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FONDAMENTO TEOLOGICO DEL DIRITTO CANONICO
PREMESSE:
1) Il fondamento teologico del diritto ecclesiale è costituito dalla natura della Chiesa,
la quale, per disposizione del suo Fondatore, non è soltanto comunità carismatica, ma anche
organismo visibile, società gerarchicamente organizzata. Il diritto ecclesiale è l'ordinamento della
vita sociale.
2) La società è l'unione morale e costante di più persone,sotto la stessa autorità, per conseguire con
gli stessi mezzi un bene comune proprio.
NECESSARIA, so non ha origine dalla volontà dei soci:
— per diritto divino naturale, se è comandata dalla natura che stabilisce diritti e doveri e dà i mezzi
necessari per conseguire il fine sociale: lo STATO
— per diritto divino positivo se e comandata dalla positiva volontà di Dio: la CHIESA
LIBERA, se ha origine dalla libera volontà dei soci: associazione religiosa, professionale, economica
ecc.
GIURIDICA, se i rapporti sociali vengono regolati da norme giuridiche: statuti, costituzioni ecc.
AMICHEVOLE, se i rapporti sociali vengono regolati amichevolmente, bonariamente:
associazione di alunni, professori ecc.;
PERFETTA, se ha un fine in genere suo supremo e possiede, realmente o virtualmente, tutti i
mezzi necessari per conseguire il fine: lo STATO, la CHIESA ecc.
IMPERFETTA, se non ha un fine in genere suo supremo, né mezzi sufficienti per consceguirlo, ma
dipende da un'altra società cui domanda mezzi per vie non giuridiche.
INEGUALE, se l'autorità risiede in determinate persone escluse tutte le altre. Viene chiamata
anche società gerarchica.
EGUALE, se tutta l'autorità è nel complesso dei soci presi come tali: Concili, Capitoli, o
Assemblee ecc.
COORDINATA, se recìprocamente una è indipendente dall'altra: gli Stati.
SUBORDINATA, se una dipende dall'altra: Istituti religiosi nella Chiesa, le Regioni, i Comuni
nello Stato ecc
MONARCHICA, se la sovranità (supremum imperium) è nelle mani di una sola persona fisica che
non rappresenta una collettività: Sovrano. Si hanno diverse forme di monarchia:
—Assoluta, se il supremo governo è concentrato nel monarca senza la rappresentanza di categorie
di cittadini. Il Sovrano non è obbligato da legge alcuna.
—Costituzionale, se accanto al Monarca si hanno altri governanti che rappresentano categorie di
consoci. Il Sovrano deve esercitare l'autorità conforme alla costituzione.
—Ereditaria, se il titolo di Sovrano si trasmette per successione ereditaria agli appartenenti alla
dinastia.
—Elettiva, se il titolo di Sovrano si trasmette per elezione.
REPUBBLICANA, se la sovranità è nella collettività: Popolo sovrano. Per collettività si può
intendere:
—Tutti i consociati: in questo caso si ha la Repubblica democratica.
—Molti consociati:
in questo caso si ha la Poliarchia
—Pochi consociati:
in questo caso si ha la Oligarchia
= Rep. Aristocratica (Nobili)
= Rep. Plutocratica (Ricchi)
= Decemvirato
= Triumvirato
= Diarchia
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DEFINIZIONE DEL CODICE DI DIRITTO CANONICO
Il codice di Diritto Canonico è la collezione delle leggi canoniche.
Si tratta di una collezione con le seguenti caratteristiche:
AUTENTICA: approvata e promulgata dal supremo legislatore, che è il Romano Pontefice
UNIVERSALE: ha valore in tutta la Chiesa Latina
UNICA: non si può arguire la correzione di un canone prece-dente dai canoni seguenti: è un'unica
legge composta di 1752 canoni
ESCLUSIVA: ha abrogato tutto il diritto precedente
GIURIDICA: riguarda l'ordine giuridico, ossia le azioni esterne intersubiettive e non l'ordine
morale, che abbraccia tutta la vasta e complessa attività umana
PECULIARE: il fine è la salvezza delle anime: il bonum spirituale e non quello puramente
temporale. L'attuale CIC è stato promulgato da Papa Giovanni Paolo II in data 25 febbraio 1983,
con la Cost. Ap. «Sacrae disciplinae leges», ed è andato in vigore nel novembre successivo, con la
prima Domenica di Avvento.
DIVISIONE DEL CODICE DI DIRITTO CANONICO
Il Codice di Diritto canonico è diviso in 7 libri:
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LE LEGGI ECCLESIASTICHE
Nozioni generali DEFINIZIONE: La legge è un comando obbligatorio, ragionevole, comune, stabile, promulgato
ad una comunità alquanto perfetta da chi ha su di essa giurisdizione ecclesiastica. «Legis virtus
haec est: imperare, vetare, permittere, punire» (Modest . 1.7, de lege 1, 3).
QUALITA’ DELLA LEGGE
Qualità Comuni
ONESTA: conforme alle leggi divine, naturali e positive, conforme alla religione, alla giustizia.
POSSIBILE: fisicamente e moralmente, perché in caso contrario non potrebbe obbligare: «Ad
impossibilia nemo tenetur» (Celsus iun., Lex 185, Dig. 50, 17);
NECESSARIA O UTILE: il legislatore ha il potere di comandare soltanto i mezzi necessari o utili
al conseguimento del fine sociale.
PERPETUA: ossia stabile. Si richiede la perpetuità negativa (= durata indefinita) assenza di
limiti temporali; non si richiede la perpetuità positiva (= durata infinita).
CHIARA: espressa in forma breve e facilmente intelligibile, perché «Quod non est clarum non
est ius»; «Leges ab omnibus intelligi debent» (D. 1,9 De lege).
OBBLIGATORIA: per tutti:
Qualità Speciali
TERRITORIALITÀ: (= efficacia nello spazio). Sono territoriali le leggi che immediatamente
riguardano il territorio e solo mediatamente le persone: esse non obbligano fuori del territorio. Ogni
legge si presume territoriale se non consta diversamente.
PERSONALITÀ. Sono personali le leggi che immediatamente riguardano le persone e
mediatamente il territorio: legge sul celibato, sulla recita della liturgia delle ore ecc. Sono leggi
miste quelle che immediatamente riguardano il territorio e mediante il territorio tutte le persone
dimoranti: obbligano la persona e la seguono dovunque.
IRRETROATTIVITÀ (= efficacia nel tempo). Le leggi riguardano il futuro e non il passato. Si
dicono irretroattive quelle che riguardano esclusivamente il futuro; retroattive quelle che
riguardano anche il passato: leggi dichiarative o penali favorevoli (9).
IRRITABILITÀ O INABILITÀ. Sono irritanti o inabilitanti esclusivamente quelle che
prevedono l'atto irrito o la persona inabile (10)
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DIVISIONE DELLE LEGGI
La legge può essere considerata riguardo al territorio, alle persone, alla norma ed agli effetti.
TERRITORIO
Universale, se si estende a tutto il territorio della Chiesa;
Particolare, se si estende ad un territorio determinato: diocesi, provincia, regione ecclesiastica ecc.
PERSONE
Generale, se obbliga tutti i membri della Chiesa;
Speciale, se obbliga soltanto alcune classi di persone: chierici, religiosi ecc.;
Territoriale, se obbliga solo nel territorio del legislatore. Si presume sempre tale (13);
Personale, se tocca direttamente la persona e l'obbliga dovunque: adhaeret ossibus (13).
NORME
Comune, se costituisce la regola da osservarsi ordinariamente; riguarda indistintamente tutti i
sudditi;
Proprio, se costituisce l'eccezione: il privilegio.
EFFETTI
Precipiente, se comanda di fare, dare, omettere qualche cosa: partecipare alla Messa festiva,
comunicarsi a Pasqua, confessarsi almeno una volta durante l'anno, ecc.;
Proibente, se proibisce qualche cosa: astenersi dalle carni, astenersi dal contrarre matrimonio ecc.;
Permittente, se permette qualche cosa: ricevere l'ostia consacrata sulla mano, predicare, confessare
ecc.;
Morale, se obbliga sotto peccato;
Penale, se commina una pena contro i trasgressori:
— puramente penale, se obbliga solo alla pena;
— penale mista, se obbliga alla pena e sotto peccato.
Irritante, se rende nullo l'atto per sé valido (10): la forma del matrimonio;
Inabilitante, se rende inabile la persona per sé capace, per diritto di natura, a porre un atto (10):
per es. la legge sulla inabilità del rapitore a contrarre matrimonio con la rapita.
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LA LEGGE SI DIFFERENZIA
Dal Consiglio
I La legge presuppone necessariamente il rapporto di subordinazione tra il soggetto attivo e
quello passivo e genera l'obbligo in questo;
II consiglio non presuppone necessariamente il rapporto di subordinazione e non genera alcun
obbligo nel soggetto passivo.
Dal Precetto
La legge proviene dall'organo del potere legislativo, viene emanata per il bene comune, ed è per
natura sua perpetua;
Il precetto proviene dall'organo del potere esecutivo, viene dato anche per il bene privato, se
viene dato per il bene comune non è perpetuo.
Dagli Statuti
La legge proviene dal potere giurisdizionale, viene emanata da organi individuali o collegiali;
Gli statuti vengono emanati in forza della potestà dominativa, vengono emanati da persone
esclusivamente collegiali.
Dai Decreti
La legge viene emanata per cose importanti, è comune e perpetua;
Il decreto viene emanato per cose di minore importanza, è particolare, se universale è
temporaneo;
Dalle istruzioni
La legge impone di fare, omettere, dare, subire una pena
Le istruzioni contengono norme pratiche per eseguire l'obbligo imposto dalla legge
PROMULGAZIONE DELLE LEGGI
La promulgazione è la solenne ed autentica intimazione della legge fatta alla comunità. Differisce
dalla semplice divulgazione, la quale non è né solenne né autentica.
La promulgazione è necessaria perché la legge acquisti forza di obbligare.
MODI DI PROMULGAZIONE: — Le leggi emanate dalla Sede Apostolica vengono promulgate mediante la pubblicazione sulla
rivista «Acta Apostolicae Sedis»,eccetto che in casi particolari non venga disposto diversamente;
— Le leggi emanate dai legislatori inferiori vengono promulgate secondo le formalità da essi
stabilite:
* pubblicazione sul Bollettino Diocesano;
VACAZIONE DELLA LEGGE - È un conveniente lasso di tempo concesso dal legislatore affinché la legge venga sufficientemente
conosciuta dai sudditi prima che incominci l'obbligo della sua osservanza.
— Le leggi della Sede Apostolica hanno 3 mesi di vacazione dalla data della pubblicazione su AAS,
se sono leggi universali (8/1);
— se sono leggi particolari hanno la vacazione di un mese, eccetto il caso che non venga stabilito
diversamente nella stessa legge (8/2);
— Le leggi dei legislatori inferiori non hanno vacazione, tranne che non venga stabilito
diversamente.
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MATERIA DELLA LEGGE
— Costituiscono materia della legge ecclesiale le azioni, le omissioni, i diritti
soggettivi e le cose che giovano al bene comune della Chiesa. La Chiesa:
* probabilmente non può comandare atti puramente interni;
* può prescrivere solo indirettamente atti interni, in quanto connessi con atti esterni, per es. precetto
della Comunione pasquale = precetto di fare una degna Comunione.
Le leggi riguardano le cose future e non le passate, tranne che in esse non si parli nominatamente
di cose passate (9).
Per tale motivo sono conservati i diritti quesiti, gli indulti e i privilegi (4).
SOGGETTO ATTIVO — Per le leggi universali: Romano Pontefice e Concilio Ecumenico.
Per le leggi particolari: Legati pontifici, Congregazioni Romane (= nei limili del mandato ricevuto),
Concili plenari e provinciali, Vescovi diocesani, da soli e col Sinodo, Capitoli generali ecc.
INTERPRETAZIONE DELLE LEGGI
L’interpretazione è la spiegazione del senso dubbio ovvero oscuro del unti nulo nella legge: Quod
non est clarum non est ius. La legge deve essere breve ma chiara perché i sudditi devono facilmente conoscere ciò che il
legislatore comanda, proibisce o permette.
Ciònonostante, a volte bisogna chiarire dubbi che possono sorgere sulla natura o sulla estensione
della legge.
Una legge si dice dubbia quando probati auctores non concordano nella loro spiegazione.
