Post on 09-Mar-2016
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1FabLabFan
FABLAFANLA FANZINE APERIODICA CHE RACCOGLIE LE NOTIZIE DAL WEB SUI FAB LAB
I FABLAB PER RILANCIARE LA MANIFATTURA ITALIANAPer uscire da questa crisi, le imprese devono puntare sulle nuove tecnologie, sulla
digitalizzazione, sulla connettitività dei comportamenti individuali e collettivi.
02/2014 N.1
3FabLabFan
EDITORIALE” Vanno pensati modi nuovi e creativi per coinvolgere i giovani e incoraggiarli a creare, costruire e inventare. A essere creatori di cose e non solo consumatori di cose”. Barack Obama
“Il Fab Lab è un luogo dove si può creare praticamente qualsiasi cosa” è questa la definizione data da Neil Gershenfeld fondatore del primo Fab Lab presso il MIT, nel 2003.Oggi si contano più di 200 Fab labs nel mondo con un ritmo di crescita che li vede raddoppiare ogni 18 mesi.Negli Stati Uniti questo nuovo modo di concepire “la costruzione” si è sviluppato in ambienti universitari per poi diffondersi fino a spazi come musei e biblioteche trasformando questi luoghi votati al “vedere” in veri e propri luoghi del “fare”.In Italia dopo un inizio tardivo, infatti solo nel 2011 nasce a Torino il primo Fab lab, ad oggi si contano più di 20 Fab labs in tutta la penisola, un vero e proprio boom che indica come il 2014 sarà l’anno dei Fab Labs.Una prospettiva che permette di guardare con ottimismo il futuro prossimo, i Fab Labs infatti possono dare un contributo importante al rilancio di piccole e medie imprese, artigiani, professionisti, e aiutarli ad uscire da un periodo di crisi che li ha visti principali vittime della recessione economica. I labs sono inoltre indispensabili per proiettare nel futuro le nuove generazioni permettendo di metterle a contatto con i nuovi strumenti e le nuove possibilità della fabbricazione digitale, permettendo quel cambio di paradigma necessario nel modo di pensare oggetti e processi produttivi, coinvolgendo studenti dai primi anni della loro istruzione fino alla scuola superiore e unversità.Così come il presidente USA Obama (uno dei più convinti sostenitori dei Fab labs) che invita le nuove generazioni a pensare nuovi modi per creare, costruire e inventare; il Fab lab Sassari vuole utilizzare questa FabLabFan, una fanzine dei FAb labs che raccolga notizie e novità riguardanti i Fab Labs, allo scopo di informare e sensibilizzare chiunque sul fenomeno dell’autoproduzione con l’intento di avviare dinameche di sviluppo innovative riferite al nord Sardegna in maniera da dare a questo territorio nuovi impulsi di crescita imprenditoriale sfruttando le evoluzioni tecnologiche disponibili oggi in scala globale.
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INDICE
13
6
10
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I FAB LAB PER RILANCIARE LA MANIFATTURALa crescita tocca il nostro Paese in aree che hanno investito inpassato o che stanno investendo in inno-vazione
4 CONSIGLI PER APRIRE UN FAB LAB
Tutto ciò che bisogna sapere sui fab lab
HSL,L’AZIENDA SALVATA DALLA STAMPA 3D
Ta contesinc mercerfera noximanum dem perferi caequiu et forum auci suntur utus; et peris.
DOSSIER: FAB LAB >MANIFATTURA
Ecco come possiamo rendere i Fab Lab cuore della manifattura italiana
5FabLabFan
36
30FAB9JAPAN
Così nei Fab Lab si impara la personal fabrication
MAKERS E COPYRIGHT
26FAB LAB A SCUOLA PER IL CONTAGGIO DIGITALE
LA LEZIONE DEI FABBER AFRICANI
2014 ANNO DELLA SHARING ECONOMY
25
37 ITALIAN FABLAB AND MAKERS FOUNDATION
DIARIO DA SHANGHAI, DI STEFANO BANZI
35
38
6 FabLabMag
4 CONSIGLI PER APRIRE UN FAB LABTutto ciò che bisogna sapere sui Fab Lab
Scritto: Massimo Menichinelli su www.chefuturo.it del 30 gennaio 2014
I FabLab sono nati quasi per caso
grazie al Center for Bits and At-
oms (CBA) presso il MIT (Massa-
chusetts Institute of Technology),
con un primo laboratorio a Bos-
ton, e poi con una costante cres-
cita non pianifcata.
Spesso sono nati per una richi-
esta locale, vista l’utilità di ques-
ti laboratori. Si possono trovare
FabLab in ogni continente, non
solo negli Stati Uniti: da San
Paolo in Brasile a Lima in Perú
nell’America Latina, da Helsinki
in Finlandia a Siviglia in Spagna
in Europa, dal Ghana o Sud Africa
in Africa, dall’Afghanistan all’India
od Indonesia in Asia.
Sono passati più di 10 anni dal
primo FabLab, e 10 anni dalla
prima conferenza mondiale dei
FabLab (la prossima conferenza
annuale, si terra nel Luglio 2014
a Barcellona). La stessa organiz-
zazione della rete dei FabLab si
é sviluppata ed evoluta nel cor-
so degli anni, dato che i FabLab
sono nati quasi per caso. Non
c’é stato un progetto definito sin
dall’inizio, ma un progetto aperto
in costante sviluppo in equilibrio
tra il Center for Bits and Atoms
prima e la Fab Foundation poi,
e la comunità dei FabLab. Le pi-
attaforme online che sono state
sviluppate per la mappatura e la
facilitazione della rete dei FabLab
rappresentano differenti approc-
ci alla gestione e organizzazi-
one della rete dei FabLab: risulta
4 condizioni
1. il FabLab deve essere pubblicamente accessibile
2. il FabLab deve seguire e mostrare la FabCharter, il manifesto dei FabLab redatto dal prof. Neil Gershenfeld del CBA
3. il FabLab deve garantire la disponibilità di un insieme di strumenti e processi condiviso con gli altri FabLab
4. il FabLab deve essere attivo e partecipare alla rete di tutti i FabLab
7FabLabFan
La FabFoundation ha quindi sviluppato recentemente un proprio nuovo sito e la piattaforma fablabs.io per la mappatura e la facilitazione dei FabLab
quindi interessante analizzarle
per capire non solo il passato e il
presente ma anche il futuro della
rete.
Dato che la rete dei FabLab é
nata con le attività del Center for
Bits and Atoms, fu naturale con-
seguenza che per i primi anni la
mappatura dei FabLab venisse
fatta dal CBA.
Con il tempo si é affiancata un’al-
tra lista, questa volta proveniente
dal basso, dalla comunità dei
FabLab e ospitata nel wiki del
Fab Lab Vestmannaeyjar presso
l’Innovation Center Iceland, in Is-
landa.
L’elenco è ancora attivo e pre-
senta 262 laboratori in tutto il
mondo. Essendo un wiki, chiun-
que può aggiungere il proprio
lab, per cui il controllo della
qualità del FabLab viene lasciato
all’utente stesso (o ad altri utenti),
che deve certificare che il pro-
prio laboratorio segua un FabLab
conformity rating, un sistema di
analisi dei FabLab. Questo siste-
ma prevede una votazione su tre
livelli, partendo da C e arrivando
ad A, sul livello di implementazi-
one delle 4 condizioni per potersi
definire un FabLab che sono:
1.il FabLab deve essere pubblica-
mente accessibile;
2.il FabLab deve seguire e
mostrare la FabCharter, il mani-
festo dei FabLab redatto dal prof.
Neil Gershenfeld del CBA;
3.il FabLab deve garantire la dis-
THE FAB LAB GLOBAL NETWORK
ponibilità di un insieme di stru-
menti e processi condiviso con
gli altri FabLab;
4.il FabLab deve essere attivo e
partecipare alla rete di tutti i
FabLab.
Sono quindi possibili tre valutazi-
oni per ogni criterio, A, B e C, che
specificano nel presente momen-
to lo stato di sviluppo del FabLab,
partendo da un CCCC fino ad arri-
vare ad un AAAA. Si tratta quindi
di un primo strumento condiviso
per definire cosa sia e cosa debba
fare un FabLab.
Nel frattempo in Italia, la comu-
nità dei makers e dei FabLab ital-
iani si é via via raccolta all’inter-
no del gruppo Fabber in Italia su
Facebook. All’interno del gruppo
8 FabLabMag
La piattaforma é stata sviluppata all’interno del FabLab Barcelona (uno dei più rilevanti nella rete) da Tomas
Diez (direttore del FabLab) e dal programmatore John Rees in maniera
open source su GitHub, e rilasciata con licenza MIT
é nata una mappatura dei FabLab
(e, più generalmente, dei labo-
ratori di fabbricazione digitale
condivisi) con un documento ed-
itabile dai membri del gruppo. Al
momento conta 36 laboratori (ma
non tutti sono propriamente dei
FabLab). Per potersi meglio strut-
turare e comunicare, dal gruppo
é nata l’associazione Make in It-
aly, che si presenta come luogo
di ricerca e coordinamento di
iniziative volte a favorire la nas-
cita di una cultura della personal
fabrication attraverso la condi-
visione di conoscenze e connes-
sioni.
All’interno del sito dell’associazi-
one é presente una mappatura
dei laboratori italiani, sviluppata
a partire dall’elenco generato su
Fabber in Italia. La conversione
del documento in mappa non é
automatica, infatti al momento
la mappa segnala 24 laboratori
(sui 36 presenti sul documento
editabile su Facebook). Si tratta
di una mappatura dal basso (su
Facebook) che viene poi filtrata
dall’Associazione.
Nel frattempo, il CBA ha mostra-
to l’intenzione di dedicarsi solo
a ricerca eformazione, comuni-
cando che la gestione della rete
dei FabLab non debba essere
una sua funzione. Nata dall’MIT,
la rete dei FabLab si é affrancata
dall’MIT, anche se i fondatori qua-
li Neil Gershenfeld hanno ancora
un ruolo importante. Si é quindi
assistito allo spostamento del-
la gestione della rete dei FabLab
dal CBA verso due direzioni. Da
un lato, con la nascita nel 2011
della International FabLab Asso-
ciation (basata in Olanda), una
associazione internazionale della
rete dei FabLab che, senza molto
successo fino ad ora, sta tentan-
do di fornire un unico punto di
accesso e facilitazione alla rete
dei FabLab. Di fatto, l’associazi-
one non propone nessuna piatta-
forma diretta né per la mappatura
né per la facilitazione dei FabLab.
