Mondiale, a seguito dell’Olocausto, divenne impellente giungere a una soluzione
per il territorio conteso.
Fu convocata una sessione speciale dell’Assemblea Generale il 28 aprile del 1947 e incaricò undici Paesi
nello United Nations Special Committee on Palestine (UNSCOP) al fine di trovare una soluzione alla
situazione entro il settembre dello stesso anno.
La Commissione fu concorde nel porre fine al Mandato britannico in Palestina, ma non avevano una
soluzione chiara sulla questione palestinese. Una maggioranza della Commissione voleva che la Palestina
fosse divisa in due parti (uno Stato arabo e uno Stato d’Israele) con Gerusalemme territorio neutrale
amministrato dalle Nazioni Unite; una minoranza, invece, affermava la creazione di un’entità unica. Alla
fine, con l’approvazione della risoluzione numero 181/1947 si raccomandava “a Plan of Partition with
Economic Union”. Con questa risoluzione, le truppe britanniche si dovevano ritirare progressivamente e la
creazione dei due Stati doveva avvenire non più tardi del primo ottobre del 1948 e si dovevano creare due
Stati, l’uno arabo e l’altro ebraico. Per evitare rappresaglie da parte degli arabi, si suggerì di riunire sotto il
territorio ebraico tutti quei territori a prevalenza ebraica e fare lo stesso con quelle arabe 26 . Segue
l’immagine del piano di partizione dei due Stati.
24 https://it.wikipedia.org/wiki/Grande_rivolta_araba 25 https://avalon.law.yale.edu/20th_century/brwh1939.asp 26 Lex Takkenberg, “The status of Palestinian refugees in international law”, pag. 8, Clarendon Press University, 1998
27
Il piano fu accettato, seppur con poca soddisfazione, da parte degli ebrei, lamentandosi della poca continuità
territoriale28, ma gli arabi ancora una volta rifiutarono l’accordo, scatenando tutti gli eventi che seguirono e
che portarono all’esodo palestinese, conosciuto anche con il nome di Al-Nakba.
2.2 Cos’è al-Nakba: le motivazioni dell’esodo
Con l’adozione della risoluzione dell’ONU numero 181 del 1947 le violenze crebbero, mentre si effettuava
la ritirata da parte degli inglesi, tanto da parlare di una Guerra civile del 1947-1948 della Palestina
Mandataria29. Le ultime truppe lasciarono il territorio il 14 maggio del 1948 e il giorno stesso venne
dichiarata l’indipendenza dello Stato d’Israele e fu riconosciuto subito da molti Stati, come l’URSS e gli
Stati Uniti d’America che avevano un ruolo dominante all’interno dell’Assemblea Generale.
27 https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/thumb/d/db/UN_Partition_Plan_For_Palestine_1947.svg/767px-
UN_Partition_Plan_For_Palestine_1947.svg.png 28 https://it.wikipedia.org/wiki/Guerra_arabo-israeliana_del_1948 29 https://it.wikipedia.org/wiki/Guerra_civile_del_1947-1948_nella_Palestina_mandataria
Il 15 maggio del medesimo anno una coalizione di Paesi arabi (Egitto, Libano, Siria, Transgiordania e
Yemen), in collaborazione con l’Esercito arabo di Liberazione (creato dalla Lega araba), attaccarono il
neonato Stato di Israele. Il conflitto che ne derivò venne denominata come “Guerra arabo-israeliana” e durò
dal 1948 fino all’armistizio del 1949 (ma i primi scampoli vi erano già presenti nel 1947), che fu firmato
singolarmente tra lo Stato d’Israele e i singoli Stati che componevano l’alleanza 30.
31
Alla fine della guerra, Israele controllava la maggior parte del territorio della Palestina Mandataria, quindi
anche più di quanto concesso dalla risoluzione 181. Le eccezioni erano la Striscia di Gaza e la parte nota
come “West Bank”, che erano sotto il rispettivo controllo di Egitto e quella che si chiamava Transgiordania e
che divenne in seguito Giordania.
Durante questo periodo, in particolare tra il 1947 e il 1949, più di 750.000 residenti in Palestina lasciarono le
loro case a causa della guerra, alle volte volontariamente, altre invece furono obbligate dalle forze israeliane.
Molti di questi andarono a rifugiarsi nelle zone della Palestina sotto il controllo arabo, altrimenti addirittura
andavano a rifugiarsi in Siria, Giordania e Libano.
30 https://it.wikipedia.org/wiki/Guerra_arabo-israeliana_del_1948 31 https://it.wikipedia.org/wiki/File:1947-UN-Partition-Plan-1949-Armistice-Comparison.png
Da qui, deriva la definizione data dal “United Nation Relief and Works Agency” (UNRWA) sui “rifugiati
palestinesi:<<Palestine refugees are persons whose normal place of residence was Palestine between June
1946 and May 1948, who lost both their homes and means of livelihood as a result of the 1948 Arab-Israeli
War32>>.
Una menzione speciale va fatta a tale ente, in quanto l’UNRWA ha svolto un compito fondamentale in tutti
questi anni a sostegno dei rifugiati palestinesi: fu creato dall’Assemblea Generale con la risoluzione
302/1949, la quale stabiliva come obiettivo “to prevent conditions of starvation and distress… and to further
conditions of peace and stability”33. Esso prendeva il posto del precedente ente ONU creato dalla precedente
risoluzione 212/1948, lo United Nations Relief For Palestinian Refugees (UNRPR)34.
Negli anni la sfera di intervento dell’UNRWA è stata via via ampliata con delle risoluzioni ad hoc, ma
l’obiettivo è rimasto sempre lo stesso. A maggior ragione, con l’aggravamento della situazione nei territori
coinvolti dall’esodo, soprattutto dopo la Guerra dei sei giorni del 1967, che ha costretto altri 120mila
palestinesi ad emigrare o hanno perso la casa durante il conflitto, la sua ragione di esistere si è rafforzata e il
suo obiettivo rimane più attuale che mai. “UNRWA is mandated to work with governments on interim
measures and to provide relief and assistance to Palestine refugees “pending the just resolution” of the
Palestine refugee question. The role UNRWA plays in the region has evolved to reflect the needs and
pressures of the times, but the Agency’s central mandate remains largely unchanged: UNRWA protects and
assists Palestine refugees, seeking to help them achieve their full potential in human development”35.
Negli anni ’50 l’ente dell’ONU cominciò a concretizzare misure di sostegno a favore dei rifugiati, come la
distribuzione di beni alimentari come il riso, formaggio, zuppe e farina36, ma più avanti si evolveranno in
specifici progetti, come il “Special Hardship Case Programme”, durante gli anni ’70 37. Nella seconda metà
degli anni ‘50, le operazioni si sono concentrate nel miglioramento delle “case” nei campi profughi, poiché
dalle tende si è passati a strutture prefabbricate38 e nei primi anni 2000 si cercano di migliorare le condizioni
dei campi e delle infrastrutture39. Un altro obiettivo conseguito dall’UNRWA è stato quello di creare più di
700 scuole e al cui progetto educativo hanno aderito molte bambine40. L’istruzione è uno dei pilastri su cui
l’UNRWA investe di più, come anche per il “gender equity” con trading per le donne adulte41. Anche nel
campo del lavoro, l’agenzia è particolarmente incisiva: nel 1991 viene creata al suo interno un
“Microfinance department” che aiutava a generare occasioni di lavoro42. A livello di salute, l’UNRWA ha
32 https://it.wikipedia.org/wiki/Campi-profughi_palestinesi 33 https://www.unrwa.org/content/resolution-302 34 http://humanrightsvoices.org/site/documents/?d=37 35 https://www.unrwa.org/content/resolution-302 36 https://www.unrwa.org/content/start-operations 37 https://www.unrwa.org/content/special-hardship-case-programme 38 https://www.unrwa.org/content/replacing-tents-fabricated-shelters 39 https://www.unrwa.org/content/infrastructure-and-camp-improvement 40 https://www.unrwa.org/content/gender-equity 41 https://www.unrwa.org/content/women%E2%80%99s-training-centre 42 https://www.unrwa.org/content/special-hardship-case-programme
sperimentato nuove tecniche per salvare vite dalla disidratazione43, ma ha anche introdotto dei percorsi
terapeutici psicologici44 e nel 2011 il 99,6% dei bambini piccoli è stato vaccinato45.
I fondi per il finanziamento dei progetti dell’UNRWA sono stati stanziati da vari Stati ed enti
internazionali46.
Per ciò che concerne il conflitto, le posizioni circa questo esodo sono diverse: secondo Folke Bernadotte,
conte di Wisborg, mediatore delle Nazioni Unite per la Palestina, a spingere le persone all’esodo “resulted
from panic created by fighting in their communities by rumours concerning real or alleged acts of terrorism,
or expulsions”.
Non sono dello stesso avviso le autorità israeliane, le quali sostengono che gli arabi abbiano volontariamente
scelto di abbandonare le proprie terre e che fu ordinato dai leader arabi, non da loro.
Per questa ragione, anche il termine “rifugiati” per i palestinesi arabi, secondo la posizione israeliana, è
improprio: infatti, dovrebbero essere considerati “migranti”, in quanto hanno scelto volontariamente di
migrare e, dunque, dovrebbero essere assorbiti dai vicini Stati arabi.
Nonostante ciò, la generalità degli arabi dichiarò che furono proprio gli ebrei ad espellerli con
premeditazione. Tra loro, anche l’avvocato Issa Nakhleh, l’avvocato Henry Cattan e lo storico Nur Masalha.
47
Lo stesso conte Bernadotte verificò le condizioni dei campi profughi sia in Palestina che in Giordania e
dichiarò:<<It would be an offence against the principles of elementary justice if these innocent victims were
denied the right to return to their homes, while Jewish immigrants flow into Palestine, and, indeed, at least
offer the threat of permanent replacement of the Arab refugees who have been rooted in the land for
centuries48>>.
43 https://www.unrwa.org/content/najjar-salts 44 https://www.unrwa.org/content/psychological-counselling-and-support 45 https://www.unrwa.org/content/immunizations 46 https://www.unrwa.org/sites/default/files/overall_donor_ranking.pdf 47 https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Oldman_girl_nakba.jpg 48 https://www.aljazeera.com/programmes/specialseries/2013/05/20135612348774619.html
Inoltre, molti palestinesi arabi pensavano che avrebbero lasciato la propria terra per un breve periodo di
tempo. Dall’aprile 1948, i palestinesi cominciarono a chiedere di poter tornare nelle proprie abitazioni, nel
proprio territorio e Israele cominciò a sentire la pressione internazionale per fare in modo che i palestinesi
tornassero nelle loro case. Tuttavia, nel giugno del 1948 decise di vietare il ritorno per i profughi e fu
ribadita nell’agosto del medesimo anno. La giustificazione di questo atto da parte del governo israeliano fu
quella di affermare che non vi era ragione di fare entrare nel proprio territorio “openly hostile Arabs, who
viewed Jewish sovereignty over any part of the former Palestine mandate as anathema”.