AUTENTICA , se fatta dal legislatore, dal successore, dal superiore o da colui al quale è stato
affidato il compito. Essa è:
— Generale, se procede dal potere legislativo ed obbliga tutti i sudditi. Nella Chiesa generalmente
viene fatta dal «Pontificium Consilium de legum textibus interpretandis» (Const. Ap. Pastor
Bonus, artt. 154 - 158);
— Particolare, se procede dal potere giudiziario o amministrativo ed obbliga soltanto gli interessati
direttamente (con Sentenze o Decreti).
NON AUTENTICA o direttiva, se viene fatta da altri:
— Dottrinale, se viene fatta dai periti;
— Usuale, se viene fatta dalla consuetudine del popolo cristiano;
— Dichiarativa, se dichiara solo le parole della legge in sé certe, ma soggettivamente (nella mente
dei sudditi) oscure ob inadvertentiam vel ignorantiam subditorum;
— Esplicativa, se spiega le parole della legge oggettivamente dubbie ovvero oscure, termini
tecnici usati dal legislatore...;
Comprensiva, se espone il senso oggettivamente dubbio entro la forza delle parole
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I F E D E L I
CONCETTO DI FEDELE
Fedeli cristiani sono coloro che, incorporati a Cristo mediante il battesimo, costituiscono il «nuovo
popolo di Dio». Diciamo «popolo» e non folla perché è una pluralità di persone unite tra di loro non semplicemente
da vincoli esterni e precari, ma anche da vincoli interni e permanenti. Diciamo ancora «nuovo»,
perché è succeduto all'antico popolo d'Israele. Diciamo infine «di Dio», perché possiede una
caratteristica propria ed esclusiva rispetto a tutti gli altri popoli; in esso vi è l'elemento umano,
comune a tutti gli altri popoli, vi è però anche l'elemento divino: l'autore che è l'Uomo-Dio. Esso,
inoltre, ha un fine supremo proprio ed esclusivo: la salus animarum. Il e . 204 tratta solo dei
battezzati che sono in comunione piena con la Chiesa; non tratta dei fratelli separati, che sono in una
comunione imperfetta (UR 3/1). Dalla loro incorporazione a Cristo segue un duplice effetto:
— la partecipazione ontologica e funzionale «nel modo loro proprio dell'ufficio sacerdotale,
profetico e regale di Cristo»;
— la loro corresponsabilità in ordine alla missione «che Dio ha affidato da compiere alla Chiesa
nel mondo» (204/1).
CHIESA CATTOLICA
La Chiesa di Cristo, alla quale i fedeli sono incorporati e della quale condividono la missione e la
responsabilità, oltre ad essere una comunità carismatica, i cui membri sono uniti dal triplice vincolo di
fede, speranza e carità, è anche un organismo visibile ordinato gerarchicamente, ossia la Chiesa
Cattolica, governata dal Romano Pontefice e dai Vescovi in comunione con lui (204/2; cf. LG 8/305).
Sono in «comunione piena» con la Chiesa Cattolica i fedeli che accettano integralmente la sua
struttura... e nel suo corpo visihile sono congiunti con Cristo che la dirige mediante il Sommo
Pontefice e i Vescovi, dai vincoli della professione della fede, dei sacramenti, del regime
ecclesiastico e della comunione» (LG 14/323; e. 205). Perciò anche la mancanza di un solo di questi
vincoli rende la comunione imperfetta.
I CATECUMENI
I catecumeni non fanno parte della Chiesa, ma in forza del loro desiderio e della loro vita di fede, di
speranza e di carità «sono congiunti alla Chiesa, che ne ha cura come se fossero già suoi» (206/1), li
invita ad una vita evangelica e li inizia alla celebrazione di riti sacri, concede già loro varie
prerogative che sono proprie dei cristiani» (206/2; cf. LG 14/324; AG 14/1121).
LAICI -CHIERICI
I fedeli, per istituzione divina, sono divisi in due categorie:
— laici, che sono i fedeli che hanno ricevuto il battesimo;
— ministri sacri, detti anche chierici, sono i fedeli, i quali, oltre il carattere battesimale, hanno
ricevuto anche il carattere dell'Ordine sacro, che li ha costituiti «ministri del sacro culto».
I RELIGIOSI
I religiosi non costituiscono uno stato intermedio tra quello dei laici e dei chierici: essi provengono dagli
uni e dagli altri e con la professione dei consigli evangelici, mediante i voti o altri vincoli ufficiali, si
consacrano totalmente a Dio e cooperano alla missione della Chiesa in un modo proprio. Il loro stato,
quantunque non riguardi la struttura gerarchica della Chiesa, appartiene, tuttavia, alla sua vita ed alla
sua santità: sono una struttura nella Chiesa ma non una struttura della Chiesa!
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LA COMUNIONE NEL NUOVO CODICE DI DIR. CAN.
Nel nuovo CIC si parla di una duplice comunione:
— della Comunione Gerarchica, ossia in senso verticale;
— della Comunione tra i fedeli, ossia in senso orizzontale.
I - LA COMUNIONE GERARCHICA si fonda nel sacramento dell'Ordine.
Di essa si parla nei seguenti canoni:
— c. 336: Comunione nel Collegio Episcopale
— c. 375/2: Comunione dei Vescovi in genere
— c. 753: Comunione dei Vescovi maestri della fede
— c. 204/2: Comunione nella Chiesa, come società ordinata
II - LA COMUNIONE DEI FEDELI si fonda nel sacramento del Battesimo. I canoni che trattano
di questa Comunione sono di due categorie:
1) Quelli che determinano l'appartenenza alla Chiesa Cattolica.
In questi si parla della Comunione piena, che viene data soltanto nella Chiesa Cattolica per
mezzo dei tre vincoli:
— vinculum fidei (= professione della stessa fede)
— vinculum Sacramentorum (= partecipazione agli stessi Sacramenti)
— vinculum disciplinae seu regiminis (= dipendenza dalle legittime Autorità).
* La formula «Communio ecclesiastica» significa sempre la Comunione piena (cf. cc. 96; 316;
840).
* In alcuni casi anche la semplice parola «Communio» ha lo stesso significato (cf. cc. 844/3;
149/1; 194/1-2).
2) Quelli che indicano la Comunione Intraecclesiale. Questa suppone sempre la Comunione piena:
fidei, sacramentorum et disciplinae.
Ai cattolici si ricorda l'obbligo a conservare la Comunione con la Chiesa, mediante l'adempimento
dei loro doveri:
— verso la Chiesa universale e particolare (c. 209/2)
— verso la propria comunità parrocchiale (c. 529/2)
— il parroco non deve pregiudicare la comunione ecclesiale (c. 1741)
— I religiosi... verso il proprio Istituto.
3) La Comunione si perde:
a) per autoesclusione
b) per intervento della Chiesa (Scomunica)
4) Anche i singoli vincoli si possono perdere:
— Vinculum fidei: con l'apostasia (c. 751)
— Vinculum Sacramentorum: con l'eresia (c. 751)
— Vinculum disciplinae: con lo scisma (c. 751).
5) Dalla Comunione piena dipende l'esercizio dei diritti e dei doveri acquistati col Battesimo.
6) Quelli che non hanno la Comunione piena non possono:
— essere membri del Consiglio pastorale diocesano (c. 512/1)
— ricevere i Sacramenti della Chiesa (c. 844)
— i sacerdoti cattolici non possono concelebrare con essi (c. 908)
— i fedeli non possono unirsi in matrimonio con essi (c. 1124)
— essere promossi ad uffici ecclesiastici (c. 149/1)
— ricevuti in associazioni pubbliche (c. 395/1).
7) Quelli che abbandonarono la comunione piena:
— sono inabili ad suffragium ferendum (c. 171/1)
— devono essere rimossi dall'ufficio eccl. (c. 194/1, 2°)
— devono essere espulsi dalla associazioni pubbliche (c. 916/2).
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8) Effetti della scomunica:
— priva i fedeli dei Sacramenti della Chiesa
— la Chiesa non esercita direttamente su di essi la sua funzione
9) Esigenze della piena comunione:
— che uno rimanga cattolico
— che adempia le sue obbligazioni verso la Chiesa universale e particolare
— che obbedisca alle leggi ed ai precetti dei legittimi Superiori.
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OBBLIGHI E DIRITTI DI TUTTI I FEDELI
1. UGUAGLIANZA ESSENZIALE (208).
Questa si fonda su una triplice motivazione:
— I doveri e i diritti del fedele scaturiscono dalla incorporazione al Corpo Mistico;
— il soggetto dei doveri e dei diritti è il cristiano appartenente al Popolo di Dio e in comunione con
la Chiesa, senza distinzione di sesso, età o stato;
— unità dei due principi: gerarchico ed ugualitario. Il principio della uguaglianza «nella dignità e
nell'azione» espresso dal Concilio, nel c. 208 è divenuto un principio base dell'ordinamento
canonico.
2. COMUNIONE ECCLESIALE (209).
Il primo e fondamentale dovere del fedele è di conservare sempre e in ogni manifestazione della
sua vita, privata, familiare e sociale, una comunione vitale con la Chiesa universale e locale, nonché
con la comunità parrocchiale (cf. 529/2), sia in senso orizzontale, sia in senso verticale.
3. SANTIFICAZIONE PERSONALE E COMUNITARIA (210).
«Tutti i fedeli dì qualsiasi stato o grado sono chiamati alla pienezza della vita cristiana ed alla
perfezione della carità» (LG 40/389).
4. IMPEGNO MISSIONARIO (211).
Essendo la Chiesa essenzialmente missionaria (AG 2/1090), il dovere impegna indistintamente
tutti ì fedeli (cf. 741/1, 781).
5. RAPPORTO CON I SACRI MINISTRI (212-213).
Il primo dovere è quello della cristiana obbedienza e adesione (212/213 754). I fedeli hanno
anche il diritto di manifestare ai pastori i loro bisogni spirituali e le loro aspirazioni (212/2).
6. DUPLICE LIBERTÀ (214).
Esse sono:
a) poter adempiere i doveri del proprio stato verso Dio, secondo le prescrizioni del proprio rito
approvato dai legittimi Pastori;
b) poter seguire una propria forma di vita spirituale, purché conforme alla dottrina della Chiesa.
7. LIBERTÀ DI ASSOCIAZIONE E DI RIUNIONE (215).
È la prima volta che un tale principio viene inserito ufficialmente nell'ordinamento canonico
(cf. AA 19/986).
8. LIBERTÀ DI INIZIATIVE APOSTOLICHE (216).
È un dovere ordinario. Nessuna opera però può qualificarsi «cattolica» senza il consenso della
legittima autorità, (cf. A A 24/1003 ).
9. EDUCAZIONE CRISTIANA (217).
Questa esige la formazione integrale della persona sotto ogni aspetto: umano e soprannaturale,
dottrinale, morale e spirituale, liturgico e apostolico.
10. LIBERTÀ DI RICERCA E DI ESPRESSIONE NELLE SCIENZE SACRE (218).
La libertà però non va confusa con «autonomia». Tale libertà deve esse sottomessa al
Magistero ufficiale della Chiesa (cf. DV 10/887).
11. LIBERA SCELTA DEL PROPRIO STATO (219).
Tra fedele secolare, chierico o religioso, fra il matrimonio o il celibato.
12. DIRITTO ALLA PROPRIA FAMA E ALLA PROPRIA INTIMITÀ (220).
Sono diritti originari in quanto derivano dalla stessa natura: «bona fama est alterum
patrimonium». 13. DIRITTI DI CARATTERE GIUDIZIARIO (221).
I diritti principali in questo settore sono tre: diritto alla legittima difesa, diritto all'assistenza da
parte di un legale, diritto a non essere colpito da pene ecclesiastiche se non a norma di legge.
14. NECESSITÀ DELLA CHIESA (222).
Al diritto della Chiesa di esigere quanto è necessario all'esercizio della sua missione,
corrisponde il dovere dei fedeli di contribuire secondo le loro disponibilità.
15. PROMOZIONE DELLA GIUSTIZIA SOCIALE E L'ASSISTENZA AI POVERI (223).
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Sono doveri di diritto naturale che obbligano tutti gli uomini in forza della fraternità e della
solidarietà umana.
16. LA PROMOZIONE DEL BENE COMUNE E IL RISPETTO DEI DIRITTI DEGLI
ALTRI (223).
Nell'esercizio di tutte le libertà si deve osservare il principio morale della responsabilità
personale e sociale; con tutti si deve agire secondo giustizia e umanità. L'Autorità non deve limitare i
diritti, ma solo assicurare il loro retto esercizio ed evitare gli abusi.