Dall’altro lato, con maggior suc-
cesso con la fondazione della
Fab Foundation nel 2009 (basa-
ta negli Stati Uniti) che facilita la
creazione di FabLab e fornisce
loro servizi focalizzandosi su tre
direzioni: educazione (.edu), or-
ganizzazione e servizi (.org) e op-
portunità di business (.com).
La FabFoundation ha quin-
di sviluppato recentemente un
proprio nuovo sito e la piatta-
forma fablabs.io per la mappatu-
ra e la facilitazione dei FabLab. Si
tratta in questo caso di un mix dei
precedenti meccanismi: la seg-
nalazione dei laboratori avviene
dal basso direttamente sulla piat-
taforma, ma la presenza dei lab-
oratori viene confermata da altri
FabLab e dagli amministratori del
sito.
Si cerca quindi di sviluppare la
mappatura dal basso con anche
un feedback dal basso da par-
te dei FabLab esistenti e con dei
curatori all’interno della piatta-
forma. La piattaforma é ancora in
fase di sviluppo, e presto fornirà
non solo strumenti per la comu-
nicazione di orari, eventi e mac-
chinari dei laboratori, ma anche
per la comunicazione tra i labora-
tori (che ora avviene solo tramite
videoconferenza). Al momento,
9FabLabFan
fab lab iceland
Sono passati più di 10 anni dal primo FabLab, e 10 anni dalla prima conferenza mondiale dei FabLab (la prossima conferenza annuale, si terra nel Luglio 2014 a Barcellona)
Si é passati quindi da una gestione centralizzata della rete da parte del CBA ad una senza CBA in equilibrio tra FabFoundation globale e FabLab locali in reti, associazioni e fondazioni regionali e nazionali.
la 9° fab lab conference
all’interno della piattaforma sono
elencati 214 laboratori, di cui 11
italiani.
La piattaforma é stata sviluppata
all’interno del FabLab Barcelona
(uno dei piùrilevanti nella rete) da
Tomas Diez (direttore del FabLab)
e dal programmatore John Rees in
maniera open source su GitHub,
e rilasciata con licenza MIT, per
cui é possibile partecipare al suo
sviluppo, segnalare errori e prob-
lemi e suggerire nuove funzion-
alità. La piattaforma verrà dotata
di API REST (una prima versione
é disponibile all’indirizzo https://
api.fablabs.io), per cui sarà pos-
sibile costruire applicazioni e
visualizzazioni e analisi con i dati
presenti nella piattaforma, ren-
dendola ancora maggiormente
aperta verso futuri sviluppi.
Si é passati quindi da una ges-
tione centralizzata della rete da
parte del CBA ad una senza CBA
in equilibrio tra FabFoundation
globale e FabLab locali in reti, as-
sociazioni e fondazioni regionali
e nazionali. Non solo dal punto di
vista delle piattaforme, ma anche
dal punto di vista organizzativo: il
funzionamento delle piattaforme
riflette e indica la natura organ-
izzativa della rete. Come detto
precedentemente, questa é una
organizzazione emergente, per
cui la situazione potrebbe evol-
vere in differenti direzioni.
10 FabLabMag
HSL, L’AZIENDA SALVATA DALLA STAMPA 3D
Scritto da Maurizio di Lucchiosu economyup.it del 11 febbraio 2014
Ascoltare la lezione della terza
rivoluzione industriale e metter-
la in pratica per battere la crisi.
È quello che ha fatto negli ultimi
anni la Hsl di Trento, centro tec-
nologico per lo sviluppo di nuo-
vi prodotti industriali. L’azienda,
che fa progettazione, prototipazi-
one, costruzione di stampi (di ma-
teriale plastico) e stampaggio, ha
seguito una doppia strategia nel
periodo più cupo della recessione:
da una parte ha accelerato sulla
digital fabrication e sulle tecnolo-
gie legate alle stampa 3d per mi-
gliorare i propri processi produt-
tivi, dall’altra ha dato vita a due
brand che si basano (quasi) esclu-
sivamente sul 3d printing: .bijou-
ets (gioielli e accessori) ed .exno-
vo (lampade e oggetti di arredo).
“In piena crisi abbiamo valu-
tato le idee di tutti e deciso di
concentrarci sulle cose in cui
eravamo più bravi, e in parti-
colare sulle cose più difficili, in
modo da avere meno concor-
renti”, racconta Ignazio Pomini,
classe 1951, fondatore e titolare
della Hsl. “Così abbiamo propos-
to nuove soluzioni con tecnolo-
gie 3d nel mondo delle piccole
IMP
RE
SA
11FabLabFan
produzioni e dell’automotive,
quello in cui siamo più attivi”.
Spingere sull’innovazione attra-
verso gli strumenti tipici del-
la fabbricazione digitale è una
scelta che finora ha prodotto
buoni risultati. Dopo una perdi-
ta nel 2009 e nel 2010 tra il 40 e
il 50% del fatturato, l’azienda ha
ripreso a crescere nel 2011 (+30%),
e ha chiuso il 2012 con un vol-
ume d’affari di 6,6 milioni di euro
(+45%). Nel 2013 c’è stata una pic-
cola flessione (esercizio chiuso a
5,8 milioni, -15%), che però non
preoccupa più di tanto. Tanto che
Hsl, dopo un periodo di sacrifici
anche in termini occupazionali,
l’anno scorso ha ripreso ad as-
sumere e ha in programma per il
2014 sei o sette assunzioni di per-
sonale di livello medio-alto.
Sperimentare nuove modalità
produttive è nel dna dell’impre-
sa trentina sin dalla sua nascita,
avvenuta 26 anni fa: Pomini è un
pioniere delle stampanti 3d nel
nostro Paese. “Nel 1989 fummo i
primi ad avere una macchina del
genere in Italia e, se si fa eccezi-
one per alcuni centri di ricerca,
anche in Europa”, spiega il tito-
lare della Hsl.
Certo, ammette Pomini, appli-
care questi strumenti alla pro-
duzione di massa risulta ancora
complicato: “Quando si parla di
milioni di pezzi, è impensabile
che queste Uno dei prodotti .ex-
novotecnologie arrivino a sos-
tituire le macchine tradizionali.
Ma si tratta di un nuovo modello
creativo-progettuale-costrutti-
vo che, diffondendosi online at-
traverso dispositivi da scrivania
non utilizzabili a livello industri-
ale, permette a moltissimi utenti
di diventare a loro volta creativi,
produttori. È una cultura che già
nei prossimi due-tre anni por-
terà a tantissime soluzioni e idee
nuove, che abbiamo il dovere di
mantenere in Italia. E chi lo per-
cepisce in tempo, avrà chance in
più”.
Con questo approccio diventa
molto più semplice customizzare
i prodotti e sperimentare nuove
forme. La Hsl ha lanciato due pro-
getti-startup destinati al mercato
b2c. Il primo, inaugurato nel 2010,
è .exnovo, un marchio di lam-
pade, vasi e vassoi di design real-
izzati con 3d printer e rifinite con
tecniche artigianali tipiche del
made in Italy. L’azienda “figlia”,
anche grazie a quattro giovani
designer, vanta già acquiren-
ti importanti, prodotti esposti
12 FabLabMag
Specializzata nello sviluppo di prodotti industriali, l’impresa ha battuto la crisi con una doppia strategia: tecnologie impostate sulla stampa 3d per migliorare i processi produttivi e creazione di nuovi brand basati sul 3d printing. I risultati? Un mix di manualità e tecnologia,
un fatturato di quasi 6 milioni e nuove assunzioni
in uno showroom a New York.
Ma il saper fare made in Italy e
l’approccio artigianale possono
essere tutelati anche se gli og-
getti vengono prodotti con stam-
panti 3d e altri strumenti di digi-
tal fabrication? “L’italianità viene
percepita comunque”, afferma
Pomini. “La capacità di raccon-
tare in modo adeguato i prodotti
e di contaminare la tecnologia di
matrice americana con soluzioni
artigianali e materiali tipici della
nostra tradizione – per esempio,
il vetro di murano - fa in modo
che gli oggetti diventino prodotti
di eccellenza del made in Italy”.
L’altro progetto innovativo, ide-
ato da Ignazio Pomini e dalla
designer Selvaggia Armani, è .bi-
jouets, che dal 2012 realizza con
tecnologie digital manufatti come
collane, anelli, orecchini, brac-
ciali, e spille.
Il materiale principale è la polvere
di nylon accostata a metalli, legno
e tessuti. “In unico pezzo coesis-
tono più materiali”, dice la brand
manager Stefania Favaro (26 anni).
Come per .exnovo, il proces-
so produttivo non si ferma con
la produzione del pezzo at-
traverso le stampanti 3d ma
continua con la rifinitura e la
colorazione a mano. “Tecnolo-
gia e manualità devono andare
di pari passo”, sottolinea Favaro.
I vantaggi del 3d printing sono
tanti. “Con i metodi tradizionali,
alcune forme non si possono ot-
tenere, mentre con la stampa 3d
non ci sono vincoli: si può real-
izzare un prodotto in un pezzo
unico senza dover assemblare le
parti post produzione. In più, si
possono ottenere risparmi con-
sistenti perché non c’è bisogno
di stampi né di magazzini: solo
file. La produzione è just in time
ed è migliorabile in continuazi-
one”.Anche per .bijouets, nonos-
tante i pochi mesi di vita, i primi
riscontri da parte del mercato
sono positivi. Gli acquisti sulla
piattaforma e-commerce del sito
stanno crescendo, così come sui
marketplace come maketank. I
retailer, soprattutto di abbiglia-
mento, interessati a commerciare
le creazioni .bijouets aumentano.
Diversi musei chiedono di es-
porre gli oggetti più belli. Insom-
ma, in Italia il futuro artigiano sta
già diventando presente.
IMP
RE
SA
13FabLabFan
fab lab sassariuno spazio di co-working per i
makers del nord sardegna
...is coming soon!
14 FabLabMag
edilco.s sponsorizza il fab lab sassari: l’impresa di costruzioni proiettata verso il futuro.
edilco.s via principer di piemonte n.10
07100 sassari
SPAZIO PUBBLICITARIO
15FabLabFan
La crescita tocca il nostro Paese in aree che hanno investito in passato o che stanno investendo in innovazione irrorando di digitale le proprie attività, produzioni, servizi e formando in tal senso il proprio capitale umano.
