Post on 08-Mar-2016
description
AA. VV.
I poeti delle Vie A cura di Sebastiano A. Patanè – Vol. 1°
Introduzione di Marzia Alunni
Le vie poetiche
Catania 2010
Proprietà letteraria degli autori
Una produzione de
“le vie poetiche”
A cura di
Sebastiano A. Patanè
Catania 2010
i quaderni delle Vie
Presentazione
Le vie poetiche sono i luoghi del profondo che ogni autore percorre
per cercare e trovare i riferimenti della propria voce, del canto che,
inizialmente, solo lui è in grado di percepire ma una volta che
l‟impianto semantico-lessicale è completato ed i suoni ben
armonizzati, ecco che la poesia arriva al lettore che ne diviene
proprietario.
In questi quaderni si presenteranno dieci autori per volta senza
nessun ordine alfabetico o altro. Dieci autori diversi nei loro suoni e
nei linguaggi che in comune hanno solo l‟appartenenza a questa
avanguardia ma ognuno con la propria distinta voce.
Le tematiche spaziano da un polo all‟altro del sociale, dell‟eros, dei
sentimenti in genere e non si corre il rischio dell‟appiattimento nella
vibrazione della parola.
Sono linee che si evolvono in ogni direzione ed ognuna con obiettivi
diversi ma determinati e determinanti.
Gli autori presentati sono, a nostro modesto parere, ciò che di meglio
si muove nel web e non solo, molti di loro, infatti, hanno da tempo
bucato lo schermo uscendo tra la gente vera con numerosi reading e
spettacoli che esaltano la poesia inserendola in un certo quotidiano
con grande autorevolezza.
Auguri a tutti i poeti delle “Vie”
Sebastiano A. Patanè
Introduzione
I sentieri della poesia non hanno quasi mai uno svolgimento
prevedibile o adusato, si snodano, compiono impensabili e
vertiginose giravolte, inseguendo una verità che non è più
percepibile, o forse che non è mai stata semplice da capire. La
poesia non rivaleggia perciò con la scienza, segue percorsi paralleli e
conduce alla visione profonda di se stessi.
Gli autori qui antologizzati non ambiscono all‟esaustività, per tale
scopo sarebbe stata proposta un‟opera ponderosa, adatta a
rappresentare una continuità nel tempo, elementi di poetica,
didascalica. La ragion d‟essere, che motiva l‟agile “cordata di
poesia”, vertiginosamente diretta in alto verso il bello, è l‟intimo e
sorprendente legame sorto fra i testi, come una loro qualità naturale,
presente con discrezione e spesso implicita, eppure quantomai
avvertibile.
Echi di un discorso, continuano nella testualità di un‟altra voce
poetica, si rifrangono sulle scogliere, aspre e mirabili, della
sperimentalità più raffinata e accattivante che non stona accanto alla
versificazione tradizionale, sostenuta, oppure veloce, nel ritmo degli
accenti. A ben vedere, infatti, non si tratta di una continguità
formale, di un atteggiarsi a poetiche preconfezionate o mimare
manifesti di poesia piatti e prevedibili. Il proposito di fondo va
ricercato in quel brivido d‟assoluto che si avverte tra le righe, della
testualità più criptica, come pure nel cuore delle espressioni, scaldate
da una schietta e trasparente ostensione dell‟io.
Se dunque non possiamo limitarci ad un‟indagine formale per
comprendere e “fare la strada insieme” ai nostri poeti, allora è
opportuno cedere la parola ai suddetti, ascoltare le analisi, talvolta
impietose di sé e del mondo, che propongono, con vari accorgimenti,
di una smaliziata e pura fede nella virtù della parola.
A prima vista, si potrebbe dunque inquadrare l‟intera plaquette
come un contributo al mito novecentesco dell‟incomunicabilità, c‟è
sempre per l‟artista di oggi una comoda torre d‟avorio pronta ad
accogliere i suoi sospiri! Mai errore sarebbe più sbagliato. I nostri
autori di poesia non rinunciano al dialogo, sebbene lo ritengano
complicato e non sempre gratificante sul piano umano.