Questo andava contro alla risoluzione dell’ONU numero 194, approvata nel dicembre del 1948, la quale
affermava che “ai rifugiati che avessero voluto tornare alle proprie case e vivere in pace coi loro vicini,
sarebbe stato permesso di farlo” e che “sarebbe stato pagato l'indennizzo per le proprietà di quanti avessero
scelto di non tornare” e a cui non venne fatto alcun seguito49. Nel frattempo che avveniva questo esodo, si
andava ad ingrandire la popolazione ebraica nel territorio.
L’esodo palestinese, conosciuto anche con il nome Al-Nakba (che in arabo significa “catastrofe”) ha avuto
svariate fasi.
La prima fase comincia tra il dicembre del 1947 al marzo del 1948 e che vede coinvolte le classi sociali
medie alte di Jaffa e di Haifa. Questo comportò la conquista di molte aree sotto il controllo arabo da parte
degli israeliani.
Il loro ricollocamento avvenne tra aprile e agosto del medesimo anno: gli arabi palestinesi provenienti dal
nord della Palestina si rifugiarono in Siria; quelli di Jaffa e della zona della Striscia di Gaza andarono in
essa; infine, gli abitanti della parte costiera peregrinarono verso la parte ad ovest del fiume Giordano.
Ulteriori espulsioni avvennero alla fine del 1948, con un numero compreso tra 150.000 e i 200.000
palestinesi della zona di Gaza. Ulteriori espulsioni ve ne sono nei vari anni con le altre guerre che verranno,
non ultima la Guerra dei sei giorni (1967)50.
Questo comportò una crescita delle zone sotto il controllo dello Stato di Israele nei vari anni. Ciò che segue è
l’evoluzione nei vari anni, tramite la costituzione di colonie all’interno dei territori considerati palestinesi
(ultimo dato risalente al 2014).
49 https://it.wikipedia.org/wiki/Guerra_arabo-israeliana_del_1948#Risoluzione_dell'ONU_n._194 50 Lex Takkenberg, “The status of Palestinian refugees in international law”, pagg. 12-13-14-15-16-17-18, Clarendon Press
University, 1998
51
51 http://www.ancorafischiailvento.org/2018/04/03/palestina-e-israele-101-anni-dopo/
Terzo capitolo: Analisi dell’esodo palestinese
3.1 Distribuzione e dati nei Paesi confinanti, in Europa e in America
La maggior concentrazione di popolazione di etnia palestinese è concentrata nei territori considerati sotto
controllo della Palestina, quindi Cisgiordania e Gaza, nonostante a partire dal 1967 questi suddetti territori
siano sottoposti a occupazione israeliana e che i suoi effetti si ripercuotono fino ai nostri giorni.
Questi, secondo il “Palestinian Central Bureau of Statistic” (PCBS), che ha redatto un censimento alla fine
del 2015.
I palestinesi residenti nei propri territori si attestano intorno al 4,78 milioni di persone (con il censimento del
2017), di cui 2,88 milioni risiedono nella cosiddetta West Bank, mentre i restanti 1,89 milioni sono residenti
nella Striscia di Gaza52. Secondo i dati riportati alla fine del 2015, di coloro che risiedono in Palestina, il
48,2% della popolazione è un rifugiato palestinese: di questa percentuale si distribuisce il 27,1% è nella West
Bank, il 63,9% è, invece, nella Striscia di Gaza53.
Sempre secondo i dati del 2015, in totale la popolazione palestinese nel mondo si attesta attorno ai 12,37
milioni.
Un dato molto rilevante, evidenziato dal PCBS, è che 1,47 milioni di palestinesi vivono in Israele. A seguito
si riporta una tabella del numero di palestinesi all’interno di questi Stati.
Paese Palestinesi al loro interno
Palestina (in totale) 4,78 milioni di persone
West Bank 2,88 milioni di persone
Striscia di Gaza 1,89 milioni di persone
Israele 1,47 milioni di persone
Vi sono Stati che hanno un altrettanto elevato numero di palestinesi dentro i propri territori. Questi Paesi
sono tutti confinanti con la regione della Palestina e sono: Siria, Giordania e Libano.
La Giordania, addirittura, accoglie un numero maggiore di palestinesi rispetto a Israele: sono 2,81 milioni di
abitanti54; il Libano ne accoglie 636mila55; infine, la Siria, che con lo scoppio della guerra civile nel 2013 ha
visto scappare un numero elevato di profughi residenti nel suddetto territorio, attualmente sono 428mila56.
In misura minore contribuiscono anche altri Stati all’accoglienza dei rifugiati palestinesi.
52 http://www.pcbs.gov.ps/Downloads/book2364-1.pdf 53 http://www.pcbs.gov.ps/site/512/default.aspx?tabID=512&lang=en&ItemID=1566&mid=3171&wversion=Staging 54 https://joshuaproject.net/people_groups/14276/JO 55 https://joshuaproject.net/people_groups/14276/LE 56 https://joshuaproject.net/people_groups/14276/SY
Per quanto concerne i Paesi del Golfo, l’Arabia Saudita raggiunge quasi la Siria con i suoi 424mila profughi
ospitati; segue il Qatar con 363mila palestinesi all’interno del proprio territorio; il Kuwait ha 34mila
profughi nel proprio Paese; gli Emirati Arabi concludono all’ultimo posto, accogliendo 26mila palestinesi57.
Vi sono altri Stati nel mondo arabo che accolgono i rifugiati palestinesi: l’Egitto è quello che ne accoglie di
più, con 74mila profughi al suo interno. Un dato che stupisce, se si pensa al ruolo importante che esso ha
avuto nel conflitto arabo-israeliano, dato che ha mantenuto un protettorato sulla Striscia di Gaza fino al 1967
e dato che ha un ruolo di mediatore tra le parti anche attualmente58: infatti, è un numero enormemente più
basso rispetto a quello della Giordania, altro player importante nell’intricata vicenda degli scontri che si
sono susseguiti nei decenni fino al 1967, dato che aveva il controllo della West Bank. Non regge nemmeno
come attenuante la distanza, dato che Egitto e Palestina si trovano al confine, proprio nella Striscia di Gaza.
Paesi più distanti dalla Palestina, come l’Arabia Saudita e il Qatar, hanno accolto più del quintuplo
dell’Egitto. Troviamo subito dopo esso la Libia, con 63mila profughi; lo Yemen, con 31mila; l’Iraq con
21mila; infine, l’Eritrea con 15mila.
Questo avvalora quanto detto in precedenza: che il progetto di uno Stato arabo unito è stato abbandonato e,
in questo modo, i vari Stati arabi hanno abbandonato il popolo palestinese nella loro lotta
all’autodeterminazione, da un certo punto di vista. In particolare, l’Egitto, più della Giordania, approfittando
del ruolo di mediatore, secondo taluni farebbe il “doppiogioco”59.
Qui di sotto si riporta la tabella con tutti gli Stati che ospitano un numero cospicuo di palestinesi e facenti
parte della sfera del “mondo arabo”.
Paesi Numero di palestinesi accolti
Giordania 2,81 milioni
Libano 636mila
Siria 428mila
Arabia Saudita 424mila
Qatar 363mila
Egitto 74mila
Libia 63mila
Kuwait 34mila
Yemen 31mila
Emirati Arabi 26mila
Iraq 21mila
Eritrea 15mila
57 https://joshuaproject.net/people_groups/14276 58 https://www.ilfoglio.it/esteri/2018/05/18/news/legitto-ha-un-buon-motivo-per-tenere-a-bada-hamas-e-si-vede-195434/ 59 https://www.ilfattoquotidiano.it/2014/07/27/gaza-lanalisi-litigiosi-e-divisi-cosi-i-paesi-arabi-non-aiutano-la-causa-
palestinese/1072945/
Passando all’analisi del mondo occidentale, partendo dall’analisi delle Americhe (America del Nord e
America del Sud) un ruolo primario lo assume gli Stati Uniti con 102mila rifugiati, mentre il Canada ne
accoglie 19mila, infine il Messico60 ne accoglie 13mila.
In America Centrale troviamo l’Honduras che ne accoglie 31mila, Panama 8.500, mentre il Guatemala
1.800.
Infine, nel Sud America, il Paese che ne accoglie di più è la Colombia con 13mila. Altro Paese che vede una
piccola comunità di rifugiati palestinese è l’Argentina con 1.200 unità.
Qui di sotto si riporta una tabella riassuntiva dei seguenti dati.
Paese Numero di palestinesi accolti
Stati Uniti 102mila
Honduras 31mila
Canada 19mila
Colombia 13mila
Messico 13mila
Panama 8.500
Guatemala 1.800
Argentina 1.200
L’Unione Europea, che si è di molto mobilitata a favore dell’UNRWA, prima nel febbraio 2018 in cui il
Parlamento Europeo ha confermato l’aiuto e il sostegno ad esso61 e, nell’ottobre del medesimo anno, ha
condannato la decisione degli Stati Uniti di bloccare l’erogazione di fondi al suddetto ente dell’ONU62, è il
primo fornitore di assistenza ai rifugiati palestinesi, il cui contributo è di 110 milioni di euro, di cui 102
destinati proprio all’UNRWA (anno 2017)63.
Nonostante la maggior parte dei Paesi membri dell’UE hanno prestato molta attenzione al tema “rifugiati”,
tuttavia sono pochi quelli che spiccano perché vi è all’interno del proprio territorio una cospicua
rappresentanza palestinese. Il Paese con la maggiore concentrazione di palestinesi è la Danimarca con
20mila unità. Segue la Francia con 4.000. Da considerare a parte la Gran Bretagna, per via della Brexit, che
consta anch’essa 20mila unità64.
Qui segue una tabella riassuntiva.
60 N.B.: Il Messico è considerato geograficamente comprendente dell’America Centrale, ma geopoliticamente fa parte
dell’America Settentrionale: https://it.wikipedia.org/wiki/Messico 61 https://ec.europa.eu/italy/news/20180227_Impegno_UE_UNRWA_sostegno_rifugiati_palestinesi_it 62 http://www.europarl.europa.eu/news/it/headlines/world/20180927STO14536/fondi-ai-rifugiati-palestinesi-senza-unwra-ci-
sarebbero-solo-caos-e-violenza 63 https://europa.eu/rapid/press-release_IP-18-1181_it.htm 64 https://joshuaproject.net/people_groups/14276
Paese Numero di palestinesi
Danimarca 20mila
Gran Bretagna 20mila
Francia 4.000
3.2 Cambio della geografia e rapporti intercorrenti tra i due Stati
Come precedentemente sottolineato, con la Guerra dei sei giorni del 1967 i territori affidati a Egitto e
Transgiordania verranno lentamente colonizzati.
A seguito vi è un grafico che mostra la crescita di colonie israeliane nei territori palestinesi.
65
Come si può vedere, il totale della popolazione israeliana nei territori palestinesi è cresciuta dalla prima metà
degli anni ’70 fino agli inizi degli anni 2000 di quasi 500mila unità. Questi, però, si dividono per territori.
All’inizio, la parte maggiormente colonizzata fu proprio Gerusalemme Est, riconosciuta dallo Stato di
Palestina come la propria capitale, probabilmente per non perdere i territori conquistati nel 1967 ma che non
sono stati riconosciuti a livello internazionale66. La disputa su Gerusalemme persevererà negli anni, non
ultimo il riconoscimento da parte degli Stati Uniti di Gerusalemme come capitale dello Stato d’Israele67.
