Post on 02-May-2015
ADRIANA CELAADRIANA CELAADRIANA CELAADRIANA CELAUn’altra vitaUn’altra vita
Scrivere è sempre stata una sua grande passione
Quella lunga notte d'inverno abbiamo
progettato la nostra vita insieme
Ci serviva poco,molto poco: un lavoro per lui, una casa in affitto e pochi soldi. Quei soldi che non avevo né io,né lui e nemmeno i nostri genitori. Lui è ritornato in Italia per lavorare e per mettere da parte quello che ci serviva.
Io invece avevo un lavoro che mi piaceva, facevo l’insegnante e adoravo i miei piccoli alunni. Ero tra di loro quando ho ricevuto la
sua telefonata: mi ha detto che gli mancavo, che la solitudine lo stava divorando, che
faceva fatica mettere da parte quello che ci serviva e poi: “Mi vuoi raggiungere?”…….
…in quel secondo ho pensato a mille cose: ai miei genitori, i miei amici, il mio lavoro, il
mio mondo…ma la sua voce commossa dall’altra parte del telefono era più
importante di tutti.
Si,-ho detto!
Circa sei mesi dopo, una sera d’ottobre insieme a lui ho preso il traghetto e via verso
l’Italia!A differenza degli altri, abbiamo mangiato al ristorante, abbiamo preso camera e avevamo tante speranze, ma io non ero tranquilla. In
camera mi mancava l’aria, la soffitta era a un palmo dal naso, è vero, ma anche fuori dalla
camera non stavo meglio. Una mano invisibile mi aveva buttato addosso una malinconia
senza fine A Bari abbiamo preso il treno, il viaggio era lungo e noi stanchi. Lui si è messo a dormire mentre io cercavo di trovare risposte a mille
domande senza risposta. Il mio viaggio è stato tranquillo, diverso da
quello delle migliaia di ragazzi che hanno viaggiato in gommone, nascosti nei camion e sui traghetti, minacciati, pestati, seguiti
dalla polizia, ragazzi che viaggiavano contro la loro volontà, senza speranze,
senza futuro…Io invece viaggiavo accanto a mio marito
( sì, mio marito, vabbé ci siamo sposati per fare un piacere ai nostri genitori, ma ci saremmo sposati lo stesso più avanti) e
tutti i miei sogni svanivano,i sogni di una vita insieme con tanti progetti
da realizzare e tanto amore.Lui dormiva lì accanto a me mentre
viaggiavamo verso la nostra casa, la casa
che avevo sognata
che avrei arredata come mi piaceva,tutto progettato da noi, solo da noi, senza
l’influenza dei nostri genitori. Immaginavo come si saremo divertiti, tutta la notte fuori senza qualcuno che ci aspettava sveglio, ma
essere insieme era la cosa più importante perché io senza di lui non sapevo vivere. Lui
era quello che mi mancava, quello che m’integrava, in poche parole “l’altra metà
della mela”. L’altra metà della mela dormiva lì accanto a me, e io stavo male,tanto male,mi mancava l’aria, volevo urlare
“basta”! Ma basta cosa? Cosa non andava? Cosa mi faceva perdere lacrime amare? Era
tutto come previsto, come sognato, ma
qualcosa non calcolata mi faceva male.
Il mio viaggio è stato tranquillo, ‘tempestoso’ e dopo la tempesta, l’arcobaleno
(l’illuminazione).Lui non era “la metà della mela”, io e lui
eravamo la metà, l’altra meta era rimasta indietro nel paese delle mele e io mi sentivo
un quarto di mela buttata nel paese delle pere, del quale non sapevo niente. Per la
prima volta ho capito il vero significato della
parola ‘straniera’, che veniva usata tutti i giorni, cosi, senza sapere cosa significava in realtà. Per la prima volta e non l’ultima, mi sono sentita straniera. Come quella volta
quando non conoscevo gli attrezzi e mi hanno
chiesto:” Ma da voi non esiste nulla??
