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IL CASO.it Sezione II – Dottrina, opinioni e interventi documento n. 233/2011
5 marzo 2011 Sezione II – Dottrina, opinioni e interventi
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L’AMMISSIONE DELLA PROVA TRA POTERE OFFICIOSO DEL GIUDICE E
POTERE DISPOSITIVO DELLE PARTI (Relazione tenuta all’incontro di studio del Consiglio Superiore della Magistratura in Roma,
il giorno 22 febbraio 2011, nell’ambito della prima settimana di tirocinio ordinario in materia civile
riservata ai magistrati nominati con D.M. 5 agosto 2010)
LAURA DE SIMONE
Sommario: 1. Art. 115 c.p.c. Il diritto alla prova e la disponibilità delle prove. 2. Dispense
dall’onere probatorio: il fatto notorio e la non contestazione. 3. I poteri officiosi del
giudice. 4. In particolare la previsione dell’art. 281 ter c.p.c. e il giuramento suppletorio. 5
La deduzione delle prove. Le preclusioni. 6. Il giudizio di ammissibilità e rilevanza delle
prove. 7. Preclusioni e istruzione probatoria nel rito sommario di cognizione.
1. Art. 115 c.p.c. Il diritto alla prova e la disponibilità delle prove.
Il riparto tra i poteri di iniziativa delle parti ed i poteri inquisitori del giudice
in ambito probatorio è disciplinato dal disposto del primo comma dell’art.
115 c.p.c. per cui il giudice deve porre a fondamento della decisione le prove
proposte dalle parti o dal pubblico ministero, nonché i fatti specificatamente
non contestati, e questo salvi i casi previsti dalla legge. La regola quindi è la
disponibilità delle prove e l’eccezione sono gli interventi ex officio del
giudice di volta in volta previsti dalla legge. In dottrina questo modello è
definito di tipo misto, o più precisamente di diritto dispositivo attenuato1.
Il principio enunciato2 è diretta espressione del diritto di azione e di difesa,
sancito dall’art. 24 cost. e dall’art. 6.1 della Convenzione Europea dei diritti
1 Sul tema v.Carnicini, Tutela giurisdizionale e tecnica del processo, Studi in onore di E.Redenti,
Milano, 1951, 768; Comoglio, Le prove civili, Torino, 2010, 131; Liebman, Manuale di diritto
processuale civile,Principi, VI ed., Milano, 2002, 304 e ss.; Mandrioli,Corso di diritto
processuale civile, vol.I, 96 e ss.; Cappelletti, La testimonianza della parte nel sistema
dell’oralità, I, Milano, 1962, 318; La China, Diritto processuale civile. Le disposizioni generali,
Milano, 1991, 630 e ss. 2 Nella relazione al codice di procedura civile del 1940, il principio dispositivo viene definito un
"aforisma dell'antica sapienza" ed enunciato con il brocardo "juxta alligata atque probata partium
judex iudicare debet".
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dell’uomo, principio che necessariamente comprende tanto il diritto delle
parti di proporre le prove dei fatti che reputano significativi per
l’accoglimento delle domande o delle eccezioni formulate, quanto il diritto
delle parti ad una valutazione del giudice che dia conto delle prove fornite
dai contendenti3.
La prova è pertanto lo strumento a cui la parte può accedere per attuare
giudizialmente i propri diritti, ma specularmente è anche un onere che sulla
stessa incombe per vedere positivamente accertate le proprie pretese.
Prevede l’art. 2697 c.c. che la parte che intende far valere un diritto in
giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento e del pari chi
eccepisce l’inefficacia di tali fatti ovvero che il diritto si è modificato o
estinto deve provare i fatti su cui l’eccezione di fonda.
Il giudice quindi non potrà ricercare da sé se le circostanze allegate dalle
parti siano o meno vere e neppure potrà avvalersi delle proprie conoscenze e
della propria scienza privata (art. 97 disp.att. c.p.c), spettando di regola ai
litiganti di dimostrare in giudizio la fondatezza di quanto affermano.
Ulteriore garanzia costituzionale che occorre tener presente nell’accingersi
ad esaminare la disciplina processuale dell’attività istruttoria è l’art. 111
cost., che in questa materia si concreta nella garanzia del contraddittorio tra
le parti, in condizioni paritarie, nella imprescindibile terzietà ed imparzialità
del giudice, nella necessità che il diritto alla prova non pregiudichi la
ragionevole durata del processo.
A margine del potere delle parti di introdurre nel giudizio il materiale
probatorio da porre alla base della decisione del giudice, lo stesso art. 115
c.p.c. riserva al giudice poteri officiosi, peraltro non così residuali come il
titolo dell’articolo sembrerebbe prospettare, facoltà che si giustificano da un
lato con la necessità di consentire al giudicante un controllo incisivo
dell’attività delle parti in maniera tale da favorire una più sollecita
definizione delle controversie, a garanzia della ragionevole durata del
processo e dall’altro, con l’esigenza di assicurare, per quanto possibile,
soprattutto in determinate materie di interesse superindividuale, la ricerca
della verità materiale4. E’ comunque indiscusso, come vedremo tra poco, che
l’esercizio dei poteri istruttori d’ufficio debba essere subordinato alla
3 Consolo, Il processo di primo grado e le impugnazioni delle sentenze, Padova, 2009, vol.III, 181.
4 Si è correttamente osservato tuttavia che, mentre nel primo caso l’intervento officioso va nella
direzione di una maggiore celerità e razionalizzazione del processo (in particolare, con il rilievo
d’ufficio delle preclusioni), nell’altro, al contrario, quando il giudice dispone l’assunzione di un
mezzo di prova non richiesto dalle parti, il risultato è un’inevitabile dilatazione dei tempi del
giudizio, v. Giacomelli, L’istruzione della causa, relazione per l’Ufficio per Incontri di studio del
CSM nel corso Il punto sul rito civile del 24/26.5.2010.
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garanzia di imparzialità ed equidistanza sancita dall’art. 111 II co. cost., al
principio del contraddittorio e alla regola processuale - che sta a monte -
della disponibilità dell’oggetto del processo (art. 112 c.p.c.).
In ordine a quest’ultimo aspetto deve segnalarsi che tra le questioni aperte
relative alla portata del principio dispositivo vi è quella che riguarda il
rapporto tra l’onere di allegazione delle prove e l’onere di allegazione dei
fatti. Per i fatti principali, intesi come fatti costituitivi del diritto azionato o
che integrano l’oggetto di eccezioni in senso stretto, il problema non si pone
posto che opera il principio della domanda di cui agli artt.99 e 112 c.p.c.. La
questione controversa riguarda i fatti principali posti a fondamento di
un’eccezione in senso lato e i fatti secondari, cioè quei fatti che se provati
consentono di risalire, in via presuntiva, ai fatti principali. Se è pacifico che il
giudice potrà tener conto di questi fatti ogni qualvolta emergano dagli atti di
causa senza necessità di una formale allegazione di parte, si discute in
dottrina5 se quando questi fatti non sono allegati e non emergano dagli atti di
causa il giudice possa porsi il problema della loro esistenza e
conseguentemente attivarsi per l’accertamento anche attraverso l’esercizio di
poteri istruttori officiosi o se invece questo non gli sia consentito.
Va ricordato infine come corollario del principio dispositivo il principio di
acquisizione processuale per cui le parti sono si libere di scegliere di quali
prove avvalersi per fornire riscontri ai propri assunti, ma le risultanze
istruttorie acquisite al processo devono intendersi comuni alle parti ed il
giudice è libero di formare il proprio convincimento in ordine a domande ed
eccezioni proposte avvalendosi indifferentemente delle prove fornite dall’una
o dall’altra parte.
2. Dispense dall’onere probatorio: la non contestazione e il fatto notorio
Il testo del primo comma dell’art. 115 c.p.c. come novellato dalla L. n.
69/2009 prevede che il giudice debba porre a fondamento della decisione
anche “i fatti non specificamente contestati dalla parte costituita” recependo
così un principio precedentemente elaborato dalla giurisprudenza (per tutte si
veda Cass. Sez. Un. 23/1/2002 n°7616), che negli anni aveva equiparato
5 Nel senso che l’accertamento di questi fatti deve rispettare il principio dispositivo, Liebman, op.
cit., 305; Tarzia, Il litisconsorzio facoltativo nel processo di primo grado, Milano, 1972, 351 e ss;
Cavallone, Il giudice e la prova nel processo civile, Padova, 1991, 123 e ss.; contra Cappelletti,
op.cit., 340 e 343; Verde, Profili del processo civile, VI ed., I, Napoli, 2002, 2. 6 “Proposta domanda di pagamento di differenze retributive, la contestazione del convenuto
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all’ammissione vera e propria il sistema difensivo della controparte fondato
su circostanze o argomentazioni che - sebbene non costituivano
contestazione specifica - erano comunque logicamente incompatibili con il
disconoscimento del fatto7.
Poiché l’argomento è già stato oggetto di specifica relazione del collega
Buffone non mi soffermerò sulle molte peculiarità dell’istituto, ma solo
occorre in questa sede rilevare che ora la non contestazione è una regola di
giudizio normativamente prevista, non diversa da quella sull’onere della
prova o sull’efficacia probatoria del fatto notorio8.
Il fatto non contestato è espunto dal thema probandum (si noti che il
giudice “deve” porre a fondamento della decisione i fatti non specificamente
contestati dalla parte costituita non “può”) e questo per ragioni di economia
processuale9 e di selezione dei fatti rilevanti per il processo.
dell'esistenza del diritto azionato rende irrilevante la non contestazione dei conteggi relativi al
"quantum", qualora la contestazione sull'"an" abbia investito tutti i fatti costitutivi della domanda”
Cass. sez. un., 23/1/2002, n. 761 in F.it, 2002, I, p.2019 con nota di Cea, Il principio di non
contestazione al vaglio delle Sezioni Unite; e in F.it.,2003, I, p.604 con nota di Protopisani,
Allegazione dei fatti e principio di non contestazione nel processo civile. In dottrina il principio
era già da tempo valorizzato, v. Balena, Le preclusioni nel processo di primo grado, in Giur.it.,
1996, IV, 279; Caratta, Il principio di non contestazione nel processo civile, Milano, 1995, 330;
Proto Pisani, La nuova disciplina del processo civile, Napoli, 1991, 158; Ciaccia Cavallari, La
contestazione nel processo civile. II. La non contestazione, carattere ed effetti, Milano, 1993, 34. 7 E’ stato osservato da Tribunale Piacenza, 2/2/2010, n. 81 in Giur. Merito, 2010, 5, 1322 che “Il
principio di non contestazione, pur se codificato legislativamente solo con la l. n. 69 del 2009
tramite la modifica dell'art. 115 c.p.c., aveva in realtà già da diversi anni trovato cittadinanza
nell'ordinamento, in virtù di un'interpretazione sistematica ormai consolidata da parte della
Suprema Corte; pertanto, l'intervento legislativo non può essere ricostruito come una vera e
propria modifica normativa, ma piuttosto come una mera ricognizione di un precetto già sancito in
via interpretativa sulla base del dato normativo pregresso, con la conseguenza che il principio, così
come ricostruito dalla giurisprudenza a partire dal 2002, deve essere utilizzato anche nella
decisione delle controversie cui la novella del 2009 non è ratione temporis applicabile”. V. anche
Trib. Rovereto 3.12.2009 e Trib. Varese 1.10.2009, sempre in Giur. merito, 2010, 1322 ss. 8 Per approfondimenti sul tema M.Fabiani, Il nuovo volto della trattazione e dell’istruttoria, in
Corr.Giur., 2009, 1162 ss.; Rota, I fatti non contestati e il nuovo art. 115, in Il processo civile
riformato, Bologna, 2010, 181 e ss.; Sassani, L’onere di contestazione, in www.judicium.it;
Balena, La nuova pseudo-riforma della giustizia civile (un primo commento della L.18 giugno
2009 n.69) in Giusto proc.civ., 2009, 777; Proto Pisani, La riforma del processo civile: ancora
una riforma a costo zero (note a prima lettura), Foro it., 2009, 221 ss.; Briguglio, Le novità sul
processo ordinario di cognizione nell’ultima, ennesima riforma in materia di giustizia civile,
Judicium.it; Chiarloni, Le principali novità introdotte nel c.p.c. con la l. 69/2009, Judicium.it;
Consolo, La legge di riforma 18 giugno 2009, n. 69: altri profili significativi a prima lettura,
Corr. giur., 2009, 877. 9 Proto Pisani, Ancora sulla allegazione dei fatti e sul principio di non contestazione nei processi a
cognizione piena, in Foro it., 2006, I, 3143; Cea, La non contestazione dei fatti e la Corte di
Cassazione: ovvero di un principio poco amato, in Foro it., 2005, I, 730; Cass., 13/6/2005, n.
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Il principio opera solo se la parte è costituita10
e non può essere aggirato
con una contestazione generica, avendo le parti l’onere - negli atti
introduttivi e nelle successive memorie - di prendere posizione in modo
preciso (“specificatamente”) su tutte le circostanze allegate dalla controparte.
La non contestazione dovrà riguardare solo i fatti storici da accertare nel
processo e non l'interpretazione data dalle parti alla disciplina legale o
contrattuale del rapporto, essendo la qualificazione giuridica dei fatti e
l’applicazione di regole giuridiche compito del giudice, senza che possa
risultare condizionata dalle prospettazioni difensive e dai comportamenti
processuali delle parti.
La regola della non contestazione riguarda tutte le parti del giudizio
(attore, convenuto e terzi) e in assenza di specificazione nel dato normativo
deve considerarsi riferita non solo ai fatti principali, ma anche ai fatti
secondari, sempre che si tratti di fatti conosciuti dalla parte contro cui sono
allegati11
.
Con riguardo al rapporto tra non contestazione e vincolo decisorio deve
aderirsi all’impostazione della maggioritaria dottrina per cui la non
contestazione non vincola il giudice, risolvendosi in una relevatio ab onere
probandi, ben potendo comunque il giudice decidere in iure la lite,
prescindendo dal fatto non contestato, ma pure decidere sulla base
dell’ulteriore materiale probatorio acquisito agli atti, e questo anche senza il
ricorso da parte del giudice a poteri istruttori officiosi, dovendo sempre
compiersi una verifica del fatto non contestato alla luce delle ulteriori
risultanze di causa12
.
1263. 10
Osserva M.Fabiani, Il nuovo volto cit., con riguardo alla scelta legislativa di operatività della
non contestazione solo per la parte processuale costituita che “condividere la tesi della neutralità
della contumacia volontaria è un modo per semplificare un argomento che, invece, dovrebbe
essere trattato con minore approssimazione; infatti, assumere che la non contestazione possa
provenire solo dalla parte costituita non rende neutrale la posizione del convenuto, il quale si
avvantaggia del fatto che l’attore sarà costretto a provare tutti i fatti costitutivi del diritto fatto
valere; la sua, dunque, è una posizione di vantaggio. D’altra parte la contumacia non è affatto
neutrale rispetto alla produzione dei documenti e all’effetto di riconoscimento imposto dall’art.
215 c.p.c. Forse sarebbe risultato eretico rispetto alla tradizione, ma non eterodosso rispetto alla
funzionalità del processo far derivare effetti di prova equivalenti alla non contestazione in caso di
contumacia volontaria rispetto ad un atto introduttivo del processo (o successivo atto regolarmente
portato a conoscenza della parte non costituita) nel quale vi fosse una analitica rappresentazione di
fatti con un concorrente avviso sulle conseguenze della non costituzione al modo di quanto
previsto ex art. 163 n.7 c.p.c.”. 11
Morlini, Questioni sostanziali sulla prova, relazione per l’Ufficio incontri di studio del CSM. 12
M.Fabiani, Il nuovo volto cit., 1062 ss.; Comoglio, op.cit., p.129; Taruffo, Verità negoziata? In
Riv.trim.dir.proc.civ., num.spec., p.69-98; Caratta, il principio della non contestazione cit., 203;
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Il principio dell’onere della prova presenta un ulteriore temperamento nel
secondo comma dell’art. 115 c.p.c. laddove si esclude la necessità di verifica
probatoria per i c.d. fatti notori e si stabilisce che il giudice “può tuttavia,
senza bisogno di prova, porre a fondamento della decisione le nozioni di fatto
che rientrano nella comune esperienza”.
Si indicano con l’espressione fatti di comune esperienza le nozioni di
esperienza comune di un individuo medio in un dato tempo e in un dato
luogo13
, quei fatti generalmente conosciuti, almeno in una determinata zona o
in un particolare settore di attività o di affari da una collettività di persone di
media cultura, e la giurisprudenza interpreta il concetto in senso rigoroso,
come fatto acquisito dalla collettività con tale grado di certezza da apparire
indubitabile e incontestabile.