Scritto da Stefania Milo su chefuturo.it
del 10 febbraio 2014
I FAB LAB PER RILANCIARE LA MANIFATTURA ITALIANA
L’apertura di nuovi spazi impren-
ditoriali è l’economia digitale.
Dalle reti infrastrutturali di nuova
generazione al commercio elet-
tronico. Dall’elaborazione intelli-
gente di grandi masse di dati agli
applicativi basati sulla localizzazi-
one geografica. Dallo sviluppo di
strumenti digitali ai servizi in-
novativi di comunicazione”. Così
inizia il Rapporto sulla situazione
sociale del paese 2013 elaborato
dal Censis: per uscire da questa
crisi, le imprese devono puntare
sulle nuove tecnologie, sulla dig-
italizzazione, sulla connettitività
dei comportamenti individuali
e collettivi. Analizzando alcuni
dati emersi dal Rapporto Censis
ci si rende conto che il paese sta
mutando pelle, che gli strumenti
digitali hanno modificato il cap-
itale umano, l’interazione delle
persone e la loro stessa socialità.
In ambito di lavoro, sono riusciti
a cambiare tutti i processi organ-
izzativi ed il 26,1% dei lavoratori
italiani negli ultimi 3 anni è stato
interessato da un cambiamento
tecnologico, dato che cresce più
si sale nella piramide profession-
ale. Il lavoro dunque assume as-
petti differenti che si ripercuot-
ono pesantemente sull’economia
del paese che segue, o meglio
dovrebbe seguire, orizzonti dif-
ferenti: le professioni di tipo tec-
nico-scientifico, informatica, pro-
grammazione e comunicazione,
sono aumentate del 2,3% mentre
purtroppo continua a calare il
numero di imprese artigiane, so-
prattutto gestite da giovani.
L’Italia è un paese a forte vocazi-
one manifatturiera con il 10% di
imprese sul totale che ottengono
una enorme spinta propulsiva
dall’export, con dati confortan-
16 FabLabMag
ti per i prossimi anni. Il Made in
Italy è il nostro vanto e l’export
di queste produzioni tocca quote
fondamentali del nostro PIL (cir-
ca il 30%) con oltre 390 miliar-
di di euro e picchi importanti nel
settore alimentare e nel sistema
moda. La fa da padrone il mac-
ro-settore meccanica-elettroni-
ca con oltre 190 miliardi di euro
di quota export ed in maglia rosa
sono le produzioni hi-tech e me-
dium hi-tech che hanno visto
dal 2009 al 2012 innalzare la loro
quota export di ben 33 punti per-
centuali. Ciò ha portato ad in-
teressanti isole di crescita, i dati
dimostrano infatti l’espansione in
alcuni comparti, fra tutti: knowl-
edge intensive e techology inten-
sive.
Anche per quanto riguarda il set-
tore dei servizi, le cui imprese
sono passate dal 73% al 76% del
totale, gli incrementi maggiori si
registrano in consulenza gestion-
ale ed informatica, in ricerca e
sviluppo, nelle telecomunicazioni
ed ovviamente nell’area di svilup-
po software.
Le imprese che stanno emergen-
do dalla palude della peggiore
crisi di sempre sono quelle che
operano nel settore turistico,
puntando sulla valorizzazione del
patrimonio storico-artistico at-
traverso innovazioni di processo
IMP
RE
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ed intercettando bisogni ove ef-
fettivamente presenti. Oltre a tale
tipologia sono coinvolte da flus-
si positivi anche quelle aziende
del manifatturiero con una forte
connotazione tecnologica e tutte
quelle attività che hanno sapu-
to interpretare i fabbisogni dei
mercati stranieri investendo sulla
propria digitalizzazione e su dif-
ferenti tipologie di comunicazi-
one interattiva. Produzioni itali-
ane di qualità ben comunicate.
La crescita delle imprese passa
però da un processo culturale
che miri ad elevare le compe-
tenze, ad una maggiore cura del
capitale umano ed a coinvolgere
le nuove generazioni facendo
emergere la loro propensione
all’imprenditorialità, di certo
negli ultimi anni fortemente sopi-
ta. Saranno quindi i futuri governi
a dover investire in “contaminazi-
one” per stimolare nuove fasce di
persone ad acquisire un ruolo più
attivo nei personali percorsi di
crescita. Le imprese, d’altro can-
to, devono risolvere due problemi
culturali: un complesso di inferi-
orità latente nei confronti delle
economia più avanzate (ieri) ed
emergenti (oggi), comprendendo
che la nostra tipologia e natura
produttiva è differente quanto
potente rispetto a mercati che
Il nostro paese può ripartire da ciò che ha, la sua cultura inestimabile ed il suo patrimonio storico-artistico, le sue
tradizioni e la manifattura, il made in Italy.
17FabLabFan
Sarà questa la nostra forza: digitalizzare e ben comunicare la
nostra tradizione, il nostro saper fare, il nostro patrimonio storico-artistico.
Oltre ciò è necessario porre fine ad un “declinismo” spinto che
frena gli investimenti ed accentua i timori, certe volte purtroppo fondati,
bloccando l’economia.
18 FabLabMag
crescono verso i nostri standard.
Tanto andrà certamente fatto per
un risanamento economico, par-
tendo dai rapporti con il sistema
bancario che ha ulteriormente ri-
dotto il credito verso le imprese
del 4% l’ultimo anno, proseguen-
do con i rapporti con la pubblica
amministrazione e la burocrazia
in generale che impegna risorse
e nostro tempo fondamentale (da
una nostra ricerca ogni impren-
ditore impegna 47 giorni all’an-
no in pratiche burocratiche e
28 giorni di un suo dipendente/
consulente). Non vogliamo però
affrontare la miriade di problemi
che investono oggi il sistema delle
imprese italiano quanto termin-
are questa disamina sull’ultimo
rapporto Censis, analizzando la
necessaria spinta d’innovazione
che il nostro paese deve affron-
tare per emergere dall’impasse e
scuotere l’economia. Nel 2009 (e
purtroppo questi dati non sono
migliorati) le imprese italiane in-
vestivano in innovazione soltanto
lo 0,68% del PIL, contro una media
europea del 1,25%. Avendo le nos-
tre imprese, in media, un limitato
contenuto tecnologico con bassi
investimenti in ricerca e sviluppo,
fondi o investitori privati, non si
avvicinano alla nostra economia.
Ne è esempio il venture capital
che in Italia nel 2012 copre una
IMP
RE
SA
quota pari solo allo 0,004% del
PIL, un quinto della media euro-
pea e dieci volte meno dei paesi
virtuosi del Nord Europa. Ragion-
ando per assurdo, raddoppiando
la nostra spesa in innovazione
potremmo ottenere dunque una
quota di capitale di investimento
5 volte superiore a ciò che otte-
niamo oggi. Sappiamo bene che
si tratta di cifre che non tengono
conto di molti aspetti e di una di-
versa strutturazione del sistema
creditizio italiano, ma è anche
vero che da qualche parte bi-
sogna iniziare.
L’Italia ha bisogno di chiarezza,
di trasparenza, di regole effica-
ci applicate in modo corretto ed
equo. La struttura economica del
paese dev’esser resa più com-
petitiva e capace di agganciare
nuovi trend. Dev’esser definito
un piano organico di politica in-
dustriale che renda chiaro quali
siano le filiere su cui puntare e
in quali ambiti incentivare l’in-
novazione e che quindi individui
una mappa esatta delle azioni a
sostegno della modernizzazione e
innovazione del sistema produt-
tivo. Alle imprese non occorrono
soltanto più fondi e nemmeno
l’abbattimento del rischio, quan-
to la certezza di poter lavorare in
un paese ad economia sana con
possibilità di sviluppo ed una chi-
ara vision. Senza trattamenti par-
ticolari ma che basi davvero tutto
sulle effettive competenze e sulla
valorizzazione dei virtuosismi.
La rivalutazione dell’artigiana-
to rappresenta un punto focale
e la digitalizzazione a supporto
dell’economia tradizionale può
rappresentare per noi un elemen-
to fondante la rinascita econom-
ica. Purtroppo però il numero di
imprese artigiane fra il 2007 e il
2012 è diminuito di 50.000 unità e
di ulteriori 28 mila nel 2013. Man-
ca il ricambio generazionale. Le
imprese under 30 sono passate
dall’8,1% nel 2007 al 6,5% nel 2012
ed abbiamo dunque necessità di
preparare all’imprenditorialità,
fare emergere quella propen-
sione che una ricerca di CNA ev-
idenzia, non è così debole. Circa
il 15% dei giovani in età scolare è
un potenziale imprenditore ma
soltanto una percentuale resid-
uale lo diventa poi davvero e sp-
esso per ripiego. Mestieri in via
d’estinzione, quanto l’economia
tradizionale, attendono un im-
portante innesto di digitale per
rivivere e riportare a lustro le
nostre tradizioni manifatturiere;
le scuole e le università in ques-
to hanno ed avranno un ruolo
sempre più importante. CNA, ed
i giovani imprenditori che rap-
presentiamo, hanno avviato, e
tenteranno sempre più, un pro-
cesso di contaminazione che
mira a riportare l’artigianalità, ed
il saper fare, al centro della sce-
na in una forte commistione con
le attività e gli attori del digitale,
della manifattura hi-tech ed in-
novativa, dei FabLab e degli spazi
di condivisione, oltre ovviamente
alle istituzioni attente ed attive ai
processi di rinnovamento della
nostra economia. Perché credia-
mo che da qualche parte bisogn-
erà pur partire ed il capitale uma-
no, a nostro avviso, è la ricchezza
di questa nazione.
19FabLabFan
3d printed design
20 FabLabMag
ECCO COME POSSIAMO RENDERE I FAB LAB CUORE DELLA MANIFATTURA ITALIANA
Sritto da Andrea Daniellisu chefuturo.it del 13 febbraio 2014
DO
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21FabLabFan
Il 2014 è l’anno dei makers. Oltre
alla notevole recente esposizione
mediatica, lo testimonia la nasci-
ta della Fondazione Make In Ita-
ly CdB Onlus. Risorse importanti
vengono impegnate per aiutare e
strutturare la vivace attività “dal
basso”. Perché avvenga la de-
finitiva consacrazione del mov-
imento dobbiamo permettere a
sempre più makers di vivere del
proprio lavoro e, quindi, occorre
occuparsi della sostenibilità eco-
nomica di fablab e affini.