I tentativi però evidenziano che la solitudine, tuttavia, esiste
intorno a noi, il poeta ne è un fedele testimone, la sa conoscere,
riscattandola dalla totale negatività, legandola a sé in un connubio
benedetto dall‟arte. Una bellezza amara, come diceva il poeta
Rimbaud. La sinfonia „dodecafonica‟ dei testi, comprende anche le
…impennate verticali di Annabel Martínez Zamora, tradotta con
disinvolta eleganza da Sebastiano A. Patanè.
E‟ lecito, a questo punto, interrogarsi in merito alla natura
profonda della libera relazione esistente tra i testi offerti al lettore,
senza limitare lo sguardo alle sublimi disforie, ai giochi linguistici
che quasi mai conducono ad un semplice piacere freudiano, piuttosto
svegliano, provocano risposte, solidarizzano da una posizione di
marginalità, maturata scientemente e, in un certo qual modo,
prediletta.
L‟impressione che si riceve è che i poeti delle vie non siano voci
individualiste , ma veri individui, abituati ad una quotidiana lotta con
il diritto/dovere di comunicare, sereni, eppure indomabili. Se
esprimere costa e c‟è un prezzo da pagare per essere davvero poeti,
allora sono gli enti, le cose, il tramite del dialogo. Misteriosa,
sfuggente forse, a tratti ostile, la cosalità ferisce, lacera il tessuto
metafisico della noiosa normalità, s‟impone, splendida e provocante.
E‟ più di una relazione simbolica, quella con le cose, si tratta di una
vera simbiosi, un aggancio al quale non si vuole rinunciare perché
l‟alternativa sarebbe l‟oblio. A volte l‟uomo per parlare con i suoi
simili deve ingaggiare un confronto con il mondo, assumerlo nella
ragguardevole veste di interlocutore, concedendo dignità al mondo
inanimato. Non dunque gli oggetti-emblemi del male di vivere
montaliano qui emergono tra i versi, ma l‟uomo, protagonista e
complice tra le cose in un muto dialogo. Quell‟essere umano che ha
deciso di non chiedersi, forzatamente, se la vita sia un male
metafisico, interrogativo tutto sommato futile, per chi è vivo e
rivendica la sua dignità di persona, ora frequentando la parola,
discreta arma nel cammino della scrittura-conoscenza.
Ecco sopraggiungere, spinte dalla vena di Silvia Molesini,
immagini di una luminosità singolare quando: “…le anime sanno
assorbire quelle folte piaghe / eppoi cicatrizzarle sotto gravidi raggi
di sole brillanti.” La preziosità dell‟arazzo in piena luce non
nasconde la radicalità delle piaghe, i cui segni permangono tracciati
sulle sorgenti spirituali di ogni creatura umana (nei mari, sui mari,
dei mari morti). La tecnica del verso lungo in espansione crea un
senso di aspettativa, di pathos, nel più perfetto dominio al quale
sembrano approdare, come spinte dall‟oscillazione dell‟onda,
“…tutte le lievi cicliche parole”. Segue, nel percorso, Natàlia
Castaldi con il suo “…equilibrio di un bambino/… per non turbare il
resto delle cose…” tra anafore che evocano ipotesi di scrittura (…se
la scrivo…) “…Come non fossimo che materia uniforme di ogni
lettura / fin dentro l‟invenzione delle scale sotto il passo lento,” (Se a
scriverlo). Il rischio di tramutarsi in occasione retorica del leggere
avvia una sorta di accorata disanima sugli esiti quietamente
conflittuali di certi percorsi, taciti e inevitabili nella vita a due. Se la
dialettica interpersonale è tematicamente allusiva, il verso, dal canto
suo, esprime vivacità e dinamismo formale, creando un innovativo
contrasto.
Allo scorrere delle “…cose controvento”, per Federica Galetto, si
oppone l‟immobilità carica di sottintesi nella “…stanza accanto”,
luogo del dramma dal potere evocativo cristologico, per il quale
emergono: “…Le mani aperte ai tuoi chiodi” (Scorrono le cose
controvento). La figura, dalla forza suggestiva notevole, è creata
nel duplice senso, drammatico ma anche spirituale, di apertura-
chiusura, mistero del dolore e della resurrezione agognata. Ancora
una volta la „cosalità‟ guadagna deitticamente uno spazio, in quanto
denota una croce implicitamente legata alla vita.