Certamente nella fattispecie che il giudice è chiamato ad esaminare il
notorio potrà essere valutato anche con riferimento ad una specifica e
qualificata cerchia sociale, intesa come insieme di persone aventi in comune
una determinata cultura settoriale o interessi, così che potrebbero rientrare
nell’alveo del notorio anche nozioni sicuramente esorbitanti da quella cultura
media che rappresenta il naturale parametro della definizione14
.
L'utilizzazione della nozione di comune esperienza introduce nel processo Rota, op.cit., 192-193. 13
Cass. sez. II, 31/5/2010, n. 13234 non valuta che possano rientrare tra le nozioni di comune
esperienza le acquisizioni specifiche di natura tecnica e quegli elementi valutativi che richiedono il
preventivo accertamento di particolari dati estimativi, nella specie i "prezzi di mercato" di lavori in
appalto; Cass. sez. lav., 12/3/2009, n. 6023 afferma che non può farsi ricorso alla nozione di
notorio per affermare lo svolgimento di prestazioni di lavoro straordinarie dei commessi dei
supermercati dopo l’orario di chiusura del punto vendita, restando onere del lavoratore
dimostrarne l'effettivo svolgimento; Cass. sez. II, 18/12/2008, n. 29728 ha ritenuto in tema di
circolazione stradale che non costituiscano fatto notorio le caratteristiche e il posizionamento dei
cartelli stradali.
Solo a titolo esemplificativo si sono viceversa ritenuti appartenenti ai c.d. fatti notori: la
circostanza che gli indumenti di lavoro forniti ai dipendenti addetti alle operazioni di raccolta dei
rifiuti abbisognino di lavaggi periodici (Cass. sez. lav., 20/5/2009, n. 11729); i particolari
geografici o topografici di una città (Cass. Sez.III, 21/12/2001, n.16165); l’incremento del valore
degli immobili negli ultimi anni in tutto il territorio nazionale (Cass. sez. I, 13/5/2009, n. 11141);
il fatto che per l'attività di chirurgo fosse essenziale un' adeguata manualità, e che la relativa
professionalità decadesse in mancanza di esercizio (Cass. sez. lav., 9/9/2008, n. 22880); la durata
della stagione turistica in una determinata località (Cass. sez. III, 19/8/2003, n. 12112). 14
Cass. sez. lav., 24/4/2002, n. 5978 ha ritenuto che la lettura degli elettrocardiogrammi rientra
usualmente, per nozione diffusa tra gli utenti dei servizi sanitari, nella attività del medico, anche se
non specialista in cardiologia; Cass. sez. II, 19/4/2001, n. 5809 ha affermato che è notorio che
l'imprenditore (gioielliere) generalmente opta per la formula di assicurazione a primo rischio
assoluto, pur pagando un premio più elevato rispetto a quello dei contratti ex art. 1907 c.c.,
nell'intento di evitare contestazioni con l'impresa assicuratrice in caso di furto parziale della merce
esistente.
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civile elementi probatori non forniti dalle parti e relativi a fatti dalle stesse
non vagliati né controllati, in deroga al contraddittorio, elementi che per
questo devono essere valutati alla stregua del "id est", con tale grado di
certezza da non ammettere la prova contraria15
.
In dottrina si distingue tra fatti notori, quali fatti specifici, concretamente
avveratisi, conosciuti dalla generalità dei consociati e che concorrono alla
ricostruzione dei fatti di causa, e le massime dell’esperienza che
costituiscono proposizioni di contenuto generale tratte dalla reiterata
osservazione di fenomeni naturali o socio-economici che possono essere
utilizzate dal giudice quali regole di giudizio16
.
Non si possono, quindi, ritenere rientranti nella nozione di fatti di comune
esperienza, quegli elementi valutativi che implicano nozioni particolari o
anche solo la pratica di determinate situazioni, né quelle nozioni che
appartengono nella scienza privata del giudice17
, poiché questa, in quanto
non universale, non rientra nella categoria del notorio (art. 97 disp.att. c.p.c.).
Neppure possono rientrare nel notorio quelle acquisizioni tecniche e quegli
elementi valutativi che richiedono il preventivo accertamento di particolari
dati, come ad esempio l’applicazione delle cosiddette tabelle utilizzate da
molti uffici giudiziari per la liquidazione del danno biologico, per cui il
Giudice che intenda avvalersene, per non incorrere nell’errore di omessa
motivazione, deve dare conto dei criteri indicati ed utilizzati per il caso
concreto18
.
15
De Stefano, Fatto Notorio, in Enc. Diritto, XVI, Milano, 1967, 1005; Satta, Commentario al
codice di procedura civile, I, Milano, 1959. Contra in giurisprudenza Cass. sez. II, 26/10/1996, n.
9357 ove si afferma che “incorre nella violazione del principio di disponibilità delle prove il
giudice di merito il quale fondi la propria decisione sul criterio del "notorio" acquisito alla comune
esperienza, pretermettendo la valutazione delle specifiche prove offerte dalla parte”. 16
Proto Pisani, Lezioni di diritto processuale civile, V ed., Napoli, 2006, 417 e ss.; analogamente
Cass. sez. lav., 24/6/1983, n. 4326. 17
L’art. 97 disp. att. c.p.c. espressamente stabilisce che “il giudice non può ricevere private
informazioni sulle cause pendenti davanti a sé, né può ricevere memorie se non per mezzo della
cancelleria”. Cassazione civile, sez. III, 27/01/2010, n. 1696 afferma che non costituisce fatto
notorio la valutazione dello stato dei luoghi che può avere il giudicante (“Chi conosce i luoghi di
causa sa infatti benissimo che, rimanendo fermi al semaforo di viale …, non si possono
assolutamente vedere i veicoli che sopraggiungono da..."). 18
“Il giudice, nel procedere alla liquidazione del danno biologico, deve fare ricorso al criterio
equitativo (art. 2056 e 1223 c.c.), considerando le circostanze del caso concreto - specificamente,
la gravità delle lesioni, gli eventuali postumi permanenti, l'età, le condizioni sociali e familiari del
danneggiato - valutato in relazione ai due momenti della inabilità temporanea e della Invalidità
permanente del danneggiato; nell'operare questa valutazione, il giudice può anche ispirarsi a criteri
predeterminati e standardizzati, quali le tabelle elaborate da alcuni uffici giudiziari, che assumono
quale parametro il valore medio del punto di invalidità, calcolato sulla media dei precedenti
giudiziari, ma, poiché dette tabelle non rientrano nelle nozioni di fatto di comune esperienza di cui
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Analogamente deve ritenersi escluso dall’ambito di applicazione dell’art.
115 II co c.p.c. il c.d. notorio giudiziale, l’insieme di circostanze direttamente
percepite dal magistrato nella pregressa trattazione di analoghe
controversie19
, trattandosi sempre di scienza privata del giudice per cui
ricorre il divieto di utilizzazione a mente dell’art. 97 disp.att. c.p.c., se non
nei casi previsti dalla legge, quali gli articoli 273 e 274 c.p.c. in tema di
riunione di procedimenti.
Poiché è rimessa alla discrezionalità del giudice fondare la decisione o
comunque avvalersi nella formazione del proprio convincimento delle
nozioni di comune esperienza, la giurisprudenza dominante afferma che la
scelta non può essere censurata in sede di legittimità anche se la motivazione
del giudicante sul punto è carente o assente, essendo sindacabile
esclusivamente l’errato riscontro concreto degli estremi del notorio,
trattandosi nella specie di errore di diritto nell’applicazione dell’art. 115 II
co. c.p.c..20
3. I poteri officiosi del giudice.
All’interno del quadro delimitato dalle garanzie costituzionali previste dagli
art. 24 e 111 cost., la disponibilità dei mezzi di prova varia nel nostro
ordinamento in ragione degli interessi sostanziali che il processo mira a
regolare. Come si è detto, la scelta di fondo del legislatore, sancita dall’art.
115 c.p.c., è per il principio dispositivo, limitatamente derogato da poteri
officiosi attribuiti al giudice e che comunque possono solo integrare l’attività
delle parti, collocandosi questi poteri inquisitori all’interno di un sistema in
cui le domanda e le allegazioni dei fatti (quanto meno quelli principali) spetta
ai contendenti.
Laddove tuttavia si controverte di rapporti di matrice pubblicistica, di all'art. 115 c.p.c., né sono recepite in norme giuridiche, qualora faccia ricorso ad esse, deve
congruamente motivare sulle modalità della loro applicazione al caso concreto” (Cass. sez. lav.,
1/10/2003, n. 14645, in senso sostanzialmente conforme Cass. sez. III, 29/02/2008, n. 5505; Cass.
sez. III, 1/6/2006, n. 13130). 19
Cass. sez. II, 29/4/2010, n. 10285 afferma che rientrano nella scienza privata del giudice quelle
nozioni particolari o pratiche di determinate situazioni che derivino al giudice medesimo dalla
pregressa trattazione di analoghe controversie. Analogamente Cass. sez. II, 18/12/2008, n. 29728;
Cass. sez. lav., 7/3/2005, n. 4862; Cass. sez. I, 27/2/2004, n. 3980. 20
Tra le tante Cass. sez. lav., 20/5/2009, n. 11729; Cass. sez. lav., 12/3/2009, n. 6023; Cass. sez.
lav., 9/9/2008, n. 22880; Cass. sez. III, 19/8/2003, n. 12112; Cass. sez. II, 10/8/1998, n. 7822.
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interesse superindividuale o di natura indisponibile, anche la disponibilità
delle parti dei mezzi di prova si attenua per lasciare spazio ad un più incisivo
intervento officioso del giudice, teso alla ricerca della verità materiale, si
pensi al rito del lavoro (art. 421 II co .c.p.c.) o ai procedimenti speciali, sia
disciplinati dal c.p.c. (art. 738 c.p.c., art. 669 sexies II co. c.p.c.) che dal c.c.
(es. art. 155 VII co. c.c. in tema di provvedimenti da adottare nei
procedimenti di separazione personale dei coniugi in ordine alla prole) o da
leggi speciali (art. 6, 9° comma, l. 1.12.1970 n. 898 in tema di scioglimento
del matrimonio e art. 23 L.n.689/81 in tema di opposizione ad ordinanza-
ingiunzione).
In particolare nel processo del lavoro, in ragione della natura dei diritti di
cui si discute e del potenziale squilibrio tra i contendenti, il principio
dispositivo si adombra innanzi al dovere di ricerca della verità materiale per
cui il giudice se ritiene insufficienti le prove fornite dalle parti avrà sempre il
potere/dovere, nei limiti delle allegazioni delle parti, di procedere ad una
istruttoria officiosa21
. Si noti che sono talmente rilevanti nel processo del 21
Osserva la giurisprudenza che nel rito del lavoro, dove, per la particolare natura dei rapporti
controversi, il principio dispositivo va contemperato con quello della ricerca della verità materiale
mediante una rilevante ed efficace azione del giudice nel processo, quando le risultanze di causa
offrono significativi dati di indagine, non può farsi meccanica applicazione della regola formale di
giudizio fondata sull'onere della prova, occorrendo, invece, che il giudice, ove reputi insufficienti
le prove già acquisite, eserciti il potere-dovere di provvedere d'ufficio agli atti istruttori sollecitati
da tale materiale e idonei a superare l'incertezza sui fatti costitutivi dei diritti in contestazione,
senza che a ciò sia di ostacolo il verificarsi di preclusioni o decadenza in danno delle parti (Cass.
sez. lav., 24/10/2007, n. 22305; Cass. sez. un., 17/6/2004, n. 11353; Cass. sez. lav., 12/3/2004, n.
5152; Cass. sez. lav., 15/12/2000, n. 15820).
Ma anche ne rito del lavoro la Corte ha cercato di scandagliare i limiti entro cui deve esercitarsi il
potere officioso conferito al giudice dalla norma di cui all'art. 421 c.p.c. in tema di ricerca di prove
suppletive od integrative a supporto della domanda, ritenendo indispensabile la presenza, in seno
al processo, tanto di taluni elementi positivi, quanto l'assenza di altri, ed opposti, elementi ostativi,
onde non travalicare l'ambito della disposizione "de qua" (trasmodando nell'arbitrio scaturente
dalla sovrapposizione della volontà del giudicante a quella delle parti in conflitto di interessi), e
non oltrepassare, così, il limite obbligato della terzietà che, comunque, deve sorreggere l'attività
del giudicante (e sulla quale i detti, ampliati poteri, pur applicati in senso lato, non possono
prevalere). Elementi positivi devono, pertanto, essere considerati la circostanza che,
dall'esposizione dei fatti compiuta dalle parti - o dall'assunzione degli altri mezzi di prova offerti
dalle stesse - siano dedotti, pur se implicitamente, quei fatti e quei mezzi di prova idonei a
sorreggere (sia pur non compiutamente) le rispettive ragioni con profili di decisività della
controversia; il fatto che l'esplicazione dei poteri istruttori del giudice venga specificamente
sollecitata dalla parte con riferimento alla qualificata integrazione sopra descritta; la impossibilità,
soggettiva od oggettiva, di reperire o dedurre la prova carente, ovvero di integrare, ad opera della
parte, quella lacunosa o polivalente, pur nella sua acclarata idoneità a sorreggere le ragioni
dedotte; gli elementi negativi afferiscono, invece, ai limiti che l'attribuzione al giudice di poteri
istruttori d'ufficio incontra, e concernono il rispetto del principio della domanda; l'onere di
deduzione in giudizio dei fatti costitutivi, impeditivi od estintivi del diritto controverso; il rispetto
del divieto di utilizzazione della conoscenza privata da parte del giudice; l'eventuale inerzia
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lavoro i profili inquisitori nell’acquisizione della prova che la maggior parte
della giurisprudenza citata nel presente paragrafo relativa all’iniziativa
officiosa è proprio tratta da controversie giuslavoristiche.
E’ indubbio che l’intervento officioso del giudice con riguardo
all’istruzione probatoria può condizionare la decisione e quindi l’esito della
lite e per questo è indispensabile che detto potere sia esercitato nel rispetto
del giusto processo e nella salvaguardia del principio di imparzialità del
giudice, non dovendo finalizzarsi al soccorso di una piuttosto che l’altra parte
ma alla ricerca della verità dei fatti allegati.
Si consideri che nel nostro ordinamento è vietato il non liquet e il giudice è
chiamato a decidere sulla base della regola di giudizio fondata sull’onere
della prova (art. 2697 c.c.). Se l’attore o il convenuto non forniscono riscontri
probatori ai propri assunti il giudice è sempre in grado di decidere la lite,
unicamente verificando in capo a quale dei soggetti coinvolti deve essere
attribuito l’onere probatorio (actore non probante reus absolvitur). Il
giudizio in questo caso si chiude senza l’accertamento del fatto dedotto, in
quanto non provato, con la conseguenza del rigetto della domanda o
dell’eccezione su di esso fondata22
.
Si osserva tuttavia in dottrina che se il materiale probatorio fornito dalle
parti lasci adito ad incolpevoli incertezze il giudice non può astenersi da un
calibrato esercizio dei poteri inquisitori che la legge gli riconosce, trattandosi
di passaggio necessario prima di addivenire alla regola di chiusura prevista
dall’art. 2697 c.c.23
probatoria, ovvero l'eventuale rinuncia, esplicita o "per facta concludentia", della parte, cui il
giudice non può ovviare con il suo potere officioso (in questo senso Cassazione civile, sez. lav.,
06/03/2001, n. 3228; nello stesso senso Cass., sez. lav., 16/5/2002, n. 7119. 22
Ha osservato Consolo, Il processo di primo grado cit., p.189 che “affermare che un soggetto è
gravato dall’onere della prova di un determinato fatto significa che egli porta il rischio della
mancata (acquisita) prova di quel fatto (della mancato persuasione del giudice in ordine alla sua
positiva esistenza); non significa invece, si badi, affermare che la parte onerata non potrà vincere
se non adempie quell’onere perché il fatto può essere pacifico, notorio, ammesso, confessato,
dimostrato in virtù dei poteri inquisitori del giudice (nella misura in cui essi siano previsti – e lo
sono più ampiamente nel rito del lavoro; art. 412 - ed egli li eserciti)”. 23
Fabbrini, Potere del giudice, in Enciclopedia del diritto, XXXIV, Milano,1985, 721; Comoglio,
op.cit., 310 e ss.; osserva M.Fabiani, Garanzia di terzietà e imparzialità del giudice ed efficienza
del processo, in www.judicium.it., 41-42 che “la circostanza che al giudice siano affidati poteri di
ricerca della prova su fatti allegati non attenta al principio dispositivo, ma come si dice, costituisce
principalmente un fatto di tecnica processuale, ma non solo. Le parti quando si controverte su
diritti disponibili possono scegliere come regolare la crisi del loro rapporto, ma se optano per la
devoluzione della lite innanzi al giudice accettano di assoggettarsi ad un sistema di regole in parte
elastico là dove si prevede la partecipazione del giudice, non come mero convitato di pietra
incaricato solo di “jus dicere”, ma quale co-protagonista. Non si perdono le tracce del processo
dispositivo sol perché il giudice è coinvolto nell’istruttoria quando il muro invalicabile è costituito
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In tale contesto, il giudice che esercita poteri istruttori officiosi deve porsi,
in qualsivoglia modello processuale, il più possibile equidistante dalle parti,
proprio perché il suo intervento altera la meccanica applicazione della regola
dell’onere probatorio24
.