Poiché in Italia il pubblico non è
in questa fase un attore privile-
giato, soprattutto per la mancan-
za di risorse, dobbiamo rivolgerci
ai privati, perché svolgano ru-
oli di sponsor, partner o clienti.
Questo primo contributo sintetiz-
za articoli apparsi su Lo Spazio
della Politica, nuclei di un ebook
che sto curando come Make in It-
aly (e LSDP) con l’aiuto di diversi
membri dell’Associazione. L’obi-
ettivo è semplice: accreditare il
movimento presso le imprese
manifatturiere, colonna portante
del paese e, probabilmente, tra
gli attori più indicati per rilanci-
are la crescita economica attra-
verso le esportazioni. Vogliamo
convincerli che realtà come i
fablab e le officine private pot-
ranno assisterli nella creazione
di prodotti modulari, altamente
personalizzabili oppure nell’in-
novazione distribuita, attraverso
prototipazioni rapide e a contatto
diretto dei consumatori. In altri
paesi la corsa è già cominciata:
non è d’altronde la prima volta
che un movimento di smanettoni,
nato in garage e officine improv-
visate, dà origine a economie
floride.
A oggi il fenomeno dei fablab è
ancora troppo fresco per deline-
are dei chiari modelli economici
di sviluppo, ma è evidente che ci
sono pochi casi di sostenibilità di
successo. Buona parte dei fablab
si appoggia a qualche istituzione
accademica, mentre qualcun’al-
tro riesce a trovare degli sponsor
illuminati. La maggior parte dei
fablab è rappresentata da luoghi
che dispensano servizi a con-
sumatori (che si creano propri
oggetti) e a innovatori che speri-
mentano e prototipano le proprie
idee. Difficile oggi avere grandi
margini, dato che i consumatori
di solito spendono su oggetti di
piccole dimensioni e gli innova-
tori-prototipisti sono ancora rari.
In questo articolo cercherò di
proporre tre ricette, pensate per
aiutare i fablab e le imprese che
decidessero di appoggiarli:
1) la produzione distribui-
ta, ossia l’assemblaggio nei
fablab di prodotti rilascia-
ti con licenze “open source”;
2) la costumizzazione on-site;
3) la prototipazione aperta, ossia
lo sviluppo di nuovi prodotti da
parte di comunità di innovatori
in collaborazione con le imprese.
LA PRODUZIONE DISTRIBUITA
Per aprire di più ai consumatori,
i fablab dovrebbero riuscire ad
abbassare i prezzi del prodotto
finito, ancora elevati in confronto
ai concorrenti industriali. Ques-
to perché costano i macchinari
e la manodopera, e perché non è
possibile sfruttare leggi di scala.
Occorre fare qualche consider-
azione macroenomica, partendo
dalla base: quali componenti in-
cidono sul prezzo di un bene? E’
ovvio che dipendono dal prodot-
to, e che quindi dovrò fare delle
generalizzazioni. Partirei da oss-
22 FabLabMag
ervazioni abbastanza note, che
hanno il pregio di dare cifre su
cui riflettere, in merito al costo di
produzione dell’Iphone 4S: si ag-
gira sui 188-200 dollari.
Da cosa deriva la differenza di
prezzo? Al di là di manifattura e
costo dei componenti, nei pro-
dotti di marca ricerca&sviluppo
e marketing la fanno da padro-
ni.Pesa anche il customer care,
sempre più richiesto per oggetti
di simile complessità. E poi c’è
l’intangibile, ossia il valore del
marchio. Non ho fatto esempi a
caso, ma ho cercato costi che si
possono eliminare in un mondo
di open-economy. È evidente che
se si riesce ad agire su di loro è
possibile aumentare il costo della
manodopera (a costo componenti
costante, ma ho un’idea per farlo
calare).
Il discorso per cui le aziende chi-
udono perché costrette a com-
petere con prezzi alla produzione
bassissimi è una mezza verità. Si è
decisa una strategia di outsourc-
ing consapevole: le multinaziona-
li si sono liberate di problemi oggi
sensibili, come i diritti dei lavora-
tori e la salvaguardia dell’ambi-
ente, affidando la produzione a
fornitori terzi. La competizione
tra i fornitori abbassa notevol-
mente il prezzo, e aumenta la ve-
locità con cui si introducono le
novità sul mercato.
Questo è il paradigma competiti-
vo. Proviamo allora a immaginare
un modello cooperativo da op-
porvi, un modello in cui i prodotti
che acquistiamo sono protetti da
licenze open (usando la CC BY-SA,
(licenze creative commons, ndr)),
il loro sviluppo fa capo a fondazi-
oni (che coordinano e accentrano
la ricerca), produzione e commer-
cializzazione si basano su labora-
tori distribuiti (che chiamerò per
semplicità fablab, ma potrebbero
anche essere luoghi meno ricchi
Per aprire di più ai consumatori, i fablab dovrebbero riuscire ad abbassare i prezzi del prodotto finito, ancora elevati in confronto ai concorrenti industriali.
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23FabLabFan
di creatività degli attuali fablab) e
su mega-portali internet.
Alcune modifiche progettua-
li sono necessarie per dare vita
a questo sistema. Il cellulare,
preso come esempio, dovrebbe
diventare modulare, di modo da
non doverlo cambiare ogni anno
o due. Per aggiornarlo bastereb-
be modificare la Cpu, la batteria e
la memoria. Si potrebbe sfruttare
ancora la competizione tra forni-
tori, ma in modo più consapevole:
la Cpu può provenire da marchi
diversi, che hanno qualità e cos-
ti diversi; ogni assembler sceglie
in base alle proprie priorità, dan-
done notizia al cliente. Se posso
scegliere per due euro in più una
memoria realizzata da una so-
cietà socialmente responsabile,
perché non farlo?
Seguendo questa filosofia, si è
timidamente mossa Nokia, (http://
conversations.nokia.com ) e, con
maggiore coraggio, Motorola (il
progetto Ara di cui ha già discusso
Simone Cicero). Di certo non bas-
ta modificare l’architettura hard-
ware: occorre modificare anche
la percezione che ha il consuma-
tore del proprio telefono, ripor-
tarlo a strumento di comunica-
zione e personal assistance. Non
tutti avrebbero bisogno di grande
potenza computazionale, quin-
di di architetture troppo spinte.
Non è necessario, comunque,
dedicare le riflessioni solo su un
terreno molto spigoloso come gli
smartphone. L’esempio mi atti-
ra perché sono convinto che i
makers esprimeranno il loro po-
tenziale creativo soprattutto in
gadget tecnologici, penso a tut-
to l’ambito wearable, dove sarà
possibile combinare ingegneria
e medicina, nonché servizi alla
persona.
Ciononostante, c’è già un set-
tore in cui sia possibile speri-
mentare la produzione aperta:
24 FabLabMag
il mobile, in cui peraltro l’Italia
è ancora forte. La rete è ricca
di proposte di “open forniture”.
Il primo esempio valido che ri-
cordi risale a un concorso indetto
da Domus insieme alFab Lab di
Torino: “Autoprogettazione 2.0”;
hanno dimostrato che è possibile
creare mobili di design con le tec-
nologie disponibili in un fablab,
rilasciando con licenza creative
commons i dieci progetti premia-
ti. È stato poi il momento di Open
Structures, dell’italiano Instruc-
tionforuse.com, anche se la vera
consacrazione del mobile “open”
si ha con Open Desk https://www.
opendesk.cc/ Il suo obiettivo è la
produzione locale.
Tutti i file dei mobili sono disponi-
bili per essere scaricati gratis,
lavorati da CNC e rifiniti a mano. I
pezzi finiti possono essere assem-
blati in loco e la qualità del design
è buona. Sono previsti diversi
livelli di interazione dei clienti:
1) chi dispone di CNC si
prepara i pezzi scarican-
do i file delle istruzioni;
2) chi invece non ha una CNC,
ma gli strumenti per lavorare
il legno, può acquistare i ma-
teriali già tagliati e da rifinire;
3) chi, infine, manca degli stru-
menti, può acquistare l’intero
pacchetto da montare, stile IKEA.
Partendo dalle proposte
di OpenDesk provo a immagin-
are il tipo di clienti interessati da
questo modello aperto, organiz-
zandoli secondo diverse modalità
di consumo.
1. Massimo impegno: spendo solo
per l’acquisto iniziale, poi mi cer-
co i prodotti in rete, sui siti che
li offrono, me li compro e provo
da solo. Mi smonto e rimonto il
cellulare, come mi piace, scrivo
qualche riga di codice per avere
applicazioni più efficienti. Ogni
tanto vado a incontri di nerd per
condividere le nostre idee migli-
Il fablab per auto sostenersi deve riuscire ad avere buoni introiti, deve offrire servizi ad alto valore aggiunto, perché il solo abbonamento agli strumenti non basta.
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25FabLabFan
ori.
2. Medio: frequento un fablab
dove mi insegnano a smontare
il telefono, dove mi consigliano
sulle novità da introdurre. Mi in-
formo e documento su vari siti,
e quindi mi confronto con quelli
che al fablab ne sanno di più.
3. Minimo impegno: mi abbono al
fablab, porto il cellulare ogni tan-
to per fargli dei controlli e dei mi-
glioramenti (hardware/software).
Gli abbonamenti dei clienti
“meno interattivi” porterebbero
notevoli ricavi sicuri ai fablab,
che potrebbero migliorare la
propria dotazione di strumenti e
far crescere in qualità i prodot-
ti open. In sintesi, ecco l’origi-
ne del risparmio per le imprese:
1. Ricerca e sviluppo sono
condivise, secondo model-
li open in cui esistono migli-
aia di innovatori e betatester.
2. Il marketing non ci interes-
sa. I fablab presentano i nuo-
vi modelli quando arrivano, e
sono i consumatori (prosumer)
a farsi avanti per sapere le no-
vità. Chiaramente servono molti
più fablab e una maggiore diffu-
sione del fenomeno dei makers.
3. L’assistenza è svolta dai fablab
sparsi sul territorio, e spesso
diventa superflua, grazie alle
competenze acquisite dagli uten-
ti.