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OBBLIGHI E DIRITTI DEI FEDELI LAICI
I
1. PREMESSE.
Il CIC, allo stato giuridico dei fedeli in genere, fa seguire lo stato giuridico dei fedeli laici, i
quali, per la loro parte, compiono nella Chiesa e nel mondo la missione di tutto il Popolo di Dio
(LG 31/362-3).
Il Concilio Vaticano II, oltre il cap. V della LG, ha dedicato ai laici il Decreto AA.; Paolo VI,
nel 1967 ha istituito il Pontifìcio Consilium de Laicis; il Sinodo dei Vescovi, nel 1987, ha trattato
ed approfondito il tema sulla vocazione e la missione del laicato cattolico.
Sotto il profilo sacramentale, sono laici quei fedeli che, in virtù del loro sacerdozio comune,
partecipano alla triplice funzione della Chiesa, ma tale partecipazione è diversa da quella dei
Chierici.
Sotto il profilo apostolico, l'impegno proprio dei laici è diretto all'animazione dell'ordine
temporale:esso è secolare. I laici operano in nome della Chiesa, non della Gerarchia.
2. CANONE INTRODUTTIVO (224).
I diritti e i doveri dei fedeli laici presuppongono quelli comuni a tutti i fedeli e quindi anche ai
chierici ed ai religiosi.
3. IMPEGNO APOSTOLICO E MISSIONARIO (225/1).
Questo impegno spetta ai laici come proprio, in virtù del Battesimo e della Confermazione. In
diversi luoghi e circostanze la Chiesa difficilmente potrebbe rendersi presente ed operante senza
l'opera dei laici.
4. L'ANIMAZIONE CRISTIANA DELL'ORDINE TEMPORALE (225/2).
Questa animazione costituisce l'impegno proprio dei laici; un impegno che riguarda la
famiglia, la società, gli strumenti di comunicazione sociale, l'economia, la scuola, il diritto ecc. I
laici devono assumere, come loro proprio compito, il rinnovamento dell'ordine temporale.
5. LE PERSONE CONIUGATE (226).
A queste — come sposi e come genitori — spettano compiti di estrema importanza per la
Chiesa e per la società (cf. AA 11/952-7):
— come sposi il compito di popolare la terra di uomini;
— come genitori, il compito di popolare il cielo di santi (cf. Familiaris consortio).
6. LA NECESSARIA LIBERTÀ (227).
Perché i fedeli laici possano adempiere tali doveri hanno bisogno della necessaria libertà:
— di fronte allo Stato devono essere considerati come tutti gli altri cittadini, senza alcuna
discriminazione a motivo della loro fede (Dick. Diritti universali dell'uomo, art. 2; Conc.
Italiano, art. 2, n. 3);
— di fronte alla Gerarchia ecclesiastica devono godere di una certa autonomia (GS 43/1455).
7. COOPERAZIONE DEI LAICI (228).
Più che da motivi contingenti (scarsità di clero...) è motivata da ragioni essenzialmente
teologiche: essendo essi membri effettivi della Chiesa e radicalmente uguali ai chierici ed ai
religiosi nella dignità e nella edificazione del Popolo di Dio (cf. 208), hanno l'obbligo di
promuovere e sostenere l'attività apostolica anche con le proprie iniziative (216), in forza del loro
Battesimo e della loro Cresima.
La funzione dei laici nella Chiesa ha il suo riconoscimento non solo di fatto ma anche
giuridicamente, in quanto la loro cooperazione ecclesiale è sancita in molti canoni. La loro
cooperazione è prevista in molti casi.
8. LA CULTURA RELIGIOSA E LE SCIENZE SACRE (229).
I motivi principali sono questi:
— vivere secondo la dottrina cristiana
— essere in grado di annunziarla
— difenderla, se necessario
— partecipare attivamente all'esercizio dell'apostolato.
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9. MINISTERI E SERVIZI ECCLESIALI (231).
Vi sono:
— ministeri stabili (lettore e accolito)
— ministeri liturgici temporanei
— ministeri di supplenza.
10. L'ADEGUATA FORMAZIONE DOTTRINALE, MORALE, APOSTOLICA,
LITURGICA, PEDAGOGICA (231/1).
Questa è richiesta perché i laici possano esercitare i ministeri e servizi con consapevolezza,
zelo e diligenza.
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LE ASSOCIAZIONI DEI FEDELI
NORME COMUNI
CONCETTO
Nella Chiesa esistono associazioni distinte dagli IVC e dalle SVA nelle quali tutti i fedeli (laici,
chierici, religiosi), con azione comune, tendono:
— all'attuazione di una vita cristiana più perfetta;
— all'incremento del culto pubblico o della dottrina cristiana, o
— ad altra opera di apostolato.
I fedeli sono esortati a dare il loro nome soprattutto alle associazioni erette, lodate o raccomandate
dalla competente autorità ecclesiastica (298).
DIRITTI
I fedeli, in virtù del loro battesimo hanno il diritto originario di fondare e dirigere personalmente
proprie associazioni che abbiano fine:
— «pietatis erga Deum» — «caritatis erga proximum» ovvero varie forme di apostolato (299). Ogni Associazione ha
diritto al proprio titolo ed ai propri Statuti.
DIVISIONE
PRIVATE. Sono tali se erette mediante un accordo privato. Possono essere:
— di fatto o semplicemente private, se prescindono da qualsiasi riconoscimento
— semplicemente riconosciute, con atto formale o implicito;
— lodate o approvate; — costituite in persona giuridica, con particolare provvedimento amministrativo, previa la
revisione (recognitio) dello statuto.
Nessuna ass. pr. può assumere il nome di «cattolica» se non col consenso del Vescovo, se
diocesana, della conferenzza episcopale, se nazionale o della Santa Sede, se internazionale (300,
312).
Tali associazioni rimangono «private», anche se lodate o raccomandate dall'autorità ecclesistica
(299/1).
PUBBLICHE. Sono tali se erette dalla pubblica autorità e che si propongono:
— l'insegnamento della dottrina cristiana in nome della Chiesa o
— l'incremento del culto pubblico, oppure che
— intendano altri fini il cui conseguimento è riservato, per sua natura, all'autorità ecclesiastica, o
per
— il conseguimento di altre finalità spirituali alle quali non sia stato sufficientemente provveduto
mediante le iniziative private (301). Queste vengono denominate:
CLERICALI
- sono formate e rette da chierici;
- hanno come scopo l'esercizio del s. ministero da parte dei membri
- sono riconosciute come tali dalla competente autorità (302).
TERZI ORDINI
- i soci vivono, nel mondo
- tendono alla perfezione cristiana partecipando allo spirito dell'IVC a cui sono associati
- operano sotto l'alta direzione dell'Istituto stesso (303).
NB. Secondo il nuovo CIC ogni IVC potrà avere il proprio T.O. senza un particolare privilegio
della Sede Apostolica (303).
COMPETENZA DELL’AUTORITÀ ECCLESIASTICA
DI VIGILANZA. È questo un diritto nativo da esercitare su tutti i fedeli, allo scopo di tutelare la
integrità della fede e la purezza dei costumi.
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DI GIURISDIZIONE. È questo un diritto nativo da esercitare su tutta l'attività della Chiesa, allo
scopo di favorire, stimolare, promuovere l'attività e le iniziative, nonché per tutelare la legittima
libertà. Ambito di tale attività:
— prescrivere norme di carattere generale, intervenire in casi di emergenza (316);
— confermare istituire o nominare il presidente:
— nominare direttamente il cappellano o l'assistente ecclesiatico (317/1);
— nominare un commissario in circostanze gravi e per motivi gravi (318/1);
— rimuovere per giuste cause il presidente e il cappellano (318/2);
— esigere il rendiconto annuale, sopprimere per cause gravi l'associazione pubblica (319-320).
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LE ASSOCIAZIONI PUBBLICHE DI FEDELI
EREZIONE (312)
L'erezione delle associazioni pubbliche è di esclusiva competenza delle autorità ecclesiastiche:
— della S. Sede, per l'erezione delle associazioni di carattere universale o internazionale;
— della Conferenza episcopale, per le associazioni di carattere nazionale;
— del Vescovo del luogo, per le associazioni di carattere diocesano (non dell'Amministratore o del
Vicario generale, senza speciale mandato).
Alle medesime autorità compete tutto ciò che è necessario per la erezione:
— approvazione definitiva degli Statuti e delle loro eventuali innovazioni (314);
— la superiore direzione (315);
— l'eventuale conferma, istituzione o nomina del presidente (317/1);
— la nomina del cappellano o dell'assistente eccl. (317/1);
— l'eventuale nomina di un commissario (318/1).
Per l'erezione di una associazione o di una sua sezione, ad validitatem, si richiede il consenso del
Vescovo dioc. (312/2). Per gli IVC, il consenso dato per l'erezione della casa religiosa vale anche per
l'erezione, nella casa o nella chiesa, di una associazione propria dell'IVC (609/1).
PERSONALITÀ GIURIDICA (313)
Un'associazione pubblica è costituita in persona giuridica in forza dello stesso decreto di erezione e
riceve simultaneamente la «missio» di poter svolgere la sua attività nella Chiesa.
ATTIVITÀ (315)
Le associazioni pubbliche possono intraprendere liberamente le iniziative rispondenti alla propria
natura; esse sono rette a norma degli statuti, ma sotto la direzione dell'autorità ecclesiastica competente
(cf 312/1).
ACCETTAZIONE E DIMISSIONE DEI SOCI (316) Non possono essere accettati nelle associazioni
pubbliche:
— gli apostati dalla fede
— coloro che si sono separati dalla comunione ecclesiale
— chi è stato colpito da scomunica, inflitta o dichiarata.
Un socio che è incorso in uno dei casi di cui sopra, premessa la necessaria ammonizione, può essere
dimesso, secondo le modalità previste dagli statuti. L'interessato ha la facoltà di ricorrere contro il
provvedimento e tale ricorso ha effetto sospensivo.
I catecumeni, se non esiste un divieto negli statuti, possono essere ricevuti nelle associazioni pubbliche,
perché essi «sono uniti alla Chiesa con un vincolo particolare» (cf. 206/1).
GOVERNO (317)
L'autorità ecclesiastica competente, secondo i casi:
— conferma, istituisce o nomina il Presidente;
— nomina direttamente il Cappellano o l'Assistente ecclesiastico, dopo aver sentito il parere degli ufficiali
maggiori dell'associazione, se ciò risulta opportuno.
Tale principio vale anche per le associazioni pubbliche erette dagli IVC fuori delle proprie chiese. Nelle
associazioni non clericali, i laici possono essere assunti all'ufficio di presidente; il Cappellano o
Assistente ecclesiastico non sia assunto a tale incarico, tranne che gli statuti non prevedano diversamente
(317/3).
NOMINA DI UN COMMISSARIO (318)
È consentita solo in circostanze speciali e per motivi gravi. Tale incarico ha carattere straordinario e
temporaneo. Nel provvedimento devono essere precisati i compiti. Il Presidente può essere rimosso «per
una giusta causa», occorre però ascoltare previamente il Presidente interessato e, se ciò è previsto negli
statuti, anche gli ufficiali maggiori. Il Cappellano viene rimosso dalla competente autorità.
— I beni sono «ecclesiastici» e vanno amministrati a norma del CIC e degli Statuti.
— L'associazione ha l'obbligo del rendiconto annuale all'autorità ecclesiastica competente.
SOPPRESSIONE (320)
Le associazioni pubbliche vengono soppresse dalla medesima autorità che le ha erette, «per grave
causa» e previa l'audizione del Presidente e degli ufficiali maggiori.
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LE ASSOCIAZIONI PRIVATE DI FEDELI
PREMESSE Le associazioni private, formalmente, non esistevano nell'ordinamento anteriore. Ad esse
(come pure alle associazioni pubbliche) oltre che le norme proprie contenute nei rispettivi statuti, si
applicano anche le norme comuni contenute nei cc. 298-311.
Mentre le associazioni pubbliche operano in nome della Chiesa ed hanno una maggiore tutela,
però una minore autonomia, le associazioni private operano in nome privato e quindi godono di
una maggiore autonomia.
Le associazioni private sono dirette e amministrate dai fedeli a norma dei propri statuti.
Esse, oltre il semplice riconoscimento, possono acquisire anche la personalità giuridica per
decreto formale della competente autorità ecclesiastica, previa approvazione degli statuti.