Affinché ciò avvenga ed il potere istruttorio officioso del giudice si
presenti come equilibrato e rispettoso della garanzia costituzionale del giusto
processo, si ritiene generalmente che l’iniziativa debba essere esercitata sulla
base di precise regole25
:
dovere di rispettare l’allegazione dei fatti effettuata dalle parti26
;
possibilità di unicamente integrare le fonti di prova acquisite, per
oggettive difficoltà delle parti nel fornire prove ulteriori, senza che sia
possibile colmare vuoti istruttori imputabili a colpa o inerzia delle parti27
, su
cui incombe l’onere probatorio previsto dall’art. 2697 c.c.;
indispensabilità e potenziale essenzialità del mezzo officioso per la
risoluzione della controversia;
rispetto del principio del contraddittorio (previsto ora dall’art. 183 8°
comma c.p.c.).
Passando in rassegna i principali poteri officiosi che si possono riscontrare
nel processo di cognizione ordinario, si trova28
:
1. potere di disporre l’interrogatorio libero delle parti, che oltre a
consentire una chiarificazione delle rispettive posizioni, pur non essendo un
dal monopolio che le parti hanno in ordine alla richiesta di tutela e in ordine alla individuazione
dei fatti che giustificano quella determinata richiesta”. 24
Sempre M.Fabiani, Garanzia di terzietà e imparzialità del giudice cit, 39-40 rileva che “Non è
peraltro necessario prendere una posizione decisa (fare cioè una netta scelta di campo) a favore di
un giudice attivo o a favore di un giudice al traino della volontà delle parti, per poter cercare una
soluzione che porti a rendere imparziale la discrezionalità del giudice. Come il giudice “passivo”
può essere parziale (in quanto condizionato dalla sua ideologia o dai suoi preconcetti), allo stesso
modo il giudice “attivo” può essere imparziale (in quanto indifferente alle parti ed interessato solo
a rendere una decisione giusta). Ciò non toglie che quando l’esercizio di poteri discrezionali del
giudice può direttamente influire preventivamente sull’esito della lite, una qualche attenzione
verso il rispetto della garanzia di imparzialità sia onesto porsela.” 25
Comoglio, op.cit., p.139; M.Fabiani, Garanzia di terzietà e imparzialità cit., 43. 26
Cass. sez. lav., 28/5/2003, n. 8468; Cass.S.U. 17/6/2004 n.11353. 27
Cass.sez. lav., 10/1/2006, n. 154; Cass. sez. I, 12/12/2005, n. 27391; Cass. sez. lav., 1/9/2004, n.
17572. 28
In merito v. Giordano, Giuramento suppletorio, in Giur. merito, suppl. n. 2, 2009, 20 ss.;
Porreca, Poteri del giudice e prova testimoniale: testimonianza de relato, riduzione della lista dei
testimoni e confronto, in Giur. merito, suppl. n. 2, 2009, 34 ss.; Villani, La richiesta di
informazioni alla pubblica amministrazione, in Giur. merito, suppl. n. 2, 2009, 57 ss.; Villani,
L’ispezione giudiziale, in Giur. merito, suppl. n. 2, 2009, 65 ss.
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mezzo di prova, potrà fornire al giudice argomenti di prova sia con riguardo
all’ammissione o non contestazione di fatti rilevanti per la decisione sia
valutando il contegno processuale delle parti (art. 117 c.p.c.)29
;
2. ordine di ispezione di persone e di cose (artt.118 e 258 c.p.c.) 30
;
3. potere di disporre la consulenza tecnica (art. 61 e 191 c.p.c.)31
,
quand’anche si tratti non di un mezzo di prova ma di un mezzo di
valutazione della prova;
4. comunicazione ed esibizione di scritture contabili (art. 2711 II co. c.c.
in relazione all’art. 212 c.p.c.)32
;
5. richiesta di informazioni alla p.a. (art. 213 c.p.c.)33
;
29
Le molteplici funzioni dell’interrogatorio libero sono ben esemplificate in motivazione di Cass.
sez. lav. 15/12/2000 n. 15820 “mettere a fuoco, attraverso il rapporto diretto con le parti, il tema
oggetto della controversia, sfrondare il fatto e le esigenze istruttorie dalle circostanze ridondanti o
non più necessarie di prova a seguito delle ammissioni o non contestazioni del convenuto;
richiedere alle parti i chiarimenti necessari (art. 183 comma 3 c.p.c.) e quindi anche la
precisazione di circostanze dedotte in maniera non chiara, e tutto ciò nella maniera più efficace e
produttiva, perché svolto dal giudice nel contraddittorio con le parti e i loro difensori (Cass.
27/2/1990 n. 1519)”. In ordine all’efficacia probatoria delle risposte ha affermato recentemente
Cass. sez. lav., 2/7/2009, n. 15502 che “Il giudice può condurre l'interrogatorio libero delle parti
nel modo che ritiene più opportuno e senza necessità di motivare espressamente sulle modalità
adottate, mentre può accertare i fatti basandosi esclusivamente sulla prospettazione fattane da una
parte nel corso dell'interrogatorio medesimo”. 30
L’art. 118 c.p.c., così come il successivo art. 257 c.p.c., riferendosi alla “indispensabilità”
dell’ispezione e all’esito della prova testimoniale già espletata, offrono una chiara indicazione
circa l’utilizzabilità di questi strumenti solo per integrare le prove già offerte. 31
V. Cass. sez. III, 8/1/2004, n. 88, secondo cui “In tema di procedimento civile, la consulenza
tecnica d'ufficio - che può costituire fonte oggettiva di prova tutte le volte che opera come
strumento di accertamento di situazioni di fatto rilevabili esclusivamente attraverso il ricorso a
determinate cognizioni tecniche - è un mezzo istruttorio sottratto alla disponibilità delle parti e
rimesso al potere discrezionale del giudice, il cui esercizio incontra il duplice limite del divieto di
servirsene per sollevare le parti dall'onere probatorio e dell'obbligo di motivare il rigetto della
relativa richiesta. Ne consegue che il giudice che non disponga la consulenza richiesta dalla parte
è tenuto a fornire adeguata dimostrazione - suscettibile di sindacato in sede di legittimità - di
potere risolvere, sulla base di corretti criteri, tutti i problemi tecnici connessi alla valutazione
degli elementi rilevanti ai fini della decisione, senza potere, per converso, disattendere l'istanza
stessa ritenendo non provati i fatti che questa avrebbe verosimilmente accertato”. 32
Per regola generale “L'ordine di esibizione può essere impartito ad una delle parti del processo
con esclusivo riguardo ad atti "la cui acquisizione al processo sia necessaria" ovvero "concernenti
la controversia", e, quindi, ai soli atti o documenti specificamente individuati o individuabili, dei
quali sia noto, o almeno assertivamente indicato, un preciso contenuto, influente per la decisione
della causa”, Cass. sez. I, 8/9/2003, n. 13072; nello stesso senso Cass. sez. I, 11/7/2003, n. 10916;
Cass. sez. I, 13/6/1991, n. 6707. 33
“L'esercizio del potere, previsto dall'art. 213 c.p.c., di richiedere d'ufficio alla p.a. le
informazioni relative ad atti e documenti della stessa che sia necessario acquisire al processo
(nella specie, documentazione comprovante la sussistenza di rapporti di convenzionamento tra un
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6. redazione di scritture di comparazione sotto dettatura (art. 219 I co
c.p.c.)34
;
7. deferimento del giuramento suppletorio e di estimazione (art. 240 e
241 c.p.c. in relazione all’art. 2736 c.p.c.);
8. riduzione delle liste dei testi sovrabbondanti (art. 245 c.p.c.)35
;
9. potere di rivolgere al teste domande utili a chiarire i fatti (art. 253
c.p.c.)36
;
10. potere di disporre il confronto tra i testimoni (art. 254 c.p.c.);
11. potere di audizione di testi a riferimento (art. 257 I co. c.p.c.)37
;
medico e la Asl), rientra, al pari del ricorso ai poteri istruttori previsti dall'art. 421 c.p.c., nella
discrezionalità del giudice e non può comunque risolversi nell'esenzione della parte dall'onere
probatorio a suo carico, con la conseguenza che tale potere può essere attivato soltanto quando, in
relazione a fatti specifici già allegati, sia necessario acquisire informazioni relative ad atti o
documenti della p.a. che la parte sia impossibilitata a fornire e dei quali solo l'Amministrazione sia
in possesso proprio in relazione all'attività da essa svolta (Cass. sez. lav., 13/3/2009, n. 6218; nello
stesso senso ex pluribus Cass. sez. trib., 27/6/2003, n. 10219; Cass. civ., Sez.II, 12/4/1999,
n.3573). Il ricorso al mezzo istruttorio in questione è stato riconosciuto, in concreto, con riguardo
a norme regolamentari edilizie o PRG (Cass. civ., Sez.II, 5/5/2003, n.6837) sia con riferimento ai
verbali redatti dall’Autorità intervenuta in sede di sinistro stradale (Cass. civ., Sez.III, 13/5/2003,
n.7291), pur se possono ipotizzarsi molte ulteriori applicazioni. Si osservi anche che ai sensi
dell’art. 96 disp.att. c.p.c. il documento di risposta proveniente dalla pubblica amministrazione è
inserito nel fascicolo e acquisito al processo e quindi non è nella disponibilità delle parti, come
viceversa sono i documenti dalla stessa prodotti che sono contenuti nel fascicolo di parte e
possono essere ritirati dalla parte prima della decisione della causa e non più restituiti. 34
Tale potere viene di regola esercitato dal giudice in presenza del consulente tecnico, perito
grafologico, quando le scritture di comparazione appaiono insufficienti o non adeguate. 35
La riduzione delle liste testimoniali sovrabbondanti costituisce un potere tipicamente
discrezionale del giudice di merito, non censurabile in sede di legittimità, ed esercitabile anche nel
corso dell'espletamento della prova, potendo il giudice non esaurire l'esame di tutti i testi ammessi
qualora, per i risultati raggiunti, ritenga superflua l'ulteriore assunzione della prova. Tale ultima
valutazione non deve essere necessariamente espressa, potendo desumersi per implicito dal
complesso della motivazione della sentenza (Cass. sez. III, 22/4/2009, n. 9551, in senso conforme
Cass. sez. lav., 16/8/2004, n. 15955; Cass. sez. lav., 16/5/2000, n. 6361). 36
In Cass. sez. lav. 15/12/2000 n. 15820 si osserva in motivazione che durante l'espletamento del
mezzo istruttorio il giudice ha il potere “di apportare rettifiche e financo integrazioni alla formula
del capitolo di prova testimoniale sia per escludere le parti per le quali la prova non potrebbe
essere ammessa, sia per meglio adattarla alle esigenze istruttorie della causa…” e questo “si può
considerare espressione del generale principio di lealtà, che informa il nostro ordinamento
processuale (art. 175 c.p.c.)…”. Certo è che detto strumento va esercitato con misura, atteso che se
da un lato potrà consentire di superare la genericità di alcune domande (purché di base ammissibili
e rilevanti) dall’altro non è possibile utilizzarlo per aggirare preclusioni in cui la parte sia incorsa. 37
In assenza di indicazioni normative può ritenersi che il teste di riferimento ammesso su istanza
di parte o d’ufficio possa essere sentito non soltanto sui capitoli già dedotti dalle parti ma, altresì,
su capitoli allo stesso formulati dal giudice in relazione alle circostanze apprese de relato da altro
teste già escusso.
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12. l'audizione dei testimoni ritenuti superflui e rinnovazione
dell’audizione dei testi già escussi (art. 257 II co. c.p.c.);
13. effettuazione di esperimenti o riproduzioni meccaniche (artt.261 e 262
c.p.c.);
14. il giuramento nelle cause di rendimento dei conti (art. 265 c.p.c.);
15. potere, riservato al tribunale in composizione monocratica, di disporre
la prova testimoniale, con formulazione dei capitoli, quando le parti
nell’esposizione dei fatti si sono riferite a persone che appaiono in grado di
conoscere la verità (art. 281 ter c.p.c.) Si noti che la norma è stata introdotta
dall’art. 68 D.Lgs.n.51/1998 e regola una fattispecie diversa dall’audizione
dei testi di riferimento a cui si siano richiamati i testi escussi, riguardando
testi di riferimento non già indicati da altri testi ma menzionati dalle parti
nelle loro allegazioni.
Affinché possa ritenersi che il giudice abbia fatto corretto esercizio dei
poteri istruttori officiosi che la legge gli attribuisce ogni qualvolta il giudice
valuta opportuno ricorrere a questi strumenti dovrà38
:
I) motivare in ordine alle ragioni della scelta di ricorrere al mezzo di prova
officioso;
II) individuare il mezzo di prova più coerente con la fattispecie concreta;
III) consentire alle parti di addurre prove nuove.
E’ evidente che se all’esito della prova introdotta ex officio il fatto non
risulta comunque provato, soccorre sempre la regola di giudizio fondata
sull’onere della prova.
Si discute in dottrina e in giurisprudenza circa un possibile sindacato
impugnatorio sull’esercizio di poteri officiosi da parte del giudice e la
soluzione dipende proprio dalla ricostruzione dell’istituto. Da un lato vi è chi
ritiene che l’esercizio di tale potere sia integralmente discrezionale e quindi
non censurabile39
, e dall’altro vi è chi configura i poteri officiosi come
poteri/doveri, da esercitarsi in nome dell’imparzialità, con il fine di
perseguire l’accertamento della verità materiale dei fatti e di evitare quanto
possibile il ricorso alla regola di giudizio di cui all’art. 2697 c.c., per cui
ritiene possibile un sindacato sia sotto il profilo del controllo sulla
38
M. Fabiani, in Garanzia di terzietà e imparzialità del giudice cit., 48. 39
La giurisprudenza è sostanzialmente unanime e ritiene incensurabile in sede di gravame
l'esercizio da parte del giudice del potere di disporre d'ufficio di mezzi di prova, involgendo questa
scelta un giudizio di mera opportunità, rimesso al suo apprezzamento esclusivamente
discrezionale e pertanto sottratto al sindacato di legittimità, anche sotto il profilo del difetto di
motivazione. Tra le tante: Cassazione civile, sez. III 11/03/2002 n. 3505; Cass. sez. lav.,
27/9/1999, n. 10658; Cass. sez. lav., 25/7/1994, n. 6903; Cass. sez. lav., 15/4/1994, n. 3549.
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motivazione sia sotto il profilo della violazione o falsa applicazione di
legge40
.
Se viceversa i poteri officiosi non sono esercitati, la scelta del giudice
rimane sottratta ad ogni successivo controllo giudiziario, a meno che sia stata
una delle parti a sollecitare il giudice all’esercizio di poteri officiosi, poiché
in tal caso viceversa il giudice è tenuto a giustificare in modo adeguato e
corretto la sua decisione41
.
4. In particolare la prova testimoniale d’ufficio e il giuramento
suppletorio.
L’art. 281 ter c.p.c., introdotto dall’art. 68 D.Lgs. n.51/98, prevede che il
giudice (solo il tribunale in composizione monocratica) possa disporre
d’ufficio la prova testimoniale (si noti solo la prova testimoniale e non “ogni
mezzo di prova” come nel rito del lavoro), formulando i relativi capitoli,
ogniqualvolta le parti nell’esposizione dei fatti si sono riferite a persone che
appaiono in grado di conoscere la verità. La disposizione era originariamente
prevista dall’art. 317 c.p.c. per il rito pretorile ed era stata trasferita nell’art.
312 c.p.c., modificato dalla L.n.374/99, ed estesa anche al giudice di pace.