Per Maria Grazia Galatà il divenire è un passaggio assai delicato,
nel senso letterale del termine, molto s‟insiste, nell‟economia
lessicale del testo, sui motivi che evocano lo spostamento, citerei il
verso “-… scortando passi remoti” (levante) e ancora, a rimarcare il
tutto: “di passo in passo / separando l'attimo” come a dire che ogni
partenza ideale è pur sempre un distacco, un tendere le maglie del
tempo, individuale e storico, fino a spezzarle (“la perdita sunta
dell'uno…”).
Alla frattura evidenziata risponde Mary Simonetti con la sofferenza
vissuta da “… Queste cose dolorose / come sale su sangue (Le cose
che cadono) si apprezza l‟empatia degli enti ( ancora la cosalità) per
il dato inevitabile del “…frantume d'amore / o polvere” al quale la
poetessa non può che rispondere smettendo “…di contare le stelle”.
Rimarca il senso di abbandono l‟immagine in chiusura dei cocci
calpestati che, si badi bene, non sono in cima… a una muraglia,
piuttosto in basso a trascinare a terra.
Non stupisce perciò se, a detta di Jacopo Ninni noi siamo “…
Feritoie a celare / anime condotte al distacco (6:57). Il treno è anche
metafora dei passi (che inducevano alla riflessione Galatà), eppure
non avvertiamo altro che “…un‟esplosione di blu / violenta
affermazione del giorno” Risposte esaustive non ci competono,
viviamo immersi nel mistero, trascinati e conquistati nostro
malgrado. Il poeta non rinunzia a riflettere, ma è prudente nel
giudicare su ciò che non gli si palesa, perché le feritoie richiamano
l‟oltre e alludono agli ardui distacchi delle anime.
Ben conosce Silvia Rosa l‟amarezza del distacco, nel suo testo
annoveriamo diversi enti che denotano uno stato d‟animo assai
particolare, la presenza del bisogno assoluto dell‟altro che non c‟è,
per cui prevale il tentativo di una soddisfazione traslata, impossibile
eppure certamente inevitabile. La pausa al bar è vissuta come
un‟ansia fisica (e metafisica) dell‟altro, una sua aspettativa dolorosa,
dettata dallo scivolare del caldo liquido bevuto (allusione sensuale)
nella gola, vale a dire nel profondo di sé.
La poetessa vive una tale emozione complessa “… desiderando
arsura che tu –solo - sapevi incendiarmi” (In una grinza del labbro)
non basta un ricordo qualsiasi suggerito dalle cose intorno a lei,
emerge anche un riferimento linguistico metonimico, costituito dagli
“avverbi di tempo” chiamati in causa successivamente nel testo, per
rendere ragione del dissidio interiore.
Lo strappo fisico e metafisico è avvertibile anche nel testo di
Vincenzo Mancuso, l‟atto del comunicare non è dissimile da una
“tela discorsiva” , proprio come il poeta esordisce nel suo titolo,
unendo immagine e parole. In tale ottica è da inquadrare
un‟espressione nuova e ardente come “acriliche all‟eliso è fremo e
fuoco”, eziando un po‟ sul gioco linguistico del ferro tramutato in
fremo possiamo dire che la tensione è proprio tutta in quel brivido a
contatto con l‟esplosiva bellezza del mondo nei suoi colori, per cui,
come prima il poeta aveva detto “… calura sbatterà parto verde /
avorio e graffio in fuga. (Tela discorsiva). Abbacinati si continua
perciò la fuga, accanto a cose di questa nostra realtà, come il prato e
l‟avorio… che scorrono in senso inverso. Andiamo impattando con
la loro realtà che lascia su di noi un‟impressione, una sorta, appunto,
di graffio.