CUSTOMIZZAZIONE ON-SITE
E’ contenuta in buona parte nel-
la produzione distribuita ma non
impiega per forza delle licenze
aperte. Se le stesse tecnologie di
produzione vengono utilizzate
per rifinire alcuni dettagli dei
prodotti di consumo, è possibile
dare vita a oggetti altamente per-
sonalizzati. Immaginate di acqui-
sire attraverso degli scanner 3D
le mani di un motociclista che
si fa stampare le manopole dei
freni su misura; stesso discorso
per un cameraman o un fotogra-
fo che adattano al proprio fisico
i loro strumenti di lavoro. Anche
una racchetta da tennis o il vol-
ante di un’auto potrebbero essere
costumizzati in questo modo.
Per prodotti high-tech di design
(Hi-Fi, per esempio) si può im-
maginare una base modulare con
diverse opzioni di colori e bottoni
stampabili al momento dell’ac-
quisto.
PROTOTIPIZZAZIONE APERTA
Il fablab per auto sostenersi deve
riuscire ad avere buoni introiti,
deve offrire servizi ad alto valore
aggiunto, perché il solo abbona-
mento agli strumenti non basta.
Ecco che l’alto valore aggiunto
deriva dalle conoscenze tacite
acquisite dalla sua comunità: un
fablab potrebbe offrire in abbon-
amento, oltre all’uso dell’attrez-
zatura, la capacità progettuale
del team che lo anima, diventan-
do allora un luogo deputato a
gestire la prototipazione di nuovi
prodotti: questi possono origin-
are da un designer, da un inven-
tore o da una società. Il fablab si
porrebbe quindi come servizio di
couching “fisico” per innovatori
di prodotto, affiancandosi a servi-
zi di couching classici per start-
up. Una volta che il prodotto è
stato sviluppato e prototipato, si
cerca un partner commerciale
con cui passare alla fase due: in-
gegnerizzazione per la produzi-
one industriale. Una parte delle
royalties andrebbero all’inven-
tore e una parte al fablab.
Il fablab, inoltre, potrebbe
diventare anche micro-distribu-
tore dei prodotti così creati.
Per sviluppare i loro prototi-
pi, mettendoli a disposizione
di hacker in grado di smontar-
li e testarli davvero. Allo stesso
modo, le PMI dovrebbero aprirsi
al mondo dell’open manufactur-
ing, abbandonando timori e pru-
denze che portano a chiudersi
26 FabLabMag
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in se stessi e risultano perdenti
di fronte a una concorrenza in-
ternazionale sempre più aggu-
errita. Molte realtà manifattur-
iere distano anni luce dai propri
consumatori: perché sorgono in
distretti industriali, non in gran-
di città; perché non ci lavorano
teenager e modaioli, perché sono
dipendenti dai dettami dei forni-
tori. Fablab metropolitani porter-
ebbero a contatto i prototipi con i
futuri clienti, testando in anticipo
opportunità commerciali. L’es-
perienza di design mood http://
www.youtool.it/e https://it.form-
abilio.com/ mostra che l’apertura
dell’impresa all’open innovation è
una strada già percorribile.
Un sistema di prototipazione dif-
fusa potrebbe aprire delle sedi
nei diversi distretti italiani e fa-
vorire un enorme trasferimento
di conoscenza, dalle imprese ai
designer e tra le imprese stesse
(a livello nazionale). Ogni nodo
della rete immette infatti i mod-
elli in fase di sviluppo, di modo
che se un’azienda vuole svilup-
pare a Torino un nuovo prodotto
può scoprire che è già in fase di
realizzazione a Trento e quindi
contattare il team e l’azienda pro-
motrice, dando vita a partnership
più capaci di affrontare il mercato
estero. Se un’azienda non riesce a
risolvere a Firenze problemi in-
gegneristici, può sperare di affi-
dare ai diversi fablab presenti sul
territorio la ricerca di una soluzi-
one. Una volta arrivati al prodotto
industriale, il rilascio in creative
commons del progetto permette
una ricerca continua che ha nella
rete di fablab (e nelle communi-
ties di makers che la animano) un
sostegno e un punto di appoggio.
Si tratta di mettere in piedi un’in-
frastruttura conoscitiva molto
intensa e le associazioni di cate-
goria del campo PMI potrebbero
investire al fine di ammodernare
l’offerta di prodotti dei propri
aderenti. Non ci sono dubbi sul
fatto che un modo per aumentare
le competenze tecniche e ren-
dere i giovani più appetibili per il
mondo del lavoro.
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29FabLabFan
FAB LAB A SCUOLA PERIL “CONTAGGIO DIGITALE”
“C’è tanta voglia di fare cose, è un’esplosione di creatività quella in cui m’imbatto ogni giorno. Sono storie di persone che questo paese lo vogliono cambiare davvero.”
Si è parlato di futuro digitale del
Paese e di botteghe artigianali 2.0
all’Università degli Studi di Saler-
no in occasione del 50° Congresso
Nazionale dell’Aica.
«C’è tanta voglia di fare cose .» ha
esordito Riccardo Luna, «È un’es-
plosione di creatività quella in cui
m’imbatto ogni giorno. Sono sto-
rie di persone che questo paese
lo vogliono cambiare davvero.
Sono storie che mi fanno credere
che non è vero che il futuro sarà
peggiore. Semmai è vero il con-
trario». L’Informatica è lo stru-
mento liberatore del lavoro delle
persone e le Università e i Centri
di ricerca devono avere un ru-
olo fondamentale nel collegare
il FabLab con la comunità di im-
prenditori e innovatori. Inoltre,
si avverte l’urgenza, ancor prima
che l’esigenza, di ripartire dalle
scuole. «Il FabLab deve diventare
strumento per accrescere le
competenze digitali delle per-
sone» – ha detto il prof. Stefano
Micelli docente dell’Università
Ca’Foscari, queste conoscenze in
Italia, tuttora, purtroppo scarseg-
giano e, in effetti, i dati parlano
chiaro: l’Europa è in ritardo ris-
petto a paesi come Stati Uniti e
Giappone per quanto riguarda la
competenze digitali ma in Italia
la situazione è peggiore, secondo
i dati Istat. e la scuola dev’essere
il mezzo per un’incisiva azione
di “contagio digitale” che coin-
volga tutti, bisogna apportare
una ventata di cambiamento in-
serendo negli istituti i FabLab e
riempiendo le scuole di fare e di
entusiasmo nel fare. Portare i lab-
oratori di fabbricazione digitale
nelle scuole, educare i giovani e
gli insegnanti alla passione del
fai-da-te tecnologico come base
dell’innovazione e del cambia-
mento di nostro paese.
Sritto da francesca Luciano su chefuturo.it del 10 ottobre 2014
IL FUTURO SARA’ MIGILORE
30 FabLabMag
Scritto da Marta Manieri su chefuturo.it del 15 Gennaio 2014
5 MOTIVI CHE FARANNO DEL 2014 L’ANNO DELLA SHARING ECONOMYDi questo si parlerà con Simone Cicero, Ivana Pais in occasione del primo International Collaboration Day, in un lunchtime hangout
EC
ON
OM
IA
31FabLabFan
Inizio anno tempo di bilanci. Cosa
è stato e cosa sarà per la sharing
economy? Di questo si parlerà
con Simone Cicero, Ivana Pais in
occasione del primo Internation-
al Collaboration Day, in un lunch-
time hangoutorganizzato per il
prossimo 16 gennaio, durante
il quale presenteremo un breve
report sui dati e gli eventi sali-
enti del 2013, e risponderemo a
domande e questioni poste dai
partecipanti. Provo così, in ques-
to post, a immaginare cosa sarà
della sharing economy nel 2014,
per dare qualche spunto in vista
dell’appuntamento e per giocare
anche io – almeno una volta – con
le previsioni di inizio anno.
Primo. Sharing economy questa
sconosciuta. Nel 2014 si parlerà
sempre di più di sharing econo-
my all’estero ma anche in Italia. Si
continuerà a spiegare che cos’è,
quali benefici porta, quali servizi
comprende ma ci si soffermerà
molto di più sul suo significato.
Sia nel senso generale del ter-
mine (implicazioni e opportunità)
sia letterale.
La definizione di sharing econo-
my non è chiara e condivisa. La
questione è vecchia ma è tornata
alla ribalta dopo un intervento di
Rachel Botsman qualche mese fa,
che però non ha soddisfatto tut-
ti. La diatriba vede contrapposto
chi considera vera e propria con-
divisione di beni solo in assenza
di transazione economica, e chi
invece ritiene questo un dettag-
lio di una visione molto più am-
pia. Se ne continuerà a parlare
per tutto l’anno (e credo anche in
quello a venire), perché l’econo-
mia collaborativa stessa, come
ogni fenomeno nuovo, è destina-
ta a modificarsi. Compariranno
nuovi servizi che porranno nuovi
interrogativi; altri cresceranno
proponendo non solo un servizio
di condivisione di beni ma ag-
gregando nuove funzionalità (e in
tal senso la piattaforma inizierà
ad assumere sempre più il ruolo
di nuovo mediatore), altri anco-
ra, probabilmente, apriranno la
loro community non solo ai pri-
vati ma anche a piccole e medie
aziende (come fa già Airbnb con
i bed&breakfast e ebay), facen-
do diventare sempre più difficile
definire che cosa sia esattamente
la sharing economy .
Secondo. Aziende e amminis-
trazioni sempre più coinvolte. I
più grandi brand del mondo ab-
bracceranno la sharing economy.
Lo scrive Forbes che lo indica
come uno dei più promettenti
trend del 2014. Succederà proba-
Nessun mega trend, quindi, nessuna rivelazione particolare se non che la sharing economy continuerà a crescere e crescendo inizierà ad assumere un volto differente e differenziato.
5 MOTIVI CHE FARANNO DEL 2014 L’ANNO DELLA SHARING ECONOMY
32 FabLabMag
EC
ON
OM
IA
bilmente negli USA (non credo in
Italia), dove il mese scorso è sta-
to lanciato una sorta di Comitato
(CrowdCompanies) che riunisce
le aziende che vogliono investire
nella sharing economy. Sarà da
capire se queste compagnie si
avvicineranno ai servizi collab-
orativi ripresentando le categorie
con cui hanno gestito i propri in-
teressi fin qui, o saranno in grado
di comprendere e far loro le tras-
formazioni in atto rinnovando
così non solo la loro offerta ma
soprattutto il modo in cui hanno
fin qui considerato il mercato e
i consumatori. Anche le ammin-
istrazioni inizieranno a valutare
come beneficiare della sharing
economy. Alcune si stanno già
muovendo, altre si apprestano a
farlo in maniera strutturata (e fra
queste si spera presto anche Mi-
lano).