Come già osservato in generale per l’esercizio dei poteri istruttori ex
officio, affinché la facoltà attribuita al giudice sia interpretata nel rispetto del
precetto della terzietà e finalizzata ad un accertamento imparziale della verità
dei fatti controversi, riducendo il rischio di dover ricorrere alla regola di
giudizio prevista dall’art. 1697 c.c.42
, devono ritenersi sussistenti alcune
delimitazioni:
- la prova testimoniale d'ufficio può riguardare soltanto fatti già
tempestivamente allegati dalle parti e non fatti derivanti dalla scienza privata
40
Comoglio, op.cit., 145 e ss.; M. Fabiani, Garanzia di terzietà e imparzialità del giudice cit, 43;
in questo senso Cass.S.U. 17/6/2004 n.11353 “I poteri istruttori d'ufficio del giudice del lavoro, il
cui esercizio non è subordinato ad una esplicita richiesta delle parti né al verificarsi di decadenze o
preclusioni, non possono mai essere esercitati in modo arbitrario ed il loro esercizio, o mancato
esercizio, è suscettibile di sindacato in sede di legittimità tanto sotto il profilo del controllo sulla
motivazione quanto sotto quello della violazione o falsa applicazione di legge”; analogamente
Cass. sez. lav., 2/3/2006, n. 4611; Cass. sez. lav., 23/5/2003, n. 8220; Cass. sez. lav. 10/5/2001 n.
6531. 41
Cass. sez. III, 25/5/2010, n. 12717; Cass. sez. I, 21/4/1983, n. 2736; Cass. sez. lav., 2/4/1982, n.
2044. 42
V.Trib.Reggio Emilia, 13/1/2003 in F.it., 2003, I, 3463.
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del giudice (art. 97 disp. att. c.p.c.)43
,
- devono ritenersi operanti per la prova disposta d'ufficio gli stessi limiti
generali di ammissibilità della prova testimoniale previsti nel codice civile44
;
- l’indicazione dei testi deve essere operata dalle parti ma l’espressione va
intesa in senso ampio, non essendo necessario che il riferimento debba
emergere dagli atti scritti, potendo anche intervenire per mezzo di
dichiarazioni orali e in particolare dall’interrogatorio libero45
;
- deve essere rispettato il principio del contraddittorio, con termini
concessi obbligatoriamente alle parti ai sensi dell’art. 183, 8° comma, c.p.c.
per la deduzione dei mezzi di prova che ritengano necessari in relazione alla
testimonianza disposta d’ufficio nonché per repliche;
- l’iniziativa officiosa non deve consentire di superare lacune difensive
delle parti e neppure decadenze istruttorie già verificatesi e quindi deve porsi
come integrativa dell’eventuale prova già dedotta a riscontro dei fatti
allegati46
.
43
Il giudice non può ricercare autonomamente fonti materiali di prova e/o fatti non acquisiti
(legittimamente) al processo, e tanto meno può farli oggetto di prova che possa disporre d’ufficio
v. sul punto E.Fabiani, Sul potere del giudice monocratico di disporre d’ufficio la prova
testimoniale ai sensi dell’art. 281 ter c.p.c. , in F.it., 2000,I, 2093. 44
In questo senso Trib.Foggia 4/11/1999, in F.it., 2000,I, 2093 con nota adesiva di E.Fabiani, Sul
potere del giudice monocratico cit.. 45
E.Fabiani, in nota critica a Trib.Chiavari, 6/3/2001, in F.it, 2003, I, 922; Satta, Commentario al
codice di procedura civile, Milano, 1959, II, 1, 459; Civinini, Il nuovo procedimento davanti al
pretore, in Quaderni CSM, 1994, fasc.75, La riforma del processo civile, III, 85. 46
Cassazione civile, sez. lav., 10/1/2006, n. 154; Cassazione civile, sez. I, 4/4/1995, n. 3949;
Trib.Napoli, 30/9/2002, in F.it., 2003, I, 3464; Trib.Bologna, sez.Imola, 3/5/2002 in F.it., 2003, I,
3464; Reali, Sulla prova testimoniale disposta d’ufficio, in F.it., I, 935 ; M. Fabiani, in Garanzia
di terzietà e imparzialità del giudice cit, 43, prendendo occasione dalla disamina della prova
officiosa consentita dall’art. 281 ter c.p.c., osserva “Se fosse vero che l’ingresso della prova
officiosa presuppone sempre che la parte abbia fatto tutto il possibile per offrire la prova, mai
potremmo spiegare la prova testimoniale officiosa, visto che si tratta di un mezzo di prova identico
a quello che può essere introdotto ad iniziativa di parte. Il tema è alquanto delicato perché l’art.
281 ter, diversamente dalle iniziativa officiose sempre ricollegate alla prova testimoniale (art. 257
c.p.c.), sembra prescindere dallo svolgimento di una prova per testi sollecitata dalle parti. Così,
mentre è evidente la natura integrativa della prova ex art. 257, non altrettanto si dovrebbe dire per
quella ex art. 281 ter che sembra sganciata da una precedente attività istruttoria. In tale cornice a
me pare che la formula dell’art. 281 ter vada intesa in senso assai più restrittivo di quanto la lettera
della disposizione non lasci trasparire. Come vedremo fra poco, se si postula che il giudice
esercita, solo, un potere integrativo e non interamente sostitutivo, allora il presupposto di
applicazione dell’art. 281 ter sta nel fatto che il giudice dispone la prova testimoniale se la parte
non l’ha autonomamente dedotta in quanto convinta di avere già, per altre forme, fornito la prova
di quel fatto; una convinzione “oggettiva” nel senso che il giudice la riconosce ma la giudica
insufficiente. Ed allora dovremmo correggere la formula “dall’avere la parte fatto tutto quanto era
nelle sue possibilità per provare il fatto “, aggiungendo “nel momento in cui le prove erano
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Operativamente, il giudice, disponendo la prova testimoniale, deve fissare
l’audizione di persone a conoscenza della verità dei fatti allegati che siano
state espressamente indicate dalle parti47
, deve formulare i capitoli, con le
modalità di cui all’art. 244 c.p.c., mentre all’intimazione dei testi dovranno
provvedere le parti ex art. 104 disp.att.c.p.c., e non la cancelleria dell'ufficio
giudiziario.
Si è anche affermato48
che l’art. 281 ter c.p.c. si applica sia nel caso di
persone a cui le parti hanno fatto riferimento ma che non sono state indicate
dalle stesse come testi, sia nei casi in cui la persona che appare conoscere la
verità è stata indicata come testimone (da una o da entrambe le parti), ma non
su tutte le circostanze su cui è opportuno che venga ascoltata.
Se il potere officioso risulta essere utilizzato oltre i limiti (oggettivi,
soggettivi e temporali) previsti dal sistema, il vizio che ne deriva può formare
oggetto di controllo in sede di impugnazione e, se riconosciuto sussistente da
parte del giudice del gravame, comporterà per quest'ultimo il dovere di
decidere non tenendo conto della prova testimoniale acquisita d'ufficio in
modo irregolare49
.
Circa la possibilità di un controllo di legittimità in ordine all’esercizio di
questo potere, come si è già osservato trattando in generale del potere
officioso del giudice, le opinioni variano a seconda che si ritenga che i poteri
istruttori officiosi abbiano carattere essenzialmente discrezionale, con
esclusione quindi di qualsivoglia vaglio sul loro esercizio (o il mancato
utilizzo)50
, ovvero si configurano come poteri/doveri che impongano al
giudice un intervento tutte le volte in cui risulti effettivamente necessario, in
cui si riscontri una situazione probatoria incerta, al fine di evitare
l’applicazione automatica del criterio dell’onere della prova di cui all’art.
2697 c.c.51
.
Passando ad esaminare l’istituto del giuramento suppletorio, scarnamente
disciplinato dall’art. 2736 c.c. e art. 240 c.p.c., quale ulteriore importante deducibili prima di incorrere nelle decadenze”. 47
Va escluso che il giudice possa ricercare d'ufficio le persone in grado di conoscere la verità dei
fatti. In questo senso Trib. Chiavari 6.3.2001, in Foro it., 2002, 922. 48
Trib.Foggia 4.11.1999, in F.it., 2000,I, 2093. 49
Trib.Bologna, sez.Imola, 3/5/2002 in F.it., 2003, I, 3463. 50
Lazzaro-Guerrieri-D’Avino, Il giudice unico nelle mutate regole del processo civile e nella
nuova geografia giudiziario, Milano, 1998, 131; Bucci, Manuale pratico del giudice unico nel
processo civile, Padova, 1999, 77. 51
Il controllo potrebbe avvenire ai sensi dell’art. 360 n. 4 e 5 c.p.c., v. Fabbrini, Potere del giudice
cit., 737; E.Fabiani, Sul potere del giudice cit., 2099.
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mezzo di prova sottratto alla disponibilità delle parti e rimesso al potere
officioso del giudice, e per questo ritenuto da taluno in dottrina addirittura
uno strumento di violazione del diritto di difesa e del principio di
eguaglianza52
, deve innanzi tutto ricordarsi che quanto agli effetti, essi sono
gli stessi tipici previsti per il giuramento decisorio, trattandosi sempre di una
prova legale con finalità decisoria.
In generale si tratta di strumento complementare e sussidiario all’istruttoria
fornita dalle parti che potrà essere utilizzato dal giudice in quelle ipotesti di
situazione di incertezza obiettiva riscontrata nell’accertamento dei fatti
rilevanti per la decisione della causa, quando all’esito dell’istruttoria le
risultanze sono carenti e non si può affermare né che la prova è mancata né
che la prova sia stata fornita in maniera completa.
E’ il giudice che sceglie se avvalersi di questo mezzo istruttorio ma anche
quale dei due contendenti far giurare, soggetto che si identifica, in concreto,
di regola in quella delle due parti che ha maggiormente assolto al proprio
onere probatorio, pur senza esservi riuscita integralmente53
.
Peraltro il contendente prescelto dal giudice a cui il giuramento è deferito
d’ufficio non potrà a sua volta riferirlo alla controparte (art. 242 c.p.c.).
Va anche notato che il campo di applicazione del giuramento suppletorio è
molto ampio, posto che le uniche liti in cui non può essere deferito
riguardano diritti indisponibili, fatti illeciti o attinenti a contratti per i quali è
richiesta la forma scritta ad substantiam e riguardanti fatti attestati con atto
pubblico (art. 2739 c.c.).
Per l’ammissibilità del giuramento suppletorio si ritiene generalmente che
sussistano i medesimi limiti già individuati per l’esercizio del potere
istruttorio ex officio, per cui il fatto da provare deve essere stato ritualmente
allegato dalle parti o comunque risultare acquisito al processo, il deferimento
del giuramento non potrà mai supplire l’inattività delle parti, non potrà
sanare carenze istruttorie imputabili alle parti, il mezzo officioso risulta
indispensabile e potenzialmente risolutivo54
.
Il problema è discerne le ipotesi in cui il giudice dovrà disporre d’ufficio
questo così invasivo mezzo di prova e quando rivolgersi alla regola
tranquillizzante di giudizio di cui all’art. 2697 c.c..
52
Balena, Giuramento, voce del Dig.civ., IX, Torino, 1993, 105. Il giudice delle leggi non ha
viceversa rilevato profili di incostituzionalità per violazione del giusto processo, v.Corte cost.,
4/5/1972, n. 83. 53
Cass. sez. I, 15/1/2003 n.525. 54
Comoglio, op.cit., 740; Fabbrini, Potere del giudice, cit., 730 ss., M. Fabiani, in Garanzia di
terzietà e imparzialità del giudice cit, 46.
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Mentre se le prove fornite dalle parti sono adeguate o assolutamente
inadeguate a provare gli assunti posti a fondamento di domande ed eccezioni
non sussistono dubbi in ordine all’esito della lite, il dilemma “si pone quando
questo convincimento è incerto (sembra un ossimoro, ma non lo è perché il
giudice è convinto della parzialità della prova), nel senso che il giudice si
forma l’idea che la parte abbia fornito un frammento di prova, ma questo
frammento non consente di ritenere provato il fatto”55
. In queste ipotesi il
giudice è chiamato a verificare l’opportunità di avvalersi del giuramento
suppletorio, atteso che la regola dell’onere della prova è meramente formale
e dovrebbe trovare applicazione solo dopo aver verificato la possibilità di
raggiungere la verità materiale attraverso gli strumenti che l’ordinamento
consente.
Ecco quindi che l’attenzione va incentrata sulla definizione di semiplena
probatio, posto che il giudice ha il potere/dovere di avvalersi del giuramento
suppletorio ogni volta che l’istruzione esperita consente di ritenere provati in
cospicua parte i fatti allegati ma ancora residuano spazi incerti e sulla base
delle prove raggiunte il giudice non riesce a formarsi un convincimento. E’
nella valutazione della misura della prova raggiunta che si gioca il margine di
discrezionalità del giudice in ordine alla scelta di avvalersi del mezzo
officioso 56
.
Quanto ai poteri del giudice di appello allorché la lite sia stata definita in
primo grado in base al predetto mezzo di prova, escluso che il giudice
d’appello possa revocare l'ordinanza ammissiva del giuramento, essi si
sostanziano nella rivalutazione del materiale probatorio raccolto prima della
delazione del giuramento sicché, qualora egli pervenga al convincimento che
gli elementi acquisiti risultavano di per sè idonei alla decisione della
vertenza, nel senso tanto dell'accoglimento, quanto del rigetto delle domande,
potrà allora legittimamente pronunciare sentenza che prescinda dall'esito del
giuramento 57
.
55
M. Fabiani, in Garanzia di terzietà e imparzialità del giudice cit, 46. 56
“La discrezionalità del giudice non dovrebbe quindi ravvisarsi nel poter scegliere se dare
ingresso al mezzo di prova officioso, ma nel valutare se la prova raccolta consente di ritenere
provato il fatto in misura almeno superiore al 50% .Tale valutazione, però, non può essere omessa
e ciò consente che la si sottoponga a controllo, sia nel corso del processo che nelle fasi di
impugnazione. Sul piano epistemologico è indubbio che la formula aritmetica si presta a
manipolazioni da parte di quel giudice che volesse essere parziale nel dare ingresso a prove
officiose. Ma se si condivide l’idea più generale che quello del giudice è un potere-dovere e che
come tale è insindacabile, ecco allora che la formula quantitativa torna ad essere utile in quanto
consente un più agevole sindacato di controllo da parte del giudice dell’impugnazione”, M.
Fabiani, in Garanzia di terzietà e imparzialità del giudice cit, 47. 57
Cass. sez. III, 11/2/2004, n. 2659.
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Con riguardo alla sindacabilità in Cassazione del provvedimento con cui il
giudice abbia disposto, negato o revocato il giuramento suppletorio, e quindi
le valutazioni in ordine alla sussistenza del requisito della cosiddetta
semiplena probatio ed alla scelta della parte alla quale deferirlo, anche in
questo caso la giurisprudenza è divisa tra un orientamento che afferma
l’assoluta non censurabilità del provvedimento involgendo apprezzamenti di
mero fatto58
, e un altro che viceversa ritiene possibile il sindacato in sede di
legittimità, sotto il profilo della adeguatezza della motivazione 59
.
5. La deduzione delle prove. Le preclusioni.
L’esercizio delle attività istruttorie sino ad ora esaminate deve essere ora
calato nel sistema delle preclusioni previsto nel processo ordinario di
cognizione.
Nel quadro normativo attuale le parti possono indicare prove e produrre
documenti negli atti introduttivi e in tutta la prima fase del procedimento sino
ai provvedimenti del giudice di cui all’art. 183 VII/IX co. c.p.c..
Pur prevedendo gli artt.163 e 167 c.p.c., quale contenuto dell’atto di
citazione e della comparsa di risposta, l’individuazione specifica dei mezzi di
prova di cui le parti intendono avvalersi, nulla sostanzialmente è cambiato
nelle più recenti novelle con riguardo all’indicazione dei mezzi di prova ed in
particolare non è sancita alcuna nullità o decadenza in relazione alla omessa
58
“La valutazione in ordine all'ammissibilità e rilevanza del giuramento suppletorio ed estimatorio
rientra nella discrezionalità del giudice di merito, e la omessa motivazione su tale discrezionale
decisione non può essere invocata in sede di legittimità. (Fattispecie nella quale il richiesto
giuramento non era stato ammesso)”(Cass, sez. lav., 18/8/2004, n. 16157), nello stesso senso Cass.
sez. II, 19/8/2002, n. 12235; Cass. sez. III, 16/5/2001, n. 6742. 59
“La valutazione con cui sia stato disposto o negato il giuramento suppletorio, ovvero si sia
proceduto alla revoca del giuramento suppletorio già disposto, è censurabile in cassazione come
vizio di violazione di norme sul procedimento ai sensi del n. 4 dell'art. 360 c.p.c. sia quando una
motivazione manchi, sia quando il giudice abbia giustificato l'esercizio del suo potere assumendo
che il relativo presupposto non sia quello della semiplena probatio bensì diverso, sia quando la
motivazione sia esplicitata ed il giudice abbia assunto a presupposto della conseguente decisione
rispettivamente l'esistenza o meno di una situazione di semiplena probatio, attribuendo o negando
tale natura alla situazione probatoria esistente nel giudizio in relazione alla fattispecie giudicata
con una valutazione che risulti erronea secondo le categorie della logica generale o di quella
giuridica pertinenti nella specie (Cass. sez. III, 20/6/2008, n. 16800). Nello stesso senso tra tante
Cass. sez. III, 10/3/2006, n. 5240; Cass. sez. lav., 2/4/2004, n. 6570, Cass. sez. I, 15/1/2003 n.525
in F.it, 2003, I, 3107 con nota di E.Fabiani, Brevi note sulla sindacabilità in sede di legittimità del
potere del giudice di deferire il giuramento suppletorio.