o quando non ho apprezzato come dovevo la piadina, ma soprattutto quella sera d’estate fuori della mia
bella casa, nel giardino con mia figlia e mio marito, la brezza che ci
accarezzava il viso, le lucciole, le stelle, il profumo delle rose… e tutto
questo non mi ha fatto sentire meglio: ero una straniera, in una
casa straniera, in un paese straniero…
“Ecco, questo è la nostra regione: Emilia Romagna”- mi ha sussurrato lui appena
svegliato. Ho guardato fuori dalla finestra, ho viste le pianure verdi e qualche casa qua e là; più avanti il mare, che ci aveva accompagnato per tutto il viaggio, ci ha abbandonato. Stavo aspettando che il
treno si fermasse, ma abbiamo viaggiato più di un ora prima che mio marito
dicesse:”siamo arrivati,ecco Faenza la nostra città!”. Finalmente il treno si è
fermato e siamo scesi.
Ero stanca , ma sono corsa fuori dalla stazione per vedere la mia casa. Ho guardato intorno e ho
visto una palazzina gialla, -“sarà lì la mia casa?”- ho pensato,- “o in quell’altro palazzo nascosto
tra gli alberi”? Erano tutte belle case, mi sarebbe piaciuto lì. Mi sono girata per chiederlo a mio marito, ma ho visto che stava conversando con un tassista, e la risposta me la sono data da
sola: nessuna di quelle case era la mia.
. “Uffa - ho detto - sono stanca!” “Non ti preoccupare,
ha detto lui, tra 5 minuti ci siamo!” Il tassista ha preso una stradina stretta che andava giù per il bosco… “Ecco la nostra casa” - stavolta l’ho detto io.
Sembrava la casa dei sette nani, piccola,bella, circondata da fiori, e soprattutto in mezzo al bosco.
Non era quella che avevo sognato, ma comunque era bella e arredata con gusto.
Circa una settimana dopo ha nevicato, la prima volta per me che
vedevo cosi tanta neve e ho giocato e mi sono divertita
tantissimo, ma il secondo giorno la neve era ancora li, anche il terzo,il quarto…Per una settimana siamo
rimasti chiusi sotto la neve, nessuno passava per pulire le
strade,mi sentivo dimenticata dal resto del mondo.
L’inverno in quella casa mi esauriva, ma almeno ero con mio marito, invece con il bell’ tempo
stavo ancora peggio
Lui partiva la mattina presto e tornava alle 9 di sera, stanco e con i nervi a fior di pelle. Io dopo 18 ore a parlare
da sola volevo parlare con lui, chiedere delle cose, uscire,
divertirmi…le risposte erano sempre le stesse: cena immangiabile, vestiti
stirati male, sono stanco, non ho voglia di uscire e cosi via…
Litigi continui, mancanza della mia famiglia, una casa che avevo sognato
tanto adesso la dovevo mandare avanti: lavare, stirare, cucinare, pulire
cose che non avevo mai fatto in vita mia e all’improvviso dovevo
imparare di colpo. Quella casa ora era diventata la mia prigione!
Erano mesi che la primavera mi chiamava fuori, ma io non
rispondevo, stavo al buio con le tapparelle chiuse e con le orecchie tese a sentire i rumori che venivano dal di fuori. Tutte le notti avevo gli
incubi , uomini pazzi che girovagavano nel bosco e all’
improvviso si trovavano davanti alla mia casa, io chiamavo aiuto e
nessuno mi sentiva.
Cosicché durante il giorno quando sotto gli zoccoli degli animali si rompevano rametti
secchi, io tremavo al buio. Intorno alla mia casa girava di tutto: cinghiali, istrici, fagiani
seguiti dai loro piccoli, ma soprattutto caprioli, tanti
caprioli, grandi e piccoli. Quei bellissimi animali che pensavo esistessero solo nelle favole, erano lì fuori dalla mia porta,
ma la mia curiosità non ha mai vinto sulla paura.