Terzo. Dal digitale al territorio e
ritorno. L’economia collaborativa
è conosciutasoprattutto per es-
sere un fenomeno che nasce nel
mondo digitale, ma in realtà Ezio
Manzini parla di servizi collabor-
ativi già da più di un decennio.
La tecnologia il più delle volte
non ha fatto altro che diffondere
e ampliare servizi che sul territo-
rio esistevano già. Credo che nel
prossimo anno, e in quelli a veni-
re, ci sarà un ritorno verso il ter-
ritorio che sarà visto da start up,
ma anche da nuovi attori, come
luogo di applicazione naturale dei
concetti di condivisione e scam-
bio. Le start up troveranno sul
campo il loro bacino di utenza,
mentre nasceranno nuovi pro-
getti che promuoveranno servizi
collaborativi sul territorio uti-
lizzando la tecnologia non come
piattaforme di business ma per
diffondere, promuovere e met-
tere in rete con un pubblico più
ampio le loro iniziative. Qualcuno
lo sta già facendo egregiamente
anche in Italia (Social street, Casa
Netural).
Quarto. Start up che vanno, start
up che arrivano: Anche le start
up continueranno a crescere
all’estero come in Italia, sia per
numero che per utenti. Aumen-
teranno soprattutto quei servizi
legati al turismo, alla mobilità,
alla condivisione di spazi fisici
oltre al crowdfunding (soprattut-
to l’equity). Molte piattaforme,
tuttavia, inizieranno anche a
scomparire. Negli Usa un trend
33FabLabFan
co-working
car-sharing
bike-sharing
normale, in Italia, sarà molto più
visibile quest’anno. Se è vero,
infatti, che la vita media di una
start up è 3 anni e che in Italia i
primi servizi collaborativi hanno
iniziato a comparire fra il 2011 e
il 2012, quest’anno dovrebbero
essere evidenti i primi fallimenti.
La maggior parte si arrenderà per
le difficoltà di raggiungere quel-
la massa critica che consente,
quando c’è, di trovare il coraggio
per investire più tempo e denaro.
Quinto. Nessuna grande novità
in termini di normativa. Nel 2014
sarà sempre più evidente, all’es-
tero come in Italia, l’urgenza di
regolare i servizi collaborativi.
Per tutto il 2013 abbiamo assisti-
to a tentativi di bloccare servi-
zi come Airbnb, Uber (l’ultimo
in Francia), Lyft e via dicendo.
Queste piattaforme continueran-
no a crescere e con loro anche
le denunce delle lobby colpite.
Se ne discuterà molto, qualche
amministrazione, probabilmente,
proverà a regolare i servizi ma
non penso si arriverà a interve-
nire in maniera strutturata. Dif-
ficile, infatti, riuscire a fare un
documento programmatico sulle
normative che possono regolare i
servizi collaborativi perché com-
prendono mercati differenti cias-
cuno con proprie leggi e peculi-
arità che spesso cambiano anche
da regione a regione .
Nessun mega trend, quindi, nes-
suna rivelazione particolare se
non che la sharing economy con-
tinuerà a crescere e crescendo
inizierà ad assumere un volto dif-
ferente e differenziato. Speriamo
altrettanto attraente.
34 FabLabMag
Fab9JapanCOSI’ NEI FABLAB SI IMPARA LA PERSONAL FABRICATION
Scritto da Serena Cangianosu chefuturo.it del 11 Settembre 2013
RE
PO
RT
Dal 21 al 27 agosto si è tenuto a Yokohama, in Giappone, Fab9Japan, il nono forum internazionale dei fablab, i laboratori di personal fabrication nati dalla visione del professor Neil Gershenfeld, direttore del Centre for Bits and Atoms del MIT.
35FabLabFan
36 FabLabMag
RE
PO
RT
Cercando di combinare vacanze
e disseminazione di progetti di
ricerca, ho partecipato a questo
evento, sicuramente unico, che
inaspettatamente mi ha permes-
so di capire meglio i principi e le
attività correnti e future che ruo-
tano intorno al concetto “fablab”.
Il programma è stato molto in-
tenso. Al mattino erano previste
le Ignite Session, in cui i rappre-
sentanti dei fablab nel mondo
presentavano le attività dei loro
rispettivi laboratori: workshop
per bambini, incubazione di
progetti hardware e di robotica,
sviluppo di progetti di design e
software parametrici per creare
origami di oggetti tridimension-
ali da assemblare manualmente
in due giorni (ovvero l’approccio
giapponese al digital manufac-
turing). Ce n’era per tutti i gusti
e per tutti i continenti, ma il fil
rouge era sempre lo stesso: ogni
fablab propone o replica attività
di formazione e progetti al fine
di promuovere la personal fabri-
cation resa possibile dall’accesso
a stampanti 3D e laser cutter per
chiunque voglia trasformare la
propria idea in qualcosa di con-
creto.
La sessione Ignite più interes-
sante è stata quella relativa ai
fablab in Giappone. Strano ma
vero, il Giappone ha un basso
tasso di imprenditorialità e in-
novazione. I giovani fablabbers
giapponesi che ho incontrato mi
hanno raccontato di un siste-
ma estremamente conservatore
e gerarchico. In questo quadro i
fablab sembrano rappresentare
una formula vincente per sbloc-
care un po’ le cose. Sette nuovi
fablab sono stati avviati in diverse
aree del Giappone: il F.Labo a Og-
aki è ospitato in un incubatore di
impresa e innovazione; il Fablab
Kamakura ha la sede in un antico
edificio di una magnifica località
di mare e propone la combina-
zione di tecniche di artigianato
giapponesi con le tecnologie di
digital fabrication. Il FabLab Ki-
takagaya, a Osaka, vive grazie alla
cooperazione con piccole im-
prese in uno spazio di co-work-
ing. E infine ci sono il FabLab
Shybuya e il Fabcafè, cellule del
fabbing trendy di Tokyo.
Durante il Fab9, sono stati inau-
gurati altri due fablab: FabLab
Sendai e FabLab Kannai a Yoko-
hama. Io ho visitato tre di questi
lab e ho potuto constatare come
i giapponesi siano capaci di ac-
celerare i processi di sviluppo
e crescere in poco tempo come
nessun altro popolo al mondo.
I pomeriggi del forum erano ded-
icati alle presentazioni di ricer-
catori e aziende che operano
nell’ambito della digital fabrica-
tion. Per gli appassionati di 3D
printing, il momento più interes-
sante di queste sessioni è stato il
confronto tra Jun Ito, direttore di
Roland DG Japan, e Max Lobovsky,
uno dei fondatori di Formlabs,
azienda che produce stampanti
stereolitografiche a basso cos-
to. Alla domanda «cosa ne pensa
del progetto di FormLabs, con-
siderando che sviluppano una
tecnologia che può essere com-
petitiva rispetto a quella fornita
dai prodotti Roland?», il signor
Ito risponde timidamente con un
La piattaforma é stata sviluppata all’interno del FabLab Barcelona (uno dei più rilevanti nella rete) da Tomas
Diez (direttore del FabLab) e dal programmatore John Rees in maniera
open source su GitHub, e rilasciata con licenza MIT
37FabLabFan
“Ta contesinc mercerfera noximanum dem hem perferi caequiu et forum auci suntur utus; et peris.
«Molto interessante!», evitando
un reale confronto con i giovani
competitor che esemplificano il
modello di innovazione america-
no: giovani con un’idea brillante,
tanto design e milioni di dollari
forniti da venture capital.
La serata continuava con un pro-
gramma di workshop pratici e
teorici organizzati all’interno del
fantascientifico Super FabLab: 2
piani del Kitanaka Brick attrezzati
con tutta la tecnologia, i materi-
ali e gli strumenti per realizzare
praticamente “quasi tutto”, dalle
macchine per il 3D scannino ad
una Shopbot modello “large”.
L’abbondanza in Giappone è sec-
onda solo al senso di ospitalità.
Tra una pausa e l’altra dal parco
giochi Super FabLab, ho parteci-
pato alle sessioni di discussione
e presentazione delle attività
di FabFoundation, la fondazione
nata nel 2009 a supporto dello
sviluppo del network dei fablab
nel mondo. Si occupa di facilitare
l’apertura di nuovi laboratori, di
monitorare le attività e avviare
nuovi progetti in ambito form-
ativo. La “mamma” e persona
chiave di FabFoundation e dei
fablab, Sherry Lassiter, ha spie-
gato che tra gli obiettivi prioritari
della fondazione c’è lo sviluppo
di progetti legati alla formazione:
FabEd è il progetto che punta a
stimolare e valutare l’introduz-
ione dei fablab all’interno della
formazione nelle scuole primarie
e secondarie (negli Stati Uniti), e
Fab Academy è, invece, il corso di
formazione distribuita che per-
mette a persone in luoghi diversi
di imparare tecniche e tecnologie
di digital fabrication e program-
mazione partecipando a sessioni
on line via streaming, curate da
Neil Gershenfeld in persona.
La Fab Academy è il format di
punta della FabFoundation e si
sta sviluppando sempre di più
considerando che i diplomati
quest’anno sono stati circa tren-
ta. Di questo format ciò che mi
sembra efficace è la possibilità
di seguire un corso a distanza
con i benefici della formazione
in sede e il costo: per 20 setti-
mane di corso la tassa è di 5.000
euro (poco per gli standard delle
università americane). Frequen-
tare e completare Fab Academy
non permette di ricevere nessun
certificato riconosciuto ufficial-
mente, ma in fin dei conti a cosa
serve un pezzo di carta quando
si può entrare nella rosa di quelli
che hanno scelto una formazione
sperimentale curata direttamente
dal professor Gershenfeld?
Seguendo le presentazioni su
FabFoundation, FabEd e Fab
Academy, ho realizzato che tutte
questi progetti sono la mani-
festazione evidente che gli Stati
Uniti riconoscono nei fablab un
network per avviare una fase di
cambiamento del paese, agendo
sulla formazione e sulla manifa-
ttura digitale. Il modello attuale
della fondazione, così come con-
fermato anche da Gershenfeld e
Lassiter, è basato su un lavoro di
lobby mirato a influenzare i gov-
erni e le aziende a investire molto
denaro nella creazione di labora-
tori distribuiti, piuttosto che di
grandi laboratori con attrezza-
ture milionarie. Uno dei primi ri-
38 FabLabMag
sultati è che da quest’anno la Fab-
Foundation riceverà il supporto
della Chevron, azienda petrolifera
americana.