Dopo il 2005, dunque, la popolazione toccherà quasi le 200mila unità. Un’altra zona che ha visto una
crescita importante della popolazione israeliana è stata la West Bank: addirittura, dopo il 2005, raggiungerà
65 https://it.wikipedia.org/wiki/Insediamenti_israeliani#/media/File:IsraeliSettlementGrowthLineGraph.png 66 https://www.ilpost.it/2015/10/16/la-divisione-di-gerusalemme-spiegata/ 67 https://www.ispionline.it/en/node/19135
quasi le 300mila unità. Nelle altre due zone, Striscia di Gaza e nelle alture del Golan, la crescita delle
colonie israeliane rasenta lo zero.
Questa, però, rappresenta una chiara violazione del diritto internazionale secondo la Convenzione di Ginevra
per la protezione delle persone civili in tempo di guerra del 1949, la quale dichiara nell’art. 49 comma 6 la
seguente affermazione:<<La Potenza occupante non potrà procedere alla deportazione o al trasferimento di
una parte della sua propria popolazione civile nel territorio da essa occupato68>>. Molte sono le risoluzioni
ONU che condannano questo comportamento, tra cui la risoluzione 2334/2016 che ha visto l’astensione
degli Stati Uniti nel Consiglio di Sicurezza, che ha permesso di approvarla e che ribadisce nei primi tre punti
la violazione del diritto internazionale, la richiesta di cessazione di quest’attività e che la formazione di
queste colonie non cambiano i confini stabiliti nel 196769. Ciò, però, non ha arrestato questo processo di
colonizzazione dei territori palestinesi.
Altro tema importante per la vita dei palestinesi stanziati nei propri territori è la presenza dei cosiddetti
checkpoints. Queste sono “barriere fisiche”, una sorta di posto di blocco, che impediscono il passaggio da un
villaggio all’altro nei territori palestinesi 70 . Teoricamente dovevano essere stanziati solo ai confini tra
Palestina e Israele, in realtà sono sparse in tutta la Cisgiordania. Queste impediscono l’accesso, a totale
discrezione del comandante israeliano di guardia, non solo tra la West Bank e Gaza o Gerusalemme Est, ma
all’interno anche del medesimo territorio71.
Oltre alla libertà di movimento, sono violati ulteriori principi, come il diritto all’alloggio, a causa delle
demolizioni che porta ad aumentare il numero degli sfollati palestinesi72.
Questo ha portato alla costituzione di molti campi profughi sia in Cisgiordania che nella Striscia di Gaza e a
considerare questi palestinesi “rifugiati”: nel 2006, i tre quarti della popolazione era considerato nella
categoria “profugo”, pari a 961mila palestinesi; leggermente meglio, numericamente parlando, era la
situazione in Cisgiordania, con 681mila unità.
I campi profughi nella Striscia di Gaza erano, sempre nel 2006, 8 per 471mila profughi: una delle più alte al
mondo per densità di profughi; in Cisgiordania 19 per 181mila rifugiati73.
Le degradanti condizioni in cui vivono i palestinesi nei propri territori a causa dell’occupazione israeliana
non solo viola molti principi fatti propri del diritto internazionale, come il diritto all’autodeterminazione dei
popoli entrato nello ius cogens e che non solo ha forza cogente ma è valida anche erga omnes, oppure altri
diritti sanciti in alcuni trattati, come ad esempio l’art. 7 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo
del 194874 sul principio di uguaglianza e divieto di discriminazione, ma oltre ad usare come arma la violenza
68 http://files.studiperlapace.it/spp_zfiles/docs/20041031171801.pdf 69 https://www.un.org/webcast/pdfs/SRES2334-2016.pdf 70 http://www.ambasciatapalestina.com/loccupazione/checkpoint/ 71 http://www.forumpalestina.org/news/2014/Dossier/Dossier_Diritti.pdf 72 https://www.amnesty.it/rapporti-annuali/rapporto-annuale-2017-2018/medio-oriente-africa-del-nord/israele-territori-palestinesi-
occupati/ 73 http://www.30giorni.it/articoli_id_10472_l1.htm 74 https://www.ohchr.org/EN/UDHR/Documents/UDHR_Translations/itn.pdf
con l’uso della tortura e uccisioni mirate, attua una nuova strategia di guerra: un “attacco alla vita” come
definito dal dossier “Come Israele viola i diritti dei palestinesi e il diritto internazionale umanitario”.
Eyal Weizman nel suo libro “Il minore dei mali possibili” descrive bene questa guerra:<<In confronto ad
altri conflitti nel mondo, il conflitto israelo-palestinese non produce un maggior numero di morti dirette o
violente. Ma è ormai diventata comune una forma di uccisione molto più sottile: quella messa in atto
attraverso la degradazione delle condizioni ambientali, della qualità dell’acqua, dell’igiene,
dell’alimentazione e delle cure; attraverso la riduzione del flusso dei materiali necessari per costruire le
infrastrutture che sostengono la vita; attraverso il divieto di importazione di depuratori per l’acqua; e
attraverso le restrizioni alla pianificazione sanitaria e al trasferimento dei pazienti75>>76.
In questo contesto, si comprende bene l’esodo di massa attuato dai palestinesi e che continua a perdurare
fino ai nostri giorni. Si sta lavorando per una sorta di “trasferimento forzato indiretto” di palestinesi, che
molti considerano una “pulizia etnica”77, fuori dai confini di Cisgiordania e Striscia di Gaza. E chi non si
trasferisce si trova costretto a vivere in condizioni degradanti, con scarsi rifornimenti di cibo né acqua,
un’economia distrutta, senza più fonti di approvvigionamento per sostentare intere famiglie, senza lavoro.
Per questo i palestinesi emigrano.
75 Eyal Weizman, “Il minore dei mali possibili” pag. 161 76 http://www.forumpalestina.org/news/2014/Dossier/Dossier_Diritti.pdf 77 https://www.invictapalestina.org/archives/33292
Terza parte: Diritti dei rifugiati palestinesi
Quarto capitolo: Status legale, condizione socioeconomica e integrazione dei palestinesi nei Paesi
aderenti all’UNRWA
4.1 Giordania
Come precedentemente evidenziato, Giordania, Libano e Siria hanno avuto un ruolo non marginale
nell’accogliere nei propri Paesi i profughi palestinesi. Non tutti i palestinesi sono stati accolti nel medesimo
modo nei vari Paesi. Per questa è necessaria una distinzione fondamentale per analizzare fino a che punto i
palestinesi sono riusciti ad integrarsi nei Paesi di accoglienza: quella tra status di rifugiato e quello tra
richiedente asilo.
Il rifugiato è colui “che temendo a ragione di essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità,
appartenenza ad un determinato gruppo sociale o per le sue opinioni politiche, si trova fuori del Paese di cui
è cittadino e non può o non vuole, a causa di questo timore, avvalersi della protezione di questo Paese;
oppure che, non avendo cittadinanza e trovandosi fuori del Paese in cui aveva residenza abituale a seguito di
tali avvenimenti, non può o non vuole tornarvi per il timore di cui sopra”, ai sensi dell’art. 1 della
Convenzione di Ginevra del 1951 sullo status dei rifugiati78.
I requisiti per poter essere considerati come rifugiati sono, dunque, i seguenti:
• Limitazione temporale (ma data la natura globalizzante degli eventi, di cui l’art. 1 citato sopra non
aveva tenuto conto, si è riuscita a tenere in vita solo grazie al Protocollo di New York del 1967);
• Limitazione geografica (applicata da pochi Stati come il Madagascar, Monaco e Turchia, l’Italia ha
smesso di utilizzarla nel 1990 per evitare di poter dare l’asilo ad altri cittadini europei con nazionalità
ad altri Stati membri)79;
• Permanenza fuori dal Paese di provenienza;
• Timore fondato di persecuzione;
• Persecuzione per motivi di: razza, religione, nazionalità, appartenenza a un gruppo sociale, opinione
politica;
• Mancanza di protezione da parte del Paese di provenienza.
I rifugiati sono riconosciuti tramite procedure eseguite dai Paesi di accoglienza. Fin quando a questi non gli
viene riconosciuto lo status di rifugiato, avranno lo status di “richiedente asilo”, ovvero “una persona che ha
presentato domanda di protezione internazionale ed è in attesa della decisione sul riconoscimento dello
78 https://www.unhcr.it/chi-aiutiamo/rifugiati 79 https://www.unhcr.it/wp-content/uploads/2015/12/UNHCR_brochure2011web.pdf
status di rifugiato o di altra forma di protezione”80. Non potranno essere espulsi in questo periodo, ma la sua
domanda dovrà essere esaminata e dare una risposta equa.
Qualora la domanda non fosse accettata, è possibile chiedere una revisione della decisione presa e qualora
fosse respinta ancora una volta, si dovrà procedere al rimpatrio.
La richiesta è fatta individualmente.
Ovviamente, i palestinesi rientrerebbero nella dicitura di “rifugiato”, oltre che di profugo. La tutela dei
rifugiati è affidata, in genere, dall’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (meglio nota come
United Nations High Commissioner for Refugees, o la sua sigla UNHCR), ma per la questione palestinese, e
in particolare l’esodo che ha generato per via dei conflitti, è stato dedicato il già citato UNRWA, il cui unico
scopo è quello di occuparsi dei rifugiati palestinesi.
L’UNRWA opera non solo nei territori dilaniati dalla guerra con Israele, ma anche in Giordania, in Siria e in
Libano. Questo è un aspetto molto importante, in quanto ai sensi della clausola di esclusione posta all’art. 1
alla lettera D della Convenzione di Ginevra:<< This Convention shall not apply to persons who are at
present receiving from organs or agencies of the United Nations other than the United Nations High
Commissioner for Refugees protection or assistance. When such protection or assistance has ceased for any
reason, without the position of such persons being definitively settled in accordance with the relevant
resolutions adopted by the General Assembly of the United Nations, these persons shall ipso facto be entitled
to the benefits of this Convention81>>. A questo si ricollega anche l’art. 7 dello Statuto su cui si basa
l’UNHCR il quale afferma, congiuntamente alla lettera c:<< Si intende che il mandato dell'Alto
Commissario, quale è definito al paragrafo 6, non si esercita: […] c) sulle persone che continuano a
beneficiare della protezione o dell'assistenza di altri organismi o enti delle Nazioni Unite82>>. Perciò, negli
Stati dove opera l’UNRWA non si applicano la suddetta Convenzione sui rifugiati e lo Statuto, oltre che i
poteri, dell’UNHCR.
Ma gli stessi Stati dove opera l’UNRWA adotta misure diverse che definiscono uno status diverso ai
profughi palestinesi e hanno un grado di integrazione diverso tra loro.
La Giordania riconosce lo status di “rifugiati” ai palestinesi ed è riuscita a integrare questi ultimi all’interno
del proprio regno meglio di altri Paesi. Non è un caso il numero esorbitante che accoglie e che abbiamo
citato in precedenza.
La ragione risiede nella geografia del territorio.