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articolazione dei mezzi istruttori negli atti introduttivi60
. Anzi, la sanzione di
decadenza che il secondo comma dell’art. 167 c.p.c. stabilisce per la sola
proposizione di domande riconvenzionali ed eccezioni processuali e di
merito non rilevabili d’ufficio, nonché per la chiamata di terzo (art. 269 II co.
c.p.c.), rafforza l’opinione sopra espressa per cui non sono ravvisabili
preclusioni istruttorie negli atti introduttivi.
D’altro canto le disposizioni citate si differenziano notevolmente dalle
norme che regolano il rito del lavoro in cui le parti devono, a pena di
decadenza, indicare nel primo atto i mezzi di prova di cui intendono avvalersi
(art. 415 n.4, 416 III co. c.p.c.) ed il giudice ha il potere di ammettere oltre ai
mezzi di prova “già proposti dalle parti” solo “quelli che le parti non abbiano
potuto proporre prima” (art. 420 V co. c.p.c.).
Sicuramente le parti potranno esaurire la fase di trattazione e chiedere
l’ammissione delle prove all’udienza di cui all’art. 183 c.p.c. e il giudice
potrà provvedere nell’udienza stessa in ordine alle prove già dedotte, ma
neppure per la prima udienza di trattazione sono imposti oneri tassativi alle
parti per l’indicazione dei mezzi di prova. Il giudice quindi ammette le prove
indicate dai contendenti solo nell’eventualità, peraltro infrequente, che
entrambe le parti abbiano compiutamente formulato le loro istanze.
Nella maggioranza dei casi, in ragione delle necessità della dialettica
processuale, è chiesta dalle parti, ma anche da una sola di esse, la
concessione dei termini per memorie di cui all’art. 183 VI co. c.p.c., per cui è
con lo scadere di questi termini61
che si consuma sul piano logico e
cronologico, prima la possibilità di modificare l’oggetto della controversia e
poi di indicare gli strumenti probatori di cui le parti intendono avvalersi. Il
potere di impulso istruttorio delle parti si esaurisce in questa fase con lo
spirare dei termini perentori previsti e segue quindi la definitiva
individuazione del tema della decisione62
.
60
Comoglio, op.cit., 160 e ss.; Taruffo, Preclusioni (dir.proc.civ.), in Enc. Dir., Aggiornamento, I,
Milano, 1997, 794-810 61
Quando uno dei termini di cui all’art. 183, 6° comma, c.p.c. viene a scadere in un giorno festivo
o di sabato, esso viene di regola considerato prorogato al primo giorno non festivo
immediatamente successivo, con la conseguenza che “è solo da quest’ultimo giorno che inizia a
decorrere il termine per il deposito della memoria successiva”, v. sul punto Trib. Torino
11.12.2006, in Giur. merito, 2007, 6, 1684, con nota di Macagno, L'udienza «ripescata» ed altre
nuove (e meno nuove) questioni in tema di ammissione delle prove e decadenze istruttorie. 62
Come autorevolmente è stato affermato, “le preclusioni, insomma, servono non soltanto a far
presto, ma a far bene: da un lato rendendo razionale la più forte presenza del giudice attraverso la
rapida determinazione del contesto su cui i suoi poteri andranno ad esercitarsi; dall’altro
trasformando un assurdo gioco “a mosca cieca” in un leale confronto dominato dalla legge del
dialogo, con relativa crescita non solo dei poteri direttivi del magistrato ma anche della dignità
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Con il sistema delle preclusioni che è stato introdotto dalla legge
26.11.1990 n. 353 e poi modificato con Dl.14.3.2005 n.35 (convertito con
modificazioni nella L.14.5.2005 n.80) e ancora modificato dalla
L.28.12.2005 n.263 - il legislatore ha cercato di contemperare il diritto di
difesa e le esigenze di efficienza del processo. Non potendo essere negato il
diritto delle parti alla concessione dei termini di cui all’art. 183 VI co. c.p.c.
la possibilità per il giudice di ritenere la causa matura per la decisione senza
bisogno di assunzione di mezzi di prova (prevista dall’art. 187 I co. c.p.c. e
dell’80 bis disp. att. c.p.c.) sembra ora limitata all’ipotesi in cui le parti non
abbiano richiesto l’assegnazione dei termini. Oltre al dato testuale del sesto
comma dell’art. 183 c.p.c. (“Se richiesto, il giudice concede..”), un duplice
ordine di argomenti in tal senso63
si ricava dall’attuale formulazione dell’art.
187 c.p.c.. In primo luogo il I comma legittima l’immediata fissazione di
udienza di precisazione delle conclusioni laddove la causa sia “matura per la
decisione”, e chiarisce che ciò accade quando il Giudice ritenga non vi sia
“bisogno di assunzione di mezzi di prova”, essendo viceversa implicitamente
necessario, perché la causa possa essere matura per la decisione, che le parti
siano state poste nella condizione di effettuare l’emendatio libelli ed abbiano
definitivamente indicato quantomeno il proprio thema decidendum64
. In
secondo luogo il IV comma dell’art. 187 c.p.c., prevede, nel caso di
rimessione della causa in istruttoria, la concessione dei soli termini di cui
all’art. 183, 8° comma, c.p.c. (anziché, come era previsto in precedenza, di
quelli di cui all’art. 184 c.p.c., cui corrispondono gli odierni termini dell’art.
183, 6°comma, n. 2 e n. 3 c.p.c., che pertanto debbono essere già stati
assegnati prima che la causa sia trattenuta in decisione)65
.
Il primo termine che viene assegnato, di trenta giorni, è funzionale al
deposito di memorie “limitate alle sole precisazioni o modificazioni delle
domande, delle eccezioni e delle conclusioni già proposte”.
Il secondo termine, pure di trenta giorni, consente alle parti di “replicare
alle domande ed eccezioni nuove, o modificate dall’altra parte”, nonché di
delle parti e del ministero dei difensori", A.Attardi, Le preclusioni nel giudizio di primo grado, in
Foro it., 1990, V, 385. 63
Sul punto Giacomelli, op.cit., 11 64
Morlini, La riforma e l’udienza ex art. 183 c.p.c., relazione tenuto a Roma il 26/28.2.2007, per
l’Ufficio per gli Incontri di studio del CSM, 4. 65
Vi è tuttavia in dottrina anche chi afferma che non essendo stato abrogato l’art. 80 bis disp. att.
c.p.c. il giudice ben potrebbe rifiutare la concessione dei termini richiesti, ritenendo la causa
matura per la decisione e fissando conseguentemente udienza di precisazione delle conclusioni, v.
Stefani, L’udienza ex art. 183 c.p.c. e l’operatività delle preclusioni nel quadro delle novità
normative e dei più recenti orientamenti della Corte di Cassazione, relazione tenuta a Roma il
13/3/2006 per l’Ufficio Incontri di studio del CSM, 29.
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“proporre le eccezioni che sono conseguenza delle domande e delle eccezioni
medesime” e in particolar modo è il momento entro il quale si impone
“l’indicazione dei mezzi di prova e produzioni documentali”.
Il terzo termine, di venti giorni, è previsto per “le sole indicazioni di prova
contraria”.
L’espressione “prova contraria” va intesa non tanto in senso astratto,
quanto piuttosto dinamico, tenendo conto della stretta correlazione tra le
richieste istruttorie avanzate di questa fase con quelle delle parti proposte
nella seconda memoria ex art. 183 c.p.c.
E’ prova contraria sia quella diretta ad inficiare il fatto costitutivo
dell’avversa domanda purché oggetto di qualche istanza probatoria (c.d.
prova contraria diretta), che quella volta a dimostrare fatti incompatibili con
l’esistenza del fatto principale oggetto dell’altrui richiesta istruttoria (c.d.
prova contraria indiretta)66
. Posto che con la seconda memoria di cui all’art.
183 VI co. c.p.c. è possibile che le parti effettuino nuove allegazioni o
precisino le domande ed eccezioni già svolte nell’espressione “indicazioni di
prova contraria” devono ritenersi compresi anche i nuovi mezzi di prova che
si rendessero necessari in conseguenza delle nuove contestazioni ritualmente
formulate67
.
Si osservi anche che la contrarietà della prova rispetto a quella “diretta”
dell’avversario non richiede che i due mezzi istruttori siano omogenei,
essendo sempre possibile contrastare una prova attorea testimoniale con la
produzione di un documento tendente a dimostrare il contrario od un fatto
incompatibile con quello oggetto della prova diretta avversaria68
.
Quanto all’oggetto possibile della prova contraria, si discute se nel terzo
termine concesso sia possibile fornire la prova contraria relativamente a tutte
66
Farolfi, I poteri istruttori del giudice. L’ammissione e l’assunzione della prova, relazione tenuta
a Roma il per l’Ufficio per gli Incontri di studio del CSM, p.7/8. 67
Così Reali, L’istruzione probatoria nel processo ordinario e in quello del lavoro, relazione
tenuta a Roma il 24.11.2009 per l’Ufficio incontri di studio del CSM, 7. 68
v. Cass. 9/2/2005 n. 2656, in Foro it., 2005, 1730, ove si riconosce che le prove contrarie
ricomprendono, oltre alle prove orali, anche quelle documentali, allorché siano rivolte a
contrastare le prove dell’altra parte. Una volta scaduto il termine, la produzione documentale può
ritenersi ammissibile solo se il documento si sia formato successivamente allo scadere dei termini,
ovvero se la parte decaduta sia stata rimessa in termini.
Si noti che l’art. 345, 3° comma, c.p.c. come riformulato dalla L. 18.6.2009 n. 69 nel prevedere il
divieto di nuove prove in appello fa riferimento anche la produzione dei documenti, salvo che il
collegio non li ritenga indispensabili ai fini della decisione ovvero che la parte dimostri di non
aver potuto produrli nel giudizio di primo grado per causa ad essa non imputabile; la nuova
disposizione fa proprio l’indirizzo già tracciato da Cass. sez. un. 20/4/2005 n. 8202 e n.8203, con
riferimento al rito del lavoro ed al rito ordinario.
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le prove formulate da controparte (ad esempio anche negli atti introduttivi) o
solo rispetto a quelle proposte entro il secondo termine di cui all’art. 183 VI
co. c.p.c.. In assenza di specificazioni normative, il primo orientamento69
,
che consente di articolare prova contraria relativamente a qualunque prova ex
adverso dedotta ed in ogni momento indicata, appare più convincente.
Pretendere che in ipotesi di istanze istruttorie enunciate negli atti introduttivi
la prova contraria sia articolata nel termine previsto per la prova diretta (il
secondo termine di cui all’art. 183 VI co. c.p.c.) sarebbe irrazionale, ben
potendo, nella prima memoria istruttoria, la controparte potrebbe
abbandonare o comunque riformulare le istanze in precedenza rassegnate, e
quindi rendere inutile la formulazione di prova contraria rispetto a tali prove.
Certo è che le parti come possono sempre rinunciare a tutti i termini
previsti se concordino tra loro circa la non necessità dei medesimi70
, così
possono rinunciare a solo l’uno o l’altro dei termini possibili ad esempio, ben
potendo limitarsi a domandare la concessione dei soli termini per modificare
e precisare le proprie domande, eccezioni e conclusioni nonché per repliche,
senza invece richiedere anche i termini istruttori (ad esempio nelle
controversie aventi natura documentale per le quali le produzioni possibili
risultano già effettuate e nelle controversie implicanti la soluzione di
questioni di mero diritto) o viceversa insistere esclusivamente per i termini
istruttori stabilendo tra loro di definire il thema decidendum nell’udienza ex
art. 183 c.p.c.
Riassumendo in ordine ai mezzi di prova, all’esito dell’udienza ex art. 183
c.p.c., possono verificarsi le seguenti ipotesi:
a) le parti non formulano istanza di concessione dei termini, perché
ritengono la causa matura per la decisione di merito senza bisogno di mezzi
di prova oppure per la risoluzione di una questione avente carattere
pregiudiziale o preliminare potenzialmente idonea a definire l’intero
giudizio, per cui il giudice fissa l’udienza di precisazione delle conclusioni71
;
b) le parti chiedono l’ammissione dei mezzi di prova già indicati
(negli atti introduttivi o in prima udienza) e il giudice si pronuncia sulle
prove già dedotte e se ritiene di ammetterle fissa l’udienza prevista dall’art.
184 c.p.c. per l’assunzione delle prove72
;
69
Cass. sez. III 9/2/2005 n. 2656. Contra Trib. Pistoia 25/10/1997, in Foro It., 1997, I, 3684. 70
Cassazione civile, sez. III, 22/10/2004, n. 20592 71
In tal caso si intendono implicitamente rinunciate le istanze istruttorie formulate negli atti
introduttivi e altrettanto implicita l’adesione del giudice ex art. 245 II co. c.p.c.:v. Cass. sez. III,
6/9/2007, n. 18688; Cass. sez. II, 19/8/2002, n. 12241. 72
“Nel regime processuale di cui alla l. 26 novembre 1990 n. 353, mentre le preclusioni relative
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c) le parti chiedono i termini per alcune o tutte le memorie di cui
all’art. 183 VI co. c.p.c., il giudice non può negare la concessione dei termini
richiesti73
, anche se ritiene la causa matura per la decisione, per cui
comunque il giudice si riserva di decidere se ammettere o meno le prove
dedotte all’esito del deposito delle memorie (con ordinanza fuori udienza
emessa nei trenta giorni successivi la scadenza dell’ultimo termine), ovvero
fissa una nuova udienza in cui provvedere all’eventuale ammissione delle
prove74
;
d) il giudice dispone d’ufficio i mezzi di prova che la legge gli
alla facoltà delle parti di individuazione del thema decidendum sono collegate agli introduttivi
della causa ed all'udienza di trattazione di cui all'art. 183 c.p.c., quelle attinenti al thema
probandum si riferiscono alla fase processuale immediatamente successiva. L'ammissione delle
prove, pertanto, costituisce il provvedimento proprio dell'udienza regolata dall'art. 184 c.p.c. nel
testo anteriore a quello modificato dalle l. 14 maggio 2005 n. 80 e 28 dicembre 2005 n. 263,
sicché solo ove le parti concordino sulla necessità di ammettere le prove già richieste da entrambe
e non ritengano di doverne chiedere altre, il giudice può provvedere sull'ammissione delle prove
medesime nella prima udienza di trattazione”, Cass. sez. II, 12/6/2009, n. 13733. 73
In ordine alla mancata concessione dei termini, che comportando una violazione del diritto di
difesa, configura un vizio che rende nulla la sentenza, ha osservato la Suprema Corte che “La
nullità della sentenza di primo grado, derivante dalla violazione delle regole processuali destinate
alla definitiva determinazione del "thema decidendum" e del "thema probandum", non può essere
rilevata d'ufficio dal giudice d'appello, dovendo essere dedotta dalle parti con specifico motivo di
gravame; peraltro, l'appellante, ove faccia valere la suddetta violazione, non deve limitarsi ad una
generica richiesta di rimessione in termini, ma ha l'onere di indicare, attraverso specifiche censure,
le attività assertive e istruttorie pregiudicate dal vizio del procedimento” (Cass. sez. I, 9/4/2008, n.
9169 in F.it., 2009, I, 1187 con nota di Adorno; in senso analogo v.Cass. sez. I, 2/4/2008, n.
8493). 74
Questa ipotesi, quand’anche non espressamente prevista dal dettato normativo non può ritenersi
vietata, tanto più che con la definitiva versione dell’art. 183 VII co. c.p.c. operata dalla L. n.
263/2005 è abrogata la previsione della necessaria assunzione di riserva, limitandosi a stabilire che
la decisione tramite ordinanza riservata è solo una delle opzioni possibili (“se provvede mediante
ordinanza pronunciata fuori udienza”). Di fatto la fissazione dell’udienza è prevista in molti
Tribunali (compreso il Tribunale di Mantova in cui svolgo le mie funzioni) in quanto consente: 1)
un contraddittorio orale finale in ordine alle prove già articolate, che riduce la possibilità di errori
ed omissioni, 2) di acquisire il consenso sull’eventuale assunzione della testimonianza scritta (art.