Alla fine io non ero Biancaneve, con i suoi nani e il principe nascosti lì da qualche parte, sempre pronti per
salvarla; io ero sola, in quella maledetta casa, sola.
Era agosto quando ho cominciato a tirare su le tapparelle, ho notato tanti
alberi, peschi, prugni e le viti che circondavano la casa, ma soprattutto ho notato delle rose, dopo dieci mesi
in quella casa. Mi sono messa anima e corpo a prendermi cura delle rose, potavo i fiori vecchi, l’innaffiavo,
toglievo le erbe cattive
ed tutto il mio mondo girava intorno a loro, finché un giorno è apparso il
proprietario che mi ha ringraziato per il mio lavoro, ma ….:”tu sei straniera e
non lo sai,ma le rose vanno curate solo dal proprietario , altrimenti non
fioriscono più!” “- Non lo sapevo!”- ho risposto io, sono tornata a casa, ho
chiuso le tapparelle e sono rimasta li nel buio senza piangere per la rabbia e
senza sperare in qualcosa…
La mia vita ormai era sconvolta , era un dvd rotto che non andava avanti e non
poteva tornare più indietro, la mia vita era lì nelle mie mani, con il respiro stanco,
mentre i sogni –il suo sangue - frantumati in mille pezzi abbandonavano il suo corpo.
Io impotente guardavo….!Una domenica pomeriggio siamo usciti a
prendere un gelato con amici di mio marito! Loro erano simpatici, gentili, ma io
mi sentivo una nullità. Davanti alla televisione l’italiano mi sembrava cosi
facile,ma nel comunicare con qualcuno ero un disastro! Mi facevano delle domande, volevano sapere come mi trovavo, come
mi sentivo ecc.
ma il tempo di preparare la risposta in mente, mi avevano già fatto un’altra domanda. Quel
pomeriggio più che divertente è stato un disastro, non ho mangiato neanche il mio gelato alla
fragola, si è sciolto lì nella tazza. Cosa avrebbero pensato loro di me, forse gli era passata anche la
voglia di vedersi un'altra volta come avevano promesso all’inizio, ma soprattutto lui (mio
marito) cosa pensava? Si vergognava di me? “No,”- mi ha detto –“sei stata brava” (brava come
un cucciolo,ho pensato) “e pian-piano imparerai!” Alla fine ero una maestra che aveva
studiato ”La Divina Commedia”, possibile che non
riuscissi a parlare la lingua di Dante…?
Io stavo male… e non c’era nessuno, proprio nessuno, ah sì, c’era mia mamma tutte le notti nei miei sogni, che mi allungava le mani dietro sbarre di ferro che la spostavano nello spazio verso la mia casa, finché si trasformava in un
punto invisibile. Mi svegliavo e un'altra volta ero sola !
Andare via da quella casa era la cosa più intelligente da fare e pensavo che bastasse così
poco per ricominciare una vita nuova… Abbiamo affittato un appartamento a Riolo Terme, sopra all’appartamento della signora
Pina (quant’è dolce quella signora, non dimenticherò mai la sua faccia sorridente ), ho
conosciuto i miei primi amici: Margherita e Andrea, ho cominciato ad uscire di più, lavorare
all’albergo da Giuliana e soprattutto fare
delle lunghe passeggiate sulle colline. Mi piaceva sedermi lassù e guardare dall’alto la città e la immaginavo come se fosse la
mia città: ecco, lì è la mia casa, quell’ edificio lungo è il lavoro di papà, loro
(mamma e papà) sono lì, stanno lavorando insieme, ecco la scuola, la biblioteca, il
negozio di mia zia… mi divertivo così, ma il ritorno alla realtà era duro, sapevo che laggiù avrei trovato solo il sorriso caldo della sig. Pina, nient’altro. E giorno dopo
giorno speravo di stare meglio, di abituarmi e di farmi una ragione,ma non è andata cosi…Sì, lo so state pensando che
sono una incontentabile, anch’io me lo
sono detto mille volte,
ma sapere che la tua nonna che sta per morire ti chiama e prega in continuazione per
vederti…non è facile, come fai ad accontentarti? Io ero la sua nipote preferita e
lei l’aveva detto che la mia lontananza l’avrebbe fatta morire. Stava succedendo
esattamente cosi ! A me bastava il silenzio di papà dall’altra parte del telefono per capire
come stava lei e per sentire in continuazione la sua voce che mi chiamava.