Ciò avviene pur nella vicinanza emotiva con l‟altro, il condividere è
troppo spesso un ferire disarmante con la propria inadeguatezza, quel
vuoto che è denunciato anche da Francesca Pellegrino. Ne
scaturiscono sofferenze e un senso di intima sorpresa, per la
singolarità della condizione umana e relazionale, espressa bene dai
versi “… Stiamo dentro lo stesso vetro / acqua dentro l‟acqua…
Quando le lacrime fanno i figli (Parti). L‟idea di fondo, anche per
Annabel Martìnez Zamora, è che esistano nella vita dell‟uomo e
dei suoi compagni, animati e inanimati, dei veri interrogativi per la
comprensione da affrontarsi con la complicità della parola poetica,
ma senza investire in „livelli superiori‟ inconoscibili, rispettando il
mistero, senza vituperarlo perché anodino e criptico. Nel mondo,
che talvolta appare come un cosmico buco-vuoto, l‟atto di superare
la solitudine comunicando è un muovere “…labbra senza / qualcosa
che le delimiti” (Messaggi buco-vuoto ovvero Mensajes oquedad
trad. di Sebastiano A. Patanè). C‟è da dire che la traduzione coglie
questi elementi con un gusto particolare, li filtra, sottolineando la
prima parte del testo dal ritmo sincopato e contrassegnato da versi-
parola. Ritornando tuttavia al messaggio di Martinez, è l‟assenza,
questa volta, della cosalità stessa, a dare il sentimento d‟irrealtà e
l‟idea della fuga all‟infinito, che ricorre in questa piacevole e
stimolante lettura di poesia alla quale chiediamo sia data udienza.
Marzia Alunni
I poeti delle Vie
Catania 2010
Silvia Molesini
nei mari, sui mari, dei mari morti
L‟amore è una sciocca pretesa
le anime, in fondo, saltellano
e ridere o piangere è identico
nei mari, sui mari dei mari morti
le anime, bagnate, oscillano a colpi
saprò trovarti quel vago vento sacro
sbagli però se pensi che potrà asciugarti
l‟amore è solo un‟isola di donne e di bambine
e favole lebbrose dolci salpano dai suoi porti
le anime sanno assorbire quelle folte piaghe
eppoi cicatrizzarle sotto gravidi raggi di sole brillanti.
Non si ricorda niente del fascino immortale che vinceva
in te l‟aggrovigliato battito di te fuochi grossi celesti
dell‟altalena d‟inverno tutte le lievi cicliche parole
Natàlia Castaldi
Se a scriverlo
Si entra nelle parole con l‟equilibrio di un bambino
che di soppiatto infila passo dopo passo al silenzio
per non turbare il resto delle cose
e sembra quasi che io non esista senza questa stanza gialla
- se la scrivo gialla perché tu la veda -
e che sia il tuo comodino
- se lo scrivo per sfiorarti le dita -
quando appoggi piano l‟ultimo libro e gli occhiali della sera.
Come non fossimo che materia uniforme di ogni lettura
fin dentro l‟invenzione delle scale sotto il passo lento,
e il lavandino, che ancora non si sa se scriverlo vecchio o antico,
ma che ha il privilegio di raccogliere l‟acqua dopo il tuo viso,
e le lenzuola da sentenziare decisamente bianche
per avvolgerti le ginocchia,
i talloni screpolati,
la schiena,
come questo foglio
su cui annoto la rituale procedura del tuo sonno
pari alla mia veglia.
quasi io mi possa acquietare solo dopo aver rimboccato ogni parola
al nostro esserci luogo come una scrittura.
Federica Galetto
Scorrono le cose controvento
Scorrono le cose controvento
Abbarbicate alle strade s'arruffano
Gemente un albero le afferra
Diminuite le ali sui fianchi
errando con gole protese
cessano le verità
Nell'urlo estirpato dei nodi soli
viaggia la memoria alle calde
distese erbose
Rinomina un solco la terra
Neve a venire
Gocce distinte d'olio freddo
sulle anime che perse non sanno
tornare
Rimarrei a pregare nel letto
d'inverno
A trovare parole benedette per
scansare gli aggrotti
di sopracciglia votate al perdono
Nel tendersi del mattino
sperpero ancora baci
Di quelli lasciati una notte
sugli occhi
E sento fuggire le orme
dei giganti
appesi alle finestre chiuse
Chissà se mi ricordi nei sorrisi
Chissà se ancora sai
quanto buona è la mia stoffa
Non ci sono modi per cambiarmi
ma rimango travisata
dai tuoi pugni chiusi
Nella stanza accanto resto sola
Le mani aperte ai tuoi chiodi
Maria Grazia Galatà
levante
a levante
scortando passi remoti
rapidi e caini
soggetti a termine
tornano uno
e poi uno
in distonie disarmoniche
* * * *
ombrelunghe
su cigli incendiari
trite e ritrite
sul pressappoco
di passo in passo
separando l'attimo
attimo al diniego
o
la perdita sunta dell'uno
che sia
Jacopo Ninni
6:57
A quest‟ora che si orienta
al gelido risveglio
Ho una luna riflessa nel vetro
Di un treno che infecondo
sprofonda
Nella liquida sonnambula aria
Per plasmarsi In case
E poi città.