257 bis c.p.c.), 3) di verificare che la causa non sia stata già definita transattivamente tra le parti,
4) di sentire le parti con riguardo al calendario del processo (art. 81 bis disp.att. c.p.c.) in un
momento in cui già è palese la tipologia di istruzione probatoria che è proposta dalle parti (in
merito a questa prassi v. anche Morlini, La riforma e l’udienza ex art. 183 c.p.c., relazione per
l’Ufficio per gli Incontri di studio del CSM, per un corso tenuto a Roma il 26/28.2.2007, 4; Reali,
L’istruzione probatoria nel processo ordinario e in quello del lavoro, relazione tenuta a Roma il
24.11.2009 ad un corso organizzato dal CSM, 10. Cfr. Trib. Torino 19.12.2008, Giur. merito,
2009, 9, 2159; Trib. Torino 24.10.2006, Giur. merito, 2007, 6, 1682, con nota di Macagno,
L'udienza «ripescata» ed altre nuove (e meno nuove) questioni in tema di ammissione delle prove
e decadenze istruttorie.
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consente e quindi assegna alle parti un doppio termine perentorio affinché
queste deducano entro il primo termine “i mezzi di prova che si rendono
necessari” in relazione ai mezzi di prova ammessi d’ufficio ed un secondo
termine per memoria di replica, e all’esito provvede per l’eventuale
ammissione di tali ulteriori prove indicate.
L’ultimo comma dell’art. 183 c.p.c. stabilisce che l’ordinanza di
ammissione delle prove, se pronunciata fuori udienza, è comunicata dal
cancelliere alle parti, entro tre giorni dal deposito, oltre che nelle forme
prescritte dall’art. 136 c.p.c. anche a mezzo telefax o posta elettronica, nel
rispetto della normativa, anche regolamentare, concernente la sottoscrizione
e la trasmissione dei documenti informatici e teletrasmessi.
Il regime delle preclusioni, in sintesi, può essere così delineato:
il convenuto può proporre le eccezioni in senso stretto non rilevabili
d’ufficio, nonché le eccezioni di incompetenza (art. 38 I co. c.p.c.), le
domande riconvenzionali o provvedere alla chiamata in causa di terzo
unicamente nella comparsa di costituzione e risposta depositata
tempestivamente, entro il termine fissato dall’art. 166 c.p.c.;
l’attore solo all’udienza ex art. 183 c.p.c. può proporre domande o
eccezioni nuove che siano conseguenza domande riconvenzionali o delle
eccezioni proposte dal convenuto nella comparsa di costituzione e risposta e
può chiedere di essere autorizzato alla chiamata in causa di terzo, se
l’esigenza è sorta dalle difese del convenuto;
entrambe le parti possono precisare o modificare le domande, le
eccezioni e le conclusioni già proposte entro l’udienza ex art. 183 c.p.c. o
entro il primo termine di cui all’art. 183 VI co. c.p.c., se richiesto;
le parti possono replicare alle domande ed eccezioni nuove nonché
proporre nuove eccezioni che siano la conseguenza delle domande ed
eccezioni medesime entro il secondo termine di cui all’art. 183 VI co. c.p.c.,
se richiesto, e entro lo stesso termine possono indicare i mezzi di prova
(anche precedentemente mai proposti) e produrre documenti, nonché
effettuare nuove allegazioni di fatti che entreranno nel thema probandum;
entro il terzo termine perentorio dell’art. 183 VI co. c.p.c. le parti
possono articolare l’eventuale prova contraria.
Decorsi i termini indicati alle parti è pregiudicata qualsiasi modificazione
del thema decidendum e del thema probandum, salvo eventuali remissioni in
termini ove consentite o interventi del giudice che disponga d’ufficio di
mezzi istruttori.
Va notato che il sistema delle preclusioni è espressamente applicabile
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anche ai documenti, come si evince dal chiaro tenore letterale dell’art. 183
c.p.c., non trovando giustificazione né appiglio normativo un trattamento
differenziato e, pertanto, salvo ipotesi di rimessione in termini, la produzione
dei documenti deve avvenire entro lo spirare del secondo termine di cui
all’art. 183 c.p.c. ovvero qualora si tratti di documenti che si intende produrre
a prova contraria entro la terza memoria di cui all’art. 18375
.
Entro lo stesso termine previsto per le deduzioni istruttorie le parti hanno
l’onere, qualora richiedano l’espletamento di una prova testimoniale, non
solo di formulare i capitoli di prova ma anche di indicare il nominativo dei
testi da assumere (art. 244 c.p.c.). In questo senso è la giurisprudenza più
recente76
, quand’anche un orientamento contrario si sia autorevolmente
affermato nel rito del lavoro77
, ove opera tuttavia l’art. 421 c.p.c. e
l’indicazione dei testi può avvenire nel termine indicato dal giudice per
sanare l’irregolarità, termine peraltro perentorio che se violato comporta la
decadenza dal diritto di assumere la prova.
Il sistema delle preclusioni, che trova fondamento nell’esigenza di
contenere la durata del processo e trova garanzia costituzionale nel principio
del giusto processo, postula altresì la rilevabilità d’ufficio dell’intervenuta
preclusione78
, nonché l’inammissibilità della rinuncia implicita od esplicita a
75
V. Cass. sez. I, 19/3/2004, n. 5539; Cass. sez. I, 26/11/2008, n. 28219; C. Cost.28/7/2000 n.
401/2000, che ha dichiarato manifestamente infondata l'eccezione di legittimità costituzionale
dell'art. 184 c.p.c., all’epoca vigente, laddove considerava inammissibile la produzione di
documenti dopo la concessione dei termini istruttori. In senso contrario, si riscontra l’orientamento
minoritario che consente le produzioni documentali anche dopo lo spirare del termine per le
deduzioni istruttorie, v. Trib. Roma 14/7/1997, in Giust. Civ., 1998, I, 2957. 76
Cass. sez. III, 31/5/2010, n. 13250; Cass. sez. III, 7/12/2005, n. 27007; Cass. sez. III, 16/6/2005,
n. 12959. 77
Cass., sez. un., 13/1/1997, n. 262. 78
“Con riferimento al sistema di preclusioni introdotto dalla l. n. 353 del 1990, la garanzia della
ragionevole durata del processo, espressamente sancita dall'art. 111, comma 2, cost., deve fungere
da parametro di costituzionalità delle norme processuali, per essere oggetto oltre che di un
interesse collettivo, di un diritto di tutte le parti, costituzionalmente tutelato, non meno di quello di
un giudizio equo e imparziale. L'opera ermeneutica, pertanto, deve essere sorretta dalla
consapevolezza che i termini acceleratori e le preclusioni volte a impedire l'ingresso nel processo
di un fatto e/o di una prova, sono funzionalizzati proprio a tutelare il suddetto principio della
ragionevole durata e a quello a esso correlato della economicità del giudizio. Il regime delle
preclusioni di cui alla ricordata normativa, pertanto; ha inteso raggiungere un punto di equilibrio
tra le esigenze di efficienza del processo e il diritto di difesa delle parti, onde evitare una modifica
o un’ampliamento del "thema decidendum" dopo la udienza di cui all'art. 183 c.p.c. In particolare
nel sistema introdotto dalla l. n. 353 del 1990 anche per le allegazioni di parte il "thema
decidendum" non è più modificabile dopo la chiusura della prima udienza di trattazione o la
scadenza del termine concesso dal giudice ai sensi dell'art. 183, comma 5, c.p.c. Dopo dette
scadenze, infatti, possono formularsi solo istanze istruttorie per provare i fatti allegati e la tardività
di domande, eccezioni, allegazioni e richieste deve essere rilevata d'ufficio indipendentemente
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far valere l’avversa decadenza79
.
Si noti che a parziale contemperamento del regime delle preclusioni opera
la previsione dell’istituto della rimessione in termini, ora disciplinato in via
generale dall’art. 153 II co. c.p.c. Perché le preclusioni possano essere
superate è necessario che vi sia istanza di parte (non essendo mai concedibile
d’ufficio) e che venga dimostrata la non imputabilità alla parte della
decadenza in cui la stessa è incorsa, richiamando l’espressione utilizzata i
principi in tema di “caso fortuito” e “forza maggiore” di derivazione
contrattuale80
. Gli aspetti procedimentali della rimessione in termini sono
regolati dalla previsione dell’art. 294 II e III co. c.p.c., anche se si osserva in
dottrina che la regolamentazione dell’istituto è lacunosa mancando in
particolare la fissazione di un termine ultimo per la presentazione
dell’istanza, essenziale per impedire il protrarsi all’infinito di situazioni di
incertezza81
.
La non imputabilità ricorre, ad esempio, nella produzione di documenti di
formazione successiva allo spirare delle preclusioni istruttorie (pur se, deve
aggiungersi, ove si tratti di atti da formarsi ad istanza di parte occorre,
quantomeno, che l’istanza fosse stata proposta prima dei citati termini82
).
La decisione sull’istanza di rimessione in termini non è reclamabile, non
avendo natura cautelare83
(cfr. Trib. Roma 11 giugno 2003), pur se deve
ritenersi consentita la sua denunzia e conversione in motivo di gravame al
giudice superiore.
Va da ultimo osservato che le preclusioni stabilite dall’art. 183 c.p.c. non
dall'atteggiamento processuale della controparte al riguardo (Cass. sez. II, 20/3/2007, n. 6639);
nello stesso senso Cass. sez. III, 18/3/2008, n. 7270; Cass. sez. I, 13/12/2006, n. 26691. 79
E’ incoerente ipotizzare la derogabilità del regime delle preclusioni sull’accordo delle parti,
trattandosi di termini perentori e ostandovi quindi il disposto dell’articolo 153 c.p.c.. 80
L’impedimento non imputabile viene pressoché costantemente negato dalla giurisprudenza
nell’ipotesi che riguardi il difensore: “L'art. 9, comma 3, l. 22 gennaio 1934 n. 36, prevedendo la
possibilità per il procuratore costituito di farsi rappresentare per il compimento di singoli atti da un
altro procuratore, con incarico dato per iscritto negli atti di causa o anche con dichiarazione
separata, senza ulteriori formalità, esclude che lo stato di malattia del difensore possa
rappresentare causa di impedimento non imputabile, tale da giustificare la rimessione in termini
della parte, ai sensi dell'art. 184 bis c.p.c., in ordine alla decadenza dalla prova testimoniale
verificatasi per mancata comparizione del procuratore in udienza” (Cassazione civile, sez. III,
12/07/2005, n. 14586) 81
Briguglio, Le novità sul processo ordinario di cognizione nell’ultima, ennesima riforma in
materia di giustizia civile, in Giust.civ., 2009, II, 259; Caponi, Rimessione in termini:estensione ai
poteri di impugnazione, in F.it.,2009, V, 283. 82
Farolfi, op.cit., 11. 83
Tribunale Roma, 11/06/2003 in Giur. Romana, 2003, 422.
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operano per tutti i mezzi di prova esperibili, non estendendosi al giuramento
decisorio (art. 233 c.p.c.), che può essere deferito “in qualunque stato della
causa”, e al disconoscimento della scrittura privata, quando il documento sia
stato prodotto, come prova contraria, con la terza memoria di cui all’art. 183
VI co. c.p.c., atteso che il disconoscimento, ai sensi dell’art. 215, n. 2, c.p.c.
deve avvenire “nella prima udienza o nella prima risposta successiva alla
produzione”, e quindi eventualmente potrà avvenire appena oltre l’ultimo
termine concesso.
Ma con riguardo ai poteri officiosi del giudice trova applicazione il regime
delle preclusioni?
La norma di riferimento è sempre l’art. 183 c.p.c., al comma VIII, che
tuttavia non è particolarmente chiara, limitandosi stabilire che il giudice
provvede all’eventuale ammissione di mezzi di prova d’ufficio con la
medesima ordinanza ammissiva delle istanze istruttorie formulate dalle parti
e quindi di regola, dopo la deduzione delle prove delle parti. Ciò che non si
comprende è se il giudice sempre deve provvedere ad esercitare i poteri
inquisitori che gli competono con la stessa ordinanza con cui ammette le
prove dedotte dalle parti ovvero se in alternativa a questo modo di procedere
può comunque, se necessario, provvedere in ogni tempo all’attività istruttoria
ex officio che gli è consentita.
Con particolare riguardo al potere di disporre d’ufficio la testimonianza, a
mente dell’art. 281 ter c.p.c., sul tema si affrontano due orientamenti.
Il primo, avvallato da una pronuncia di inammissibilità della Corte
Costituzionale (C.Cost.14.3.2003 n.69)84
, evidenzia la mancata
riproposizione nel processo di cognizione ordinaria dell’inciso “in qualsiasi
momento” contenuto nell’art. 421 c.p.c. e ritiene che l’esercizio dei poteri
previsti dall’art. 281 ter c.p.c. sia assoggettato alle scadenze dettate dall’art.
183, VI co. c.p.c. per le preclusioni istruttorie e quindi il giudice dovrebbe
rispettare gli stessi termini previsti per le deduzioni istruttorie delle parti, in
quanto il potere di disporre la testimonianza d'ufficio non sarebbe un potere
istruttorio principale ma solo complementare, posto che diversamente si
creerebbe un vulnus al principio della parità delle armi delle parti in causa.
Tale soluzione troverebbe conferma nel dettato letterale dell’art. 183, VIII
co. c.p.c. che appunto prevede che il giudice deliberi l’assunzione delle prove
officiose con l'ordinanza del VII co. c.p.c. congiuntamente all’ammissione 84
In Foro it., 2003, I, 1631; Trib.Foggia 4/11/1999, in F.it., 2000,I, 2093; Trib.Udine,
sez.Palmanova, 14/7/2003, in F.it., 2003, I, 3463; Trib.Bari, 27/1/2004, in F.it., I, 935; Tarzia,
L’istituzione del giudice unico di primo grado e il processo civile, in Riv.dir.proc., 1999, 633;
Grasso, L’istituzione del giudice unico di primo grado. Prime osservazioni sulle disposizioni
relative al processo civile, in Riv.dir.proc., 1998, 651.
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delle prove dedotte dalle parti, dopo la scadenza del termine a queste
assegnato per deduzioni istruttorie.
Il secondo orientamento85
, maggiormente condivisibile, partendo dalla
considerazione che la previsione dell’art. 281 ter c.p.c. è strumento con la
finalità pubblicistica di consentire quanto possibile la ricerca della verità
effettiva, e sovente l'esigenza di ammettere la prova testimoniale d'ufficio
può sorgere anche (e soprattutto) in un momento successivo all’ordinanza di
cui all’art. 183 VII co c.p.c., quando ormai è esaurita l’attività istruttoria,
consente l’esercizio del potere officioso sino all’udienza di precisazione delle
conclusioni, non potendo i poteri inquisitori del giudice subire l’incidenza
restrittiva di preclusioni o decadenze se la legge non lo preveda
espressamente.
In entrambi i casi comunque, nel rispetto del contraddittorio, il giudice
deve concedere d’ufficio alle parti un primo termine perentorio finalizzato a
consentire la proposizione di ulteriori prove “che si rendono necessarie” in
relazione alla prova disposta d’ufficio, ed un secondo termine, pure
perentorio, per depositare eventuali memoria di replica, riservandosi di
provvedere ai sensi del 7° comma dell’art. 183 c.p.c., e quindi con ordinanza
prima dell’assunzione – possibilmente contestuale - di tutte le prove
ammesse.
E’ stato sottolineato come il giudice debba valutare con particolare rigore
il requisito della “necessità” delle nuove prove, previsto dalla norma in
esame, al fine di evitare che lo svolgimento delle ulteriori attività istruttorie
si traduca in un’elusione, ad opera delle parti, delle preclusioni istruttorie86
.
Se contrariamente al disposto normativo il termine per la deduzione di
mezzi dei prova necessari in relazione a quelli disposti d’ufficio non viene
concesso la tesi che pare preferibile è quella che prevede che la nullità della 85
Trib. Nocera Inferiore, 2/7/2003, in F.it., 2003, I, 3463; Trib.Napoli, 30/9/2002, in F.it., 2003, I,
3464; Cassazione civile, sez. II, 11/1/1982, n. 121; Trib. Reggio Emilia 13/1/2003, in Foro It.,
2003, I, 3463; Cea, L’art. 281 ter c.p.c. e il “non liquet” della Corte Costituzionale, 1633-1634;
Cavallone, Un tardo prodotto dell’ “art déco” (il nuovo art. 281 ter c.p.c., in Riv.dir.proc, 2000,
99; E.Fabiani, Sul potere del giudice cit., 2102; Reali, Sulla prova testimoniale cit., 935 in nota
critica a Trib.Bari, 27/1/2004; Balena, La riforma (della riforma) del processo civile. Nota prima
lettura sulla L. 28/12/2005 n. 263, in Foro it., 2006, I, 65. 86
E’ stato anche osservato (Farolfi, I poteri istruttori del giudice. L’ammissione e l’assunzione
della prova, relazione tenuta a Roma il 10/5/2005 per l’Ufficio incontri di studio del CSM, 18) che
“argomentandosi dall’espressione “mezzi di prova che si rendono necessari in relazione a” quelli
disposti dal giudice, che alla parte sia accordata in effetti la sola possibilità di dedurre una “prova
contraria” vertente sugli stessi fatti oggetto della prova d’ufficio, tendente a farne emergere
l’insussistenza (c.d. prova contraria diretta), sia la prova di fatti diversi, dai quali possa dedursi
l’insussistenza o la diversa configurazione dei fatti oggetto della prova d’ufficio (c.d. prova
contraria indiretta)”.