L'acquisizione però della personalità giuridica non modifica la natura dell'associazione, che rimane
sempre privata (cf. 321-322 ).
COMPETENZA DELL'AUTORITÀ ECCLESIASTICA (323)
Le associazioni private, pur godendo di una legittima autonomia, sono soggette:
— alla vigilanza da parte dell'autorità ecclesiastica, allo scopo di garantire la integrità della fede e
dei costumi, nonché il coordinamento di tutte le energie che devono essere ordinate al bene
comune;
— alla giurisdizione della medesima, la quale, per cause molto gravi, potrà adottare opportuni
provvedimenti.
GOVERNO (324)
L'associazione privata di fedeli designa liberamente, sempre però a norma degli statuti, il
Presidente e gli Ufficiali.
Essa può anche designare un Consigliere spirituale fra i sacerdoti che operano in diocesi, che
deve essere però confermato dall'Ordinario del luogo.
BENI TEMPORALI (325)
I beni delle associazioni private non sono «beni ecclesiastici», anche se l'associazione è dotata
di personalità giuridica. Come tali non sono soggetti alla normativa del libro V del CIC, se non è
disposto espressamente (cf. e. 1257/2).
Ciononostante, le autorità ecclesiastiche hanno il diritto di vigilanza perché detti beni vengano
amministrati a norma degli statuti.
ESTINZIONE E SOPPRESSIONE (326/1)
L'estinzione di una associazione privata — non dotata di personalità giuridica — avviene nei
modi determinati dagli statuti e per deliberazione dell'assemblea dei soci.
La soppressione può essere decretata dalla competente autorità ecclesiastica, ma solo per
motivi molto gravi: se l'associazione è dì grave danno per la dottrina o per la disciplina.
DESTINAZIONE DEI BENI (326/2)
In caso di cessazione di una associazione privata, sia per semplice estinzione che per
soppressione, la destinazione dei beni va effettuata a norma degli statuti, salvo i diritti acquisiti e la
volontà degli offerenti.
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LA SUPREMA AUTORITÀ DELLA CHIESA
Il Romano Pontefice e il Collegio dei Vescovi
Come per istituzione del Signore, S. Pietro e gli altri Apostoli costituivano un unico Collegio, per il
medesimo principio e in pari modo, il Romano Pontefice, successore di S. Pietro, e i Vescovi,
successori degli Apostoli, sono uniti fra di loro. Questo canone introduce l'insegnamento del
Vaticano II, contenuto nella LG e nella annessa Nota previa. In esso viene affermato un duplice
principio dommatico:
1) che nel Collegio Episcopale si continua e perpetua il Collegio Apostolico istituito da N,
S. Gesù Cristo, per cui tra i Vescovi vige ininterrottamente il principio della collegialità;
2) che tra il Romano Pontefice e i Vescovi esiste il medesimo vincolo che univa S. Pietro e
gli Apostoli e di conseguenza, il Romano Pontefice è il Capo del collegio Episcopale,
come S. Pietro era il Capo del Collegio Apostolico,
IL COLLEGGIO EPISCOPALE
Come, per volontà del Signore, S. Pietro e gli altri Apostoli costituivano un unico Collegio, per la
medesima ragione, il Romano Pontefice, successore di S. Pietro, cd i Vescovi, successori degli
Apostoli, sono tra di loro congiunti (330).
IL ROMANO PONTEFICE
Il Vescovo della Chiesa di Roma, in cui permane l'ufficio concesso dal Signore singolarmente a
Pietro, primo degli Apostoli, e che deve essere trasmesso ai suoi successori, è capo del Collegio dei
Vescovi, Vicario di Cristo e Pastore qui in terra della Chiesa universale; egli perciò in forza del suo
ufficio, ha potestà ordinaria, suprema, piena, immediata e universale sulla Chiesa, potestà che può
essere sempre esercitata liberamente (331).
Nel Collegio episcopale continua e si perpetua il Collegio Apostolico fondato da Cristo, per
cui vige tra i Vescovi il principio della collegialità.
Tra il Romano Pontefice e i Vescovi esiste il medesimo rapporto che univa Pietro e gli
Apostoli. In conseguenza, il Romano Pontefice è il Capo del Collegio Episcopale, come Pietro era
Capo del Collegio Apostolico.
Il Romano Pontefice è il successore di S. Pietro e i Vescovi sono successori degli Apostoli,
però il modo della successione ha un carattere diverso:
1) Il Romano Pontefice succede a Pietro direttamente, in quanto ne eredita gli uffici dì
Pastore universale della Chiesa e di Capo del Collegio Episcopale;
2) I Vescovi, invece, succedono agli Apostoli attraverso il Collegio Episcopale di cui fanno
parte, e non ereditano le prerogative speciali che essi ebbero da Cristo.
Di conseguenza, mentre la potestà di ogni singolo Apostolo si estendeva a tutta la Chiesa,
quella dei singoli Vescovi è limitata ad una Chiesa particolare.
La potestà dei Vescovi nella Chiesa universale è soltanto di natura collegiale ed ha come
condizione la «comunione gerarchica» col Papa, capo del Collegio.
Il c. 331 è denso di contenuto teologico e giuridico. In esso si afferma che il Romano Pontefice
possiede la pienezza del potere pastorale, chiamato primato, il quale non è solo di onore nè di
carattere presidenziale, ma in senso proprio di giurisdizione e di governo su tutta la Chiesa.
Per diritto divino il Romano Pontefice è:
Successore di S. Pietro e come tale, rivestito della stessa funzione di governo pastorale,
conferita da Cristo individualmente all’Apostolo;
Il capo del Collegio Episcopale come Pietro era il capo del Collegio Apostolico;
Vicario di Gesù Cristo per la Chiesa universale;
Il Pastore della Chiesa Universale.
19
POTESTA’ DEL ROMANO PONTEFICE
In forza del suo ufficio, il Romano Pontefice ha una potestà:
Ordinaria, in quanto è annessa al suo ufficio;
Suprema, in quanto nella Chiesa non esiste alcuna potestà che sia superiore o uguale o che non le
sia soggetta. Per questo motivo, contro una decisione del Papa non si dà ricorso o appello: «Roma
locuta est, causa finita est».
Piena, perché non le manca nessun mezzo necessario o utile al raggiungimento del fine: comprende
il potere dì insegnare, di santificare e dì governare in tutta la Chiesa e con tutte le relative funzioni;
Immediata, in quanto la può esercitare direttamente per sé o per mezzo dei suoi Vicari su persone,
luoghi e cose e non è tenuto ad esercitarla mediante i rispettivi Vescovi locali.
Universale, in quanto si estende su tutta la Chiesa:
circa il territorio: Chiesa Universale e Chiese particolari;
circa le persone: pastori e fedeli;
circa le cose: fede, costumi, disciplina, amministrazione ecc.
Indipendente nella sua origine, perché la riceve direttamente da Dio; e non tramite il Collegio dei
Cardinali riuniti in conclave;
Indipendente nel suo esercizio valido e lecito, perché giuridicamente non è responsabile dinanzi ad
alcuna potestà umana;
Libera, perché la può esercitare sempre liberamente.
POTESTA’ DI GOVERNO
In rapporto alla potestà di governo o pastorale, il Romano Pontefice ha:
il potere legislativo su tutta la Chiesa: nel 1983 ha promulgato il nuovo CIC per la Chiesa
Latina e nel 1990 il nuovo CIC per le Chiese Orientali;
il potere giudiziario che esercita su tutta la Chiesa, mediante i suoi Tribunali, che sono il
Tribunale della Rota Romana, il Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica e la
Penitenzeria Apostolica;
il potere amministrativo, in quanto, in virtù del suo primato, il Romano Pontefice è il
Supremo Amministratore.
ROMANO PONTEFICE
Titoli
VESCOVO DI ROMA
ROMANO PONTEFICE, perché è il successore di S. Pietro nella sede di Roma e come
tale è rivestito della stessa potestà conferita da Cristo a S. Pietro.
CAPO DEL COLLEGIO EPISCOPALE, come S. Pietro era capo del Collegio
Apostolico.
VICARIO DI CRISTO, perché è il Vicario del Capo invisibile della Chiesa, che è Cristo.
PASTORE DELLA CHIESA UNIVERSALE, come i Vescovi sono pastori per le singole
Chiese particolari (LG 21/334)
PATRIARCA D'OCCIDENTE
PRIMATE D'ITALIA
SOVRANO DELLO STATO CITTÀ DEL VATICANO
Cause Maggiori riservate al Pontefice
Uno dei modi di esercitare il Primato è la riserva di alcune cause che devono essere trattate
esclusivamente dal Romano Pontefice. Il Romano Pontefice, come Vescovo della Chiesa
Universale, ha la potestà diretta e immediata nelle singole Chiese e sui singoli Vescovi, la cui
potestà è propria ed in certo senso anche piena, però subordinata nell'esercizio. Le cause maggiori
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direttamente o indirettamente riguardano più la Chiesa Universale come tale che le singole Diocesi
e i singoli Vescovi. Le cause maggiori sono di due specie:
A) Cause maggiori «ex natura sua», in quanto spettano alla suprema potestà per loro natura
intrinseca. Tali cause sono le seguenti:
a) quelle che suppongono la infallibilità o sono connesse con la fede o con i costumi: definizione
di dogmi, canonizzazioni, condanna di errori ...;
b) quelle che richiedono la suprema potestà: regime della Chiesa Universale, promulgazione ed
abrogazione di leggi universali, convocazione e celebrazione di concili ecumenici ecc.;
c) quelle che riguardano la costituzione della Chiesa o le relazioni delle Chiese particolari con la
suprema Autorità o tra di loro: erezione o innovazioni di Diocesi e di Province ecclesiastiche,
nomina e trasferimento di Vescovi;
B) Cause maggiori per diritto positivo, perché riguardano il bene della Chiesa Universale. Tali
sono:
a) quelle che riguardano la dottrina: Beatificazione di Servi di Dio, approvazione di libri liturgici
ecc.;
b) quelle che riguardano il governo: esenzione degli IVC e il loro regime interno, la costituzione
di impedimenti per tutta la Chiesa;
c) quelle che riguardano i giudizi nei quali sono parte in causa persone di una dignità speciale:
cause circa la sacra Ordinazione, la dispensa super matrimonio rato et non consummato;
d) quelle che riguardano pene da infliggersi a certe persone.
Inoltre al Sommo Pontefice compete anche una potestà particolare come: -Patriarca di tutto
Occidente (già dal secolo IV°); Primate d'Italia e delle Isole adiacenti; _
Metropolita della Provincia Romana;
Vescovo della Dioc. di Roma, potestà che esercita per mezzo del Card. Vicario;
Sovrano dello Stato della Città del Vaticano, potestà che esercita per mezzo della Commissione
Cardinalizia per la Città del Vaticano.
Il modo della elezione del Romano Pontefice non è stato determinato dal diritto divino: essa
avviene per elezione canonica: appena l'eletto dichiara di volere accettare, immediatamente riceve
da Dio la piena e suprema potestà sulla Chiesa Universale (332/1). La disciplina vigente per
l'elezione del Romano Pontefice è contenuta nella Cost Ap. «Universi Dominici Gregis» emanata
da Giovanni Paolo II il 22 febbraio. 1996.
Requisiti del candidato
deve essere uomo
deve ricevere l'Ordine sacro se ne è privo
deve godere l'uso di ragione
deve essere membro della Chiesa
Elettori del Sommo Pontefice sono i Cardinali che non hanno superato 1'800
anno di età (Cost. Ap.,
art. 33).
FORME DELLA ELEZIONE
Aboliti i modi di elezione detti «per acclamationcm seu inspirationem» c «per compromissum», la
forma dì elezione del Romano Pontefice è unicamente «per scrutinium».
Per la valida elezione del Romano Pontefice si richiedono i due terzi dei suffragi, computati sulla
totalità degli elettori presenti (Cost Ap., art. 62).
CESSAZIONE DALL’UFFICIO
Il Romano Pontefice ottiene potestà piena e suprema nella Chiesa con la legittima elezione, da lui
accettata, insieme con la consacrazione episcopale. Pertanto, l'eletto al sommo pontificato, il quale è
gia insignito del carattere episcopale, ottiene tale potestà dal momento dell'accettazione. Se l'eletto
fosse privo del carattere episcopale, sia ordinato Vescovo immediatamente (33211).