Mi fanno contorno
Occhi imbevuti di notte,
Feritoie a celare
anime condotte al distacco
E fuori, finestre,
vive di luci
svelano per attimi brevi
intimità rianimarsi
prima di un vitreo spegnersi ai muri
osservo il contorno dei monti
silhouettes che virano al cognito
in un‟esplosione di blu
violenta affermazione del giorno
Mary Simonetti
Le cose che cadono
Le cose che cadono
si rompono sul cuore
sono come lame affilate
che s'inabissano nel tempo
e lo trasformano in nebbia.
Sono fogli bianchi
di lettere mai scritte
foglie secche
urlanti sotto i piedi.
È frantume d'amore
o polvere.
Queste cose dolorose
come sale su sangue
mi portano in basso
e smetto di contare le stelle
e adesso scalza su cocci
conto le cose che cadono.
Silvia Rosa
In una grinza del labbro
Panna una macchia di tepore, spuma di zucchero ruvida granella di onde,
bevute centellinandole al bordo, in una grinza del labbro umida. Vortica il
ricordo sul palato, è l‟arabesco del tuo sapore che ho ritrovato in un‟ansa
golosa della bocca, e che mi sazia, che mi brucia la gola svuotata del
battito morbido di farfalla, muta dell‟ala soffice del tuo nome che
inghiottivo vibrando in un volo, sfiorandoti sulla lingua goccia a goccia,
desiderando l‟arsura che tu -solo- sapevi incendiarmi
[mi nutrivi di parole come chicchi di cacao -(d‟)amare-, che mi
sgocciolavano sull‟inguine sciolti gli avverbi di tempo tutti i bavagli candidi
dell‟indecisione, a pungermi il ventre di fame].
Vincenzo Mancuso
Tela discorsiva
Cimano favori cavato il diniego
non più ombra da guise
a marchiare l‟agro per stretta, per detto
antico dell‟ascesa
calura sbatterà parto verde
avorio e graffio in fuga.
Altroggi tra muschio e sorgente,
a battente sull‟ora d‟aria additerò
e dai taci screzia tratto o muffa
si avrà tela discorsiva.
Dalle mude gore per quinte
acriliche all‟eliso è fremo e fuoco
dove coppa affonda la matrice d‟oro
in mensa; lì coi bei steli dà colore in bocca.
Francesca Pellegrino
Parti
Mi risulta diffi cile
assai diffi cile
capire dove fi nisce il mio vuoto
ed inizia il suo.
Stiamo dentro lo stesso vetro
acqua dentro l‟acqua
quando non smette mai
di annegare – allagando gli occhi.
Quando le lacrime fanno i figli.
Annabel Martínez Zamora
Messaggi buco-vuoto (Mensajes oquedad)
Messaggi buco-vuoto
libri in bianco
realtà
pausa.
gole
sostengono
l‟aria
io aspiro baci di colibrì
come freccette
ne/le/tonsille
labbra senza
qualcosa che le delimiti
come fumo pure
Indice
Presentazione
Introduzione
Silvia Molesini
Natàlia Castaldi
Federica Galetto
Maria Grazia Galatà
Jacopo Ninni
Mary Simonetti
Silvia Rosa
Vincenzo Mancuso
Francesca Pellegrino
Annabel Martínez Zamora
http://leviepoetiche.blogspot.com/