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prova per violazione di legge, con eccezione da formularsi, a pena di
decadenza, nella prima istanza o difesa successiva, rimanendo in caso
contrario la nullità sanata ex art. 157 c.p.c.87
6.Il giudizio di ammissibilità e rilevanza delle prove.
Ai sensi dell’art. 183 VII co. c.p.c. il giudice provvede all’assunzione dei
mezzi di prova che ritiene ammissibili e rilevanti.
Il giudizio di ammissibilità e rilevanza delle prove, che costituisce il limite
del diritto alla prova, riguarda le prove costituende, quelle cioè di tipo orale o
sperimentale da assumersi nel corso del giudizio, mentre le prove
precostituite, che essenzialmente si identificano nelle prove documentali,
sono semplicemente prodotte dalle parti, o acquisite per mezzo di ordine di
esibizione, e possono essere al più soggette a verificazione del corso del
processo.
Per le prove precostituite la rilevanza e l’ammissibilità (compresa la
valutazione di tempestività) sono valutate in concreto al momento della
decisione, senza che il giudice possa vietare ex ante la produzione o
espungere i documenti dal fascicolo di causa dopo che sono stati ritualmente
acquisiti ex art. 74 e 87 disp.att.c.p.c., pure quando saranno di fatto
inutilizzabili per la decisione.
E’ proprio il sistema previsto dall’art. 87 disp.att. c.p.c. che esclude un
giudizio di ammissibilità delle produzioni che le parti intendono effettuare, se
si considera che la previsione per cui i documenti di parte prodotti vengono
direttamente inseriti nel fascicolo di parte con la sottoscrizione dell’elenco da
parte del cancelliere mentre per i documenti prodotti in udienza essi devono
essere menzionati a verbale, senza che operi alcuna discrezionalità in merito
del giudicante.
Certo è che, in virtù del principio dispositivo delle prove, ciascuna delle
parti potrà liberamente ritirare il proprio fascicolo e ometterne la restituzione,
ed in tal caso, tuttavia, il giudice dovrà comunque decidere nel merito della
causa, sulla base delle risultanze istruttorie ritualmente acquisite e degli atti
riscontrabili nel fascicolo dell'altra parte ed in quello di ufficio88
.
In ogni caso il giudice nella formazione del proprio convincimento non
potrà tener conto di qualsivoglia documento prodotto dalle parti ma
87
Trib. Bari 9/10/2003, in Foro it., 2005, I, 935. 88
Cass. sez. III, 26/4/2010, n. 9917.
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esclusivamente di quelli che la parte che li abbia prodotti o che se ne voglia
avvalere abbia specificatamente e ritualmente richiamati, posto che se così
non fosse risulterebbe violato il principio del contraddittorio
nell’impossibilità di chi subisce la produzione avversaria di una quantità
enorme di documenti di difendersi se negli atti non è menzionata la rilevanza
della produzione effettuata89
.
Con riguardo alle prove costituende (le principali sono l’interrogatorio
formale, la testimonianza, il giuramento, l’ispezione, l’esibizione) viceversa
il giudice deve valutare l’ammissibilità e la rilevanza del mezzo istruttorio
richiesto.
Il giudizio di ammissibilità è di carattere giuridico e riguarda la c.d.
“legalità” della prova90
e quindi la verifica circa la sussistenza di divieti
legali all’assunzione del mezzo istruttorio prescelto (es. artt.1417, 1967,
2721-2725, 2731, 2737, 2739 c.c.)91
, l’accertamento che l’istanza probatoria
sia stata formulata secondo la prescrizione processualcivilistica (es.rispetto
dell’obbligo previsto dagli art. 230 e 244 c.p.c. di deferire l’interrogatorio
formale e di dedurre la prova testimoniale su capitoli specifici e separati; o
dell’obbligo di non indicare come testimoni persone portatrici di interesse
che potrebbe legittimarne la partecipazione in giudizio ex art. 246 c.p.c.), e
che sia stata tempestivamente dedotta, non oltre il termine previsto per le
89
Osservano le Sezioni Unite della Suprema Corte sul punto che “Il giudice ha il potere-dovere di
esaminare i documenti prodotti dalla parte solo nel caso in cui la parte interessata ne faccia
specifica istanza esponendo nei propri scritti difensivi gli scopi della relativa esibizione con
riguardo alle sue pretese, derivandone altrimenti per la controparte l'impossibilità di controdedurre
e per lo stesso giudice impedita la valutazione delle risultanze probatorie e dei documenti ai fini
della decisione. Infatti, poiché nel vigente ordinamento processuale, caratterizzato dall'iniziativa
della parte e dall'obbligo del giudice di rendere la propria pronuncia nei limiti delle domande delle
parti, al giudice è inibito trarre dai documenti comunque esistenti in atti determinate deduzioni o
indicazioni, necessarie ai fini della decisione, ove queste non siano specificate nella domanda, o -
comunque - sollecitate dalla parte interessata (Cass. sez. un., 1/2/2008 n. 2435). 90
Comoglio, op.cit., 183. 91
Solo a titolo esemplificativo: circa l’ammissibilità della prova testimoniale della simulazione di
una vendita compiuta dal de cuius richiesta dall'erede legittimario, posto che egli assume la qualità
di terzo rispetto ai contraenti, v. Cass. sez. II, 13/11/2009, n. 24134; circa l’ammissibilità della
prova testimoniale in tema di transazione (art. 1967 c.c.) quando il negozio è invocato non come
fonte di diritti e di obblighi dei quali si chieda l'adempimento, ma come mero fatto storico
influente sulla decisione della controversia, v. Cass. sez. lav., 06/11/2002, n. 15591; circa i limiti
legali di ammissibilità della prova orale (art. 2722-2725c.c.), e quindi, delle presunzioni, che non
operano quando la prova sia diretta non già a contestare il contenuto del documento, ma a
renderne esplicito il significato o a chiarire la effettiva volontà dei contraenti, v. Cass. sez. I,
9/4/2008, n. 9243; circa il divieto di deferire o riferire il giuramento decisorio sui contratti per la
validità dei quali è richiesta la forma scritta ad substantiam (art. 2739, comma 1, c.c.) che non
sussiste nell'ipotesi in cui un atto scritto vi sia, ed attraverso il giuramento si tenda a dimostrare
non la sua esistenza ma soltanto il suo carattere simulato (Cass. sez. III, 18/2/2010, n. 3899).
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istanze istruttorie.
Con riguardo all’inammissibilità generalmente riconosciuta – a mente
degli art. 244 e 253 c.p.c. - per il capitolo di prova testimoniale contenente
valutazioni, dovendo avere la prova testimoniale per oggetto esclusivamente
la narrazione di fatti resa da un soggetto terzo, estraneo alla lite, ha osservato
la Cassazione92
che “il principio secondo cui la prova testimoniale deve avere
ad oggetto non apprezzamenti o giudizi, ma fatti obiettivi, deve essere inteso
nel senso che il testimone non deve dare un’interpretazione del tutto
soggettiva o indiretta delle circostanze di fatto ed esprimere apprezzamenti
tecnici o giuridici su di esso, ma ciò non comporta, peraltro, che egli non
possa riferire anche il convincimento sul fatto e le sue modalità derivatogli
dalla sua stessa percezione ed esprimere gli apprezzamenti che non sia
possibile scindere dalla deposizione dei fatti”. Se quindi sicuramente sono
sempre da ritenersi inammissibili i capitoli di prova che importano
interpretazioni soggettive dei fatti, possono ritenersi consentiti quegli
apprezzamenti che esprimono percezioni sensoriali che risultano inscindibili
dalla descrizione dei fatti.
A parte le espresse previsioni legislative che escludono l’ammissibilità di
determinati mezzi istruttori tipici, il giudizio di ammissibilità assume
significatività in particolar modo con riguardo alle cd. prove atipiche, non
disciplinate dal legislatore. La giurisprudenza dominante, ancorandosi al
principio del libero convincimento del giudice, generalmente ammette la
possibilità che la decisione sia fondata prove non espressamente previste dal
codice di rito, purché la motivazione dia conto dell’utilizzazione di dette
prove, rimanendo, in ogni caso, escluso che le prove atipiche possano
consentire di aggirare preclusioni o divieti dettati da disposizioni sostanziali
o processuali, permettendo di introdurre surrettiziamente elementi di prova
che non sarebbero altrimenti ammessi o la cui ammissione avrebbe richiesto
il necessario ricorso ad adeguate garanzie formali93
. Le tipologie più
frequenti di prove atipiche sono le dichiarazioni di scienza contenute in scritti
provenienti da terzi94
, le perizie stragiudiziali, le indagini genetiche ed
ematologiche95
, i verbali di prove costituende o le consulenze tecniche
92
Cass. sez. lav., 2/1/2001, n. 5; nello stesso senso Cass. sez. III, 22/04/2009, n. 9526 in Resp. civ.
e prev. 2010, 03, 0559 B, con nota di Ferraris, Note sull’ammissibilità di “apprezzamenti
personali” all’interno di una dichiarazione personale. 93
Cass. sez. II, 5/3/2010, n. 5440; Cass. sez. II, 25/3/2004, n. 5965; Cass. sez. II, 11/10/2001, n.
12411. 94
Cass. sez. III, 30/11/2005, n. 26090; Cass. 3/2/2002 n. 11652; Cass. 14/10/2005 n. 19354. 95
La giurisprudenza non solo attribuisce da tempo valore probatorio a queste tipologie di indagini
ma riconosce valore probatorio anche al rifiuto ingiustificato della parte a sottoporsi a tali esami,
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formati in altri procedimenti, magari tra parti diverse96
.
Generalmente si esclude che tra le prove innominate possano essere
qualificate ammissibili le prove illecite, intendendosi con questa espressione
sia le prove acquisite in violazione delle procedure previste dalla legge, sia
ottenute con sistemi antigiuridici (produzione di un documento rubato,
confessione estorta con violenza o minaccia)97
Il giudizio di rilevanza è viceversa di ordine logico, dovendo il giudice
valutare a priori se la prova proposta può consentire la ricostruzione dei fatti
come allegati a fondamento delle pretese esposte e possa fornire al giudice
gli elementi necessari per formare il proprio convincimento98
. Il giudice deve
quindi verificare la sussistenza di un nesso logico tra i fatti che si è chiesto di
provare e l’eventuale riconoscimento della fondatezza delle domande e/o
delle eccezioni svolte.
E’ fondamentale per questa valutazione che il giudice conosca la
distribuzione dell’onere probatorio con riguardo alle singole fattispecie e che
gli sia chiaro chi - deve - provare - che cosa99
in maniera tale che possa di tal
v. Cass. sez. I, 16/4/2008, n. 10051; Cass. sez. I, 22/8/2006, n. 18224; Cass. sez. I, 7/6/2006, n.
13276. 96
Il giudice civile, ai fini del proprio convincimento, può autonomamente valutare, nel
contraddittorio tra le parti, ogni elemento dotato di efficacia probatoria e, dunque, anche le prove
raccolte in un processo penale e, segnatamente (come nella specie), le dichiarazioni verbalizzate
dagli organi di polizia giudiziaria in sede di sommarie informazioni testimoniali (Cass. sez. II,
19/10/2007, n. 22020) nello stesso senso Cass. sez. I, 2/3/2009, n. 5009; Cass. sez. I, 13/5/2009, n.
11141; Cass. sez. III, 27/3/2009, n. 7537. 97
Consolo, Il processo di primo grado cit., 184. Approfonditamente sul tema v.Angeloni, Le
prove illecite, Padova, 1992. 98
Ha recentemente osservato la Cassazione che anche in tema di interrogatorio formale, come per
la richiesta di ammissione di prova testimoniale, la parte richiedente può soltanto invocare il
potere discrezionale del giudice di merito di ammettere tale mezzo di prova in relazione alla sua
indispensabilità ai fini della decisione, senza che sussista un dovere del giudice di merito di
ammettere in ogni caso il mezzo istruttorio in quanto volto a provocare la confessione della
controparte (Cass. sez. III, 18/9/2009, n. 20104). 99
Emblematico è il percorso giurisprudenziale giurisprudenziale compiuto con riguardo all’onere
probatorio connesso all’inadempimento contrattuale. Sino alla pronuncia delle Sezioni Unite
30/10/2001 n.13533, l’orientamento maggioritario (Cass.22/9/1981 n.5166; Cass.17/11/1990 n.
11115; Cass.9/1/1997 n.124) diversificava il regime probatorio secondo che il creditore agisse per
l'adempimento, nel qual caso si riteneva sufficiente che l'attore fornisse la prova del titolo che
costituiva la fonte del diritto vantato, ovvero per la risoluzione, nel qual caso si riteneva che il
creditore dovesse provare, oltre al titolo, anche l'inadempimento, integrante anch'esso fatto
costitutivo della pretesa. Con la pronuncia citata le Sezioni Unite hanno aderito ad un precedente
minoritario indirizzo (Cass.7/2/1996 n. 973; Cass.15/10/1999 n. 11629) che tendeva ad unificare il
regime probatorio gravante sul creditore, senza distinguere tra le ipotesi in cui agisse per
l'adempimento, per la risoluzione o per il risarcimento del danno, per cui si è stabilito che “Il
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guisa individuare i fatti costitutivi dei diritti che dovranno essere oggetto di
prova.
Si noti che con riguardo al vaglio di rilevanza della prova contraria
indicata dalle parti, che il giudizio dovrà essere compiuto non in sé ma
verificando le prove dirette richieste. Così, ad esempio, la prova contraria
vertente sulla dimostrazione dell’inesistenza di un fatto principale oggetto
dell’onere probatorio dell’attore, che in concreto nessuna istanza istruttoria
sul punto abbia svolto, dovrà ritenersi irrilevante. E ancora se una parte ha
richiesto a prova diretta, esorbitando dal proprio onere probatorio, una prova
costituenda tendente ad inficiare l’esistenza dei fatti su cui si fonda l’avversa
eccezione estintiva, modificativa od impeditivi, alla parte gravata dal relativo
onere sarà consentito di indicare, quale prova contraria, una richiesta
tendente ad offrire la positiva dimostrazione del fatto stesso100
.
Certo è che anche il comportamento processuale che le parti nel corso del
giudizio scelgono di adottare può incidere sull’onere probatorio e sulla
rilevanza delle prove dedotte, posto che ai sensi dell’art. 115 c.p.c. se i fatti
non contestati, come si è visto nel § 2, essi non sono abbisognevoli di prova.
Affinché l’istanza istruttoria sia accolta le valutazioni di ammissibilità e
rilevanza devono avere entrambe esito positivo, atteso che se manca uno dei
due presupposti il mezzo di prova va rigettato101
.
creditore che agisce in giudizio, sia per l'adempimento del contratto sia per la risoluzione ed il
risarcimento del danno, deve fornire la prova della fonte negoziale o legale del suo diritto (ed
eventualmente del termine di scadenza), limitandosi ad allegare l'inadempimento della
controparte, su cui incombe l'onere della dimostrazione del fatto estintivo costituito
dall'adempimento”. Nella sentenza: A) si sottolinea la necessità che i tre rimedi previsti dall’art.
1453 c.c. (azione di adempimento, di risoluzione, di risarcimento del danno) comportino per
l’istante una omogeneità nell’onere dell’attore atteso che si ricollegano al medesimo presupposto
costituito dall’inadempimento; B) si valorizza il principio della presunzione di persistenza del
diritto, desumibile dall'art. 2697, in virtù del quale, una volta provata dal creditore l'esistenza di un
diritto destinato ad essere soddisfatto entro un certo termine grava sul debitore l'onere di
dimostrare l'esistenza del fatto estintivo; C) si fa applicazione del principio di riferibilità o di
vicinanza della prova, ponendo in ogni caso l'onere della prova a carico del soggetto nella cui
sfera si è prodotto l'inadempimento, e che è quindi in possesso degli elementi utili per paralizzare
la pretesa del creditore, sia questa diretta all'adempimento, alla risoluzione o al risarcimento del
danno, fornendo la prova del fatto estintivo del diritto azionato, costituito dall'adempimento. 100
Farolfi, op. cit., p.8. 101
Il giudizio sull'ammissibilità e rilevanza dei mezzi di prova proposti dalle parti, che il giudice
di merito deve compiere (a norma dell'art. 184 c.p.c. nel testo attuale e dell'art. 187 c.p.c. nel testo
anteriore alla riforma del 1990) prima di decidere sull'ammissione, consta di due valutazioni che,
per un verso, non sono entrambe sempre necessarie (atteso che, una volta ritenuta l'inammissibilità
della prova richiesta, il giudice non è tenuto, per decidere, a valutarne anche la rilevanza) e, per
altro verso, non sono legate in termini di priorità l'una all'altra (nel senso che il giudice debba
sempre prima procedere alla valutazione sull'ammissibilità e poi a quella sulla rilevanza), ben
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Nell’ordinanza con cui il giudice provvede sulle prove si ritiene di regola
che debbano essere contemperate l’esigenza di una motivazione del rigetto
delle istanze e la necessità di non anticipare completamente la decisione sul
merito della causa. La giurisprudenza non contrasta la possibile adozione di
rigetti impliciti, che si concretano nell’immediata fissazione della
precisazione delle conclusioni, purchè il giudice dia conto dell’esaustività
delle altre prove acquisite al giudizio al fine della pronuncia definitiva sulla
controversia102
.