La cessazione dall'ufficio ordinariamente avviene per la morte del Pontefice. Nel caso che il
Romano Pontefice rinunzi al suo ufficio, per la validità si richiede che la rinunzia sia fatta
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liberamente e sia debitamente manifestata, ma non si richiede che sia accettata da alcuno (332/2). Il
Romano Pontefice accetta liberamente il suo ufficio e liberamente può rinunziarvi, supposta, per la
liceità una causa giusta e proporzionata (187). Celebre è la rinunzia fatta da Papa Celestino V, dopo
5 mesi ed 8 giorni dalla sua elezione (13 dico 1294) e quella più recente di Benedetto XVI l’11
febbraio 2013.
Poichè la rinunzia non ha bisogno di accettazione da parte di alcuno, non è determinata alcuna
formalità concreta. Si richiede soltanto: che sia fatta liberamente, ai sensi del can. 188 e che sia
manifestata debitamente, nella forma che lo stesso Romano Pontefice riterrà più opportuna. Fatta la
rinunzia, ipso iure divino, la persona viene privata della suprema potestà. Il Collegio dei Cardinali
dovrà soltanto constatare l'avvenuta rinunzia per procedere alla elezione del nuovo Pontefice.
La cessazione dall'ufficio può verificarsi anche per altre due cause:
insania perpetua»;
«lapsu in haeresi publica et manifesta ut persona privata».
SEDE VACANTE
Durante la Sede vacante la Chiesa viene retta collegialmente dal Collegio dei Cardinali, «in rebus
ordinariis».
Le norme sulla «Vacanza della Sede Apostolica» sono contenute nella parte prima della Cost. Ap.
«Romano Pontifici eligendo». «Durante la vacanza della Sede Apostolica, il governo della Chiesa
rimane affidato al Sacro Collegio dei Cardinali per il solo disbrigo degli affari ordinari e di quelli
indilazionabili, e per la preparazione di tutto ciò che è necessario all'elezione del nuovo Papa, nei
termini e nei limiti indicati da questa Costituzione» (art. l).
IL COLLEGIO DEI VESCOVI
Principi teologico-giuridici
1. Il Collegio Ep. non è da intendersi in senso strettamente giuridico, come di un gruppo di eguali
che demandano il loro potere al Presidente, ma di un gruppo stabile, la cui struttura e attività
devono essere dedotte dalla Rivelazione (nep l).
2. Il Collegio è di istituzione divina:
il suo capo è il Romano Pontefice, successore di S. Pietro;
i membri sono i Vescovi, successori degli Apostoli.
3. Come tale, il Collegio dei Vescovi continua e perpetua ininterrottamente il Collegio Apostolico.
4. I Vescovi sono membri del Collegio ad una duplice condizione:
che abbiano ricevuto la consacrazione episcopale; c
che abbiano l'effettiva comunione gerarchica con il Capo e con i membri del Collegio
Episcopale.
5. Il Collegio Episcopale suppone necessariamente e sempre il Capo, senza del quale non può
esistere. Il Capo può compiere alcuni atti che non competono in alcun modo ai Vescovi: convocare
il Concilio ecumenico, approvare le norme di azione ecc.
6. Il soggetto della piena e suprema potestà è duplice nella Chiesa universale:
del Romano Pontefice e del Collegio Episcopale.
Essi, però, non sono separati né separabili perché il Romano Pontefice, per diritto divino, è anche
membro del Collegio Episcopale e Capo di esso e il Collegio non esiste né può esistere senza di lui.
Ciononostante i due soggetti sono distinti, poiché il Capo può agire da sé senza il Collegio, mentre
il Collegio non potrebbe agire senza il Capo.
ESERCIZIO DELLA POTESTÀ
I Vescovi esercitano la loro potestà piena e suprema su tutta la Chiesa in una duplice forma:
l° In forma solenne, quando sono riuniti collegialmente nel Concilio Ecumenico o Universale;
2° In forma non solenne, se sparsi in tutto il mondo, operano insieme con azione congiunta, indetta
o accettata come tale dal Romano Pontefice, in modo da risultare un vero atto collegiale.
3° Spetta al Romano Pontefice, tenuto conto delle necessità della Chiesa, scegliere e promuovere la
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forma concreta di tale azione collegiale dei Vescovi, per il governo pastorale della Chiesa.
Esempi del secondo tipo sono le consultazioni a livello mondiale scelte dai vari Papi negli ultimi
due secoli:
da Pio IX, per la proclamazione del dogma dell 'Immacolata Concezione;
da S. Pio X, per la compilazione del Codex Iuris Canonici;
da Pio XII, per la proclamazione del dogma dell' Assunzione di Maria SS. al cielo;
da Paolo VI e da Giovanni Paolo Il, per la revisione del Codex Iuris Canonici.
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I CONCILI
(cc. 336-341; 439-446)
Il CIC tratta dei Concili perché la potestà di governo nella Chiesa può essere esercitata
individualmente, ossia da persone singole (Romano Pontefice e Vescovi) ed anche collegialmente,
ossia per mezzo di organismi che non sono di diritto divino ma solo di diritto ecclesiastico,
organismi che non sono strettamente necessari, ma che si rivelano molto utili per il bene della
Chiesa Universale e per il bene anche delle Chiese particolari.
I Concili, in genere, sono organi collegiali straordinari e non necessari nella Chiesa. Anticamente si
chiamavano indifferentemente Concili o Sinodi; da Benedetto XIV la voce Sinodo venne usata per
indicare il solo Sinodo Diocesano.
INDIVIDUALI Romano Pontefice e Vescovi
COLLEGIALI Deliberativi Concili [Ecumenici - Particolari (Plenari – Provinciali)]
Congregazioni
Tribunali
Consultivi Sinodo dei Vescovi
Conferenze Episcopali
Sinodi diocesani
Consiglio presbiterale
Consiglio pastorale
Nozione generale
Il Concilio è la riunione legittima dei Vescovi e di altri Prelati sotto il Romano Pontefice per trattare
e deliberare cose che riguardano la Chiesa.
È la riunione: un organo collegiale straordinario di diritto ecclesiastico.
legittima: il Concilio riceve la potestà dal diritto e non immediatamente da Dio; come tale
deve svolgersi secondo la legge dalla quale riceve la potestà;
dei Vescovi: in quanto differisce dal Sinodo diocesano che è la riunione dei presbiteri e di
altri ecclesiastici di una diocesi, fatta dal Vescovo per trattare cose che riguardano la vita
pastorale e la disciplina ecclesiastica;
e di altri Prelati: secondo il diritto vigente, oltre i Vescovi, vi partecipano anche altri
Prelati;
per trattare e deliberare: in questo differisce dal Sinodo, dai Consigli, che in genere sono
organi semplicemente consultivi;
di affari che riguardano la Chiesa: la Chiesa Universale (Concilio Ecumenico), o le
Chiese particolari (Concilio plenario e Provinciale).
DIVISIONE
Il Concilio è di due specie: ecumenico e particolare.
a) Il Concilio ecumenico è la riunione di tutta la Chiesa col Romano Pontefice per trattare e deliberare
di cose che riguardano la Chiesa universale.
Requisiti
Convocazione fatta dal Romano Pontefice (338/1; L022/336-37);
Rappresentanza morale di tutta la Chiesa mediante la partecipazione di molti Vescovi. Il giudizio
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circa il numero dei partecipanti spetta al Papa;
Approvazione da parte del Romano Pontefice: senza di questo requisito gli atti collegiali anche di
tutti i Vescovi non possono essere atti del Concilio ecumenico (LO 22/336-37).
b) Il Concilio particolare è la riunione legittima di tutti i Vescovi di una circoscrizione territoriale
(Nazione o Provincia), sotto il legittimo superiore, per trattare e deliberare di cose riguardanti la
medesima. Le deliberazioni devono essere approvate dalla Sede Apostolica (446). Il Concilio
particolare è duplice:
- Plenario: la riunione dei Vescovi di una Conferenza Ep., sotto la presidenza di un Vescovo eletto
dalla medesima e approvato dal Papa (441);
- Provinciale: la riunione dei Vescovi di una Provincia ecclesiastica col proprio Metropolita (442).
NECESSITA’
Il Concilio ecumenico non è necessario «Iure divino» perché Gesù Cristo non ha prescritto azioni
collegiali e perché il Romano Pontefice possiede la pienezza della potestà; non è necessario neppure
«Iure canonico» perché l'eventuale celebrazione viene decisa liberamente dal Papa. I Concili
particolari non sono necessari «iure divino» e neppure «dure canonico»: vengono celebrati ogni
volta che risultino necessari o utili alla Conferenza Episcopale, con l'approvazione della Sede
Apostolica (439/1). I Concili, anche se non assolutamente necessari, possono essere molto utili e a
volte anche necessari per promuovere l'unità di azione interna ed esterna.
NATURA
Concili particolari sono Collegi canonici «simpliciter». Perciò: devono applicare le norme generali
dei Collegi: devono constare almeno di tre persone fisiche tra di loro uguali, che hanno gli stessi
diritti e doveri, distinti dai diritti e dai doveri dei singoli; essi devono essere esercitati
collegialmente ed a maggioranza di suffragi (119). Il Concilio ecumenico è un collegio canonico
«sui generis» (non bastano tre persone fisiche, le decisioni hanno valore non dalla semplice
maggioranza dei suffragi, ma dall'approvazione e conferma del Romano Pontefice. Il Preside è il
vero Capo del Concilio (LO nep).
ORIGINE DELLA POTESTA’
NEGATIVAMENTE:
non procede dalla volontà dei singoli fedeli, poiché ad essi Gesù Cristo non affidò alcuna
potestà da trasmettere alla Gerarchia;
non è la somma delle Potestà individuali ed è distinta dall'Ufficio episcopale in sé circa le
Chiese particolari: la potestà del Concilio è collegiale e suprema e tende alla Chiesa
Universale;
non deriva da un patto comune, poiché il diritto non consente che la potestà di governare le
Chiese particolari venga delegata.
POSITIVAMENTE: nei Concili ecumenici è di diritto divino, in quanto è un modo di esercitare il
primato; nei Concili particolari deriva «ex iure canonico».
NATURA GIURIDICA DELLA POTESTA’ DEI CONCILI
Tale potestà è canonica, collegiale, suprema nel Concilio ecumenico, ad instar episcopale negli altri
Concili.
Canonica, perché procede immediatamente dalla volontà del Romano Pontefice;
a) nel Concilio ecumenico la potestà dei Padri è propria ed episcopale, sebbene subordinata, o
vicaria del Romano Pontefice. Nel primo caso è la stessa potestà episcopale non distinta da
quella che essi hanno nelle proprie diocesi. Però la potestà esercitata in Concilio è più
subordinata al Romano Pontefice: i Vescovi non possono convocare il Concilio, predisporre
l'ordine della materia da trattare, confermare gli atti...
Non è di diritto divino la potestà dei Padri che non sono Vescovi: essa è certamente
ecclesiastica, ordinaria, vicaria del Romano Pontefice.
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b) nei Concili particolari la potestà dei Vescovi sembra essere veramente episcopale o vicaria
del Romano Pontefice: gli atti vengono approvati dal Romano Pontefice, però rimangono
sempre atti del Concilio.
Collegiale e perciò distinta dalla potestà che i Vescovi esercitano nelle rispettive diocesi: ciò
che compete al Collegio non compete ai singoli.
E più ampia, perché viene esercitata sulla Chiesa universale o nella Provincia; è superiore:
suprema nel Concilio ecumenico, sopra episcopale nei Concili particolari, poiché i Decreti
obbligano in tutte le diocesi, anche in quelle rette dai Vescovi che hanno dato voto contrario;
essi non possono dispensare dagli obblighi imposti dai Concili particolari.
SOGGETTO DELLA POTESTA’
Nel Concilio ecumenico è duplice, realmente ma inadeguatamente distinto: Collegio episcopale e
Romano Pontefice.
Realmente distinto, perché un soggetto è il Collegio episcopale e l'altro è il Romano Pontefice;
inadeguatamente, perché il Concilio, come tale, consta di tutti e due i soggetti: come parte non si
distingue adeguatamente dal tutto, così il capo non si distingue dal Corpo.
Nei Concili particolari il soggetto della potestà è lo stesso Concilio.
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IL SINODO DEI VESCOVI
(cc. 342-348: LG 23; CD 5)
l. CENNI STORICI
Nel Concilio Vaticano II fu sancito il principio della collegialità dei Vescovi (LG 22); come
conseguenza della collegialità episcopale, Paolo VI istituì il Sinodo dei Vescovi (AS 25.9.1965) e
successivamente approvò il Regolamento del Sinodo (Ugn 8.12.1966).