Dopo questo annuncio, mi sono
chiesta se questo modello di
business per i fablab basato su
trasferimento top down di inves-
timenti abbia senso: allo stato at-
tuale sembra essere l’unica soluz-
ione per avviare dei fablab, ma a
lungo termine cosa succederà?
Neil Gershenfeld non ha una ris-
posta per noi. Durante la pre-
sentazione finale al KAAT, centro
delle arti di Yokohama, afferma
onestamente che non ha nessuna
visione per il futuro dei fablab e
che ogni fablab è libero di evolv-
ersi come vuole. L’unico collante
deve essere la visione di personal
fabrication e la volontà di comu-
nicare, mantenere degli standard
sulle modalità di uso delle mac-
chine e della trasmissione e doc-
umentazione della conoscenza.
Questo punto di vista sui fablab
ha creato in me un po’ di confu-
sione: da un lato, c’è la visione di
trasformare ogni lab in un’infra-
struttura per la produzione dig-
italizzata e distribuita. Come la
rete ferroviaria per i trasporti e la
comunicazione, i fablab saranno
la rete che impatterà sul modo in
cui ogni individuo avrà accesso a
beni e servizi.
Dall’altro lato, c’è una totale man-
canza di soluzioni concrete per
avviare questo processo: i fablab
del mondo hanno difficoltà a co-
municare per carenza di piatta-
forme centralizzate e servizi con-
divisi e non ci sono ancora molti
progetti di collaborazione perché
al momento prevale il local sul
global.
Ogni giorno nascono piattaforme
dedicate al design e alla manifat-
tura digitale, start up che offrono
servizi di distribuzione innovativi,
software commerciali che offrono
interfacce semplificate per la
modellazione 3D e nuove inizia-
tive che creano marchi/concetti
nuovi per aggregare persone e
progetti intorno alla digital fabri-
cation e alla maker culture.
Il Fab9 è stato un evento illumi-
nante che mi ha fatto capire un
po’ il mondo dei fablab dal punto
di vista degli Stati Uniti. Ma qual
è il punto di vista dell’Europa? E
dell’Italia?
Per capirlo forse dovrei aspettare
la prossima conferenza dei fablab
che si terrà a Barcelona dal 2 all’8
luglio 2014. Il sito è già on line.
RE
PO
RT
39FabLabFan
MAKERS E COPYRIGHTTodd Blatt è un ingegnere mec-
canico di Baltimora appassionato
di fantascienza e fantasy. Da un
paio di anni passa il suo tempo a
ricreare oggetti presenti nei film
di genere di cui è appassionato.
Todd frequenta anche la comu-
nità online theRPF, i cui i membri
condividono trucchi e istruzioni
per realizzare i complementi di
costumi accessoriati.
Todd progetta con un program-
ma CAD e i file sono caricati su
una piattaforma online di servizio
di stampa 3d. In questo modo,
chi lo desidera può acquistarne
una copia fisica, selezionando il
materiale preferito. Todd mette
solo a disposizione il file in modo
che copie fisiche siano prodotte e
spedite on-demand a fan come lui
sparsi in tutto il mondo.
Per far conoscere la sua ultima
creazione di cui va molto fiero,
Todd ha scritto un post sul forum
di theRPF e le reazioni non sono
tardate. Due giorni dopo ha rice-
vuto una lettera di “Cease and De-
sist” dagli avvocati di Paramount
Pictures, la richiesta di eliminare
il file del cubo Argus dalla rete per
non essere coinvolto in una causa
legale per violazione di copyright.
All’inizio di quest’anno è capitata
una cosa analoga ma ancora più
curiosa. Andreas Kahler (co-fon-
datore del FabLab di Monaco)
ha caricato sulla piattaforma
Thingiverse la foto di un razzo
di Tintin realizzato in 3D che lui
stesso aveva stampato e succes-
sivamente immortalato con uno
scatto.
A differenza del caso preceden-
te, il progetto digitale caricato
su quel sito non permette la con-
cretizzazione diretta dell’oggetto
attraverso un servizio di stampa
3d commerciale, ma rende dis-
ponibile il file per essere scari-
cato, eventualmente modificato
e prodotto materialmente da una
qualsiasi stampante, soprattutto
casalinga.
Moulinsaart, l’azienda che pro-
tegge e promuove la proprietà
intellettuale dell’autore di Tin-
tin, non si fa attendere e scrive
a Thingiverse, che a sua volta
contatta per richiedere (ed otte-
nere) l’eliminazione delle foto. Le
due storie potrebbero sembrare
simili. In realtà contengono dei
dettagli che le rendono molto
diverse, mostrando come il tema
della protezione della proprietà
intellettuale nel contesto della
stampa 3d sia un argomento com-
plesso e, soprattutto, ancora con-
fuso. Stiamo vivendo un’epoca
in cui è il momento di ripensare
complessivamente alcuni ambiti.
Per inerzia si finisce spesso per
preferire l’approccio più imme-
diato, applicando vecchi model-
li ad un mondo nuovo e ricco di
potenzialità. Puntare sulla paura
dell’illegalità (e degli uffici legali)
per limitare le libertà degli indi-
vidui più di quanto sia necessario
è un danno per la società e per
le economie che in essa si creano.
40 FabLabMag
LA LEZIONE DEI FABBERS AFRICANI ALL’ OCCIDENTE : BASTA CON PRODOTTI STANDARDIZZATILunedì 10 febbraio sarà presenta-
to al museo Madre il progetto Af-
rican Fabbers, sviluppato in col-
laborazione con Urban FabLab e
Maria Giovanna Mancini.
Il progetto, che sarà ospitato alle
Biennali d’Arte Contemporanea di
Marrakech e Dakar si pone come
obiettivo l’interazione delle co-
munità di creativi, makers euro-
pei ed africani attraverso work-
shop, progetti collaborativi e
incontri pubblici.
African Fabbers, nasce con l’in-
tento di sovvertire le logiche
consumistiche che spesso sot-
tendono ad ogni processo di in-
novazione tecnologica mettendo
in rilievo piuttosto le opportunità
di innovazione sociale e culturale
che da essa derivano. Le espe-
rienze di vita e di lavoro maturate
nel tempo tra Europa e Africa mi
hanno sempre di più spinto a ri-
flettere sul rapporto tra le forme
di auto-produzione spontanee ti-
piche di alcuni contesti ed i sis-
temi complessi che sono invece
alla base dei processi computazi-
onali che caratterizzano lo svi-
luppo delle società occidentali.
i due mondi, apparentemente
così lontani, possano lavorare
ad una piattaforma comune per
sperimentare insieme nuovi lin-
guaggi e nuovi processi produtti-
vi possibilmente sostenibili.
Analizzando i linguaggi creativi
e le tecniche che caratterizzano
alcune zone dell’Africa è chia-
ro quanto sia forte la capacità di
sviluppare in modo generativo,
algoritmi complessi (contextu-
al algorithms) per manipolare la
materia realizzando oggetti d’uso
comune, opere d’arte, tessuti,
insediamenti abitativi etc. Quel-
lo che è davvero interessante in
questo enorme patrimonio cul-
turale è l’ecologia dei processi, la
capacità di utilizzare al massimo
le risorse locali, la semplicità ed il
rigore con cui vengono utilizzate
geometrie e forme complesse al
fine di risolvere questioni assai
concrete.
Mentre le società occidentali
continuano spingere nella di-
rezione di utilizzare la tecnologia
per standardizzare i prodotti, in
alcuni contesti da noi considera-
ti “poveri” si cerca di lavorare a
processi produttivi a basso costo
che forniscono soluzioni diversif-
icate, “self-similar”, in osmosi con
il contesto specifico. In tal senso
African Fabbers intende essere
anche un agenda di ricerca che
riflette la necessità di riconciliare
questi due approcci, raccoglien-
do la sfida di far interagire saperi
e tecniche millenarie con la cul-
si cerca di lavorare a processi produttivi a basso costo che forniscono soluzioni diversificate
tura della fabbricazione digitale.
Il progetto svilupperà nelle di-
verse tappe un FabLab itinerante,
concepito come atelier aperto e
interdisciplinare. Il laboratorio
ospiterà workshop, talks ed in-
stallazioni temporanee sui diversi
temi del computational design,
sempre combinando la sperimen-
tazione di macchine a controllo
numerico con l’uso di materiali e
tecniche locali e ecologici.
Alla conferenza di presentazione
al museo Madre sarà inoltre pre-
sentato il programma dei work-
shop, con una fitta agenda di
ricerca che coinvolge partner e
istituzioni culturali internazion-
ali.I workshop sono rivolti a stu-
denti, designer, artigiani e creati-
vi europei e africani. .