7. Preclusioni e istruzione probatoria nel rito sommario di cognizione.
Solo alcune brevissime osservazioni con riguardo al sistema delle preclusioni
e all’istruzione probatoria nel nuovo rito sommario di cognizione103
.
Il III comma dell’art. 702 ter c.p.c. prevede che se il giudice ritiene che le
difese svolte dalle parti richiedano un’istruzione non sommaria, con
ordinanza non impugnabile converte il rito e fissa l’udienza di cui all’art. 183
c.p.c.
Affinché il giudice possa effettuare la valutazione che la legge gli
richiede, ovvero verificare se la controversia posta alla sua attenzione sia
semplice - per oggetto della lite o perchè necessitano di un’attività istruttoria
limitata - è necessario che sia stato delineato dalle parti l’oggetto del
processo e l’attività istruttoria richiesta.
In assenza di indicazione normativa, non essendo previsto che il ricorso e
la comparsa di costituzione indichino a pena di decadenza i fatti posti a
fondamento delle domande, difese ed eccezioni e neppure i relativi mezzi di
prova, deve ritenersi che il thema decidendum trovi una sua definizione, di
regola, in prima udienza, con l’adozione da parte del giudice di eventuali
decisioni sulle questioni preliminari e provvedimenti in ordine alle prove
richieste dalle parti.
L’art. 702 ter c.p.c. invero non specifica neppure quando si delimita il
thema probandum, tanto che in dottrina ed in giurisprudenza le opinioni non potendo il giudizio sulla non ammissibilità essere conseguente alla ritenuta irrilevanza della prova
in relazione al "thema decidendum". (Cass., sez. I, 15/6/2000, n. 8164). 102
Cass. sez. lav., 8/1/2003, n. 87; Cass. sez. III, 20/2/1998, n. 1783. 103
Ho trattato più approfonditamente il rito sommario di cognizione nella relazione Il nuovo
procedimento sommario di cognizione come modalità accelleratoria di gestione del processo, per
l’Ufficio incontri di Studio del CSM in relazione ad un corso tenutosi a Roma il 6-10/9/2010.
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sono unanimi e questo principalmente proprio perché gli sbarramenti al
potere delle parti di modificare domande, eccezioni, articolare prove non
sono formali ma esclusivamente funzionali alla decisione che il giudice
adotterà all’udienza e che potrebbe essere immediata.
Parte degli interpreti104
, e con essi il protocollo adottato dal tribunale di
Modena, ritiene compatibile con le caratteristiche del procedimento la
concessione alle parti di termini per richieste istruttorie e per difese scritte,
quand’anche in misura limitata.
Altra parte della dottrina105
, condivisa dal protocollo del tribunale di Roma
e Verona, più cautamente, ritiene che le parti debbano formulare tutte le
proprie istanze, anche istruttorie, negli atti introduttivi o nella prima udienza,
e questo proprio nel rispetto della sommarietà dell’istruzione, che tale deve
risultare già sulla base degli atti valutabili dal giudice in limine litis.
L’opportunità di un’articolazione delle prove sin dagli atti introduttivi è
infatti correlata funzionalmente alla necessità del giudice di essere posto
nella condizione, quanto meno all’udienza, di valutare se mantenere il
procedimento nell’ambito del rito sommario prescelto dall’attore o disporre
la conversione in rito ordinario106
.
104
Menchini, L’ultima “idea” del legislatore per accelerare i tempi della tutela dichiarativa dei
diritti:il processo sommario di cognizione, in www.judicium.it, 2; Ferri, Il procedimento sommario
di cognizione, in Riv.trim.dir. e proc.civ., 2010, I, 98. 105
Olivieri, Il procedimento sommario di cognizione (primissime brevi note), in www.judicium.it.,
3 e Mondini, Il nuovo giudizio sommario di cognizione. Ambito di applicazione e struttura del
procedimento, in www.judicium.it, 5, per i quali la prima udienza segna il limite per la definizione
del thema decidendum e del thema probandum. 106
Queste considerazioni sono già state svolte in giurisprudenza dal Tribunale di Varese
(ord.18/11/2009 – Est. Buffone, in Giur.merito, 2010, 2, 406) ove si rileva che “se il giudice deve
decidere sulle sorti del sommario alla prima udienza (fissata ex art. 702 bis, comma III, c.p.c.), ciò
vuol dire che la piattaforma probatoria deve essersi per tale momento processuale già stabilizzata,
quanto fa ritenere che la natura fisiologica del rito e la sua auspicata celerità impongano alle parti
di individuare il thema probandum già negli scritti introduttivi del giudizio, seppur nelle forme
snelle del sommario e, dunque, senza le solennità tipiche del giudizio ordinario (ad es.,
articolazione dei capitoli per i testi). Si vuol dire che l’ultimo momento utile per delimitare il
ventaglio delle richieste istruttorie è l’udienza di prima comparizione, ove le parti possono
specificare le prove già richieste nei propri atti o formulare istanza per quelle determinate
dall’altrui difesa; si può dubitare circa l’articolazione – solo all’udienza di prima comparizione - di
“nuove prove” dirette, diverse da quelle già previste negli atti introduttivi, atteso che il sommario,
se è snello nell’istruzione, è formale e procedimentalizzato nell’introduzione. E, però, ragioni di
ordine sistematico e di coerenza con il rito, impongono di ritenere che le parti possono formulare
richieste istruttorie sino alla pronuncia del giudice in ordine alla decidibilità della controversia con
le forme del sommario (art. 702 ter, comma V, c.p.c.) e, dunque, sino all’ordinanza che provvede
sulle richieste di prova indicando gli atti di istruzione ritenuti rilevanti. Oltre tale sbarramento, alle
parti non è consentito dedurre nuovi mezzi di prova poiché si incorrerebbe nel rischio di favorire
atteggiamenti difensivi secundum eventum litis, ovvero meramente orientanti a provocare una
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Definito anche il thema probandum il giudice è chiamato a valutare se
l’istruttoria da compiersi per la decisione della causa sia compatibile con il
rito sommario.
Nell’elaborare questa valutazione il giudice dovrà tener conto dell’oggetto
delle domande delle parti, del sistema difensivo adottato, della semplicità
della controversia, delle istanze istruttorie formulate107
.
E’ discussa in dottrina l’applicabilità dell’istituto della non contestazione
(art. 115 c.p.c.), al fine di consentire al giudice di escludere dall’attività
istruttoria i fatti non contestati dal convenuto, e quindi di valutare istruibile
con procedimento sommario un giudizio che, in ipotesi di contestazione,
richiederebbe una complessa attività istruttoria. Se da un lato il principio
appare a taluni applicabile per regola generale108
, altri109
ne escludono
conversione del rito ove al percorso scelto dal giudice per l’istruzione del sommario si ritenga di
preferire il procedimento ordinario. Resta salvo il potere di provvedere a nuovi mezzi di prova ex
officio, anche su impulso delle parti, dopo o durante l’istruzione probatoria, ove il giudice lo
ritenga necessario, ma senza che possa più provvedersi alla conversione del rito”. 107
Tribunale di Mondovì (ord. 5/11/2009 – Est. Demarchi, in F.it., 2009, I, 3506.) ove il giudice
sostiene “che la non sommarietà dell’istruzione debba valutarsi non tanto con riferimento
all’oggetto della domanda, quanto, piuttosto, in relazione alle prove necessarie per la decisione,
sulla base delle difese assunte dalle parti. Questa affermazione si giustifica con la considerazione
che ai fini del rito in esame le cause non devono essere divise tra cause oggettivamente complesse
e cause semplici, ma tra cause in cui l’istruttoria può essere complessa e lunga ed altre cause in cui
l’istruttoria può essere condotta in modo deformalizzato e con rapidità. La differenza tra le due
tipologie può dipendere dalla natura della lite (che non richiede accertamenti in fatto, o li richiede
in misura limitata), ovvero, spesso, dalle posizioni assunte dalle parti, dal momento che esse
determinano la quantità e la qualità di domande ed eccezioni (che vanno ad integrare il thema
decidendum) e, soprattutto, la quantità di istruttoria necessaria, attraverso le contestazioni o meno
dei fatti allegati dalla controparte107
. Poiché nel giudizio civile opera il principio di disponibilità
della prova, è attraverso le difese delle parti che si può accrescere o diminuire il carico istruttorio
della causa, cosicché anche una causa teoricamente complessa – quale può essere una causa di
responsabilità professionale o, come nel caso di specie, un’azione revocatoria – può essere decisa
senza fare luogo ad un’istruttoria lunga e “formale”. Nel caso in esame, la causa ha prevalente
natura documentale e necessita esclusivamente di ctu sul valore dell’immobile, che può essere
eseguita con rapidità e senza necessità di complessi accertamenti”. Analoghe considerazioni con
riguardo alla necessità di non avere a riferimento l’oggetto della domanda ma le prove necessarie
per la decisione con riguardo alle difese svolte dalle parti per valutare l’idoneità della causa ad una
istruzione non sommaria si rinvengono in Tribunale di Torino, ord.11/2/2010, in
www.altalex.com. 108
Il giudice deve astenersi da ogni controllo probatorio dei fatti non contestati che deve valutare
sussistenti, in quanto sono proprio le scelte difensive delle parti che estromettono i fatti non
contestati dal thema probandum (Cass.8/4/2004 n.6939, Cass.25/5/2004 n.10031). Per un
approfondimento sul punto si veda M.Fabiani, Il nuovo volto della trattazione e dell’istruttoria, in
Corriere Giuridico 1/2009, 9 e ss.; Basilico, Il procedimento sommario di cognizione, in
www.treccani.it, 5; Bove, Il procedimento sommario di cognizione di cui agli articoli 702 bis ss.
c.p.c., in www.judicium.it, 5; Ferri, Il procedimento sommario cit., 99; Mondini, Il nuovo giudizio
sommario cit., 8; in giurisprudenza Trib.Mondovì 5/11/2009 in F.it., 2009, I, 3506.
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l’operatività per assenza, nel procedimento sommario, di un’udienza di
trattazione entro cui contestare, a pena di decadenza, i fatti dedotti
dall’attore.
Quanto all’attività istruttoria ammissibile nel rito sommario, ai sensi
dell’’art. 702 ter V co. c.p.c. se il giudice ritiene la propria competenza,
l’ammissibilità della domanda e valuta che la causa richieda un’istruzione
sommaria, “sentite le parti, omessa ogni formalità non essenziale al
contraddittorio, procede nel modo che ritiene più opportuno agli atti di
istruzione rilevanti in relazione all’oggetto del provvedimento richiesto…”.
La norma riproduce quasi esattamente l’art. 669 sexies c.p.c., ma attesi i
presupposti completamente diversi del rito sommario rispetto al
procedimento cautelare, alle espressioni utilizzate non può essere attribuito lo
stesso significato che assume nella sede originaria.
Si discute quindi tra gli interpreti circa il modo in cui deve essere condotta
nel procedimento sommario l’attività istruttoria, dovendo essere omessa ogni
“formalità non essenziale”:
Parte della dottrina afferma che l’espressione generica scelta dal
legislatore consente l’utilizzabilità di prove atipiche o atipicamente
assunte110
, nonché l’acquisizione di prove documentali anche in assenza
dell’istanza di parte prevista dall’art. 210 c.p.c..
Altra parte della dottrina111
, maggiormente condivisibile, sottolinea che il
109
Acierno, Il nuovo procedimento sommario: le prime questioni applicative, in Corr.giur., 2010,
514; Olivieri, Il procedimento sommario cit., 3, il quale non ritiene che il principio di non
contestazione possa operare al di fuori del procedimento a cognizione piena. 110
Concorda con la sussistenza di una discrezionalità dell’ufficio circa la determinazione delle
attività da compiere e delle modalità di esecuzione delle stesse Menchini, L’ultima “idea” cit., 2.
Nello stesso senso è il protocollo del Tribunale di Modena. 111
In merito Consolo, La legge di riforma 18 giugno 2009 n.69: altri profili significativi a prima
lettura, in Corr.giur., 2009, 885; Balena, Il procedimento sommario di cognizione, in Foro it.,
2009, V, 330; Acierno, Il nuovo procedimento cit., 513; Basilico, Il procedimento sommario cit..,
8; Dittrich, Il Nuovo procedimento sommario di cognizione, in www.judicium.it, 5. Osserva
M.Fabiani, Le prove nei processi dichiarativi semplificati, in www.judicium.it e in Riv.trim.d.ir e
proc. civ., 2010, II ., 7 “ …E’ proprio il procedimento di formazione della prova che si connota
per l’atipicità; ma sia chiaro che: i) le modalità con cui si attua la deformalizzazione non possono
snaturare il mezzo di prova; ii) il mezzo deformalizzato non può trasformarsi in un mezzo illecito.
L’opzione per un processo deformalizzato sembra rimandare al principio della libertà delle forme,
ma occorre pur sempre considerare che nel nostro sistema le forme esprimono sostanza quanto ad
assetto finalistico; infatti le forme “libere” reggono se organizzate per conseguire un ben
determinato scopo”.Ed ancora a pag.8, che “Il rapporto fra poteri delle parti e poteri del giudice
deve rimanere equilibrato; nessuna fuga in avanti verso l’inesplorato terreno della verità materiale,
ma al contempo nessuna censura in ordine alla scelta di sdrammatizzare lo schematismo delle
forme necessarie. Se un uso accorto di poteri istruttori officiosi, nei rigorosi limiti dei fatti allegati
dalle parti, non è tale da pregiudicare la posizione di terzietà del giudice, è ragionevole che il
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principio dispositivo non è derogato nel procedimento sommario e i poteri
istruttori officiosi sono quelli e solo quelli previsti per il rito ordinario. Il
giudizio sommario è volto all’accertamento pieno della verità, ma con
strumenti semplificati, per cui la qualità della cognizione non deve essere né
inferiore a quella prevista per il giudizio ordinario di cognizione, né
superficiale. La possibilità di derogare le regole ordinarie dell’istruzione
probatoria non riguarderebbe quindi la tipologia di atti di istruzione ma le
modalità di acquisizione dei singoli mezzi di prova112
.
giudice non modifichi il proprio atteggiamento di neutralità solo perché può muoversi, con una
metafora sportiva, fra i paletti da slalom gigante anziché da slalom speciale”. Ed ancora Bina, Il
procedimento sommario di cognizione, in Riv.trim.dir. e proc. civ., I, 126, il quale puntualizza che
“i due modelli procedimentali (ordinario, sommario) tra i quali il giudice deve decidere si
differenziano, pertanto, non in relazione all’oggetto della prova o all’estensione ed alla qualità del
thema probandum, ma solamente per le modalità di assunzione delle prove”. Nello stesso senso è
il protocollo del Tribunale di Verona. 112
In giurisprudenza, il Tribunale di Mondovì, nell’ ordinanza già citata del 5 novembre 2009
dichiara l’inammissibilità delle prove orali in assenza di idonea capitolazione delle circostanze di
fatto di cui chiede l’accertamento e dell’indicazione nominativa dei testimoni. Osserva il
giudicante che “Quanto alle prove orali dedotte, esse si palesano inammissibili, per i seguenti
motivi: l'attore non ha provveduto né ad idonea capitolazione delle circostanze di fatto di cui
chiede l'accertamento, né all'indicazione nominativa dei testimoni. L’art. 702-bis c.p.c., mediante
il rinvio all’art. 163 n. 5 c.p.c., richiede anche nel procedimento sommario di cognizione
l’indicazione specifica dei mezzi di prova, il che non significa che l’attore può limitarsi ad una
generica indicazione del mezzo di prova richiesto (prova testimoniale, giuramento, …), ma deve
invece specificarlo, delimitandone l’oggetto e indicando le persone che devono compierlo”.