2. NOZIONE
Il Sinodo dei Vescovi è un Istituto ecclesiastico centrale con sede in Roma, che rappresenta
tutto l'Episcopato cattolico, di natura sua perpetuo, quanto alla struttura, però temporaneo, e usa il
suo ufficio all' occasione.
3. FINE
Il fine del Sinodo viene precisato dal documento pontificio col quale esso è stato istituito e dal
can. 342: favorire una stretta unione fra il Romano Pontefice e i Vescovi stessi, e prestare aiuto col
consiglio al Romano Pontefice nella salvaguardia e nell'incremento della fede e dei costumi,
nell'osservanza e nel consolidamento della disciplina ecclesiastica e inoltre per studiare i problemi
riguardanti l'attività della Chiesa nel mondo.
4. COMPOSIZIONE
Il Sinodo risulta composto di un numero di Vescovi appartenenti a tutta la Chiesa cattolica, sia
latina che orientale; alcuni Vescovi sono membri del Sinodo ex officio, altri ex electione e vengono
eletti di volta in volta dalle rispettive Conferenze Episcopali ed altri vengono nominati direttamente
dal Romano Pontefice; a questi si aggiungono alcuni membri di IVC clericali, eletti a norma del
diritto particolare.
Tale composizione vale per l'assemblea generale ordinaria e per l'assemblea generale
straordinaria. Il Sinodo dei Vescovi che si riunisce in assemblea speciale è composto soprattutto di
membri scelti da quelle regioni per le qu..!1i il Sinodo viene convocato, a norma del diritto
peculiare da cui è retto il Sinodo (346).
5. COMPETENZA
Il Sinodo dei Vescovi non ha potere deliberativo, a meno che il Papa non lo voglia, caso per
caso.
6. MODO DI PROCEDERE Il Sinodo dei Vescovi si può riunire in assemblea generale ordinaria, in assemblea generale
straordinaria e in assemblea speciale (346). La procedura per ogni tipo di assemblea viene stabilita
dalle norme costitutive.
7. CONVOCAZIONE
La convocazione viene fatta dal Papa a tempo opportuno nei modi opportuni. Spetta a lui anche:
designare il luogo in cui tenere le assemblee
ratificare l'elezione dei membri che devono essere eletti
designare e nominare gli altri membri
stabilire gli argomenti delle questioni da trattare
definire l'ordine dei lavori
presiedere il Sinodo personalmente o attraverso altri
concludere, trasferire, sospendere e sciogliere il Sinodo (344).
8. SEGRETERIA GENERALE PERMANENTE
Quando si conclude l'Assemblea per la quale il Sinodo è stato convocato cessano ipso facto sia
la composizione del Sinodo, sia gli uffici e gli incarichi che appartengono ai singoli come tali.
Il Sinodo però ha la sua Segreteria generale permanente, presieduta dal suo Segretario generale,
nominato dal Romano Pontefice, il quale viene aiutato da un consiglio di Segreteria composto di
Vescovi. Ogni Assemblea ha il suo Segretario che resta in carica sino alla fine dei lavori.
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CHIESE PARTICOLARI
(cc. 368-374: 215-217; LG 23, 25, 26, 28; CD 2, 1l,22, 32, 43; PO 4-5)
PRINCIPIO TEOLOGICO
Le Chiese particolari, nelle quali e dalle quali sussiste la Chiesa cattolica una e unica, sono
soprattutto le diocesi, alle quali sono assimilate le prelature, le abbazie territoriali, il vicariato
apostolico e la prefettura apostolica, e inoltre 1'amministrazione apostolica stabilmente eretta (368;
LO 23; CD II).
RAPPORTI ESSENZIALI FRA LA CHIESA UNIVERSALE E LA CHIESA PARTICOLARE
I rapporti essenziali fra la Chiesa universale e la Chiesa particolare sono i seguenti:
1° Non sono due realtà diverse, distinte o parallele, molto meno contrapposte, ma una realtà
unica, poiché è nelle Chiese particolari e dalle Chiese particolari che la Chiesa universale vive e
sussiste ed è in esse che si manifesta e opera nel mondo, e d'altra parte la Chiesa particolare non è
concepibile senza il suo essenziale riferimento alla Chiesa universale.
2° La Chiesa univo non è la somma delle Chiese part. o la loro confederazione sotto la
presidenza della Sede Romana: formano insieme un organismo unitario, il Corpo mistico di Cristo.
3° La Chiesa partic. non è una semplice rappresentazione della Chiesa universale: è la Chiesa
universale che vive ed opera in un determinato luogo o in una determinata comunità di fedeli.
4° La Chiesa particolare non è una sezione della Chiesa universale, come può essere una
provincia civile nei confronti dello Stato: "E una porzione del Popolo di Dio, nell' ambito di un
determinato territorio, la quale «formata ad immagine della Chiesa universale (LO 23), ne ha la
completezza, possedendone tutte le proprietà essenziali, tutti gli elementi costitutivi: la parola, i
sacramenti, il ministero sacro, i doni dello Spirito: È una parte che contiene il tutto.
5° La Chiesa particolare. è la manifestazione concreta della Chiesa universale in un determinato
ambito spazio-temporale, in una determinata «porzione del Popolo di Dio», è la sua attualizzazione,
la sua incarnazione, la sua espressione autentica.
6° «Questa Chiesa di Cristo è veramente presente in tutte le legittime comunità di fedeli, le quali,
in quanto aderenti ai loro pastori, anch'esse sono chiamate Chiese nel nuovo Testamento. Esse,
infatti, sono nella loro sede, il Popolo nuovo chiamato da Dio con l'effusione dello Spirito Santo e
con grande dovizia di doni.
La DIOCESI è «una porzione del popolo di Dio affidata alle cure pastorali di un Vescovo,
coadiuvato dal suo presbiterio».
Oli elementi costitutivi essenziali sono 3:
a) il pastore proprio;
b) il presbiterio;
c) il popolo fedele.
Elemento formale è l'erezione da parte della competente autorità, la Sede Apostolica. Le Diocesi
devono essere divise in parrocchie; più parrocchie viciniori possono essere riunite in vicariati
foranei (374).
Alle diocesi, ex iure, sono assimilate le altre Chiese particolari:
1) Prelature territoriali: ad esse ordinariamente è preposto un Vescovo;
2) Abbazie territoriali: ne esistono 15 di cui 11 sono benedettine;
3) Vicariati apostolici: strutture essenzialmente missionarie rette ordinariamente da un Vescovo;
4) Prefetture apostoliche: anche queste strutture missionarie, rette da un Prefetto apostolico, non
insignito di carattere episcopale.
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I VESCOVI IN GENERE
(cc. 375-380: 329-349; LG 19, 20, 21, 23, 25; CD 2, 11, 26; ES)
I Vescovi, che per divina istituzione sono successori degli Apostoli, mediante lo Spirito Santo che è
stato loro donato, sono costituiti Pastori della Chiesa perché siano anch'essi maestri di dottrina,
sacerdoti del sacro culto e ministri del governo.
Con la stessa consacrazione episcopale i Vescovi ricevono, con l'ufficio di santificare, anche gli
uffici di insegnare e governare, i quali tuttavia, per loro natura, non possono essere esercitati se non
nella comunione gerarchica col Capo e con le membra del Collegio (37511-2).
Nel canone citato vengono affermati i seguenti principi teologici;
1° I Vescovi sono successori degli Apostoli e ciò «ex divina institutione» in quanto la potestà
pastorale degli Apostoli passa ai successori, però con differenza circa il modo di acquistarla: gli
Apostoli vennero scelti direttamente da Gesù e da Lui ricevettero la potestà di governo; i Vescovi,
al contrario, vengono scelti in modo umano e ricevono dagli uomini tale potestà «quoad
exercitium»; gli immediati successori degli Apostoli vennero scelti dagli stessi Apostoli e da loro
ricevettero la potestà di reggere le singole Chiese; i successori mediati (i Vescovi) vengono scelti
secondo le norme canoniche e ricevono la potestà di governo mediante la «missio canonica».
I Vescovi, dunque, sono successori degli Apostoli in questo senso: nei diritti ordinari dell'ufficio
pastorale e non già nei diritti dell'ufficio apostolico.
2° Per divina istituzione vengono posti a capo delle Chiese particolari: l'episcopato, infatti, è di
diritto divino in genere e «quoad substantiam» (non è istituito dagli Apostoli, come dicono gli
Anglicani, Harnack ecc.) e perciò neppure il Papa potrebbe abolirne l'ufficio o limitarlo
sensibilmente: «La missione divina affidata da Cristo agli Apostoli durerà sino alla fine dei secoli ...
Per questo gli Apostoli, in questa società gerarchicamente organizzata, ebbero cura di costituirsi dei
successori» (LG 20/331).
3° Tali uffici non possono essere esercitati se non nella comunione gerarchica col capo e con le
membra del Collegio, proprio come gli Apostoli reggevano le loro Chiese sotto la dipendenza di S.
Pietro.
4° I Vescovi reggono le Chiese particolari con potestà ordinaria .... , perché non sono delegati di
nessuno, neppure del Romano Pontefice: «Questa potestà, che personalmente esercitano in nome di
Cristo, è propria, ordinaria e immediata, quantunque il suo esercizio sia in definitiva regolato dalla
suprema autorità della Chiesa ... » (LG 27/351).
5° -È necessaria la comunione gerarchica col Romano Pontefice, capo del Collegio episcopale e
con gli altri membri del Collegio, perché il Vescovo, nell'esercizio della sua missione episcopale
non è isolato: egli esercita le sue funzioni in quanto è membro del Collegio Episcopale (cf. LG 22,
l).
La consacrazione episcopale è la fonte radicale, ontologica, dei poteri episcopali, però, la «missio
canonica» da parte del Capo del Collegio costituisce la determinazione giuridica che conferisce lo
«exercitium iuris» (Nep).
IDONEITA’
Per l'idoneità di un candidato all'episcopato si richiede che:
l° sia eminente per fede salda, buoni costumi, pietà, zelo per le anime, saggezza, prudenza e virtù
umane, e inoltre dotato di tutte le altre qualità che lo rendono adatto a compiere l'ufficio in
questione;
2° goda di buona reputazione;
3° abbia almeno 35 anni di età;
4° sia presbitero almeno da 5 anni;
5° abbia conseguito la laurea dottorale o almeno la licenza in sacra Scrittura, teologia o diritto
canonico in un istituto di studi superiori approvato dalla Sede Apostolica, oppure sia almeno
veramente esperto in tali discipline.
Il giudizio definitivo sull'idoneità del candidato spetta alla Sede Apostolica (37811-2).
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CONSACRAZIONE
Deve essere ricevuta entro tre mesi utili, a decorrere dalla recezione della lettera apostolica,
salvo il caso di legittimo impedimento;
Per la liceità della ordinazione episcopale (non per la validità) si richiedono almeno tre
Vescovi (1014)
la consacrazione deve precedere la presa di possesso dell'ufficio (379).
PROFESSIONE DI FEDE
Prima di prendere possesso canonico del suo ufficio, colui che è promosso emetta la professione di
fede e presti giuramento alla Sede Apostolica, secondo la formula approvata dalla medesima (380).
I VESCOVI OCESANI
(cc. 381-402: 334-349; LG 23,26-27; CD 8, 11, 15-18,21,23)
DEFINIZIONE
È il Vescovo cui è stata affidata la cura pastorale dì una diocesi, che regge con potestà ordinaria,
propria e immediata che si richiede per l'esercizio del suo ufficio pastorale, eccettuate quelle cause
che, per diritto o per decreto del Sommo Pontefice, sono riservate all'autorità suprema o ad altra
autorità ecclesiastica.
Al Vescovo diocesano sono giuridicamente equiparati quelli che presiedono ad altra comunità di
fedeli (Prelati e Abbati territoriali, Vicari e Prefetti Apostolici), se non consta diversamente dalla
natura della cosa (colui che non è insignito della dignità episcopale non può conferire gli Ordini
sacri) ovvero dalla prescrizione del diritto (il c. 400 stabilisce una norma differente per la visita ad
limina).
POSSESSO CANONICO
Lo «exercitium iuris» il Vescovo lo acquista con il possesso canonico. Questo deve essere effettuato
«entro 4 mesi a decorrere dalla recezione delle lettere apostoliche, se non è stato già consacrato
vescovo; entro 2 mesi dalla medesima recezione, se è stato già consacrato» (382).
Poiché si tratta di «tempo utile», qualsiasi impedimento scusa dalla sua osservanza (201/2).