Scitto da Paolo Casconesu chefuturo.it del 9 Febbraio 2014
41FabLabFan
C’è una parte d’Italia che per us-
cire dalla crisi sta andando verso il
futuro. Sono gli italiani che hanno
scommesso sul valore della rete e
della cultura digitale, per rilanci-
are il settore portante del made
in Italy: la manifattura. Grazie
alla digital fabrication oggi tutti
sono potenzialmente designer e
produttori e questa rivoluzione
tecnologica – che alcuni chiama-
no la terza rivoluzione industriale
– premia una delle caratteristiche
storiche degli italiani: la creativi-
tà. Negli ultimi mesi stanno nas-
cendo ovunque dei FabLab, delle
palestre-laboratorio di fabbrica-
zione digitale dove migliorare le
proprie competenze e metter-
si alla prova. E il movimento dei
makers si va diffondendo in tutte
le regioni, spinto anche dalla pas-
sione di quanti credono che il fu-
turo sia nelle nostre mani, nelle
cose che sapremo costruirci. Per
rafforzare questo movimento,
per far crescere questa rete qual-
che giorno fa abbiamo costitui-
to la Italian FabLab and Makers
Foundation. Lo abbiamo fatto
accogliendo l’invito del “padre”
di questa rivoluzione, il profes-
sor Neil Gershenfeld, e seguendo
le indicazioni della Fab Founda-
tion, che coordina la rete mondi-
ale dei FabLab. Lo abbiamo fatto,
soprattutto, unendo le nostre tre
storie personali e professionali,
che sono diverse, ma che hanno
più punti di contatto di quanto
non appaia e che soprattutto oggi
hanno in comune una visione su
quale strada prendere per uscire
dal tunnel: ripartire da un nuo-
vo Made in Italy,, il nostro saper
fare, unito alle meraviglie della
digital fabrication. Lo abbiamo
fatto nella forma più trasparente
NASCE ITALIAN FABLAB AND MAKERSFOUNDATIONCari associati e lettori, è con piacere che pubblichiamo sul nostro sito un annuncio importante per la nostra associazione. Lascio i dettagli alle parole di Riccardo Luna, convinti che questa sia per noi una grande occa-sione di poter contribure attivamente e fin dall’inizio ad un grande cambiamento.Direttivo Make in Italy
Scritto da Riccardo Lunasu chefuturo.it del 4 febbraio 2014
e chiara: una Fondazione, nella
forma di una onlus, perché fosse
evidente a tutti quale sarà la stel-
la polare che guiderà la nostra
attività. Aiutare chi non ha mezzi
per esprimere il proprio talento,
sostenere i sogni e i bisogni de-
gli innovatori migliori, e soprat-
tutto lavorare sulle competenze
digitali degli italiani, dai bambini
agli anziani, perché solo così, solo
con un grande investimento sul-
la formazione potremo davvero
avere un futuro. Utili a chi vuole
aprire un FabLab, utili a chi vuole
farlo crescere trovando un mod-
ello di business, utili a chi vuole
diventare maker e non sa come
si fa, e utili a chi ne cerca uno
per affidargli un progetto. Per le
cose dette fin qui appare eviden-
te perché la Fondazione l’abbia-
mo chiamata Make in Italy, anzi
Make in Italy Cdb onlus, perché
vogliamo contribuire alla cresci-
ta di un nuovo made in Italy. Ma
lo abbiamo anche fatto d’intesa
con i vertici di una associazione
nata qualche mese fa, che si chi-
ama proprio Make in Italy, perché
questo movimento avrà successo
solo se sapremo fare rete e re-
stare uniti. E infatti nel consiglio
direttivo che andremo a formare
ci sarà posto per i rappresentan-
ti dei FabLab, della associazione
Make in Italy e di tutte quelle altre
realtà che stanno contribuendo a
diffondere la cultura del “fare dig-
itale”. Tra qualche giorno a Torino
ci sarà la presentazione ufficiale
della Fondazione. Non in una data
qualunque: il 14 febbraio, terzo
compleanno del primo FabLab
italiano. In fondo la storia che vi
abbiamo raccontato oggi, parte
da lì.
42 FabLabMag
MO
ND
O
Scritto da Stefano Banzisu Makezinedel 21 Novembre 2013
IN CINA I MAKERS SONO GIA’ LINDUSTRIA DEL FUTURO: IL MIO DIARIO DA SHANGHAIMassimo Banzi: “Subito dopo la travolgente esperienza della Maker Faire Rome ho lasciato l’Europa per un breve viaggio in Cina. Stanno succedendo un sacco di cose interessanti lì.”
43FabLabFan
Ci sono anche un molti progetti fatti con Arduino. Abbiamo scoperto però che più del 90 percento delle schede usate sono falsi. Non cloni di Arduino, ma falsi.
Subito dopo la travolgente espe-
rienza della Maker Faire Rome ho
lasciato l’Europa per un breve
viaggio in Cina. Stanno succeden-
do un sacco di cose interessanti
lì. Ci sono già stato due volte per
brevi periodi, così questa volta ho
deciso di andarci per incontrare
un po’ di persone e partecipare
a qualche evento a Shanghai e
Shenzhen. Ho accettato l’invito
a parlare di Arduino alla School
of Design dell’ Hong Kong Poly-
technic University e mentre ero
lì, William Liang (assistant pro-
fessor della stessa università) mi
ha portato a visitare la Dim Sum
Lab hackerspace.
Dim sum è un posto molto carino.
Hong Kong è fatta di una miriade
di piccole chicche come questa.
Allo stesso modo DimSum Lab os-
pita una miriade di comunità con
interessi diversi, dai programma-
tori ai maker.
Qualche giorno dopo un volo mi
ha portato a Shenzhen per incon-
trare delle persone al SeedStu-
dio. Mi hanno portato in giro per
la città per scoprire la miriade di
opportunità che questa offre.
C’è ovviamente un vantaggio in
questo. E alcuni maker, se ben
organizzati, possono passare rap-
idamente da una piccola idea a
una larga scala di produzione con
costi molto più contenuti.
Questo non succede solo perché
lavorano vicino alle aziende. Ma
soprattutto perché sono vici-
ni ad una polo produttivo dove
il 90 percento delle parti elet-
troniche sono fatte in Cina e
ognuno può assemblare un
dispositivo velocemente gra-
zie al facile accesso ai prodotti.
Recentemente il Seed Studio ha
pubblicato la mappa dei maker
di Dhenzher, che sembra un po’
come la mappa delle celebrità
di Los Angeles. Solo che invece
di avere informazione sulle ville
degli attori famosi, qui trovi facil-
mente dove si trovano fornitori,
artigiani e hakerspace.
Ci sono anche un molti progetti
fatti con Arduino. Abbiamo sco-
perto però che più del 90 percen-
to delle schede usate sono falsi.
Non cloni di Arduino, ma falsi. Ne
abbiamo discusso con i ragazzi
di SeeStudio, che hanno sempre
avuto un grande rispetto del mar-
chio Arduino. E’ comprensibile,
in un certo senso, che un Ardui-
no fatto in Europa possa essere
troppo costoso per molti cinesi.
Sappiamo che l’interesse verso
Arduino è enorme e stiamo lavo-
ranno per fornire anche la Cina di
originali schede Arduino.
Come diciamo spesso, non è solo
un problema di fare schede e ven-
derle in un altro paese. Bisogna
creare tutta la documentazione
ufficiale in cinese, con un forum
44 FabLabMag
ufficiale e una presenza sui social
media. Bisognerebbe fare vid-
eo esplicativi e condividerli su
Youtube (che non è accessibile a
molta gente in Cina). Dobbiamo
insomma cambiare il modo in cui
facciamo le cose per essere capa-
ci di interagire con la comunità
locale. Ci vorrà un po’.
In seguito, quando abbiamo vis-
itato l’hakerspace di Shenzhen
chiamato Chaihuo, alcuni di quel-
li che ho incontrato erano appena
tornati dalla Maker Faire di Roma.
Loro mi hanno mostrato le loro
foto. E’ stato incredibile ascoltarli
mentre raccontavano ai loro coe-
tanei cosa avevano visto e quali
progetti avevano conosciuto in
Italia.
Mi hanno fatto molte e dettagli-
ate domande e Eric Pan, del Seeds
Studio, ha fatto un grande lavoro
traducendo le mie risposte.
Dopo è stata la volta di Shanghai
dove ho parlato al Sino-Finn-
ish Center del College of Design
and innovation alla Tongji Uni-
versity. Ho visitato la comunità
delXinCheJian hackerspace e ho
partecipato al HackedMatter, una
giornata interamente dedicata
a come ripensare la manifattura
dal punte di vista dei racconti di
fantascienza. Il topic era “come
la professionalizzazione della
cultura dei maker sta sviluppan-
MO
ND
O
do legami stretti con le piccole
aziende e i piccoli imprenditori,
cioè con il nucleo della produzi-
one di hardware in Cina” L’evento
è stato organizzato da Silvia Lind-
ter con il Shanghai Maker Carni-
val.
Durante l’Hacked Matter ho tenu-
to una conferenza sulla collabo-
razione, il concetto fondamentale
per Arduino, sottolineando l’idea
che l’innovazione non ha a che
fare solo con la tecnologia, ma
più sulla creazione di giuste col-
laborazioni con le persone giuste.
E’ stato interessante notare che la
comunità dei maker a Shanghai è
abbastanza diversa e composta
non soltanto da persone del pos-
to, perché molti stranieri si sono
trasferiti lì. Al Maker Carnival ho
conosciuto molti progetti di qual-
ità e ho colto alcune differenze
con la comunità di Shenzhen. E’
stato anche interessante capire
come funziona la cultura cinese
e come Arduino può creare canali
per comunicare con quella cultu-
ra.
Le società di Open hardware di
tutto il mondo avrebbero mol-
ti vantaggi facendo un giro da
queste parti. In particolare se
possono trovare qualcuno qui
con cui lavorare. Mescolandosi
con la comunità locale e andan-
do otre la barriera linguistica. Ci
sono molte persone di talento lì,
capaci di realizzare progetti com-
plessi. In molti hakerspace che ho
visitato mi hanno fatto domande
interessanti e sono stato molto
fortunato ad avere qualcuno che
mi traducesse le loro curiosità.
Intelligenze che altrimenti non
avrei mai scoperto né incontrato.
Le società di Open hardware di tutto il mondo avrebbero molti vantaggi facendo un giro da queste parti.
45FabLabFan
46 FabLabMag
::/PROGRAMMATORE
Il Fab Lab Sassari cerca un
Programmatore da inserire nella
associazione come direttore del
settore informatico.
Dovrebbe occuparsi di
organizzare il laboratorio di open
hardware con l’uso di Arduino,
Organizzando corsi di formazione
e partecipando attivamente alla
ricerca e ai progetti portati
avanti dalla associazione.
Gestire la parte informatica del
sito internet.
OFFERTE DI COLLABORAZIONESE SEI INTERESSATO AD AVVICINARTI AL MONDO DEI MAKERS,E HAI VOGLIA DI COLLABORARE CON NOI NON ESITARE A SCRIVERCI A :fablabsassari@gmail.com
::/WEB DESIGNER
Il Fab Lab Sassari cerca un
Web Designer da inserire nella
associazione come gestore del sito
internet e della comunicazione
dui social network.
Dovrebbe occuparsi
della realizzazione e
dell’aggiornamento del sito
internet, organizzare corsi di
formazione e workshop.
::/COMUNICATORE
Il Fab Lab Sassari cerca un
Comunicatore da inserire nella
associazinoe come adetto alla
comunicazione con i media.
Dovrebbe occuparsi della
creazione di contenuti per il sito
internet, social network, media
e la direzione editoriale della
FabLabFan.
FabLabMag è una fanzine realizzada dal Fab Lab Sassari, esce a cadenza aperiodica e raccoglie le notizie dal web sui Fab Lab.
se siete interessati a diventare soci o sostenitori inviateci una mail a: fablabsassari@gmail.com
me[A]lab
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