80 https://www.unhcr.it/wp-content/uploads/2015/12/UNHCR_brochure2011web.pdf 81
https://cms.emergency.unhcr.org/documents/11982/55726/Convention+relating+to+the+Status+of+Refugees+%28signed+28+Jul
y+1951%2C+entered+into+force+22+April+1954%29+189+UNTS+150+and+Protocol+relating+to+the+Status+of+Refugees+%
28signed+31+January+1967%2C+entered+into+force+4+October+167%29+606+UNTS+267/0bf3248a-cfa8-4a60-864d-
65cdfece1d47 82 https://www.unhcr.it/wp-content/uploads/2015/12/Statuto-UNHCR.pdf
83
Con gli accordi presi nel 1949 dopo il conflitto arabo-israeliano con Israele, quella che all’epoca si chiamava
Transgiordania e che da poco aveva ottenuto l’indipendenza dalla Gran Bretagna, la quale esercitava un
mandato della Società delle Nazioni, ottenne il controllo anche della Cisgiordania. Si chiamava
Transgiordania in quanto occupava solamente la porzione ad est del fiume Giordano. Comprendendo nel
proprio territorio anche la Cisgiordania, quindi la parte ad ovest del fiume, ha tramutato il suo nome in
Giordania84.
Per quanto riguarda la demografia negli anni di questo Paese, è cresciuta a dismisura.
Qui di sotto si riporta la tabella della popolazione dal 1920 al 1947.
Anno Popolazione in Transgiordania
1920 200.000
1938 300.000
1947 450.000
85
La crescita divenne maggiormente esponenziale per via delle ondate migratorie che vi furono in quegli anni
in quanto in Medio Oriente imperversarono moltissimi conflitti vicino a quella regione. Addirittura, dal dato
del 1952, di 586.200 unità si è passato ai circa 9,8 milioni di popolazione del 201686. Nel giro di oltre
sessant’anni, la popolazione è incrementata di oltre venti volte, con un dato di quasi 10,5 milioni nel 2019
83 https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/1/11/Jo-map.jpg 84 http://www.treccani.it/enciclopedia/transgiordania/ 85 http://www.treccani.it/enciclopedia/giordania/ 86
http://jorinfo.dos.gov.jo/PXWeb2014R2/Table.aspx?layout=tableViewLayout2&px_tableid=Table%206.px&px_path=Population
%20and%20Housing__Demographic%20Statistics&px_language=en&px_db=Population%20and%20Housing&rxid=d8467649-
5faf-4b4c-8c29-f629d95a188e
secondo il Dipartimento di Statistica giordano87. Per quanto concerne la questione palestinese, la Giordania
ha accolto tutti i profughi della guerra e questi divennero approssimativamente la metà della popolazione.
Per questo gli fu concessa la nazionalità giordana nel 1954 con la legge numero 6 sulla nazionalità, le cui
condizioni sono chiarite ai sensi dell’art. 3:
<<The following shall be deemed to be Jordanian nationals:
(1) Any person who has acquired Jordanian nationality or a Jordanian passport under the Jordanian
Nationality Law, 1928, as amended, Law No. 6 of 1954 or this Law;
(2) Any person who, not being Jewish, possessed Palestinian nationality before 15 May 1948 and was a
regular resident in the Hashemite Kingdom of Jordan between 20 December 1949 and 16 February 1954;
(3) Any person whose father holds Jordanian nationality;
(4) Any person born in the Hashemite Kingdom of Jordan of a mother holding Jordanian nationality and of
a father of unknown nationality or of a Stateless father or whose filiation is not established;
(5) Any person born in the Hashemite Kingdom of Jordan of unknown parents, as a foundling in the
Kingdom shall be considered born in the Kingdom pending evidence to the contrary;
(6) All members of the Bedouin tribes of the North mentioned in paragraph (j) of article 25 of the
Provisional Election Law, No. 24 of 1960, who were effectively living in the territories annexed to the
Kingdom in 193088>>.
Chiaramente, questa legge ha aiutato molti palestinesi ad acquisire la cittadinanza giordana negli anni a
venire, anche se taluni la contestano poiché la madre di nazionalità giordana solo in alcuni casi eccezionali
può trasmettere la cittadinanza al figlio89.
Il motivo che ha contribuito a garantire la cittadinanza giordana ai palestinesi è stata l’unificazione delle due
parti del Giordano in uno Stato unico e che ha comportato anche un’unificazione delle leggi giordane nel
territorio della Cisgiordania. Ovviamente, questo rientrava nel precedente piano di creare uno Stato arabo
unito, che non si concretizzerà nel tempo. Uno Stato che fu un obiettivo perseguito da Nasser, che si farà
promotore in politica estera dell’Unione araba che andava al di là della semplice fede religiosa. Come
afferma la professoressa Corrao nel suo già citato libro:<< […] la nuova identità doveva favorire la
solidarietà tra le genti della regione ed ispirare la creazione di una realtà supernazionale90>>.
Dunque, dal 1954, al momento dell’entrata in vigore della suddetta legge, fino al 1988, non vi furono grandi
distinzioni tra palestinesi residenti nella parte Est del Giordano e nella parte a Ovest del Giordano; tuttavia, il
Re Hussein reagì alla prima intifada91 e alla volontà dei palestinesi che volevano staccarsi dalla parte a Est
del Giordano costituendo un loro proprio Stato con la rinuncia alla sovranità nella West Bank e questo
implicava che tutti i palestinesi nella parte della Cisgiordania avrebbero perso la cittadinanza giordana. Ciò
87 http://dosweb.dos.gov.jo/ 88 https://www.refworld.org/docid/3ae6b4ea13.html 89 https://www3.nd.edu/~ndlaw/prog-human-rights/student-research-papers/NationalityLawsInJordan.pdf 90 Francesca Corrao, “Islam, religione e politica”, pag. 119, LUISS University Press, 2015 91 https://www.corriere.it/esteri/17_dicembre_08/trent-anni-fa-prima-intifada-181d4f80-dbfe-11e7-96bf-
2722fd237ccc.shtml?refresh_ce-cp
portò a delle proteste vibranti, ma l’Alta Corte della Giordania, nel 1991, ha deciso di non rivedere la
decisione del regnante e ha affermato che le sue dichiarazioni non violavano la Legge sulla Nazionalità
Giordana del 1954.
Nonostante ciò, la Giordania ha continuato a rilasciare passaporti del proprio Paese ai palestinesi della
Cisgiordania, la cui durata si limitava a due anni, invece che i cinque di validità rilasciati ai giordani. Quanti
affrontavano il problema della perdita della casa durante gli anni nella West Bank, molto spesso si ritrovava
a non vedersi rinnovato il passaporto, in quanto non rispettavano il requisito della residenza fissa in
Giordania, tale da poter rilasciare tale documento.
Coloro che avevano il passaporto, godeva del diritto di permanenza in Giordania fino a 30 giorni,
richiedendo anche delle deleghe nel caso in cui il tempo superasse il limite imposto. Vi erano delle eccezioni
in casi di salute e familiari.
Il passaporto era rilasciato anche ai residenti a Gaza, ma la loro durata era di un anno, in quanto la Striscia di
Gaza era affidata al controllo dell’Egitto.
Nonostante la politica molto aperta da parte della Giordania in termini di accoglienza e nonostante la politica
filoccidentale attuata dall’attuale re Abdullah II (salito al potere nel 1999)92, essa conserva al suo interno
controversie irrisolte.
Secondo taluni, infatti, il governo giordano occulterebbe il numero effettivo di palestinesi o di suoi
discendenti presenti nel territorio. Secondo un censimento fatto nel 2016, i dati attestano che la popolazione
di origine palestinese si attesta attorno alle 634 migliaia di persone, pari al 6,7% della totalità della
popolazione giordana. I criteri stabiliti per calcolare la popolazione palestinese non sono stati chiariti e ne
esce un quadro decisamente poco trasparente93.
A suffragare la suddetta ipotesi, ci pensa anche l’Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (ISPI), il
quale, in un focus dedicato alla Giordania, afferma che la popolazione palestinese all’interno della Giordania
arriva fino a toccare la soglia del 70% della totalità94.
Tale rilevazione entra anche in contrasto con quanto asserito dal PCBS, il quale affermava che in Giordania,
nel 2016, risiedessero circa 2,2 milioni di palestinesi.
La ragione di tale occultamento sarebbe spiegata dalla volontà di non divenire una sorta di “patria
alternativa” per i palestinesi, data la facilità con cui concedevano la propria cittadinanza95. Come spiega però
l’ISPI:<<La scelta di concedere la cittadinanza ai palestinesi residenti in Giordania era animata dall’obiettivo
di rendere più facile la formazione di uno stato palestinese che non dovesse preoccuparsi del ritorno di
milioni di rifugiati apolidi ancora stanziati nel regno. Dall’altra parte, però, si era trattato di una decisione
sofferta96>>.
92 http://www.treccani.it/enciclopedia/giordania_%28Atlante-Geopolitico%29/ 93 https://www.israele.net/la-giordania-nasconde-il-numero-reale-di-palestinesi-che-vivono-nel-regno 94 https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/focus-paese-giordania-21309 95 https://www.israele.net/la-giordania-nasconde-il-numero-reale-di-palestinesi-che-vivono-nel-regno 96 https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/focus-paese-giordania-21309
In quest’ottica va letto, dunque, il “Settembre nero”. Le ondate di proteste che si scatenarono nel 1970,
portate avanti da una minoranza di fedayeen palestinesi contro la dinastia hashemita 97 , ebbero come
conseguenze una sanguinosa guerra civile e costrinse l’OLP a spostare la propria sede dalla Giordania in
Libano. Ciò comportò lo scoppio di una guerra civile in quest’ultimo territorio, che Israele invase nel 198298.
Un altro episodio abbastanza inquietante e, peraltro, piuttosto recente, sarebbe quello evidenziato da Human
Rights Watch (HRW). Allo scoppio della guerra civile in Siria, infatti, nonostante la Giordania abbia
riservato la stessa accoglienza ai siriani che ebbero in passato i palestinesi, coloro che erano palestinesi
residenti in Siria furono respinti e deportati, in violazione del principio di non refoulement (quindi di non
respingimento) che dovrebbe essere applicato ai sensi del diritto internazionale99.
Non è un caso che un dato in crescita fosse proprio la popolazione siriana all’interno del Paese giordano, che
nel 2016 si attestava attorno ai 1,2 milioni di persone, ovvero oltre il 13% della popolazione nel territorio100.
Un riavvicinamento agli Stati arabi che è stato portato avanti da re Abdullah II, ma che precedentemente
aveva subito una battuta di arresto quando al potere vi era il padre dell’attuale monarca, re Hussein. Infatti,
altro dato da non sottovalutare, è il rapporto intercorrente tra la stessa Giordania e negli Stati Uniti che si è
andato sviluppando negli ultimi anni. Sempre secondo l’ISPI:<<Per tutta la sua storia, infatti, il regno
hashemita ha abilmente barattato l’interesse di potenze più grandi sue alleate nella sua stabilità e nella sua
posizione strategica per ottenere sostegno economico e militare101>>.
Un gioco di luci ed ombre in cui bisogna fare ancora chiarezza e di cui occorre tenere conto anche del tasso
di disoccupazione in crescita (soprattutto quella maschile, mentre quella femminile si sta dimezzando102) che
rischia di compromettere la stabilità del Paese.