La procedura del possesso canonico avviene secondo queste modalità:
mediante la presentazione delle «lettere apostoliche al Collegio dei Consultori, alla presenza
del Cancelliere della Curia che ponga la cosa in atti»;
mediante la «comunicazione delle medesime al Clero e al popolo ... , mentre il presbitero
più anziano degli astanti redige il verbale relativo, se si tratta di una diocesi di nuova
erezione» (382/3).
è consigliabile che essa avvenga «con un'azione liturgica nella Chiesa cattedrale, alla
presenza del clero e del popolo» (382/4).
PRINCIPALI DOVERI PASTORALI
I principali obblighi sono quelli che riguardano la sollecitudine e lo zelo:
l) verso i fedeli in genere, che abitano nel territorio della diocesi, qualunque sia la loro età,
condizione o nazionalità;
2) Settori speciali che meritano una particolare attenzione:
a) i fedeli, che per la loro condizione di vita, non possono beneficiare sufficientemente della cura
pastorale ordinaria: i poveri, gli anziani, gli ammalati, i giovani, gli operai, i carcerati, gli emigrati, i
turisti ecc. (383/1);
b) Coloro che si sono allontanati dalla pratica religiosa, oppure hanno abbandonato la fede,
professano l'ateismo, sono esposti ai pericoli della secolarizzazione (38311):
c) I fedeli di rito diverso (383/2);
d) I fedeli che non sono in piena comunione con la Chiesa Cattolica (383/3);
e) I non battezzati (38314);
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3) I presbiteri, che sono i suoi collaboratori diretti, indispensabili e i suoi precipui consiglieri, e
devono essere trattati «come fratelli ed amici ed avere a cuore il benessere spirituale e anche
materiale». Ne deve difendere i diritti ed aver cura che adempiano gli obblighi propri del loro stato.
4) La cura delle vocazioni ecclesiastiche, religiose e missionarie (385).
5) Il ministero della parola. Questo è il dovere più importante del Vescovo, perché è il «maestro
della fede» (386/1);
6) La difesa dell'integralità e dell'unità della fede (38612);
7) L'impegno per la santità propria e dei fedeli (387);
8) La Messa «pro populo» (388)
9) La celebrazione della SS.ma Eucarestia (389).
POTERI DI GOVERNO
Oltre il «munus docendi» e il «munus sanctificandi», il Vescovo diocesano, nella Chiesa
particolare affidata alla sua cura, ha pure il «munus regendi», nella sua triplice funzione,
legislativa, esecutiva e giudiziaria. Egli esercita:
1) la funzione legislativa sempre e solo personalmente, perché questa non è delegabile;
2) la funzione esecutiva o amministrativa, sia personalmente sia per mezzo dei suoi vicari generali
ed episcopali;
3) la funzione giudiziaria, sia personalmente sia mediante il suo Vicario giudiziale (391).
ALTRI OBBLIGHI
1) Tutelare la disciplina ecclesiastica;
2) Vigilare contro possibili abusi soprattutto per quanto riguarda:
il ministero della parola
la celebrazione dei sacramenti e dei sacramentali i
l culto di Dio e dei santi
l'amministrazione dei beni ecclesiastici (392);
3) Promuovere il coordinamento delle opere di apostolato (394);
4) Rappresentare giuridicamente la diocesi (393);
5) Risiedere personalmente in diocesi dalla quale si potrà assentare legittimamente per un periodo
non superiore ad un mese ogni anno (395);
6) Essere presente in diocesi nelle maggiori solennità dell'anno: Natale, Settimana santa, Pasqua,
Pentecoste e Corpus Domini (395/3);
7) Visitare canonicamente ogni anno la diocesi, o tutta o in parte, in modo che l'intera diocesi sia
visitata almeno ogni quinquennio (396-398);
8) Fare la relazione quinquennale e la Visita «Ad limina» (399-400);
9) È invitato, dopo aver compiuto il 75° anno di età, a presentare le dimissioni del suo ufficio al S.
Padre, «il quale deciderà in merito dopo aver vagliato tutte le circostanze» (401).
Il Vescovo dimissionario conservare il titolo di «emerito» della diocesi di cui ha lasciato l'ufficio; se
lo desidera, può conservare la residenza nella stessa diocesi;
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LA PARROCCHIA
(cc. 515-518)
La parrocchia è una determinata comunità di fedeli che viene costituita stabilmente nell' ambito di
una Chiesa particolare e la cui cura è affidata, sotto l'autorità del Vescovo diocesano, ad un parroco
quale suo proprio pastore (515/1).
«La parrocchia rimane ancor oggi una formula superlativa di vita comunitaria modernissima,
polivalente, facile ed eroica nello stesso tempo. Essa è tuttora un organo indispensabile di primaria
importanza nella struttura vitale della Chiesa» (Alloc. di PAOLO VI).
Elementi essenziali:
- Personale: la comunità di fedeli
- Istituzionale: il proprio pastore
Elementi integranti:
- Il territorio. Pur essendo ammessi altri criteri (rito, lingua, nazionalità) per la divisione del Popolo
di Dio, il criterio del territorio è stato e rimane il criterio fondamentale (518)
- la chiesa: ogni comunità di fedeli deve avere un luogo ove riunirsi per ascoltare la parola di Dio,
celebrare l'Eucarestia ecc.
Competenza
Essendo il Vescovo «il Pastore della Chiesa particolare affidata alle sue cure», a lui compete ogni
atto giuridico relativo alla parrocchia:
- erezione
- soppressione
- innovazione.
Egli, tuttavia, non deve procedere alla erezione, alla soppressione o ad una innova notevole della
medesima «senza aver sentito il Consiglio presbiterale (515/2).
Natura
La parrocchia eretta legittimamente gode di personalità giuridica per il diritto stesso (515/3).
Se il diritto non dispone diversamente, alla parrocchia è equiparata la quasi parrocchia, che è una
parrocchia in formazione, in attesa di condizioni idonee (516/1).
I PARROCI
(cc. 519-545)
«Il parroco è il pastore proprio della parrocchia affidatagli, esercitando la cura Pastorale di quella
comunità sotto l'autorità del Vescovo diocesano, con il quale è chiamato a partecipare al ministero
di Cristo, per compiere al servizio della comunità le funzioni di insegnare, santificare e governare,
anche con la collaborazione degli altri presbiteri o diaconi e con l'apporto dei fedeli laici, a norma
del diritto» (519).
Requisiti
Perché uno sia nominato parroco validamente:
1. deve essere costituito nel sacro ordine del presbiterato;
2. deve distinguersi per sana dottrina e onestà di vita;
3. deve essere dotato di zelo per le anime e di ogni altra virtù;
4. deve avere quelle qualità richieste sia dal diritto universale che da quello particolare
Durata
Il parroco deve godere di una certa stabilità, Questa, secondo il legislatore si potrà ottenere in due
modi alternativi:
nominando il parroco a tempo indeterminato;
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nominando il parroco a tempo determinato «solamente se ciò fu ammesso per decreto della
Conferenza episcopale»
Avvalendosi della facoltà concessa dal 2° comma del canone, la Conferenza episcopale italiana ha
decretato che tale nomina possa essere fatta anche per 9 anni (Decreto 6 ottobre 1986); Le
Conferenze episcopali, di Spagna e di Francia hanno stabilito un termine di 6 anni,
La decisione della Conferenza episcopale, non è vincolante per i singoli Vescovi, i quali sono
liberi di fare le nomine anche a tempo indeterminato.
Provvisione del Parroco
La nomina del parroco, per principio generale, viene fatta dal Vescovo per libero conferimento,
Solo eccezionalmente si ammette che la provvista del parroco possa avvenire:
per «istituzione», ciò che si verifica nel caso di un membro di IVC o di SVA, che viene
presentato dai propri Superiori (cf c, 682);
per «conferma», ciò che si verifica se qualcuno abbia diritto di designare il candidato
mediante l'elezione (523).
La parrocchia vacante il Vescovo l'affida «a chi ritiene idoneo ad esercitare la cura pastorale,
«sentito il Vicario foraneo» (524).
Norma generale è questa: per assicurare l'unità di governo e per evitare possibili conflitti di
competenza, per una sola parrocchia vi sia un solo parroco o moderatore.
Norme eccezionali determinate dalla scarsezza di sacerdoti o da altre circostanze sono le seguenti:
al medesimo parroco può essere affidata la cura di più parrocchie vicine;
la cura pastorale di una o più parrocchie contemporaneamente, può essere affidata in solido
a più sacerdoti, a condizione tuttavia che uno di essi sia il Moderatore nell'esercizio della
cura pastorale, tale cioè che diriga l'attività comune e di essa ne risponda davanti al
Vescovo» (51711);
a motivo della scarsezza di sacerdoti, il Vescovo potrà affidare «ad un diacono o ad una
persona non insignita del carattere sacerdotale o ad una comunità di persone una
partecipazione nell'esercizio della cura pastorale di una parrocchia». In questo caso, però,
dovrà costituire «un sacerdote il quale, con la potestà e le facoltà di parroco, sia il
moderatore della cura pastorale» (517/2);
Il parroco non deve essere una persona giuridica: ,
a) se la parrocchia ha la sede nella chiesa cattedrale, il parroco lo nomina liberamente il
Vescovo (51012);
b) se la parrocchia è affidata ad una comunità religiosa, il candidato parroco viene presentato
dal Superiore religioso ed istituito dal Vescovo (682).
Compiti
Il Parroco, che acquista lo «exercitium iuris» con la presa di possesso (527 Il), ha i seguenti compiti
di carattere pastorale:
a) l'esercizio del «munus docendi», mediante:
l'istruzione sulle verità della fede, con l'omelia e con l' istruzione catechistica; la formazione
cattolica dei fanciulli e dei giovani;
la promozione dello spirito evangelico, anche in ordine alla questione sociale (52811);
b) l'esercizio del «munus sanctificandi», avendo come particolare oggetto:
la cura perché la SS. Eucaristia sia il centro vitale della comunità parrocchiale;
l'amministrazione dei Sacramenti, soprattutto della SS. Eucaristia e della Penitenza
l'incremento della preghiera individuale e familiare (528/2);
c) l'esercizio del «munus regendi», che, tra l'altro, impone:
la conoscenza personale dei fedeli, mediante anche la visita alle famiglie;
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la partecipazione alle preoccupazioni di ciascuno e di tutti;
la correzione prudente e riguardosa, l'assistenza ai malati, la promozione della vita cristiana
nelle famiglie (529).
Funzioni
Le funzioni affidate al parroco in modo speciale sono le seguenti:
1. amministrare il battesimo;
2. amministrare il sacramento della confermazione a coloro che sono in pericolo di morte, a
norma del c. 883, n. 3;
3. amministrare il Viatico e l'unzione degli infermi, fermo restando il disposto del c. 100312-3,
e impartire la benedizione apostolica;
4. assistere al matrimonio e benedire le nozze;
5. celebrare i funerali;
6. benedire il fonte battesimale nel tempo pasquale, guidare le processioni della chiesa e
impartire benedizioni solenni fuori della chiesa;
7. celebrare l'Eucaristia più solenne nelle domeniche e nelle feste di precetto (530).
Obblighi
Gli obblighi particolari del parroco sono:
1. risiedere in parrocchia dalla quale si potrà assentare ogni anno, per ferie un massimo di un
mese 533/2);
2. applicare la «missa pro populo» ogni domenica e nelle feste che nella sua diocesi sono di
precetto (534);
3. provvedere che i libri parrocchiali siano redatti accuratamente e diligentemente conservati
(535/1);
4. avere il proprio sigillo (535/3);
5. avere il tabularium o archivio in cui vengano custoditi i libri parrocchiali insieme con le
lettere del Vescovo e gli altri documenti (535/4);
6. costituire il Consiglio per gli affari economici (537) e, se risulta opportuno a giudizio del
Vescovo, anche il Consiglio pastorale (536/1).
Cessazione
Il parroco cessa dall'ufficio:
1. con la rimozione
2. col trasferimento
3. con la rinunzia fatta da parte del parroco e accettata dal Vescovo (538/1)
4. compiuto il 75° anno di età è invitato a presentare la rinuncia all'ufficio al Vescovo
diocesano, il quale considerata ogni circostanza di persona e di luogo, decide se accettarla o
differirla (538/3).
Sede vacante o impedita, la parrocchia è retta dall' Amministratore, il quale è tenuto a tutti gli
obblighi ed ha tutti i diritti del parroco, a norma del can. 540 (539).