I miei nonni avevano vissuto sempre in casa con noi, mia mamma si era sempre presa
cura di loro, anche adesso (che non c’ero) io vedevo lei che correva sempre avanti-indietro
ad ospitare tutti i parenti che venivano,
mentre correva a consolare il nonno, il papà, e durante la notte stava vicino
alla nonna, le parlava di me, che stavo bene, che presto sarei tornata e che
loro mi mancavano. Immaginavo papà che le sentiva nell’altra camera e mentre mordeva il labro per non
piangere era orgoglioso di sua moglie come nessun altro uomo. Per tre lunghi
mesi giorno e notte sentivo la nonna che mi chiamava da tutti gli angoli della casa …e poi è morta, dopo di lei anche il nonno non è riuscito a sopravvivere al
dispiacere.
Quando l’ho saputo, la prima domanda che mi sono fatta è stata: e se mi avesse visto sarebbe morta lo stesso? E se l’avessi imboccata io? (quando era malata lei
mangiava solo se veniva imboccata da me, cosa che alle zie faceva tanta rabbia,e lei rideva…ridevamo insieme per la nostra
complicità .) Adesso non c’era più, c’erano solo i rimorsi, tanti rimorsi, una mamma sola, e un papà disperato, nessuno che li poteva
consolare. Io mi sentivo prigioniera e cercavo di allontanare la voglia che avevo di strappare quei maledetti documenti che erano buoni solo
per farci girare negli uffici e pagare le tasse
ma per attraversare i confini non bastavano mai e dovevamo aspettare mesi e mesi prima
di essere liberi. Era un mattino freddo d’autunno, mi stavo preparando per andare al lavoro. Sono uscita e ho guardato le montagne all’orizzonte che
sofferenti portavano in testa nubi nere e immobili. Il sole raccoglieva le sue forze e
sparava raggi giallo-oro in tutte le direzioni, sapeva che era una battaglia persa, ma lui, il
comandante non si poteva arrendere anche se era rimasto solo, e avrebbe continuato la sua guerra anche durante l’inverno, spazzando via
le nubi e regalando gioia come regala speranze un ribelle che evade dalla prigione di
un tiranno.
Avrebbe continuato a lottare da solo, le nubi l’avrebbero avvolto in un lenzuolo
grigio come se fosse morto, ma lui sarebbe risorto rompendo quel lenzuolo
di malinconia e regalando colori. Prometteva: ”Poco, manca poco!”, e la sua squadra sarebbe stata al completo, il verde sarebbe spuntato dappertutto,
l’inverno avrebbe messo le mani davanti al viso e urla di disperazione
avrebbero fatto mancare il fiato. I fiori avrebbero ballato sulla sua testa…
mentre lui si scioglie e va via.
Adesso il sole è in difficoltà, vede gli ultimi “soldati”- le foglie che abbandonano la guerra
e girano in aria come farfalle gialle e rosse che si rincorrono l’un l’altra e pian piano si posano per terra. Danno l’impressione di
essere quasi felici, forse contente di arrendersi da questo battimento inutile
quando sapevano già che la battaglia era persa, oppure era il senso di colpa che il sole voleva scaraventare via per la morte dei suoi
soldati. Mentre passavo in mezzo ai corpi senza vita delle foglie, ho vista una signora
traballare e con le mani cercava di appoggiarsi all’albero, sono scesa dalla
bicicletta e l’ho fatta sedere su una panchina.