4.2 Libano
Il Libano è l’opposto dell’esempio della Giordania, in quanto la politica libanese in fatto di integrazione dei
profughi palestinese è lontana dall’assorbimento di questi ultimi.
Negli anni dell’esodo, i palestinesi costituirono il 10% della popolazione libanese, in equilibrio tra cristiani e
musulmani in modo tale da non danneggiare il delicato bilanciamento religioso all’interno del Paese103.
Infatti, la peculiarità dello Stato libanese è che al suo interno convivono due confessioni che si equiparano e
che, su questo delicato equilibrio, poggia tutto l’assetto economico, politico e sociale libanese.
97 http://www.opiniojuris.it/il-settembre-nero-jordan/ 98 Francesca Corrao, “Islam, religione e politica”, pag. 125, LUISS Press, 2015 99 https://www.repubblica.it/solidarieta/profughi/2014/08/09/news/hrw_giordania_profughi_palestinesi-93434913/?refresh_ce 100 https://www.israele.net/la-giordania-nasconde-il-numero-reale-di-palestinesi-che-vivono-nel-regno 101 https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/focus-paese-giordania-21309 102
http://jorinfo.dos.gov.jo/PXWeb2014R2/Table.aspx?layout=tableViewLayout2&px_tableid=EMPALL&px_path=START__12&p
x_language=en&px_db=DOS%20Database&rxid=36ea9e17-b6ca-4d8c-b6d6-a8c5b42b67c9 103 Lex Takkenberg, “The status of Palestinian refugees in international law”, pag. 162, Clarendon Press University, 1998
104
Sebbene il Libano sia una regione a prevalenza musulmana attualmente, secondo la Fondazione Oasis gli
islamici rappresentano il 60-65% della popolazione mentre i cristiani il 35-40%105, il Parlamento si trova in
una condizione di parità, con la rappresentanza di 64 cristiani e 64 musulmani. Il Libano è una realtà unica in
tutto il Medio Oriente, in quanto convivono più realtà religiose. Secondo Famiglia Cristiana, conviverebbero
diciotto confessioni al suo interno, di cui 12 musulmane e 6 cristiane106.
In quest’ottica si comprende come mai i palestinesi sono considerati alla stregua degli altri stranieri in
Libano. Anzi, addirittura il loro accesso nel territorio era regolamentato ai sensi degli Accordi del Cairo
(1969) e dal decreto numero 319/1960. Quest’ultimo, in particolare, affermava che i palestinesi rientravano
in una delle cinque categorie di stranieri. Al principio, solo coloro che si erano rifugiati direttamente in
Libano mentre vi era l’esodo era concessa la residenza libanese. Gli altri che provenivano da Paesi terzi con
cittadinanza palestinese erano considerati immigrati clandestini e il loro accesso ai servizi governativi fu
negato e nemmeno l’UNRWA poté garantire a questi ultimi questi servizi, se non quelli basilari in casi di
emergenza107.
L’UNRWA, attualmente, opera in Libano e, secondo i dati del 2014, fornisce a circa 470mila profughi molti
servizi: ha aperto sessantasei scuole, ventisette centri di assistenza medica, otto centri per le donne108. Dei
primi ne beneficiano quasi 37mila studenti, un numero molto più basso rispetto alla Giordania e persino
della Siria dopo lo scoppio del conflitto interno nel 2011; oltre un milione di pazienti annui si lasciano
104 https://it.wikipedia.org/wiki/Libano#/media/File:L%C3%ADbano_distretti.PNG 105 https://www.oasiscenter.eu/it/il-libano-un-caso-unico-nel-mondo-arabo 106 http://www.famigliacristiana.it/articolo/libano-il-paese-delle-18-confessioni.aspx 107 Lex Takkenberg, “The status of Palestinian refugees in international law”, pag. 163, Clarendon Press University, 1998 108 https://www.unrwa.org/where-we-work/lebanon
visitare nei centri di assistenza sanitaria, paragonati a quelli della Giordania sono un milione e mezzo e poco
più degli oltre 800mila della Siria; infine, coloro che usano i servizi di assistenza sociale sono quasi 62mila,
che superano i 59mila residenti in Giordania109 e sono quasi il doppio dei 38mila in Siria110.
L’UNRWA si è rivelato un valido supporto per i palestinesi residenti in Libano, come si può evincere da
questi dati, contrariamente a quanto fatto dallo Stato libanese.
Oltre a non aver concesso nessuna forma di tutela ai palestinesi, eccetto a quelli cristiani per questione di
bilanciamento tra musulmani e i medesimi durante gli anni ’50, essi sono soggetti alle leggi degli stranieri in
materia di occupazione, di proprietà, di tasse e via discorrendo. È stato molto difficile durante gli anni a
seguito dell’esodo per i palestinesi trovare un lavoro, perché dovevano ottenere un permesso dal Ministero
dell’Economia Nazionale. Anche per acquisire proprietà ci voleva un consenso, quello presidenziale. Con la
legge del 2001, addirittura, viene vietato di poter comperare proprietà immobiliari111. Inoltre, nonostante
tutte le detrazioni fatte sui salari, i palestinesi che lavorano regolarmente non hanno diritti in materia di
sicurezza sociale.
Anche in Libano è valido il passaporto speciale della Lega Araba e vengono distinte tre categorie di rifugiato
palestinese:
• Coloro che sono registrati nell’UNRWA libanese, possono entrare in possesso di un passaporto
valido per un anno e che si può rinnovare per tre volte massimo;
• Coloro che non sono registrati nell’UNRWA ma nella Croce Rossa dal 1948, che hanno accesso allo
stesso documento di quello scritto sopra, ma con la peculiarità di avere la seguente dicitura, ovvero
“valido per il ritorno”;
• Coloro che non sono registrati in nessuno dei suddetti enti sopra elencati, hanno diritto al rilascio di
un documento valido per tre mesi e che ha sovrimpresso la seguente dicitura, ovvero “non valido per
il ritorno”112.
Precedentemente, si era parlato del “Settembre nero”, che aveva visto una guerra civile tra la monarchia
hashemita e un gruppo di palestinesi che voleva sovvertire il potere costituito. Questo gruppo di insorti, che
era guidato dall’OLP, fu respinto in Libano e l’OLP si stabilì in esso. Date le rappresaglie che vi erano state
in precedenza tra l’OLP e Israele, in particolar modo con l’attentato a Londra guidato dall’OLP in cui rimase
gravemente ferito l’ambasciatore israeliano nel giugno 1982113, quest’ultimo comincerà a bombardare i
campi profughi palestinesi che erano in Libano e lo invaderà nel medesimo anno. Il Libano, che era già in
pieno conflitto interno dal 1975 e in esso rimarrà coinvolto fino al 1990, difficilmente rinnovò ai palestinesi
il passaporto.
Anche in occasione della decisione del colonnello Gheddafi di cacciare i palestinesi dalla Libia, il governo
libanese si attrezzò all’esodo da quest’ultima, impedendo ai palestinesi con residenza in Libano e che si
109 https://www.unrwa.org/where-we-work/jordan 110 https://www.unrwa.org/where-we-work/syria 111 https://it.gatestoneinstitute.org/14593/morte-palestinesi-libano 112 Lex Takkenberg, “The status of Palestinian refugees in international law”, pag. 164-165, Clarendon Press University, 1998 113 https://storiadisraele.blogspot.com/2011/04/la-guerra-in-libano.html
trovavano al di fuori del Paese di rientrare senza uno speciale visto di rientro. Furono applicate delle nuove
misure, applicate ai soli rifugiati palestinesi, le quali prevedevano che coloro che erano fuori dal Paese prima
del primo giugno 1995, dovevano ottenere un visto per l’uscita e per il rientro rilasciato dall’ufficio di
Pubblica Sicurezza e che doveva essere apposto al proprio lasciapassare o al proprio passaporto114.
Un dato affatto irrilevante è inerente alla popolazione palestinese, la cui metà ha un’età inferiore ai diciotto
anni115. Se si considerano i dati dell’UNRWA e le politiche applicate dal governo libanese, i giovani
palestinesi non hanno futuro in Libano, in quanto non hanno accesso ai servizi dediti all’istruzione, per cui
non hanno un’adeguata preparazione, né hanno un accesso facile al lavoro, di qualunque genere, sia a livello
statale che imprenditoriale, sia quello legale che quello illegale.
Il Libano, dunque, sta eseguendo una serie di violazioni nei confronti dei palestinesi di alcune Convenzioni
che lo Stato stesso ha ratificato. L’associazione di volontariato “Asso per la Pace” asserisce:<<Oltre alle
violazioni sopra menzionate contro i diritti individuali dei profughi Palestinesi in Libano, la loro società non
ha diritti collettivi riconosciuti mondialmente, di solito accordate ai profughi e le minoranze e stipulate nelle
convenzioni e i patti che il Libano aveva ratificato, incluso il Patto Internazionale sui diritti economici,
sociali e culturali (1976) e la Convenzione Internazionale per l'eliminazione di ogni forma di
discriminazione razziale (1963). La legge internazionale riconosce il diritto dei profughi a lavorare,
viaggiare, alla previdenza sociale e ai servizi sanitari. Il trattamento dei profughi in Libano costituisce una
violazione anche agli standard normativi internazionali esplicitamente dichiarati nella Convenzione Relativa
allo Statuto dei Profughi e del Protocollo del 1967, e la Convezione sullo Statuto degli Apolidi (1954), anche
nel Protocollo di Casablanca sul Trattamento dei Palestinesi nei Paesi Arabi (1965). Le pratiche attuali delle
autorità libanesi violano la Costituzione Libanese, la quale introduzione stipula:”Il Libano è un membro
costituivo e attivo della Lega Araba e le Nazioni Unite. Il Libano rispetta le leggi e le costituzioni di questi
due enti e rispetta la Dichiarazione Internazionale dei Diritti dell'Uomo. Lo Stato libanese rappresenta queste
leggi in tutti i campi senza eccezioni”116>>.
Inoltre, le condizioni in cui vivono i profughi palestinesi all’interno dei campi sono pessime: case in
dissesto, mancanza di elettricità, sovraffollamento. Assomigliano alle condizioni in cui vivono i palestinesi
dentro la Striscia di Gaza e la Giordania: l’elettricità è data tre ore durante il giorno e tre ore durante la notte;
l’acqua non è potabile, ma salata; non vengono fatte disinfestazioni per evitare il diffondersi di malattie
all’interno del campo, sebbene vi sia molta sporcizia; non ultimo, la presenza di check-point all’ingresso dei
campi profughi, dove vengono controllati i documenti di coloro che richiedono l’accesso. Da ricordare è
anche il fatto che i campi profughi sono diminuiti, a causa degli attacchi da parte di Israele, ma anche del
114 Lex Takkenberg, “The status of Palestinian refugees in international law”, pag. 165, Clarendon Press University, 1998 115 https://www.unicef.it/doc/1848/i-palestinesi-in-libano.htm 116 https://www.assopace.org/index.php/doc-multimedia/focus/focus-palestina/profughi/243-palestinesi-in-libano-profughi-ma-
non-cittadini
governo libanese117. Per questo ci sono i palestinesi di seconda generazione che cercano di mantenere viva la
memoria di quanti sono sopravvissuti ad Al-Nakba118.