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Il Matrimonio nel Codice
I principi basilari dell’ordinamento matrimoniale presentano il matrimonio come un patto
coniugale con cui un uomo e una donna stabiliscono tra loro la comunità di tutta la vita, per sua
natura ordinato al bene dei coniugi e alla procreazione ed educazione della prole (can. 1055 §
1).
Le sue proprietà essenziali sono l’unità e l’indissolubilità (can. 1056). Tra due battezzati, poi, il
patto coniugale è sacramento (can. 1055 § 2).
Questa realtà matrimoniale sorge dal consenso delle parti, legittimamente manifestato, tra un
uomo e una donna, giuridicamente abili.
Il consenso è l’atto di volontà con cui l’uomo e la donna, con patto irrevocabile, danno e
accettano reciprocamente se stessi per costituire il matrimonio (can. 1057).
La celebrazione del matrimonio richiede che il consenso sia posto tra un uomo e una donna
giuridicamente abili (ossia non inabilitati da impedimenti), secondo le solennità previste dalla legge
(ossia in ossequio alla forma canonica).
I motivi di nullità del matrimonio riguardano quindi
la mancanza della forma canonica,
la presenza di impedimenti dirimenti non dispensati,
un vizio o difetto del consenso.
Gli impedimenti (cann. 1073-1094).
La presenza di un impedimento, al momento del consenso, in uno dei due contraenti rende nullo il
matrimonio (can. 1073), salvo dispensa dall’impedimento quando questa è possibile. Gli
impedimenti possono
riguardare la capacità personale al matrimonio,
avere origine da un comportamento delittuoso,
sorgere da un vincolo familiare.
Impedimenti che riguardano la capacità personale:
1) Età: l’età minima prevista per l’uomo è di 16 anni, per la donna di 14 (can. 1083). La Conferenza
episcopale italiana, per la liceità, richiede per entrambi la maggiore età (Decreto generale sul
matrimonio canonico, nn. 36-37);
2) Impotenza assoluta e perpetua (can. 1084), ossia la mancanza di capacità di porre l’atto sessuale
naturale nell’ambito del concreto rapporto coniugale. La sterilità non rientra in tale fattispecie;
3) Vincolo ancora sussistente di un precedente matrimonio valido (can. 1085); si richiama la realtà
dell’indissolubilità del matrimonio;
4) Ordine sacro (can. 1087) o voto pubblico perpetuo di castità emesso in un istituto religioso (can.
1088);
5) Disparità di culto, ossia la mancanza di battesimo di uno dei due contraenti (can. 1086). In tale
modo si intende favorire la vita di fede del cattolico; si è consapevoli della prevedibile maggiore
difficoltà nella realizzazione della comunione di vita del matrimonio in presenza di grosse disparità
quanto alla fede religiosa. Tuttavia, a particolari condizioni è possibile la dispensa (cann. 1127-
1129).
Impedimenti che sorgono da comportamento delittuoso:
1) Ratto: non è possibile costituire un valido matrimonio tra l’uomo e la donna rapita o almeno
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trattenuta allo scopo di contrarre matrimonio con essa, se non dopo che la donna, separata dal
rapitore e posta in luogo sicuro e libero, scelga spontaneamente il matrimonio (can. 1089);
2) Crimine: l’impedimento sorge in conseguenza dell’uccisione – a cui si è concorso materialmente
o come mandante – del proprio o altrui coniuge per poter celebrare matrimonio con una persona
determinata (can. 1090).
Impedimenti da vincolo coniugale, che sorgono a seguito di:
1) Legame di consanguineità in linea retta e fino al quarto grado incluso della linea collaterale (can.
1091);
2) Legame di affinità in linea retta (can. 1092), ossia tra il futuro marito/moglie e ascendenti o
discendenti della futura moglie/marito (Decreto generale sul matrimonio canonico, n. 39);
3) Legame di parentela legale che sorge da adozione, o in linea retta o nel secondo grado della linea
collaterale (can. 1094);
La forma canonica
La forma canonica deve essere osservata se almeno una delle parti contraenti il matrimonio è
battezzata nella Chiesa cattolica o in essa accolta e non separata dalla medesima con atto formale
(can. 1117), salva la dispensa dell’Ordinario del luogo per gravi cause (can. 1127; Decreto generale
sul matrimonio canonico, n. 50).
La forma canonica consiste nello scambio del consenso alla presenza dell’Ordinario del luogo o del
parroco oppure del sacerdote o diacono delegati da uno di essi, i quali chiedono la manifestazione
del consenso dei contraenti e la ricevono in nome della Chiesa, alla presenza di due testimoni (can.
1108).
I vizi del consenso
Vista l’importanza del consenso matrimoniale, come elemento fondamentale e insostituibile per la
costituzione del matrimonio, si è sempre data grande attenzione a questa realtà e a quello che, a vari
livelli, può impedire un valido consenso. Nella maggior parte dei casi, poi, i capi di nullità del
matrimonio riguardano possibili difetti e vizi del consenso (cann. 1095-1099, 1101-1103). Essi
possono sorgere
da una incapacità psichica,
da un difetto volontario del consenso
da un vizio della libertà del consenso medesimo.
L’incapacità psichica
L’incapacità psichica (can. 1095) è presente quando un nubendo:
a) Manca del sufficiente uso di ragione (n. 1), e quindi non è capace di quell’atto di volontà che è il
consenso matrimoniale, a seguito di malattie mentali o psicosi di tipo permanente, oppure anche per
alterazioni delle facoltà mentali di carattere contingente e transitorio presenti nel soggetto al
momento della prestazione del consenso matrimoniale;
b) Presenta un grave difetto di discrezione di giudizio (n. 2). Si intende con tale termine sia la
capacità di sufficiente valutazione critica dei diritti e doveri essenziali del matrimonio, sia la libera
autodeterminazione nel decidere e farsi carico della scelta del matrimonio;
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c) Non può adempiere, sempre per cause di natura psichica, uno o più obblighi essenziali del
matrimonio (n. 3), come ad esempio il bonum coniugum, la generazione ed educazione della prole,
la fedeltà, l’indissolubilità.
L’incapacità deve essere presente al momento del consenso matrimoniale. Essa poi non deve essere
confusa con una difficoltà, per quanto consistente, a valutare criticamente e liberamente e ad
assumersi la scelta matrimoniale o ad adempiere le obbligazioni essenziali della medesima. È solo
l’incapacità, infatti, che causa la nullità del matrimonio. Per la valutazione della causa psichica e
della sua gravità, nel corso dell’istruttoria (talvolta anche nella fase preliminare, si ricorre all’ausilio
di un perito.
IL DIFETTO VOLONTARIO DEL CONSENSO
Il difetto volontario del consenso fa riferimento alla simulazione (can. 1101 § 2), ossia alla
discrepanza tra consenso interno dell’animo e parole o segni adoperati nel celebrare il matrimonio
(can. 1101 § 2). Siamo alla presenza di un atto positivo di volontà, ossia di un attivarsi determinato
della volontà effettiva del contraente, una vera decisione con cui si esclude il matrimonio stesso
(simulazione totale) oppure una sua proprietà od elemento essenziale (simulazione parziale). Tale
atto di volontà può essere posto in modo esplicito (diretto immediatamente verso l’oggetto
dell’esclusione) oppure implicito (diretto solo mediamente ad esso), attuale oppure virtuale (ossia
posto e non revocato in seguito, per cui continua a produrre il suo effetto).
Vediamo brevemente i diversi capi di nullità:
a) Simulazione totale: Il soggetto rifiuta positivamente il matrimonio stesso: vuole non sposarsi e
non assumere gli obblighi e i diritti coniugali nel complesso. Si nega la coniugalità del proprio
consenso, da cui non si vuole far derivare alcun obbligo, bensì solo eventualmente qualche
vantaggio estrinseco, per esempio di natura sociale o patrimoniale;
b) Simulazione parziale, in cui il soggetto vuole il matrimonio, ma lo priva positivamente di un suo
elemento o proprietà essenziale. Così, si esclude:
a. La prole, ossia la strutturale ordinazione di principio del matrimonio alla procreazione,
oppure, in altri termini, l’apertura alla fecondità del proprio matrimonio;
b. L’indissolubilità, con la volontà positiva di non impegnarsi per sempre, per un motivo
ideologico oppure pratico, indipendentemente da come si intenda poi liberarsi dal vincolo
(per esempio tramite il divorzio);
c. L’unità/fedeltà, con un’intenzione poligamica o comunque contraria all’esclusività della
donazione di sé per il tramite della disponibilità esclusiva e perpetua della propria sessualità
genitale;
d. L’ordinazione al bonum coniugum; pur in assenza di un orientamento dottrinale e
giurisprudenziale univoco, se ne può ipotizzare l’esclusione alla presenza di una positiva e
programmatica negazione alla minimale disponibilità all’aiuto reciproco e al rispetto del
coniuge, oppure di una volontà positiva e programmatica dell’imposizione di una vita
sessuale gravemente pericolosa e/o immorale.
e. La sacramentalità, sebbene parte consistente della dottrina la riconduca alla simulazione
totale, vista l’identità e inseparabilità tra patto sacramentale e sacramento.
I vizi e difetti che intaccano la libertà del consenso:
a) La violenza fisica o il timore grave (can. 1103). Quest’ultimo deve essere grave (oggettivamente
o in riferimento al soggetto concreto), non intrinseco (quindi indotto dall’esterno da uno o più
soggetti specifici), anche non intenzionale al matrimonio da parte dell’inducente, per liberarsi dal
quale la persona è costretta a scegliere il matrimonio. Il timore può essere anche reverenziale, dove
l’oggetto del timore è la perdita del rapporto di predilezione con colui che lo induce ;
b) L’errore sulla persona (can. 1097 § 1), ossia sulla sua identità fisica, non sulla sua personalità;
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c) L’errore di fatto circa una qualità personale dell’altro contraente (can. 1097 § 2), qualora questa
qualità sia voluta in modo diretto, quindi esplicitamente, e principale, ossia prevalente rispetto
all’oggetto istituzionale del consenso. In altre parole, la qualità – non frivola o banale – viene posta
dal contraente come oggetto sostanziale del consenso medesimo, con la conseguente
“strumentalizzazione” a essa della persona dell’altro;
d) L’errore doloso (can. 1098), ossia un errore, dolosamente indotto (dall’altro nubente o da terzi),
per ottenere il consenso matrimoniale, riguardante una qualità fisica o morale dell’altra parte che,
per sua natura, può perturbare gravemente la vita coniugale;
e) L’apposizione di condizioni al consenso (can. 1102): si fa dipendere l’efficacia giuridica del
consenso da un fatto ad esso esterno; la condizione può essere propria, ossia de futuro, oppure
impropria, ossia de preterito o de praesenti. Nel primo caso, se posta, la condizione comporta la
nullità del matrimonio. Nel secondo caso, il suo effetto dipende dall’adempimento o meno della
condizione posta, anche se per la liceità serve la licenza scritta dell’Ordinario del luogo.
La dispensa
Qualora si sia alla presenza di un matrimonio non rato (cioè non sacramentale) o non consumato, è
possibile chiedere la dispensa per il proprio matrimonio. Si tratta di una grazia che viene concessa,
al termine di un procedimento amministrativo (non giudiziale, come invece è per le cause di nullità
matrimoniale), qualora siano presenti determinate condizioni.
Matrimonio non consumato.
Il matrimonio non consumato tra battezzati o tra una parte battezzata e una non battezzata, per
giusta causa può essere sciolto dal Romano Pontefice, su richiesta di una o di entrambe le parti
(1142; cf cann. 1697-1706 e Decreto generale sul matrimonio canonico, nn. 63-66). Per
consumazione del matrimonio si intende il compiere tra i coniugi, «in modo umano, l’atto coniugale
per sé idoneo alla generazione della prole, al quale il matrimonio è ordinato per sua natura, e per il
quale i coniugi divengono una sola carne» (can. 1061 § 1). In tale modo si evidenzia l’importanza
della consumazione per il raggiungimento del significato interpersonale e simbolico della donazione
coniugale.
Matrimonio non sacramentale.
Il matrimonio non sacramentale è tra un battezzato e un non battezzato oppure tra due non
battezzati. Pur godendo di una indissolubilità intrinseca, a determinate condizioni può essere sciolto
dal Romano Pontefice o ipso iure nel momento della celebrazione di un nuovo matrimonio, cui
l’autorità ecclesiastica ha ammesso il battezzato (cann. 1143-1150).