Mi ha dato il numero e io ho chiamato sua figlia, mentre aspettavamo la signora mi ha chiesto di dov’ero,come mi chiamavo ecc. e poi:”Ma tuo marito è di qua però?” Quella domanda l’avevo sentito e risentito mille
volte,non avevo mai colto il significato,ma non mi piaceva! Perché mio marito doveva
essere di qua a tutti i costi? Arriva la figlia che mi ha ringraziato e mi
ha fatto le stesse domande della mamma. Ma l’immancabile domanda se mio marito era di
qua,lei la formulato al modo suo:”Ma suo marito è uno di noi?” “No,viene dallo spazio, è un alieno come me!”, -ho risposto (ma solo dentro di me), in realtà a lei ho risposto che
veniva dall’Albania come me.
Questo non mi andava giù,ma perché tutti speravano che io avessi un uomo “di
qua”,perché così forse sarei cambiata, così avrei dimenticato le mie tradizioni, la mia
famiglia non sarebbe “così straniera”, sarebbe a metà. Perché non ci volevano accettare così come eravamo con le nostre diversità perché dovevamo essere uguali a tutti i costi, anche se pensarci bene la diversità non c’è. Quello che è successo con il ragazzo della banca mi ha buttato per aria le speranze che prima o
poi ci avrebbero accettato.In banca la fila sembrava una siepe lungo il fiume,come se non bastasse c’era un solo
sportello aperto. gridava:”sono bello!”
” Il primo pensiero che mi è venuto in mente è stato:” La canzone di Gianna Nannini
“meravigliosa creatura” è stata scritta per lui!” Lui era cosi fiero e sicuro di se stesso che sembrava che non gl’importava niente delle sue mani che non riuscivano a finire nessun’ operazione. Prendeva su i fogli, li spostava,li
sfogliava, ancora su, destra-sinistra, e continuava a regalare sorrisi al cliente
scocciato che aveva davanti e a tutta la fila. Alla fine in suo aiuto è corsa una collega,ma
appena la collega si è allontanata ,lui ha ricominciato a fare girare i fogli a vuoto.
Finalmente toccava a me,avevo perso tutta la
pazienza e pregavo di finire in fretta.
.Il suo sorriso era ancora lì, come un’ora prima, con tutti i bei denti in mostra. Mi ha
salutato come se mi conoscesse da una vita e quando ho finito anche a me sembrava di
conoscerla da una vita per tutto il tempo che c’aveva messo. Quel pomeriggio mentre
passavo davanti ad un bar, sento che qualcuno mi chiamava. Era lui. Mi ha stupito il fatto che ricordava il mio nome e soprattutto cosa voleva da me. Mi ha chiesto scusa per il disturbo e se volevo uscire con lui, perché ero
carina, simpatica e molto interessante. L’affascinava il fatto che ero straniera,una
cultura diversa,un modo di fare diverso e che
mi aveva pensato durante il giorno.
Mentre sicuro di sé continuava a parlare di cose che non riusciva neanche lui ad afferrare
il concetto,io facevo fatica a trattenere un sorriso e pensavo:” ecco,adesso si dichiara anche innamorato”. L’ho interrotto dicendo
che ero felicemente sposata e che non avevo intenzione di uscire con lui. “Ah, -fece ui,-
spero vivamente che tuo marito sia di qua, perché non è giusto che una ragazza giovane e bella come te abbia un marito straniero che non l’apprezza quanto deve e non puoi fare sempre una vita da straniera, non sarai mai integrata se hai a fianco un uomo straniero”
Per la prima volta ho sentito la voglia
di mettere le mani addosso a qualcuno,volevo urlare che lui era uno stronzo che non si
doveva permettere,che ero apprezzata da mio marito più di quando lui immaginava ,che mi sentivo integrata,che…ma lui non avrebbe
capito niente di tutto questo,anzi il suo sorriso stupido era ancora li. Gli ho dato una spinta e l’ho chiamato deficiente, sono corsa a casa,
ho chiuse le tapparelle e ancora un’altra volta dopo tre anni mi sono rannicchiata in un
angolo buio a piangere e chiedermi di cosa
c’era di cosi difficile da capire.