4.3 Siria
Nel momento dell’esodo palestinese, la Siria era sottopopolata e i nuovi arrivati furono considerati come
un’opportunità di sviluppo del Paese. Questo, in parte, spiega la diversa accoglienza riservata dalla Siria ai
palestinesi, diversamente dal Libano, unito insieme al numero di profughi che aveva chiesto asilo all’interno
del territorio, di molto inferiore ad altri Paesi, tanto da costituire solo il 2-3% della popolazione siriana119.
120
Dal 1949, il governo siriano cominciò ad adottare una serie di misure che mettevano sullo stesso livello i
palestinesi ai medesimi cittadini. La più importante è legge siriana numero 260 del 1956
afferma:<<Palestinian residing in Syria as of the date of the publication of this law are to be considered as
originally Syrian in all the things covered by the law and legally valid regulations connected with the right
to employment, commerce and national service, while preserving their original nationality>>.
Nonostante la precedente affermazione, alcuni servizi non erano coperti completamente da questa legge,
come per esempio l’istruzione 121 . Molti siriani hanno frequentato le scuole istituite sul territorio
dall’UNWRA, che ha al suo interno 104 scuole frequentate da quasi 47600 studenti122. Per coloro che hanno
117 https://www.lantidiplomatico.it/dettnews-
campi_profughi_palestinesi_in_libano_vi_racconto_quello_che_ho_visto/13944_21556/ 118 http://nena-news.it/nakba-nei-campi-profughi-in-libano-benvenuto-in-palestina/ 119 Lex Takkenberg, “The status of Palestinian refugees in international law”, pag. 167, Clarendon Press University, 1998 120 https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/2/2d/Syria-CIA_WFB_Map.png 121 Lex Takkenberg, “The status of Palestinian refugees in international law”, pag. 168, Clarendon Press University, 1998 122 https://www.unrwa.org/where-we-work/syria
conseguito un titolo di studio superiore a quello basilare, come le università e le scuole secondarie, i
palestinesi sono entrati nelle scuole del governo siriano e ad alcuni di questi ha consentito di andare a
studiare all’estero.
Come negli altri Paesi arabi, i palestinesi avevano il passaporto concesso dalla Lega araba, ma il diritto di
poter andare fuori dai confini siriani per entrare negli altri Paesi, inclusi quelli arabi, era rimesso ai rapporti
intercorrenti tra le varie nazioni. Tuttavia, il permesso che dovevano richiedere i palestinesi doveva essere
richiesto anche dagli stessi siriani, per cui, di fatto, non vi erano differenze tra le due etnie.
Addirittura, erano stati integrati nelle forze armate siriane, che per loro avevano costituito il “Palestinian
Liberation Army” (PLA), l’unico Paese ad averlo fatto.
Essi sono stati integrati all’interno del territorio siriano e hanno gli stessi diritti dei siriani, ad eccezione del
diritto di comperare immobili, terreni e di votare.
Ovviamente, vi è un controllo sulla presenza dei rifugiati presenti nel territorio, istituendo nel 1949 il
Palestinian Arab Refugees Institution (PARI), che verrà in seguito sostituita con il General Authority for
Palestinian Refugees (GAPAR). Queste due istituzioni tenevano sotto controllo le attività all’interno dei
campi profughi, avevano uno stanziamento proprio di fondi con i quali aiutavano l’UNRWA a creare nuovi
programmi all’interno dei campi profughi123. Chi si registrava nel GAPAR aveva un passaporto valido per
sei anni124.
Quest’integrazione a livello sociale ed economica è stata spezzata con la guerra civile in Siria, scoppiata nel
2011 e che continua all’interno del territorio 125 ed ha avuto un impatto notevole anche tra i rifugiati
palestinesi residenti nei campi profughi siriani. Secondo l’UNRWA, dei 552mila palestinesi che erano in
Siria, ne sono rimasti 438mila durante il conflitto126; quasi in 4mila sono stati uccisi durante, in quanto
coinvolti in esso127.
Quasi in 120mila hanno trovato rifugio nei Paesi confinanti, come il Libano e la Giordania128. Una seconda
“Nakba”, che ha avuto delle implicazioni importanti non solo per gli stessi Paesi coinvolti, ma anche per gli
stessi palestinesi che dovranno ricominciare da capo.
123 Lex Takkenberg, “The status of Palestinian refugees in international law”, pag. 168-169, Clarendon Press University, 1998 124 https://www.acaps.org/sites/acaps/files/products/files/14_palestinians_from_syria_march_2014.pdf 125 https://www.unhcr.org/ph/campaigns/syria-crisis-8-years 126 https://www.unrwa.org/where-we-work/syria 127 https://www.middleeastmonitor.com/20190710-report-3987-palestinian-refugees-killed-in-syria-since-2011/ 128 https://www.unrwa.org/where-we-work/syria
Quinto capitolo: Status legale, condizione socioeconomica e integrazione dei palestinesi negli altri
Paesi
5.1 Gli altri Paesi del Medio Oriente, l’Unione Europea, gli Stati Uniti e gli altri Paesi
Avevamo precisato nel precedente capitolo la differenza tra la zona UNRWA, a cui non si applicano né la
Convenzione di Ginevra del 1951 relativo allo status dei rifugiati, né l’UNHCR può esercitare il proprio
potere dove vi sia un ente dell’ONU che si occupa di fornire assistenza ai rifugiati.
In altri Paesi del Medio Oriente, in Europa e nelle Americhe, viene esercitata la potestà dell’UNHCR e
applicata la sopra citata Convenzione.
Per quanto concerne i Paesi del Medio Oriente, essi hanno lasciato sola la Palestina nella sua lotta
nell’autonomia, ma, più nello specifico, i palestinesi, non fornendogli l’aiuto promesso.
Tra quelli che abbiamo già elencato, come per esempio la Giordania e il Libano, troviamo anche l’Iraq, con
una legge numero 17 del 2017, che revoca tutti i diritti e i privilegi concessi da Saddam Hussein nei
confronti dei palestinesi, come l’accesso ai pubblici servizi (sanità, istruzione gratuita, documenti di viaggio)
e nega la possibilità di poter lavorare in seno alle istituzioni statali129. Le vessazioni fatte ai palestinesi
all’interno dei Paesi arabi, ha costretto quest’ultimi a rivolgersi in altri Paesi al di fuori del Medio Oriente,
essendo maggiormente tutelati e protetti.
Nonostante il suo ruolo da mediatore all’interno di questa intricata vicenda fino ai giorni nostri, l’UNRWA
non ha operato in Egitto, dove anche lì i palestinesi sono oggetto di numerose discriminazioni130.
Oltre a tutti coloro che vivevano nella Striscia di Gaza, che al tempo dell’esodo fu sottoposta al controllo
dell’Egitto, quasi 11mila trovarono rifugio in baracche fornite dal governo egiziano e per coordinare gli
sforzi di quest’ultimo fu creata la Higher Committee for Palestinian Immigrant Affairs, la quale rispondeva
al Ministero dell’Interno131. Non vi sono al proprio interno campi profughi dove ospitare i palestinesi, in
quanto vi è un divieto introdotto da Nasser di creare un campo profughi, come la volontà di non fare
censimenti ai palestinesi residenti in Egitto. I palestinesi residenti nel territorio sono dislocati tra Il Cairo e la
parte al nord del Paese132.
129 https://it.gatestoneinstitute.org/11656/apartheid-araba-palestinesi-iraq 130 https://www.fmreview.org/sustainable-livelihoods/elabed 131 Lex Takkenberg, “The status of Palestinian refugees in International Law”, pag. 150, Clarendon Press Oxford, 1998. 132 https://www.al-monitor.com/pulse/originals/2013/04/palestinian-refugees-egypt-challenges.html
Anche in Egitto, i palestinesi sono trattati come tutti gli altri stranieri, anche se non è sempre stato così. A
partire dagli anni ’70, infatti, i privilegi che avevano i palestinesi, considerati alla pari degli egiziani, sono
stati gradualmente aboliti. Fu proprio l’Egitto a istituire lo speciale passaporto per i rifugiati palestinesi che
fu, poi, fatto proprio dalla Lega Araba. Le condizioni a cui era possibile erano le seguenti:
• Coloro che avevano trovato rifugio nella Striscia di Gaza tra il ’48 e il ‘49;
• Coloro che avevano trovato rifugio in Egitto tra il ’48 e il ’49;
• I palestinesi non rifugiati che provenivano da Gaza.
Sul lavoro vale il medesimo principio che vale negli altri Paesi esteri: quelli di difendere l’economia
nazionale133.
Molti Paesi, però, concedono maggiori diritti rispetto a quelli dei Paesi arabi. Per questo, palestinesi
preferiscono altri Paesi rispetto agli ultimi, come in Canada e in Brasile134.
In Canada, per esempio, i rifugiati rientrano nella categoria considerata “stateless”, quindi apolidi. Ciò
comporta o un ricollocamento dei rifugiati o il riconoscimento da parte del Paese di questi ultimi,
garantendogli l’accoglienza, diritti e la cittadinanza, integrandosi in quest’ultimo135.
Il problema della cittadinanza, tra l’altro, è stato affrontato anche dai Paesi arabi, i quali non concedono la
cittadinanza poiché, a loro modo di vedere, si negherebbe alle famiglie palestinesi il “diritto al ritorno” nei
propri territori136.
Nonostante non siano sottoposti all’area UNRWA, Unione Europea 137 e Canada 138 contribuiscono
all’implementazione dei suoi programmi, sostenendolo a livello economico, erogando fondi all’ente che fa
riferimento alle Nazioni Unite.
In particolare, in Europa non si parla più della questione palestinese riducendoli a semplici “rifugiati”, ma
parlando proprio di una vera “diaspora”.
I Paesi europei con la maggior concentrazione di rifugiati palestinesi, il cui numero in Europa si aggira
attorno ai 200mila e 300mila, sono la Danimarca, la Svezia, la Gran Bretagna e la Germania.
Dopo il 1948, ad esempio, in Gran Bretagna, dopo aver lasciato il territorio, si incoraggiò i rifugiati a
trasferirsi nella suddetta terra e ottenere la cittadinanza britannica. Non è un caso l’aumento di richieste per
la cittadinanza britannica da parte dei palestinesi durante gli anni ’50.
Nel 2006, in Germania vi erano tra i 30mila e gli 80mila palestinesi nel suddetto territorio.
I palestinesi si trasferiscono in Europa alla ricerca di un migliore status legale. Non è un caso che la maggior
parte dei palestinesi si trasferiscono in Europa soprattutto dopo l’esodo del ’48, quella del ’67 e dopo il
“Settembre nero” del 1970139.
133 Lex Takkenberg, “The status of Palestinian refugees in International Law”, pag. 152-153, Clarendon Press Oxford, 1998. 134 https://it.gatestoneinstitute.org/11656/apartheid-araba-palestinesi-iraq 135 https://ccrweb.ca/sites/ccrweb.ca/files/static-files/stateless.htm 136 https://it.gatestoneinstitute.org/11656/apartheid-araba-palestinesi-iraq 137 https://ec.europa.eu/italy/news/20180227_Impegno_UE_UNRWA_sostegno_rifugiati_palestinesi_it 138 https://www.canada.ca/en/global-affairs/news/2018/10/canada-provides-support-to-palestinian-refugees.html 139 https://www.badil.org/en/publication/periodicals/al-majdal/item/962-palestinians-exiled-in-europe.html
A tal proposito, è importante sottolineare la recommendation numero 1612 del 2003 delle Nazioni Unite, la
quale afferma ai punti otto, nove e dieci gli obblighi a cui sono sottoposti Stati terzi, in particolare gli Stati
del Golfo e il Consiglio d’Europa, nei confronti dei rifugiati palestinesi140.
Ovviamente, ogni Stato regola al proprio interno l’accesso dei rifugiati attraverso delle proprie procedure
specifiche. In particolare, ogni Stato, in base ai requisiti posti dall’art. 1 della Convenzione di Ginevra del
1951 sullo status dei rifugiati, deve effettuare determinate procedure per il riconoscimento dello status di
rifugiato. Colui che ha fatto domanda, viene considerato come un richiedente asilo. Entrambe le categorie
sono protette dall’UNHCR141, il quale afferma che i Paesi con il numero più alto di richieste di asilo sono
Italia, Turchia, Germania e Stati Uniti142.
Negli Stati Uniti, una volta approvata la domanda di richiesta di asilo politico e riconosciuto come rifugiato,
può accedere alla Green Card143 per stanziarsi definitivamente e lavorare nel Paese, al fine di ottenere la
cittadinanza144.
Nell’Unione Europea, una volta ottenuto lo status di rifugiato da uno dei membri, i diritti concessi, come
anche la stessa procedura di riconoscimento dei rifugiati, sono decisi dagli stessi Stati membri. Quello che la
Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea all’art. 18 afferma è che rispetta la Convenzione di
Ginevra del 1951 sullo status dei rifugiati e dal suo protocollo del 1967145.
Il numero elevato di rifugiati palestinesi che arrivano in Canada, negli Stati Uniti, in Francia, in Spagna e in
Belgio proviene dalla Siria e dal Libano146.
In Italia, i rifugiati hanno il diritto all’accesso al lavoro, il diritto all’assistenza sociale e sanitaria, il diritto
all’istruzione e al riconoscimento dei titoli di studi e il diritto di accesso alle abitazioni come un qualunque
cittadino italiano. Invece, per quanto riguarda la circolazione e il soggiorno dei rifugiati nei Paesi aderenti
all’Unione Europea, è permesso viaggiare purché esso non stia per un periodo maggiore di sei mesi. Infine,
molto importante è il diritto al ricongiungimento familiare e il divieto di espulsione di massa, tra l’altro
quest’ultima sancita nella Convenzione di Ginevra del 1951 sullo status dei rifugiati, ai sensi dell’art. 33 che
stabilisce il principio di non refoulement147.
5.2 Conclusioni
Le condizioni di vita variano da Paese a Paese, i quali mettono a disposizioni maggiori o minori tutele nei
confronti dei rifugiati.
140 https://www.un.org/unispal/document/auto-insert-204070/ 141 https://www.unhcr.it/chi-aiutiamo/rifugiati 142 https://www.unhcr.it/chi-aiutiamo/richiedenti-asilo 143 https://www.simonebertollini.com/avvocato/difesa-espulsione-usa/asilo-politico/ 144 https://www.uscis.gov/greencard 145 https://www.europarl.europa.eu/charter/pdf/text_it.pdf 146 https://www.middleeastmonitor.com/20190905-us-canada-plan-to-resettle-100000-palestinian-refugees-in-canada/ 147 https://www.asgi.it/wp-content/uploads/2014/04/1_013_scheda_rifugiato_asgidocumenti.pdf
È importante evidenziare come la domanda di ricerca ha voluto indagare sui rapporti non solo tra Israele e
Palestina, ma anche quelli con gli Stati arabi, che in molte occasioni non sono stati all’altezza di poter
concedere una tutela nonostante la precaria condizione in cui vivono i rifugiati palestinesi. A maggior
ragione, non sono stati in grado di sostenere la causa palestinese nell’ottenimento della propria terra, ai quale
è stata espropriata con la forza per via di accordi stipulati sottobanco nella complicità delle nazioni europee
(Francia e Inghilterra su tutte) e per via dell’avidità di Israele, oltre che degli stessi palestinesi a respingere la
risoluzione numero 181 del 1947 fatta dalle Nazioni Unite.
I Paesi arabi, in effetti, forti anche del loro obiettivo iniziale di costituire uno Stato arabo unito, si sono
rivelati una delusione per chi ha creduto fortemente nel progetto del panarabismo, oltre ad aver creduto
all’ottenimento di uno Stato indipendente palestinese, prima libero dal Mandato britannico e poi da Israele.
In quest’ottica si spiega anche il “Settembre nero”, dove i palestinesi si sono sentiti “traditi” dai Paesi arabi,
in particolare da Giordania, Libano, Siria ed Egitto, dopo la sconfitta nella guerra dei Sei giorni del 1967 e
hanno dato vita a un’ondata di rivolte che hanno coinvolto, oltre che i vari territori considerati parte della
Palestina, anche altri Stati come Giordania e Libano. Non è un caso che i palestinesi definiscono la guerra
dei Sei giorni come un “Al-Naksa”, ovvero una “sconfitta”, vivendola come una prosecuzione del “Nakba”,
ovvero della catastrofe148.
Non si può, dunque, minimizzare il principio di autodeterminazione del popolo palestinese affermando che
la propria autodeterminazione è volta ad ottenere la costituzione di uno Stato arabo unito, soprattutto alla
luce delle vicende che hanno caratterizzato il mondo arabo.
Né si può ridurre la guerra tra palestinesi e israeliana considerandola una questione religiosa, dato che
all’interno della popolazione palestinese non vi sono solo musulmani, ma anche una percentuale di cristiani.
L’identificazione dei palestinesi come nazionalità non è correlata alla sola religione, ma da un insieme di
valori condivisi. Da questo punto di vista, il progetto di Nasser era molto ambizioso. Come dice la
professoressa Corrao nel suo libro:<<Il panarabismo […] proponeva l’alleanza degli arabi, a prescindere
dalla loro fede religiosa149>>. Non è un caso che musulmani e cristiani residenti in Cisgiordania, dove vi è la
più grande concentrazione di palestinesi cristiani150, convivano pacificamente. Un esempio di ciò è quanto
riporta la rivista “Insider Over” sull’educazione in Palestina nelle scuole cristiane da parte dei musulmani151.
C’è, dunque, una distinzione di fondo da fare: “arabo” non significa “musulmano” e legare le due parole in
modo indissolubile è un errore, anche nella questione palestinese (sebbene la maggioranza della popolazione
sia di fede islamica).
Questo non significa, nemmeno, che non vi sono all’interno del territorio conteso dei tentativi di convivenza
pacifica tra palestinesi ed ebrei, come riporta la rivista “Panorama” parlando di Gerusalemme152.
148 http://www.opiniojuris.it/il-settembre-nero-jordan/ 149 Francesca Corrao, “Islam, religione e politica”, pag. 119, LUISS University Press, 2015 150 https://www.ilcaffegeopolitico.org/69342/minoranza-al-centro-del-conflitto-cristiani-palestinesi 151 https://it.insideover.com/reportage/religioni/scuola-cristiani-musulmani-palestina.html 152 https://www.panorama.it/news/esteri/gerusalemme-oasi-pace/
Parlare unicamente del conflitto tra palestinesi e israeliani è riduttivo, dal momento in cui i palestinesi non
sono stati accolti come rifugiati, ma come semplici stranieri in molti Stati, considerati come un problema, a
volte anche emarginati e ghettizzati. Nella maggioranza dei casi è stato impedito il diritto di potersi
ricostruire una vita al di fuori del proprio Paese, da cui sono dovuti scappare e a cui non possono tuttora
ancora tornare.
In questo senso, l’erogazione di fondi a enti predisposti all’aiuto dei rifugiati, come l’UNRWA, da parte di
alcuni Stati precedentemente citati, non segue altro che uno slogan molto comune di questi
tempi:<<Aiutiamoli a casa loro>>.
Questo non contribuisce a una risoluzione del conflitto, ma semplicemente a mantenere un precario
equilibrio che potrebbe implodere da un momento all’altro, se non è già esploso a causa dell’aumento delle
ondate migratorie che stanno avendo un impatto nel mondo occidentale, in particolar modo in Europa, negli
Stati Uniti e in Canada. Un esempio concreto è l’aumento di profughi palestinesi che scappano dalla guerra
in Siria, da molti considerata come una seconda Nakba che non trovano più rifugio in Giordania, né in
Libano e si rivolgono a nuovi Paesi153.
Un ruolo primario e centrale è quello degli enti delle Nazioni Unite, UNRWA in particolare, ma anche
UNHCR per i Paesi che si situano fuori dalla zona UNRWA, i quali hanno sottoposto all’attenzione le
problematiche che affliggono i rifugiati palestinesi, relegati in delimitati campi profughi nel mondo arabo,
mentre apparentemente integrati all’interno dei Paesi occidentali, ma dovendo affrontare trafile burocratiche
che spesso vedono delle lesioni dei diritti dei rifugiati con “respingimenti violenti e ostacoli alle domande di
asilo”154.
Alle sorti dei rifugiati palestinesi ci pensano gli enti predisposti dalle Nazioni Unite, le quali con le loro
recommendation, resolution e gli altri strumenti di soft law utilizzati, non sono in grado, tuttavia, di rendere
vincolanti gli obblighi imposti agli Stati.
È rilevante sottolineare ciò che il giornalista Khaled Abu Toameh sottolinea nel proprio articolo sul
“Gatestone Institute”:<<L'ipocrisia dei paesi arabi è giunta al culmine. Mentre fingono di essere solidali con
i loro fratelli palestinesi, i governi arabi lavorano senza sosta per sottoporli alla pulizia etnica. Intanto, ai
leader palestinesi non importa nulla della difficile situazione in cui versa la loro popolazione nei paesi arabi.
Sono troppo impegnati a incitare i palestinesi contro Israele e Trump per dare peso a una questione così
irrisoria>>155.
La questione non si può ridurre al solo conflitto tra Israele e il “mai nato” Stato palestinese, ma per poter
affrontare il problema dell’esodo e trovarne una soluzione è necessario trovare, a breve termine, la
collaborazione degli Stati di accoglienza a concedere tutele ai rifugiati palestinesi, farli integrare nel proprio
territorio e concedere la cittadinanza nel caso in cui volessero averla e, a lungo termine, lavorare per trovare
153 https://www.repubblica.it/solidarieta/diritti-umani/2016/05/20/news/palestinesi_la_seconda_nabka_dei_palestinesi_di_siria_-
140209839/ 154 https://www.avvenire.it/attualita/pagine/centro-astalli-emergenza-diritti-dei-rifugiati-violazioni-diffuse-negli-stati-dell-ue 155 https://it.gatestoneinstitute.org/11656/apartheid-araba-palestinesi-iraq
un accordo che possa garantire il “diritto al ritorno” ai palestinesi, sia con un ritorno fisico, sia con un
indennizzo per la perdita dei propri poderi a causa della perdita.
Perché la vicenda di Al-Nakba non può essere ignorata dalla comunità internazionale né dall’opinione
pubblica, come si è fatto a lungo.
Ringraziamenti
Un grazie va fatto al mio relatore, il professor Christopher Hein, che mi ha permesso di approfondire un
tema che da sempre mi ha affascinata, sostenendo e correggendomi durante il percorso che ha portato alla
stesura di questa tesi.
Un grazie va fatto ai miei colleghi e compagni di corso che mi hanno accompagnata in questi tre anni,
regalandomi tante risate, emozioni e momenti di crescita, sostenendomi nei momenti in cui più avevo
bisogno. Una menzione speciale va fatta per Sara, a cui dedico la domanda di ricerca di questa tesi, insieme
a Ludovica. Voi due mi avete accompagnata dal primo giorno fino all’ultimo di questa triennale e anche se
le vostre strade sono diverse dalla mia, viaggiano in parallelo alla stessa velocità di crociera.
Un grazie va fatto a Edoardo, che ha riposto in me tantissima fiducia da quando ci siamo conosciuti e, forse,
anche grazie a lui ho riscoperto un minimo di fiducia.
Un grazie anche a Bianca, che fin dal primo giorno mi ha capita, incoraggiata e sostenuta a livello umano.
Voglio menzionare nei ringraziamenti anche Gloria, Giulia C., Giulia B., Natalia, Vittorio, Francesco e tutti
coloro che mi hanno accompagnata in questo viaggio universitario che mi ha vista entrare come una ragazza
un po’ insicura dei propri mezzi e con un po’ di paura di sentirsi come un pesce fuor d’acqua, in una ragazza
che è cresciuta, maturata e ha fatto proprie le conoscenze derivanti da questo corso. Grazie a questi ragazzi
che mi hanno incoraggiata, sostenuta e aiutata quando non avevo le forze per reggermi in piedi.
Oltre ai miei compagni di studio, vanno citati gli amici di una vita: Myriam, con la quale ho condiviso
praticamente tutta la mia vita e che, in particolar modo nell’ultimo periodo, ho riscoperto e che, tramite lei,
ho riscoperto anche una parte di me più leggera. Ringrazio Giorgio, con cui ho condiviso gioie e dolori, che
mi ha accompagnata, compresa e sostenuta in tutte le situazioni. Ringrazio Benedetta per tutti gli sfoghi e
che con pazienza inaspettata ha saputo sopportare. Ringrazio Serghij, amico di una vita, che da sempre è un
mio grandissimo ascoltatore e consigliere.
Ringrazio quegli amici che ho ritrovato nell’ultimo periodo, ringrazio le persone che ho conosciuto e sto
conoscendo in questo periodo, che mi stanno appoggiando e sostenendo e ringrazio chi ho perso nell’ultimo
anno, perché mi hanno permessa di essere la persona che sono adesso: sicuramente una persona migliore di
prima.
Ringrazio la mia famiglia, la quale mi ha permesso di accedere a un’università di questo livello facendo
degli enormi sacrifici. Li onoro con i miei sforzi che hanno conseguito questo risultato, sperando in un
ulteriore accrescimento personale in futuro.
Ringrazio i miei fratelli: Federico, che ogni giorno di più diventa sempre più un uomo dalle caratteristiche
più umane, qualità che apprezzo moltissimo e che tu, molto spesso sottostimi o nascondi (come per esempio
la tua sensibilità); grazie a Diego, che con il tuo modo di fare e di essere richiami ai miei vent’anni e alla
voglia di sbagliare con coscienza per poter imparare dai miei errori; infine, ringrazio Francesca. Sei da
sempre per me fonte di ispirazione, motivo di crescita personale, motivo per diventare sempre una persona
migliore. Mi prendi spesso come esempio, ma la verità è che certe volte dovrei prendere io più esempio da
te, per la tua estrema sensibilità e per la tua capacità di riuscire a sostenere le tue idee senza farti trascinare
troppo. Attenta, però, a non chiuderti troppo.
Ringrazio Maurizio che nel momento del bisogno c’è stato in questi tre anni e ha avuto un impatto benefico,
oltre che devastante, sul mio modo di vedere e vivere la vita.
Infine, ringrazio me stessa. Ringrazio me per gli sforzi impiegati, ringrazio perché ho tenuto duro fino alla
fine, che anche nei momenti di sconforto non ho mollato. Ringrazio i miei momenti negativi, ringrazio la
vita che ha deciso per me e non ha fatto decidere a me come dovesse andare. La ringrazio perché tutto questo
non mi era dovuto ma è stato un regalo, la ringrazio perché anche se tante cose non sono andate come volevo
io, evidentemente mi aspetta qualcosa di diverso.
Grazie a me stessa perché mi sono sostenuta quando pensavo di aver perso tutto, ma non lo avrei fatto mai se
non avessi avuto tante persone che hanno fatto il tifo per me. Grazie davvero a tutti.
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Abstract
What is the meaning of “Palestinian” nowadays? What kind of laws do protect Palestinian refugees?
Many people do not have perception of the problem of Palestinian refugees. While they cannot return to
their home country, they are not able to fully integrate into the country where they seek refuge.
Public opinion if often focused on the conflict between Israel and Palestine rather than on explaining the
imminent condition of Palestinian refugees.
For many, the Palestinians are the result of an invention of the Arab countries, which wanted to create a
united Arab State. Not everyone knows that these States generated frustration into Palestinian population,
who had believed in pan-Arabism and dedicated their lives to this project, because they could not help
Palestinian to reach their self-determination.
Since 1948, Palestinian refugees are living in extreme conditions, without the possibility to return in their
own property, lands and homes. From the exodus of 1948, many Palestinians are forced to leave their
personal affections and restart their lives away from their nation. It is no coincidence that the Palestinian
population has been growing steadily in recent years, so much so that in the occupied territories it is
expected that the Palestinian population is going to overtake the Israeli population in a relatively near future.
With a population of over 12 million displaced in many countries, Palestinians are a growing population
since the diaspora.
The exodus was caused by the Arab-Israeli war, which involved many countries such as Egypt, Jordan and
Syria, as well as the Palestinians themselves and the Israelis. In this war, Israel has expropriated the
Palestinians of their land, denying their return. The problem of the right of return is still a problem, as there
has been no definitive solution and many Palestinians still live in the hope of being able to return to their
land.
The number of the refugees who left the country is about 750 thousand in 1948 but this number is set to
increase over the next few years.
For those who left Palestine, and took refuge in many States, such as Lebanon, Syria and Jordan, the United
Nation Relief and Works Agency (UNRWA) is operative and sustain refugees in their daily problems.
UNRWA works in refugee camps, which are collocated not only in Gaza and West Bank but also in these
countries. UNRWA's aid provides access to rights that states often do not provide themselves, such as access
to education or social and health care.
States have the duty to protect refugees by allowing them to integrate into their societies, but this is not
always guaranteed or respected. International law affirms the principle of self-determination of peoples,
which is violated by Israel, creating a kind of "ethnic cleansing" and forcing the Palestinians to leave their
home country. Many treaties, such as the 1951 Geneva Convention relating to the Status of Refugees, dictate
the conditions under which a refugee may be recognised as a refugee. As far as Palestinian refugees are
concerned, there is a clause in the Convention which Article 1(D) does not apply where there is already a
United Nations body operating. It is the case of Lebanon, Syria and Jordan, otherwise the rest of the world.
In other countries, the United Nation High Commissioner for Refugees (UNHCR) ensures that Palestinian
refugees have the protection they need.
As regards the situation in Palestinian area, Israel has illegally occupied many of the spaces allocated to
Palestinian territory, particularly with the Six-Day War. After that, many Israeli colonies were born both in
the West Bank and in the Gaza Strip. Palestinians, on the other hand, are forced to live relegated to refugee
camps, in desperate conditions, with limited use of electricity and water, with strict rules about citizenship.
All these things force Palestinians to leave their possessions even today.
Also, other states have violated many treaties related the status of refugees in order to pursue their national
goals, specially in the Arab world.
Within the various states, each applies different legislation to Palestinian refugees. For a long time, Jordan
has been considered an example of integration thanks to its law n. 6, which guaranteed the recognition of the
same rights of Jordanian citizens to refugees, helping them to take the citizenship of the host country. But
with the war in Syria, many Palestinians from this country were denied the possibility of taking refuge in
Jordan.
Syria has also favoured the integration of Palestinians within its own country as much as possible, giving
access to work, Syrian infrastructures, education, health and social care and other services. However, with
the 2011 Syrian Civil War, many Palestinian refugees decided to leave the country, where poverty and
misery rage.
Lebanon is the country with the most stringent regulations that prevent refugees from integrating into its
territory. The cause of this hostility lies in the delicate Lebanese political structure, in which society
peacefully coexists Muslims and Christians. It is the only exception in the Arab world where two different
religions coexist without waging war. Lebanon's desire to preserve this balance, because most Palestinians
are Muslims, was the reason that led Lebanese society not to integrate Palestinians into them and not to grant
them a special status.
It is precisely the treatment received by these Arab countries that has been a cause for protest over the years.
An example of this was the "Black September" in 1970, which also provoked the Civil War in Lebanon.
Other Arab states outside the UNRWA area have granted even fewer rights to refugees. One example is Iraq,
which took away all the privileges enjoyed by Palestinian refugees after the Saddam Hussein’s death.
In Egypt, too, the rights that previously existed to protect Palestinian refugees in order to facilitate their
integration have been removed and are currently considered as mere foreigners.
As far as the European Union is concerned, it allocates funds to UNRWA, as well as Canada. However,
there have been many cases where refugees have not received the protection they would have been entitled
to. Not to mention the United States, which no longer allocates funds to UNRWA, creating a budget crisis
for the UN agency.
Within the European Union, Member States have different immigration policies and legislation. Within the
European Union, Member States have different immigration policies and legislation. This creates problems
for the management of migrants and has a significant impact on the refugee issue.
All these countries are not included in UNRWA area and for this reason they consider Palestinian refugees
as mere refugees, in order to respect the Geneva Convention and under supervision of UNHCR. In the
UNRWA area, they should be considered as a special category of foreigners, but this has not happened.
Almost all these States have ratified the 1951 Geneva Convention.
It is important to underline the importance of international organizations in their efforts to support the
Palestinian cause and their conditions both in their own country and in the world. However, their inability to
impose obligations on states has led to a failure to comply with these obligations. Soft law instruments have
not bound states to respect the treaties.
States have not always been up to the task, especially in understanding the needs of refugees: in fact, they
have often ignored them because of national interests, preventing their full integration into society.
For a long time, public opinion focused on the debate pro or against Palestine in their war with Israel State.
Perhaps public opinion should also focus on the conditions of Palestinian refugees in other countries, as
more evidence of the problem would be appropriate.
The war does not arise from a religious problem but from the dispute between the two states. There are areas
of Palestine where Muslims and Jews live together.
The solution to the refugee problem can be found by two methods: either guaranteeing the right to return to
the Palestinians or giving them the same rights as other citizens residing within the territories, both in Israel
and in other countries.
The doubt that arises is that many people have an interest in leaving things as they are, to the detriment of
the Palestinians, who find the protection they seek with great difficulty.